52002DC0694

Comunicazione della Commissione - Libera circolazione dei lavoratori : realizzarne pienamente i vantaggi e le potenzialità /* COM/2002/0694 def. */


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE - Libera circolazione dei lavoratori : realizzarne pienamente i vantaggi e le potenzialità

Indice

1. Introduzione

2. Libera circolazione dei lavoratori

2.1 Introduzione

2.2. Residenza ed espulsione

2.3. Accesso all'occupazione e parità di trattamento nell'occupazione

2.4. Vantaggi sociali e fiscali

2.5 Familiari

2.6. Prospettive

3. Sicurezza sociale

3.1. Introduzione

3.2. Non esportabilità di prestazioni speciali a carattere non contributivo

3.3. Assistenza sanitaria

3.4. Contributi di sicurezza sociale

4. Lavoratori frontalieri

4. 1. Introduzione

4.2 Lavoratori frontalieri pensionati

4.3. Fiscalità

5. Settore pubblico

5.1. Introduzione

5.2. Accesso all'occupazione nella pubblica amministrazione

5.3. Riconoscimento dell'esperienza e dell'anzianità professionali

5.4. Riconoscimento delle qualifiche e dei diplomi

6. Conclusioni

1. Introduzione

Il fine della presente comunicazione è di descrivere in termini pratici alcuni dei problemi più importanti incontrati dai lavoratori migranti e dalle loro famiglie, e il modo in cui la Commissione li affronta e li affronterà, nel contesto della giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee ("la Corte") e dell'esperienza acquisita dai servizi della Commissione nel trattamento quotidiano dei reclami presentati da cittadini.

La Commissione cerca di ravvicinare l'Unione ai suoi cittadini informando questi ultimi sui loro diritti nel settore della libera circolazione e mettendoli in grado di esercitare ulteriormente tali diritti. A questo proposito, è opportuno rilevare che il principio fondamentale di non discriminazione sulla base della nazionalità contenuto nel trattato è non solo vincolante per le autorità pubbliche, ma anche per i privati.

La libera circolazione delle persone è una delle libertà fondamentali garantite dalla legislazione comunitaria; essa presuppone il diritto di vivere e di lavorare in un altro Stato membro. In origine, questa libertà era essenzialmente riconosciuta alle persone economicamente attive e ai loro familiari. Oggi, la libertà di circolare all'interno della Comunità è un diritto di cui godono anche altre categorie di persone, come gli studenti, i titolari di pensioni e di rendite e qualunque cittadino dell'Unione europea in generale [1]. Si tratta probabilmente del diritto individuale più importante riconosciuto nella legislazione comunitaria e di un elemento essenziale della cittadinanza europea.

[1] Vedi ad esempio la causa C-184/99, Grzelczyk e la causa C-85/96, Martinez-Sala ECR [1998] I-02691.

La libertà di circolazione è un mezzo per creare un mercato dell'occupazione europeo e mettere a disposizione dei lavoratori dipendenti, dei datori di lavoro e degli Stati membri una struttura di mercato del lavoro più efficace e più flessibile. È innegabile che la mobilità dei lavoratori consenta loro di migliorare le prospettive professionali e offra ai datori di lavoro la possibilità di reclutare le persone di cui hanno bisogno. Si tratta di un fattore importante per ottenere mercati del lavoro efficaci e un elevato livello di occupazione.

La sicurezza sociale costituisce un importante aspetto dell'esercizio del diritto alla libera circolazione [2]. Garantendo che il principio della parità di trattamento sia effettivamente applicato e che le persone che si spostano all'interno della Comunità non subiscano pregiudizi nel loro diritto alla sicurezza sociale, questa libertà fondamentale diviene reale e tangibile. Una vera libertà di movimento non si concepisce quindi senza una protezione dei diritti alla sicurezza sociale dei lavoratori migranti e dei loro familiari, ed è questa una delle ragioni d'essere del Regolamento 1408/71 [3] sul coordinamento dei regimi di sicurezza sociale applicabili alle persone che si spostano all'interno dell'Unione.

[2] Cfr. la guida "Disposizioni comunitarie sulla sicurezza sociale - i diritti di coloro che si espostano nell'Unione europea".

[3] Regolamento (CEE) 1408/71 del 14.06.1971 relativo all'applicazione dei regimi di sicurezza sociale ai lavoratori subordinati e ai loro familiari che si spostano all'interno della Comunità, GU L 149 del 5.07.1971 pag. 2, modificato da ultimo dal Regolamento (CE) 118/97, GU L 28 del 30.01.1997

È vero tuttavia che esistono numerosi ostacoli pratici, amministrativi e giuridici che impediscono ancora ai cittadini dell'Unione di esercitare il loro diritto alla libera circolazione. È inoltre chiaro che tali ostacoli impediscono ai lavoratori dipendenti e ai datori di lavoro di sfruttare pienamente i vantaggi e le potenzialità della mobilità geografica. Di ciò viene data conferma dal grande numero di lettere inviate dai cittadini e riguardanti l'applicazione corretta delle regole comunitarie in materia di libera circolazione o le misure di esecuzione adottate a livello nazionale [4] e il numero crescente di sentenze emesse in questo settore dalla Corte.

[4] Nel 2002, l'unità della Direzione Generale Occupazione e Affari Sociali incaricata della libera circolazione dei lavoratori e del coordinamento dei regimi di sicurezza sociale ha ricevuto quasi 2.000 lettere, la maggioranza delle quali evocava i problemi incontrati da singoli cittadini.

Per questo motivo, la Commissione ritiene che sia opportuno richiamare l'attenzione dei cittadini e degli Stati membri su alcune delle principali difficoltà pratiche che incontrano ancora i lavoratori migranti e i loro familiari. La Commissione spiegherà in che modo questi problemi sono affrontati, nel quadro della giurisprudenza della Corte e dell'esperienza acquisita ogni giorno dai servizi della Commissione nell'esame dei casi individuali.

A tale proposito, nella sua funzione di custode dei trattati, la Commissione si impegna pienamente a garantire che i diritti attribuiti dal trattato o dal diritto derivato ai cittadini dell'Unione europea siano rispettati dagli Stati membri e dalle autorità pubbliche a livello nazionale, regionale e locale.

La presente comunicazione prolunga e complementa le relazioni e i testi precedenti relativi alla libera circolazione, come la comunicazione della Commissione del 1990 sui lavoratori frontalieri [5], la relazione sul Panel di alto livello sulla libera circolazione delle persone (la "Relazione Veil") del 1997, il piano d'azione della Commissione per la libera circolazione dei lavoratori [6], la risoluzione del Consiglio e degli Stati membri concernente un piano d'azione per la mobilità [7], la raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla Mobilità [8], la comunicazione della Commissione su una strategia a favore della mobilità nell'ambito dello Spazio europeo della ricerca [9], la comunicazione sui nuovi mercati europei del lavoro [10] e il piano d'azione della Commissione in materia di competenze e di mobilità [11].

[5] Comunicazione della Commissione sulle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini della Comunità residenti nelle regioni di frontiera e in particolare dei lavoratori frontalieri, COM(1990)561 def.

[6] COM(1997)586 def.

[7] Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri del 14 dicembre 2000 recante un piano d'azione per la mobilità, GU C 371 del 23.12.2000

[8] Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio, del 10 luglio 2001, relativa alla mobilità nella Comunità degli studenti, delle persone in fase di formazione, di coloro che svolgono attività di volontariato, degli insegnanti e dei formatori, GU L 215 del 09.08.2001

[9] COM/2001/0331 def.

[10] COM(2001) 116.

[11] COM(2002) 72.

La comunicazione mette l'accento su quattro problematiche distinte ma intercorrelate che pongono particolari difficoltà ai cittadini o sono state trattate dalla Corte. Il primo problema riguarda gli ostacoli incontrati attualmente dai lavoratori e dai loro familiari, vale a dire l'accesso all'occupazione, le esigenze linguistiche, la parità di trattamento e i vantaggi sociali, nonché i problemi di ordine amministrativo e giuridico in relazione con i diritti di soggiorno. Saranno affrontate anche altre questioni, come la fiscalità, i regimi di pensione professionale non obbligatori [12] e i familiari. Il secondo problema ha per oggetto questioni di sicurezza sociale in rapporto con il Regolamento 1408/71, e in particolare le condizioni di residenza fissate per poter beneficiare delle prestazioni e dell'assistenza sanitaria in un altro Stato membro. Il terzo problema riguarda i lavoratori frontalieri che, poiché non risiedono nello Stato d'occupazione, costituiscono una categoria specifica di lavoratori migranti che incontrano problemi particolari per quanto riguarda, ad esempio, le cure sanitarie, la sicurezza sociale e la fiscalità. Infine, poiché l'esercizio di un'attività professionale nel settore pubblico di un altro Stato membro pone grandi problemi, la quarta parte si concentra su questioni quali l'accesso al settore pubblico e il riconoscimento di esperienze professionali precedenti acquisite in un altro Stato membro.

[12] Vedi la comunicazione recante lancio della prima fase di consultazione delle parti sociali sulla portabilità dei diritti a pensione complementare (12.06.2002) e la comunicazione della Commissione sull'eliminazione degli ostacoli fiscali all'erogazione transfrontaliera di pensioni aziendali e professionali, COM (2001) 214 def. del 19.04.2001.

La presente comunicazione non si considera assolutamente esaustiva e non pretende di coprire tutti i diritti derivanti dalla legislazione comunitaria in materia di libera circolazione. Per questo motivo, non affronta i problemi di ordine generale riguardanti la cittadinanza.

2. Libera circolazione dei lavoratori

2.1 Introduzione

Qualunque cittadino di uno Stato membro ha il diritto di lavorare in un altro Stato membro [13]. Il termine "lavoratore" non è stato definito nel trattato, ma è stato interpretato dalla Corte come designante qualunque persona che (i) intraprende un lavoro reale ed effettivo (ii) sotto la direzione di un'altra persona, (iii) dalla quale viene retribuita. Questa definizione si applica a qualcuno che lavora 10 ore a settimana [14] e agli apprendisti [15]. Tuttavia, il direttore di una società di cui sia anche l'azionista unico non è considerato come un lavoratore in mancanza di un vincolo di subordinazione [16]. Una persona conserva la qualità di lavoratore anche se la retribuzione è inferiore al reddito minimo di sopravvivenza fissato nello Stato membro ospitante [17]. Dal momento che la definizione del termine "lavoratore" determina il campo d'applicazione del principio fondamentale della libertà di circolazione, essa non dev'essere interpretata in modo restrittivo [18]. Le persone che abbiano contratti a durata determinata sono considerate come lavoratori per tutto il tempo in cui esse soddisfano le tre condizioni sopra menzionate. In quest'ottica, i funzionari e gli agenti del servizio pubblico sono considerati lavoratori. Il diritto comunitario sulla libera circolazione dei lavoratori non si applica a situazioni puramente interne. Tuttavia, le persone che hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione e ritornano nello Stato membro d'origine rientrano nell'ambito d'applicazione delle norme comunitarie [19].

[13] L'articolo 39 del trattato CE e il Regolamento 1612/68 (GU L 257 del 19.10.1968) garantiscono, ad esempio, la parità di trattamento nell'accesso all'occupazione (compresa l'assistenza degli uffici di collocamento), in materia di retribuzione e di condizioni di lavoro, di affiliazione alle organizzazioni sindacali, di alloggio e di accesso dei figli all'istruzione. Esistono delle limitazioni quanto all'ordine pubblico, alla pubblica sicurezza e alla sanità pubblica, come pure al settore pubblico (si veda la sezione 5).

[14] Causa 171/88, Rinner-Kuhn Racc. [1989] 2743.

[15] Causa C-27/91, Le Manoir Racc. [1991] I-05531.

[16] Causa C-107/94, Asscher Racc. [1996] I-3089.

[17] Causa 139/85, Kempf [1986] 1741.

[18] Causa 53/81, Levin Racc. [1982] 01035.

[19] Causa 115/78, Knoors Racc. [1979]399, causa C-370/90, Singh Racc. [1992] I-4265 & causa C-18/95, Terhoeve Racc. [1999] I-00345.

Dopo l'allargamento dell'Unione europea, le norme sulla libera circolazione dei lavoratori si applicheranno ai cittadini dei nuovi Stati membri soltanto dopo un periodo di transizione [20]. Tuttavia, i cittadini dei nuovi Stati membri che lavorino legalmente con un contratto di almeno 12 mesi in uno degli attuali Stati membri alla data di adesione del loro paese all'UE beneficeranno del diritto di libero accesso al mercato del lavoro dello Stato membro in questione. Inoltre, le norme comunitarie in materia di coordinamento dei regimi di sicurezza sociale si applicheranno a decorrere dalla data di adesione.

[20] Gli attuali Stati membri applicheranno norme nazionali per l'accesso ai rispettivi mercati del lavoro per i primi due anni successivi all'adesione dei nuovi Stati membri (ad eccezione di Cipro e di Malta). La Commissione provvederà a una revisione al termine del primo biennio, dopodichè gli attuali Stati membri potranno decidere di applicare le norme comunitarie in materia di libera circolazione dei lavoratori ai cittadini dei nuovi Stati membri, o potranno continuare ad applicare le rispettive norme nazionali per altri tre anni. Cinque anni dopo l'adesione, i cittadini dei nuovi Stati membri dovrebbero beneficiare pienamente della libera circolazione, a meno che uno degli attuali Stati membri non incontri gravi difficoltà sul proprio mercato del lavoro, o sussista un rischio in questo senso, nel qual caso lo Stato membro può continuare ad applicare le proprie norme per altri due anni. Per ulteriori informazioni si veda:"Libera circolazione delle persone - guida pratica all'Unione europea allargata: http://europa.eu.int/coo/enlargement/negotiations/chapters/chap2/55260_practica_guide_including_comments.pdf

In base all'attuale normativa comunitaria, [21]i cittadini di paesi terzi non beneficiano della libera circolazione dei lavoratori, ma se sono familiari di un cittadino dell'UE che abbia esercitato il proprio diritto alla libera circolazione (nella presente comunicazione definito "lavoratore migrante dell'UE"), hanno il diritto di risiedere e lavorare nello Stato membro in cui è impiegato il lavoratore migrante dell'UE. La Commissione ha proposto una normativa sui diritti dei cittadini di paesi terzi che entrano negli Stati membri per svolgervi attività di lavoro e per estendere i diritti alla libera circolazione ai cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo nell'UE. [22]

[21] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di spostarsi e risiedere liberamente sul territorio degli Stati membri, COM(2001)257 def.

[22] Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status di cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo, COM(2001)127 def., GU C 240E del 28.8.2001, pagg. 79-87 & proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni di ingresso e residenza di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo, COM(2001) 386 def., GU C 332E del 27.11.2001, pagg. 248-256.

2.2. Residenza ed espulsione

Il diritto di residenza va di pari passo con il diritto al lavoro in un altro Stato membro e gli Stati membri devono rilasciare ai lavoratori migranti un permesso di residenza come prova di tale diritto di residenza [23]. La Commissione riceve inoltre numerosi reclami presentati da cittadini cui viene richiesto di fornire documenti (quali dichiarazioni fiscali, attestati medici, fogli paga, fatture dell'elettricità, ecc.) diversi da quelli autorizzati dalla legislazione comunitaria (carta d'identità e attestato del datore di lavoro). La Commissione riceve inoltre reclami riguardanti un altro punto, vale a dire il fatto che gli Stati membri non sono autorizzati a rilasciare permessi temporanei, per i quali dev'essere versata un'imposta, prima di rilasciare un permesso di residenza [24].

[23] Causa 48/75 Royer Racc. [1976] 497.

[24] Causa C-344/95, Commissione contro Belgio Racc. [1997] I-01035.

Il diritto al lavoro non è condizionato dall'ottenimento del permesso di soggiorno. La Commissione continua a ricevere reclami di cittadini cui viene richiesto di fornire un permesso di soggiorno prima di essere autorizzati ad iniziare il lavoro, e ciò è contrario al diritto comunitario.

Inoltre, la Commissione ha ricevuto numerosi reclami di lavoratori in disoccupazione involontaria che ricevono un'assistenza sociale e che constatano che lo Stato membro ospitante rifiuta di rinnovare il permesso di soggiorno minacciandoli di espulsione. Se una carta di soggiorno avente una durata di cinque anni è stata rinnovata una volta, lo Stato membro non può rifiutare di rinnovarla ancora una volta con il pretesto della disoccupazione involontaria e, di conseguenza, non può neppure espellere una persona che si trovi in questa situazione. La Commissione ritiene che i lavoratori il cui contratto di lavoro a durata determinata viene a scadenza dovrebbero essere classificati nella categoria dei lavoratori in disoccupazione involontaria. Non possono essere invocati motivi di ordine pubblico per giustificare tali espulsioni [25].

[25] Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa ai provvedimenti speciali in tema di circolazione e residenza dei cittadini dell'Unione giustificati da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica, COM(1999)372 def.

2.3. Accesso all'occupazione e parità di trattamento nell'occupazione

Un cittadino dell'Unione europea che lavora in un altro Stato membro dev'essere trattato esattamente allo stesso modo dei suoi colleghi cittadini di questo Stato sul piano delle condizioni di lavoro, e ciò comprende, ad esempio, la formazione, il licenziamento e la reintegrazione.

Questo diritto alla non discriminazione sulla base della nazionalità si applica anche a regole che, a meno che non siano obiettivamente giustificate e proporzionate all'obiettivo, sono intrinsecamente suscettibili di nuocere maggiormente ai lavoratori migranti che non ai lavoratori nazionali e rischiano di conseguenza di porre i lavoratori migranti in una situazione particolarmente svantaggiata (abitualmente definita "discriminazione indiretta") [26]. Come la Corte ha recentemente ricordato nella causa Gottardo [27], questo diritto fondamentale alla parità di trattamento esige che uno Stato membro, il quale stipula una convenzione bilaterale di sicurezza sociale con un paese terzo (con il quale si impegna a tenere conto dei periodi di assicurazione compiuti nei paesi terzi per aprire il diritto a prestazioni), conceda ai cittadini di altri Stati membri gli stessi vantaggi concessi ai propri cittadini [28].

[26] Causa C-237/94, O'Flynn Racc. [1996] I-2617

[27] Causa C-55/00, sentenza del 15.01.2002, non ancora pubblicata nella Raccolta.

[28] La Commissione ha sollevato questo problema con gli Stati membri nel quadro della Commissione amministrativa per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti.

L'attitudine a comunicare con efficacia è evidentemente una condizione importante, e un certo livello di conoscenza linguistica può quindi essere richiesto per l'accesso a un posto di lavoro, ma la Corte ha deciso che qualunque esigenza linguistica dev'essere ragionevole e utile all'esecuzione dei compiti corrispondenti al posto di lavoro in questione e che non può essere utilizzata come argomento per escludere lavoratori di altri Stati membri [29]. Se i datori di lavoro (privati o pubblici) possono richiedere che un candidato a un posto di lavoro disponga di una certa attitudine linguistica, non possono richiedere solo una qualifica specifica a titolo di prova [30]. La Commissione ha ricevuto numerosi reclami riguardanti avvisi di posti vacanti che richiedevano ai candidati di avere una lingua specifica come "lingua madre". La Commissione ritiene che possa essere giustificato, in alcune condizioni molto precise, richiedere un livello estremamente elevato di competenza linguistica per alcuni posti di lavoro, ma che sia inaccettabile esigere che la lingua richiesta sia la lingua madre.

[29] Causa C-379/87, Groener Racc. [1989] 3967.

[30] Causa C-281/98, Angonese Racc. [2000] I-04139.

I lavoratori migranti possono incontrare difficoltà a far accettare titoli o diplomi nazionali in altri Stati membri; è stato di conseguenza introdotto un sistema di riconoscimento reciproco delle qualifiche e dei diplomi. Un cittadino di uno Stato membro che sia pienamente competente per esercitare una professione regolamentata (vale a dire una professione che non può essere esercitata in mancanza di alcune qualifiche professionali specifiche) in uno Stato membro può vedere riconosciuta la sua qualifica in un altro Stato membro. Tuttavia, se la formazione fornita o il settore d'attività della professione in questione sono fondamentalmente diversi nello Stato membro ospitante, tale cittadino può essere sottoposto a un periodo di adattamento o a una prova attitudinale; la scelta tra queste due possibilità incombe in linea di principio al lavoratore migrante. Il riconoscimento automatico dei diplomi avviene solo per alcune professioni, prevalentemente nel settore della sanità. Di recente la Commissione ha proposto una direttiva che consolida in un testo unico le direttive esistenti riguardanti il riconoscimento delle qualifiche professionali, in modo tale da rendere il sistema più facilmente comprensibile e applicabile [31].La proposta intende inoltre di introdurre condizioni semplici e facili, in particolare per la prestazione transfrontaliera di servizi. Inoltre, il Consiglio [32]è intervenuto per rafforzare la cooperazione fra gli Stati membri al fine di agevolare la trasferibilità di qualifiche e competenze nell'ambito delle professioni regolamentate e non, e contribuire quindi a una maggiore mobilità e alla promozione dell'apprendimento permanente.

[31] COM (2002) 119 def.

[32] Risoluzione del 12 novembre 2002 sulla promozione di una maggiore cooperazione in materia di istruzione e formazione professionale.

La Commissione è pienamente consapevole del problema posto ai lavoratori dalla mancanza di una vera e propria "portabilità" delle pensioni professionali [33]. La legislazione comunitaria iniziale sulla salvaguardia dei diritti a pensione complementare dei lavoratori dipendenti e autonomi che si spostano all'interno della Comunità [34] è attualmente seguita da una consultazione delle parti sociali sulla portabilità dei diritti a pensione professionale [35].

[33] Comunicazione della Commissione "Verso un mercato unico per i regimi pensionistici integrativi" (COM(1999) 134 def.) e comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale concernente l'eliminazione degli ostacoli fiscali all'erogazione transfrontaliera di pensioni aziendali e professionali, GU C 165 dell'8.6.2001 pagg. 4-13, COM (2001) 214 def.

[34] Direttiva 98/49/CE, GU L 209 del 25.07.1998, pag. 46, vedi anche la comunicazione citata alla nota precedente.)

[35] SEC/2002/597 pubblicato il 27/05/2002

2.4. Vantaggi sociali e fiscali

I lavoratori migranti hanno il diritto agli stessi vantaggi sociali e fiscali dei cittadini dello Stato membro ospitante [36]. La Corte ha precisato che si tratta di tutti i vantaggi che, siano essi legati o meno a un contratto, sono in generale concessi ai lavoratori nazionali, primariamente per via del loro status obiettivo di lavoratori o per via del semplice fatto della loro residenza sul territorio nazionale, e la cui estensione ai lavoratori cittadini di altri Stati membri ne agevola con ogni probabilità la mobilità all'interno della Comunità [37]. Si ritiene che ciò comprenda, ad esempio, le riduzioni sulle tariffe dei trasporti pubblici per le famiglie numerose [38], i sussidi di educazione [39], le indennità funerarie [40] e le indennità versate a titolo del minimo vitale [41].

[36] Articolo 7, paragrafo 2, del Regolamento 1612/68

[37] Causa C-85/96, Martinez Sala (si veda la nota 1 supra)

[38] Causa 32/75, Cristini contro SNCF, Racc. [1975] 1085

[39] Causa C-85/96, Martinez Sala Racc. [1998] I-2691

[40] Causa C-237/94, O'Flynn [1996] I-2617

[41] Causa 75/63 Hoekstra Racc. [1964] Racc. 177 e causa C-22/84, Scrivner Racc. [1985] I-01027

Quando la legislazione nazionale autorizza le detrazioni fiscali per una pensione professionale e per l'assicurazione privata malattia e invalidità, è discriminatorio non permettere detrazioni equivalenti in rapporto ai contributi di sicurezza sociale versati nello Stato membro d'origine del lavoratore migrante [42].

[42] Causa C-204/90, Bachmann Racc. [1992] I-249; sul modo in cui la Corte ha rifiutato in seguito di accettare come giustificazione la necessità di garantire la coerenza del sistema fiscale, vedi anche la causa C-80/94, Wielockx Racc. [1995] I-02493 e la causa C-130/00 Danner, sentenza del 03.10.2002, non ancora pubblicata.

2.5 Familiari

Sono considerati familiari [43] il coniuge del lavoratore, i discendenti di età inferiore a 21 anni o a suo carico e gli ascendenti del lavoratore che sono a suo carico. La Corte ha affermato che il termine "coniuge" designa il partner sposato [44] e non comprende i partner coabitanti [45]. I partner sposati che sono separati, ma non ancora divorziati, mantengono i loro diritti in qualità di familiari di un lavoratore migrante [46]. La Commissione è stata invitata a pronunciarsi in merito ai matrimoni omosessuali celebrati in Stati membri nei quali tali matrimoni beneficiano dello stesso status dei matrimoni "tradizionali" ai fini del diritto alla libera circolazione. La Corte non è stata ancora chiamata a pronunciarsi su questo punto specifico, ma ha in precedenza constatato che poiché non vi è consenso fra gli Stati membri in merito al quesito se partner omosessuali possano essere assimilati ai coniugi di un matrimonio tradizionale se ne debba concludere che i coniugi dello stesso sesso non hanno ancora gli stessi diritti dei coniugi tradizionali ai fini della legislazione comunitaria sulla libera circolazione dei lavoratori [47]. Occorre tuttavia osservare che se uno Stato membro accorda benefici ai propri cittadini che convivono al di fuori di un vincolo matrimoniale, sotto il profilo della parità di trattamento in materia di vantaggi sociali (si veda la sezione 2.4.) gli stessi vantaggi devono essere concessi ai lavoratori migranti. [48]

[43] Articolo 10 del Regolamento 1612/68

[44] Causa 59/85, Paesi Bassi contro Reed Racc. [1986] 1283

[45] Causa T-264/97, D contro Consiglio Racc. contenzioso della funzione pubblica [1999] p.1a

[46] Causa 267/83, Diatta contro Land Berlin Racc. [1985] 567

[47] Causa Reed (si veda la precedente nota 44). Lo stesso ragionamento si ritrova anche nella causa D contro Consiglio (si veda la nota 45)

[48] Sentenza nella causa Reed.

I familiari, qualunque sia la loro nazionalità, hanno il diritto di risiedere con il lavoratore migrante e di ricevere permessi di soggiorno della stessa durata del lavoratore. Sono stati inviati alla Commissione reclami riguardanti, in particolare, familiari di cittadini di paesi terzi. Inoltre, se cittadini di paesi terzi possono provare di essere familiari di un lavoratore migrante, e non rappresentano alcuna minaccia per l'ordine pubblico, lo Stato membro ospitante non può rifiutare il loro ingresso o soggiorno sul territorio, anche se non possiedono un visto valido [49]. Quando cittadini di uno Stato membro abbiano esercitato il loro diritto alla libera circolazione in un altro Stato membro e rientrino nello Stato membro d'origine, anche i familiari cittadini di un paese terzo rientrano nel campo d'applicazione delle disposizioni regolamentari comunitarie sui diritti di residenza dei lavoratori migranti e dei loro familiari [50].

[49] Causa C-459/99, MRAX, sentenza del 27.07.2002, non ancora pubblicata

[50] Causa C-370/90, Singh Racc. [1992] I-4265

I figli dei lavoratori migranti, indipendentemente dalla loro nazionalità, hanno il diritto di accedere all'istruzione nello Stato membro ospitante [51]come i cittadini di quest'ultimo. Essi hanno gli stessi diritti dei figli dei lavoratori nazionali per quanto riguarda la concessione di borse di studio [52], anche se ritornano nel paese membro d'origine [53], problema in merito al quale la Commissione ha ricevuto reclami.

[51] Articolo 12 del Regolamento 1612/68

[52] Causa 9/74, Casagrande Racc. [1974] 773

[53] Causa C-308/89, Di Leo Racc. [1990] I-4185

I figli conservano il loro diritto di residenza anche se il lavoratore migrante lascia lo Stato membro ospitante e un familiare cittadino di un paese terzo conserva anche il suo diritto di residenza, anche se è divorziato dal lavoratore migrante comunitario, in modo tale che il figlio possa continuare a beneficiare del suo diritto all'istruzione [54]. Il coniuge e i figli del lavoratore migrante hanno il diritto di lavorare nello Stato membro ospitante e di beneficiare delle disposizioni sul riconoscimento delle qualifiche [55].

[54] Causa C-413/99, Baumbast, sentenza del 17.09.2002, non ancora pubblicata

[55] Causa 131/85, Gül Racc. [1986] 1573

2.6. Prospettive

I testi giuridici di base sulla libera circolazione datano degli anni '60 e sono stati completati da numerose sentenze della Corte. Questa situazione ha portato la Commissione a proporre, nel 1988, di consolidare la giurisprudenza e di estendere i diritti dei lavoratori migranti [56], ma gli Stati membri non sono pervenuti a un accordo su tale proposta. Dieci anni dopo, la Commissione, sostenuta dal Parlamento europeo, ha presentato una nuova proposta che si iscrive nel prolungamento del piano d'azione del 1997 in merito al quale sino ad oggi gli Stati membri non sono riusciti a discutere [57].

[56] COM (1988) 815 def. (GU C 100 del 18.03.1988, pag. 6

[57] COM (1998) 394 def., GU C 344 del 12.11.1998, pag. 12

Nel 2001, la Commissione ha proposto un ampio strumento legislativo destinato a sostituire la maggior parte dei testi esistenti sui diritti di residenza dei lavoratori migranti e di altre categorie di cittadini dell'Unione europea, al fine di agevolare l'esercizio del loro diritto alla libera circolazione [58].

[58] Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, COM(2001) 257 def.

3. Sicurezza sociale

3.1. Introduzione

La legislazione comunitaria sulla sicurezza sociale costituisce il fondamento indispensabile dell'esercizio del diritto alla libera circolazione delle persone. La necessità di un sistema di coordinamento tra i regimi di sicurezza sociale degli Stati membri per garantire una libera circolazione era già stata riconosciuta, all'origine, nel Trattato di Roma [59].

[59] Articolo 42 CE (ex articolo 51).

La legislazione comunitaria garantisce il coordinamento, ma non l'armonizzazione nel settore della sicurezza sociale e pertanto non altera in nulla le competenze degli Stati membri quanto all'organizzazione del loro regime di sicurezza sociale [60]. Questo meccanismo di coordinamento a livello comunitario non si applica all'assistenza sociale [61]. Ciascuno Stato membro è pertanto libero di determinare chi dev'essere assicurato a titolo della propria legislazione [62] e quali prestazioni sono concesse e a quali condizioni [63].

[60] Causa C-70/95, Sodemare Racc. [1997] I-3395

[61] "Le prestazioni di assistenza sociale" si presentano sotto la forma di pagamenti discrezionali in funzione delle necessità

[62] Causa C-349/87, Paraschi Racc. [1991] I-4501

[63] Cause riunite C-4/95 e C-5/95, Stöber e Piosa Pereira Racc. [1997], I-511

Affinché l'applicazione dei vari regimi nazionali di sicurezza sociale non rechi pregiudizio alle persone che esercitano il loro diritto alla libera circolazione, il Regolamento 1408/71 definisce regole e principi comuni. L'obiettivo di queste regole e principi è di garantire a una persona che utilizza il suo diritto di circolare liberamente all'interno della Comunità che non sarà messa in posizione svantaggiata rispetto a un'altra persona che risiede e lavora sempre in un solo Stato membro. Per raggiungere questo obiettivo, le regole di coordinamento garantiscono un meccanismo basato sui seguenti principi:

- parità di trattamento tra i cittadini nazionali e non nazionali, in modo che una persona che risiede sul territorio di uno Stato membro sia soggetta agli stessi obblighi e goda degli stessi vantaggi dei cittadini di questo Stato membro, senza alcuna discriminazione basata sulla nazionalità [64];

[64] Causa C-185/96, Commissione contro Grecia Racc. [1998] I-6601

- cumulo dei periodi di assicurazione, di occupazione o di residenza compiuti sotto la legislazione di uno Stato membro affinché tali periodi siano presi in considerazione, eventualmente, per aprire il diritto a prestazioni a titolo della legislazione di un altro Stato membro;

- esportazione di prestazioni affinché esse possano essere erogate a persone che risiedono in un altro Stato membro;

- determinazione dello Stato membro la cui legislazione in materia di sicurezza sociale è applicabile; in linea di principio, viene applicato un solo regime di sicurezza sociale alla volta, in modo tale che una persona possa beneficiare di una copertura di sicurezza sociale adeguata senza essere soggetta simultaneamente alla legislazione di due Stati membri e non debba pagare un doppio contributo, o non ne paghi nessuno.

Questi principi si sono dimostrati efficaci nel consentire alle persone assicurate di spostarsi da uno Stato membro all'altro. Ad esempio, per i lavoratori della Comunità, il principio della parità di trattamento e di non discriminazione è servito non solo a vietare la discriminazione diretta chiaramente basata sulla nazionalità, ma anche la discriminazione indiretta basata su criteri diversi dalla nazionalità e che colpisce in particolare i cittadini di altri Stati membri [65]. A ciò si aggiunge il principio dell'assimilazione dei fatti [66], in modo tale che situazioni che si verificano in altri Stati membri devono essere trattate come se si fossero prodotte nello Stato membro la cui legislazione viene applicata [67].

[65] Causa C-124/99, Borawitz Racc. [2001] I-7293; è stato giudicato illegale che gli importi delle pensioni tedesche versate a beneficiari che vivono in un altro Stato membro siano inferiori alle pensioni attribuite a beneficiari che vivono in Germania

[66] Causa C-45/92 Lepore e Scamuffa Racc. [1993] I-6497 e causa C-290/00, Duchon, Racc. [2002] I-3567; un lavoratore migrante dev'essere in grado di far valere una legislazione nazionale che considera i periodi di invalidità come periodi d'impiego attivo ai fini assicurativi, anche se lavorava in un altro Stato membro quando l'invalidità si è prodotta

[67] Causa C-131/96, Mora Romero Racc. [1997] I-3659; uno Stato membro deve tener conto del servizio militare compiuto in un altro Stato membro ai fini del riconoscimento di un diritto a un assegno di orfano

Poiché il Regolamento 1408/71 ha il fine di consentire agli assicurati a titolo di questo Regolamento di esercitare più facilmente le libertà riconosciute dal Trattato, la Corte ha sempre interpretato le disposizioni del Regolamento nel senso della libertà fondamentale di circolazione dei lavoratori [68], della libertà di stabilimento [69] e, più recentemente, anche della libera circolazione delle persone [70]. Queste libertà fondamentali possono inoltre impedire l'applicazione della legislazione nazionale [71]. Ciò si verifica in particolare quando, malgrado la protezione offerta dal Regolamento 1408/71, le persone che si sono spostate da uno Stato membro all'altro perdono vantaggi di sicurezza sociale poiché la legislazione comunitaria lascia sussistere differenze tra i regimi di sicurezza sociale degli Stati membri. Questo riguarda in particolare le persone che si spostano di frequente fra vari Stati membri nel corso della loro carriera.

[68] Causa C-266/95, Merino Garcia Racc. [1997] I-3279; causa C-290/00, Duchon Racc. [2002] I-3567

[69] Causa 53/95, Kemmler Racc. [1996] I-703

[70] Causa C-135/99, Elsen Racc. [2000] I-10409

[71] Vedi la causa C-10/90, Masgio Racc. [1991] I-1119, le cause riunite C-4/95 e 5/95 Stöber e Pereira Racc. [1997] I-511, la causa C-226/95, Merino Garcia Racc. [1997] I-3279

Dal momento che ciò ostacolerebbe l'esercizio del diritto alla libera circolazione, e poiché gli Stati membri, le autorità nazionali e i tribunali nazionali sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie a garantire il rispetto degli obblighi derivanti dal Trattato, la Corte ritiene che i tribunali nazionali debbano interpretare la legislazione nazionale alla luce di questi obiettivi del Trattato, in modo da non scoraggiare le persone a recarsi in un altro Stato membro [72]. Nella causa Engelbrecht [73], la Corte ha persino ritenuto che se un'interpretazione in questo senso non è possibile, una giurisdizione nazionale deve, se necessario, disapplicare una disposizione della legislazione nazionale e sostituirla con la legislazione comunitaria.

[72] Causa C-165/91, van Munster Racc. [1994] I-4661

[73] Causa C-262/97, Racc. [2000] I-07321

Al fine di prendere in considerazione le conseguenze delle interpretazioni date dalla Corte e altri sviluppi a livello comunitario, ma tenendo conto anche dei numerosi cambiamenti che si verificano a livello nazionale, il Regolamento 1408/71 è stato adattato, migliorato e ampliato a più riprese. Ad esempio, in origine, esso si applicava solo ai lavoratori e ai loro familiari. In seguito, è stato esteso ai lavoratori autonomi [74], a qualunque cittadino europeo coperto da un'assicurazione malattia che necessiti delle prestazioni di malattia in occasione di un soggiorno temporaneo [75] e agli studenti [76]. A partire dal 1998, in seguito alla decisione nella causa Vougioukas [77], sono stati inseriti nel Regolamento 1408/71 anche regimi speciali per i funzionari [78].

[74] Regolamento (CEE) 1390/81 del 12.5.1981, GU L 143 del 29.5.1981

[75] Regolamento (CE) 3095/95 del 22.12.1995, GU L 335 del 30.12.1995

[76] Regolamento (CE) 307/1999 dell'8.2.1999, GU L 38 del 12.2.1999

[77] Causa C-443/93, Racc. [1995] I-4033

[78] Regolamento (CE) 1606/98 del 29.6.1998, GU L 209 del 25.7.1998

Questi numerosi emendamenti hanno reso il Regolamento estremamente complesso e di difficile utilizzazione. La Commissione ha riconosciuto che era essenziale rendere le regole più efficaci e più conviviali. Per questo motivo, nel dicembre 1998 [79], ha presentato una proposta volta a semplificare e modernizzare il Regolamento 1408/71. Tale proposta è attualmente esaminata dai colegislatori, il Consiglio e il Parlamento europeo, sulla base di una serie di parametri convenuti, vale a dire delle opzioni di base alla luce delle quali il Regolamento deve essere modernizzato. Alcuni di questi parametri sono estremamente specifici e tendono a migliorare i diritti degli assicurati, ad esempio inserendo le prestazioni per le persone non attive e in prepensionamento, agevolando l'accesso transfrontaliero alle cure sanitarie per i lavoratori frontalieri pensionati, ampliando il campo d'applicazione della parte disoccupazione alle regole di assicurazione dei lavoratori autonomi e ampliando i diritti dei titolari di pensioni e di rendite e degli orfani per quanto riguarda le prestazioni familiari. Questa proposta dovrebbe essere adottata entro la fine del 2003. Inoltre, la proposta della Commissione di estendere le disposizioni del regolamento 1408/71 ai cittadini di paesi terzi legalmente residenti dovrebbe entrare in vigore all'inizio del 2003 [80]

[79] COM (1998) 779 def., GU C 38 del 12.02.1999

[80] Proposta di regolamento del Consiglio che estende le disposizioni del regolamento (CEE) 1408/71 ai cittadini di paesi terzi che non sono già contemplati da tali disposizioni soltanto a motivo della loro nazionalità, COM(2002) 59 def., GU C 126E del 28.5.2002, pagg. 285-389.

3.2. Non esportabilità di prestazioni speciali a carattere non contributivo

Secondo il Regolamento 1408/71, la regola generale vuole che le prestazioni di sicurezza sociale siano pagate qualunque sia lo Stato membro nel quale il beneficiario risiede [81]. Tuttavia, questa regola non si applica a una categoria particolare di prestazioni collegate all'ambiente sociale dello Stato membro. Si tratta delle "prestazioni speciale a carattere non contributivo" [82]. Si tratta delle prestazioni che rientrano nelle categorie tradizionali dell'assistenza e della sicurezza sociale e che intendono compensare problemi particolari come l'assistenza alle persone disabili o la prevenzione della povertà. Tali prestazioni, se sono comprese in uno specifico allegato al Regolamento (allegato II bis), sono soggette a regole speciali di coordinamento e sono erogate unicamente nello Stato membro che le prevede. Non possono quindi essere "esportate" dal beneficiario in un altro Stato membro. Tuttavia un cittadino dell'Unione europea che si sposta in un altro Stato membro sarà riconosciuto beneficiario di prestazioni speciali a carattere non contributivo in questo Stato, anche se queste prestazioni non possono essere equivalenti a quelle cui poteva precedentemente avere diritto. Si tratta di un tema che è stato oggetto di numerosi reclami e richieste di informazione inviati alla Commissione.

[81] Articolo 10 del Regolamento 1408/71

[82] Articoli 4, paragrafo 2, lettera a), 10 bis e allegato II bis al Regolamento 1408/71, introdotto dal Regolamento 1247/92, GU L136, del 19.5.1992

Tali disposizioni sono state più volte contestate e sottoposte all'analisi della Corte. Nella causa Snares [83], la Corte è stata invitata a pronunciarsi sulla validità della non esportabilità di questo tipo di prestazioni a titolo del Regolamento 1408/71. La Corte ha deliberato che questa deroga al principio dell'esportabilità delle prestazioni di sicurezza sociale era compatibile con la legislazione comunitaria.

[83] Causa C-20/96, Snares Racc. [1997] I-06057

Tuttavia, prima del 2001, la Corte rifletteva ancora sulla compatibilità o non con la legislazione comunitaria dell'iscrizione da parte di uno Stato membro di una prestazione nell'elenco delle prestazioni non esportabili. La Corte esaminava se la prestazione in questione soddisfaceva effettivamente alle condizioni di non esportabilità, in altri termini se aveva veramente un carattere "speciale" e non contributivo, o se presentava le caratteristiche di una prestazione che rientrava nei settori tradizionali dei regimi di sicurezza sociale che sarebbero stati esportabili. Nella sua sentenza nella causa Jauch [84], la Corte ha ritenuto che il pagamento dell'assegno assistenziale austriaco (Pflegegeld) non poteva essere limitato al territorio austriaco. La prestazione in questione concedeva ai beneficiari un diritto legalmente definito ed era destinata a integrare prestazioni di assicurazione malattia. Si basava inoltre indirettamente sui contributi versati a titolo dell'assicurazione malattia. La Corte ha ritenuto che tale prestazione non fosse né "speciale" né "a carattere non contributivo" e che di conseguenza, dovevano applicarsi le normali regole di coordinamento. L'assegno assistenziale è stato quindi ridefinito come un'indennità giornaliera di malattia a titolo delle disposizioni generali del Regolamento 1408/71 che doveva pertanto essere versato ai beneficiari che vivevano in altri Stati membri. Inoltre, la Corte ha ritenuto che un assegno di maternità lussemburghese figurasse a torto nell'elenco delle prestazioni non esportabili [85]. Secondo la Corte, una prestazione può essere definita "speciale" quando è strettamente collegata all'ambiente sociale dello Stato membro in questione, e questo non era il caso della prestazione in esame.

[84] Causa C-215/99, Racc. [2001] I-1901

[85] Causa C-43/99, Leclere Racc. [2001] I-04265

Tenuto conto di queste sentenze, e al fine di mantenere una certezza e una trasparenza dal punto di vista giuridico, è chiaro che tutte le prestazioni che figurano attualmente nell'elenco delle prestazioni non esportabili devono essere riesaminate per garantire che esse siano realmente "speciali" e a carattere non contributivo. Alla luce dei criteri fissati dalla Corte, sembra che solo le prestazioni di prevenzione della povertà e di protezione dei disabili abbiano un legame sufficientemente stretto con l'ambiente sociale ed economico dello Stato membro in modo tale da essere considerate come "speciali" e pertanto non esportabili (supponendo che esse siano anche non contributive). La Commissione prevede di presentare una proposta legislativa volta a modificare il Regolamento 1408/71 sin dall'inizio del 2003 per raggiungere tale obiettivo. Occorre inoltre rilevare che un certo numero di cause attualmente pendenti dinanzi alla Corte hanno per oggetto la non esportabilità di alcune prestazioni degli Stati membri [86]. Del resto occorre ricordare che la non esportabilità di prestazioni a partire da alcuni Stati membri è raramente compensata dall'ammissibilità a prestazioni equivalenti nello Stato nel quale la persona intende recarsi. Fatta salva la possibilità per gli Stati membri di limitare il pagamento di alcune indennità al loro territorio, per mantenere la certezza del diritto sarebbe opportuno che ciò avvenisse rispettando scrupolosamente i criteri chiari e obiettivi del Regolamento così come sono stati interpretati dalla Corte. In questo modo, viene garantita la conformità con la legislazione comunitaria.

[86] Causa C-158/02, Marcaletti e causa C-160/02 Skalka, GU C169 del 13.07.2002

3.3. Assistenza sanitaria

Il Regolamento 1408/71 contiene disposizioni specifiche sull'assistenza sanitaria e fissa le condizioni alle quali le persone hanno accesso a tale assistenza quando si spostano all'interno dell'Unione europea.

In breve, chiunque soggiorni temporaneamente o risieda in uno Stato membro diverso da quello nel quale è assicurato contro la malattia è autorizzato a ricevere prestazioni di malattia in natura, conformemente alla legislazione di questo Stato membro, come se fosse assicurato in tale Stato, ma a carico dal punto di vista finanziario dell'istituzione assicuratrice. In funzione dello status della persona e/o del tipo di soggiorno, esiste un diritto alle cure immediatamente necessarie [87], alle cure che divengono necessarie [88], o a tutte le prestazioni di malattia in natura [89].

[87] Ad esempio i turisti

[88] Ad esempio, studenti e lavoratori distaccati

[89] Ad esempio, i lavoratori dipendenti, i lavoratori autonomi o i titolari di pensioni o di rendite che risiedono in uno Stato membro diverso dallo Stato competente

Quando una persona intende recarsi in un altro Stato membro specificamente per sottoporsi a cure sanitarie, il loro costo, conformemente al sistema di coordinamento posto in essere dal Regolamento 1408/71, sarà coperto unicamente dallo Stato membro nel quale la persona è assicurata a condizione di una previa autorizzazione che deve essere rilasciata alla persona interessata. Questo Stato membro ha un'ampia discrezionalità nel concedere o rifiutare l'autorizzazione, ma non può rifiutarla se sussistono contemporaneamente due condizioni: (a) la cura in questione figura tra le cure erogate nell'ambito del programma sanitario dello Stato membro assicurante e (b) la persona non può essere curata entro il termine normalmente necessario per ottenere queste cure, tenuto conto del suo attuale stato di salute e della probabile evoluzione della malattia. Se l'autorizzazione viene concessa, le cure sono prestate conformemente alla legislazione e alle tariffe vigenti nello Stato membro nel quale esse sono fornite, ma a carico dell'istituzione dello Stato membro nel quale la persona è assicurata.

Tuttavia, nella recente causa Vanbraekel [90], la Corte ha esaminato la questione della fissazione del tasso di rimborso che potrebbe pretendere una persona che si è recata in un altro Stato membro per essere sottoposta a cure mediche programmate quando i costi rimborsati, conformemente alla legislazione di questo Stato membro, erano inferiori all'importo cui la persona avrebbe avuto diritto nello Stato membro assicurante. Anche se la Corte ha confermato che in virtù delle disposizioni del Regolamento 1408/71 il rimborso non poteva essere effettuato se non in base alla tariffe dello Stato membro nel quale le cure vengono prestate, ha ritenuto che, in nome del principio della libertà di prestazione dei servizi, la persona assicurata poteva pretendere un rimborso complementare da parte dello Stato membro assicurante se la legislazione di quest'ultimo prevedeva un livello superiore di rimborso, a condizione che le cure ospedaliere fossero state ricevute nello Stato assicurante.

[90] Causa C-368/98, Racc. [2001] I-5363

Per quanto riguarda i pazienti che si recano in un altro Stato membro per ricevere cure mediche, la Corte, nelle cause Kohll [91] e Decker [92], si riferisce ad altre libertà fondamentali iscritte nel Trattato, come la libera circolazione delle merci e la libera fornitura di servizi. In queste due cause, e in una terza [93] che - contrariamente alle due prime cause - riguardava cure mediche prestate in ambiente ospedaliero, la Corte ha confermato la facoltà per lo Stato membro di organizzare come ritiene opportuno il proprio sistema di assistenza sanitaria, ma ha ricordato che lo Stato membro deve rispettare le norme comunitarie di base quali la libertà di fornire e di ricevere servizi. La Corte ha esplicitamente dichiarato che le cure mediche e ospedaliere erano servizi nel senso stabilito dal Trattato. Tuttavia, ha anche concluso che il sistema nazionale di previa autorizzazione poteva costituire un ostacolo alla libertà di fornitura dei servizi; questo sistema poteva nonostante giustificarsi per motivi impellenti quali il mantenimento della stabilità finanziaria dei regimi di sicurezza sociale e un accesso per tutti a dei servizi medici e ospedalieri equilibrati. Tuttavia, affinché sia giustificata una previa autorizzazione amministrativa, essa deve basarsi su criteri obiettivi non discriminatori conosciuti in anticipo. Questi criteri devono circoscrivere l'esercizio del potere discrezionale da parte delle autorità nazionali in modo tale che esse non utilizzino arbitrariamente i loro poteri. Una procedura facilmente accessibile deve consentire che una domanda di autorizzazione sia trattata in modo obiettivo e imparziale ed entro termini ragionevoli. Il rifiuto dell'autorizzazione deve poter essere contestato attraverso vie di ricorso giudiziarie o quasi giudiziarie.

[91] Causa C-158/96, Racc. [1998] I-1931

[92] Causa C-120/95, Racc. [1998] I-1831

[93] Causa C-157/99, Geraets-Smits/Peerbooms Racc. [2001] I-5473

La giurisprudenza ora ricordata non significa che le persone assicurate, dopo aver ricevuto un trattamento sanitario all'estero, godono, ai sensi della legislazione comunitaria, di un diritto generale di essere rimborsate delle relative spese. I pazienti possono richiedere la presa in carico o il rimborso delle spese di cure mediche all'estero solo quando si tratta di cure che il sistema di assicurazione sociale dello Stato membro nel quale sono assicurati avrebbe normalmente rimborsato.

Uno dei motivi più comuni per i quali i pazienti si recano in un altro Stato membro per ottenere la prestazione di cure mediche sono i tempi di ottenimento di tali cure, tenuto conto dello stato di salute dell'assicurato. Anche se il problema delle liste d'attesa è oggetto di una questione pregiudiziale pendente [94], la Corte, in relazione con la legislazione olandese nella causa Smits/Peerbooms, ha già dato alcune indicazioni sulla nozione di "termine indebito". La Corte ritiene in particolare che al momento di decidere se una cura della stessa efficacia potrebbe essere ottenuta senza il cosiddetto termine indebito, le autorità nazionali dovrebbero tenere conto di tutte le circostanze di ciascun caso specifico, vale a dire non solo dello stato di salute del paziente, ma anche dei suoi antecedenti sanitari.

[94] Causa C-385/99, Müller-Fauré e van Riet

Spetta ora alla Commissione e agli Stati membri prendere in considerazione questa sentenza e risolvere i problemi di interpretazione al momento della sua applicazione, nonché di quella delle sentenze corrispondenti [95], alla luce degli interessi dei pazienti. Sforzandosi di garantire un approccio concertato e coerente, la Commissione ha intrapreso un dialogo costruttivo con gli Stati membri e le altre parti interessate. Come prevede uno dei parametri fissati nella proposta di semplificazione e di modernizzazione del Regolamento 1408/71, la Commissione e gli Stati membri rifletteranno inoltre sulla necessità di adeguare il Regolamento in funzione di questa giurisprudenza al fine di rendere le clausole attuali più trasparenti e più affidabili per i pazienti che richiedono la prestazione di cure mediche in un altro Stato membro.

[95] Cause C-158/96 Kohll, C-120/95 Decker, C-368/98 Vanbraekel

La Commissione ha inoltre preso l'iniziativa di avviare un processo di riflessione di alto livello sull'evoluzione dell'assistenza sanitaria nell'Unione europea, e in particolare sulla libera circolazione dei pazienti. Il fine è quello di riunire i protagonisti interessati in un forum informale e flessibile al fine di riflettere in comune sui problemi riguardanti la sanità e i servizi sanitari nel mercato unico, formulando raccomandazioni per orientare i futuri lavori a livello della Comunità e degli Stati membri, ed evitando di riprodurre o di sostituire le discussioni avviate nell'ambito delle strutture istituzionali e ufficiali dell'Unione europea.

La Commissione ritiene che questa giurisprudenza, nel permettere agli assicurati di ricevere cure mediche in un altro Stato membro e nel fissare regole per il rimborso delle spese ospedaliere, garantisca una protezione supplementare agli assicurati e costituisca un passo concreto sulla via dell'Europa sociale.

3.4. Contributi di sicurezza sociale

Al fine di trarre vantaggio dal diritto alla libera circolazione, è essenziale per le persone interessate sapere in quale Stato membro saranno assicurate e dove devono essere versati i contributi. Il Regolamento 1408/71 fissa regole precise sulla determinazione dello Stato membro la cui legislazione di sicurezza sociale dev'essere applicata, e ciò sulla base di due principi fondamentali:

- una persona è soggetta alla legislazione di un solo Stato membro alla volta;

- una persona è abitualmente soggetta alla legislazione dello Stato membro nel quale esercita un'attività professionale (lex loci laboris).

Il fatto di dover pagare contributi in più di uno Stato membro alla volta può scoraggiare le persone dall'utilizzare il loro diritto alla libera circolazione. Solo lo Stato membro nel quale viene esercitata l'attività professionale può reclamare i contributi di sicurezza sociale. Per questo motivo, se una persona esercita un'attività professionale in uno Stato membro, che è quindi competente per l'erogazione delle prestazioni di sicurezza sociale, ma risiede in un altro Stato membro, lo Stato membro di residenza non può reclamare i contributi di sicurezza sociale. È questo il ragionamento che ha seguito la Corte in merito a un prelievo percepito in virtù della legislazione nazionale come una tassa: questo prelievo dev'essere considerato come un contributo di sicurezza sociale a titolo della legislazione comunitaria se serve effettivamente a finanziare direttamente settori del sistema di sicurezza sociale [96]. Lo stesso principio si applica ai contributi di assicurazione malattia dei titolari di pensioni o di rendite: solo lo Stato membro responsabile del pagamento delle spese di assistenza sanitaria dei titolari di pensioni o di rendite può prelevare i contributi corrispondenti [97].

[96] Causa C-169/98, Commissione contro Francia Racc. [2000] I-1049 e C-34/98, Commissione contro Francia Racc. [2000] I-995

[97] Causa C-389/99, Rundgren Racc. [2001], I-3731 punto 53.

Da notare tuttavia che il Regolamento 1408/71 contiene disposizioni speciali che si applicano alle persone che lavorano simultaneamente come lavoratori dipendenti in uno Stato membro e come lavoratori autonomi in un altro. Queste persone possono infatti essere soggette alla legislazione di sicurezza sociale di due Stati membri contemporaneamente [98]. Anche se ciò comporta che esse devono di conseguenza pagare contributi di sicurezza sociale in due Stati membri, la Corte ha confermato la validità di questa disposizione nella recente causa Hervein [99]. La Corte ha ritenuto che il Trattato non garantisce che l'estensione delle attività di una persona in più di uno Stato membro sia neutrale per quanto riguarda la sicurezza sociale. Ha tuttavia ricordato che gli Stati membri la cui legislazione si applica simultaneamente devono tuttavia garantire il rispetto dei principi di libera circolazione dei lavoratori e di libertà di stabilimento iscritti nel Trattato. In particolare, ciascuno degli Stati membri in questione deve agevolare il cumulo delle prestazioni fornite a titolo delle due legislazioni applicabili e vigilare affinché non siano prelevati contributi di sicurezza sociale quando non vengano erogate corrispondenti prestazioni.

[98] Articolo 14, lettera c), del Regolamento 1408/71

[99] Cause riunite C-393/99 e C-394/99, Hervein e Lorthiois Racc. [2002], I-2829, paragrafi 60 e 61

4. Lavoratori frontalieri

4. 1. Introduzione

I lavoratori frontalieri sono persone che vivono in uno Stato membro e lavorano in un altro. In linea generale, tali persone godono di tutte le prestazioni offerte ai lavoratori migranti nello Stato membro d'occupazione. Tuttavia, i lavoratori frontalieri hanno accesso alle indennità di disoccupazione dello Stato di residenza piuttosto che dello Stato d'occupazione [100], e possono scegliere lo Stato nel quale vogliono essere assicurati per la malattia [101]. I familiari di un lavoratore frontaliero sono assicurati per la malattia solo dal regime dello Stato di residenza, e quando un lavoratore frontaliero va in pensione, non può più essere preso a carico dallo Stato d'occupazione, ma dallo Stato di residenza. Questa situazione un po' complessa può provocare problemi d'ordine pratico, ad esempio se un lavoratore inizia un trattamento di lunga durata nello Stato nel quale lavora; quando va in pensione, non ha più accesso a tale cura ma deve trovare l'equivalente nello Stato in cui vive. La proposta della Commissione volta a modificare e a semplificare il Regolamento 1408/71 [102] prevede di consentire a lavoratori frontalieri pensionati di continuare ad esercitare il loro diritto alle prestazioni sanitarie nello Stato membro nel quale lavoravano precedentemente. Questa proposta è attualmente esaminata dal Consiglio.

[100] Articolo 71 del Regolamento 1408/71

[101] Articolo 20 del Regolamento 1408/71

[102] COM (1998) 779 def.

I lavoratori frontalieri devono spesso affrontare problemi specifici, a causa delle condizioni di residenza, in particolare sul piano della sicurezza sociale e dei vantaggi sociali, come la Commissione ha avuto occasione di constatare a più riprese [103]. Le clausole di residenza per l'accesso ai vantaggi sociali si giustificano per il loro fine che è quello di aiutare i lavoratori migranti e i membri della famiglia a integrarsi nello Stato membro ospitante. Dal momento che i lavoratori frontalieri non vivono nello Stato membro d'occupazione, gli Stati membri hanno sostenuto che essi non potrebbero beneficiare degli stessi vantaggi sociali dei lavoratori migranti "normali". La Corte ha respinto tali argomenti, affermando che nessuna condizione di residenza potrebbe essere applicata al figlio di un lavoratore frontaliero che beneficia di uno stesso diritto di scolarizzazione dei figli dei cittadini del paese d'occupazione [104]. La Commissione prevede di avviare procedure di infrazione [105] nei confronti di numerosi Stati membri che impongono condizioni di residenza per il godimento di vantaggi sociali da parte dei lavoratori migranti.

[103] Comunicazione della Commissione sulle condizioni di vita e di lavoro dei cittadini della Comunità residenti nelle regioni di frontiera e in particolare dei lavoratori frontalieri, COM(1990) 561 def., piano d'azione 1997 sulla libera circolazione dei lavoratori e proposta della Commissione recante modifica del Regolamento 1612/68 (COM(1998) 394 def., GU C 344 del 12.11.1998, pag. 12) che prevede di eliminare le clausole di residenza per l'accesso dei lavoratori frontalieri ai vantaggi sociali

[104] Causa C-337/97 Meeusen Racc. [1999] I-3289

[105] Ai sensi dell'articolo 226 del Trattato CE

4.2 Lavoratori frontalieri pensionati

I problemi sopra ricordati sono particolarmente sentiti dai lavoratori frontalieri pensionati il cui Stato di residenza non cambia al momento della pensione e che, di conseguenza, non godono del divieto di discriminazione che si applica ai lavoratori migranti che vanno in pensione nello Stato membro in cui hanno lavorato [106]. Tuttavia la Corte ha decretato che i lavoratori pensionati possono reclamare dallo Stato nel quale hanno precedentemente lavorato vantaggi sociali come il pagamento di indennità speciali per la perdita di un posto di lavoro [107], nella misura in cui siano in relazione con la loro precedente occupazione. In tali condizioni, gli Stati membri non possono subordinare il pagamento di vantaggi sociali alla condizione della residenza. Tuttavia, la Corte ha deciso che i nuovi diritti che non sono in relazione con l'esperienza precedente, come l'assegno di educazione, non devono essere concessi dallo Stato membro nel quale il lavoratore frontaliero ha lavorato in precedenza [108]. La proposta della Commissione del 1998 recante modifica del Regolamento 1408/71 prevedeva la soppressione, per i titolari di pensione o di rendita, delle clausole di residenza per tutte le prestazioni familiari e non più solo per gli assegni familiari come avviene attualmente.

[106] Regolamento 1251/70, GU L 142 del 30.6.1970.

[107] Causa C-57/96, Meints Racc. [1997] I-6689

[108] Causa C-43/99, Leclere Racc. [2001] I-04265 e causa C-33/99, Fahmi e Esmoris Cerdeiro-Pinedo Racc. [2001] I-02415

4.3. Fiscalità

Il diritto dei lavoratori frontalieri di pretendere una parità di trattamento si applica anche alla fiscalità sui redditi. Ad esempio, un lavoratore frontaliero che lavora in uno Stato membro ma che vive con la sua famiglia in un altro Stato non può essere costretto a dover pagare più imposte di una persona che vive e lavora nello Stato d'occupazione quando il principale reddito di questo lavoratore proviene dallo Stato d'occupazione [109]. Inoltre, le clausole in virtù delle quali è più vantaggioso essere soggetti a imposte come coppia familiare piuttosto che come persona singola devono applicarsi ai lavoratori frontalieri alla stessa stregua delle coppie familiari in situazione analoga nello Stato membro di lavoro e non devono essere fatte dipendere da un obbligo di residenza di entrambi i coniugi nello Stato di lavoro [110].

[109] Causa C-279/93, Schumacker Racc. [1995] I-225

[110] Causa C-87/99, Zurstrassen Racc. [2000] I-03337

5. Settore pubblico

5.1. Introduzione

Considerando che i funzionari e gli agenti del settore pubblico sono lavoratori ai sensi dell'articolo 39 del Trattato CE, le regole relative alla libera circolazione dei lavoratori si applicano in linea di principio anche a loro. Tuttavia, vi è un'eccezione e alcuni problemi specifici:

- le autorità degli Stati membri sono autorizzate a limitare ai propri cittadini i posti che comportano l'esercizio dell'autorità pubblica e la responsabilità della salvaguardia degli interessi generali dello Stato (articolo 39, paragrafo 4 CE);

- in numerosi Stati membri, esistono disposizioni regolamentari molto specifiche relative all'occupazione nel settore pubblico (ad esempio riguardanti l'accesso a tali impieghi, il riconoscimento dell'esperienza e dell'anzianità professionale; il riconoscimento dei diplomi, ecc.) e, di conseguenza, ciò pone problemi ulteriori di discriminazione che non si presentano nello stesso modo nel settore privato.

La Commissione continua a ricevere numerosi reclami a questo riguardo, in particolare concernenti la presa in considerazione dell'esperienza professionale acquisita in un altro Stato membro per autorizzare l'accesso alla funzione pubblica e determinare l'importo della retribuzione, ecc. Per questo motivo, la Commissione avvia numerose procedure di infrazione contro gli Stati membri. Su domanda degli stessi Stati membri, la Commissione esprime inoltre consigli diretti alle autorità degli Stati membri, nel quadro di un gruppo di lavoro intergovernativo creato dai direttori generali dell'amministrazione pubblica degli Stati membri.

5.2. Accesso all'occupazione nella pubblica amministrazione

Per molto tempo, i problemi collegati alla libera circolazione dei lavoratori nella pubblica amministrazione riguardavano esclusivamente le condizioni di accesso e di nazionalità. L'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE stabilisce che la libera circolazione dei lavoratori non si applica all'occupazione nella pubblica amministrazione. Tuttavia la deroga a questa disposizione è sempre stata interpretata in modo estremamente restrittivo dalla Corte [111] e la Commissione si è sforzata di promuovere attivamente l'accesso alla funzione pubblica, e continua a farlo. In numerose sentenze precedenti, la Corte ha sviluppato la sua interpretazione dell'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE: gli Stati membri sono autorizzati a riservare gli impieghi nella pubblica amministrazione ai loro cittadini solo se questi impieghi sono direttamente collegati ad attività specifiche della pubblica amministrazione, vale a dire quando questa sia investita dell'esercizio dell'autorità pubblica e della responsabilità di salvaguardare gli interessi generali dello Stato, ai quali vanno assimilati quelli delle pubbliche collettività, quali le amministrazioni communali. Questi criteri devono essere valutati caso per caso in funzione della natura dei compiti e delle responsabilità implicati nel posto in questione. In questa sentenza, la Corte ha stabilito che, ad esempio, gli impieghi nelle poste o nelle ferrovie, o ancora gli impieghi di idraulico, di giardiniere o di elettricista, di professore, di infermiere e di ricercatore civile non possono essere limitati ai cittadini nazionali. Al fine di poter controllare l'applicazione di questa giurisprudenza, la Commissione ha lanciato nel 1988 un'azione [112] che metteva l'accento sull'accesso all'impiego in quattro settori (l'amministrazione dei servizi commerciali, i servizi pubblici di assistenza sanitaria, l'insegnamento, la ricerca a fini non militari). L'approccio settoriale costituiva un importante punto d'avvio del controllo di una corretta applicazione della legislazione comunitaria; è stato seguito da numerose procedure di infrazione su iniziativa della Commissione. L'azione del 1988 e le procedure di infrazione hanno avuto come effetto che gli Stati membri si sono impegnati in vaste riforme di apertura dei rispettivi settori pubblici. In fin dei conti, solo tre procedure di infrazione sono arrivate dinanzi alla Corte, la quale ha pienamente confermato, nel 1996 [113], la sua precedente giurisprudenza.

[111] Causa 152/73, Sotgiu Racc. [1974] 153; causa 149/79, Commissione contro Belgio Racc. [1980] 3881; causa 149/79, Commissione contro Belgio Racc. [1982] 1845; causa 307/84, Commissione contro Francia Racc. [1986] 1725; causa 66/85, Lawrie-Blum Racc. [1986] 2121; causa, 225/85 Commissione contro Italia Racc. [1987] 2625; causa C-33/88, Allué Racc. [1989] 1591; causa C-4/91, Bleis Racc. [1991] I-5627; causa C-473/93, Commissione contro Lussemburgo Racc. [1996] I-3207; causa C-173/94, Commissione contro Belgio Racc. [1996] I-3265; causa C-290/94, Commissione contro Grecia Racc. [1996] I-3285

[112] "Libertà di circolazione dei lavoratori e accesso all'impiego nel servizio pubblico degli Stati membri - azione della Commissione in applicazione dell'articolo 48, paragrafo 4, del Trattato CEE" GU C-72/2 del 18.03.1988

[113] Causa C-473/93, Commissione contro Lussemburgo Racc. [1996] I-3207; causa C-173/94, Commissione contro Belgio Racc. [1996] I-3265; causa C-290/94, Commissione contro Grecia Racc. [1996] I-3285

La libera circolazione dei lavoratori nei servizi pubblici è indipendente da qualunque settore specifico; essa tiene unicamente conto della natura del posto di lavoro. Per questo motivo, solo due categorie di posti possono essere messe in evidenza: quelle che comportano l'esercizio dell'autorità pubblica e la responsabilità della salvaguardia dell'interesse generale dello Stato e quelle che non comportano tale esercizio.

Un'altra questione si pone per quanto riguarda gli impieghi nel settore pubblico che richiedono l'esercizio dell'autorità pubblica. In una recente sentenza, la Corte ha stabilito che gli agenti di sicurezza delle società private non appartengono al servizio pubblico e che pertanto l'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE non è loro applicabile, quali che siano i compiti del lavoratore [114]. Alcune questioni pregiudiziali pendenti dinanzi alla Corte [115] riguardano attualmente la questione di sapere se lo stesso ragionamento si applica a posti nel settore privato cui lo Stato assegna funzioni di autorità pubblica (ad esempio, comandanti/ufficiali superiori delle navi mercantili e di pesca che esercitano funzioni di polizia).

[114] Causa C-283/99, Commissione contro Italia Racc. 2001 I-4363

[115] Vedi causa pendente C-405/01 e causa C-47/02

Anche se questi sviluppi hanno portato a un'apertura sufficientemente ampia dei settori pubblici ai cittadini dell'Unione europea [116], negli Stati membri il beneficio dei principi derivanti dalla giurisprudenza della Corte non è sempre garantito ai lavoratori migranti.

[116] Maggiori informazioni sulle regole e sulle prassi amministrative vigenti negli Stati membri riguardanti l'accesso alla funzione pubblica possono essere trovate nella relazione del gruppo Mobilità adottata dai direttori generali dell'amministrazione pubblica nel novembre 2000 a Strasburgo.

La Commissione riceve costantemente reclami riguardanti posti riservati ai cittadini dello Stato membro ospitante mentre questi posti non comportano chiaramente la necessità di esercitare un'autorità pubblica, né una responsabilità di salvaguardia dell'interesse generale dello Stato (ad esempio giardiniere, elettricista, bibliotecario, ecc.). In queste cause, la legislazione non è stata adeguata alla legislazione comunitaria, o lo è stata solo parzialmente, ovvero l'applicazione non è corretta. Ad esempio, le disposizioni-quadro nazionali sull'apertura del settore pubblico non sono ancora state recepite tramite l'adozione dei necessari decreti applicativi. Per questo motivo, questi Stati membri devono sia modificare la loro normativa esistente, sia controllare meglio la sua applicazione nel territorio.

La Commissione continua a ritenere (come ha dichiarato nel 1988) che la deroga prevista all'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE riguardi funzioni specifiche dello Stato e di organismi di diritto pubblico, come le forze armate, la polizia e altre forze di mantenimento dell'ordine, le autorità giudiziarie e fiscali e il corpo diplomatico. Tuttavia, i posti in questi settori non comportano tutti l'esercizio dell'autorità pubblica e la responsabilità della salvaguardia dell'interesse generale dello Stato; ad esempio: le funzioni amministrative, la consulenza tecnica; la manutenzione. Questi posti non possono quindi essere riservati a cittadini dello Stato membro ospitante.

Per quanto riguarda i posti nei ministeri statali, presso autorità governative regionali, enti locali, banche centrali e altri organismi di diritto pubblico, che si occupano della preparazione degli atti legislativi, della loro attuazione, del controllo della loro applicazione e del controllo degli organismi subordinati, la Commissione adotta un approccio più rigoroso di quello praticato nel 1988. All'epoca, queste funzioni erano descritte in modo generale, dando l'impressione che tutti i posti collegati a queste attività rientrassero nella deroga prevista all'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE. Ciò avrebbe autorizzato gli Stati membri a riservare praticamente tutti i posti (escluse le mansioni amministrative, la consultazione tecnica e la manutenzione) ai loro cittadini, una posizione che dev'essere rivista alla luce della giurisprudenza della Corte degli anni '90. È importante notare che anche se le funzioni amministrative e decisionali che comportano l'esercizio dell'autorità pubblica e la salvaguardia dell'interesse generale dello Stato possono essere riservate a cittadini dello Stato membro ospitante, ciò non riguarda tutti gli impieghi nello stesso settore. Ad esempio, il posto di un funzionario che contribuisce alla preparazione delle decisioni sulle autorizzazioni a edificare non dovrebbe essere riservato a cittadini dello Stato membro ospitante.

Gli Stati membri non sono neppure autorizzati ad escludere i lavoratori migranti dai concorsi di reclutamento, a meno che tutti i posti da attribuire attraverso tali concorsi non soddisfino i criteri enunciati all'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE (ad esempio, un concorso per l'ammissione a posti giuridici potrebbe essere riservato ai cittadini dello Stato membro ospitante, mentre un concorso per l'attribuzione di posti di quadri nell'amministrazione generale dovrebbe in linea di principio essere aperto ai lavoratori migranti). Dopo lo svolgimento dei concorsi, l'autorità incaricata del reclutamento ha l'obbligo di valutare il rispetto totale di questi criteri in funzione delle mansioni e delle responsabilità implicate nel posto in questione.

Gli Stati membri non devono avviare procedure di reclutamento interno per lavoratori migranti sinché i cittadini nazionali che non lavorano nello stesso servizio del settore pubblico non sono autorizzati a postulare per questo genere di posti o di concorsi. Tutte le altre procedure di reclutamento devono essere aperte; ad esempio, è inaccettabile che numerose organizzazioni (ad esempio, 15 ospedali statali) siano raggruppate a fini di reclutamento e che il solo personale che già lavora per uno di questi enti possa presentare la sua candidatura agli impieghi in uno degli altri enti.

Inoltre, gli Stati membri non sono autorizzati a rifiutare ai lavoratori migranti lo stato di funzionario, se questo corrisponde all'impiego, quando tali lavoratori sono stati ammessi nel settore pubblico.

La Commissione intende controllare scrupolosamente, a tale riguardo, i regolamenti e le prassi nazionali e adottare le misure necessarie a garantire una reale conformità con la legislazione comunitaria, avviando eventualmente procedure di infrazione. Inoltre, se è vero che l'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE autorizza gli Stati membri a riservare alcuni posti ai cittadini nazionali, occorre ricordare che non vi è obbligo di farlo e che gli Stati membri sono invitati ad aprire i rispettivi servizi pubblici, per quanto possibile, in modo da agevolare la mobilità dei lavoratori.

Ad eccezione dei posti che possono essere riservati ai cittadini dello Stato membro ospitante, i lavoratori migranti sono ammessi a presentare le loro candidature per impieghi nel settore pubblico di un altro Stato membro alle stesse condizioni che si applicano ai cittadini dello Stato membro interessato; ad esempio, essi possono essere soggetti alla stessa procedura di reclutamento o di concorso. Tuttavia, un problema particolare si pone con i concorsi destinati ad assumere persone per una formazione specifica nell'intento di occupare un posto nel relativo settore di attività del servizio pubblico (per esempio, nei settori educativo e sanitario). I lavoratori migranti dell'UE che sono già pienamente qualificati nel settore in questione devono essere esentati dalla relativa formazione alla luce della formazione e dell'esperienza professionale già acquisite nello Stato membro d'origine. La questione se essi siano soggetti o meno alla procedura di concorso è attualmente all'esame della Corte nell'ambito di una pronuncia pregiudiziale [117].

[117] Causa C- 285/01, Burbaud, conclusioni dell'Avvocato Generale del 12.9.2002 non ancora pubblicate.

I lavoratori del settore pubblico chiedono frequentemente alla Commissione se la legislazione comunitaria concede un diritto assoluto ad essere distaccati nel settore pubblico di un altro Stato membro o di accedervi direttamente. Anche se non è così, per molti anni la Commissione ha chiesto alle autorità degli Stati membri di rafforzare la mobilità del loro personale. Di conseguenza, gli Stati membri hanno introdotto numerose possibilità bilaterali di distacco e di scambio di lavoratori tra i loro servizi [118].

[118] Per maggiori informazioni, si consiglia ai cittadini interessati di prendere contatto con le autorità nazionali nei loro paesi e in quelli nei quali prevedono di andare a lavorare.

5.3. Riconoscimento dell'esperienza e dell'anzianità professionali

È opportuno ricordare che il riconoscimento dell'esperienza e dell'anzianità professionali non è una questione che rientra nella deroga prevista dall'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE. Se un impiego può essere riservato a cittadini nazionali dello Stato membro ospitante in funzione dell'articolo 39, paragrafo 4, del Trattato CE, il lavoratore migrante non può essere trattato diversamente rispetto ai cittadini dello Stato ospitante per quanto riguarda altri aspetti dell'accesso alla funzione pubblica e delle condizioni di lavoro, quando questo lavoratore è stato accettato nel settore pubblico [119].

[119] Causa 152/73 Sotgiu Racc. [1974] 153

Secondo la giurisprudenza della Corte, la Commissione ritiene che l'esperienza acquisita dai lavoratori migranti in un impiego comparabile esercitato in un altro Stato membro dev'essere presa in considerazione dalle amministrazioni degli Stati membri in materia di accesso alla loro funzione pubblica e di determinazione dei vantaggi professionali (ad esempio retribuzione, grado) nello stesso modo in cui viene presa in considerazione l'esperienza acquisita nel proprio sistema. Ciò solleva le seguenti questioni:

- in alcuni Stati membri, l'esperienza o l'anzianità professionali sono sia una condizione formale di accesso a un concorso di reclutamento, sia un motivo per la concessione di punti supplementari nel corso di questa procedura di reclutamento (ponendo in tal modo i candidati in una posizione superiore nell'elenco finale dei candidati prescelti);

- in numerosi Stati membri, i vantaggi professionali (ad esempio il grado, la retribuzione, i giorni di congedo) sono determinati sulla base dell'esperienza e dell'anzianità professionali.

Se l'esperienza e l'anzianità professionali acquisite da un lavoratore in un altro Stato membro non sono debitamente prese in considerazione, questi lavoratori sono totalmente o parzialmente privati dell'accesso al settore pubblico dell'altro Stato membro, o devono ricominciare la loro carriera dall'inizio o a un livello inferiore. La Commissione riceve costantemente un gran numero di reclami presentati da lavoratori migranti e ha per questo motivo avviato procedure di infrazione.

La Corte ha già più volte dichiarato che le disposizioni legislative nazionali che impediscono la presa in considerazione di periodi di impiego nel settore pubblico in un altro Stato membro costituiscono una discriminazione indiretta e ingiustificata nei confronti, ad esempio, dell'accesso alla funzione pubblica [120]. Nelle sue sentenze successive riguardanti la presa in considerazione dell'esperienza e dell'anzianità professionali ai fini della determinazione del livello di retribuzione, la Corte ha affermato che "periodi anteriori d'impiego comparabile effettuati nel servizio pubblico di un altro Stato membro" devono essere equamente presi in considerazione [121]. Ha inoltre decretato che le esigenze applicate a periodi effettuati in altri Stati membri non possono essere più rigorose di quelle applicate a periodi effettuati nelle istituzioni comparabili dell'altro Stato membro [122].

[120] Causa C-419/92 Scholz Racc. [1994] I-00505

[121] Causa C-15/96 Schöning Racc. [1998] I-00047 e causa C-187/96 Commissione contro Grecia [1998] I-01095

[122] Causa C-195/98 Österreichischer Gewerkschaftsbund Racc. [2000] I-10497

La Corte non ha ancora accettato alcuna delle giustificazioni avanzate dagli Stati membri, come la natura specifica dell'impiego nella funzione pubblica, la ricompensa della lealtà (a talune condizioni), le differenze nelle strutture di carriera, la discriminazione all'inverso, le difficoltà di stabilire confronti, il principio d'omogeneità.

Nella pratica, il confronto e la presa in considerazione dell'esperienza e dell'anzianità professionali pongono numerosi problemi ai lavoratori migranti. Al fine di garantire un'applicazione non discriminatoria dei regolamenti degli Stati membri in questo settore, la Commissione sottolinea che l'espressione "periodi anteriori di impiego comparabile" dev'essere interpretata nel quadro di ciascun sistema nazionale. Per questo motivo, se lo Stato membro ospitante applica disposizioni che tengono conto dell'esperienza e dell'anzianità professionali, queste regole devono applicarsi nello stesso modo ai periodi comparabili di impiego effettuati in un altro Stato membro senza che vi sia pregiudizio per il lavoratore migrante. La giurisprudenza sopra menzionata non richiede che una nuova nozione (di periodi di impiego comparabile) sia introdotta nella legislazione degli Stati membri; tuttavia gli Stati membri devono adeguare le loro prassi legislative/amministrative in modo tale da metterle in conformità con questo principio. Considerando la grande diversità dell'organizzazione dei settori pubblici degli Stati membri e delle disposizioni regolamentari in vigore riguardanti la presa in considerazione dell'esperienza professionale, e tenuto conto del fatto che solo gli Stati membri sono competenti ad organizzare la loro funzione pubblica, a condizione che sia rispettata la legislazione comunitaria, la Commissione si è astenuta dal proporre disposizioni precise da applicare nello stesso modo in tutti gli Stati membri.

Tuttavia, la Commissione ritiene che, in linea con la giurisprudenza della Corte, sia opportuno almeno rispettare gli orientamenti sotto indicati al momento dell'adattamento delle regole nazionali e delle prassi amministrative:

- Gli Stati membri hanno l'obbligo di comparare l'esperienza e l'anzianità professionali; se le autorità trovano difficoltà ad effettuare questo confronto, possono prendere contatto con le autorità di altri Stati membri per chiedere spiegazioni e complementi di informazione.

- Se l'esperienza e l'anzianità professionali in una qualunque funzione del settore pubblico sono prese in considerazione, lo Stato membro deve anche tenere conto dell'esperienza acquisita da un lavoratore migrante in una funzione qualunque del settore pubblico di un altro Stato membro; alla questione di sapere se l'esperienza è stata acquisita nel settore pubblico, la risposta dev'essere data in funzione dei criteri vigenti nello Stato membro ospitante. Tenendo conto di una qualunque funzione nel settore pubblico, lo Stato membro vuole in generale ricompensare l'esperienza acquisita nel servizio pubblico e facilitare la mobilità. Non si rispetterebbe il principio della parità di trattamento dei lavoratori nella Comunità se lo Stato membro ospitante dovesse considerare che l'esperienza acquisita, secondo i criteri vigenti nello Stato membro del lavoratore migrante, non debba essere presa in considerazione poiché, secondo lo Stato ospitante, rientra nel settore privato.

- Se uno Stato membro tiene conto di una determinata esperienza (vale a dire di un impiego/di una mansione specifica, in un'istituzione determinata, a un livello, a un grado o in una categoria specifica), deve confrontare il suo sistema con quello dell'altro Stato membro in modo da confrontare i periodi anteriori di occupazione. Le condizioni fondamentali di riconoscimento dei periodi compiuti all'estero devono basarsi su criteri non discriminatori e obiettivi (rispetto ai periodi compiuti all'interno dello Stato membro ospitante). Tuttavia, lo statuto del lavoratore nel suo posto precedente in qualità di funzionario o di lavoratore dipendente (nel caso in cui il sistema nazionale stabilisse una distinzione fra l'esperienza e l'anzianità professionali dei funzionari e dei lavoratori dipendenti), non può essere utilizzato come criterio di confronto [123].

[123] Cfr. la causa 152/73, Sotgiu Racc. [1974] 153, nella quale la Corte ha ritenuto che non vi sia alcun interesse nel sapere se un lavoratore è assunto come lavoratore dipendente o come funzionario o anche se le condizioni nelle quali è impiegato rientrano nel Diritto pubblico o privato; tali designazioni giuridiche possono variare secondo il capriccio della legislatura nazionale e non possono quindi costituire un criterio appropriato di interpretazione delle esigenze della legislazione comunitaria.

- Se uno Stato membro tiene anche conto dell'esperienza professionale acquisita nel settore privato, deve applicare gli stessi principi ai periodi comparabili di esperienza acquisita in un altro Stato membro nel settore privato.

I reclami e i ricorsi in giustizia hanno finora riguardato unicamente la presa in considerazione dell'esperienza professionale acquisita nel settore pubblico di un altro Stato membro. Tuttavia, la Commissione intende sottolineare che a causa della grande diversità nell'organizzazione delle funzioni pubbliche (ad esempio nella sanità, nell'insegnamento, nei servizi di utilità pubblica, ecc.) e della privatizzazione continua di tali funzioni, non può essere escluso che un'esperienza professionale comparabile acquisita nel settore privato di un altro Stato membro debba anche essere presa in considerazione, anche se di massima l'esperienza professionale nel settore privato non è presa in considerazione nello Stato membro ospite. Un ostacolo alla libera circolazione dovuto al rifiuto di prendere in considerazione le esperienze comparabili non potrebbe giustificarsi se non per motivi imperativi estremamente rigorosi.

5.4. Riconoscimento delle qualifiche e dei diplomi

Il sistema di reciproco riconoscimento delle qualifiche e dei diplomi (vedi sezione 2.3) si applica anche nel settore pubblico in rapporto alle professioni regolamentate.

Le direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE [124] si applicano solo se i diplomi richiesti per l'esercizio di una professione determinata attestano una formazione che prepara specificamente all'esercizio della professione. Gli impieghi della funzione pubblica di uno Stato membro richiedono spesso un altro tipo di diploma, vale a dire:

[124] GU L 19 del 24.01.1989, pag.16 e L 209 del 24.07.1992, pag.25

- un diploma che attesta l'acquisizione di un certo livello di istruzione, senza specificazione del contenuto (ad esempio diploma universitario, certificato di conclusione del periodo scolastico secondario seguito da tre anni d'insegnamento superiore, ecc.) ovvero

- un diploma che attesta un livello di istruzione che corrisponde ad alcuni criteri collegati al contenuto, senza che tale contenuto costituisca una formazione professionale ai sensi delle direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE (ad esempio l'obbligo di essere titolare di un diploma di economia, di scienze politiche, di scienze o di scienze sociali, ecc.).

Considerando che questi casi non rientrano nel campo d'applicazione delle direttive 89/48/CEE e 92/51/CEE, può essere invocato solo l'articolo 39 del Trattato CE. La Commissione ritiene che, per soddisfare ai requisiti posti dall'articolo 39 CE, le procedure applicate debbano conformarsi ai seguenti principi:

- Diploma rilasciato al completamento di un certo livello di istruzione o di formazione senza che sia richiesto un contenuto specifico.

Quando conta unicamente il livello di studi per i quali un diploma è rilasciato, le autorità dello Stato membro ospitante non possono prendere in considerazione il contenuto della formazione. Solo il livello del diploma deve essere preso in considerazione dalle autorità dello Stato membro ospitante.

Per valutare questo livello, si consiglia di consultare in primo luogo le regole vigenti nello Stato membro d'origine. Se un diploma di un dato livello consente di accedere alla funzione pubblica in questo Stato membro o a una procedura di selezione per l'ottenimento di un posto in una categoria particolare, questo diploma deve anche consentire di accedere nello stesso modo a una procedura di selezione per un impiego in una categoria equivalente nel settore pubblico dello Stato membro ospitante.

Per decidere ciò che costituisce una categoria equivalente, la natura delle funzioni alle quali questa categoria dà accesso (amministrazione, decisione, applicazione politica, ecc.) deve essere presa in considerazione. La denominazione reale della categoria è priva di interesse. Così come nel sistema generale per il reciproco riconoscimento delle qualifiche e dei diplomi, vi dovrebbe essere un meccanismo di sicurezza quando lo scarto tra i diplomi richiesti è eccessivo, ad esempio: maturità nello Stato membro d'origine e diploma di fine studi universitari nello Stato membro ospitante.

- Diploma che sanziona un livello di formazione rispondente a un certo criterio in materia di contenuti senza che questi ultimi costituiscano una formazione professionale ai sensi delle direttive 89/48/CEE e 92/51/CE.

La posizione della Commissione riguardante la valutazione del livello del diploma è identica a quella che precede.

Per quanto riguarda la valutazione del contenuto stesso della formazione, si constata che, in linea generale, quando un contenuto di natura accademica viene richiesto, ad esempio in economia, in scienze politiche ecc., l'obiettivo è prima di tutto reclutare una persona che dispone di conoscenze generali nella disciplina in questione, una capacità di ragionamento, di adeguamento a un ambiente ecc. In altri termini, non vi sarà necessariamente un adeguamento perfetto tra il contenuto della formazione seguita dal candidato e la funzione che sarà chiamato ad esercitare. Nella misura in cui il diploma sia stato rilasciato quale riconoscimento del compimento di un livello di istruzione o di formazione nel settore richiesto, l'equivalenza del diploma dev'essere riconosciuta.

Procedura di riconoscimento

Nella misura del possibile, i lavoratori migranti devono poter presentare la loro domanda di riconoscimento di un diploma in qualunque momento e non dover attendere la pubblicazione di un posto vacante. Il fine è di dare loro il tempo necessario per prepararsi a una procedura di selezione. Un problema nel quale spesso si imbattono i lavoratori migranti è quello della lunghezza dei tempi necessari per il riconoscimento di diplomi e qualifiche. Gli Stati membri sono invitati a far sì che tali procedure vengano espletate con la massima celerità possibile al fine di dare il massimo risalto alla mobilità ed evitare di mettere in pericolo le prospettive di carriera dei singoli cittadini.

6. Conclusioni

Malgrado il carattere fondamentale del diritto alla libera circolazione, persistono alcuni ostacoli, persino dopo più di 30 anni, suscettibili di minacciare la possibilità di esercitare effettivamente tale diritto. La natura estremamente tecnica e complessa del contesto legislativo esistente e l'immensa giurisprudenza della Corte possono rendere estremamente difficili l'interpretazione e l'applicazione corrette della legislazione comunitaria nel settore della libera circolazione dei lavoratori. Uno sforzo congiunto degli Stati membri, delle istituzioni europee e dei datori di lavoro (del settore pubblico e privato) è pertanto necessario.

Numerosi problemi tra quelli segnalati in precedenza possono trovare una soluzione attraverso un'informazione precisa e aggiornata. La Commissione è convinta che la pubblicazione della presente comunicazione, che si iscrive in questo processo, contribuirà a chiarire per tutte le parti interessate l'interpretazione e l'applicazione delle regole in questo settore [125].

[125] Vedi anche il sito Internet di informazione unica sulla mobilità previsto dalla Commissione e la guida attualizzata sui diritti di sicurezza sociale quando ci si sposta all'interno della Comunità.

Gli Stati membri sono ovviamente tenuti a vigilare affinché la legislazione comunitaria sia correttamente attuata, a tutti i livelli dell'amministrazione. La Commissione chiede agli Stati membri di garantire che tutte le misure necessarie siano adottate a livello nazionale in modo che tutte le disposizioni regolamentari comunitarie sulla libera circolazione siano debitamente rispettate.

Una migliore informazione consentirà inoltre alle persone di utilizzare al meglio i diritti che riconosce loro la legislazione comunitaria e pertanto moltiplicare le possibilità reali di mobilità. Il miglioramento deve cominciare a livello nazionale e deve estendersi all'accesso alla giustizia di tutti i lavoratori. Oltre alla Commissione amministrativa per la sicurezza sociale dei lavoratori migranti [126], la Commissione ha creato un certo numero di reti a livello di ciascuno Stato membro incaricate di esaminare i problemi specifici connessi con la libera circolazione e in grado di arrecare soluzioni ai problemi in modo più informale [127].

[126] Creata in virtù del Regolamento 1408/71 e costituita da rappresentanti degli Stati membri

[127] Vedi ad esempio la rete SOLVIT per i problemi transfrontalieri (COM(2001) 702) e la rete NARIC sul riconoscimento universitario dei diplomi (http://europa.eu.int/comm/education/socrates/agenar.html), i punti di contatto per il riconoscimento delle qualifiche professionali: http://europa.eu.int/comm/internal_market/en/qualifications/contact.htm e la rete dei consiglieri EURES

I datori di lavoro dovrebbero evitare di praticare una discriminazione, diretta o indiretta. La Corte ha stabilito che le disposizioni del Trattato sull'accesso non discriminatorio all'occupazione sono direttamente applicabili, e ciò significa che qualunque individuo può far valere tali disposizioni per portare dinanzi ai tribunali nazionali un datore di lavoro che gli abbia rifiutato un impiego [128].

[128] Causa C-281/98, Angonese Racc. [2000] I-04139

La Commissione proporrà ovviamente nuovi strumenti o emendamenti legislativi, se necessario, al fine di semplificare, migliorare e attualizzare la legislazione vigente [129]. La Commissione invita i colegislatori a discutere e ad adottare tali proposte quanto più rapidamente possibile.

[129] Vedi ad esempio la proposta della Commissione volta a modernizzare e semplificare il Regolamento 1408/71, alla precedente nota 79

Infine non è meno importante il fatto che i servizi della Commissione controlleranno le norme nazionali vigenti negli Stati membri e la loro applicazione e adotteranno le misure necessarie per garantire l'effettivo rispetto delle libertà previste dal Trattato CE, riservandosi di avviare procedure dinanzi alla Corte sulla base dell'articolo 226 del Trattato CE.