52002DC0175

Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli stati membri /* COM/2002/0175 def. */


LIBRO VERDE SU UNA POLITICA COMUNITARIA DI RIMPATRIO DELLE PERSONE CHE SOGGIORNANO ILLEGALMENTE NEGLI STATI MEMBRI

(presentato dalla Commissione)

Indice

Premessa

1. Introduzione

2. Parte I - Il rimpatrio come elemento integrante di una politica comunitaria generale in materia di immigrazione e di asilo.

2.1. Il contesto più ampio del rimpatrio

2.2. Immigrazione e rimpatrio

2.3. Asilo e rimpatrio

2.4. Diritti umani e rimpatrio

2.5. Cooperazione con i paesi di origine e di transito in materia di rimpatrio e di riammissione

3. Parte II - Ravvicinamento e miglioramento della cooperazione fra gli Stati membri in materia di rimpatrio

3.1. Norme comuni

3.2. Norme sulla riammissione fra Stati membri

3.3. Norme sul transito fra Stati membri.

3.4. Cooperazione operativa

3.5. Programmi di rimpatrio

4. Parte III - Verso una politica comune di riammissione

4.1. Accordi di riammissione e clausole di riammissione nei trattati di associazione o di cooperazione

4.2. Regimi e accordi di transito e di ammissione con altri paesi terzi

5. Conclusione

Allegato

Premessa

Il Consiglio europeo di Laeken del 14 e 15 dicembre nella sua conclusione n. 40, ha invitato il Consiglio, tra l'altro, a sviluppare un piano d'azione basato sulla comunicazione della Commissione su una politica comune in materia di immigrazione illegale del 15 novembre 2001. Di conseguenza, il 28 febbraio 2002 il Consiglio ha adottato un piano globale per combattere l'immigrazione illegale e la tratta di esseri umani nell'Unione europea. Il piano contiene anche una sezione sulla politica di riammissione e di rimpatrio, in cui tale materia viene individuata come componente integrante e fondamentale della lotta contro l'immigrazione illegale. Il Piano d'azione del Consiglio sollecita progressi in materia di transito e di riammissione, in tema d'identificazione delle persone che soggiornano illegalmente, sul rilascio di documenti di viaggio a fini di rimpatrio e norme comuni per le procedure di rimpatrio.

Nella comunicazione citata, la Commissione ha già annunciato la pubblicazione del presente Libro verde relativo all'esigenza di creare norme comuni e di definire misure comuni in materia di rimpatrio.

Il Libro verde si basa sugli elementi definiti nel piano d'azione del Consiglio ed esamina varie questioni connesse al rimpatrio di cittadini di paesi terzi. Nella Parte I si mette in rilievo che una politica comunitaria di rimpatrio deve completare ed essere compatibile con le politiche comunitarie esistenti in materia di immigrazione e di asilo, quali descritte nelle relative comunicazioni della Commissione, i cui obiettivi sono ribaditi esplicitamente ancora una volta. Vengono brevemente delineate le diverse dimensioni del rimpatrio volontario e forzato in rapporto all'immigrazione, nel contesto dell'asilo e del rapporto con i paesi terzi. Le parti successive si concentrano sulla futura cooperazione fra Stati membri in materia di rimpatrio di persone soggiornanti illegalmente (Parte II) e lo sviluppo della politica di riammissione insieme ai paesi terzi (Parte III).

In considerazione del carattere estremamente complesso e sensibile delle questioni attinenti al rimpatrio, il presente documento intende soltanto avviare una discussione sul rientro delle persone soggiornanti illegalmente e non dovrebbe essere visto come un tentativo di affrontare tutti gli aspetti connessi al rimpatrio di cittadini di paesi terzi.

Il dibattito sul rimpatrio delle persone soggiornanti illegalmente potrebbe partire da una riflessione sulle seguenti questioni generali, prima di affrontare alcuni aspetti rappresentativi e affrontare i problemi più nel dettaglio, come descritti nelle sezioni seguenti del Libro verde:

(1) Lo sviluppo di una politica comune del rimpatrio come contributo alla politica globale sull'immigrazione quale sollecitata dalla Commissione nella sua comunicazione del 22 novembre 2000.

(2) La compatibilità della politica comunitaria del rimpatrio con l'esigenza di protezione nell'ambito della normativa internazionale ed europea nel quadro di un sistema europeo comune di asilo in via di evoluzione.

(3) L'attuazione, per quanto attiene al rimpatrio, della conclusione n. 40 del Consiglio europeo di Laeken, che sollecita l'integrazione della politica sui flussi migratori nella politica estera dell'Unione europea.

(4) L'esigenza di norme comuni per le procedure di rimpatrio e l'eventualità di renderle giuridicamente vincolanti.

(5) Il miglioramento della cooperazione tra i servizi degli Stati membri e l'eventualità di istituire un futuro strumento finanziario per conseguire tale obiettivo.

(6) La determinazione degli elementi di una politica comune di riammissione, che includa una cooperazione equilibrata con i paesi terzi interessati.

1. Introduzione

A seguito dell'introduzione nel trattato di Amsterdam della competenza comunitaria in materia di immigrazione e di asilo, i capi di Stato e di governo hanno auspicato, in occasione del Consiglio europeo di Tampere dell'ottobre 1999, lo sviluppo di una politica comune dell'Unione su questi temi. La Commissione ha quindi presentato proposte per una politica comunitaria sull'asilo e l'immigrazione basata su un approccio in due fasi: l'adozione di un quadro giuridico comune quale delineato nel trattato, e lo sviluppo di un metodo di coordinamento aperto.

Obiettivo delle proposte della Commissione in materia di politica di immigrazione è garantire una gestione più efficiente dei flussi migratori in tutte le fasi e a questo scopo è stato presentato un approccio globale basato sull'adozione di procedure comuni per l'ammissione legale di cittadini di paesi terzi, che prevedano un contatto più stretto con i paesi di origine e politiche di integrazione maggiormente coordinate a livello nazionale. L'assunto di base, generalmente sostenuto dagli Stati membri nel dibattito sulla comunicazione del novembre 200 [1], è che le pressioni migratorie proseguiranno e che, alla luce dell'attuale situazione economica nonché delle previsioni demografiche, l'immigrazione svolgerà un ruolo importante nello sviluppo economico e sociale della UE.

[1] Cfr. COM (2000) 755 def. e COM (2000) 757 def. del 22 novembre 2000.

Nel campo dell'asilo, l'obiettivo è istituire un regime comune europeo basato sull'applicazione, in ogni sua componente, della convenzione di Ginevra del 1951, garantendo in tal modo che nessuno sia rinviato verso una persecuzione in ottemperanza al principio di non respingimento (non-refoulement). L'armonizzazione è suddivisa in due fasi che dovrebbero condurre, più a lungo termine, a una procedura comune in materia di asilo e a uno status uniforme per coloro cui esso è stato concesso.

La Commissione ha messo in rilievo che queste politiche devono essere accompagnate da misure più rigorose per combattere l'immigrazione clandestina e in particolare la tratta di esseri umani. Di recente, essa ha avanzato suggerimenti ad ampio raggio per il potenziamento di azioni comuni in questo settore nella sua comunicazione su una politica comune in materia di immigrazione illegale [2]. In tale contesto, la Commissione ha messo in rilievo che un elemento integrante della politica comune deve essere costituito dal rimpatrio e dalla riammissione di cittadini di paesi terzi che soggiornano illegalmente nella UE. L'articolo 63, paragrafo 3, lettera b) del TCE stabilisce che il Consiglio adotta misure in materia di immigrazione e soggiorno irregolari, compreso il rimpatrio delle persone in soggiorno irregolare. Il trattato di Amsterdam, inoltre, ha integrato nell'Unione europea l'acquis di Schengen sulle questioni attinenti al rimpatrio, per quanto poco sviluppato, e in particolare l'articolo 23 della convenzione che attua l'accordo di Schengen [3] [4].

[2] COM (2001) 672 def. del 15 novembre 2001.

[3] Cfr. Catalogo delle raccomandazioni per la corretta applicazione dell'acquis di Schengen e delle migliori pratiche - Frontiere + allontanamento e riammissione, Consiglio dell'Unione europea, 28 febbraio 2002.

[4] Cfr. anche la proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni alle quali i cittadini di paesi terzi possono circolare liberamente all'interno del territorio degli Stati membri per un periodo non superiore a tre mesi, all'introduzione di un'autorizzazione specifica di viaggio e alla fissazione delle condizioni d'ingresso in previsione di uno spostamento di durata non superiore a sei mesi (COM (2001) 388 def.) del 10 luglio 2001, che introdurrà nella normativa comunitaria l'articolo 23 della Convenzione di Schengen.

Come annunciato nella comunicazione sull'immigrazione illegale, la Commissione ritiene che la questione del rimpatrio meriti una riflessione approfondita in vista dello sviluppo di un approccio comunitario coerente che tenga conto della complessità di questo importante argomento. Nella preparazione del presente Libro verde, si sono tenute in considerazione varie pubblicazioni di organizzazioni internazionali, organismi governativi, organizzazioni non governative e università [5]. Obiettivo di tale documento è esaminare i complessi problemi attinenti al rimpatrio di persone soggiornanti illegalmente nell'UE e formulare suggerimenti per un politica coordinata ed efficiente, basata su norme e principi comuni, e rispettosa della dignità e dei diritti umani. Si deve partire dalla premessa che una politica in materia di rimpatrio è necessaria per salvaguardare l'integrità di sistemi di ammissione legali e umanitari.

[5] Cfr., ad esempio: Raccomandazione n. R(99) 12 del comitato dei ministri del Consiglio d'Europa sul rimpatrio di richiedenti asilo respinti; OIM, The return and reintegration of rejected asylum seekers and irregular migrants, Ginevra, maggio 2001; HCR, Legal and practical aspects of the return of persons not in need of international protection, Ginevra, maggio 2001; ICMPD, Study on comprehensive EU return policies and practices for displaced persons under temporary protection, other persons whose international protection has ended and rejected asylum seekers, Vienna, gennaio 2002; IGC, Modular Structures on Return (non pubblicato); Nascimbene (cur.), Expulsion and detention of aliens in the European Union countries, Milano, 2001.

2. Parte I - Il rimpatrio come elemento integrante di una politica comunitaria generale in materia di immigrazione e di asilo.

2.1. Il contesto più ampio del rimpatrio

La questione del rimpatrio presenta molteplici aspetto e copre un ampio ventaglio di situazioni che possono essere, sostanzialmente, suddivise in due categorie. La prima comprende le persone che soggiornano legalmente in un paese e che, dopo un certo periodo, manifestano il desiderio di rientrare nel paese di origine. In vari casi, queste persone incontrano difficoltà in tal senso perché non dispongono dei mezzi finanziari necessari o perché hanno perso tutto nel paese di origine o ancora perché una decisione in tal senso inciderebbe sulla loro possibilità di rientrare nello Stato membro in oggetto per riprendervi la residenza o trascorrervi periodi più brevi in visita ad amici e parenti. Persone che hanno trascorso molti anni lavorando regolarmente nellaUE possono avere il desidero di rientrare nel paese di origine alla pensione, ma non possono farlo perché questo inciderebbe negativamente sui loro diritti alla pensione. Un altro caso ipotizzabile riguarda imprenditori e lavoratori altamente qualificati che, dopo alcuni anni di soggiorno legale, vorrebbero avere la facoltà di lasciare il paese ospitante per periodi prolungati (rientro temporaneo); una situazione specifica in questa categoria è quella dei rifugiati riconosciuti che, una volta stabilizzatasi la situazione nel loro paese di origine, desidererebbero tornarvi, soprattutto nel caso di persone qualificate, per prendere parte alla ricostruzione e allo sviluppo. Questo vale attualmente per gli afgani soggiornanti in Europa. Attualmente l'UE sta lavorando a un programma volto proprio ad aiutarli a realizzare questo obiettivo.

In linea generale, si potrebbero elaborare soluzioni amministrative concrete e programmi di sostegno per aiutare i migranti che desiderano tornare. Nel quadro del dialogo con i paesi di origine, si potrebbero esaminare modalità per incoraggiare situazioni di questo tipo e, in particolare, massimizzare i vantaggi che tali paesi possono trarre dall'emigrazione dei rispettivi cittadini. Nel quadro del metodo aperto di coordinamento per la politica comunitaria sull'immigrazione [6], la Commissione ha proposto un orientamento europeo destinato a incoraggiare le politiche volte a sostenere modelli di mobilità fra la UE e i paesi terzi:

[6] COM ( 2001) 387 def. dell'11 luglio 20001; cfr. sezione 3.3.

* Riesaminando la normativa che limita la possibilità dei migranti legali di muoversi liberamente fra il paese di soggiorno e quello di origine;

* Incoraggiando i migranti ad interessarsi allo sviluppo di progetti, imprese e iniziative di formazione nei rispettivi paesi di origine;

* Fornendo sostegno finanziario e di altro tipo, compresa la messa a disposizione di capitale di rischio, per aiutare i migranti che rimpatriano a reinsediarsi nei rispettivi paesi di origine.

La seconda categoria di rimpatri riguarda le persone che non hanno esigenze specifiche di protezione e che soggiornano illegalmente nellaUE. Queste persone non soddisfano, o non soddisfano più, le condizioni per l'ingresso, la presenza o il soggiorno nel territorio degli Stati membri dell'Unione europea perché sono entrati illegalmente o sono restati dopo la scadenza del visto o del permesso di soggiorno, o perché la loro richiesta di asilo è stata respinta in via definitiva. Queste persone non godono di uno status giuridico che le autorizza a restare nel territorio dello Stato membro e possono essere incoraggiate a lasciare la UE spontaneamente, oppure costrette a farlo. Se immigrati illegali o richiedenti asilo respinti accettano volontariamente di rimpatriare, potrebbero essere incoraggiati e sostenuti mediante misure specifiche.

Il Libro verde si concentra su questa seconda categoria, vale a dire sul rimpatrio di persone che soggiornano illegalmente nell'UE, nei suoi due aspetti: forzato o volontario. Il rimpatrio di persone soggiornanti legalmente non viene affrontato in questo ambito. Per numerosi cittadini di paesi terzi legalmente soggiornanti nella UE, tuttavia, il rimpatrio può costituire un'opzione auspicabile o possibile. Si tratta di un tema importante di per sé, che merita di essere dibattuto a fondo in particolare per quanto riguarda le ripercussioni di tale fenomeno sui paesi di origine. Esso dovrà pertanto essere oggetto di un'ulteriore riflessione della Commissione in una fase successiva.

2.2. Immigrazione e rimpatrio

Nella sua comunicazione su una politica comunitaria in materia di immigrazione del 22 novembre 2000 [7], la Commissione fa presente che la UE potrebbe conseguire meglio il proprio obiettivo di una gestione più efficiente dei flussi migratori mediante un approccio globale. Nel quadro di una politica globale sull'immigrazione, infatti, l'adozione di procedure comuni per i lavoratori migranti potrebbe ridurre, entro certi limiti, anche la pressione sui canali di ammissione umanitaria, mentre un'azione comune più efficace contro il traffico e la tratta scoraggerebbe ulteriormente i migranti clandestini. La Commissione ha osservato che è diffusa la regolarizzazione degli immigrati irregolari che soddisfano taluni criteri, in particolare quello di avere un lavoro in uno Stato membro; tale prassi potrebbe essere vista, da un lato, come un riconoscimento delle esigenze del mercato del lavoro e, dall'altro, come una conseguenza della difficoltà di attuare con successo politiche di rimpatrio.

[7] COM (2000) 757 def.

In linea di principio, i cittadini di paesi terzi privi di uno status giuridico che li autorizzi a restare, in via permanente o temporanea, e di cui uno Stato membro non è giuridicamente tenuto ad accettare la presenza, devono lasciare la UE. Ciò è essenziale per garantire che la politica di ammissione non sia indebolita e per imporre il principio di legalità, elemento costitutivo di un'area di libertà, di sicurezza e di giustizia.

Per quanto possibile, si dovrebbe dare priorità, per evidenti motivi umanitari, al rimpatrio volontario, che, per di più, richiede uno sforzo amministrativo minore rispetto a quello forzato.

D'altro canto, il rimpatrio forzato di persone soggiornanti illegalmente può avere un effetto dimostrativo sia per coloro che soggiornano illegalmente negli Stati membri che per i potenziali migranti illegali al di fuori della UE. Abbinate a ulteriori sforzi per combattere il lavoro in nero nella UE, a procedure più trasparenti, a campagne di sensibilizzazione contro la tratta di esseri umani e a una migliore informazione sui canali legali di ammissione, politiche di rimpatrio efficienti possono incentivare migranti potenziali a sforzarsi di ottenere il diritto di soggiorno legale nell'UE e scoraggiare coloro che non soddisfano i requisiti necessari per immigrare legalmente. Possono anche contribuire a una maggiore apertura della popolazione locale verso nuovi immigrati legali nell'ambito di politiche di ammissione più aperte, in particolare per i lavoratori migranti.

2.3. Asilo e rimpatrio

Il rimpatrio volontario costituisce una delle tre soluzioni a lungo termine del problema dei rifugiati, insieme all'integrazione e al reinsediamento. Al tempo stesso, una politica efficiente di rimpatrio per le persone la cui richiesta di protezione internazionale venga respinta, è necessaria per salvaguardare l'integrità del sistema comune di asilo e della procedura comune in materia di asilo, quali descritti nella comunicazione della Commissione del 22 novembre 2000 [8]. Quando una persona in cerca di protezione ha beneficiato di un procedimento equo, di qualità e completo, quando sono state esaminate tutte le esigenze di protezione e non esistono altri motivi per una permanenza legale nello Stato membro, la persona in questione deve lasciare il territorio e tornare nel proprio paese di origine o, eventualmente, di transito.

[8] COM (2000) 755 def.

È proprio nello spirito della procedura comune in materia di asilo e dello status uniforme che le persone che cercano protezione, o hanno beneficiato di una protezione internazionale nella UE, a lungo termine debbano attendersi, per quanto concerne il rimpatrio, un trattamento analogo in tutti gli Stati membri, conformemente alla rispettiva situazione. Ciò presuppone il miglioramento dell'efficienza e della qualità della procedura di asilo e della valutazione dell'esigenza di protezione. L'efficacia della politica di rimpatrio deve essere valutata anche sulla base del fatto che, nonostante la richiesta di asilo venga respinta sulla base della Convenzione di Ginevra, l'individuo in questione può comunque avere bisogno di protezione internazionale. È pertanto essenziale creare un sistema adeguato di protezione sussidiaria.

Ancora una volta, si deve dare priorità al rientro volontario, anche se, come ultima risorsa, può rendersi necessario procedere a rimpatri forzati. Questa situazione può riguardare, ad esempio, persone per cui non sussiste più l'esigenza di protezione internazionale (nel quadro dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria oppure di un programma di protezione temporanea), dopo che, per un certo periodo, hanno goduto di tale protezione in uno Stato membro. Tali rimpatri devono comunque essere effettuati nel rispetto della tutela internazionale e dei diritti umani delle persone interessate, fra cui rientra l'obbligo di fornire protezione contro l'espulsione nel quadro della convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati e del protocollo del 1967, in particolare gli articoli 32 e 33. I rifugiati non possono essere legalmente espulsi dal territorio se non per motivi di sicurezza nazionale e di ordine pubblico. Nel contesto del divieto della tortura e di pene o trattamenti disumani o degradanti, inoltre, vanno menzionati la Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU), in particolare l'articolo 3, e la relativa giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, nonché l'articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali della UE.

Si applicano in questo caso anche gli articoli 18 e 19 della Carta dei diritti fondamentali. In base all'articolo 18, il diritto di asilo è garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status dei rifugiati, e a norma del trattato che istituisce la Comunità europea. L'articolo 19 riguarda la protezione in caso di allontanamento, espulsione o estradizione e dichiara in primo luogo che sono vietate le espulsioni collettive. In secondo luogo, nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti disumani o degradanti.

A fronte di movimenti consistenti di rientro verso i paesi di origine di persone che hanno goduto di protezione dopo un precedente afflusso di massa - dovuto per lo più a una situazione di conflitto -, che vanno di pari passo a forti pressioni in materia di ricostruzione e di sviluppo, possono risultare necessari soluzioni specifiche o un approccio graduale sia negli Stati membri di accoglienza che nei paesi di origine e di transito, come il rinvio dell'attuazione delle decisioni di rimpatrio, l'autorizzazione di visite o soggiorni esplorativi, l'elaborazione di "pacchetti" di assistenza, sia di base (informazione, trasporto, piccole indennità finanziarie) che più complessi e specifici, preparati con un certo anticipo (formazione, incentivi per lavoratori non qualificati, qualificati e altamente qualificati, ecc.), nonché la conclusione di accordi di trasporto e di transito.

Il metodo aperto di coordinamento in materia di asilo proposto dalla Commissione [9] potrebbe essere utilizzato anche nel campo del rimpatrio per questioni attinenti ai richiedenti asilo respinti e alle persone che hanno beneficiato di regimi di protezione. Alcuni degli aspetti da esaminare in relazione ai rimpatri volontari ed - eventualmente - forzati, potrebbero essere pertinenti in merito al rimpatrio delle persone soggiornanti illegalmente:

[9] COM (2001) 710 def. del 28 novembre 20001; cfr. sezione 5.2.

* Individuazione di misure volte a migliorare la cooperazione fra gli Stati di accoglienza, i paesi di origine, l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (ACNUR), l'Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) e le Organizzazioni Non Governative (ONG), al fine di favorire i rimpatri sia volontari che forzati.

* Sviluppo di servizi volti a fornire informazione e assistenza al fine di preparare le persone al rientro, fra cui potrebbe rientrare la valutazione dell'utilità delle visite esplorative.

* Verifica delle modalità per incrementare il numero di decisioni di allontanamento cui sia data effettiva esecuzione , eventualmente fissando obiettivi specifici e valutandone l'impatto concreto.

* Preparazione di guide alle buone pratiche su varie questioni connesse al rientro, compreso il rimpatrio forzato (scorte, mezzi di trasporto, condizioni del trattenimento prima del rimpatrio, ecc.), che potrebbero costituire la base di orientamenti a livello UE.

2.4. Diritti umani e rimpatrio

Una politica europea dei rimpatri dovrebbe pienamente rispettare i diritti umani e le libertà fondamentali e, in quanto tale, dovrebbe iscriversi nel contesto della politica in materia di diritti umani dell'Unione europea, tanto all'interno dell'Unione quanto nelle sue relazioni esterne. L'articolo 6 del trattato sull'Unione europea ribadisce che quest'ultima "si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli Stati membri".

Tanto la Convenzione europea del 1950 per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) quanto la Carta dei diritti fondamentali dell'UE, proclamata a Nizza nel dicembre del 2000 [10], contengono disposizioni applicabili alla politica in materia di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente (articoli 3, 5, 6, 8 e 13 della CEDU e articoli 3, 4, 19, 24 e 47 della Carta dei diritti fondamentali). Gli articoli che riguardano specificamente tutte le forme di protezione internazionale sono già stati descritti nella sezione "Asilo e rimpatrio".

[10] GU C 364 del 18 dicembre 2000, pag. 1.

Le persone soggiornanti illegalmente, inoltre, devono avere possibilità adeguate di presentare un ricorso davanti a un tribunale durante la procedura di rimpatrio. In tale contesto, si fa riferimento all'art. 6 della CEDU e all'art. 47 della Carta dei diritti fondamentali, che garantiscono il diritto ad un rimedio efficace e a un giusto processo. Questioni attinenti ai diritti umani sono in gioco anche nel contesto della detenzione delle persone soggiornanti illegalmente: si deve sempre rispettare il principio del controllo giudiziario sulla detenzione, in conformità dell'art. 5 della CEDU.

La vita familiare è protetta dall'art. 8 della CEDU e dall'art. 7 della Carta dei diritti fondamentali: si dovrebbe anche ricordare che, in conformità dell'art. 24 della Carta dei diritti fondamentali e della Convenzione sui diritti del fanciullo del 1989, i diritti dei fanciulli godono di un'attenzione particolare; in tutte le azioni connesse ai fanciulli, la considerazione fondamentale deve essere l'interesse di questi ultimi.

Infine, un'altra questione che merita attento esame è la tutela dei dati personali, quale definita dall'art. 8 della Carta dei diritti fondamentali e dalle disposizioni esistenti in materia di tutela dei dati personali. [11]

[11] Cfr. la direttiva 95/46/CE, GU L 281 del 23 novembre 1995, pag. 31; e anche la Convenzione del Consiglio d'Europa del 28 gennaio 1981 sulla protezione delle persone rispetto al trattamento automatizzato di dati di carattere personale; e - se del caso - la raccomandazione giuridicamente non vincolante n. R(87) 15 del comitato dei ministri del Consiglio d'Europa che disciplina l'utilizzo dei dati personali nel settore di polizia.

2.5. Cooperazione con i paesi di origine e di transito in materia di rimpatrio e di riammissione

Una politica di rimpatrio delle persone soggiornanti illegalmente che abbia successo dipende da una proficua cooperazione con i paesi di origine o di transito interessati. Proprio in considerazione dei caratteri intrinseci di tale politica, è necessario sviluppare la comprensione reciproca e la cooperazione fra tutte le autorità competenti. Tale cooperazione è essenziale a vari livelli e in varie fasi del processo di rimpatrio. Ad esempio, è necessaria un'assistenza a livello amministrativo per ottenere documenti di viaggio, in vista del rimpatrio, per le persone soggiornanti illegalmente che non dispongono di documenti di viaggio validi. Oltre a ciò, all'arrivo nel paese di rimpatrio, è necessario un sostegno per la procedure di riammissione ai punti di ingresso, spesso gli aeroporti. Molti paesi cooperano in modo molto aperto e pragmatico e facilitano i rimpatri.

Altri paesi, tuttavia, sono più riluttanti a riammettere le persone oggetto di disposizioni di rimpatrio e applicano procedure amministrative più lunghe per determinare la nazionalità o l'identità della persona in oggetto. In tali casi potrebbe rivelarsi utile negoziare, a livello politico, un accordo di riammissione che definisca le procedure e le modalità pratiche di trasporto in vista del rimpatrio e di riammissione.

Il rimpatrio di persone soggiornanti illegalmente, tuttavia, ha anche ripercussioni rilevanti sui paesi di origine e di transito. Si dovrebbe pertanto prendere in esame la possibilità di elaborare una politica di rimpatrio tale da evitare effetti negativi sulla situazione di tali paesi. Rimpatri di massa potrebbero avere un forte impatto sullo sviluppo economico del paese e sulla disponibilità delle autorità a collaborare al controllo dei fenomeni migratori. La disponibilità a collaborare risulterà senza dubbio incentivata se i paesi coinvolti hanno interesse a riaccogliere i propri cittadini. La UE dovrebbe pertanto valutare quali forme di sostegno siano più adeguate al fine di garantire che i rimpatri siano sostenibili.

In particolare, anche la disponibilità a rientrare spontaneamente presenterà un'evoluzione positiva se si offriranno alle persone potenzialmente interessate opportunità nel paese di origine. Il parziale insuccesso di alcuni progetti di rimpatrio volontario sembra essere stato dovuto a una scarsa preparazione nel paese di rientro. Al tempo stesso, è necessario essere consapevoli del fatto che vanno garantiti alle persone interessate da queste misure i mezzi di base perché possano stabilirsi nel nuovo ambiente. In questa ottica, si potrebbe ipotizzare la creazione di un sistema di aiuti finanziari per far fronte alle esigenze del periodo iniziale dopo il rientro.

Il Consiglio europeo di Tampere dell'ottobre 1999 ha sottolineato l'esigenza di un approccio generale alla migrazione, che affronti questioni politiche, diritti umani e sviluppo dei paesi e delle regioni di origine e di transito. Esso individuava inoltre nella cooperazione con i paesi terzi interessati, che comprende anche l'aspetto rimpatrio, l'elemento chiave per il successo della politica esterna in materia di migrazione. Il Consiglio europeo di Laeken del dicembre 2001, a sua volta, ha messo in rilievo che la politica sui flussi migratori, in particolare sulla riammissione, deve essere integrata nella politica estera della UE. Il rimpatrio e la riammissione costituiscono, pertanto, una delle dimensioni di una politica globale della UE sulla migrazione nei confronti dei paesi terzi e in questo ambito è necessario trovare un equilibrio fra ammissione e riammissione.

3. Parte II - Ravvicinamento e miglioramento della cooperazione fra gli Stati membri in materia di rimpatrio

3.1. Norme comuni

Il rimpatrio forzato è una limitazione molto grave della libertà e dei desideri dell'individuo colpito dal provvedimento. Potrebbe essere opportuno fissare norme comuni in materia di allontanamento, trattenimento e accompagnamento, in grado di stabilire un trattamento uniforme e adeguato delle persone soggiornanti illegalmente oggetto di misure che pongono fine al soggiorno, indipendentemente dallo Stato membro che le esegue. Si potrebbero inoltre ipotizzare norme comuni volte a facilitare il lavoro dei servizi coinvolti, che potrebbero sfociare in procedure più efficienti basate sulle migliori pratiche rilevate nei vari Stati membri.

La Commissione potrebbe proporre e promuovere l'introduzione di norme comuni in relazione a tutte le fasi del rimpatrio. Potrebbero essere stabiliti requisiti di base per porre termine al soggiorno legale, in particolare per quanto riguarda le decisioni di allontanamento. Si potrebbero inoltre definire norme minime per il trattenimento e per l'accompagnamento alla frontiera. A questo scopo, la Commissione intende basarsi sull'esito della discussione relativa al presente Libro verde per preparare una proposta di direttiva del Consiglio in materia di norme minime sulle procedure di rimpatrio, come già indicato nella comunicazione sull'immigrazione illegale [12].

[12] COM (2001) 672 def.; cfr. sezione 4.8.

3.1.1. Definizioni

La terminologia in questo settore presenta divergenze sostanziali dovute alle differenze fra i sistemi giuridici degli Stati membri. Spesso, l'utilizzo di termini diversi per lo stesso concetto è fonte di confusione. A fini di chiarezza sono necessarie definizioni comuni che consentano di evitare fraintendimenti. Una prima serie di definizioni proposte è riportata all'allegato I.

Questa prima serie di definizioni comuni è adeguata e quali altre definizioni si potrebbero aggiungere-

3.1.2. Fine del soggiorno legale

Misure coercitive non sono applicabili solo a persone entrate illegalmente che non hanno diritto di restare. Provvedimenti di allontanamento vengono emessi contro coloro che diventano un pericolo per la sicurezza o l'ordine pubblico, per esempio a seguito di una condanna per reati gravi. Anche coloro i cui permessi sono scaduti, nonché i residenti legali cui è stato revocato il permesso di soggiorno sono oggetto di misure di rimpatrio. Tutte queste persone hanno, in linea di principio, l'obbligo giuridico di lasciare il paese immediatamente o, se viene fissato un termine per la partenza, entro la scadenza di tale termine.

Si potrebbe considerare disatteso l'obbligo giuridico di lasciare il paese quando le persone in oggetto entrano in un altro Stato membro senza godervi del diritto di ingresso e di soggiorno. Gli Stati membri dovrebbero garantire che le misure che pongono fine al soggiorno illegale siano applicabili in tutta la UE.

3.1.2.1. Condizioni necessarie per poter prendere decisioni di allontanamento

Si può porre fine al soggiorno legale mediante una decisione di allontanamento basata su condizioni specificate per legge. Le norme iniziali relative alle decisioni di allontanamento sono state fissate nella direttiva 2001/40/CE relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi, adottata nel maggio 2001 [13]. Nel quadro di questa direttiva, il cittadino di un paese terzo è oggetto di una decisione di allontanamento in caso di minaccia grave e concreta all'ordine pubblico o alla sicurezza nazionale in due serie di casi.

[13] Cfr. GU L 149 del 2 giugno 2001, pag. 34.

In primo luogo, una decisione di allontanamento può essere dovuta alla condanna del cittadino di un paese terzo per un reato punibile con una pena privativa della libertà di almeno un anno. Inoltre, è sufficiente l'esistenza di seri motivi per ritenere che il cittadino di un paese terzo abbia commesso fatti punibili gravi o l'esistenza di indizi concreti che intende commettere fatti di tale natura nel territorio di uno Stato membro. In secondo luogo, il cittadino di un paese terzo è oggetto di una decisione di allontanamento quando non rispetta le normative nazionali relative all'ingresso o al soggiorno degli stranieri.

Tuttavia, sulla base di queste definizioni generali, si possono sviluppare motivazioni giuridiche specifiche, più dettagliate, per una decisione di allontanamento e, in tale contesto, si potrebbe ad esempio introdurre una distinzione fra cause che rendono obbligatoria una decisione di allontanamento per motivi di pericolo eccezionale, e altri motivi legittimi che possono comportare, di norma, una decisione di allontanamento.

Si potrebbe dunque valutare l'eventualità di decisioni obbligatorie di allontanamento nei seguenti casi:

1) se un cittadino di un paese terzo è stato condannato da un tribunale alla privazione delle libertà per uno o più reati premeditati per un periodo da definire di comune accordo;

2) se un cittadino di un paese terzo è stato condannato alla privazione della libertà per reati premeditati specifici (quali produzione, trasporto e vendita di stupefacenti, traffico o tratta di esseri umani, terrorismo e altri reati contro la sicurezza nazionale).

Si potrebbe analizzare inoltre la possibilità di individuare altri validi motivi, quali la minaccia alla sicurezza nazionale o pubblica.

Non possono tuttavia essere prese decisioni di allontanamento senza tenere conto del tipo di status di residente. Alcuni gruppi hanno bisogno di una tutela particolare contro l'allontanamento. I cittadini di paesi terzi che godono di determinati privilegi, come i residenti a lungo termine [14], i familiari rispettivamente di un cittadino dell'Unione o di un cittadino dello Stato membro interessato, nonché i rifugiati e gli individui oggetto di altre forme di protezione internazionale, possono essere allontanati solo per gravi motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. Una protezione speciale può essere prevista anche per i cittadini di paesi terzi nati in uno Stato membro che non hanno mai vissuto nel paese di cui sono cittadini. L'esistenza di questi gravi motivi deve essere accuratamente valutata e adeguatamente motivata nelle decisioni di allontanamento.

[14] Cfr. art. 13 del COM (2001) 127 def.

Infine, va messo in rilievo che, in tutti i casi, si deve tenere conto della situazione individuale specifica. In particolare, i diritti umani della persona in oggetto e la proporzionalità della misura devono essere adeguatamente tenuti in considerazione, soprattutto qualora possa emergere, nel caso di decisione di allontanamento obbligatoria, una "sofferenza estrema" o, nel caso in cui l'espulsione sia determinata da altri motivi, una "sofferenza irragionevole".

Si dovrebbero fissare, per le decisioni di allontanamento, condizioni più dettagliate e quali elementi dovrebbero comprendere-

Quali gruppi, oltre a quelli citati, necessitano una tutela speciale e che caratteristiche essa dovrebbe avere-

3.1.2.2. Condizioni necessarie per porre termine al soggiorno legale.

Dopo la scadenza del permesso di soggiorno, se non ottiene il rinnovo o un altro tipo di documento di soggiorno, la persona in questione dovrebbe essere giuridicamente tenuta a lasciare il paese. Si potrebbe ritenere che un ricorso contro un ordine di allontanamento abbia effetto sospensivo.

L'obbligo di lasciare il paese potrebbe applicarsi anche in casi in cui le persone restano oltre il periodo per cui sono esonerate dall'obbligo di visto. Il soggiorno legale può pertanto avere fine se si entra legalmente in un paese in cui non è richiesto visto ma non si chiede un primo permesso di soggiorno entro i termini di legge.

I motivi per la revoca del permesso di soggiorno potrebbero essere limitati per legge a un numero ridotto di situazioni gravi, quali la mancanza di un passaporto valido o di un documento sostitutivo, il cambiamento o la perdita della nazionalità o ancora altre ragioni essenziali di regolarità amministrativa. In ogni caso, le autorità competenti dovrebbero essere tenute a valutare e adeguatamente motivare la proporzionalità della revoca del permesso di soggiorno rispetto a tali cambiamenti e se la persona debba esserne ritenuta responsabile o meno.

Quali ulteriori condizioni necessarie per porre fine al soggiorno legale si dovrebbero fissare-

Quali motivi dovrebbero giustificare la revoca di un permesso di soggiorno-

3.1.3. Trattenimento in attesa dell'accompagnamento alla frontiera

Al fine di salvaguardare le misure di esecuzione, in particolare l'accompagnamento alla frontiera, è prassi consueta ricorrere a misure coercitive. Si noti che tutte le misure coercitive costituiscono una limitazione grave della libertà personale degli individui in oggetto. Questo vale, in particolare, nel caso del trattenimento in attesa dell'accompagnamento, che viene imposto per facilitare l'identificazione della persona soggiornante illegalmente al fine di ottenere i documenti di viaggio per il rimpatrio o per impedirgli di rendersi irreperibile prima del rimpatrio.

Si potrebbero fissare a livello UE norme minime concernenti i provvedimenti di trattenimento che definiscano la competenza delle autorità responsabili e le condizioni necessarie per il trattenimento. Tali norme potrebbero riguardare l'identificazione dei gruppi che non dovrebbero, in linea generale, essere soggetti a trattenimento, o solo in condizioni specifiche. In ogni caso, il provvedimento che ordina il trattenimento dovrebbe essere emesso e confermato dall'autorità giudiziaria entro i limiti di legge.

Inoltre, si potrebbero ipotizzare norme minime sulle modalità trattenimento, in particolare sulle condizioni di alloggio, al fine di garantire in tutte le strutture per il trattenimento degli Stati membri un trattamento umano. In ogni caso, si dovrebbe assicurare, ove non siano disponibili strutture per il trattenimento specifiche o se la loro capacità sia esaurita, che le persone interessate dalle misure in questione, trattenute in penitenziari ordinari, possano essere separate dai condannati al fine di evitare qualsiasi criminalizzazione.

La durata prevista per il trattenimento in attesa dell'accompagnamento alla frontiera varia largamente da uno Stato membro all'altro: si va da limiti fissi di pochi giorni a limiti prorogabili di vari mesi, fino alla mancanza di qualsiasi limite. Di conseguenza, andrebbe ulteriormente esaminata la possibilità di fornire indicazioni sulla durata media o massima del trattenimento a fini di rimpatrio. Infine, si dovrebbero anche valutare attentamente alternative tecniche o giuridiche al trattenimento, che siano altrettanto efficienti.

Si dovrebbero fissare norme vincolanti sul trattenimento e quali alternative ad esso dovrebbero essere prese in considerazione-

Quali norme vincolanti in termini di condizioni giuridiche necessarie e di esecuzione dovrebbero essere fissate a livello comunitario in materia di trattenimento in attesa dell'accompagnamento alla frontiera-

Quali gruppi non dovrebbero essere oggetto di trattenimento o solo in circostanze eccezionali-

Quali standard in materia di alloggio dovrebbero essere previsti per le persone in attesa di rimpatrio che sono oggetto di misure di trattenimento-

Che termini dovrebbero essere fissati per limitare al massimo la durata del trattenimento-

3.1.4. Accompagnamento alla frontiera

Anche l'accompagnamento, in quanto atto che impone alla persona interessata il rimpatrio, potrebbe essere oggetto di un'armonizzazione a livello UE. A questo proposito, norme minime potrebbero essere previste in quattro settori.

In primo luogo, si potrebbe ipotizzare in questo contesto una salvaguardia finale in relazione al principio del non-refoulement sulla base delle norme del diritto internazionale, nei casi in cui tale aspetto non sia disciplinato da altre norme legislative comunitarie in tema di protezione internazionale.

In secondo luogo, si potrebbero fissare requisiti di base per quanto attiene allo stato fisico e alla capacità mentale della persona interessata, al fine di poter reagire adeguatamente nel caso quest'ultima dichiari di soffrire diuna malattia solo immediatamente prima della partenza, o di soffrire per il suo stato psicologico nelle stesse circostanze. Si dovrebbe inoltre affrontare la questione del trattamento dei gruppi vulnerabili, come i minori, nonché il delicato tema della possibilità o meno di separare le famiglie durante le procedure di accompagnamento.

In terzo luogo, si potrebbero ipotizzare norme di esecuzione - vale a dire norme di sicurezza applicabili all'accompagnamento alla frontiera propriamente detto, sull'impiego di strumenti di coercizione e le competenze delle scorte.

Infine, si potrebbe ipotizzare un meccanismo che consenta agli Stati membri di semplificare l'attuale pratica di rimpatrio in relazione a paesi di origine specifici; gravi motivi di ordine umanitario possono infatti rendere dubbia l'opportunità di eseguire allontanamenti verso determinati paesi (un esempio attuale è l'Angola). Gli Stati membri potrebbero cercare di giungere a una valutazione comune quanto alla fattibilità degli allontanamenti e definire un elenco di paesi in cui, temporaneamente, non si dovrebbe rinviare nessuno. A questo scopo, sarebbe opportuno tenere conto del parere di organizzazioni quali l'ACNUR o le amministrazioni ONU (es. UNMIK in Kosovo), nonché di altri operatori competenti.

È necessario integrare una salvaguardia finale del principio del non-refoulement in una futura direttiva sulle norme minime per le procedure di rimpatrio-

Quali livelli dovrebbero essere ipotizzati in relazione allo stato fisico e alla capacità mentale delle persone oggetto di misure di rimpatrio-

Quali norme dovrebbero essere definite per quanto riguarda l'impiego di strumenti di coercizione o le competenze delle scorte-

Si dovrebbe procedere a una valutazione comune in relazione all'accompagnamento verso paesi specifici, dove la situazione rende dubbia l'opportunità degli allontanamenti stessi-

3.1.5. Riconoscimento reciproco delle decisioni di rimpatrio

La direttiva 2001/40/CE relativa al riconoscimento reciproco delle decisioni di allontanamento dei cittadini di paesi terzi [15], deve essere considerata un primo passo verso la possibilità di eseguire le decisioni di allontanamento emesse da uno Stato membro in un altro, senza che quest'ultimo debba emettere una nuova decisione di allontanamento.

[15] Cfr. GU L 149 del 2 giugno 2001, pag. 34.

La direttiva, tuttavia, non implica una quadro vincolante per il riconoscimento reciproco di tali decisioni. Si tratta tuttavia di un passo logico per garantire il rimpatrio efficiente delle persone soggiornanti illegalmente, che, dopo l'emissione di una decisione di allontanamento da parte di uno Stato membro, si sono nascoste e sono state prese in un altro. Le stesse conseguenze legali potrebbero essere previste nel caso di persone soggiornanti illegalmente che devono transitare attraverso altri Stati membri nel corso dell'accompagnamento. Potrebbe essere opportuno introdurre norme giuridiche comuni in merito all'istituzione di un quadro giuridicamente vincolante di riconoscimento reciproco di tutte le misure che pongono fine a un soggiorno, in particolare le decisioni di allontanamento.

Un quadro vincolante per il riconoscimento reciproco di atti amministrativi o giudiziari connessi al rimpatrio potrebbe essere integrato in una futura proposta sulle procedure di rimpatrio, tenendo debitamente conto anche dei necessari progressi dell'armonizzazione nel campo dell'asilo. Esso potrebbe includere anche criteri appropriati e disposizioni pratiche per quanto attiene agli squilibri finanziari che possono essere determinati da tali decisioni.

Si dovrebbe istituire un sistema vincolante e generale per il riconoscimento reciproco delle decisioni di rimpatrio, che vada oltre la direttiva 2001/40/CE-

Quale approccio potrebbe garantire una soluzione equa a eventuali squilibri finanziari che possono risultare dal riconoscimento reciproco delle decisioni di rimpatrio-

3.1.6. Prove di partenza e di reingresso

Una prova soddisfacente della partenza appare importante, in particolare nei casi di rimpatrio volontario, per garantire un rimpatrio sostenibile e consentire un trattamento preferenziale a chi rientra spontaneamente, in particolare per evitare che in tali casi alle persone venga negata in seguito l'autorizzazione al reingresso legale nella UE per la mancanza di una prova della precedente partenza volontaria. Si potrebbero ipotizzare varie forme di prove. Un certificato di attraversamento delle frontiere fornisce informazioni soltanto sul fatto che la persona in oggetto ha attraversato la frontiera di uno Stato membro, ma non sul fatto che essa abbia raggiunto il paese di destinazione previsto. Tale certificato, tuttavia, in conseguenza dell'abolizione dei controlli alle frontiere interne, può essere rilasciato solo ai posti di frontiera esterni. Un'altra opzione consiste nell'introdurre incentivi affinché le persone interessate da tali misure siano indotte a presentarsi personalmente al consolato di uno Stato membro nel paese di origine. Eventualmente, la prova della partenza potrebbe essere rilasciata anche da un'organizzazione affidabile, coinvolta nel processo di rimpatrio. Si potrebbe promuovere in vari modi la partecipazione a questo processo di verifica da parte delle persone rientrate nel paese di origine. Un'ipotesi consisterebbe nel versare gli aiuti previsti da un programma di rimpatrio volontario, destinati alle spese iniziali dopo il rientro o al reinsediamento, solo nel paese di destinazione, demandando tale compito a un'autorità che gestisce il rimpatrio volontario o a una rappresentanza consolare dello Stato membro interessato.

Si potrebbero ulteriormente esaminare anche le conseguenze giuridiche del rimpatrio su una successiva richiesta di reingresso. Potrebbe essere auspicabile a questo proposito introdurre un approccio coerente ai motivi per cui viene in seguito negato il diritto di ingresso. A tale scopo, sarebbe necessario definire in quali circostanze è esclusa una nuova richiesta di visto o di permesso di soggiorno. In tale contesto si potrebbero esaminare migliori requisiti armonizzati di notifica nell'elenco del SIS relativo agli ingressi negati in base all'art. 96 della Convenzione che attua l'accordo di Schengen o in un futuro sistema europeo di identificazione dei visti.

Applicando il principio della priorità dei rimpatri volontari, si potrebbe valutare se introdurre una distinzione in base a cui le persone che rientrano volontariamente ricevono un trattamento privilegiato rispetto a quelle che devono essere allontanate. Il rifiuto di concedere in seguito un visto per rientrare nella UE non potrebbe basarsi esclusivamente sul fatto che la persona in questione ha soggiornato in precedenza in uno Stato membro illegalmente, a condizione che essa sia rientrata volontariamente. Il rientro volontario potrebbe pertanto compensare il precedente soggiorno illegale. Oltre a ciò, un effetto legale di questo tipo costituirebbe un incentivo a rispettare l'obbligo di presentarsi all'autorità competente nel paese di origine. D'altro canto, si potrebbero imporre restrizioni a coloro che sono stati allontanati o accompagnati. Si potrebbero introdurre determinati limiti di tempo per categorie diverse, come i cittadini di paesi terzi che sono stati condannati per reati gravi o le persone accompagnate.

Si dovrebbe inserire, in una futura proposta sulle procedure di rimpatrio, un meccanismo relativo alla prova della partenza da parte della persona in oggetto e norme sulle conseguenze giuridiche delle richieste di reingresso nell'UE-

Si dovrebbero definire prerequisiti per la notifica nell'elenco del Sistema d'informazione Schengen relativo agli ingressi respinti- Quali categorie dovrebbero riguardare-

3.2. Norme sulla riammissione fra Stati membri

A parte il contesto della Convenzione di Dublino e il meccanismo per la determinazione della competenza in relazione alle richieste di asilo, nonché l'art. 11 della direttiva 2001/55/CE del Consiglio sulla protezione temporanea [16], la riammissione fra Stati membri ha luogo esclusivamente sulla base di accordi bilaterali o di cooperazione informale [17]. Nel 1999 la Finlandia ha presentato un'iniziativa volta all'adozione di un regolamento del Consiglio che determina gli obblighi fra gli Stati membri in merito alla riammissione di cittadini di paesi terzi [18]. Questo approccio comunitario, tuttavia, non ha ancora sortito effetti concreti.

[16] Art. 11: "Uno Stato membro riammette una persona che gode della protezione temporanea nel suo territorio qualora essa soggiorni o tenti di entrare illegalmente nel territorio di un altro Stato membro nel periodo previsto dalla decisione del Consiglio di cui all'articolo 5. Gli Stati membri, sulla base di un accordo bilaterale, possono decidere di non applicare la presente disposizione."

[17] Ma cfr. anche COM (2001) 127 def., art. 26 della proposta sui residenti di lungo periodo.

[18] GU C 353 del 7 dicembre 2001, pag. 6.

Andrebbero valutate le possibilità di procedere su questa strada sulla base dell'iniziativa finlandese o mediante una proposta modificata, al fine di stabilire un contesto giuridico chiaro per la riammissione negli Stati membri, che appare necessario e utile. Tale sistema dovrebbe avere una portata più ampia di quello per la determinazione della competenza in relazione alle richieste di asilo in base alla Convenzione di Dublino o al regolamento del Consiglio che ne prenderà il posto [19]. Dovrebbe includere disposizioni sulla riammissione in un altro Stato membro di tutti i cittadini di paesi terzi senza permesso di soggiorno.

[19] Cfr. COM (2001) 447 def.

Si dovrebbe introdurre un quadro giuridico per la riammissione fra Stati membri che riguardi tutti i cittadini di paesi terzi privi di permesso di soggiorno-

3.3. Norme sul transito fra Stati membri.

Si potrebbe stabilire un quadro comune per questioni connesse al transito durante il processo di rimpatrio. Spesso è necessario utilizzare aeroporti di altri Stati membri per mancanza di collegamenti con il paese di rientro. In tali casi appare importante stabilire un quadro giuridico chiaro per la procedura di transito, es. uso e competenze delle scorte in transito e norme sul mancato rientro.

È inoltre necessario trovare soluzioni pragmatiche per le persone oggetto di misure di rimpatrio che attraversano frontiere internazionali di Stati membri, in particolare nel caso di rimpatri volontari. Il problema riveste particolare importanza se la persona in oggetto proviene da un paese per cui vige l'obbligo di visto, e avrebbe pertanto bisogno di un visto per attraversare il territorio degli altri Stati membri. In tale caso, per rendere il rientro il meno "burocratico" possibile, si potrebbe ipotizzare l'utilizzo di un documento di viaggio uniforme sicuro, rilasciato dallo Stato membro che rimpatria la persona, riconosciuto da tutti gli Stati membri ed equiparato a un visto. Un'altra possibilità sarebbe l'esenzione dal requisito di visto, tenendo presente che tale esenzione implicherebbe una modifica della normativa comunitaria in vigore.

Quali proposte in materia di transito durante le procedure di rimpatrio dovrebbero essere presentate, tenendo debitamente conto delle discussioni attualmente in corso al Consiglio-

3.4. Cooperazione operativa

Spesso gli Stati membri devono far fronte a numerosi ostacoli quando eseguono i rimpatri, in particolare quelli forzati: residenza o identità della persona ignote, documenti di viaggio mancanti o difficoltà nella cooperazione con alcuni Stati quanto al rilascio di documenti di viaggio o di identità; resistenza della persona oggetto della misura; mancanza di mezzi di trasporto adeguati.

Il miglioramento della cooperazione fra Stati membri potrebbe contribuire a risolvere numerosi problemi pratici. Tale cooperazione potrebbe essere favorita dall'istituzione del Meccanismo di sostegno tecnico, proposto nella recente comunicazione su una politica comune in materia di immigrazione illegale [20], nonché da un utilizzo corretto del sostegno finanziario offerto dal programma di azione recentemente proposto ARGO. [21]

[20] COM (2001) 672 def.

[21] Cfr. COM (2001) 567 def.

Come si potrebbe migliorare la cooperazione operativa a livello tecnico-

3.4.1. Miglioramento della conoscenza del fenomeno

Alcune cifre sui rimpatri vengono raccolte a livello UE. In base ai dati disponibili, nel 2000 sono state allontanate in totale 367 552 persone [22], mentre nel 1999 [23] gli stranieri allontanati sono stati 324 206. Nel quadro dei programmi di rimpatrio volontario assistito, gestiti dall'IOM, nel 2000 hanno lasciato volontariamente la UE 87 628 persone, mentre nel 1999 il loro numero è stato di 78 273 [24].

[22] Fonte: Eurostat - nessun dato per IRL, NL e UK, dati mancanti per B, DK e LUX.

[23] Fonte: Eurostat - nessun dato per DK, IRL, NL e UK, dati mancanti per FIN.

[24] Fonte: IOM. La maggior parte dei rientri volontari hanno avuto luogo in partenza dalla Germania (anno 2000: 68 648; anno 1999: 58 469).

Tuttavia, gli Stati membri potrebbero condividere informazioni più complete [25] e più dettagliate in materia di rimpatri volontari e di allontanamenti, sulla base di definizioni comuni che eliminerebbero i problemi di comparabilità. La Commissione presenterà un piano d'azione [26] per attuare la decisione del Consiglio del maggio 2001 volta a introdurre una relazione annuale pubblica in materia di asilo e di migrazione, che dovrebbe includere una sezione in cui vengono analizzati i dati sul rimpatrio. Eventualmente anche un Osservatorio europeo sulle migrazioni, attualmente in fase di sviluppo, potrebbe contribuire a migliorare le conoscenze in materia di rimpatrio.

[25] Le cifre sugli stranieri allontanati nel 2001 non possono essere presentate ancora a causa del mancato invio dei dati da parte di alcuni Stati membri.

[26] Cfr. anche SEC (2001) 602 del 9 aprile 2001.

Come si potrebbe migliorare la base di informazioni sui rientri-

3.4.2. Identificazione e documentazione

Il principale ostacolo all'esecuzione tempestiva dei rimpatri è la confusione quanto all'identità e la mancanza di documenti di viaggio corretti. I paesi di origine spesso rimandano o negano il rilascio dei documenti di viaggio per mancanza di informazioni sulla nazionalità o l'identità. Gli Stati membri UE hanno pertanto introdotto un documento di viaggio standard a fini di allontanamento [27]. I paesi di rientro, tuttavia, non accettano mai o solo occasionalmente oppure esclusivamente in casi specifici il lasciapassare UE e per lo più insistono sull'utilizzo dei propri documenti di rientro.

[27] GU C 274 del 19 settembre 1996, pag. 18.

Una questione chiave per risolvere i problemi connessi al rimpatrio è pertanto l'esecuzione di misure di identificazione adeguate nel corso delle procedure amministrative, quando la persona ha interesse a fornire dati corretti. Altrimenti, lo Stato membro potrebbe introdurre opportune misure di identificazione durante le procedure di richiesta del visto. Nella sua comunicazione sull'immigrazione illegale, la Commissione ha espresso il proprio sostegno alla creazione di un sistema europeo d'identificazione dei visti on-line, i cui dati potrebbero essere messi a disposizione anche a fini di rimpatrio. Tale approccio, che è stato integrato nel piano d'azione del Consiglio sull'immigrazione illegale del 28 febbraio 2002, dovrebbe anche rispondere al problema di raggiungere un equilibrio fra giustificate esigenze di identificazione e diritto alla riservatezza di migranti e viaggiatori in regola.

Come si potrebbe migliorare l'identificazione di persone soggiornanti illegalmente prive di documenti e il rilascio di documenti di viaggio a fini di rimpatrio-

Quali elementi dovrebbero essere integrati nel futuro sistema europeo d'identificazione dei visti per garantire l'identificazione di una persona priva di documenti soggiornante illegalmente-

3.4.3. Ruolo dei funzionari di collegamento sull'immigrazione

I funzionari di collegamento sull'immigrazione, distaccati nei paesi di origine o di transito, potrebbero svolgere anche compiti connessi ai rimpatri. I contatti esistenti con le autorità locali potrebbero garantire una gestione più agevole delle ammissioni nei paesi in oggetto, nonché assistenza alle persone rimpatriate in arrivo ed, eventualmente, alle scorte. La rete di funzionari di collegamento sull'immigrazione potrebbe essere ulteriormente sviluppata a questo fine.

Gli Stati membri potrebbero offrire un'assistenza reciproca per facilitare i rimpatri-

3.4.4. Migliori pratiche, formazione e scambio di informazioni

Si potrebbe migliorare la situazione di tutto il personale responsabile di un compito difficile e impegnativo come l'esecuzione dei rimpatri. In tale contesto andrebbe messa in rilievo l'ipotesi di fornire al personale una formazione apposita affinché gestisca gli allontanamenti in modo adeguato.

A tale scopo, l'esperienza acquisita potrebbe essere condivisa fra gli esperti e il personale degli Stati membri coinvolti sia nei programmi di rimpatrio volontario che nelle procedure di accompagnamento. Oltre all'organizzazione di seminari si potrebbe ipotizzare anche una formazione congiunta del personale.

Inoltre, per mettere in comune le risorse, si potrebbe potenziare lo scambio di informazioni su operazioni concrete di rimpatrio. Per coordinare lo scambio di informazioni specifiche, potrebbe inoltre dimostrarsi utile un meccanismo di sostegno tecnico.

Come si potrebbe migliorare lo scambio delle migliori pratiche-

Si dovrebbe sviluppare l'idea della formazione congiunta nel settore del rimpatrio-

Come si potrebbe potenziare lo scambio di informazioni su operazioni concrete di rimpatrio-

3.5. Programmi di rimpatrio

3.5.1. Esperienze acquisite a seguito dell'esecuzione dei programmi di rimpatrio

La Commissione ha esperienza nella gestione di progetti volti a incoraggiare il rientro volontario dei rifugiati, dei richiedenti asilo respinti e di altri migranti nei paesi di origine. Dal 1997 sono stati finanziati numerosi progetti nel quadro sia delle azioni comuni [28] che del Fondo europeo per i rifugiati [29]. Tali progetti sono stati volti soprattutto a finanziare azioni gestite dai governi, a livello sia nazionale che regionale, nonché da organizzazioni internazionali e non governative. Ci si è pertanto concentrati sull'esigenza di convincere gli individui e le rispettive famiglie a decidere di rimpatriare, gestendo i progetti essenzialmente nello Stato membro stesso. L'esperienza ha rivelato l'importanza di inserire nel progetto una fase di sostegno nell'ambito del paese di origine; in caso contrario l'interessato, di fronte a ostacoli materiali, alla mancanza di occupazione o ad altre difficoltà, mostra la tendenza a cercare di rientrare nel paese ospite.

[28] Cfr. GU L 114 del 1° maggio 1999, pag. 2; GU L 138 del 9 maggio 1998, pag. 6; GU L 205 del 31 luglio 1997, pag. 3.

[29] Di seguito "FER", cfr. decisione del Consiglio, del 28 settembre 2000, che istituisce un Fondo europeo per i rifugiati, GU L 252 del 6 ottobre 2000, pag. 12-18.

Per quanto riguarda le azioni comuni, i progetti si sono concentrati sui seguenti aspetti: formazione professionale, preparazione al rientro mediante visite esplorative finanziate e consulenza generale sulla situazione nel paese di origine, occupazione, assistenza per la creazione di piccole imprese nel paese di origine, assistenza dopo il rientro e seguito. Le difficoltà incontrate nella gestione dei progetti sono state effettivamente molto numerose ma, di solito, non insormontabili: ostacoli politici connessi alla situazione nel paese di rientro, ostacoli provocati dalla riluttanza a rientrare in un paese che offre scarse prospettive, rilascio di documenti di viaggio a rimpatriati potenziali che avevano quindi il diritto di rientrare nel paese ospite se lo desideravano, e, non raramente, un elemento di abuso da parte dei beneficiari dei progetti. Si è rilevato anche che, se i progetti di rimpatrio non erano accuratamente abbinati alla ricostruzione (ad esempio in Bosnia), era inutile cercare di far tornare le persone in villaggi in cui non avevano alcuna prospettiva di occupazione o di alloggio.

Pur senza trascurare queste difficoltà, la Commissione può tuttavia segnalare progetti di rimpatrio che hanno avuto maggiore successo. Si possono citare alcuni esempi di programmi di formazione volti a incentivare le abilità imprenditoriali (in particolare per i bosniaci soggiornanti in Germania), i cui risultati sono stati superiori alle aspettative. In linea generale, i progetti gestiti da organizzazioni dotate di una lunga esperienza e di una metodologia fortemente sviluppata hanno ottenuto risultati migliori.

Andrebbero messi in rilievo i seguenti elementi, presenti nei progetti che hanno consentito rientri sostenibili:

* sufficiente conoscenza, da parte dell'organizzazione attuatrice, del paese di origine;

* concretizzazione dei rapporti dell'organizzazione con il paese di origine attraverso un ufficio, una persona di contatto o l'utilizzo dell'infrastruttura di un'altra organizzazione nel paese in oggetto e collaborazione con le locali organizzazioni della società civile;

* selezione dei rimpatriati potenziali sulla base delle rispettive esigenze e di ciò che offre il progetto (progetti per piccole imprese gestite in modo professionale - es. valutando la redditività dell'impresa, le abilità dei potenziali imprenditori, ecc.);

* tasso di successi più elevato fra i progetti di carattere globale, vale a dire quelli che includono consulenza, formazione professionale, nonché assistenza e seguito dopo il rientro;

* impatto misurabile dell'assistenza e (almeno) della consulenza dopo il rientro sulla sostenibilità del rientro stesso;

* maggiori speranze di successo, entro certi limiti, dei progetti che aiutano la comunità di rientro. Quando le comunità locali traggono vantaggi dal rimpatrio, risulta ridotta o completamente eliminata l'ostilità nei confronti dei rimpatriati;

* miglioramento delle percentuali di successo dei progetti che, pur avendo sede negli Stati membri UE, riuscivano a gestire le risorse disponibili tramite altri progetti e programmi con sede nel paese di origine (costruzione, infrastruttura, creazione di scuole, creazione di posti di lavoro, ecc.).

Potete dare una valutazione generale dei programmi di rimpatrio esistenti-

Gli elementi suddetti garantiscono una migliore attuazione dei programmi di rimpatrio e quali altri elementi andrebbero citati-

3.5.2. Esame di un programma europeo di rimpatrio

Poiché gli Stati membri hanno accantonato fondi consistenti in vista dell'attuazione di programmi di rimpatrio volontario e operazioni di rimpatrio forzato, tutti gli elementi di cui sopra, e anche altri, dovrebbero essere tenuti in considerazione nell'ambito di un esercizio di valutazione congiunto da condurre nel quadro del metodo aperto di coordinamento. Si dovrebbe poi tenere conto delle conclusioni di tale valutazione al momento del rinnovo del Fondo europeo per i rifugiati che scadrà, nella sua forma attuale, nel 2004.

Sulla scorta di ulteriori valutazioni dell'esperienza acquisita con il Fondo europeo per i rifugiati, si potrebbe ipotizzare la creazione di un programma europeo indipendente di rimpatri per i residenti a lungo termine, a condizione che si possa chiaramente individuare il valore aggiunto di un programma finanziato dalla CE in tale settore. Si potrebbe ritenere necessario sostenere gli sforzi degli Stati membri per rimpatriare persone soggiornanti illegalmente, in quanto tutti i rimpatri sostenibili di persone soggiornanti illegalmente sono nell'interesse di tutti gli Stati membri poiché consentono di evitare movimenti secondari. Un programma europeo autonomo di rimpatri potrebbe coprire i rientri volontari, i rimpatri forzati e il sostegno al rimpatrio dei migranti irregolari nei paesi di transito.

In un programma di rimpatri, il rientro e il reinserimento potrebbero costituire l'obiettivo politico principale per quanto attiene al rimpatrio volontario. Un'altra ipotesi consiste nel fornire un sostegno per l'insediamento in un paese terzo disponibile ad accettare migranti. Si potrebbe concedere un'assistenza finanziaria per le spese di viaggio individuali, il trasporto di beni personali, le prime spese dopo il rimpatrio, nonché un finanziamento ridotto per l'avvio.

Un ulteriore elemento di un programma europeo di rimpatri potrebbe essere il sostegno finanziario delle misure coercitive, che potrebbe contribuire a mettere in rilievo l'esigenza di solidarietà fra gli Stati membri in materia di rimpatri, per quanto riguarda, ad esempio, le spese di viaggio delle scorte e delle persone oggetto dei provvedimenti.

Si potrebbe infine fornire un'assistenza ai paesi terzi affinché favoriscano il rimpatrio di migranti illegali, se non soddisfano le condizioni di ingresso nel paese interessato e sono in transito per entrare illegalmente nell'UE.

È auspicabile elaborare un Programma europeo indipendente di rimpatri-

Tale programma dovrebbe coprire il rimpatrio volontario, il rimpatrio forzato e l'assistenza ai paesi terzi nello sforzo di far rientrare le persone nel paese di origine-

4. Parte III - Verso una politica comune di riammissione

Nella conclusione n. 26 del Consiglio europeo di Tampere dell'ottobre 1999 si fa riferimento all'obbligo internazionale degli Stati di riammettere i propri cittadini. Nella conclusione n. 27 si ribadisce inoltre che il trattato di Amsterdam conferisce alla Comunità poteri in materia di riammissione. Il Consiglio è stato pertanto invitato a concludere accordi di riammissione o a includere clausole standard di riammissione in altri accordi fra la Comunità europea e paesi terzi interessati o gruppi di paesi. Questa conclusione si basava sul riconoscimento del fatto che, in linea di massima, tali accordi costituiscono uno strumento valido in una politica attiva di rimpatrio perché definiscono chiaramente obblighi e procedure finalizzati a facilitare a accelerare i rimpatri. Inoltre, essi forniscono un quadro istituzionale affidabile per la cooperazione e contribuiscono a indebolire la credibilità e gli interessi finanziari delle reti di tratta di esseri umani.

Questi principi sono stati ulteriormente ribaditi dalla conclusione n. 40 del Consiglio europeo di Laeken del dicembre 2001, in cui si sollecita l'integrazione, nella politica estera dell'Unione europea, della politica sui flussi migratori, mettendo in luce, in particolare, il fatto che gli accordi europei di riammissione devono essere conclusi con i paesi interessati sulla base di un nuovo elenco di priorità e di un piano d'azione chiaro.

La valutazione dei futuri paesi obiettivo dovrebbe essere fatta sulla base dei seguenti criteri:

(1) La pressione migratoria sulla UE, e/o

(2) La coerenza regionale, e/o

(3) La prossimità geografica alla UE.

Andrebbero presi in considerazione ulteriori criteri per questa valutazione-

4.1. Accordi di riammissione e clausole di riammissione nei trattati di associazione o di cooperazione

4.1.1. Accordi comunitari di riammissione

Per quanto riguarda gli accordi comunitari di riammissione, fino ad ora la Commissione è stata autorizzata a negoziare accordi di tale tipo con la Russia, il Marocco, il Pakistan, lo Sri Lanka e le regioni amministrative speciali cinesi di Hong Kong e Macao, in conformità dell'art. 300 TCE. Il 22 novembre 2001, la Commissione ha siglato l'accordo con Hong Kong, che dovrebbe diventare il primo accordo di riammissione mai concluso dalla Comunità europea.

La Commissione proseguirà i negoziati in corso al fine di completarli a tempo debito e - per quanto possibile - in linea con le direttive di negoziato. Dall'andamento estremamente diversificato dei negoziati con la prima serie di sei paesi, tuttavia, si può già trarre una conclusione importante. Poiché gli accordi di riammissione sono nell'esclusivo interesse della Comunità, la loro conclusione positiva dipende in larga misura dall'effetto "leva" di cui dispone la Commissione ed è importante osservare che, nel settore GAI, la Commissione ha ben poco da offrire in cambio. In particolare, facilitazioni nel rilascio dei visti o l'eliminazione del requisito del visto sono un'opzione realistica solo in casi eccezionali (es. Hong Kong, Macao), ma non nella maggior parte dei casi. La Commissione desidera pertanto invitare il Consiglio ad esaminare approfonditamente questa complessa problematica, in particolare riflettendo sulla possibilità di sviluppare la complementarità con altre politiche comunitarie perché contribuiscano al conseguimento degli obiettivi comunitari nel campo del rimpatrio e della riammissione.

In che modo si potrebbe incentivare ulteriormente la complementarità e la coerenza fra le varie politiche comunitarie-

4.1.2. Clausole standard di riammissione

Parallelamente all'approccio indicato, la Commissione continuerà a inserire clausole standard di riammissione in tutti i futuri accordi di associazione e di cooperazione. Le clausole attuali sono state adottate dal Consiglio il 3 dicembre 1999 [30] in revisione di quelle del 1996 [31], al fine di adeguare queste ultime alla nuova situazione giuridica derivante dall'entrata in vigore del trattato di Amsterdam. Tali clausole non costituiscono accordi di riammissione in senso stretto, in quanto rappresentano solo "clausole abilitanti", volte cioè esclusivamente a impegnare le parti contraenti a riammettere i propri cittadini, i cittadini di paesi terzi e gli apolidi. Ma le disposizioni operative vere e proprie e le modalità procedurali sono lasciate alle convenzioni di attuazione che dovranno essere concluse a livello bilaterale dalla Comunità o dai singoli Stati membri. Nell'adottare le attuali clausole del dicembre 1999, il Consiglio ha chiarito che esse dovranno essere inserite in tutti gli accordi che verranno conclusi in futuro dalla Comunità, mentre le "vecchie" clausole del 1996 devono essere inserite solo in casi specifici, il che, durante i negoziati, ha provocato spesso accuse di discriminazione a carico dellaUE. Pur deviando parzialmente dal testo standard, dal 1996 sono state incluse clausole di riammissione, fra l'altro, negli accordi con l'Algeria [32], l'Armenia [33], l'Azerbaigian [34], la Croazia [35], l'Egitto [36], la Georgia [37], il Libano [38], la Macedonia [39], l'Uzbekistan [40], nonché nell'Accordo di Cotonou fra l'UE e i paesi ACP [41]. Tali norme sono attualmente oggetto di negoziati con una serie di altri paesi.

[30] Cfr. Doc. del Consiglio 13409/99.

[31] Cfr. Doc. del Consiglio 4272/96.

[32] Siglato il 19 dicembre 2001.

[33] GU L 239 del 9 settembre 1999, pag. 22.

[34] GU L 246 del 17 settembre 1999, pag. 23.

[35] COM (2001) 371 def. del 9 luglio 2001, pag. 46.

[36] GU C 304E del 30 ottobre 2001, pag. 16.

[37] GU L 205 del 4 agosto 1999, pag. 22.

[38] Siglato il 10 gennaio 2002.

[39] GU C 213E del 31 luglio 2001, pag. 44.

[40] GU L 229 del 31 agosto 1999, pag. 22.

[41] GU L 317 del 15 dicembre 2000, pag. 10/11.

4.2. Regimi e accordi di transito e di ammissione con altri paesi terzi

Altre forme di cooperazione con i paesi terzi su temi connessi al rimpatrio potrebbero anche essere utili per trovare soluzioni quando non è possibile o opportuno il rimpatrio diretto nel paese di origine. Qualora non esistano, o siano carenti, i collegamenti con il paese in oggetto, si potrebbe valutare la disponibilità di paesi terzi disposti a collaborare in merito al transito di persone verso il paese di origine. Eventualmente, si potrebbero definire regimi di transito.

Si potrebbe inoltre valutare se sia realizzabile coinvolgere i paesi terzi per trovare alternative al rimpatrio. Se ciò risulta accettabile per lo Stato membro e adeguato per le persone oggetto delle misure di rimpatrio, si potrebbe esaminare anche l'eventuale disponibilità di altri paesi terzi ad ammettere tali persone per un periodo di tempo limitato o come soluzione definitiva.

Quali idee alternative di rimpatrio si potrebbero ipotizzare nel dialogo con altri paesi terzi-

5. Conclusione

La Commissione ha cercato di delineare una politica comunitaria di rimpatrio, che costituisce una necessità nel quadro del processo per lo sviluppo di una politica europea generale in materia di asilo e di immigrazione. L'obiettivo primario del Libro verde è sollecitare reazioni da tutte le parti interessate e avviare un'ampia discussione fra di esse. Il Parlamento europeo, il Consiglio, il Comitato economico e sociale, il Comitato delle regioni, i paesi candidati, i paesi terzi partner, le organizzazioni governative internazionali, le organizzazioni non governative, le università, nonché le altre organizzazioni della società civile e gli individui interessati sono invitati a fornire il proprio contributo al dibattito.

Al fine di integrare i risultati del dibattito avviato con il presente Libro verde e per preparare un'audizione sulla politica comunitaria di rimpatrio nell'estate 2002, la Commissione invita tutte le parti interessate a inviare le proprie osservazioni per iscritto, entro il 30 giugno 2002, al seguente indirizzo:

Il Direttore generale

Direzione generale "Giustizia e affari interni"

Commissione europea

Rue de Luxembourg 46

B-1049 Bruxelles

jai-immigration@cec.eu.int

ALLEGATO I - Definizioni proposte

Termine // Definizione

Rimpatrio // Denominazione dell'area della politica. Il rimpatrio comprende in linea generale la preparazione o l'attuazione delle azioni necessarie per il rinvio della persona nel paese di origine o di transito, indipendentemente dal carattere volontario o forzato della misura

Persona soggiornante illegalmente // Qualsiasi persona che non soddisfi, o non soddisfi più, le condizioni di ingresso, presenza o soggiorno nel territorio degli Stati membri dell'Unione europea

Rimpatrio volontario // Il ritorno nel paese di origine o di transito a seguito di una decisione dell'interessato e senza impiego di misure coercitive

Rimpatrio forzato // Il ritorno nel paese di origine o di transito sotto minaccia e/o impiego di misure coercitive.

Rimpatrio forzato senza resistenza // Ritorno forzato sotto minaccia e impiego di misure coercitive lievi, es. scorte.

Rimpatrio forzato con resistenza // Ritorno forzato sotto minaccia e impiego di misure coercitive gravi, es. arresto.

Riammissione // Decisione di uno Stato di destinazione in merito al reingresso di un individuo

Accordo di riammissione // Accordo che definisce le procedure pratiche e le modalità di trasporto per il rimpatrio e la riammissione, ad opera delle parti contraenti, di persone illegalmente soggiornanti nel territorio di una delle parti contraenti.

Rientro // Rimpatrio nel paese di origine, in situazioni di rimpatrio sia volontario che forzato.

Allontanamento // Atto giuridico o amministrativo che pone fine alla legalità di un soggiorno precedentemente regolare, es. in caso di reati

Ordine di allontanamento // Decisione giuridica o amministrativa volta a definire il fondamento giuridico dell'allontanamento

Trattenimento // Atto esecutivoe, che consiste nella privazione della libertà personale, all'interno di una struttura chiusa, inin applicazione di norme di legge

Provvedimento di trattenimento // Decisione giuridica o amministrativa volta a definire il fondamento giuridico del trattenimento

Accompagnamento alla frontiera // Atto esecutivo, che comporta il trasporto fisico fuori dal paese

Ordine di accompagnamento alla frontiera // Decisione giuridica o amministrativa volta a definire il fondamento giuridico dell'accompagnamento alla frontiera.

Reingresso // Nuova ammissione nel territorio di uno Stato dopo una precedente partenza.

Respingimento // Rifiuto dell'ingresso (legale) a un posto di frontiera

Transito // Soggiorno o passaggio attraverso un paese terzo durante il viaggio dal paese di partenza a quello di destinazione.