52000DC0757

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comunitaria in materia di immigrazione /* COM/2000/0757 def. */


COMUNICAZIONE DELLA COMMISSIONE AL CONSIGLIO E AL PARLAMENTO EUROPEO SU UNA POLITICA COMUNITARIA IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE

Indice

Sommario

1. PERCHè UNA NUOVA IMPOSTAZIONE IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE-

2. IL QUADRO DI TAMPERE PER UNA POLITICA DELL'UE IN MATERIA DI ASILO E IMMIGRAZIONE

2.1. Partenariato con i paesi d'origine

2.2. Un regime europeo comune in materia di asilo

2.3. Equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi

2.4. Gestione dei flussi migratori

3. VERSO UNA POLITICA DELLA COMUNITÀ IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE

3.1. Effetto delle politiche dell'immigrazione in vigore

3.2. Sviluppo di una nuova impostazione in materia di immigrazione

3.3. quadro per una politica dell'UE in materia di immigrazione

3.4. Ammissione di immigranti

3.4.1. Valutazione dei livelli adeguati di immigrazione

3.4.2. Definizione di un quadro giuridico comune per l'ammissione

3.5. Integrazione dei cittadini dei paesi terzi

3.6. Informazione, ricerca e controllo

4. CONCLUSIONI E SEGUITO

ALLEGATO 1 Il contesto demografico ed economico

ALLEGATO 2 Rassegna delle proposte recenti o imminenti di politica dell'immigrazione della Commissione

SOMMARIO

Il Trattato di Amsterdam stabilisce per la prima volta la competenza della Comunità in materia di asilo e immigrazione. Successivamente nell'ottobre 1999 il Consiglio europeo di Tampere ha riconosciuto che "gli aspetti separati, ma strettamente connessi, dell'asilo e della migrazione richiedono la definizione di una politica comune dell'UE" e ha definito gli elementi che essa dovrebbe comprendere, cioè il partenariato con i paesi di origine, un regime europeo comune in materia di asilo, l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi e la gestione dei flussi migratori. In tale contesto il Consiglio europeo ha anche sottolineato l'esigenza di decisioni rapide sul "ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei paesi terzi, in base a una valutazione comune sia degli sviluppi economici e demografici all'interno dell'Unione sia della situazione dei paesi di origine" (paragrafo 20 delle conclusioni della Presidenza). Non sono peraltro state date indicazioni dettagliate su come questa politica dovrebbe essere sviluppata ed attuata.

La Commissione ha già avanzato proposte sui diritti e lo status dei cittadini di paesi terzi e sulla lotta al razzismo e alla xenofobia, mentre sono in corso di elaborazione altri provvedimenti legislativi conformemente al programma concordato a Tampere (cfr. rassegna all'allegato 2). Tuttavia, tenuto conto della natura complessa della politica dell'immigrazione e dei suoi effetti su numerosi versanti - sociale, economico, giuridico e culturale -, la Commissione ritiene che, per il programma legislativo previsto all'articolo 63 del Trattato CE, non ci si possa semplicemente affidare al metodo di un pezzo alla volta. Questo parere è stato condiviso dal Parlamento europeo, che ha chiesto alla Commissione di inserire questi provvedimenti in un quadro complessivo.

Come è inoltre evidente dall'analisi dal contesto economico e demografico dell'Unione e dei paesi di origine, viene sempre più ammesso che le politiche di immigrazione "zero" degli scorsi trenta anni non sono più adeguate. Da un lato, negli ultimi anni sono entrati nell'Unione numerosi cittadini di paesi terzi e le pressioni migratorie proseguono accompagnate dall'aumento dell'immigrazione illegale, del contrabbando e della tratta di esseri umani. D'altro lato, per effetto delle crescenti carenze di forza lavoro qualificata e non qualificata, vari Stati membri hanno già iniziato ad assumere cittadini di paesi terzi al di fuori dell'Unione. In tale situazione occorre scegliere tra continuare a pensare che l'Unione possa persistere nell'opporsi alle pressioni migratorie, oppure accettare l'immigrazione come fenomeno destinato a proseguire, che va adeguatamente regolato, operando congiuntamente per cercare di massimizzarne gli effetti positivi per l'Unione, per gli immigrati stessi e per i paesi di origine.

In tale contesto la Commissione ritiene che ai lavoratori migranti dovrebbero essere messi a disposizione canali di immigrazione legale. Tuttavia, considerato che sull'ammissione e l'integrazione dei cittadini dei paesi terzi i parere negli Stati membri sono molto divergenti, la Commissione ritiene essenziale discutere apertamente queste tematiche e cercare di pervenire ad un consenso sugli obiettivi politici da seguire. La presente comunicazione si propone di stimolare il dibattito, tenuto conto delle fondamentali riforme strutturali dell'economia dell'UE in corso di attuazione nel quadro della Strategia europea per l'occupazione, che stanno ora dando i frutti attesi. L'ammissione di lavoratori migranti può dare un apporto a tale strategia, ma considerati i problemi umani assai delicati che comporta, occorre trovare una chiara intesa tra gli Stati membri riguardo al suo ruolo e contributo.

Una politica comune dell'UE in materia di immigrazione è richiesta sia dall'articolo 63 del Trattato CE, che dalle conclusioni del Consiglio di Tampere. Per raggiungere tale obiettivo è essenziale che all'interno di un quadro comunitario le azioni attualmente svolte a livello di Stati membri vengano coordinate e rese trasparenti, in ragione del loro effetto su altri settori della politica UE, ad esempio l'abolizione dei controlli alle frontiere interne, gli impegni comunitari internazionali a norma dell'accordo GATS (accordo generale sugli scambi di servizi) e la Strategia europea per l'occupazione.

Si costituirà una base per formulare obiettivi in materia di canali di immigrazione legale, che potrebbe servire a sostenere le proposte legislative dettagliate per gli immigrati richieste dal Consiglio di Tampere. Queste ultime non riguardano solo le condizioni di ammissione e soggiorno di cittadini di paesi terzi per motivi di lavoro e diversi, ma anche standard e procedure per il rilascio di visti di lunga durata e permessi di soggiorno, la definizione di un insieme di diritti uniformi per i cittadini di paesi terzi e i criteri e le condizioni alle quali viene loro consentito di stabilirsi e lavorare in qualsiasi Stato membro (cfr. allegato 2), nonché la Carta dei diritti fondamentali. Al tempo stesso la procedura istituita per il controllo dei flussi migratori fornirà un quadro per la consultazione tra Stati membri sui temi della migrazione, per il coordinamento delle politiche, per definire obiettivi comuni e a sviluppare misure di accompagnamento relative all'integrazione degli immigrati. Questo meccanismo intende consentire alla Comunità di rispondere in modo coordinato sia alle fluttuazioni delle pressioni migratorie, sia ai cambiamenti della situazione economica e demografica dell'Unione.

1. PERCHè UNA NUOVA IMPOSTAZIONE IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE-

Con l'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam si è chiaramente stabilita la competenza della Comunità in materie di immigrazione e asilo. Mentre prima era oggetto di coordinamento intergovernativo nel quadro del 'Terzo pilastro', questa politica è ora passata al 'Primo pilastro', con un programma d'azione che dev'essere adottato dal Consiglio per istituire progressivamente uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia (Articoli 61-63). Pertanto nell'ottobre 1999 il Consiglio europeo di Tampere ha adottato nelle proprie conclusioni [1] gli elementi di una politica comune dell'UE in materie di asilo e immigrazione che, insieme al piano d'azione approvato dal Consiglio di Vienna nel 1998 [2], costituisce la base di un programma di lavoro della Commissione e degli Stati membri che viene reso operativo mediante un "Quadro di controllo" [3]. La pubblicazione della presente comunicazione costituisce parte di tale programma, ma avviene in un contesto per vari aspetti molto diverso da quello dell'Unione nel 1993-94. Da un lato, rispetto ad alcuni anni fa vengono riconosciute più consapevolmente l'importanza dei problemi di immigrazione e asilo a livello di UE e la necessità di affrontarli con un'impostazione comune. Da semplici temi complementari a quelli della libera circolazione delle persone all'interno dell'Unione, essi sono infatti diventati oggetto di specifiche politiche comunitarie. D'altro lato - e come conseguenza diretta - adottando le conclusioni di Tampere i Capi di Stato e di governo hanno definito chiaramente il quadro politico entro il quale deve svilupparsi una politica comune dell'UE in materia di asilo e immigrazione.

[1] SN 200/99 (Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo di Tampere, 15 & 16 ottobre 1999).

[2] GU C 19 del 23.1.1999.

[3] COM (2000) 167 (Quadro di controllo per l'esame dei progressi compiuti nella creazione di uno spazio di "libertà, sicurezza e giustizia" nell'Unione europea).

La presente comunicazione della Commissione trova la propria naturale collocazione all'interno di tale quadro. Essa costituisce una prima risposta alla specifica richiesta del Consiglio europeo di definire chiaramente le condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei paesi terzi. Si era concordato di procedere sulla base di una valutazione comune sia degli sviluppi economici e demografici all'interno dell'Unione, sia della situazione nei paesi di origine, tenendo conto non solo delle capacità di accoglienza dei singoli Stati membri, ma anche dei loro legami storici e culturali con tali paesi [4]. Inoltre non è possibile definire un'impostazione integrata in materia di immigrazione senza considerare gli effetti di tali politiche sulla società ospitante e gli immigrati stessi. Le condizioni sociali che questi devono affrontare, l'atteggiamento della popolazione ospitante e la presentazione da parte dei leader politici dei vantaggi della diversità e delle società pluristiche sono fondamentali per il successo delle politiche dell'immigrazione. Per tanto - e i due aspetti sono strettamente connessi - la presente comunicazione affronta anche l'integrazione politica nel contesto definito a Tampere, in particolare l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nell'Unione e la promozione della diversità. A tale riguardo viene anche esaminata l'incidenza della Carta fondamentale dei diritti.

[4] Le conclusioni di Tampere riconoscono "la necessità di un ravvicinamento delle legislazioni nazionali relative alle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini dei paesi terzi, in base ad una valutazione comune sia degli sviluppi economici e demografici all'interno dell'Unione sia della situazione dei paesi di origine" (paragrafo 20).

In ogni caso, per attenersi all'impostazione coerente concordata a Tampere, la Commissione intende anche chiarire in che modo occorra tener conto delle altre componenti di una politica globale in materia di immigrazione, che comprendono la lotta all'immigrazione illegale, le relazioni con i paesi di origine e di transito ed in particolare la dimensione umanitaria - politica in materia di asilo -, che ha un'importanza ripetutamente sottolineata in anni recenti e sarà oggetto di una distinta comunicazione da presentare insieme a questa [5]. Essa comprende anche il rafforzamento delle politiche di integrazione, al fine di fornire i mezzi necessari ad una rapida integrazione della popolazione migrante nella società europea, e di combattere il razzismo e la xenofobia.

[5] COM (2000)... "Verso una procedura comune in materia di asilo e uno status uniforme per la concessione dell'asilo valido in tutta l'Unione".

Infine la presente comunicazione giunge in un momento in cui la questione del ruolo dell'UE in materia di immigrazione assume particolare rilevanza per varie ragioni. Le previsioni sul declino demografico nell'UE negli ultimi decenni hanno richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica, mentre contemporaneamente in vari paesi la carenza di forza lavoro sta creando difficoltà in alcuni settori. Viene sempre più riconosciuto che nel nuovo contesto economico e demografico le politiche di immigrazione "zero" prevalenti negli scorsi 30 anni e tuttora in vigore non sono più adeguate.

In vari paesi si stanno elaborando programmi per regolarizzare la posizione dei clandestini, che spesso provocano difficili dibattiti di politiche interna. Incidenti tragici come quelli di Dover del luglio 2000 - in cui sono morti 58 cinesi che cercavano di entrare illegalmente nel Regno Unito - si verificano in quasi tutti gli Stati membri ed evidenziano non solo l'importanza della lotta contro la tratta di esseri umani, ma anche l'esistenza di una domanda di forza lavoro illegale e dello sfruttamento dei clandestini. La Commissione ha anche tenuto conto delle discussioni che sono iniziate durante la presidenza francese, in particolare durante l'incontro informale dei ministri a Marsiglia nel luglio 2000 e durante le tre conferenze - su cosviluppo e immigrati (6-7 luglio), sulle reti di immigrazione illegale (20-21 luglio) e sull'integrazione degli immigrati (5-6 ottobre 2000).

Considerati il mutare delle circostanze e l'emergere di opinioni politiche diverse, di reazioni divergenti e di crescenti preoccupazioni dell'opinione pubblica manifestatesi in tutti gli Stati membri negli ultimi mesi, la Commissione ritiene che sia il momento di contribuire alla discussione e di riesaminare senza preconcetti i modi di sviluppare la politica del'immigrazione nel quadro del mandato di Tampere. La Commissione propone di esaminare in che modo le complesse tematiche relative all'ammissione degli immigrati per motivi economici, considerate solo brevemente dal Consiglio di Tampere, potrebbero essere sviluppate entro una politica comunitaria dell'immigrazione. Sarebbe una base per formulare obiettivi comuni concordati in materia di canali di immigrazione legale, che servirebbe a sostenere le proposte dettagliate relative all'ammissione e soggiorno dei cittadini di paesi terzi richieste dal Consiglio a Tampere. Sarebbe inoltre altrettanto importante definire politiche adeguate volte a promuovere l'integrazione degli immigrati, inclusi quelli che già vivono nell'UE, nonché a sostenere la lotta contro le manifestazioni di razzismo e xenofobia.

2. IL QUADRO DI TAMPERE PER UNA POLITICA DELL'UE IN MATERIA DI ASILO E IMMIGRAZIONE

Il Consiglio europeo di Tampere ha adottato varie obiettivi per la creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, uno dei quali consisteva nello sviluppare una politica comune dell'UE in materia di asilo e immigrazione. Vengono qui illustrati i progressi nell'attuazione di tale politica.

2.1. Partenariato con i paesi d'origine

Al Consiglio di Tampere gli Stati membri hanno riconosciuto il principio in base al quale la politica dell'UE in materia di asilo e immigrazione deve necessariamente prevedere la cooperazione con i paesi di origine e transito degli immigrati. Da parte sua il Consiglio ha riconosciuto che per sviluppare un'impostazione generale in materia di immigrazione, occorre anche affrontare in partenariato con i suddetti paesi le problematiche politiche e dei diritti umani. Con programmi come TACIS e PHARE la Commissione ha sviluppato strategie che mirano non solo a ridurre le spinte migratorie, specialmente attraverso lo sviluppo economico dei paesi di origine e transito, ma anche a sostenere riforme legislative, capacità di applicare la legge e sistemi moderni di gestione dei confini. E' anche iniziata una nuova impostazione integrata grazie all'attività del gruppo ad alto livello "Asilo e migrazione". Per specifici paesi o regioni sono stati elaborati sei piani d'azione, ciascuno basato su un programma coerente di cooperazione e sviluppo mediante il dialogo con i paesi interessati, e si prevede che a breve scadenza vengono stanziate le risorse finanziarie per l'azione comunitaria a sostegno dell'attuazione di tali piani.

In futuro, nell'elaborare provvedimenti per capire e cercare di modificare le cause delle migrazioni, l'UE deve esaminare e trattare responsabilmente gli effetti dell'immigrazione sui paesi di origine, tenendo conto delle grandi diversità di situazione economica, demografica, sociale, politica e dei diritto umani che in ciascun paese genera i flussi migratori. Non solo per affermare i valori europei, ma anche nell'interesse sia dell'UE che dei paesi interessati.

In molti casi la situazione è complessa e la migrazione esercita effetti sia positivi che negativi. Durante il periodo in cui si stabiliscono nel paese ospitante le rimesse degli immigrati possono diventare una voce importante del bilancio statale. Trasferimenti su larga scala possono costituire per il paese di origine un disincentivo a collaborare nel controllo della migrazione. Le rimesse possono comportare un significativo miglioramento del tenore di vita per le famiglie destinatarie, e contribuire allo sviluppo dell'economia locale, anche se secondo talune indicazioni se ne avvantaggiano soprattutto le città maggiori a detrimento delle altre zone. Rientrano tra gli effetti negativi le conseguenze per l'economia locale che si verificano quando emigrano soprattutto i lavoratori a qualifica elevata e i settori più imprenditivi della popolazione. La fuga dei cervelli preoccupa particolarmente i paesi in via di sviluppo, che non possono permettersi di perdere i propri investimenti nel campo dell'istruzione e della formazione, soprattutto se di livello universitario. In vari paesi questo problema sta assumendo dimensioni consistenti, particolarmente in Africa ed in India, ed è destinato ad aggravarsi nella misura in cui la carenza di forza lavoro in alcuni settori ad alta specializzazione in Europa ed in altre parti del mondo sviluppato, nonché i differenziali salariali, continuano ad attrarre emigranti qualificati dai paesi in via di sviluppo.

Con gli attuali flussi migratori sempre più compositi, in cui si combinano motivi economici e di altro tipo, e con popolazioni la cui oscillazione tra due culture è parte di strategie di sopravvivenza, è possibile definire politiche in cui la migrazione vada a vantaggio sia del paese di origine che del paese ospitante. In tal modo si possano minimizzare gli effetti della fuga dei cervelli e massimizzare i benefici delle rimesse. Poiché sono diventati oggetto di competenza comunitaria, la migrazione e l'asilo verranno, se possibile, più specificamente integrati nei programmi comunitari relativi ai paesi terzi, sia nel settore del commercio che dello sviluppo. Ciò vale particolarmente per i programmi TACIS, PHARE e MEDA, mentre le tematiche migratorie dovrebbero entrare sempre più nel dialogo che si svolge nel quadro degli Accordi di partenariato e di cooperazione, delle Strategie comuni dell'UE per la Russia, l'Ukraina e la regione del mediterraneo e nelle discussioni con i paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP).

Con il metodo del partenariato si dovrebbe ottenere un quadro per trattare con flessibilità i nuovi flussi migratori che si stanno sviluppando a livello mondiale, utilizzando un concetto di migrazione come schema di mobilità, che incoraggia gli immigrati a mantenere e sviluppare i rapporti con i paesi di origine. In tale quadro occorre garantire che l'ordinamento giuridico non stacchi gli immigrati dal loro paese di origine; ad esempio che sia loro garantita la possibilità di rientrare per una visita senza perdere lo status acquisito nel paesi ospitante, nonché di ritornare al paese di origine o di spostarsi altrove con il mutare della situazione.

Un'impostazione di questo tipo incoraggerebbe gli immigrati a partecipare allo sviluppo economico del loro paese di origine non solo attraverso le rimesse ai famigliari ma anche sostenendo progetti di sviluppo, iniziative economiche, ecc.. Azioni di questo tipo in alcuni casi possono favorire il rientro volontario degli emigrati in un quadro di reinserimento assistito. Le restrizioni che attualmente in molti Stati membri le politiche dei visti ed altre normative pongono alla libertà degli immigrati di spostarsi liberamente tra i paesi di origine e di soggiorno, anche quando sono in pensione, costituiscono un ostacolo a questa impostazione. La cooperazione tra i paesi di origine e di soggiorno degli immigrati deve basarsi sul dialogo con i governi, con gli immigrati stessi e con le loro associazioni, per garantire che si tenga conto dei flussi migratori nelle strategie economiche, sociali e di sviluppo dei paesi interessati (ad esempio promuovendo istituzioni finanziarie pubbliche più efficienti, programmi di formazione e di qualificazione della forza lavoro e l'afflusso di capitali stranieri per finanziare i progetti (inclusi quelli degli immigranti nei loro paesi di origine)). In tal modo essa può contribuire ad attenuare gli effetti della fuga dei cervelli e della perdita dei componenti più imprenditivi della società, e favorire uno sviluppo sostenibile del paese di origine, che a lungo termine potrebbe ridurre la spinta all'immigrazione.

Occorre tuttavia ammettere che il partenariato come metodo di gestione dei flussi migratori andrebbe considerato nell'ambito di una strategia di medio-lungo periodo. I suoi effetti inoltre variano a secondo della situazione dei paesi di origine.

2.2. Un regime europeo comune in materia di asilo

Il Consiglio di Tampere ha ribadito che il diritto di chiedere asilo deve continuare ad essere garantito come fondamento della politica dell'UE. L'obiettivo di un regime europeo comune in materia d'asilo deve essere la piena applicazione della Convenzione di Ginevra sui rifugiati, nonché la garanzia che nessuno venga rimandato a subire la persecuzione. Il Trattato di Amsterdam richiede l'attuazione di misure comuni.

Nel maggio 2000 la Commissione ha presentato una proposta sulla protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e nel settembre 2000 ha avanzato una proposta relativa alle procedure applicabili negli Stati membri per la concessione e la revoca dello status di rifugiato. All'inizio del 2001 verranno presentate proposte sulle condizioni di accoglienza per i richiedenti asilo, e su un sistema per determinare con chiarezza e praticità lo stato competente per l'esame delle domande di asilo. Proseguono i preparativi per l'istituzione del sistema EURODAC. Verranno inoltre formulate ulteriori proposte sul ravvicinamento delle norme relative al riconoscimento e al contenuto dello status di rifugiato, ed anche sulle forme complementari di protezione, per offrire uno status adeguato alle persone che necessitano di tale tutela. Nel settembre 2000 inoltre il Consiglio ha adottato la proposta della Commissione di creazione del Fondo europeo per i rifugiati, volto a promuovere un equilibrio degli sforzi tra gli Stati membri che ricevono i rifugiati e gli sfollati.

Come richiesto dal Consiglio di Tampere, in una comunicazione specifica vengono avanzate ulteriori proposte per giungere a norme comunitarie relative ad una procedura comune in materia di asilo e ad uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto l'asilo valido in tutta l'Unione. Detta comunicazione viene presentata insieme a questa e intende fornire una chiara descrizione del metodo e del contenuto dei provvedimenti da adottare a titolo umanitario a partire dal 2004 [6].

[6] COM (2000) 755 "Verso una procedura comune in materia di asilo ed uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto l'asilo, valido in tutta l'Unione".

2.3. Equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi

Un elemento fondamentale per fare dell'Unione europea uno spazio di libertà, sicurezza, e giustizia, secondo le conclusioni di Tampere, è garantire l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri mediante una politica di integrazione volta a riconoscere loro diritti ed obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'UE.

Quanto all'istituzione di un quadro giuridico per l'integrazione di coloro che già soggiornano nel territorio degli Stati membri, la Commissione aveva proposto di estendere il coordinamento comunitario dei regimi di sicurezza sociale stabilito dal regolamento (CEE) n. 1408/71 ai lavoratori subordinati ed autonomi assicurati in uno Stato membro, che sono cittadini di paesi terzi [7]. La Commissione ha anche avanzato una proposta di modifica del regolamento 1612/68 volta a rafforzare lo stato giuridico dei cittadini di paesi terzi famigliari di lavoratori dell'UE [8]. Le proposte sono tuttavia ancora all'esame del Consiglio.

[7] COM (97) 561 def., 12.11.1997.

[8] COM (98) 394 def. del 22.7.1998.

Conformemente al mandato di Tampere saranno formulate nuove proposte relative allo status dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano da lunga data, comprendenti i diritti da riconoscere, le condizioni alle quali si può perdere lo status, la tutela contro l'espulsione e il diritto di soggiornare in un altro Stato membro. Il diritto di soggiornare in un altro Stato per i residenti da lunga data può costituire un importante fattore di mobilità nel mercato del lavoro dell'Unione. A tale riguardo la Commissione ha presentato due proposte relative ai diritti dei lavoratori subordinati e autonomi di paesi terzi, che già soggiornano legalmente in un Stato membro, di fornire servizi in altri Stati membri.

Nel novembre 1999 la Commissione ha presentato un pacchetto di proposte per combattere la discriminazione. Il 29 giugno 2000 il Consiglio ha adottato il primo dei tre elementi del pacchetto, cioè la proposta di direttiva per combattere la discriminazione basata sulla razza o sull'origine etnica, che si applicherà nel campo dell'occupazione, della formazione, della protezione sociale (incluse la sanità e la sicurezza sociale), dell'istruzione e della fornitura di beni e servizi, incluso l'alloggio [9].

[9] Direttiva 2000/43, GU L180 del 19.7.2000.

Sul secondo elemento, cioè la proposta della Commissione di un programma d'azione comunitaria per combattere la discriminazione, il Consiglio ha raggiunto un accordo politico il 17 ottobre 2000. Il programma avrà una durata di 6 anni a partire del 1° gennaio 2001 e disporrà di un bilancio di quasi 100 milioni di euro per azioni di lotta alle discriminazioni fondate sulla razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. Le azioni devono concentrarsi su (1) l'analisi delle discriminazioni negli Stati membri e la valutazione dei metodi per combatterle, (2) il rafforzamento delle capacità delle organizzazioni che lottano contro la discriminazione attraverso scambi transnazionali ed il finanziamento base delle ONG e (3) la promozione della consapevolezza delle discriminazioni e delle misure per combatterle. Il Consiglio ha anche raggiunto un accordo sul terzo elemento del pacchetto anti-discriminazioni, la proposta della Commissione di direttiva quadro sulle discriminazioni in materia di occupazione fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali [10].

[10] COM (1999) 565 def.

Nelle disposizioni sulla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale il Trattato di Amsterdam afferma esplicitamente che l'Unione adotterà misure per prevenire e reprimere il razzismo e la xenofobia, come uno dei principali obiettivi del proprio impegno a creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Nel 1996 il Consiglio ha adottato un'azione comune intesa ad agevolare un'efficace cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, per impedire ai fautori del razzismo e della xenofobia di sfruttare le differenze legislative all'interno dell'Unione per sfuggire alla giustizia. Nel quadro di una valutazione dell'azione comune da presentare entro la fine del 2000, la Commissione proporrà una decisione quadro per rafforzare la cooperazione giudiziaria nella lotta contro il razzismo, la quale tra l'altro affronterà anche la diffusione di questo tipo di reato su Internet.

Quanto alle condizioni di ammissione e soggiorno, la prima iniziativa della Commissione dalla entrata in vigore del Trattato di Amsterdam è stata un progetto di direttiva relativa al diritto al ricongiungimento famigliare [11]. Vi sono varie motivazioni: in primo luogo il ricongiungimento famigliare non è regolato solo da leggi nazionali, visto che molte normative internazionali e locali stabiliscono regole o principi in proposito; in secondo luogo negli ultimi vent'anni il ricongiungimento famigliare è stato uno dei principali vettori di immigrazione; in terzo luogo esso è un fattore essenziale di integrazione delle persone già ammesse; e da ultimo il Consiglio lo ritiene un tema prioritario a partire del 1991. Questo punto di vista rispecchia quella della Commissione, secondo la quale una integrazione riuscita dei cittadini dei paesi terzi per sostenere la coesione economica e sociale è una delle maggiori sfide di politica dell'immigrazione che l'UE deve affrontare. La costituzione di comunità famigliari stabili garantisce la capacità degli immigrati di contribuire pienamente alla loro nuova società.

[11] GU C 116 del 24.4.2000, versione modificata COM (2000) 624.

La proposta sottopone il diritto dei cittadini dei paesi terzi al ricongiungimento famigliare a determinate condizioni. Qualora siano soddisfatti i criteri previsti, è loro consentito di ricongiungersi agli appartenenti della loro famiglia nucleare, o, in casi rigorosamente definiti, anche ad appartenenti alla loro famiglia allargata. La proposta definisce anche che una serie di diritti che dovrebbero essere garantiti ai famigliari. Ricevuto il parere del Parlamento europeo, la Commissione ha adottato una proposta modificata, che attualmente è all'esame del Consiglio.

Infine la Carta dei diritti fondamentali, che dovrebbe essere adottata nel dicembre 2000, fissa una serie di principi che per l'universalità di determinati diritti si applicano anche ai cittadini dei paesi terzi. E' un aspetto che assume particolare importanza in riferimento a vari diritti sociali, quali la tutela in caso di licenziamento ingiustificato e l'applicazione della legislazione nazionale e comunitaria relativa alle condizioni di lavoro. La Carta prevede anche la possibilità - alle condizioni stabilite dal Trattato di Amsterdam - di libera circolazione e dimora per i cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente in un Stato membro.

2.4. Gestione dei flussi migratori

Il Consiglio europeo di Tampere ha sottolineato la necessità di adottare un'impostazione globale nella gestione o regolazione dei flussi migratori, tenendo conto dei diritto politici e umani e dei problemi dello sviluppo, con la cooperazione dei paesi di origine e transito.

Il Consiglio ha sottolineato che la regolazione dei flussi migratori comporta un intenso dialogo tra paesi ospitanti, di transito, di origine e i migranti stessi. Elemento fondamentale dovrebbero essere le campagne per informare gli immigrati potenziali sulle effettive possibilità di immigrazione legale, su ciò che possono aspettarsi nei paesi di destinazione e sui rischi dell'immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani. Il Consiglio ha chiesto che venga intensificato l'impegno a sviluppare una politica comune dei visti per l'UE, unitamente a misure contro la falsificazione e l'uso fraudolento di documenti di viaggio.

Per garantire una gestione efficiente dei flussi migratori occorrono controlli e misure di regolazione della mobilità. E' necessario agire in tutte le fasi degli spostamenti delle persone, sia per salvaguardare i canali legali di ammissione degli immigrati e di coloro che chiedono protezione per motivi umanitari, sia per combattere l'immigrazione illegale. Un'impostazione coerente e coordinata per affrontare l'immigrazione illegale sarà una componente essenziale di una politica dell'immigrazione più aperta a livello europeo. Il fenomeno dell'immigrazione illegale è costituito da varie fasi interconnesse, ciascuna delle quali va affrontata sistematicamente con misure specifiche, che comprendono azioni nei paesi di origine e di transito, cooperazione di polizia per mettere insieme le conoscenze sulla tratta di esseri umani -per sua natura internazionale -, azioni al punto di entrata, compresi i controlli di frontiera e le politiche in materia di visti, provvedimenti legislativi contro chi tratta esseri umani, aiuti alle vittime e loro rimpatrio umanitario.

Un elemento del processo regolativo al quale bisogna attribuire massima priorità è il ritorno volontario delle persone cui è stata rifiutata l'ammissione a uno Stato membro, o che non hanno più diritto a soggiornare nell'UE. Nei casi in cui gli inviti al ritorno volontario non hanno effetto, in ultima istanza occorre salvaguardare l'integrità della politica europea in materia di immigrazione mediante il rimpatrio forzato. Lo strumento più utile per agevolare i ritorni sono gli accordi di riammissione. Inoltre la Commissione avanzerà proposte per definire uno standard comune per le decisioni di espulsione, la detenzione e la deportazione, che dovrebbe essere sia efficiente che umano.

3. VERSO UNA POLITICA DELLA COMUNITÀ IN MATERIA DI IMMIGRAZIONE

3.1. Effetto delle politiche dell'immigrazione in vigore

L'immigrazione nell'UE si articola in tre grandi categorie: l'immigrazione per motivi umanitari, il ricongiungimento famigliare e l'immigrazione che si può considerare in generale dovuta a spinte economiche e di mercato.

Quanto ai motivi umanitari, tutti gli Stati membri hanno sottoscritto la Convenzione di Ginevra del 1951 relativa allo status di rifugiati e ne osservano i principi. La Convenzione considera l'accesso al lavoro come un diritto individuale immediatamente derivante dallo status di rifugiato, che non può dipendere da una prova delle necessità economiche. Il Consiglio di Tampere ha trovato l'accordo su un programma di coordinamento dell'impostazione UE in materia di immigrazione umanitaria, che verrà realizzato come indicato nel Quadro di controllo (cfr. 2.2.2.).

Quanto al ricongiungimento famigliare, pur utilizzando una gamma di criteri diversi, tutti gli Stati membri consentono ai famigliari di ricongiungersi agli immigrati che soggiornano legalmente nel loro territorio. Il Consiglio sta attualmente discutendo una direttiva di coordinamento delle legislazioni nazionali in questo campo (cfr. 2.2.3.).

La presente comunicazione riguarda soprattutto la terza categoria, l'immigrazione economica, ritenuta prossima allo zero a partire degli anni '70, mentre adesso con le opportunità economiche disponibili nell'UE non sembra più essere tale. Molti migranti per motivi economici hanno tentato l'ingresso attraverso procedure di asilo oppure canali illegali. Tale situazione non consente risposte adeguate alle esigenze del mercato del lavoro e favorisce i trafficanti di esseri umani ben organizzati e i datori di lavoro privi di scrupoli. Inoltre Europol valuta che gli immigrati illegali nell'UE siano 500.000 all'anno, molti dei quali lavoratori in nero. Tenuto conto di questi dati e delle difficoltà pratiche del rimpatrio dei clandestini nei paesi di provenienza, vari Stati membri hanno adottato misure di regolarizzazione o di amnistia, per effetto delle quali si ritiene che a partire degli anni '70 circa 1.800.000 persone abbiano ottenuto il permesso di soggiornare legalmente [12].

[12] "Regularisations of illegal immigrants in the European Union", Academic network for legal studies on immigration and asylum law in Europe, under the supervision of Philippe de Bruycker, Collection of the Law Faculty, Free University of Brussels, ("Regolarizzazione di immigranti illegali nell'Unione europea", Rete accademica di studi giuridici sul diritto dell'immigrazione e dell'asilo in Europa, supervisione di Philippe de Bruycker, collezione della facoltà di giurisprudenza, Università Libera di Bruxelles), 2000.

Mentre a livello di UE sono già in vigore in vari settori le procedure di coordinamento delle politiche per agevolare il funzionamento del mercato unico, soprattutto in materia di libera circolazione di beni, capitali, servizi, lavoratori dell'UE e altri cittadini, non è stato ancora dedicata sufficiente attenzione al ruolo dei cittadini dei paesi terzi nel mercato del lavoro dell'UE, né alla necessità di misure di accompagnamento a sostegno dell'integrazione degli immigrati attuali e potenziali.

3.2. Sviluppo di una nuova impostazione in materia di immigrazione

L'analisi dell'attuale situazione dei flussi migratori nell'UE suggerisce l'adozione di un'impostazione diversa e più flessibile, comune a tutti gli Stati membri, in materia di immigrazione legale. Tale iniziativa di politica dell'immigrazione dovrebbe basarsi sul riconoscere che le pressioni migratorie continueranno e che un'immigrazione ordinata può arrecare vantaggi all'UE, agli immigrati stessi e ai loro paesi di origine. Vari Stati membri hanno già iniziato ad aperire canali all'immigrazione per motivi economici allo scopo di soddisfare le urgenti necessità di forza lavoro qualificata e non qualificata. Considerata l'attuale situazione economica e del mercato del lavoro, la Commissione ritiene che sia venuto il momento di esaminare le esigenze a lungo termine dell'UE nel suo complesso, di valutare in che misura possano essere soddisfatte dalle attuali risorse, e di definire una politica a medio termine di ammissione graduale e controllata di cittadini di paesi terzi per colmare le carenze individuate.

Molti elementi di tale politica erano già compresi nella comunicazione sulle politiche di immigrazione e di asilo del 1994, ma la nuova impostazione deve ora tenere conto anche del carattere mutevole dell'immigrazione stessa, che è diventata un fenomeno molto più flessibile di spostamento tra paesi piuttosto che un semplice flusso unidirezionale. A livello globale i movimenti migratori mutano di direzione, aumentano o diminuiscono seguendo l'evoluzione delle situazioni economiche e demografiche sia nei paesi di provenienza che di destinazione. Per regolare con successo i flussi migratori e quindi per ridurre l'immigrazione illegale, l'UE deve adottare una impostazione coordinata, che tenga conto di tutti i vari aspetti interconnessi del sistema migratorio, ed operare attraverso il partenariato con i paesi di origine e transito.

I vantaggi di una maggiore apertura e trasparenza in materia di movimenti migratori, e del coordinamento delle politiche di riduzione dei fattori di spinta nei paesi di origine, insieme ad un più intenso impegno nell'applicare la legislazione del lavoro negli Stati membri, potrebbero contribuire a ridurre l'immigrazione illegale, soprattutto nelle forme peggiori di contrabbando e tratta di esseri umani. Gli Stati membri potranno affrontare più agevolmente i problemi dell'immigrazione clandestina se disporranno di una ampia gamma di politiche di gestione dell'immigrazione, al di là dei semplici provvedimenti per frenare l'abuso presunto o effettivo dei loro regimi d'asilo. Comunque politiche più aperte di ammissione legale dei lavoratori migranti non riusciranno di prevenire completamente questi fenomeni, e andrebbero accompagnate sia da adeguati provvedimenti anticontrabbando che da sistemi efficaci di concessione dell'asilo, in grado di individuare rapidamente ed accuratamente i rifugiati e contemperare la loro tutela con il controllo dell'immigrazione.

Va sottolineato che queste strategie non costituiscono un'adozione della politica dell'immigrazione sostitutiva proposta dalla relazione delle NU sulla migrazione sostitutiva come possibile soluzione per compensare il declino demografico [13]. Si tratta piuttosto di un'impostazione controllata, basata su una valutazione comune dello sviluppo economico e demografico dell'Unione e della situazione nei paesi di origine, tenendo conto della capacità dell'accoglienza.

[13] "Replacement Migration: is it a solution to declining and ageing populations-" Population Division, Department of Economic and Social Affairs, United Nations Secretariat ("Migrazione sostitutiva: una soluzione per il declino e l'invecchiamento demografico-" Divisione demografica, Dipartimento dell'economia degli affari sociali, segretariato delle Nazioni Unite), 21 marzo, 2000 (ESA/P/WP.160).

Introdurre il tema della migrazione di forza lavoro nel dibattito sulla formazione delle politiche economiche e sociali dell'UE sarebbe anche un'opportunità per rafforzare i programmi di lotta al lavoro nero e allo sfruttamento economico degli immigrati, che attualmente alimentano la concorrenza sleale nell'Unione. A complemento di una politica dell'immigrazione economica servirebbe un maggiore impegno degli imprenditori ad osservare la legislazione del lavoro in vigore nei rapporti con i cittadini dei paesi terzi. La parità de salari e delle condizioni di lavoro non è solo nell'interesse degli immigrati, ma anche della società stessa, che riuscirebbe così a beneficiare del pieno apporto degli immigrati alla vita economica e sociale.

Viste le differenze tra Stati membri in materia di rapporti con i paesi di origine, di capacità di accoglienza, di sviluppo delle politiche di integrazione e di esigenze del mercato di lavoro, la Commissione propone come modo migliore per pervenire ad una politica regolamentata dell'immigrazione la costituzione di un quadro generale a livello dell'UE, con standard e procedure comuni ed un meccanismo per fissare obiettivi e traguardi indicativi, entro il quale gli Stati membri definiscano ed attuino le politiche nazionali.

3.3. quadro per una politica dell'UE in materia di immigrazione

Qualsiasi politica dell'UE in materia di immigrazione deve tener conto di migrazioni di tutti i tipi - per motivi umanitari o economici, o di ricongiungimento famigliare- e trattarne gli effetti sui paesi di origine e di destinazione in modo complessivo. Essa deve inoltre confrontarsi con le difficili discussioni politiche che si stanno svolgendo in alcuni paesi e necessita di una forte leadership politica che l'aiuti a formare ll'opinione pubblica. Per affrontare tutti i tipi di migrazioni essa deve basarsi su un'impostazione integrata, che tenga conto dei vantaggi della diversità sociale, dell'esigenza di un insieme equilibrato di diritti e di doveri per i cittadini dei paesi terzi che soggiornano nell'Unione, dell'importanza di favorire l'integrazione e degli effetti sul mercato del lavoro. Tale politica dovrebbe essere elaborata entro un nuovo quadro di cooperazione a livello comunitario, basato su cooperazione, scambio di informazioni e relazioni informative, con il coordinamento della Commissione.

L'ammissione nell'UE per motivi umanitari dovrebbe proseguire a conferma del pieno riconoscimento da parte degli Stati membri, degli obblighi internazionali a fornire protezione ai rifugiati, ai richiedenti asilo e a coloro che necessitano di protezione temporanea. Verrà portato avanti il programma di definizione di un regime europeo comune in materia di asilo, di cui si è detto alla sezione 2.2. . Anche se molte persone ammesse nell'UE per motivi umanitari ritornano effettivamente ai paesi di origine quando la situazione locale cambia, il dibattito sul numero di immigrati per motivi economici necessario nei vari settori dovrebbe tener conto dei soggetti sotto protezione internazionale - le cui qualifiche potrebbero essere meglio utilizzate -, nonché dei famigliari ammessi nell'UE, che a loro volta si presenteranno sul mercato del lavoro.

L'ammissione degli immigrati per motivi economici dovrebbe evidentemente rispondere alla domanda del mercato, in particolare di personale altamente qualificato, o di lavoratori con scarsa o nessuna qualifica, oppure stagionali. Le politiche di ammissione degli immigrati per motivi economici devono consentire all'UE di rispondere con rapidità ed efficienza alle domande del mercato del lavoro a livello nazionale, regionale e locale, nella consapevolezza del carattere complesso e rapidamente mutevole di tali domande, e quindi dell'esigenza di maggiore mobilità tra gli Stati membri degli immigrati in arrivo. Tali politiche devono anche rispettare le pertinenti disposizioni dell'attuale legislazione comunitaria e gli accordi bilaterali e multilaterali in vigore tra la Comunità - o la Comunità e gli Stati membri - da un lato e i paesi terzi dall'altro [14].

[14] In particolare, secondo l'Accordo generale sugli scambi di servizi (GATS), la CE e i suoi Stati membri si sono impegnati ad ammettere nell'UE i cittadini dei paesi terzi per lo svolgimento di attività economiche, secondo programmi che ammettono l'ingresso di persone fisiche senza prevedere "prove della necessità economica" per la fornitura di servizi in determinati casi. Ulteriori impegni verranno concordati nel corso dei negoziati GATS 2000.

La politica dell'UE in materia di immigrazione si fonda sul principio secondo il quale le persone ammesse dovrebbero di massima fruire degli stessi diritti e doveri dei cittadini dell'UE, ma eventualmente in modo incrementale, in funzione della lunghezza del periodo di soggiorno stabilito nelle condizioni di ingresso [15]. La Commissione ha già presentato proposte relative ai diritti di fornire servizi all'interno dell'UE per i cittadini di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro [16]. Vanno portati energicamente avanti i provvedimenti a norma dell'articolo 13 del Trattato di Amsterdam per combattere il razzismo e la xenofobia, e l'azione per integrare gli immigrati nelle nostre società va quindi considerata un corrolario essenziale della politica di ammissione. Al tempo stesso occorre intensificare la lotta all'immigrazione illegale, in particolare al contrabbando e alla tratta di esseri umani.

[15] Come già avviene nel caso della normativa del lavoro applicabile ai cittadini di alcuni paesi terzi, ad esempio Turchia, Marocco e i paesi dell'Europa centrale e orientale (PECO) nel quadro di specifici accordi UE di associazione o cooperazione con i paesi interessati.

[16] COM (1999) 3 def. del 27.1.1999.

La politica va infine elaborata ed attuata attraverso il partenariato con i paesi d'origine e di transito.

3.4. Ammissione di immigranti

3.4.1. Valutazione dei livelli adeguati di immigrazione

Considerate le difficoltà di valutare le necessità economiche, non si ritiene opportuno fissare obiettivi europei dettagliati. Gli Stati membri devono restare competenti a decidere delle domande per le diverse categorie di forza lavoro migrante. Si deve comunque adottare un nuovo modo di procedere, basato sulla cooperazione, lo scambio di informazioni e le relazioni informative.

In tale contesto agli Stati membri viene richiesto di elaborare relazioni periodiche composte di due parti. La prima dovrebbe esaminare l'evoluzione e l'incidenza complessiva della politica di immigrazione nazionale nel periodo precedente, con i dati sui cittadini dei paesi terzi ammessi per i diversi motivi, e la loro situazione nel mercato del lavoro. La seconda dovrebbe presentare i programmi degli Stati membri in materia di immigrazione, incluse le previsioni sui lavoratori migranti che si intende ammettere, con le indicazioni dei livelli di qualifica. Poiché serve un atteggiamento flessibile a fronte di necessità economiche mutevoli, le quote parrebbero impraticabili. Sarebbe preferibile un sistema idoneo di obiettivi indicativi, strettamente correlato alle domande del mercato del lavoro, ma anche in grado di tener conto degli accordi in vigore con i paesi di origine e di una serie di altri fattori (ad esempio accettazione pubblica di ulteriori lavoratori migranti nel paese interessato, risorse disponibili per l'accoglienza e l'integrazione, possibilità di adattamento sociale e culturale, ecc.).

Nel redigere le relazioni gli Stati membri devono operare in ampia consultazione e stretta collaborazione con le parti sociali, le amministrazioni regionali locali e tutti gli altri attori coinvolti nell'integrazione degli immigrati. Le relazioni devono seguire una struttura comune concordata, per consentire alla Commissione di elaborare una sintesi da presentare al Consiglio. Dopo la discussione il Consiglio deve fissare i principi dell'impostazione comune da porre in atto nel periodo successivo. Nel corso di questo procedimento la Commissione ed il Consiglio devono tener conto dei progressi realizzati nell'attuazione della Strategia europea per l'occupazione, e dei suoi effetti sulle condizioni del mercato del lavoro nell'Unione. Spetta alla Commissione provvedere con regolarità al controllo e alla valutazione della politica e dei suoi effetti sui paesi di origine.

3.4.2. Definizione di un quadro giuridico comune per l'ammissione

Come già annunciato nel Quadro di controllo, all'inizio del prossimo anno la Commissione adotterà alcune proposte di direttive relative alle condizioni di ingresso e di soggiorno nell'UE di cittadini di paesi terzi per svolgere lavoro subordinato o lavoro autonomo o attività non retribuite, di studio o di formazione professionale. La Commissione ha già finanziato studi comparativi sulle condizioni di ammissione e soggiorno dei cittadini di paesi terzi, che forniscono un quadro generale della legislazione e delle prassi degli Stati membri.

Con la presentazione delle proposte la Commissione intende istituire un quadro giuridico coerente, che tiene conto di idee già applicate con successo negli Stati membri. Il quadro deve fissare le condizioni di base e le procedure da applicare, mentre spetta agli Stati membri adottare i provvedimenti nazionali di ammissione dei cittadini dei paesi terzi, basati sui criteri stabiliti nelle direttive. Consultazioni preliminari con gli Stati membri, le parti sociali e le organizzazioni non governative devono precedere l'adozione nelle proposte da parte della Commissione. Questa impostazione quadro dovrebbe fondarsi sui seguenti principi:

trasparenza e razionalità: definendo con chiarezza le condizioni alle quali i cittadini dei paesi terzi possono entrare e soggiornare nell'UE come lavoratori subordinati o autonomi, stabilendo i loro diritti e obblighi, garantendo che abbiano accesso all'informazione e che esistano gli strumenti per verificare la corretta applicazione. Sarebbero quindi necessarie tra l'altro disposizioni per facilitare la rapida adozione di decisioni sulle domande individuali di ammissione, sia nell'interesse del richiedente che dell'impresa intenzionata ad assumere, sulla base di criteri oggettivi e verificabili. Una disposizione generale sull'"accesso all'informazione" contribuirebbe notevolmente alla trasparenza.

Diritti differenziati secondo la durata del soggiorno - Il principio secondo il quale la durata del soggiorno incide sui diritti degli interessati ha una lunga tradizione negli Stati membri e viene richiamato nelle Conclusioni di Tampere. Inoltre, per far fronte alle domande del mercato del lavoro occorre agevolare l'ammissione di un'ampia gamma di lavoratori, qualificati e non qualificati, e garantire una risposta rapida e flessibile. Il caso degli studenti potrebbe essere considerato a parte, con speciali soluzioni per i cittadini dei paesi terzi che hanno studiato vari anni nell'UE, che consentano loro un accesso agevolato al mercato del lavoro dell'Unione. E' chiaro tuttavia che agli immigrati in arrivo va messo a disposizione un solido nucleo di diritti, che ne favorisca un'efficace integrazione nella società. La Comunità dovrebbe indagare sulle possibilità di estendere questo nucleo di diritti in funzione della durata del soggiorno, nella prospettiva di pervenire a soluzioni in linea di massima confrontabili in tutta l'Unione.

La legislazione dell'UE dovrebbe quindi fornire un quadro complessivo flessibile basato su un numero limitato di status, al fine di agevolare piuttosto che ostacolare le ammissioni degli immigrati per motivi economici. Si dovrebbe dare uno stato giuridico certo ai lavoratori temporanei che intendono rientrare nei paesi di origine, e contemporaneamente definire un percorso che conduca in ultim'istanza ad uno status permanente per coloro che intendono restare e soddisfanno determinati criteri. Si potrebbe iniziare con un permesso di lavoro temporaneo - con particolari disposizioni per alcuni tipi di lavoratori, ad esempio gli stagionali, i transfrontalieri e ai trasferiti all'interno di un'impresa multinazionale. Sarebbe un permesso rinnovabile, al quale potrebbe seguire un permesso di lavoro permanente dopo un numero di anno da definire, con la possibilità di ottenere condizioni di soggiorno di lunga durata dopo un certo periodo. Occorre un accordo sui diritti e gli obblighi da garantire in ciascuna fase in base al principio della parità di trattamento con chi ha la nazionalità, con effetto cumulativo che porti a condizioni di soggiorno di lunga durata. Tenendo conto del metodo della "prassi più efficace", i dettagli del programma andrebbero definiti in stretta consultazione con gli Stati membri, cui competerebbe di attuare le politiche nazionali di ammissione entro il quadro generale.

Procedure di presentazione delle domande e di valutazione - occorrono procedure di presentazione delle domande chiare e semplici. L'avvio delle pratiche nel paese di origine in cooperazione con governi, enti internazionali, ONG, amministrazioni regionali e locali, potrebbe migliorare l'efficacia delle procedure di controllo, la trasparenza dei procedimenti e l'informazione disponibile ai potenziali immigranti, rispettando al tempo stesso il diritto alla scelta del datore di lavoro. E' comunque evidente che molti potenziali lavoratori immigranti cercheranno un occupazione dopo essere già stati ammessi in uno Stato membro per altri motivi; l'istituzione di un visto per chi cerca lavoro potrebbe contribuire a regolamentare e controllare questa prassi.

Per migliorare la disponibilità di informazioni, sarebbe efficace un più ampio ricorso alle nuove tecnologie delle comunicazioni per fornire informazioni sulle possibilità e le condizioni di lavoro, ecc.. E' possibile creare e alimentare un punto di informazione europeo (ad esempio un sito web) contenente una raccolta completa di informazioni sull'ammissione di cittadini dei paesi terzi in ciascun Stato membro, con indirizzo delle autorità nazionali competenti a ricevere le richieste di permesso ai sensi delle direttive. Si potrebbe anche prendere in esame l'istituzione di un visto speciale per chi cerca lavoro.

Per consentire alle industrie europee, in particolare piccole e medie, di procedere - in caso di reale necessità - ad assunzioni rapide ed efficaci in paesi terzi, i datori di lavoro hanno bisogno di uno strumento pratico che dimostri che sul mercato del lavoro dell'UE esiste una carenza effettiva. Una possibile soluzione sarebbe considerare data la "prova delle necessità economiche" qualora una specifica offerta di lavoro venisse pubblicata dai servizi di collocamento di vari Stati membri per un certo periodo (per esempio attraverso la rete dei servizi di collocamento europei (EURES)) e non si presentasse alcun candidato idoneo dell'UE (o altra persona ammissibile a norma di accordi internazionali) [17].

[17] Casi specifici secondo la definizione dell'accordo GATTS: trasferimenti interni a società multinazionali, viaggiatori d'affari e forniture di servizi dall'esterno dell'UE.

3.5. Integrazione dei cittadini dei paesi terzi

L'importanza dell'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi è stata ribadita dal Consiglio europeo di Tampere. Una politica dell'UE in materia di immigrazione deve pertanto comprendere provvedimenti volti a garantire agli immigrati condizioni di vita e di lavoro comparabili a quelle di chi ha la nazionalità. La mancata disponibilità delle risorse necessarie a garantire un'efficace integrazione degli immigrati e delle loro famiglie è destinata a lungo termine ad esasperare i problemi sociali, con conseguenti possibili esclusioni e problemi connessi di delinquenza e criminalità. Anche se molti di coloro che soggiornano legalmente sono riusciti ad integrarsi e danno un importante contributo allo sviluppo economico e sociale dei paesi ospitanti, l'esclusione sociale colpisce in modo sproporzionato gli immigrati, i quali spesso sono anche vittime del razzismo e della xenofobia. Il quadro giuridico e le altre azioni proposti dalla Commissione per combattere la discriminazione e la xenofobia vanno completati con specifici programmi di integrazione a livello nazionale, regionale e locale. Nelle proposte per il 2001 il nuovo orientamento per l'occupazione n. 7 della Commissione invita gli Stati membri a provvedere alle necessità dei gruppi svantaggiati - compresi i lavoratori migranti che già soggiornano nell'Unione - in materia di integrazione nel mercato del lavoro, e a fissare obiettivi nazionali in questo settore tenendo conto della situazione del paese [18].

[18] Proposta modificata di decisione del Consiglio relativa agli orientamenti per la politica degli Stati membri in materia di occupazione per il 2001.

È tuttavia essenziale creare una società dell'accoglienza e riconoscere che l'integrazione è un processo a doppio senso, che richiede un adattamento sia da parte degli immigrati che della società ospitante. L'Unione europea è di per sé una società pluralistica, arricchita da una varietà di tradizioni culturali e sociali, la cui diversità in futuro è destinata ad accrescersi. Ci vuole quindi rispetto per le differenze culturali e sociali, ma anche per i nostri principi e valori fondamentali condivisi: rispetto per i diritti e la dignità dell'uomo, valutazione positiva del pluralismo e riconoscimento che l'appartenenza alla società si basa su una serie di diritti, ma comporta una serie di responsabilità per tutti gli appartenenti, nazionali o immigrati. La garanzia dell'uguaglianza in materia di condizioni di lavoro e di accesso ai servizi, nonché il riconoscimento dei diritti civili e politici agli immigrati che soggiornano da lungo tempo, concorrono ad affermare le responsabilità e a promuovere l'integrazione. Coordinando i propri sforzi per assicurare l'osservanza da parte dei datori di lavoro delle disposizioni della legislazione del lavoro nei rapporti con i cittadini dei paesi terzi, gli Stati membri darebbero un grande contributo al processo di integrazione, particolarmente importante per la copertura con immigrati dei posti di lavoro più qualificati, oggetto di concorrenza a livello mondiale. A questo proposito la Commissione ha già presentato proposte sui diritti dei lavoratori subordinati e autonomi cittadini di paesi terzi, che soggiornano legalmente in uno Stato membro, a fornire liberamente servizi all'interno dell'UE.

La Carta dei diritti fondamentali potrebbe costituire un punto di riferimento per definire il concetto di cittadinanza civile in uno specifico Stato membro (comprendente un nucleo comune di diritti e obblighi) per i cittadini dei paesi terzi. Permettere agli immigrati di acquisire tale cittadinanza dopo un minimo di anni per molti di loro può essere garanzia sufficiente di un inserimento riuscito nella società, oppure un primo passo verso l'acquisizione della nazionalità dello Stato membro interessato.

Un'efficace politica di integrazione deve iniziare al più presto dopo l'ammissione, basandosi soprattutto sul partenariato tra gli immigrati e la società ospitante. I leader politici devono creare il contesto necessario per l'accettazione della diversità, su cui si devono fondare le politiche di integrazione, per favorire la quale si possono predisporre pacchetti di inserimento dei nuovi immigrati commisurati alle loro esigenze individuali (comprendenti ad esempio formazione linguistica, informazione sulle struttura politiche e sociali, accesso ai servizi, ecc., prestando particolare attenzione alle esigenze delle donne e dei bambini migranti). Occorre comunque riconoscere che l'integrazione è un processo di lunga durata e pertanto vanno considerati con particolare attenzione gli immigrati di seconda generazione, compresi quelli nati nell'UE, affinché le loro difficoltà non si trasformino in esclusione sociale e criminalità. A questo proposito le donne e la famiglia dovrebbero costituire un punto focale delle politiche di immigrazione.

Pur competendo l'integrazione essenzialmente agli Stati membri, i governi dovrebbero condividerne la responsabilità con la società civile, soprattutto della zona in cui i provvedimenti d'integrazione vanno messi in atto. La chiave del successo sono le microazioni di partenariato che coinvolgano tutti gli attori che devrebbero partecipare: amministrazioni regionali e locali con i loro leader politici - soprattutto delle grandi città dove si stabiliscono molti immigrati -, fornitori di servizi scolastici, sanitari e sociali, polizia, mezzi di comunicazione, parti sociali, organizzazioni non governative, nonché gli immigrati stessi e le loro associazioni. Ciascuno ha una parte da svolgere nell'elaborazione e attuazione dei programmi d'integrazione, che devono disporre di risorse adeguate.

Per un'impostazione orizzontale di questo tipo è necessario un coordinamento a livello nazionale e locale, e l'UE potrebbe contribuire elaborando una strategia pedagogica, promuovendo lo scambio di informazioni e buone prassi - soprattutto a livello locale - e la definizione di orientamenti o standard comuni per i provvedimenti d'integrazione. Si potrebbe elaborare un programma di azione comunitaria per promuovere l'integrazione di cittadini di paesi terzi, volto a migliorare la comprensione di queste tematiche mediante valutazione delle prassi, a definire obiettivi di riferimento e altri indicatori, a promuovere il dialogo tra gli attori interessati e a sostenere reti europee e attività di sensibilizzazione.

3.6. Informazione, ricerca e controllo

Servono maggiori informazioni sugli schemi ed i flussi delle migrazioni in entrata ed in uscita dall'UE, compresa l'immigrazione illegale, nonché sul ruolo dei migranti nel mercato di lavoro e sugli effetti complessivi della migrazione (compresi gli aspetti sociali, culturali e politici) sull'UE e sui paesi di origine e transito. Occorre mantenere sotto controllo e valutare la stessa politica dell'UE in materia di immigrazione, e proseguire nell'impegno a migliorare la comparabilità delle statistiche sulle immigrazioni e a sostenere la ricerca comparata. Come ha già proposto il Parlamento europeo, sembra opportuno rafforzare l'attività di ricerca in corso e le reti di dati con l'istituzione di un centro europeo, che potrebbe coordinare le attività nei vari Stati membri e promuovere nuove ricerche sia nell'UE che nei paesi di origine.

La Commissione è consapevole delle esigenza di migliorare la raccolta e l'analisi dei dati statistici in materia di immigrazione e asilo e parteciperà attivamente al dibattito in corso sul miglior modo di farlo. In tale contesto si prenderà in esame l'istituzione di una base giuridica per la raccolta e per l'analisi dei dati statistici nel settore.

4. CONCLUSIONI E SEGUITO

Attuare il mandato di Tampere significa compiere una valutazione dei flussi migratori attuali e futuri nell'Unione europea, sviluppando contestualmente una politica comune in materia di asilo e immigrazione che tenga conto dei mutamenti demografici, della situazione del mercato di lavoro e delle pressioni migratorie nei paesi e nelle regioni d'origine.

Considerati il declino demografico che nell'UE assumerà sempre maggiore importanza nei prossimi venticinque anni, le attuali prospettive economiche positive e la crescente carenza di competenze qualificate sul mercato del lavoro, si auspica lo sviluppo di una politica comune di ammissione controllata nell'UE di immigranti per motivi economici, come parte di una politica globale dell'Unione in materia di immigrazione ed asilo. Fermo restando il perseguimento di riforme strutturali attraverso la Strategia europea per l'occupazione, nel contesto di una linea politica mirante ad una occupazione e ad un sviluppo più elevati ed a una società più coesa, la Commissione ritiene che l'immigrazione, pur non essendo di per sè una soluzione ai problemi del mercato del lavoro, possa dare un contributo positivo a tale mercato, allo sviluppo economico e alla sostenibilità dei sistemi di protezione sociale. Bisogna tuttavia tener presente che l'immigrazione è un fenomeno a più dimensioni, con effetti giuridici, sociali, culturali ed economici. Elaborare una politica comune significa quindi individuare un'efficace combinazione di tali elementi. La presente comunicazione definisce un quadro entro il quale una politica comune può essere gestita e regolamentata.

Entro tale quadro la Commissione propone una procedura di coordinamento a livello comunitario, sulla base di valutazioni degli Stati membri, in consultazione con le parti sociali e gli attori coinvolti nel processo di integrazione degli immigrati, che prevede la stesura di relazioni periodiche, sulla base delle quali il Consiglio può accordarsi su una politica globale dell'UE per l'ammissione di nuovi immigrati. Questa impostazione aperta è motivata dal fatto che un gestione efficace dell'immigrazione debba basarsi sul partenariato, poiché è indispensabile rapportarsi in modo orizzontale ai vari elementi.

Tale politica va accompagnata da programmi globali di integrazione a lungo termine elaborati in partenariato, con la partecipazione delle amministrazioni nazionali, regionali e locali e della società civile, al fine di massimizzarne gli effetti positivi in termini di occupazione, di rendimento economico e di coesione sociale, entro un quadro definito di diritti e doveri. In tale contesto occorre fare un uso concertato degli strumenti di politica comunitaria disponibili (ad esempio provvedimenti contro la discriminazione e per l'inclusione sociale adottati ai sensi degli articoli 13 e 137 del Trattato di Amsterdam, la Strategia per l'occupazione, il fondo sociale europeo e altre iniziative comunitarie come EQUAL e URBAN). Il ruolo della Commissione a sostegno di questa politica consiste nell'incoraggiare l'azione a livello locale e nazionale e lo scambio di buone prassi.

Per passare all'iniziativa in materia di immigrazione sono necessari una forte leadership politica ed un impegno esplicito a favore delle società pluralistiche e contro il razzismo e xenofobia, che sottolinei i vantaggi dell'immigrazione e della diversità culturale e - nel trattare le tematiche dell'immigrazione e dell'asilo - eviti un linguaggio che possa stimolare il razzismo od aggravare le tensioni tra le comunità. Occorrerà dar prova di sostenere le misure che promuovono l'integrazione dei nuovi immigrati e dei loro famigliari e promuovere l'apprezzamento e l'accettazione delle differenze culturali entro un chiaro quadro di diritti e doveri. A questo riguardo, come formatori dell'opinione pubblica, anche i mezzi di comunicazione hanno una notevole responsabilità.

La Commissione propone che venga definito in consultazione con gli Stati membri un quadro giuridico comune per l'ammissione dei cittadini dei paesi terzi, basato su principi di trasparenza, razionalità e flessibilità. Lo stato giuridico riconosciuto ai cittadini dei paesi terzi dovrebbe fondarsi sull'assegnazione di un insieme di diritti e doveri in basi paritarie con chi ha la nazionalità, ma differenziato secondo la durata del soggiorno, con possibilità di progredire verso uno status permanente. A lungo termine si potrebbe provvedere l'offerta di una forma di cittadinanza civile basata sul Trattato CE e ispirata alla Carta dei diritti fondamentali, composta di un insieme di diritti e doveri riconosciuti ai cittadini dei paesi terzi.

Il partenariato con i paesi di origine e di transito è considerato fondamentale per la regolazione dei flussi migratori. E' necessario sviluppare politiche di cooperazione differenziate con i vari tipi di paesi di origine (ad esempio paesi candidati, paesi partecipanti a programmi regionali finanziati dalla Comunità, altri paesi). Sul lungo periodo tali partenariati dovrebbero contribuire ad attenuare gli effetti delle immigrazioni coordinando gli sforzi per promuovere lo sviluppo dei paesi interessati, in particolare attraverso la mobilitazione dei migranti medesimi. Il partenariato dovrebbe sostenere le nuove forme di mobilità che stanno emergendo, ed agevolare i contatti degli immigrati con i paesi di origine e la loro partecipazione allo sviluppo dei medesimi.

Contestualmente a questa politica più aperta e trasparente, occorre rafforzare l'impegno a combattere l'immigrazione illegale, in particolare il contrabbando e la tratta di esseri umani, non solo aumentando la cooperazione ed intensificando i controlli di frontiera, ma anche applicando la legislazione del lavoro nei rapporti con i cittadini dei paesi terzi.

Tenuto conto della complessità di questi problemi e dell'esigenza di garantire la partecipazione di un' ampia gamma di attori alla messa in atto di tale politica, la Commissione propone di inviare la presente comunicazione al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale, perché esprimano il loro parere, e di diffonderla ampiamente a scopo di dibattito tra le amministrazioni nazionali e regionali, le parti sociali, il mondo economico e industriale, nonché le organizzazioni internazionali e non governative che si occupano di immigrazione e di associazioni degli immigrati.

Si propone che a discutere i risultati di questo dibattito sia dedicata una conferenza da tenersi sotto la presidenza belga nella seconda metà del 2001, e che le conclusioni della conferenza vengano presentate al Consiglio durante la riunione che si terrà a Bruxelles alla fine del 2001, dedicata tra l'altro ad una valutazione intermedia dell'attuazione del programma di Tampere.

ALLEGATO 1 Il contesto demografico ed economico

Il contesto demografico

Durante gli anni '90 la popolazione mondiale ha avuto un incremento più rapido che in tutti i periodi precedenti e nel 1999 ha raggiunto i 6 miliardi di persone. Secondo una stima delle NU, circa 150 milioni di persone (approssimativamente 2,5% della popolazione mondiale) vivono attualmente fuori dal proprio paese di origine. Si prevede che la popolazione mondiale continui ad aumentare almeno nel breve periodo e che i miglioramenti delle comunicazioni, combinandosi con il perdurare delle disparità economiche, dei conflitti e di fattori ecologici, contribuiscano a mantenere costanti le ondate e i riflussi migratori durante il ventunesimo secolo.

Anche la situazione demografica dell'UE ha subito significativi cambiamenti, con due tendenze in contrasto con la situazione mondiale complessiva che colpiscono particolarmente: une diminuzione della crescita della popolazione e un significativo aumento della sua età media. I dati elaborati da Eurostat dimostrano tra il 1975 e il 1995 la popolazione dell'UE è aumentata da 349 a 372 milioni di persone, e la quota degli anziani (con 65 anni e più) è aumentata dal 13% al 15,4%. Secondo le stime di Eurostat, tra il 1995 e il 2025 la popolazione dell'UE 15 dovrebbe crescere più lentamente da 372 a 386 milioni e quindi iniziare a diminuire. La popolazione in età lavorativa tuttavia (dai 20 ai 64 anni) inizierà a diminuire nei prossimi 10 anni (da 225 milioni nel 1995 ai previsti 223 milioni nel 2025), mentre contemporaneamente la popolazione con 65 anni e più continuerà ad aumentare raggiungendo secondo le stime il 22,4% nel 2025.

Nel primo quarto di questo secolo nei paesi dell'Europa centrale ed orientale si registra una tendenza generale ad un aumento della popolazione anche più lento di quello dell'UE15 [19]. Complessivamente gli Stati candidati all'adesione registreranno un invecchiamento della popolazione simile a quello dell'UE15, nonché una diminuzione prevista della popolazione in età lavorativa che in quasi tutti questi paesi solleverà problemi del tutto simili. Le conseguenze delle tendenze demografiche comunque dipenderanno anche della rapidità della ripresa economica e dalle condizioni del mercato del lavoro di tali paesi. In alcuni di essi le disparità regionali tra aree urbane e rurali saranno particolarmente marcate, analogamente a quanto avviene anche nell'UE15, dove alcuni paesi (D, I, S) registrano già saldi demografici negativi (nascite meno morti), mentre altri (SF, F, IRL, NL) continueranno per alcuni anni ad avere saldi demografici relativamente positivi [20]. In tutta l'UE comunque la migrazione netta è diventata la componente principale dell'incremento demografico [21].

[19] Relazione demografica 1997, DG Occupazione e affari sociali, pag. 29.

[20] Working Paper Eurostat, National and Regional Population Trends in the European Union (Tendenze demografiche nazionali e regionali nell'Unione europea), 3/1999/E/n°8, pag. 39.

[21] Ibid., pag. 16.

I dati Eurostat dimostrano che dopo un picco di circa un milione di persone l'anno nei primi anni '90, la migrazione netta nell'Unione europea successivamente è diminuita rapidamente, per iniziare a risalire fino a 700.000 nel 1999 [22]. Mediamente negli anni 1990-1998 il tasso migratorio netto nell'UE è stato di 2,2 per mille persone contro il 3 degli USA, il 6 del Canada e l'approssimato a 0 del Giappone. I flussi sono attualmente composti da una combinazione di persone: richiedenti asilo, sfollati e richiedenti protezione temporanea, famigliari che si ricongiungono con immigrati già stabiliti nell'UE, lavoratori migranti e immigranti per attività economiche, che sono in aumento. Il ricongiungimento famigliare e l'esistenza di comunità etniche dei paesi di origine in un determinato paese sono diventati fattori importanti in riferimento all'entità e alla direzione dei processi. I flussi sono diventati più flessibili - in particolare si sono registrati aumenti degli spostamenti di breve durata e transfrontalieri - con configurazioni complesse in entrata ma anche in uscita dall'Unione.

[22] Dati Eurostat. In questi dati sulla migrazione netta (saldo annuale tra immigrazione ed emigrazione) si tiene anche conto degli effetti di nascite e morti nell'anno interessato).

Una recente relazione delle NU, su basi esclusivamente demografiche [23], suggerisce che la migrazione sostitutiva potrebbe costituire un elemento importante per risolvere i problemi del declino e dell'invecchiamento demografici in Europa. La Commissione ritiene che, se un aumento della migrazione legale di per sé non può costituire un rimedio efficace sul lungo periodo per compensare i mutamenti demografici - dato che dopo essersi stabiliti gli immigrati tendono ad adottare i comportamenti riproduttivi del paese ospitante - sul breve periodo invece potrebbe costituire un importante fattore di crescita della popolazione, insieme ad altre risposte al mutamento demografico, quali politiche della famiglia più favorevoli. Parimenti l'aumento dell'immigrazione di per sé non è un modo efficace per fronteggiare gli squilibri del mercato del lavoro, comprese le carenze di competenze qualificate, per le quali occorrerebbe invece una strategia di interventi strutturali in materia di occupazione e sviluppo delle risorse umane. Tuttavia un'immigrazione controllata può servire ad attenuare le carenze, purché inserita in una strategia strutturale complessiva.

[23] "Replacement migration: is it a solution to declining and ageing populations", UN Secretariat ("Migrazione sostitutiva: una soluzione al declino e all'invecchiamento demografici", Segretariato NU) (ESA/P/WP.160), 21 marzo 2000.

Il contesto economico e la situazione del mercato del lavoro dell'UE

Le prospettive macroeconomiche dell'UE si presentano da alcuni anni come ottimali, con bassi tassi di inflazione e di interesse, ridotti disavanzi del settore pubblico e bilancie dei pagamenti in buona salute. I benefici economici dell'introduzione dell'euro e del completamento del mercato unico si stanno traducendo in aumento della crescita e della creazione dei posti di lavoro, con conseguente caduta della disoccupazione.

Il processo che ha avuto inizio con il Consiglio europeo di Lussemburgo del 1997 ha istituito un quadro ambizioso di coordinamento politico nell'UE nel settore dell'occupazione. A norma dell'articolo 99, paragrafo 2, del Trattato di Amsterdam, gli Stati membri attuano le rispettive politiche in materia di occupazione in modo coerente con gli orientamenti di massima per le politiche economiche elaborati annualmente dal Consiglio. Alla luce di tali orientamenti gli Stati membri predispongono piani d'azione nazionali, la cui attuazione viene controllata regolarmente dalla Commissione e dal Consiglio.

Varie debolezze dell'economia UE sono state messe in luce al Consiglio europeo di Lisbona di marzo 2000, soprattutto il gran numero di disoccupati, che resta superiore ai 15 milioni, nonostante il tasso di disoccupazione sia diminuito al 9,2% nel 1999 [24]. Il mercato del lavoro è caratterizzato dall'insufficiente partecipazione delle donne e degli anziani alla forza lavoro e dalla disoccupazione strutturale di lungo periodo, con cospicue differenze tra regioni. Il Consiglio europeo ha sottolineati i problemi causati dal sottosviluppo del settore dei servizi, soprattutto nel campo delle telecomunicazioni e di internet, e le crescenti carenze di competenze qualificate, soprattutto nel settore delle tecnologie dell'informazione, nel quale rimane scoperto un numero crescente di posti di lavoro. Il Consiglio ha anche evidenziato la necessità di modernizzare i sistemi di protezione sociale e soprattutto di garantirne la sostenibilità a fronte dell'invecchiamento demografico [25]. Una riforma dei regimi pensionistici, che incoraggiasse forme di pensionamento più graduali, e combinazioni più flessibili di lavoro e tempo libero per gli anziani, incentiverebbe le persone, che hanno oggi una salute migliore e condizioni di lavoro più agevoli dei loro ascendenti, a lavorare più a lungo. Anche l'attenuazione della sensibilità dei regimi pensionistici ai mutamenti demografici, mediante una più ampia condivisione delle responsabilità tra governo, parti sociali ed individui, ne ridurrebbe la dipendenza dalla popolazione in età lavorativa. La Strategia europea per l'occupazione sta iniziando ad affrontare questi problemi.

[24] Il tasso ha continuato a diminuire durante il 2000 ed attualmente è del 8,4%, con poco più di 14 milioni di disoccupati.

[25] "The future evolution of social protection from a long-term point of view: safe and sustainable pensions" ("La futura evoluzione della protezione sociale nel lungo periodo: pensioni sicure e sostenibili") (COM(200)622).

Il Consiglio di Lisbona ha fissato un nuovo obiettivo strategico per l'UE nel prossimo decennio: essa deve diventare un economia basata sulla conoscenza molto competitiva e dinamica, con crescita economica sostenuta e capacità di creare posti di lavoro più numerosi e migliori e maggiore coesione sociale. A questo scopo è stato adottato un piano d'azione con l'obiettivo di aumentare il tasso medio complessivo di occupazione dal 61% del 2000 a quasi 70% nel 2010, e per le donne nello stesso periodo dal 51% al 60%, rafforzando per questa via la sostenibilità per gli attuali sistemi di protezione sociale. Secondo la Commissione le strategie adottate ridurranno gli effetti dell'invecchiamento demografico nell'UE e il grado di dipendenza dei pensionati dai lavoratori occupati.

La relazione comune sull'occupazione 2000 [26] documenta i progressi ottenuti nel elevare il tasso d'occupazione, che nel 1999 ha raggiunto il 62,2%, nonché i settori in cui sono necessari sforzi ulteriori. Essa rileva anche le crescenti preoccupazioni relative alle carenze di competenze qualificate e alle mancate corrispondenze tra offerta e domanda di lavoro. Mentre questa tendenza si sta acutizzando in riferimento ad alcuni settori che occupano lavoratori ad alta qualifica, essenziali per lo sviluppo di un'economia basata sulla conoscenza, le carenze permangono anche in settori tradizionalmente a bassa qualifica, come l'agricoltura ed il turismo, anche in presenza di livelli elevati di disoccupazione, nonostante gli sforzi fatti per contrastare il fenomeno. Queste carenze potrebbero danneggiare la competitività dell'UE nell'economia globale.

[26] COM (2000) 551 (def.).

Di fatto, la capacità di regioni e paesi diversi di compensare gli effetti demografici e mobilitare risorse lavorative latenti variano notevolmente e soprattutto nel breve e medio periodo l'immigrazione potrà contribuire a compensare tali problemi come elemento di una strategia complessiva volta a promuovere la crescita e a ridurre la disoccupazione. Mentre a livello di UE sono già operative procedure di coordinamento delle politiche nei vari settori per facilitare il funzionamento del mercato unico, in particolare la libera circolazione di beni, capitali, servizi, lavoratori UE e altri cittadini, non ancora stata dedicata sufficiente attenzione al ruolo dei cittadini dei paesi terzi nel mercato del lavoro dell'UE, che per la sua crescente rilevanza dovrebbe essere ora preso in considerazione.

La situazione degli immigrati nel mercato del lavoro dell'UE

Riesaminando la situazione degli immigrati nel mercato del lavoro dell'UE a partire della metà degli anni '80, si assiste ad una crescente polarizzazione tra la situazione dei qualificati e dei non qualificati. Il numero degli immigrati attivi con scarsa o nessuna qualifica è in costante aumento dal 1992, per effetto della domanda proveniente per esempio dall'agricoltura, dall'edilizia, dai servizi domestici e alla persona, dal lavoro stagionale di tipo turistico (alberghi e ristorazione) nonché da alcuni settori manifatturieri. Quanto ai lavoratori qualificati, c'è attualmente una nuova disponibilità ad assumere immigrati con particolari qualifiche, per rispondere ad una domanda che l'attuale forza lavoro non riesce a soddisfare, anche in zone di elevata disoccupazione. Al tempo stesso la concorrenza a livello globale per questo personale qualificato diventa sempre più aspra (ad esempio nel settore delle tecnologie dell'informazione).

Pur non essendo le cifre sugli immigrati appena arrivati esaustive, anche per il gran numero di clandestini e irregolari che si ritiene lavorino in vari Stati membri, i dati ufficiali (indagine sulle forze di lavoro in Europa) sembrano indicare che i tassi d'occupazione degli immigrati di prima generazione - e soprattutto delle donne - sono in generali peggiori di quelli della popolazione complessiva. Studi recenti dell'OIL sulla discriminazione etnica nel mercato del lavoro hanno evidenziato livelli statisticamente significativi di discriminazione in vari Stati membri. Gli immigrati inoltre hanno tassi più elevati di abbandono scolastico rispetto ai locali, che possono essere dovuti a difficoltà linguistiche, specialmente per chi è appena arrivato, ma anche a problemi inerenti al sistema scolastico.

In anni recenti vari studi hanno cercato di valutare l'incidenza economica dell'immigrazione legale in diversi Stati membri, in particolare Germania, Danimarca e Austria. Sono stati individuati effetti sia positivi che negativi, soprattutto a livello locale, ma i secondi tendono ad annullarsi e complessivamente l'immigrazione esercita in generale un effetto positivo sulla crescita economica senza gravare sulla sicurezza sociale. Gli studi non confermano l'idea che l'immigrazione favorisca la disoccupazione. Al contrario gli immigrati occupano in genere posti di lavoro che sarebbero rimasti scoperti anche in caso di elevata disoccupazione della popolazione locale. Risultano confermati studi precedenti svolti in USA, Canada e Australia, sulla base dei quali si sono perseguite politiche migratorie che tentano di attirare quote annuali di immigrati destinati a specifici settori. E' ovviamente difficile stimare l'incidenza degli immigrati clandestini che lavorano nell'UE, poiché non si possono valutare con precisione la loro consistenza numerica ed ubicazione. Anche se sul breve periodo, unitamente agli immigrati legali a bassa qualifica, essi possono dare un innegabile contributo all'economia, la loro presenza può anche ostacolare la realizzazione di mutamenti strutturali necessari per una crescita di lungo periodo.

I vantaggi economici possono essere più cospicui nel caso degli immigrati ad alta specializzazione, che rispondono ad una domanda di competenze qualificate, che non in quello degli immigrati a bassa qualifica, che in taluni casi possono fare concorrenza ai lavoratori locali per i posti disponibili. E' nei settori meno qualificati (agricoltura ed attività collegate, ristorazione, pulizie) che tende a trovare lavoro la maggior parte degli immigrati clandestini, con salari spesso inferiori a quelli della manodopera locale e in condizioni che possono provocare sfruttamento e tensioni sociali. D'altro canto gli immigrati, per effetto della loro concentrazione settoriale e territoriale, possono diventare una forza importante nell'economia locale.

Mentre in alcuni paesi le difficoltà di settori che hanno tradizionalmente attratto gli immigrati (in particolare l'edile, il minerario e il manifatturiero) hanno prodotto livelli di disoccupazione più elevati tra gli immigrati che non tra i locali, in anni recenti vi sono anche indicazioni di maggiore flessibilità da parte degli immigrati nell'affrontare tali problemi, soprattutto con il passaggio al settore dei servizi e la costituzione di piccolo imprese autonome. Spesso si riscontrano anche incrementi complessivi della produttività nei settori che occupano immigrati e nelle industrie collegate. Si ritiene che in agricoltura, in talune industrie manifatturiere e in alcuni servizi commerciali la scarsità di immigrati avrebbe conseguenze negative sul settore interessato [27].

[27] "Assessment of possible migration pressure and its labour market impact following EU enlargement to Central and Eastern Europe" ("Valutazione dell'eventuale pressione migratoria e del suo effetto sul mercato del lavoro conseguenti all'allargamento dell'UE all'Europa centrale ed orientale"), parte 1, John Salt e alt., Research Report RR 138, Department of Education and Employment (UK), Dicembre 1999.

Quanto ai sistemi di sicurezza sociale, la presenza di lavoratori migranti legali e dei loro familiari, quanto meno su breve periodo, potrebbe costituire un fattore positivo nei confronti dell'invecchiamento e del declino demografico, anche se inizialmente vi possono essere costi di sistemazione. La presenza di efficaci misure di integrazione per i cittadini di paesi terzi, che garantiscano loro condizioni di vita e di lavoro accettabili, potenzia il loro contributo socio-economico alla società ospitante. Vice versa l'assenza di tali politiche con conseguente discriminazione ed esclusione sociale, in ultima istanza, può produrre maggiori costi a lungo termine per la società.

ALLEGATO 2 Rassegna delle proposte recenti o imminenti di politica dell'immigrazione della Commissione

Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) 1408/71 per quanto riguarda la sua estensione ai cittadini di paesi terzi (COM (97) 561 def. , presentato nel 1997)

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modificazione del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (COM (98) 394 def., presentato nel 1998)

Direttiva che attua il principio della parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (Direttiva 200/43, GU L 180 del 19/7/2000, adottata nel giugno 2000)

Direttiva sulle discriminazioni sul lavoro fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali (COM (99) 565 def., presentato nell'ottobre 1999)

Decisione del Consiglio che istituisce un programma d'azione comunitaria per combattere la discriminazione 2001-2006 (COM (2000) 649 def., adottato nell'ottobre 2000)

Direttiva sul diritto al ricongiungimento famigliare (presentata nel dicembre 1999), versione modificata dell'ottobre 2000

Direttiva sullo status dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano da lungo tempo in uno Stato membro (febbraio 2001)

Direttiva sulle condizioni d'ingresso e residenza a scopo di studio o formazione professionale (prima metà del 2001)

Direttiva sulle condizioni d'ingresso e residenza per svolgere attività non retribuite (prima metà del 2001)

Direttiva sulle condizioni d'ingresso e residenza per svolgere lavoro subordinato ed autonomo (prima metà del 2001)

Mobilitazione per la raccolta di dati statistici in materia di migrazione sulla base della raccolta iniziata nel 1998 (prima metà del 2001)

Comunicazione sulla politica dei rientri (prima metà del 2001)

Proposte di procedura di coordinamento e controllo per l'attuazione della politica comunitaria in materia di immigrazione

Proposte di programma d'azione comunitaria per promuovere l'integrazione dei cittadini dei paesi terzi, concernenti misure orizzontali per sostenere lo scambio di esperienze e lo sviluppo di buone prassi.