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Relazione esplicativa della convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea (Testo approvato dal Consiglio il 26 giugno 1997)

Gazzetta ufficiale n. C 391 del 15/12/1998 pag. 0001 - 0012


RELAZIONE ESPLICATIVA della convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea (Testo approvato dal Consiglio il 26 giugno 1997) (98/C 391/01)

I. INTRODUZIONE

Il diritto penale degli Stati membri dell'Unione europea, alla pari di quanto avviene praticamente in tutto il resto del mondo, prevede misure di lotta contro la corruzione attiva e passiva dei funzionari nazionali. Pur variando da uno Stato all'altro, la definizione dei reati di corruzione rende possibile rinvenire in essi elementi comuni che rendono possibile una definizione comune.

Passando dalla prospettiva interna a quella internazionale, la principale lacuna già da tempo constatata sul fronte della lotta alla corruzione presentante elementi di transnazionalità consiste nel frequente disinteresse che il diritto penale interno degli Stati manifesta nei confronti della corruzione di pubblici ufficiali stranieri od appartenenti ad organizzazioni internazionali. La definizione di «pubblico ufficiale» o di funzionario rilevante ai fini dell'applicazione del diritto penale interno di molti Stati è infatti applicabile ai soli pubblici ufficiali nazionali; anche nel caso di assenza di ulteriori specificazioni essa viene spesso interpretata in senso restrittivo.

Sino ad oggi il diritto penale di gran parte degli Stati membri non ha previsto la perseguibilità di condotte di corruzione rivolte nei confronti di funzionari di altri Stati membri o delle Comunità europee e ciò anche nel caso in cui tali condotte vengano poste in essere all'interno del proprio territorio o da parte di un proprio cittadino (1). Anche se in taluni casi il ricorso a figure di reato diverse dalla corruzione, quali quelle di frode e abuso di fiducia, può servire egualmente a perseguire taluni comportamenti criminosi, la corruzione in quanto tale rischiava comunque di rimanere priva di sanzione.

Tale situazione, da tempo al centro dell'attenzione in diverse sedi internazionali [in particolare OCSE (2) e Consiglio d'Europa] e già oggetto di numerose raccomandazioni e risoluzioni, appare vieppiù insostenibile all'interno dell'Unione europea in ragione dei più stretti legami esistenti tra gli Stati membri nonché della stessa loro comune appartenenza ad un'istituzione sopranazionale fondata sul diritto e la legalità, qual è la Comunità europea e che è per di più dotata di proprie istituzioni e di una proprio esteso corpo di funzionari.

Oltre che sotto il profilo dei principi, la situazione descritta crea di frequente intralcio alla cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, ove non sia soddisfatta la condizione della doppia incriminazione.

Una prima risposta a tale situazione è giunta con l'atto del Consiglio del 27 settembre 1996 (3) che stabilisce un protocollo della convenzione del 26 luglio 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee (4); il suddetto protocollo ha anche fornito risposta al punto 7, lettera h), della risoluzione del Consiglio del 6 dicembre 1994 sulla tutela giuridica degli interessi finanziari delle Comunità (5), ai sensi della quale «gli Stati membri dovrebbero prendere misure efficaci per punire gli atti di corruzione in cui sono coinvolti funzionari delle Comunità europee in relazione agli interessi finanziari delle Comunità».

Tuttavia, tale protocollo, in ragione della materia oggetto della relativa convenzione, si limitava ad obbligare gli Stati membri a reprimere i soli comportamenti di corruzione collegati ad atti di frode ai danni degli interessi finanziari delle Comunità europee, vale a dire, secondo la definizione offerta dagli articoli 2 e 3 del protocollo, un atto commissivo od omissivo «. . . che leda o che potrebbe ledere gli interessi finanziari delle Comunità europee».

Il governo italiano nel 1996 assunse l'iniziativa di proporre un progetto di convenzione al fine di estendere l'obbligo di incriminazione a tutti i comportamenti di corruzione che tocchino funzionari comunitari o di Stati membri, e non soltanto a quelli collegati ad atti di frode ai danni degli interessi finanziari delle Comunità europee. Pur fondandosi in buona parte sulle disposizioni e le definizioni sulle quali si era già potuto constatare un accordo tra le delegazioni in occasione della discussione del protocollo, si tratta tuttavia di una proposta di portata autonoma e generale che reca al proprio interno le necessarie disposizioni complementari in materia di cooperazione giudiziaria e di competenza della Corte di giustizia. Successivamente a questa iniziativa il Consiglio ha adottato il 26 maggio 1997 l'atto che stabilisce la convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell'Unione europea (6).

Una volta operante, tale convenzione contribuirà a un efficace funzionamento del mercato interno e all'attuazione dell'orientamento politico n. 13 del piano d'azione del 28 aprile 1997 contro la criminalità organizzata (7), adottato dal Consiglio europeo di Amsterdam del 1997.

Occorre notare che parti della presente relazione esplicativa sono state elaborate sulla scorta delle osservazioni contenute nelle relazioni esplicative sulla convenzione del 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee (8) e sul protocollo del 1996 della suddetta convenzione (9).

II. OSSERVAZIONI SUGLI ARTICOLI

Articolo 1 Definizioni

Questa disposizione introduttiva definisce i termini di «funzionario», «funzionario comunitario» e «funzionario nazionale», ai sensi della convenzione, ogniqualvolta detti termini vi figurino.

1.1. Sotto la generica definizione di «funzionario» di cui alla lettera a) ricadono varie categorie di persone - funzionari comunitari e funzionari nazionali, inclusi i funzionari nazionali di un altro Stato membro - al fine di garantire la più ampia e omogenea applicazione delle disposizioni fondamentali della convenzione nella lotta contro la corruzione.

Ai fini della definizione di queste categorie viene fatto riferimento ai rispettivi statuti.

1.2. La lettera b) si applica ai «funzionari comunitari», che non sono soltanto i funzionari di ruolo in senso stretto, contemplati dallo Statuto dei funzionari delle Comunità europee, ma anche le diverse categorie di personale assunto per contratto ai sensi del regime applicabile agli altri agenti delle Comunità europee, ossia gli esperti nazionali comandati presso le Comunità europee per esercitare funzioni corrispondenti a quelle esercitate dai funzionari o dagli altri agenti delle Comunità.

Non rientrano in tale definizione i membri delle istituzioni comunitarie - la Commissione, il Parlamento europeo, la Corte di giustizia e la Corte dei conti delle Comunità europee, dei quali si occupa invece il successivo articolo 4 della convenzione.

1.3. L'ultima frase della lettera b) intende includere nella definizione di «funzionario comunitario» il personale degli organismi costituiti secondo il diritto comunitario, ovvero, attualmente:

- l'Agenzia europea di cooperazione (10)

- la Banca europea per gli investimenti (11),

- il Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale (12),

- la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (13),

- l'Istituto universitario europeo di Firenze (14),

- il Fondo europeo per gli investimenti (15),

- l'Agenzia europea dell'ambiente (16),

- la Fondazione europea per la formazione professionale (17),

- l'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (18),

- l'Agenzia europea di valutazione dei medicinali (19),

- l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (20),

- l'Ufficio di armonizzazione a livello di mercato interno (marchi, disegni e modelli) (21),

- la Banca centrale europea (22),

- l'Ufficio comunitario delle varietà vegetali (23),

- il Centro di traduzione degli organismi dell'Unione europea (24),

- l'Osservatorio europeo sul razzismo e la xenofobia (25).

Questa disposizione riguarda il personale degli organismi, già esistenti e di futura creazione, ai quali spetta, in senso lato, applicare la normativa comunitaria, sia esistente che prevista ai sensi dei trattati della Comunità.

1.4. La lettera c) definisce il «funzionario nazionale» quale «funzionario» o «pubblico ufficiale» secondo quanto definito nel diritto nazionale di ciascuno Stato membro ai fini del rispettivo diritto penale. Si dà pertanto precedenza alla definizione contenuta nel diritto penale dello Stato di appartenenza del funzionario. Qualora sia coinvolto un funzionario nazionale dello Stato membro che ha promosso l'azione penale, è senz'altro applicabile la sua definizione nazionale. Qualora sia invece coinvolto un funzionario di un altro Stato membro, la definizione presente nel diritto di detto Stato membro dovrebbe normalmente essere applicata dallo Stato membro che ha avviato l'azione penale. Nel caso di persone che non avrebbero lo status di funzionario ai sensi della legge di tale ultimo Stato, questa definizione può però non risultare decisiva. Ciò risulta chiaramente dal secondo comma della lettera c), secondo cui uno Stato membro è obbligato a recepire la definizione di funzionario di un altro Stato membro soltanto nella misura in cui essa sia compatibile con il suo diritto interno, ed avrà pertanto la facoltà di stabilire che i reati di corruzione in cui sono coinvolti funzionari di un altro Stato membro si riferiscono soltanto a funzionari il cui status è compatibile con la propria definizione di «funzionario nazionale». Pur non essendo previsto alcun obbligo al riguardo, la decisione di fare ricorso in via generale a tale facoltà potrà anche eventualmente venire esplicitata da parte dello Stato membro attraverso il deposito di una apposita dichiarazione.

Deve in generale osservarsi che il riferimento al diritto dello Stato membro del funzionario consente di tenere debito conto delle situazioni nazionali specifiche per quanto riguarda lo status delle persone che esercitano funzioni pubbliche.

L'articolo 4, paragrafi 2 e 3, mette invece in evidenza che la nozione di «funzionario nazionale» non include automaticamente membri del Parlamento, ministri, membri degli organi giudiziari supremi o membri della Corte dei conti negli Stati membri, senza che con ciò sia peraltro preclusa la facoltà degli Stati membri di estendere la propria definizione di «funzionario nazionale» a una o più di dette categorie di persone.

Articolo 2 Corruzione passiva

L'articolo 2 definisce gli elementi del reato di corruzione passiva. Come gran parte delle altre disposizioni della convenzione, il testo è sostanzialmente modellato, con i necessari adattamenti, su quello dei corrispondenti articoli del protocollo della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee (di seguito «il primo protocollo»).

2.1. Il paragrafo 1 elenca una serie di elementi che costituiscono la condotta di corruzione di un funzionario: l'intenzione deliberata rappresenta un requisito essenziale.

2.2. Gli elementi materiali del reato di corruzione comprendono il sollecitare, ricevere e accettare alcuni beni «direttamente o tramite un intermediario».

Ciò include:

- un atto unilaterale di un funzionario che richiede un vantaggio per se stesso facendo sapere ad un'altra persona, esplicitamente o implicitamente, che quest'ultima dovrà «pagare» per il compimento di un atto ufficiale, o per la sua omissione; è irrilevante se la richiesta venga soddisfatta, in quanto l'essenza del reato è costituita dalla richiesta stessa;

- l'accettazione o il ricevimento da parte dell'autore dell'infrazione di determinati beni conseguenti ad un'intesa di volontà tra egli stesso ed il donatore; il reato è consumato quando vi è stato uno scambio di consenso, anche se il funzionario in seguito rinuncia a portare a compimento l'accordo o restituisce quanto aveva ricevuto.

La convenzione non distingue tra mezzi diretti o indiretti di corruzione. Il fatto che vi sia coinvolto un intermediario, che amplia la portata della corruzione passiva facendovi rientrare l'azione indiretta da parte dei funzionario, comporta necessariamente che venga riscontrata la natura criminosa del comportamento di quest'ultimo a prescindere dalla buona o mala fede dell'intermediario coinvolto.

2.3. Costituisce reato anche il caso di un funzionario che richiede ad esempio un regalo o un altro vantaggio non per se stesso, ma per un terzo, quale il coniuge o partner, un amico intimo, un partito politico o un'altra organizzazione.

2.4. Gli elementi che costituiscono l'oggetto materiale della corruzione comprendono offerte, promesse o vantaggi di qualsiasi natura a favore del funzionario o di qualsiasi altra persona.

«Vantaggi di qualsiasi natura» è un concetto deliberatamente ampio che comprende non solo oggetti materiali (denaro, oggetti preziosi, beni di ogni genere, servizi resi), ma anche qualunque cosa che possa rappresentare un interesse indiretto, come il pagamento dei debiti della persona corrotta, lavori effettuati su sue proprietà. L'elenco non è esauriente. Il concetto di vantaggio sollecitato, ricevuto o promesso copre qualsiasi vantaggio materiale o immateriale.

Ai fini del protocollo, il momento in cui i beni che costituiscono l'oggetto della corruzione sono consegnati o forniti è irrilevante. Prevedendo espressamente l'accettazione di una promessa il paragrafo 1 include i pagamenti differiti, sempre che la loro origine riposi in un accordo illecito tra il corrotto e il corruttore.

2.5. La disposizione in questione è formulata in modo da prevedere che la richiesta o l'accettazione precedano l'atto o l'omissione del funzionario, dal momento che il testo stipula chiaramente che: «quando il funzionario . . . sollecita o riceve vantaggi . . . o ne accetta la promessa per compiere o per omettere. . .».

Ai sensi della disposizione, dunque, nei casi di beneficio ricevuto dopo il compimento di un atto senza che vi sia stata una previa richiesta od accettazione, non vi sarà obbligo per gli Stati di introdurre una responsabilità penale. L'articolo non trova neppure applicazione nei confronti dei regali che non presentino un collegamento con successivi atti compiuti dal funzionario nell'espletamento dei suoi compiti.

Naturalmente, ai sensi del successivo articolo 11 della convenzione, nulla preclude agli Stati che lo desiderino di considerare penalmente perseguibili anche le condotte di corruzione eventualmente consistenti nel ricevere un beneficio richiesto od accettato in un momento già successivo al compimento dell'atto contrario ai propri doveri di ufficio.

2.6. Le funzioni o i compiti del funzionario costituiscono l'oggetto delle condotte nei confronti delle quali la convenzione trova applicazione. La convenzione è applicabile al compimento o all'omissione di un atto che rientra nelle funzioni del titolare di un ufficio o di una funzione ai sensi di una qualsiasi norma o regolamento (dovere d'ufficio), nella misura in cui gli atti siano compiuti in violazione dei doveri del funzionario.

Le legislazioni di alcuni Stati membri contemplano anche i casi in cui un funzionario, contrariamente al suo dovere d'ufficio di agire in modo imparziale, riceve un vantaggio in cambio di un'azione svolta in conformità delle sue funzioni (ad esempio, per avere concesso un trattamento preferenziale, accelerando o ritardando l'iter di una pratica). Questi casi sono contemplati dal presente articolo.

2.7. Il paragrafo 2 impone agli Stati membri di adottare le misure necessarie di diritto penale per assicurare che le condotte di cui al paragrafo 1 costituiscano illeciti penali.

Spetta pertanto agli Stati membri verificare se il proprio diritto penale copra effettivamente tutti i pertinenti tipi di condotta e categorie di persone e, in caso negativo, adottare misure che stabiliscano uno o più illeciti corrispondenti, sia prevedendo un'unica fattispecie di illecito di carattere generale, sia definendo vari illeciti specifici.

Articolo 3 Corruzione attiva

Questo articolo descrive gli elementi del reato di corruzione attiva di un funzionario.

La disposizione costituisce un corollario del reato definito all'articolo 2, visto dalla parte del corruttore; in particolare essa è volta ad assicurare il corretto funzionamento della pubblica amministrazione, nonché a proteggere i funzionari da eventuali azioni dirette contro di loro, partendo dall'assunto che nella maggior parte degli Stati membri la corruzione attiva e quella passiva sono due illeciti penali distinti ed indipendenti nei confronti dei quali possono essere intentate azioni penali distinte e indipendenti.

Il paragrafo 1 elenca una serie di condotte sanzionabili poste in essere da parte del corruttore che costituiscono corruzione attiva di un funzionario.

3.1. La «persona che deliberatamente promette o dà . . . . un vantaggio . . .») si riferisce al corruttore, indipendentemente dalla veste in cui agisce (impresa, servizio pubblico, ecc.); il corruttore può agire in quanto privato o per una società oppure come persona che esercita una funzione pubblica.

L'atto che costituisce la corruzione deve essere compiuto deliberatamente ossia con l'intenzione esplicita di ottenere dal funzionario un comportamento contrario ai doveri connessi con il servizio pubblico.

La questione consistente nello stabilire se vi sia o meno illecito quando il corruttore agisca deliberatamente ma s'inganni sul tipo di autorità che egli ritenga essere rivestita dal funzionario dovrà venire risolta sulla base del diritto nazionale dei singoli Stati.

3.2. L'atto del corruttore può consistere nel promettere o dare, direttamente o tramite un intermediario, un vantaggio materiale o immateriale di qualsiasi tipo a prescindere dal fatto che l'offerta sia posta in atto e il vantaggio si concretizzi.

L'atto della corruzione può essere unilaterale o bilaterale, essere collegato con beni materiali o immateriali; il concetto di «vantaggio» deve essere inteso nel senso più ampio possibile, tenendo conto dei precedenti punti 2.4 e 2.5.

L'articolo non distingue tra modi (diretti o indiretti) con cui è operata la corruzione; esso comprende qualsiasi tipo di condotta di corruzione rivolta nei confronti del funzionario, sia in maniera diretta che per il tramite di un terzo.

3.3. La corruzione attiva è diretta ad una persona che, per definizione, deve essere un funzionario, indipendentemente dal fatto che il vantaggio che ne deriva sia per quest'ultimo o per un'altra persona.

3.4. L'obiettivo della corruzione attiva è lo stesso della corruzione passiva; si veda il punto 2.6.

3.5. L'articolo 3, paragrafo 2, è identico all'articolo 2, paragrafo 2; si veda il punto 2.7.

Articolo 4 Assimilazione

Questo articolo si propone lo scopo di rafforzare ed ampliare il campo delle misure anticorruzione introdotte dalla convenzione disponendo che il diritto penale dei singoli Stati membri subisca adattamenti in funzione di taluni illeciti commessi da parte di soggetti che rivestono incarichi particolari in seno alle istituzioni comunitarie. Coerentemente con quanto già operato in occasione dell'adozione del primo protocollo, la norma viene infatti ad introdurre un principio di assimilazione in forza del quale gli Stati saranno tenuti ad estendere ai membri delle istituzioni comunitarie le fattispecie dei crimini di corruzione che sono rispettivamente applicabili nei confronti di soggetti che rivestono incarichi analoghi all'interno dei singoli ordinamenti.

4.1. Il paragrafo 1 afferma il principio per il quale le fattispecie dei crimini applicabili a ministri del governo, membri del Parlamento, membri degli organi giudiziari supremi e membri della Corte dei conti devono essere estese ai loro omologhi che agiscono nell'esercizio delle loro funzioni in seno alle istituzioni comunitarie (membri della Commissione, del Parlamento europeo, della Corte di giustizia delle Comunità europee e della Corte dei conti delle Comunità europee).

Ne consegue che, ai fini della perseguibilità degli illeciti di corruzione, i membri della Commissione sono assimilati ai ministri del governo, i membri del Parlamento europeo ai membri dei Parlamenti nazionali, i membri della Corte di giustizia delle Comunità europee ai membri degli organi giudiziari nazionali supremi ed i membri della Corte dei conti delle Comunità europee agli omologhi nazionali. In base a tale assimilazione, le disposizioni nazionali che riguardano gli illeciti commessi da membri dei parlamenti nazionali, ministri del governo, ecc. devono essere estese ai suddetti membri delle istituzioni delle Comunità europee.

La norma non richiede ovviamente che delle disposizioni incriminatrici speciali siano necessariamente applicabili a tali soggetti all'interno di uno Stato membro. Ove uno Stato membro applichi nei confronti della corruzione di ministri, di parlamentari o di giudici le medesime disposizioni che applica nei confronti della corruzione di funzionari, allora esso sarà semplicemente tenuto ad incriminare anche la corruzione dei membri delle istituzioni comunitarie facendo ricorso a tali disposizioni generali.

4.2. Poiché alcuni Stati membri non conoscono l'istituto della Corte dei conti in quanto tale, gli organi corrispondenti sono:

- Regno Unito: il National Audit Office;

- Irlanda: l'Office of Comptroller e l'Auditor-General;

- Danimarca: il Rigsrevisionen;

- Svezia: il Riksrevisionsverket;

- Finlandia: Valtiontalouden t.arkastusvirasto/Statens revisionsverk.

4.3. Il paragrafo 2 prevede la possibilità di deroga al principio di assimilazione del paragrafo 1 per gli Stati membri in cui la responsabilità penale per i ministri del governo sia disciplinata da una legislazione speciale applicabile in situazioni nazionali particolari. L'eventuale utilizzo della facoltà di deroga non esclude tuttavia la necessità di introdurre comunque una forma di responsabilità penale per gli illeciti commessi contro o da membri della Commissione facendo ricorso alle norme comuni del diritto penale nazionale.

Questa possibilità può rivelare la propria utilità in Stati membri come la Danimarca, paese nel quale le disposizioni del diritto penale che disciplinano la responsabilità dei ministri si applicano in determinate situazioni (per esempio quelle in cui un ministro può essere tenuto penalmente responsabile di atti compiuti dai suoi subordinati) in cui altre persone che occupano posizioni di comando non sarebbero normalmente responsabili dal punto di vista penale.

4.4. Il paragrafo 3 stabilisce che i precedenti paragrafi sull'assimilazione per quanto riguarda la possibilità di incriminazione «fanno salve le disposizioni applicabili in ciascuno Stato membro per quanto attiene alla procedura penale e alla determinazione degli organi giudiziari competenti».

Ai fini dei vari paragrafi dell'articolo 4 nel loro complesso, la convenzione non può pregiudicare o influenzare le norme nazionali di procedura penale o quelle relative alla competenza dei tribunali a giudicare i casi concernenti gli illeciti pertinenti, ma questo non osta a che l'articolo in questione abbia pieno effetto all'interno dei sistemi giuridici nazionali.

Con particolare riferimento alle persone cui si applica il paragrafo 1 e per le quali il principio di assimilazione implica di norma e senza esclusioni un trattamento identico in base ai diritto penale, va tenuto presente quanto segue. Qualora una legge speciale di uno Stato membro conferisca a un tribunale speciale (o ad un tribunale ordinario in una composizione specifica) la competenza di giudicare ministri del governo, membri del Parlamento, delle Corti supreme o della Corte dei conti accusati di un illecito, tale tribunale può allora essere anche competente a giudicare in casi analoghi riguardanti membri della Commissione, del Parlamento europeo, della Corte di giustizia delle Comunità europee e della Corte dei conti delle Comunità europee, rimanendo in ogni caso impregiudicate le disposizioni nazionali che disciplinano la competenza giurisdizionale.

4.5. Il paragrafo 4 dispone che la convenzione non pregiudica le disposizioni che regolano la soppressione delle immunità per il personale delle istituzioni comunitarie.

La soppressione dell'immunità continua pertanto a rimanere una condizione preliminare per l'esercizio della giurisdizione. Al riguardo la convenzione riconosce l'obbligo di ciascuna istituzione interessata di applicare le disposizioni sui privilegi e sulle immunità in base alle vigenti procedure e alle ordinarie vie di ricorso previste dal diritto comunitario (26).

Articolo 5 Sanzioni

5.1. L'articolo 5, paragrafo 1, impone agli Stati membri di considerare sempre passibili di sanzioni penali i reati di corruzione attiva e passiva definiti agli articoli 2 e 3, in altre parole perseguibili dagli organi giurisdizionali.

Ciò si applica altresì alla complicità ed all'istigazione relativa a tali comportamenti, da interpretare in base alle definizioni offerte dal diritto penale di ciascuno Stato membro.

Poiché nel concetto di reati di corruzione attiva e passiva è incluso il comportamento consistente nel fare promesse a prescindere dal fatto che siano effettivamente mantenute o portate a termine, non è stato ritenuto necessario imporre l'obbligo di definire illecito penale anche il tentativo di corruzione attiva o passiva. Tuttavia gli Stati membri che lo desiderino possono ovviamente rendere punibili anche le condotte di tentativo di commissione del reato.

Le sanzioni dovranno essere effettive, proporzionate e dissuasive conformemente ai criteri indicati dalla nota sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee la quale, nella causa 68/88 (27) aveva affermato che: «gli Stati membri devono segnatamente vegliare a che le violazioni del diritto comunitario siano sanzionate, sotto il profilo sostanziale e procedurale, in termini analoghi a quelli previsti per le violazioni del diritto interno simili per natura e per importanza e che in ogni caso conferiscano alla sanzione stessa un carattere di effettività, di proporzionalità e di capacità dissuasiva».

Nel rispetto di questa pronunzia, gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità per fissare il tipo e la severità delle sanzioni che possono essere inflitte. Esse non devono necessariamente comportare in ogni caso pene privative della libertà: sarà possibile comminare anche pene pecuniarie in aggiunta o in alternativa alla detenzione.

5.2. Nei «casi gravi» la convenzione prevede però che gli Stati membri impongano pene privative della libertà che possono comportare l'estradizione. Spetterà in ogni caso agli Stati membri decidere in base a quali criteri o elementi concreti l'illecito sarà da considerarsi grave in base alle rispettive tradizioni giuridiche.

5.3. Il paragrafo 2 tratta del legame tra il diritto penale e i poteri disciplinari nel caso in cui lo stesso comportamento di corruzione possa essere sanzionato da entrambi; viene privilegiato il principio dell'indipendenza dei sistemi di disciplina nazionali o europei, in quanto lo svolgimento di una procedura penale «lascia impregiudicato l'esercizio, da parte delle autorità competenti, dei poteri disciplinari nei confronti dei funzionari nazionali o dei funzionari comunitari».

Per tener conto di alcune tradizioni giuridiche nazionali, il paragrafo consente alle autorità nazionali di applicare i principi della propria legislazione secondo cui, nel fissare la sanzione penale da comminare, si potrà tener conto delle sanzioni disciplinari già inflitte alla stessa persona per lo stesso reato. Questa è una misura procedurale specifica che non sarà obbligatoria per gli Stati membri che non riconoscono o non danno esecuzione alle sanzioni disciplinari.

Articolo 6 Responsabilità penale dei dirigenti di impresa

6.1. Questo articolo si ispira pressoché integralmente all'articolo 3 della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee. Analogamente a tale disposizione, esso si propone di non esonerare automaticamente i dirigenti o altre persone che esercitano in un'impresa un potere di diritto o di fatto da qualsiasi responsabilità penale qualora una condotta di corruzione attiva sia stata commessa per conto dell'impresa da persona soggetta alla loro autorità.

La convenzione lascia agli Stati membri un ampio margine di libertà nello stabilire il fondamento su cui basare la responsabilità penale dei dirigenti e delle persone che esercitano poteri decisionali.

Oltre alla responsabilità penale dei dirigenti d'impresa o delle persone che hanno poteri decisionali, riconducibile ad atti personali (in quanto autori, coautori, complici o istigatori), l'articolo contempla la possibilità per gli Stati membri di basare la responsabilità penale dei dirigenti anche su altri fondamenti.

A norma dell'articolo, lo Stato membro può pertanto prevedere di far valere la responsabilità penale dei dirigenti qualora abbiano mancato ad un obbligo di vigilanza o controllo («culpa in vigilando»). A tale riguardo la responsabilità penale dei dirigenti d'impresa potrebbe essere fondata su un'incriminazione, distinta da quella per corruzione, relativa alla violazione di un obbligo di vigilanza o controllo precisato nella legislazione nazionale.

La responsabilità penale dei dirigenti potrebbe essere determinata anche dalla semplice negligenza od imperizia.

Infine, l'articolo non impedisce agli Stati membri di prevedere una responsabilità penale oggettiva dei dirigenti d'impresa e delle persone che hanno poteri decisionali per atti commessi da terzi, senza che sia necessario provare alcuna colpa, negligenza o mancata vigilanza da parte loro.

La convenzione non affronta invece direttamente il problema della responsabilità delle persone giuridiche. Al riguardo occorre però ricordare che il secondo protocollo della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari della Comunità prevede, all'articolo 3, un obbligo per gli Stati membri di introdurre forme di responsabilità delle persone giuridiche, tra l'altro, per i fatti di corruzione attiva che coinvolgono gli interessi finanziari della Comunità. Anche la convenzione recentemente conclusa in seno all'OCSE prevede una disposizione al riguardo. Può dunque affermarsi che gli Stati membri saranno comunque obbligati ad esaminare la materia in virtù delle obbligazioni derivanti dai ricordati strumenti.

Articolo 7 Competenza

7.1. Questo articolo fissa una serie di criteri che conferiscono alle autorità giudiziarie nazionali e alle autorità incaricate dell'applicazione della legge la competenza a perseguire e giudicare gli illeciti di cui alla convenzione, vale a dire la corruzione attiva e passiva unitamente agli illeciti eventualmente introdotti in virtù del principio di assimilazione di cui all'articolo 4. Analogamente alla soluzione già adottata nel quadro degli strumenti relativi alla tutela degli interessi finanziari della Comunità, la disposizione propone quattro criteri di competenza, uno solo dei quali (quello di territorialità) finisce tuttavia per risultare obbligatorio nei confronti di tutti gli Stati membri, dal momento che ciascuno degli altri tre criteri potrà risultare derogato in virtù della possibilità di dichiarazione aperta dal paragrafo 2.

7.2. A norma del paragrafo 1, ciascuno Stato membro deve in linea di principio stabilire la sua competenza almeno in quattro tipi di situazioni, vale a dire quando:

a) l'illecito è commesso, in tutto o in parte, nel suo territorio, ossia l'atto della corruzione vi è stato commesso, il vantaggio vi è stato dato o vi è stato concluso l'accordo illecito, a prescindere dallo status o dalla nazionalità del corruttore o del funzionario coinvolto (principio della territorialità);

b) l'autore dell'illecito è un suo cittadino o un suo funzionario (principio della personalità attiva); il criterio dello status dell'autore implica che la competenza possa essere fissata indipendentemente dal diritto del paese in cui il reato è perpetrato. Spetta quindi agli Stati membri giudicare gli illeciti commessi all'estero, ivi compresi i paesi terzi. Esso riveste particolare importanza per gli Stati membri che non estradano i propri cittadini;

c) l'illecito è commesso nei confronti di un cittadino dello Stato membro, funzionario o membro di un'istituzione comunitaria (principio della personalità passiva). Tale principio riveste particolare interesse nei casi di corruzione attiva all'estero da parte di persone che non hanno la nazionalità dello Stato membro interessato;

d) l'autore dell'illecito è un funzionario comunitario al servizio di un'istituzione delle Comunità europee che ha sede nello Stato membro interessato. Il criterio della sede può rivelarsi utile in casi eccezionali non contemplati da altre norme di competenza, nel caso ad esempio in cui l'illecito venga commesso al di fuori della Comunità da un funzionario comunitario che non è cittadino di uno Stato membro (28).

7.3. Come già si è detto, il paragrafo 2 consente agli Stati membri che lo desiderino di non accettare o di accettare a certe condizioni una qualsiasi delle norme di cui alle lettere b), c) e d), presentando una dichiarazione in tal senso all'atto della notifica di cui all'articolo 13, paragrafo 2, della convenzione.

Occorre ricordare che, in virtù dell'articolo 15 della convenzione, la presente disposizione è una delle due sole per le quali, come si vedrà, è prevista la possibilità di esprimere una riserva.

Articolo 8 Estradizione ed azione penale

Anche l'articolo 8, come del resto i successivi articoli 9, 10 e 11, si ispira largamente alla convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, ed in particolare al suo articolo 5, modificandolo unicamente nella misura necessaria; entrambe le disposizioni erano del resto espressamente rese applicabili anche al primo protocollo in virtù della clausola di rinvio prevista dall'articolo 7 di tale ultimo strumento. Analogamente alla richiamata disposizione dell'articolo 5, le regole in esso contenute si propongono di completare, per ciò che riguarda i reati di corruzione che coinvolgono funzionari comunitari e degli Stati membri, le disposizioni relative all'estradizione dei cittadini che sono già in vigore tra gli Stati membri e che risultano da accordi di estradizione bilaterali o multilaterali.

Occorre anzitutto premettere che alcuni Stati membri non estradano i propri cittadini: l'articolo 8 prevede alcune disposizioni volte ad evitare che i presunti colpevoli di atti di corruzione godano di un'impunità totale grazie a questo rifiuto di principio.

Ai fini dell'applicazione dell'articolo 8, il concetto di «cittadino» deve essere considerato alla luce delle eventuali dichiarazioni relative all'articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della convenzione europea di estradizione del 13 dicembre 1957, effettuate dagli Stati parti di tali convenzioni.

L'articolo 8 impone anzitutto agli Stati che non estradano i propri cittadini di prendere le misure necessarie a stabilire la loro competenza giurisdizionale per gii illeciti penali definiti e puniti a norma degli articoli 2, 3 e 4 della convenzione, qualora siano stati commessi da uno dei loro cittadini in un altro Stato membro.

Inoltre, qualora nel territorio di uno Stato membro sia stata commessa una condotta di corruzione da un cittadino di un altro Stato membro la cui estradizione non può essere concessa da detto Stato per il solo motivo che esso rifiuta di estradare i propri cittadini, l'articolo 8 impone allo Stato membro interpellato di sottoporre il caso al giudizio delle proprie autorità giudiziarie ai fini dell'esercizio dell'azione penale. Con l'articolo 8, paragrafo 2, si afferma quindi chiaramente il principio «aut dedere aut judicare». Tale disposizione non intende tuttavia pregiudicare, nell'esercizio dell'azione penale, le norme nazionali applicabili.

Ai fini dell'applicazione di detto principio, lo Stato membro richiedente si impegna a trasmettere i fascicoli, gli atti istruttori e gli oggetti riguardanti l'illecito allo Stato membro che avvierà l'azione penale nei confronti del suo cittadino. Lo Stato membro richiedente sarà tenuto informato delle azioni penali avviate nonché del seguito ad esse riservato.

L'articolo 8 non sottopone ad alcuna condizione preliminare l'esercizio dell'azione penale da parte dello Stato membro interpellato. Non è necessario che lo Stato membro richiedente chieda allo Stato membro interpellato di avviare l'azione penale affinché quest'ultimo lo faccia.

Da sottolineare anche che, analogamente a quanto già avvenuto in occasione della stipula del primo protocollo, non è stato ritenuto necessario, in tale materia, integrare la clausola contenuta all'articolo 5, paragrafo 3, della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee relativa al divieto di rifiuto di estradizione motivato esclusivamente sulla natura fiscale del reato. A differenza dalla materia dei reati recanti pregiudizio alla tutela degli interessi finanziari della Comunità, infatti, tale eccezione non può venire in rilevanza in caso di reati di corruzione.

Articolo 9 Cooperazione

La convenzione, come si è già avuto modo di osservare, si preoccupa di prevedere incriminazioni tanto per i casi di corruzione in ambito nazionale quanto per quelli riguardanti funzionari comunitari o di altri Stati membri. Questa seconda categoria di casi costituisce comunque di gran lunga la parte maggiormente innovativa della convenzione e coinvolge necessariamente aspetti di transnazionalità. A fronte della particolare complessità delle indagini transnazionali in tale materia, la cooperazione riveste dunque un'importanza fondamentale.

Le varie forme di cooperazione previste dal paragrafo 1 sono citate a titolo indicativo. L'espressione «per esempio» inserita in questa disposizione è volta a tener conto della situazione di taluni Stati membri che non sono parti di tutte le convenzioni europee pertinenti nel settore della cooperazione in materia penale. Si tratta dell'assistenza giudiziaria in materia penale, dell'estradizione, del trasferimento dei procedimenti o dell'esecuzione delle pene comminate all'estero, citati a titolo indicativo, il che consente di optare nella fattispecie per i mezzi di cooperazione più appropriati. La presente convenzione lascia impregiudicate le convenzioni vigenti in materia tra gli Stati membri.

Il paragrafo 2 prende in considerazione il caso in cui più Stati membri hanno ciascuno la competenza per esercitare l'azione penale per un illecito riguardante gli stessi fatti.

In tal caso il suddetto paragrafo impone agli Stati membri di collaborare tra loro per decidere a quale di essi spetti tale competenza. Tale disposizione dovrebbe consentire, per quanto possibile, di centralizzare le azioni in un unico Stato membro, ai fini di una maggiore efficacia.

Per risolvere tali conflitti di competenza gli Stati membri potranno prendere in considerazione, ad esempio, i seguenti elementi: l'entità della corruzione commessa nel proprio territorio, il luogo in cui sono stati forniti i profitti in questione, il luogo in cui sono stati arrestati i presunti colpevoli, la loro cittadinanza, l'anteriorità dei procedimenti, ecc.

Articolo 10 Ne bis in idem

Il paragrafo 1 enuncia il principio «ne bis in idem».

Tale principio riveste un'importanza del tutto particolare nei casi di corruzione internazionale su cui possono essere chiamati a pronunciarsi gli organi giurisdizionali di più Stati membri qualora non sia stato possibile centralizzare l'azione in un unico Stato membro, in base al principio di cui all'articolo 9, paragrafo 2.

L'articolo si ispira in larga parte alla convenzione sull'applicazione del principio «ne bis in idem», firmata il 25 maggio 1987 a Bruxelles nel contesto della Cooperazione politica europea. Analoghe disposizioni sono contenute negli articoli 54 e seguenti della convenzione del 1990 relativa all'attuazione dell'accordo di Schengen.

Il paragrafo 2 limita solo ad alcuni casi determinati la possibilità per gli Stati membri di effettuare una dichiarazione. Tali casi coincidono con le tre ipotesi previste dall'articolo 2 della citata convenzione sull'applicazione del principio «ne bis in idem». In forza del paragrafo 4, tuttavia, le eccezioni contemplate da tali dichiarazioni non troveranno applicazione quando lo Stato membro che le ha effettuate abbia comunque proceduto nei confronti della persona in questione richiedendo all'altro Stato membro l'esercizio dell'azione penale o concedendone l'estradizione.

Un'attenzione particolare deve essere portata alla possibilità di eccezione aperta dalla lettera c) del paragrafo 2, in relazione ai fatti oggetto della sentenza straniera commessi da un funzionario in violazione dei doveri del suo ufficio. Pur ripresa dalla convenzione sull'applicazione del principio «ne bis in idem», essa appare infatti particolarmente rilevante ai fini della presente convenzione, che si occupa esclusivamente di reati di corruzione, in quanto, in tutti i casi in cui la sentenza straniera abbia avuto ad oggetto condotte di corruzione passiva del funzionario estero, questi stessi fatti saranno stati certamente commessi da tale funzionario in violazione dei doveri del suo ufficio. Il paragrafo 2, lettera c), potrà pertanto rivestire un'importanza particolare nel quadro della presente convenzione a seconda delle dichiarazioni che gli Stati membri potranno fare al momento della ratifica.

Il paragrafo 3 prevede che i periodi di privazione della libertà scontati in un altro Stato membro vengano in ogni caso presi in considerazione da parte dello Stato che abbia avviato un nuovo procedimento.

Il paragrafo 5 precisa infine che i principi in vigore tra gli Stati membri e le dichiarazioni contenute in accordi bilaterali o multilaterali rimangono invariati.

Articolo 11 Disposizioni interne

L'articolo 11 consente agli Stati membri di adottare disposizioni di diritto interno che vanno oltre quelle della convenzione. Alla pari degli strumenti convenzionali adottati in materia di tutela degli interessi finanziari, anche la presente convenzione costituisce un insieme di norme minime.

Articolo 12 Corte di giustizia

Questo articolo precisa la competenza della Corte di giustizia delle Comunità europee a risolvere le controversie tra Stati membri e, in taluni casi, tra gli Stati membri e la Commissione in merito all'interpretazione o all'applicazione della convenzione; esso prevede anche una competenza della Corte di giustizia ad interpretare alcuni degli articoli della convenzione in via pregiudiziale su richiesta di giudici nazionali. L'articolo si richiama in parte alle disposizioni similari già introdotte negli altri strumenti sinora adottati nel quadro del titolo VI del trattato sull'Unione europea; deve tuttavia sottolinearsi che si tratta qui della prima volta in cui la questione relativa alla competenza in materia pregiudiziale della Corte viene affrontata e risolta direttamente all'interno di una convenzione e non rinviata ad un separato protocollo come già era invece avvenuto nel quadro della convenzione Europol (29), della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee e della convenzione sul Sistema informativo doganale (SID) (30).

Per ciò che riguarda le controversie tra Stati membri, il paragrafo 1 precisa i termini della competenza della Corte di giustizia delle Comunità europee a pronunciarsi sulle controversie tra Stati membri relative all'interpretazione o all'applicazione della convenzione.

A norma del suddetto paragrafo, in un prima fase la controversia sarà esaminata in sede di Consiglio, secondo la procedura di cui al titolo VI del trattato sull'Unione europea, al fine di giungere ad una soluzione. Se entro sei mesi non si è potuto trovare alcuna soluzione, uno o tutti gli Stati membri parti della controversia possono adire la Corte di giustizia affinché si pronunci al riguardo.

Come per la convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, la disposizione riguardante le controversie tra uno o più Stati membri e la Commissione è limitata a quelle disposizioni della convenzione in cui tali controversie sono suscettibili di verificarsi. Esse riguardano infatti l'articolo 1, relativo alle definizioni, con espressa esclusione della lettera c) relativa alla definizione di funzionario nazionale rimessa esclusivamente al diritto nazionale di ciascuno Stato membro, nonché gli articoli relativi all'incriminazione della corruzione passiva e attiva e l'assimilazione della corruzione dei membri delle istituzioni comunitarie nella misura in cui vengano coinvolte questioni di diritto comunitario, gli interessi finanziari della Comunità o membri o funzionari delle Comunità.

Sotto il profilo della procedura, il paragrafo 2 prevede invece che qualsiasi controversia tra Stati membri e Commissione debba essere oggetto, in primo luogo, di un tentativo di soluzione mediante negoziato. Qualora detto tentavo fallisca, la controversia può essere sottoposta alla Corte di giustizia.

La competenza della Corte a pronunziarsi in via pregiudiziale su di una questione relativa all'interpretazione della convenzione, prevista dal paragrafo 3, non è estesa a tutte le disposizioni della stessa ma limitata agli articoli che comportano questioni rilevanti per il diritto comunitario con esclusione invece degli articoli relativi alle sanzioni, alla responsabilità dei dirigenti, alle regole di competenza, alle disposizioni in materia di cooperazione giudiziaria e sull'applicazione del principio «ne bis in idem». Tale approccio può dirsi costituire una ulteriore novità rispetto alla soluzione già adottata nel caso dei protocolli alle convenzioni già stipulati, i quali avevano previsto una possibilità di interpretazione estesa a tutte indistintamente le disposizioni delle convenzioni e dei protocolli stessi.

I paragrafi 4, 5 e 6 si basano sulle disposizioni del protocollo del 29 novembre 1996 concernenti l'interpretazione, in via pregiudiziale, da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee, della convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee (31). Il paragrafo 4 prevede che la competenza della Corte di giustizia a pronunciarsi in via pregiudiziale dipende dall'accettazione tramite una dichiarazione da parte dello Stato membro interessato. In base al paragrafo 5, la dichiarazione può limitare agli organi giurisdizionali, avverso le cui decisioni non possa proporsi un ricorso giurisdizionale di diritto interno, la facoltà di chiedere una pronunzia in via pregiudiziale. Il paragrafo 6 stabilisce che lo Statuto della Corte di giustizia e le sue norme di procedura si applicano per quanto attiene ai procedimenti ai sensi dell'articolo 12.

Articolo 13 Entrata in vigore

13.1. Questo articolo riguarda l'entrata in vigore della convenzione conformemente alle norme stabilite in materia da parte del Consiglio. La convenzione entrerà in vigore novanta giorni dopo la notifica, di cui al paragrafo 2, da parte dell'ultimo Stato membro che procederà a tale formalità.

13.2. Analogamente a quanto avvenuto in occasione della stipula di alcune altre convenzioni tra gli Stati membri, deve ancora segnalarsi che il paragrafo 4 prevede una clausola per l'applicazione delle disposizioni della convenzione, prima della sua entrata in vigore, nei rapporti reciproci tra quegli Stati membri che abbiano proceduto al deposito di un'apposita dichiarazione in tal senso. La previsione di una tale clausola nella convenzione, che non è presente invece nella convenzione relativa alla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, appare trovare una giustificazione maggiore. Per tale convenzione è di capitale importanza che tutti gli Stati membri siano ugualmente obbligati a proteggere un comune interesse. Tuttavia, ai sensi della presente convenzione, che non mira unicamente alla tutela degli interessi di singoli Stati membri, non ci sono obiezioni al fatto di permettere che due o più Stati membri si basino su di essa, anticipando la sua adozione da parte di tutti gli Stati membri.

Per quanto riguarda i casi che possano vedere coinvolti funzionari comunitari, è da ritenere che, in caso di anticipata applicazione della convenzione in virtù del paragrafo 4, gli Stati membri che effettuino tale dichiarazione saranno anche obbligati ad applicare la convenzione nei casi di corruzione attiva e passiva di tali funzionari.

Tale analisi appare confermata dal paragrafo 5, il quale prevede che, anche in assenza della dichiarazione di anticipata applicazione, le disposizioni della convenzione possano egualmente venire applicate nelle relazioni tra due Stati membri sulla base di semplici accordi bilaterali. La disposizione appare in sostanza aprire ad uno Stato membro la possibilità di applicare la convenzione su base bilaterale con un altro Stato membro anche senza dover necessariamente aprirne l'applicazione alle proprie relazioni con altri Stati membri o nei confronti dei funzionari comunitari.

Le disposizioni dell'articolo 12 relative alla Corte di giustizia si applicano in ogni caso una volta che la convenzione sia entrata in vigore dopo essere stata ratificata da tutti gli Stati membri.

Articolo 14 Adesione di nuovi Stati membri

Questo articolo riguarda l'adesione alla convenzione di futuri nuovi Stati membri secondo le regole già previste in altri strumenti dell'Unione. L'unica particolarità da segnalare riguarda il paragrafo 5, il quale prevede la possibilità anche per i nuovi Stati aderenti di fare ricorso alla clausola di applicazione anticipata nel caso in cui la convenzione non fosse ancora entrata in vigore al momento della loro adesione.

Articolo 15 Riserve

L'articolo prevede che non sia ammessa alcuna riserva ad eccezione di quelle espressamente richiamate nel testo della convenzione in materia di determinazione delle regole di competenza diverse dal principio di stretta territorialità (articolo 7) e di applicazione del principio del «ne bis in idem» (articolo 10). Una riserva può essere ritirata in qualsiasi momento previa notifica al segretario generale del Consiglio.

(1) Cfr. comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio su una politica dell'Unione contro la corruzione [doc. COM(97) 192 defin.], pag. 3.

(2) Successivamente alla conclusione della presente convenzione, in sede OCSE è stata conclusa ed aperta alla firma, il 17 dicembre 1997, una convenzione sulla corruzione dei pubblici ufficiali stranieri nelle transazioni di affari internazionali.

(3) GU C 313 del 23.10.1996, pag. 1.

(4) GU C 316 del 27.11.1995, pag. 49.

(5) GU C 355 del 14.12.1994, pag. 2.

(6) GU C 195 del 25.6.1997, pag. 1.

(7) GU C 251 del 15.8.1997, pag. 1.

(8) GU C 191 del 23.6.1997, pag. 1.

(9) GU C 11 del 15.1.1998, pag. 5.

(10) Regolamento (CEE) n. 3245/81 del Consiglio (GU L 328 del 16.11.1981, pag. 1).

(11) Articoli 198 D e 198 E del trattato CE.

(12) Regolamento (CEE) n. 337/75 del Consiglio (GU L 39 del 13.2.1975, pag. 1). Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 354/95 (GU L 41 del 23.2.1995, pag. 1).

(13) Regolamento (CEE) n. 1365/75 del Consiglio (GU L 139 del 30.5.1975, pag. 1). Regolamento modificato dal regolamento (CEE) n. 1947/93 (GU L 181 del 23.7.1993, pag. 13).

(14) Convenzione relativa alla creazione di un Istituto universitario europeo (GU C 29 del 9.2.1976, pag. 1).

(15) Statuto del Fondo europeo per gli investimenti (GU L 173 del 7.7.1994, pag. 1); cfr. anche l'articolo 30 del protocollo sullo statuto della Banca europea per gli investimenti e l'articolo 239 del trattato CE.

(16) Regolamento (CEE) n. 1210/90 del Consiglio (GU L 120 dell'11.5.1990, pag. 1).

(17) Regolamento (CEE) n. 1360/90 del Consiglio (GU L 131 del 23.5.1990, pag. 1). Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 2063/94 (GU L 216 del 20.8.1994, pag. 9).

(18) Regolamento (CEE) n. 302/93 del Consiglio (GU L 36 del 12.2.1993, pag. 1). Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 3294/94 (GU L 341 del 30.12.1994, pag. 7).

(19) Regolamento (CEE) n. 2309/93 del Consiglio (GU L 214 del 24.8.1993, pag. 1). Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 649/98 (GU L 88 del 24.3.1998, pag. 7).

(20) Regolamento (CE) n. 2062/94 del Consiglio (GU L 216 del 20.8.1994, pag. 1). Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 1643/95 (GU L 156 del 7.7.1995, pag. 1).

(21) Regolamento (CE) n. 40/94 del Consiglio (GU L 11 del 14.1.1994, pag. 1). Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 2868/95 (GU L 303 del 15.12.1995, pag. 1).

(22) Articolo 4 A del trattato CE; protocollo sullo statuto del Sistema europeo di Banche centrali e della Banca centrale europea allegato al trattato sull'Unione europea.

(23) Regolamento (CE) n. 2100/94 del Consiglio (GU L 227 dell'1.9.1994, pag. 1). Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 2506/95 (GU L 258 del 28.10.1995, pag. 3).

(24) Regolamento (CE) n. 2965/94 del Consiglio (GU L 314 del 7.12.1994, pag. 1). Regolamento modificato dal regolamento (CE) n. 2610/95 (GU L 268 del 10.11.1995, pag. 1).

(25) Regolamento (CE) n. 1035/97 del Consiglio (GU L 151 del 10.6.1997, pag. 1).

(26) Cfr. in particolare l'articolo 18 del protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee.

(27) Sentenza del 21.9.1989, Racc. pag. 2965.

(28) Occorre al riguardo osservare che sebbene, come regola generale, i funzionari comunitari debbano avere cittadinanza di uno degli Stati membri, le eccezioni a questo principio sono tuttavia possibili.

(29) GU C 316 del 27.11.1995, pag. 2.

(30) GU C 316 del 27.11.1995, pag. 34.

(31) GU C 151 del 20.5.1997, pag. 2.