Edizione provvisoria

SENTENZA DEL TRIBUNALE (Nona Sezione)

23 luglio 2025 (*)

« Funzione pubblica – Personale della BCE – Retribuzione – Congedo parentale – Imposta a profitto dell’Unione – Articolo 7, primo comma, del regolamento (CEE, Euratom, CECA) n. 260/68 – Interpretazioni letterale, contestuale e teleologica – Aliquota dell’imposta – Liquidazione dell’imposta »

Nella causa T‑180/24,

DO, rappresentato da L. Levi e P. Baudoux, avvocate,

ricorrente,

contro

Banca centrale europea (BCE), rappresentata da O. Bubenzer, e B. Ehlers, in qualità di agenti, assistiti da B. Wägenbaur, avvocato,

convenuta,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione),

composto da L. Truchot (relatore), presidente, H. Kanninen e T. Perišin, giudici,

cancelliere: P. Cullen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento,

in seguito all’udienza del 29 gennaio 2025,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso ai sensi dell’articolo 270 TFUE e dell’articolo 50 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, DO, ricorrente, chiede l’annullamento della decisione contenuta nel suo foglio paga del mese di luglio 2023, relativa all’aliquota d’imposta applicata alla retribuzione percepita e alla liquidazione, da parte della Banca centrale europea (BCE), dell’imposta dovuta per tale mese (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

 Fatti

2        Il ricorrente è stato assunto dalla BCE a partire dal 1° gennaio 2001. Egli esercita le funzioni di revisore contabile caposquadra senior.

3        Nel luglio 2023, che contava 21 giorni lavorativi, il ricorrente ha beneficiato di un congedo parentale di 11 giorni, concesso in applicazione dell’articolo 29 delle condizioni di impiego del personale della BCE, come precisato dall’articolo 5.11 del regolamento del personale della BCE, e ha lavorato 10 giorni. In forza di tali disposizioni, il congedo parentale dei membri del personale della BCE non è retribuito.

4        Il 14 luglio 2023 la BCE ha trasmesso al ricorrente il suo foglio paga del mese di luglio 2023, dal quale risulta che l’aliquota d’imposta applicata alla retribuzione percepita da quest’ultimo per tale mese è identica a quella che viene applicata quando quest’ultimo non beneficia di un congedo parentale.

5        Il 25 agosto 2023 il ricorrente, sulla base dell’articolo 41 delle condizioni di impiego del personale della BCE, ha proposto un ricorso amministrativo avverso la decisione contenuta nel suo foglio paga del mese di luglio 2023, relativa all’aliquota d’imposta applicata alla retribuzione percepita e alla liquidazione dell’imposta dovuta per tale mese. A sostegno del suo ricorso amministrativo, il ricorrente faceva valere che, in applicazione degli articoli 3 e 4 del regolamento (CEE, Euratom, CECA) n. 260/68 del Consiglio, del 29 febbraio 1968, relativo alle condizioni e alla procedura d’applicazione dell’imposta a profitto delle Comunità europee (GU 1968, L 56, pag. 8), come modificato dal regolamento (CE, Euratom) n. 1750/2002 del Consiglio, del 30 settembre 2002 (GU 2002, L 264, pag. 15) (in prosieguo: il «regolamento n. 260/68»), l’imposta dovuta doveva essere calcolata sulla base della retribuzione effettivamente percepita. Pertanto, secondo il ricorrente, dal momento che egli aveva lavorato dieci giorni nel corso del mese di luglio 2023, l’imposta dovuta per tale mese doveva essere calcolata sull’importo della retribuzione percepita per tali dieci giorni di lavoro e non applicando l’aliquota d’imposta applicata alla sua retribuzione mensile quando lavora un mese completo.

6        Con decisione del 17 ottobre 2023 (in prosieguo: la «decisione di rigetto del ricorso amministrativo»), la BCE ha respinto il ricorso amministrativo del ricorrente con la motivazione che, in applicazione dell’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68, l’aliquota d’imposta utilizzata per determinare l’importo dell’imposta dovuta a titolo di una retribuzione che corrisponda a un periodo inferiore a un mese deve essere la stessa di quella che sarebbe applicabile al «versamento mensile corrispondente», vale a dire, secondo la BCE, alla retribuzione fittizia corrispondente a un mese completo di lavoro. A suo avviso, tale prassi è conforme all’approccio adottato dalla Commissione europea.

7        Il 14 dicembre 2023 il ricorrente, sulla base dell’articolo 41 delle condizioni di impiego del personale della BCE, ha presentato un reclamo contro la decisione di rigetto del ricorso amministrativo, reclamo che è stato respinto con decisione della presidente della BCE del 5 febbraio 2024 (in prosieguo: la «decisione di rigetto del reclamo»).

 Conclusioni delle parti

8        Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

–        annullare la decisione impugnata;

–        annullare, per quanto necessario, la decisione di rigetto del ricorso amministrativo e la decisione di rigetto del reclamo;

–        condannare la BCE alle spese.

9        La BCE chiede che il Tribunale voglia:

–        respingere il ricorso;

–        condannare il ricorrente alle spese.

 In diritto

 Sulloggetto del ricorso

10      Secondo la giurisprudenza, una domanda di annullamento formalmente diretta contro il rigetto di un reclamo ha l’effetto di sottoporre al Tribunale l’atto contro il quale il reclamo è stato presentato, qualora essa sia, in quanto tale, priva di contenuto autonomo. Lo stesso vale per un ricorso amministrativo proposto da un membro del personale della BCE (v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2021, QB/BCE, T‑555/20, non pubblicata, EU:T:2021:552, punto 29 e giurisprudenza citata).

11      Nel caso di specie, dato che la decisione di rigetto del ricorso amministrativo e la decisione di rigetto del reclamo si limitano a confermare la decisione contenuta nel foglio paga del ricorrente del luglio 2023, la domanda di annullamento diretta contro dette decisioni è priva di contenuto autonomo e non occorre quindi statuire specificamente su queste ultime, anche se, in sede di esame della legittimità di tale foglio paga, occorrerà prendere necessariamente in considerazione la motivazione contenuta nelle summenzionate decisioni di rigetto del ricorso amministrativo e del reclamo (v., in tal senso, sentenza dell’8 settembre 2021, QB/BCE, T‑555/20, non pubblicata, EU:T:2021:552, punto 30 e giurisprudenza citata).

 Nel merito

12      A sostegno del suo ricorso, il ricorrente deduce tre motivi, vertenti, il primo, sulla violazione delle regole di calcolo dell’imposta fissate dal regolamento n. 260/68 e su un errore manifesto di valutazione, il secondo, sulla violazione del principio della parità di trattamento e, il terzo, sulla violazione dell’obbligo di motivazione.

13      Occorre esaminare, anzitutto, il terzo motivo, poi i motivi primo e secondo.

 Sul terzo motivo di ricorso, vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione

14      Il ricorrente afferma che la BCE è venuta meno al suo obbligo di motivazione limitandosi ad indicare, senza suffragare la sua affermazione né fornire il minimo elemento di prova, che essa aveva applicato lo stesso metodo di calcolo dell’imposta applicato dalla Commissione. Inoltre, il ricorrente sostiene che la BCE non ha esposto la ragione per cui essa applica lo stesso metodo di calcolo dell’imposta ai membri del suo personale che fruiscono di un congedo parentale e a quelli che fruiscono di un congedo non retribuito, laddove tali situazioni non sono comparabili in fatto e in diritto.

15      La BCE contesta tali allegazioni.

16      Al riguardo, occorre ricordare che l’obbligo di motivazione, di cui all’articolo 296 TFUE e ribadito all’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, costituisce un principio essenziale del diritto dell’Unione che ha lo scopo, da un lato, di fornire all’interessato un’indicazione sufficiente per valutare la fondatezza dell’atto che gli arreca pregiudizio e l’opportunità di proporre un ricorso dinanzi al Tribunale e, dall’altro, di consentire a quest’ultimo di esercitare il suo controllo. La sua portata dev’essere valutata in funzione delle circostanze concrete, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi dedotti e dell’interesse che il destinatario può avere a ricevere spiegazioni (v. sentenze del 4 luglio 2024, EUIPO/KD, C‑5/23 P, EU:C:2024:575, punto 38 e giurisprudenza citata, e del 14 dicembre 2022, TM/BCE, T‑440/21, non pubblicata, EU:T:2022:800, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

17      Peraltro, è già stato dichiarato che l’amministrazione non è tenuta a motivare i fogli paga dei suoi funzionari e agenti, in quanto essa applica in tali fogli paga atti di portata generale, senza disporre di alcun potere discrezionale al riguardo. Tuttavia, se, come nel caso di specie, funzionari o agenti della BCE ritengono che uno o più fogli paga arrechino loro pregiudizio e decidano di proporre un ricorso amministrativo e successivamente un reclamo, l’amministrazione è tenuta a motivare le sue decisioni recanti rigetto di detto ricorso e di detto reclamo, fermo restando che si presume che la motivazione di tali decisioni di rigetto coincida con il contenuto dei fogli paga contro i quali il ricorso amministrativo e il reclamo erano diretti (v. in tal senso e per analogia, sentenza del 18 settembre 2003, Lebedef e a./Commissione, T‑221/02, EU:T:2003:239, punto 62).

18      Nel caso di specie, sia dalla decisione di rigetto del ricorso amministrativo che dalla decisione di rigetto del reclamo risulta che la BCE ha spiegato al ricorrente che essa aveva interpretato l’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68 nel senso che il riferimento alla nozione di «versamento mensile corrispondente», di cui a tale disposizione, presupponeva l’applicazione delle aliquote d’imposta previste per ciascun scaglione di reddito, quali determinate dall’articolo 4 del medesimo regolamento, al salario «fittizio» corrispondente a un mese completo di lavoro. La BCE ha altresì indicato di aver calcolato l’imposta dovuta dal ricorrente per il mese di luglio 2023 proporzionalmente al numero di giorni lavorativi, applicando alla retribuzione versata a quest’ultimo la stessa aliquota d’imposta applicata alla sua retribuzione abituale e che corrisponde a un mese completo di lavoro.

19      Alla luce di quanto precede, si deve constatare che la motivazione fornita dalle decisioni di rigetto del ricorso amministrativo e di rigetto del reclamo fa apparire in modo chiaro e inequivocabile il metodo di calcolo dell’imposta applicato dalla BCE e il ragionamento seguito da tale istituzione. Il ricorrente è stato quindi posto in grado di comprendere la portata della misura adottata nei suoi confronti e il giudice dell’Unione può esercitare il suo controllo sulla legittimità di tali decisioni.

20      Si deve aggiungere che una motivazione può non essere esaustiva e deve essere considerata sufficiente quando espone i fatti e le considerazioni giuridiche che rivestono un’importanza essenziale nell’economia della decisione (v., in tal senso, sentenza del 13 dicembre 2017, CJ/ECDC, T‑692/16, non pubblicata, EU:T:2017:894, punto 116 e giurisprudenza citata). L’amministrazione non è quindi tenuta a prendere posizione su tutti gli argomenti addotti dinanzi ad essa (v., in tal senso, sentenza dell’11 gennaio 2007, Technische Glaswerke Ilmenau/Commissione, C‑404/04 P, non pubblicata, EU:C:2007:6, punto 30).

21      Di conseguenza, gli argomenti del ricorrente con i quali quest’ultimo addebita alla BCE di non aver sufficientemente suffragato il motivo secondo cui essa ha applicato lo stesso metodo di calcolo dell’imposta applicato dalla Commissione o di non aver spiegato la ragione per cui essa applica lo stesso metodo di calcolo dell’imposta ai membri del suo personale che fruiscono di un congedo parentale e a quelli che fruiscono di un congedo non retribuito (v. il precedente punto 14) non sono tali da mettere in discussione la constatazione effettuata al precedente punto 19, dal momento che la BCE non aveva alcun obbligo di rispondere a tutti gli argomenti addotti da quest’ultimo.

22      Ne consegue che il terzo motivo di ricorso, vertente su un’insufficienza di motivazione della decisione impugnata, deve essere respinto.

 Sul primo motivo di ricorso, vertente sulla violazione delle regole di calcolo dell’imposta fissate dal regolamento n. 260/68 e su un errore manifesto di valutazione

23      Il ricorrente sostiene anzitutto che, in applicazione degli articoli 3 e 4 del regolamento n. 260/68, l’imposta dovuta dai funzionari e dagli agenti dell’Unione deve essere calcolata sulla base della retribuzione percepita. A sostegno delle sue allegazioni, il ricorrente invoca in particolare la giurisprudenza derivante dalla sentenza del 21 ottobre 2009, Ramaekers-Jørgensen/Commissione (F‑74/08, EU:F:2009:142). Egli precisa che il giudice dell’Unione non si è mai esplicitamente pronunciato su tale questione. Egli aggiunge che la nozione di «versamento mensile corrispondente», di cui all’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68, non è definita con precisione e che l’interpretazione che ne dà la BCE nella decisione impugnata non risulta convincente con la dovuta evidenza. A tal riguardo, esso afferma che, in caso di dubbio sull’interpretazione di una norma tributaria, dovrebbe essere accolta l’interpretazione più favorevole al contribuente.

24      Il ricorrente espone poi che, contrariamente a quanto sostenuto dalla BCE nelle decisioni di rigetto del ricorso amministrativo e del reclamo, il metodo da essa applicato non è lo stesso di quello posto in essere dalla Commissione, sebbene l’articolo 10 del regolamento n. 260/68 obblighi le amministrazioni dell’Unione a concertarsi al fine di garantire l’applicazione uniforme delle disposizioni di detto regolamento. Il ricorrente illustra tale allegazione con un calcolo, realizzato con l’ausilio di un calcolatore finanziario messo a disposizione del personale della Commissione, che dimostrerebbe che tale istituzione, in una situazione analoga alla sua, calcola l’imposta dovuta sulla base della retribuzione effettivamente percepita dal funzionario o dall’agente interessato. Egli sostiene altresì che la BCE ha riconosciuto, in una comunicazione al personale pubblicata sull’intranet dell’istituzione il 19 gennaio 2024, che il metodo di calcolo dell’imposta proporzionale, per i mesi non interamente lavorati, è difettoso.

25      Il ricorrente allega infine che erroneamente la BCE applica lo stesso metodo per calcolare l’imposta dovuta da un funzionario o un agente in caso di congedo parentale o in caso di congedo non retribuito, laddove queste due forme di congedo non sono equiparabili. Infatti, secondo il ricorrente, un membro del personale che beneficia di un congedo non retribuito è autorizzato a svolgere attività retribuite accessorie durante detto congedo, mentre ciò non avviene nel caso di un membro del personale che beneficia di un periodo di congedo parentale.

26      La BCE contesta tali argomentazioni.

27      In via preliminare, occorre osservare che, con il primo motivo di ricorso, sebbene formalmente vertente sulla violazione delle regole di calcolo dell’imposta fissate dal regolamento n. 260/68 e su un errore manifesto di valutazione, il ricorrente addebita alla BCE, in realtà, di aver commesso un errore di diritto. Infatti, con tale primo motivo di ricorso, il ricorrente afferma che l’interpretazione dell’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68, accolta dalla BCE, è errata. Orbene, se così fosse, si dovrebbe concludere che la BCE ha commesso un errore di diritto nell’interpretazione di tale disposizione, circostanza di cui il ricorrente ha del resto convenuto in udienza, in risposta a un quesito del Tribunale.

28      Occorre altresì osservare che l’argomento del ricorrente con cui quest’ultimo afferma che erroneamente la BCE applica lo stesso metodo per calcolare l’imposta dovuta da un funzionario o un agente quando questi si trova in congedo parentale o in posizione di congedo non retribuito, in quanto queste due forme di congedo non sono equiparabili (v. il precedente punto 25), si confonde con quello sviluppato nel secondo motivo di ricorso, relativo alla violazione del principio della parità di trattamento, il quale sarà esaminato in prosieguo, a seguito dell’esame del primo motivo di ricorso.

29      Per quanto riguarda la sentenza del 21 ottobre 2009, Ramaekers-Jørgensen/Commissione (F‑74/08, EU:F:2009:142), invocata dal ricorrente a sostegno dell’affermazione secondo cui l’imposta dovuta dai funzionari e dagli agenti dell’Unione deve sempre essere calcolata sulla base della retribuzione percepita (v. il precedente punto 23), occorre rilevare, al pari della BCE, che la situazione in discussione in tale sentenza è diversa da quella della presente causa. Infatti, la questione sollevata nella causa che ha dato luogo a tale precedente sentenza era quella della determinazione della base imponibile, ai fini del calcolo dell’imposta dovuta, nel caso particolare di una parte ricorrente che, a seguito del decesso del coniuge, cumulava la sua retribuzione con una pensione di reversibilità, la quale, a causa di detto cumulo, era tassata in maniera più gravosa che se fosse stata tassata separatamente. In tale causa, il Tribunale della funzione pubblica ha dichiarato che, in simili circostanze, la base imponibile era composta dall’importo che rappresentava la somma del trattamento del funzionario o dell’agente e della pensione di reversibilità versati mensilmente (sentenza del 21 ottobre 2009, Ramaekers-Jørgensen/Commissione, F‑74/08, EU:F:2009:142, punti da 48 a 54). Orbene, la questione sollevata nella presente causa è quella della determinazione dell’aliquota d’imposta applicabile alle somme versate dall’Unione a uno dei suoi funzionari o agenti quando tali somme si riferiscono a un periodo di lavoro inferiore a un mese. Essa non verte sulla determinazione della base imponibile.

30      Per quanto riguarda le conclusioni tratte dal ricorrente dal ricorso ad un calcolatore finanziario messo a disposizione del personale della Commissione (v. il precedente punto 24), occorre osservare, nonostante la questione del valore probatorio di un tale strumento, che il calcolo effettuato dal ricorrente si basa sull’erroneo postulato secondo cui la retribuzione di un periodo di lavoro inferiore a un mese sia equiparabile alla retribuzione mensile completa di un funzionario o agente che eserciti le sue funzioni a orario ridotto. Infatti, per effettuare la sua dimostrazione in cifre, il ricorrente ha confrontato la situazione di un funzionario di grado AD 10, scatto 4, che percepisce una retribuzione mensile completa a quella di un funzionario dello stesso grado e scatto, che svolge la sua attività abituale a orario ridotto, nella misura del 50% di un tempo pieno, nello stesso periodo mensile. Orbene, in queste due situazioni, la retribuzione percepita dal funzionario di grado AD 10, scatto 4, è una retribuzione mensile completa, benché versata, in uno dei due casi, per un’attività svolta a orario ridotto, e non una retribuzione versata per un periodo di lavoro inferiore a un mese, come prefigurato all’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68.

31      Formulate tali osservazioni preliminari, si deve constatare che l’esame della questione sollevata con il primo motivo di ricorso, relativa alla determinazione dell’aliquota d’imposta applicabile alle somme versate dall’Unione a uno dei suoi funzionari o agenti quando tali somme si riferiscono a un periodo di lavoro inferiore a un mese, richiede l’interpretazione dell’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68, in relazione alla quale le parti sono in disaccordo.

32      A tal riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, nell’interpretare una norma di diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto del tenore letterale della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte [v. sentenza del 21 dicembre 2023, G.K. e a. (Procura europea), C‑281/22, EU:C:2023:1018, punto 46 e giurisprudenza citata].

33      Per quanto riguarda la formulazione dell’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68, occorre ricordare che esso dispone quanto segue:

«Quando il versamento soggetto all’imposta si riferisce ad un periodo inferiore a un mese, l’aliquota dell’imposta è quella applicabile al versamento mensile corrispondente».

34      L’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68 subordina quindi l’aliquota d’imposta applicabile a un «versamento soggetto all’imposta» relativo ad un periodo di lavoro inferiore a un mese all’aliquota applicabile al «versamento mensile corrispondente».

35      A tal riguardo, occorre rilevare che il senso e la portata della nozione di «versamento soggetto all’imposta» possono essere determinati tenendo conto dell’articolo 3 del regolamento n. 260/68. Da quest’ultima disposizione risulta che sono imponibili, e possono quindi essere qualificati come «versamento soggetto all’imposta» ai sensi dell’articolo 7, primo comma, di tale regolamento, gli stipendi, i salari e gli emolumenti di qualsiasi natura versati dall’Unione ai suoi funzionari e agenti costituenti una base imponibile dalla quale, da un lato, si escludono diverse somme e indennità che rappresentano la compensazione di oneri sostenuti in relazione alle funzioni esercitate da questi ultimi e, dall’altro, sono dedotti diversi prestazioni e assegni di carattere familiare o sociale, e alla quale si applicano, a seconda della situazione del funzionario o dell’agente interessato, uno o più detrazioni.

36      Per contro, la nozione di «versamento mensile corrispondente» non è definita nel regolamento n. 260/68.

37      Orbene, tale nozione, nei limiti in cui si riferisce ad un versamento qualificato sia come «mensile» sia come «corrispondente», non può essere interpretata nel senso che si riferisce a un versamento imponibile privo di carattere mensile. Pertanto, secondo il suo tenore letterale, l’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68 deve essere interpretato nel senso che, quando un membro del personale percepisce una retribuzione corrispondente a un periodo inferiore a un mese, l’aliquota d’imposta applicabile a tale retribuzione parziale è calcolata sulla base della retribuzione mensile riferita a un mese completo di lavoro.

38      Occorre esaminare se tale interpretazione dell’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68, che risulta dalla sua formulazione, sia confermata dalla sua interpretazione sia contestuale che teleologica.

39      In primo luogo, per quanto riguarda il contesto in cui si inserisce l’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68, occorre rilevare, in particolare, che gli articoli da 3 a 7 e l’articolo 13 del regolamento n. 260/68 stabiliscono le regole in materia di base imponibile e di liquidazione dell’imposta. L’articolo 3 di tale regolamento prevede, al suo paragrafo 1, il carattere mensile dell’imposta e, inoltre, con l’articolo 13 di detto regolamento, definisce le componenti principali della base imponibile. Gli articoli da 4 a 6 del medesimo regolamento stabiliscono le modalità di calcolo dell’imposta. L’articolo 4 fissa in particolare, per scaglione di reddito, l’aliquota d’imposta progressiva dall’8 al 45%. Inoltre, l’articolo 5 precisa le modalità di calcolo di alcuni di tali redditi ai fini della valutazione della base imponibile, mentre l’articolo 6 prevede talune deroghe agli articoli 3 e 4 ai fini della fissazione, per taluni redditi, dell’aliquota d’imposta.

40      L’articolo 7 del regolamento n. 260/68 precisa, poi, talune modalità di fissazione dell’aliquota d’imposta qualora il versamento effettuato a favore del soggetto passivo si riferisca ad un periodo di lavoro diverso da un periodo di un mese. Il primo comma dell’articolo 7 del regolamento n. 260/68 disciplina il caso di un versamento che si riferisca a un periodo di lavoro inferiore a un mese. Il secondo comma di detto articolo disciplina quello di un versamento che si riferisca a un periodo di lavoro superiore a un mese. Il terzo comma di tale articolo riguarda il caso dei versamenti di regolarizzazione che non si riferiscono al mese durante il quale vengono versati.

41      L’articolo 7 del regolamento n. 260/68 fa quindi riferimento ad un periodo di un mese, in particolare, al fine di distinguere i periodi che siano ad esso inferiori o superiori. Pertanto, tenuto conto del fatto che, conformemente all’articolo 3 di tale regolamento, l’imposta è dovuta mensilmente sulla retribuzione versata dall’Unione a ogni persona soggetta all’imposta per un periodo di lavoro di un mese, le modalità di fissazione dell’aliquota d’imposta previste dall’articolo 7 di detto regolamento derogano a quelle che risultano dagli articoli 3 e 4 del medesimo regolamento e che si applicano quando un versamento è effettuato a favore di un persona soggetta all’imposta in cambio di un periodo di lavoro di tale durata.

42      Inoltre, occorre rilevare che ai sensi del secondo comma dell’articolo 7 del regolamento n. 260/68, «[q]uando il versamento soggetto all’imposta si riferisce ad un periodo superiore a un mese, l’imposta si calcola come se tale versamento fosse stato ripartito regolarmente sui mesi ai quali si riferisce».

43      Da tale disposizione risulta che, nell’ipotesi in cui il versamento soggetto all’imposta si riferisca ad un periodo superiore a un mese, si deve ritenere, ai fini della determinazione dell’imposta dovuta, che tale versamento sia stato normalmente ripartito nel corso dei mesi ai quali si riferisce. Pertanto, una retribuzione versata eccezionalmente per un siffatto periodo deve essere assoggettata ad imposta alla stessa aliquota applicata alla retribuzione percepita da un soggetto passivo per un mese completo di lavoro.

44      Lo stesso deve valere per quanto riguarda l’aliquota applicata alla retribuzione versata per un periodo inferiore a un mese.

45      Il contesto in cui si inserisce l’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68 corrobora quindi l’interpretazione di tale disposizione risultante dalla sua formulazione, esposta al precedente punto 37.

46      In secondo luogo, per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui detta disposizione fa parte, occorre ricordare che dal preambolo del regolamento n. 260/68 risulta che quest’ultimo ha segnatamente l’obiettivo di fissare le condizioni alle quali i funzionari e gli agenti dell’Unione sono soggetti all’imposta sugli stipendi, sui salari e sugli emolumenti istituita dall’articolo 13 del protocollo sui privilegi e sulle immunità.

47      Inoltre, sebbene gli obiettivi dell’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68 non possano essere chiaramente individuati alla lettura di tale disposizione o di tale regolamento, occorre sottolineare che un’interpretazione di tale disposizione nel senso – proposto dal ricorrente – dell’applicazione a una retribuzione che si riferisce a un periodo inferiore a un mese delle modalità di calcolo dell’imposta previste agli articoli 3 e 4 del medesimo regolamento priverebbe detta disposizione di qualsiasi effetto utile in quanto essa equivarrebbe ad applicare a una retribuzione che si riferisce a un periodo inferiore a un mese – condizione da cui dipende tuttavia l’applicazione dell’aliquota d’imposta fissata dall’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68 – le stesse modalità di calcolo dell’imposta, ivi compresa la relativa aliquota, di quelle previste agli articoli 3 e 4 del regolamento n. 260/68.

48      Pertanto, si deve ritenere che l’interpretazione teleologica dell’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68 corrobori anch’essa alla conclusione esposta al precedente punto 37.

49      Da tutto quanto precede risulta che l’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68 deve essere interpretato nel senso che, in caso di versamento di una retribuzione che si riferisca ad un periodo di lavoro inferiore a un mese, occorre applicare alla somma di cui trattasi l’aliquota d’imposta a cui sono soggetti i redditi percepiti dal funzionario o dall’agente interessato quando quest’ultimo ha lavorato un mese completo. Pertanto, qualora un funzionario o un agente percepisca una retribuzione che si riferisce ad un periodo di lavoro inferiore a un mese, l’imposta è calcolata, da un lato, applicando la stessa aliquota d’imposta che sarebbe applicata se il funzionario o l’agente interessato avesse lavorato un mese intero e, dall’altro, in proporzione ai giorni effettivamente lavorati.

50      Pertanto, adottando la decisione impugnata sul fondamento dell’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68, così come deve essere interpretato conformemente alla motivazione esposta ai precedenti punti da 33 a 48, la BCE non è incorsa in un errore di diritto, cosicché occorre respingere il primo motivo di ricorso.

 Sul secondo motivo di ricorso, vertente sulla violazione del principio della parità di trattamento

51      Il ricorrente addebita alla BCE di non operare una distinzione, dal punto di vista del calcolo dell’imposta, tra due situazioni che egli ritiene siano diverse, in violazione del principio della parità di trattamento. A tal riguardo, egli indica che la BCE utilizza erroneamente lo stesso metodo per calcolare l’imposta quando un funzionario o agente usufruisce di un congedo parentale e quando usufruisce di un altro tipo di congedo non retribuito, laddove, a suo avviso, queste due forme di congedo non sono equiparabili. A sostegno della sua allegazione, il ricorrente fa valere essenzialmente che un membro del personale che beneficia di un congedo non retribuito diverso da un congedo parentale è autorizzato a svolgere attività retribuite accessorie durante detto congedo, mentre ciò non avviene nel caso di un membro del personale che benefici di un periodo di congedo parentale e che una siffatta differenza sul piano finanziario dovrebbe avere un’incidenza sul calcolo dell’imposta dovuta.

52      La BCE contesta tali allegazioni.

53      In limine, occorre ricordare che il principio della parità di trattamento, quale sancito dall’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali, costituisce un principio generale del diritto dell’Unione, il quale impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, a meno che tale trattamento non sia obiettivamente giustificato. Una differenza di trattamento è giustificata se si fonda su un criterio obiettivo e ragionevole, vale a dire qualora essa sia rapportata a un legittimo scopo perseguito dalla normativa di cui trattasi e tale differenza sia proporzionata allo scopo perseguito dal trattamento di cui trattasi (v. sentenza del 30 novembre 2023, MG/BEI, C‑173/22 P, EU:C:2023:932, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

54      Secondo giurisprudenza consolidata, la violazione del principio di parità di trattamento a seguito di un trattamento differenziato presuppone che le situazioni in questione siano comparabili per quanto riguarda tutti gli elementi che le caratterizzano. Gli elementi che caratterizzano situazioni diverse nonché la comparabilità di queste ultime devono, in particolare, essere determinati e valutati alla luce dell’oggetto delle disposizioni in esame e dello scopo delle stesse, fermo restando che devono essere presi in considerazione, a tale fine, i principi e gli obiettivi del settore cui si riferisce l’atto in parola (v. sentenza del 30 novembre 2023, MG/BEI, C‑173/22 P, EU:C:2023:932, punto 46 e giurisprudenza ivi citata).

55      Nel caso di specie, occorre constatare che la situazione di un membro del personale che beneficia di un congedo parentale ai sensi dell’articolo 29 delle condizioni di impiego del personale della BCE, come precisato all’articolo 5.11 del regolamento del personale della BCE, è equiparabile, dal punto di vista della retribuzione percepita, a quella di un membro del personale che beneficia di un’altra forma di congedo non retribuito, quale prevista all’articolo 30 di dette condizioni di impiego e precisata all’articolo 5.12 di detto regolamento del personale. Infatti, indipendentemente dal fondamento giuridico del congedo di cui trattasi, che si tratti dell’articolo 29 o dell’articolo 30 delle condizioni di impiego del personale della BCE, tale congedo è detto «non retribuito», vale a dire implica che il membro del personale interessato non percepisca, in entrambi i casi e durante tale periodo di congedo, alcuna retribuzione da parte della BCE connessa all’esercizio della sua attività professionale. Inoltre, nulla osta a che il congedo parentale nonché gli altri congedi non retribuiti siano concessi, in seno alla BCE, per un periodo inferiore a un mese o inizino nel corso del mese, di modo che i membri del personale interessati da tale congedo possono, in entrambi i casi, percepire una retribuzione che si riferisca ad un periodo inferiore a un mese.

56      Di conseguenza, il ricorrente non può fondatamente sostenere che il congedo parentale e le altre forme di congedo non retribuito previste dalle condizioni di impiego del personale della BCE non siano equiparabili, sicché egli non può validamente addurre una violazione del principio della parità di trattamento connessa ad un’applicazione identica, da parte della BCE, dell’articolo 7, primo comma, del regolamento n. 260/68 in caso di congedo parentale o non retribuito concesso per un periodo inferiore a un mese o che inizi nel corso del mese e che dia luogo al versamento di una retribuzione che si riferisca ad un periodo inferiore a un mese.

57      Tale conclusione non è messa in discussione dall’allegazione del ricorrente secondo cui un membro del personale della BCE che beneficia di un congedo non retribuito diverso da un congedo parentale è autorizzato a svolgere attività retribuite accessorie durante detto congedo, laddove ciò non avviene nel caso di un membro del personale della BCE che beneficia di un congedo parentale, cosicché le loro situazioni non sarebbero equiparabili. Infatti, la possibilità, per taluni membri del personale che beneficiano di un congedo non retribuito diverso da un congedo parentale, di esercitare un’attività professionale accessorie non ha alcuna incidenza sulla loro situazione finanziaria nei confronti della BCE, poiché il versamento della loro retribuzione è sospeso, al pari di quello dei membri del personale che beneficiano di un congedo parentale.

58      Occorre pertanto respingere il secondo motivo di ricorso, vertente su una violazione del principio della parità di trattamento, e, pertanto, occorre respingere integralmente il ricorso.

 Sulle spese

59      Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Il ricorrente, rimasto soccombente, dev’essere condannato alle spese, conformemente alla domanda della BCE.

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Nona Sezione)

dichiara e statuisce:

1)      Il ricorso è respinto.

2)      DO è condannato alle spese.

Truchot

Kanninen

Perišin

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 23 luglio 2025.

Firme


*      Lingua processuale: l’inglese.