CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
NICHOLAS EMILIOU
presentate il 19 giugno 2025 (1)
Causa C‑320/24
CR,
TP
contro
Soledil Srl, in concordato preventivo
(domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Corte suprema di cassazione, Italia)
« Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Direttiva 93/13/CEE – Clausole abusive – Facoltà e obbligo del giudice nazionale – Clausola penale in un contratto con il consumatore – Esame dell’eventuale carattere abusivo di tale clausola contrattuale – Validità della clausola contrattuale coperta dall’autorità di cosa giudicata (implicita) – Impossibilità per il giudice nazionale che decide nel merito e per il giudice nazionale adito con un ricorso per cassazione di esaminare l’eventuale carattere abusivo della clausola contrattuale »
I. Introduzione
1. La presente questione è stata sollevata dalla Corte suprema di cassazione (Italia), investita, per la seconda volta, della medesima controversia vertente sull’adempimento delle obbligazioni derivanti da un contratto preliminare con il quale due persone fisiche (CR e TP) si sono impegnate ad acquistare un bene immobile presso la Soledil Srl, una società che nel frattempo ha stipulato un concordato preventivo con i suoi creditori.
2. La controversia verteva, in un primo tempo, sulla questione se ricorressero le condizioni per la conclusione di tale acquisto e, in caso di risposta negativa, sull’importo al quale il venditore aveva diritto in forza della clausola penale inserita nel contratto. La determinazione di tale importo è stata inizialmente contestata (con successo) dalla Soledil dinanzi alla Corte suprema di cassazione. Dinanzi al medesimo giudice, ed in seguito a un’ulteriore fase del procedimento dinanzi a una Corte d’appello, CR e TP sostengono ora, per la prima volta dall’insorgere della controversia, che il rapporto di in questione ha natura di rapporto fra consumatore e professionista e che la clausola penale ha carattere abusivo ai sensi della direttiva 93/13/CEE (2) e dovrebbe pertanto essere dichiarata nulla.
3. Il giudice del rinvio rileva che, in virtù della normativa processuale nazionale, è impossibile prendere in considerazione tale questione in uno stadio così avanzato del procedimento giudiziario, dato che la questione relativa alla validità di tale clausola non è stata oggetto di esame nelle fasi precedenti del procedimento e su di essa si è formato un giudicato implicito. Al contempo, la Corte suprema di cassazione è consapevole che ai sensi della giurisprudenza della Corte di giustizia sussiste l’obbligo in capo ai giudici nazionali di disattendere, al ricorrere di determinate circostanze, l’autorità di cosa giudicata di una decisione giudiziaria, laddove il carattere eventualmente abusivo delle clausole contrattuali non sia stato esaminato, al fine di garantire che la tutela effettiva dei diritti del consumatore non sia limitata da clausole abusive contenute nel contratto del consumatore (3). Pertanto, il giudice del rinvio si chiede se la soluzione adottata in tali cause debba applicarsi anche nell’ambito del procedimento principale.
4. Ciò che rende la presente causa nuova è che la giurisprudenza esistente riguarda principalmente casi nell’ambito di procedimenti giudiziari nazionali di natura sommaria, come quelli relative a procedimenti di esecuzione forzata di ingiunzioni di pagamento o di ipoteche, il che, come si evince dalla decisione di rinvio, non ricorre nel procedimento principale. Pertanto, la presente causa offre alla Corte l’opportunità di chiarire la portata dell’obbligo dei giudici nazionali di garantire che l’autorità di cosa giudicata ceda dinanzi all’imperativo dell’effettività della tutela dei consumatori nonché di affrontare la problematica relativa alla tensione che tale obbligo inevitabilmente crea a fronte delle esigenze della certezza del diritto.
II. Contesto normativo
A. Diritto dell’Unione europea
5. Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13: «Gli Stati membri prevedono che le clausole abusive contenute in un contratto stipulato fra un consumatore ed un professionista non vincolano il consumatore, alle condizioni stabilite dalle loro legislazioni nazionali, e che il contratto resti vincolante per le parti secondo i medesimi termini, sempre che esso possa sussistere senza le clausole abusive».
6. L’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, dispone che «[g]li Stati membri, nell’interesse dei consumatori e dei concorrenti professionali, provvedono a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati tra un professionista e dei consumatori».
B. Diritto italiano
7. Il punto 6 del terzo comma dell’articolo 1469-bis del codice civile italiano (in prosieguo: il «codice civile»), nella versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, prevedeva una presunzione di vessatorietà delle clausole che, in caso di inadempimento, imponessero il pagamento di una somma manifestamente eccessiva.
8. L’articolo 1469-quinquies del codice civile, nella versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale, prevedeva, fra l’altro, che le clausole vessatorie fossero nulle/inefficaci. Il giudice del rinvio precisa che una siffatta questione può essere rilevata d’ufficio dal giudice adito.
9. Inoltre, ai sensi dell’articolo 394 del codice di procedura civile italiano, il giudizio di rinvio dinanzi alla Corte d’appello è preordinato a una nuova decisione in sostituzione di quella annullata dalla Corte suprema di cassazione e le parti non possono ampliare l’oggetto del giudizio formulando domande ed eccezioni nuove, ivi incluse questioni rilevabili d’ufficio che non siano state considerate dalla Corte suprema di cassazione e sulle quali si sia formato un giudicato implicito.
III. Fatti, procedimento nazionale e questione pregiudiziale
10. Nel 1998, CR e TP hanno stipulato con la Soledil un contratto preliminare di compravendita finalizzato all’acquisto di una proprietà immobiliare. Essi hanno versato a Soledil un acconto di circa EUR 72 000 e sono entrati in possesso dell’immobile, in attesa della stipulazione del contratto definitivo.
11. Tale contratto preliminare di compravendita conteneva una clausola penale ai sensi della quale, in caso di inadempimento da parte dell’acquirente, il venditore aveva il diritto di trattenere l’intero importo dell’acconto versato, fermo restando il risarcimento dell’eventuale maggior danno.
12. Tra le parti è sorta una controversia a causa della mancata stipulazione del contratto definitivo. Tale controversia è stata sottoposta ad un Collegio arbitrale il quale, in data 29 luglio 2002, ha dichiarato la risoluzione del contratto preliminare di compravendita e ha condannato CR e TP alla restituzione dell’immobile alla Soledil, mentre quest’ultima è stata condannata a restituire a CR e a TP l’acconto che essi le avevano corrisposto.
13. CR e TP hanno impugnato il lodo arbitrale dinanzi alla Corte d’appello di Ancona (Italia), che, con sentenza del 28 marzo 2009, lo ha dichiarato nullo per motivi di ordine procedurale. Nel merito, detta Corte ha respinto le domande di CR e di TP dirette all’esecuzione del contratto preliminare di compravendita e li ha condannati alla restituzione dell’immobile. La Soledil è stata condannata alla restituzione dell’acconto percepito trattenendo, a titolo di penale, i soli interessi maturati sulla somma stessa. La domanda della Soledil diretta al risarcimento degli ulteriori danni è stata respinta.
14. La Soledil ha proposto ricorso contro tale sentenza dinanzi alla Corte suprema di cassazione, affermando, in particolare, l’indebita riduzione della penale. CR e TP si sono opposti a tale ricorso e hanno proposto ricorso incidentale, contestando in particolare la reiezione della loro domanda di esecuzione in forma specifica del contratto.
15. Con sentenza del 14 novembre 2015, la Corte suprema di cassazione ha accolto il ricorso della Soledil, ritenendo insufficiente la motivazione della Corte d’appello di Ancona riguardo ai criteri da essa adottati per quantificare la penale in misura ridotta. Essa ha inoltre respinto il ricorso incidentale. Pertanto, ha rinviato la causa alla Corte d’appello di Bologna affinché quantificasse nuovamente l’importo della penale dovuta alla Soledil (in prosieguo: la «prima sentenza della Corte suprema di cassazione»).
16. Dinanzi alla Corte d’appello di Bologna, la Soledil ha chiesto l’intero importo dell’acconto, come previsto dalla clausola penale, nonché il risarcimento dell’ulteriore danno derivante dalla illegittima occupazione dell’immobile. CR e TP hanno chiesto il rigetto di tali domande, la conferma della sentenza della Corte d’appello di Ancona e, in subordine, la riduzione della penale secondo equità.
17. Con sentenza del 12 ottobre 2018, la Corte d’appello di Bologna ha statuito che la penale dovuta da CR e TP ammontava a EUR 61 600 e ha respinto la domanda di risarcimento degli ulteriori danni richiesti dalla Soledil. Esso ha ritenuto, in particolare, che la penale fosse eccessiva, anche tenendo conto che l’occupazione di fatto dell’immobile da parte di CR e TP si era protratta per molti anni.
18. CR e TP hanno presentato ricorso per cassazione dinanzi alla Corte suprema di cassazione, facendo valere un motivo nuovo, ossia, in sostanza, che il contratto preliminare di compravendita costituirebbe un contratto fra consumatore e professionista e che la clausola penale avrebbe carattere vessatorio poiché impone il pagamento di una somma di danaro a titolo di risarcimento manifestamente eccessiva. Pertanto, essi ritengono che detto contratto avrebbe dovuto essere dichiarato nullo/inefficace, d’ufficio, ma la Corte d’appello di Bologna ha omesso di farlo.
19. Alla luce di tali considerazioni, la Corte suprema di cassazione ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia la seguente questione pregiudiziale:
«Se l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva [93/13] e l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea debbano essere interpretati:
(a) nel senso che ostino all’applicazione dei principi del procedimento giurisdizionale nazionale, in forza dei quali le questioni pregiudiziali, anche in ordine alla nullità del contratto, che non siano state dedotte o rilevate in sede di legittimità, e che siano logicamente incompatibili con la natura del dispositivo cassatorio, non possono essere esaminate nel procedimento di rinvio, né nel corso del controllo di legittimità a cui le parti sottopongono la sentenza del giudice di rinvio;
(b) anche alla luce della considerazione circa la completa passività imputabile ai consumatori, qualora non abbiano mai contestato la nullità/inefficacia delle clausole abusive, se non con il ricorso per cassazione all’esito del giudizio di rinvio;
(c) e ciò con particolare riferimento alla rilevazione della natura abusiva di una clausola penale manifestamente eccessiva, di cui sia stata disposta, in sede di legittimità, la rimodulazione della riduzione secondo criteri adeguati (quantum), anche in ragione del mancato rilievo della natura abusiva della clausola a cura dei consumatori (an), se non all’esito della pronuncia adottata in sede di rinvio».
20. Hanno presentato osservazioni scritte CR e TP, nonché il governo italiano e la Commissione. Dette parti sono anche state sentite all’udienza, svoltasi in data 26 febbraio 2025.
IV. Valutazione
21. Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 93/13, in particolare l’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della stessa, letti in combinato disposto con l’articolo 47 della Carta, debbano essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa processuale nazionale che preclude a un giudice nazionale di ultimo grado di dichiarare nulla/inefficace una clausola contenuta in un contratto concluso fra consumatore e professionista, quando l’impossibilità di effettuare un tale esame consegue al fatto che, in mancanza di un’eccezione sollevata a tal fine dal consumatore nelle fasi precedenti del procedimento, ed altresì in ragione del fatto che tale questione non è stata rilevata d’ufficio dal giudice in dette fasi precedenti del procedimento, si deve considerare che sulla validità di tale clausola si sia formato un giudicato implicito.
22. Più precisamente, nel procedimento principale, CR e TP hanno sollevato l’eccezione di nullità/inefficacia della clausola penale contenuta nel contratto preliminare di compravendita solo in occasione del secondo ricorso per cassazione dinanzi alla Corte suprema di cassazione. Nelle fasi precedenti del procedimento, i giudici nazionali avevano preso in considerazione la questione se tale contratto dovesse essere eseguito e, una volta deciso in senso negativo, quale fosse la portata dei diritti della Soledil derivanti dalla clausola penale. Poiché la validità della clausola penale costituiva il prerequisito logico dell’esame della portata dei diritti e degli obblighi da essa derivanti, la validità di detta clausola aveva implicitamente ottenuto l’’autorità di cosa giudicata, a seguito della prima sentenza della Corte suprema di cassazione.
23. La questione che si pone è se, in tali circostanze (in cui l’eventuale carattere abusivo della clausola penale non era stato esaminato nelle fasi precedenti del medesimo procedimento), l’autorità di cosa giudicata formatasi con riferimento a uno degli aspetti della (altrimenti ancora pendente) controversia debba essere disattesa al fine di garantire l’effettività del divieto di inserire clausole abusive nei contratti dei consumatori.
24. Dopo aver formulato alcune considerazioni preliminari relative agli elementi di diritto e di fatto pertinenti ai fini della mia valutazione (A) e trattato la giurisprudenza della Corte che il giudice del rinvio (correttamente) individua quale particolarmente rilevante per la questione di diritto di cui è investito (B), illustrerò le ragioni per le quali considero che il diritto dell’Unione europea non impone l’obbligo di disattendere l’autorità di cosa giudicata, nelle circostanze di cui al procedimento principale (C).
A. Osservazioni preliminari
25. Per illustrare le ragioni per le quali la presente causa impone di prendere in considerazione per prima cosa i limiti stabiliti dal diritto dell’Unione europea all’autorità di cosa giudicata nel diritto nazionale, occorre ricordare che i giudici nazionali dovrebbero avere la possibilità, e persino l’obbligo, di procedere all’esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo di clausole contenute in un contratto fra un consumatore e un professionista (o «venditore o fornitore», secondo i termini utilizzati dalla direttiva 93/13) (4).
26. Tale obbligo deriva, come rilevato dal giudice del rinvio, dall’interpretazione effettuata dalla Corte dell’articolo 6, paragrafo 1, e dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13, in combinato disposto con il principio di effettività, che impone agli Stati membri l’obbligo di garantire che le clausole eventualmente abusive non vincolino il consumatore (articolo 6, paragrafo 1) e di provvedere a fornire mezzi adeguati ed efficaci per far cessare l’inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (articolo 7, paragrafo 1). Esso è fondato sulla premessa sottesa alla medesima direttiva, secondo cui il consumatore si trova in una situazione di inferiorità rispetto al professionista per quanto riguarda il suo potere nelle trattative e la differenza di competenze tra loro (5). Alla luce di ciò, l’intervento attivo dei giudici nazionali (6) diretto a verificare se la clausola contrattuale in questione sia o meno abusiva è inteso quale strumento volto a ristabilire l’equilibrio effettivo tra le parti e quindi la loro uguaglianza (7).
27. A tal riguardo, il giudice del rinvio conferma che il rapporto di cui trattasi nel procedimento principale è effettivamente tra due consumatori e un professionista. Dall’ordinanza di rinvio risulta altresì che, sebbene CR e TP abbiano partecipato alle diverse fasi del procedimento principale (e abbiano essi stessi avviato alcune di esse), essi non hanno sollevato la questione del carattere eventualmente abusivo della clausola penale (fino al momento in cui la causa è stata sottoposta per la seconda volta alla Corte suprema di cassazione). Ne deriva che, in tali precedenti fasi giudiziarie, ciascun giudice nazionale adito aveva l’obbligo di esaminare d’ufficio il carattere abusivo della clausola penale (dato che la controversia verteva, tra l’altro, sulla portata dei diritti e degli obblighi derivanti da tale clausola).
28. Orbene, tale esame non sarebbe stato effettuato. Il governo italiano ha spiegato che esso avrebbe potuto essere effettuato, in virtù del diritto processuale nazionale, fino, ed incluso, il momento in cui la causa era giunta per la prima volta dinanzi alla Corte suprema di cassazione. In altri termini, non sembra in discussione il fatto che i rispettivi giudici nazionali non abbiano ottemperato all’obbligo di esaminare d’ufficio il carattere potenzialmente abusivo della clausola penale.
29. La questione controversa è se l’obbligo di esaminare l’eventuale abusività di detta clausola sorga, sotto il profilo del diritto dell’Unione europea, nella fase del secondo esame di legittimità pendente dinanzi alla Corte suprema di cassazione, nell’ambito della quale la suddetta questione è stata sollevata dai consumatori interessati e in cui il suo esame è ora precluso per effetto dell’autorità di cosa giudicata (implicita) derivante dalla prima sentenza della Corte suprema di cassazione. Infatti, tale sentenza sembra aver «bloccato» l’ambito della controversia, circoscrivendo la questione da prendere in esame, a seguito del rinvio dinanzi al rispettivo giudice d’appello, al solo importo cui la Soledil ha diritto in forza della clausola penale.
30. È per tali ragioni che la presente causa mette in rilievo la questione delle eccezioni al principio dell’autorità di cosa giudicata, che la Corte ha precedentemente definito e richiesto ai giudici nazionali di applicare, al fine di garantire che una clausola contrattuale eventualmente abusiva sia oggetto di esame da parte di un giudice, qualora tale questione non sia stata (o non sia stata adeguatamente) esaminata nelle fasi precedenti del procedimento. Posto che la discussione nella presente causa è comprensibilmente incentrata sull’applicabilità di tali eccezioni ai fatti di cui al procedimento principale, ora le esaminerò in maniera più dettagliata.
B. Giurisprudenza alla base della discussione nella presente causa
31. Rammento che la Corte ha più volte riconosciuto, anche nel settore disciplinato dalla direttiva 93/13, l’importanza, sia per l’ordinamento giuridico dell’Unione sia per i sistemi giuridici nazionali, del principio dell’autorità di cosa giudicata. Essa ha costantemente affermato che il diritto dell’Unione europea non impone di escludere il carattere definitivo di una decisione giudiziaria al fine di correggere l’incompatibilità di una situazione interna con il diritto dell’Unione, salvo qualora una conclusione in senso contrario sia imposta dal principio di equivalenza o dal principio di effettività (8). Infatti, la mancanza di norme specifiche all’interno della direttiva 93/13 per quanto riguarda l’applicazione della tutela ivi prevista implica che tale questione rientra nell’ambito dell’autonomia procedurale (9) degli Stati membri. I suddetti due principi costituiscono i tradizionali limiti ai quali è assoggettato l’esercizio di detta autonomia.
32. Rilevo che la giurisprudenza che ha innescato i dubbi del giudice del rinvio riguarda le eccezioni all’autorità di cosa giudicata individuate sulla base del principio di effettività (per converso, non vi è alcun elemento del fascicolo agli atti della Corte che suggerisca che l’osservanza del principio di equivalenza possa essere messo in discussione nella presente causa).
33. Rilevo inoltre che, sebbene vi siano ulteriori esempi di giurisprudenza della Corte relativa alla questione di eccezioni, fondate sul diritto dell’Unione europea, alla autorità della cosa giudicata nel diritto nazionale (e che la affrontano alla luce del principio di effettività), ai quali farò riferimento in seguito, i casi riportati dal giudice del rinvio come particolarmente pertinenti nella fattispecie sono, come già osservato, le tre sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 marzo 2022 (10).
34. In primo luogo, nella sentenza Ibercaja Banco, la Corte ha imposto di disattendere l’autorità di cosa giudicata sorta all’esito di un procedimento di esecuzione ipotecaria, nel quale il giudice dell’esecuzione aveva preso in esame le clausole contrattuali, pur non pronunciandosi espressamente al riguardo. La Corte ha ritenuto che, in tali circostanze, il consumatore non era stato informato dell’esistenza di un siffatto controllo né della motivazione in base alla quale il giudice dell’esecuzione aveva ritenuto che le clausole in discussione non avessero carattere abusivo, il che aveva impedito al consumatore di prendere una decisione informata sull’opportunità di proporre ricorso avverso tale decisione (11).
35. In secondo luogo, nella sentenza SPV Project 1503, la Corte ha stabilito, in sostanza, che il giudice dell’esecuzione deve avere il potere di controllare l’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali, qualora un decreto ingiuntivo non sia stato oggetto di opposizione proposta dal consumatore e si sia formato un giudicato (implicito) (12). La Corte ha spiegato tale conclusione sottolineando che una normativa nazionale secondo la quale un esame d’ufficio del carattere abusivo delle clausole contrattuali si considera avvenuto (implicitamente) e in forza della quale un decreto ingiuntivo è coperto dall’autorità di cosa giudicata, anche in assenza di qualsiasi motivazione relativa all’esame di tali clausole, può privare del suo contenuto l’obbligo incombente al giudice nazionale di procedere a un esame dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali (13).
36. In terzo luogo, nella sentenza Unicaja Banco, la Corte ha imposto in particolare di disattendere l’autorità di cosa giudicata di una parte della decisione di primo grado, ove essa impediva il recupero di una parte della somma pagata in base a una «clausola di tasso minimo» prevista in un contratto di mutuo ipotecario che era considerata abusiva (14). Mentre tale decisione di primo grado imponeva il rimborso delle somme versate dal consumatore in base a detta clausola, tale obbligo restitutorio era limitato, conformemente alla giurisprudenza (di allora) della rispettiva corte suprema nazionale. Infatti, detta decisione si limitava ad ordinare la restituzione degli importi pagati dal consumatore in epoca successiva alla pubblicazione della sentenza di quest’ultima corte che dichiarava abusiva la clausola di tasso minimo. Successivamente, nell’ambito di un’altra causa, la Corte di giustizia ha affermato che tale limitazione nel tempo era contraria alla direttiva 93/13 (15). Tuttavia, la pronuncia della Corte di giustizia è avvenuta oltre la scadenza dei termini per interporre appello e nel procedimento che aveva portato alla sentenza Unicaja Banco, e solo la banca coinvolta aveva proposto appello avverso la decisione sulle spese. In tale contesto, la Corte ha dichiarato che il giudice d’appello interessato era tenuto a sollevare la questione del carattere abusivo della limitazione nel tempo, benché tale parte della sentenza di primo grado non fosse stata contestata (comprensibilmente) dalla banca e fosse quindi divenuta definitiva in forza del rispettivo diritto nazionale.
37. Per quanto riguarda il presente procedimento, CR, TP e la Commissione, da un lato, e il governo italiano, dall’altro, adottano posizioni diverse in merito a ciò che l’interpretazione del principio di effettività contenuta nelle citate sentenze implica per il procedimento principale e per la soluzione della questione pregiudiziale.
38. Il governo italiano è dell’avviso che, contrariamente alle circostanze che hanno portato, in particolare, alle sentenze SPV Project 1503 e Ibercaja Banco, la fattispecie che caratterizza il procedimento principale non necessiti (né consenta) di disattendere l’autorità di cosa giudicata. Esso ritiene che il rispetto del principio di effettività debba essere valutato alla luce delle caratteristiche del sistema di rimedi previsti nello specifico ordinamento giuridico. Sottolinea che le sentenze citate riguardavano procedimenti sommari la cui natura rendeva difficile per i consumatori salvaguardare il loro diritto a non essere vincolati da clausole (eventualmente) abusive. Tale ipotesi non ricorre, tuttavia, nella fattispecie di cui al procedimento principale, che consiste in un giudizio ordinario, in contraddittorio pieno, le cui caratteristiche non comportano particolari difficoltà nel far valere il carattere abusivo di una clausola contrattuale. Inoltre, CR e TP sono stati rappresentati da un avvocato nel corso (piuttosto lungo) della procedura (16).
39. Per contro, CR, TP e la Commissione ritengono, in sostanza, che la soluzione adottata nelle sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022 debba essere applicata, mutatis mutandis, alla situazione di cui al procedimento principale. Più precisamente, la Commissione ritiene che i requisiti del principio di effettività, nell’ambito della direttiva 93/13, vadano oltre quanto sostenuto dal governo italiano. Infatti, tale principio non può considerarsi rispettato qualora, come nel dato caso, le clausole contrattuali pertinenti non siano state esaminate da un giudice in una qualsivoglia fase del procedimento e, ove necessario, d’ufficio. Posto che la clausola penale in questione non è stata esaminata, il giudicato (implicito) derivante dalla prima sentenza della Corte suprema di cassazione deve essere disatteso.
40. Esaminerò tali posizioni in maniera più dettagliata nella seguente sezione al fine di proporre una risposta alla questione pregiudiziale.
C. Risposta alla questione pregiudiziale
41. Inizierò la presente sezione soffermandomi sul ruolo del principio di effettività quale limite all’autorità di cosa giudicata. In tale contesto, chiarirò che l’interpretazione del principio di effettività nelle sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022 deve essere intesa nel senso che la conclusione della necessità di disattendere l’autorità di cosa giudicata si fonda sul contesto procedurale particolarmente restrittivo delle cause che hanno dato luogo a tali sentenze (1). Spiegherò inoltre che estendere la soluzione adottata in tali casi al di là di detto contesto risulterebbe incompatibile con la fondamentale importanza del principio dell’autorità di cosa giudicata, più volte ricordato nella giurisprudenza della Corte (2) e inciderebbe in misura sproporzionata sugli altri diritti e interessi coinvolti (3).
1. Limite (o limiti) all’autorità di cosa giudicata sulla base del principio di effettività
42. Ho già brevemente osservato che non esiste, nel diritto dell’Unione, alcun obbligo generale di disattendere il carattere definitivo di una decisione giudiziaria volta a correggere una violazione del diritto dell’Unione (17). Infatti, la regola generale, costantemente richiamata dalla giurisprudenza della Corte, rimane quella secondo cui il diritto dell’Unione non impone «a un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata a una pronuncia giurisdizionale, neanche quando ciò permetterebbe di porre rimedio a una situazione nazionale contrastante con detto diritto» (18). Come parimenti rilevato in precedenza, tale regola principale resta soggetta ai principi di equivalenza e di effettività.
43. Il principio di effettività impone, in breve, che le procedure messe in atto dagli Stati membri, nelle quali le parti possono far valere diritti conferiti dal diritto dell’Unione, non devono rendere in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio di tali diritti. A tal riguardo, la Corte ha costantemente dichiarato che occorre che tale esigenza sia presa in considerazione «tenendo conto del ruolo di dette norme nell’insieme del procedimento», «dello svolgimento dello stesso e delle peculiarità di tali norme, dinanzi ai vari organi giurisdizionali nazionali», tenendo conto, «se necessario, dei principi che sono alla base del sistema giurisdizionale nazionale in causa, quali la tutela dei diritti della difesa, il principio della certezza del diritto e il regolare svolgimento del procedimento» (19).
44. Ciò comporta, come osservato in sostanza dal governo italiano in udienza, che l’esame della questione se il principio di effettività sia stato rispettato dovrebbe avvenire alla luce delle caratteristiche sistemiche del procedimento di cui trattasi. La domanda cui occorre rispondere è se tali caratteristiche creino un contesto giuridico nel quale l’attuazione dei diritti riconosciuti dal diritto dell’Unione non debba superare eccessive difficoltà (quali, tipicamente, termini estremamente brevi entro i quali i rimedi devono essere azionati; un ammontare particolarmente alto delle spese che i procedimenti giurisdizionali comportano rispetto all’importo del credito controverso, ecc.).
45. In altre parole, il rispetto del principio di effettività impone che l’ordinamento giuridico interessato offra rimedi che consentano, in pratica, l’attuazione delle norme sostanziali sottese al diritto dell’Unione. Per contro, stabilire se tali norme siano state rispettate in ciascun singolo caso rappresenta una questione diversa, in base alla regola richiamata al precedente paragrafo 42 e ai criteri generali richiamati al summenzionato paragrafo 43.
46. È certo che, in diversi casi, la Corte ha stabilito che le esigenze di effettività pongono in secondo piano l’autorità di cosa giudicata delle decisioni nazionali al fine di garantire, in sostanza, l’osservanza di una determinata norma del diritto dell’Unione. Tuttavia, tali decisioni erano dettate dalle peculiarità di un determinato settore (la necessità di conservare la divisione verticale delle competenze nel settore degli aiuti di Stato) (20)o giustificate dal carattere restrittivo della norma nazionale in materia di autorità di cosa giudicata che impediva la conformità al diritto dell’Unione in altre situazioni (ove gli effetti di una sentenza definitiva adottata in violazione del diritto dell’Unione predeterminava l’esito di altre questioni) (21). Nessuna di tali problematiche è oggetto della presente causa.
47. Alla luce di tale quadro analitico, le sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022 sembrano prima facie suggerire che, nelle situazioni rientranti nell’ambito della direttiva 93/13, i requisiti del principio di effettività oltrepassano l’approccio tradizionale precedentemente illustrato. Infatti, nelle sentenze in parola la Corte sembra aver imposto la disapplicazione dell’efficacia nazionale dell’autorità di cosa giudicata, a motivo che le rispettive clausole contrattuali incluse nel contratto con il consumatore non erano state esaminate, o non lo erano state adeguatamente.
48. In quest’ottica, secondo la Commissione ne consegue che, affinché persista l’autorità di cosa giudicata, deve esserci stato (nel procedimento che ha dato luogo alla sentenza passata in giudicato) un esame effettivo dell’eventuale carattere abusivo delle pertinenti clausole contrattuali (con informazioni adeguate in ordine a tale esame e una motivazione) (22). Laddove non sia soddisfatta tale condizione, l’autorità di cosa giudicata deve essere disattesa. L’unica eccezione a tale conclusione è rappresentata dalla passività del consumatore nel corso del procedimento (in quanto la tutela offerta in forza della direttiva 93/13 non giunge a compensare la completa passività del consumatore) (23). Nel presente caso, detta eccezione non si applica e pertanto, secondo la Commissione, la soluzione adottata nelle sentenze in materia di res judicata del 17 maggio 2022 si estende ai fatti di cui al procedimento principale.
49. Con riferimento a tali argomenti, in primo luogo, non trovo necessario discutere in questa sede il significato o le esatte implicazioni dell’ipotesi relativa alla completa passività del consumatore; concordo con la Commissione in ordine al fatto che tale ipotesi semplicemente non si applica alla causa di cui al procedimento principale.
50. Infatti, sebbene la questione pregiudiziale sollevata si fondi sulla premessa della completa passività dei consumatori, il giudice del rinvio sembra ricomprendere in tale ipotesi il fatto che i consumatori non abbiano invocato il carattere abusivo della clausola penale in nessuna delle fasi precedenti del procedimento principale (fino al momento in cui il giudice del rinvio è stato adito per la seconda volta). Come spiega la Commissione, non è questa l’ipotesi della completa passività, come intesa dalla giurisprudenza della Corte, la quale, di per sé, dispensa il giudice nazionale dall’obbligo di disattendere l’autorità di cosa giudicata. Tale ipotesi fa invero riferimento al consumatore che sia assente dal procedimento e che non prenda le proprie difese, il che non si è verificato nel caso di CR e TP, i quali sono stati parte di ciascuna fase del procedimento principale (e hanno invero avviato alcune di esse).
51. Per contro, in secondo luogo, non sono persuaso dalla posizione della Commissione, secondo cui la soluzione di cui alle sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022 debbano applicarsi ai fatti di cui al procedimento principale, quali descritti nell’ordinanza di rinvio.
52. A tal proposito sottolineo, analogamente al governo italiano, che la situazione di cui al procedimento principale, quale descritta dal giudice del rinvio, sembra essere molto diversa rispetto a quelle che hanno dato luogo alle sentenze summenzionate.
53. Da un lato, le situazioni di cui a dette cause si inquadravano in un contesto procedurale che ha reso particolarmente difficile per i consumatori far valere i propri diritti. Infatti, gli obblighi dei consumatori in questione erano di natura esclusivamente economica e pertanto facilmente dimostrabili da parte del professionista (come il mancato adempimento del consumatore), il che ha verosimilmente comportato che i procedimenti di accertamento e/o esecuzione degli obblighi del consumatore sembrano essere stati di natura sommaria, come osserva il governo italiano.
54. Sembra che ciò sia avvenuto, in particolare, nella situazione che ha portato alle sentenze Ibercaja Banco e SPV Projects 1503 che comportavano l’esecuzione forzata degli obblighi dei consumatori ivi previsti, in definitiva, accordi economici, e in cui l’esecuzione di tali obblighi è avvenuta in procedimenti di esecuzione ipotecaria o di esecuzione di decreti ingiuntivi.
55. È vero che, contrariamente alle situazioni presentate nelle suddette due sentenze, il caso oggetto della sentenza Unicaja Banco non sembrava coinvolgere alcuna esecuzione degli obblighi del consumatore. Tuttavia, il caso si inseriva in un contesto più ampio e piuttosto specifico in cui la limitazione nel tempo imposta all’obbligo restitutorio (quale descritto al paragrafo 36 precedente) riguardava un numero considerevole di consumatori (24), mentre l’incompatibilità con il diritto dell’Unione europea di tale limitazione [limitazione imposta dal Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna), in particolare a causa delle sfide macroeconomiche che sarebbero altrimenti sorte per il settore bancario spagnolo] è stata dichiarata dalla Corte di giustizia solo dopo l’adozione della sentenza di primo grado nella causa Unicaja Banco e dopo che l’autorità di cosa giudicata di tale sentenza era già divenuta operante.
56. Al contrario, il contesto di cui al procedimento principale è diverso. Le sue circostanze e peculiarità sono altresì sostanzialmente diverse rispetto a quelle di cui ai procedimenti che hanno portato alle sentenze Ibercaja Banco e SPV Projects 1503.
57. Infatti, contrariamente ai fatti riportati al precedente paragrafo 53, ricordo che la controversia di cui al procedimento principale riguarda (o riguardava nelle fasi precedenti del procedimento) (i) la questione se il contratto di compravendita stipulato da CR e TP dovesse essere attuato (e la compravendita finalizzata), e (ii) soltanto in caso di risposta negativa, il focus della controversia si è spostata sulla clausola penale. Di conseguenza, il procedimento principale è stato, come si evince dall’ordinanza di rinvio e come osserva il governo italiano, un procedimento ordinario e a cognizione piena il cui contesto procedurale (o altre circostanze) non sembra aver dato luogo ad alcuna particolare difficoltà a che i consumatori facessero valere o difendessero i propri diritti.
58. Alla luce di ciò, la proposta della Commissione diretta ad estendere la specifica soluzione di cui alle sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022 ai fatti di cui alla presente causa comporta che la soluzione raggiunta per lo specifico e restrittivo ambito procedurale relativo a quelle cause si applichi altresì in situazioni nelle quali un siffatto ambito procedurale restrittivo non sussiste.
59. Posso certamente comprendere che una simile proposta rafforza ulteriormente l’obiettivo di un’effettiva tutela dei consumatori ai sensi della direttiva 93/13. Comprendo inoltre che si possa essere inclini ad accogliere un tale approccio generale orientato al risultato del principio di effettività nel presente ambito normativo, in considerazione delle varie espressioni della tutela più rigorosa che ne risulta applicata (tra cui l’obbligo dell’esame d’ufficio fornisce l’esempio più eloquente) (25). Tuttavia, come illustrerò in seguito, un risultato così esteso mal si concilia con l’importanza, più volte richiamata, anche nell’ambito della direttiva 93/13, del principio dell’autorità di cosa giudicata.
2. L’importanza cruciale del principio dell’autorità di cosa giudicata
60. Rilevo che sebbene nelle sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022 la Corte abbia imposto la disapplicazione del principio dell’autorità di cosa giudicata, essa ha altresì richiamato la sua consolidata giurisprudenza nella quale ha costantemente sottolineato l’importanza che deve essere ricollegata al carattere definitivo delle decisioni giurisdizionali, incluse quelle che hanno dato luogo a un’applicazione erronea del diritto dell’Unione (26).
61. Un tale accento non sorprende ove si consideri il ruolo fondamentale che questo principio svolge per «la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici quanto [per] una buona amministrazione della giustizia» (27). Infatti, il suo scopo è garantire lo svolgimento efficiente dei procedimenti giurisdizionali e, una volta che siano giunti a una decisione finale, creare stabilità giuridica per le parti. Più in generale, essa contribuisce alla prevedibilità delle situazioni giuridiche e consente alla società di riporre fiducia nel fatto che le cause decise con sentenza definitiva non saranno rimesse in discussione (o che potranno esserlo soltanto in ipotesi limitate che consentono la proficua attivazione di mezzi di ricorso straordinari, previsti da un determinato ordinamento giuridico) (28). In altri termini, il principio dell’autorità di cosa giudicata costituisce un aspetto importante del principio della certezza del diritto (29), un principio fondamentale di ogni sistema giuridico moderno fondato sullo Stato di diritto (30), e un elemento implicito del diritto alla tutela giurisdizionale effettiva.
62. La Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») ha ricordato tale secondo aspetto nell’ambito dell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU) (31), affermando che, sebbene le esigenze dei principi della certezza del diritto e dell’autorità di cosa giudicata non siano assolute, «una deroga [alle stesse] è giustificata solo laddove essa sia necessaria a causa di circostanze di carattere sostanziale e imperativo, quali la correzione di difetti fondamentali o un errore giudiziario» (32).
63. Il medesimo approccio equilibrato alle situazioni nelle quali l’autorità di cosa giudicata può essere disattesa deve pertanto essere adottato anche nell’ambito dell’articolo 47 della Carta, che naturalmente si applica alle presenti circostanze.
64. In tale ottica, ove si ammetta, come suggerito dalla Commissione, che la soluzione raggiunta nelle sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022 si applichi indipendentemente da qualsiasi contesto restrittivo, l’approccio che ne deriva rispetto al principio dell’autorità di cosa giudicata diventa, in situazioni rientranti nell’ambito della direttiva 93/13, piuttosto diverso da quello di cui al precedente paragrafo 60, costantemente adottato dalla Corte.
65. Infatti, contrariamente ad esprimere l’idea che le conclusioni della decisione finale debbano rimanere, in linea di principio, immutate anche laddove giungano a un’applicazione erronea del diritto dell’Unione, tale approccio richiederebbe, in situazioni rientranti nell’ambito della direttiva 93/13, il rovesciamento di una decisione giudiziaria definitiva ogni qual volta abbia luogo un’applicazione erronea del diritto dell’Unione (che si verifica, nella presente fattispecie, ogni qualvolta sia stato omesso, da parte del giudice nazionale, l’esame d’ufficio dell’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali).
66. Non soltanto sono d’accordo con il governo italiano sul fatto che le sentenze summenzionate non si prestano ad una conclusione generale di tale ampia portata, ma ritengo altresì che una siffatta interpretazione del principio di effettività non si concilierebbe con la necessità di collegare la deroga all’imperativo della certezza del diritto con le circostanze in cui tale deroga è effettivamente giustificata. Pertanto, ritengo difficile non ritenere che l’interpretazione del principio di effettività adottata nelle sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022 sia stata dettata dalle circostanze specifiche di tali casi (come ho già illustrato in precedenza).
67. Invero, ove le circostanze del caso non rivelino alcuna necessità specifica volta a compensare una maggiore difficoltà per i consumatori a far valere i propri diritti, la richiesta di disattendere l’autorità di cosa giudicata equivarrebbe, come illustrerò di seguito, a un’alterazione sproporzionata dei rispettivi diritti e interessi in gioco.
3. Ponderazione dei diritti e degli interessi in gioco
68. Ho già spiegato che la tutela rafforzata che deve essere offerta ai consumatori in forza della direttiva 93/13 implica l’obbligo per il giudice nazionale di esaminare d’ufficio, se del caso, se le clausole contrattuali contenute in un contratto stipulato con un consumatore siano o meno abusive ai sensi di tale direttiva. Ove dichiarate abusive, tali clausole devono essere ritenute come mai esistite (salvo che il consumatore decida, in maniera informata, di non far valere il loro carattere abusivo) (33).
69. Ponendo in evidenza detto obbligo da parte dei giudici (che si applica a prescindere dalle circostanze del caso, in particolare dal fatto che il consumatore sia rappresentato da un avvocato o meno) (34), la Corte ha, pertanto, compensato allo squilibrio che incide intrinsecamente sul rapporto consumatore-professionista anche attraverso l’applicazione di specifici strumenti procedurali. Infatti, è giocoforza che la tutela sostanziale (contro l’utilizzo di clausole abusive) rischierebbe di risultare svuotata in mancanza di adeguati mezzi di attuazione, in quanto non vi è motivo di presumere che la debolezza intrinseca del consumatore nei confronti del professionista venga meno qualora, segnatamente, quest’ultimo decida di perseguire l’esecuzione giudiziaria dei propri diritti in forza di un contratto con i consumatori.
70. Al contempo, si deve ricordare che, sebbene la norma in base alla quale le clausole abusive non vincolano il consumatore, stabilita dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 93/13, «de[bba] essere considerata come una norma equivalente alle disposizioni nazionali che occupano, nell’ambito dell’ordinamento giuridico interno, il rango di norme di ordine pubblico» (35), la tutela del consumatore prevista dalla suddetta direttiva non è assoluta (36). Ne consegue che, se da un lato l’ampliamento di tale tutela deve riflettere la necessità di compensare il suddetto squilibrio, dall’altro i parametri di tale tutela non possono essere definiti senza tenere in debito conto la reale portata di tale necessità e le conseguenze giuridiche per la controparte interessata che derivano da tale tutela specifica.
71. In considerazione di ciò, a mio avviso, una cosa è sostenere che il principio di effettività imponga al giudice nazionale di procedere, in qualsiasi circostanza, all’esame d’ufficio delle clausole contrattuali potenzialmente abusive, e un’altra è suggerire che, qualora tale obbligo non sia stato rispettato, il principio di effettività imponga la disapplicazione dell’autorità di cosa giudicata, a prescindere dalle circostanze del caso di specie.
72. Infatti, l’esame d’ufficio, da un lato, e l’autorità di cosa giudicata, dall’altro, racchiudono valori di diversa importanza e non si dovrebbe essere indotti a porli sullo stesso piano (ritenendo che la violazione del primo comporti inevitabilmente la necessità di disattendere il secondo).
73. Più precisamente, l’obbligo dell’esame d’ufficio contribuisce a evitare situazioni in cui i giudici finirebbero per riconoscere, in misura maggiore rispetto ad altri ambiti del diritto (dato il sottostante squilibrio delle posizioni delle parti), diritti che si fondano su una base illegittima (37). Al contempo, sebbene tale obbligo comporti un chiaro aggravio dell’onere dei giudici, non ritengo che incida in modo eccessivo sul professionista, nella sua qualità di controparte, posto che tale parte è tenuta meramente ad accettare il controllo di legittimità del fondamento della propria pretesa (ove tale legittimità non sia contestata dal consumatore). Per questo motivo, si può sostenere che un siffatto intervento consenta di risolvere il preesistente squilibrio della posizione delle parti senza crearne una nuova (invertita).
74. Passando ora al principio dell’autorità di cosa giudicata, è vero che sarebbe altresì possibile spiegare la necessità di riesaminare l’accertamento giudiziale definitivo ove i giudici nazionali abbiano omesso di prendere in esame (adeguatamente) le rispettive clausole contrattuali, al fine di evitare il rischio che istanze potenzialmente illegittime siano accolte. Tuttavia, e contrariamente agli effetti negativi alquanto lievi per la controparte (vale a dire, il professionista) dell’esame d’ufficio delle clausole contrattuali che il consumatore non contesta, imporre un annullamento della natura definitiva di un accertamento giurisdizionale ogni volta che tale dovere d’ufficio non sia stato rispettato, a prescindere dalle circostanze, comporterebbe almeno due delle seguenti conseguenze eccessive.
75. In primo luogo, inciderebbe in maniera sproporzionata sul diritto del professionista a una tutela giurisdizionale effettiva, sancito dall’articolo 47 della Carta, che implica, come già rilevato, la necessità di rispettare il carattere definitivo di una decisione giudiziaria. Infatti, mentre l’ingerenza nella certezza del diritto può essere giustificata dalle specifiche circostanze restrittive che hanno limitato la capacità del consumatore di difendere i propri diritti, non vedo alcun motivo per una siffatta ingerenza qualora la situazione in questione non crei alcuna difficoltà (e qualora lo squilibrio sottostante non «si riverberi» sulla fase contenziosa/esecutiva, a causa delle norme procedurali applicabili).
76. Infatti, una simile soluzione, anziché ristabilire la parità delle armi tra le parti, condurrebbe ad uno squilibrio inverso, consentendo al consumatore di «riaprire», in qualsiasi momento del procedimento, la porta che ha chiuso l’accesso all’esame, sebbene tale porta sia rimasta aperta abbastanza a lungo e nessun particolare ostacolo abbia impedito al consumatore di attraversarla in ogni momento, mentre la stessa possibilità non è data alla controparte.
77. A questo punto, desidero precisare che il fatto che la decisione giudiziaria definitiva nel procedimento principale sia stata emessa nell’ambito di un procedimento che è ancora in corso è, di per sé, irrilevante. È noto che la nozione di decisione definitiva (a cui si ricollega l’autorità di cosa giudicata) non si limita alla singola decisione formale con cui un qualsivoglia procedimento si conclude di fatto (perché le parti hanno deciso di non proseguirlo o perché hanno esaurito tutti i rimedi disponibili). Infatti, l’autorità di cosa giudicata può emergere nell’ambito del procedimento in corso, in diverse fasi e relativamente a diversi aspetti della controversia, a motivo del fatto che le parti non hanno originariamente sollevato la questione di cui trattasi, o non ne hanno successivamente contestato la valutazione. Ciò vale non solo per le questioni espressamente trattate, bensì anche per quelle che costituiscono le necessarie premesse giuridiche degli argomenti sollevati (quali la validità della clausola penale in discussione, allorché gli argomenti delle parti riguardavano la portata dei loro rispettivi diritti e obblighi da essa derivanti). Il fatto che, nell’ambito dello stesso procedimento in corso, la possibilità di trattare alcuni punti venga progressivamente meno (e così la porta metaforica a tale possibilità si chiude) costituisce lo strumento necessario affinché qualsiasi procedimento sia condotto in modo efficace e, aspetto non meno importante, entro termini ragionevoli.
78. Per quanto riguarda il secondo punto (e la seconda conseguenza sproporzionata) riportato al precedente paragrafo 74, la Corte EDU ha ritenuto che l’annullamento di una sentenza definitiva che ha dato luogo a un «possesso», ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo addizionale della CEDU (38), «costituisca un’ingerenza nel diritto del soggetto che ha beneficiato della sentenza di godere pacificamente di tale possesso» (39), anche se il fatto di disattendere il principio del giudicato non presuppone l’esito della questione, della quale occorre nuovamente esaminare l’aspetto rilevante (40).
79. Trasposto nell’ordinamento giuridico dell’Unione europea, ne deriva che l’articolo 17 della Carta (che sancisce il diritto alla proprietà) costituisce un motivo ulteriore in base al quale, a mio avviso, non è possibile estendere pedissequamente l’applicazione della soluzione raggiunta nelle sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022 a qualsiasi controversia che insorga in forza della direttiva 93/13, indipendentemente dalle specifiche circostanze del caso di specie.
80. Rilevo che entrambi i suddetti aspetti relativi all’incidenza sproporzionata sarebbero ulteriormente aggravati ove posti a confronto con altri aspetti della tutela del consumatore, in particolare con la norma relativa ai termini entro i quali un consumatore può intentare un’azione per arricchimento ingiustificato (derivante dall’applicazione di una clausola abusiva). La Corte ha chiarito che il decorso di tali termini non può iniziare dalla data in cui si è verificato l’arricchimento ingiustificato, in quanto il consumatore potrebbe non essere stato consapevole del carattere abusivo di una clausola o non aver valutato la portata dei suoi diritti derivanti dalla direttiva 93/13 (41).
81. Il momento in cui viene acquisita una siffatta consapevolezza costituisce dunque il momento rilevante, prima del quale non può aversi la scadenza dei termini applicabili per intentare un’azione di arricchimento ingiustificato. Se a tale elemento si aggiunge l’assenza di autorità di cosa giudicata di un’eventuale sentenza precedente nella quale sia stato omesso l’esame d’ufficio e il professionista abbia prevalso, quest’ultimo può ritrovarsi in una situazione di incertezza giuridica notevolmente prolungata.
82. A tal proposito, è appena il caso di notare che non tutte le allegazioni di presunta abusività saranno accolte nel merito. Di conseguenza, non si può escludere che sollevare una siffatta eccezione in una determinata fase del procedimento possa altresì rappresentare un atto di strategia contenziosa o addirittura essere pretestuoso e non è quindi possibile prevedere con certezza quale sarà la parte che alla fine prevarrà. Ricordo che dalla citata giurisprudenza della Corte EDU risulta che il semplice fatto di doversi sottoporre a un nuovo contenzioso vertente su cause decise in via definitiva costituisce un’ingerenza nel diritto di proprietà e nel diritto garantito dall’articolo 6 della CEDU. Qualora tale ingerenza non sia giustificata dalle specifiche circostanze del caso di specie, essa non dovrebbe assolutamente verificarsi.
83. A tal proposito, ricordo che, qualora l’approccio di un giudice nazionale di ultima istanza in un determinato procedimento violi il diritto dell’Unione, la parte che si ritiene lesa deve poter proporre un’azione di responsabilità dello Stato (42). Sebbene tale azione sia soggetta a condizioni specifiche, essa consente di evitare la gravità delle conseguenze che deriverebbero dalla disapplicazione dell’autorità di cosa giudicata in assenza di condizioni restrittive.
84. Inoltre, ho già chiarito che le sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022 riguardano un contesto caratterizzato da un ambito procedurale restrittivo o comunque specifico che impediva ai consumatori di far valere utilmente i propri diritti. Tale ambito procedurale nazionale restrittivo costituisce, a mio avviso, l’elemento necessario per comprendere la portata dell’osservazione della Corte, riportata in tali sentenze, secondo cui «in assenza di un controllo efficace del carattere potenzialmente abusivo delle clausole del contratto di cui trattasi, il rispetto dei diritti conferiti dalla direttiva 93/13 non può essere garantito» (43). In effetti, tale osservazione deriva dalla precedente giurisprudenza della Corte relativa all’esame d’ufficio delle clausole contrattuali (44) e, in virtù delle ragioni illustrate poc’anzi, non è possibile estrapolarla semplicemente dalle circostanze che hanno caratterizzato le sentenze sull’autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022 al fine di imporre in maniera indiscriminata il rovesciamento dell’autorità di cosa giudicata ogni volta che talune clausole contrattuali non siano state esaminate, a prescindere dalle circostanze del caso di specie.
85. Aggiungo che la necessità che sussista un siffatto ambito restrittivo al fine di consentire di disattendere l’autorità di cosa giudicata deriva anche dalla giurisprudenza della Corte anteriore e successiva alle sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022.
86. Con riferimento alla giurisprudenza meno recente, nel ritenere, nella sentenza Asturcom Telecomunicaciones, che non vi fosse alcun obbligo di disattendere il carattere definitivo di un lodo arbitrale, la Corte ha al contempo confermato che le norme nazionali che imponevano un termine di due mesi per contestare il lodo erano conformi al principio di effettività (45). Analogamente, quando ha concluso, nella causa Finanmadrid EFC, che sussisteva un obbligo di disattendere l’accertamento definitivo relativo alle obbligazioni dei consumatori, tale conclusione era collegata alle specifiche condizioni restrittive individuate nella legislazione spagnola che consentivano il verificarsi dell’autorità di cosa giudicata (46). Infine, quando la Corte ha concluso, nella sua sentenza Banco Primus, che l’autorità di cosa giudicata di una sentenza precedente (in cui erano state esaminate solo alcune delle clausole contrattuali di un contratto di mutuo) non può ostare all’esame di altre clausole del medesimo contratto (ove il consumatore si sia correttamente opposto all’esecuzione) (47). Tale decisione è stata presa nel contesto di un procedimento avente ad oggetto un’opposizione allo lo sfratto da un immobile ipotecato.
87. Più recentemente, nella sentenza Profi Credit Polska, la Corte (in Grande Sezione) ha concluso, in sostanza, che il principio di effettività non si spinge fino ad obbligare gli Stati membri a prevedere mezzi di ricorso straordinari che consentano di riaprire un procedimento concluso con una sentenza definitiva pronunciata in contumacia (emessa sulla base di una cambiale), in cui è stato omesso il l’esame delle clausole contrattuali.
88. Sebbene la Corte abbia in definitiva imposto che vi fossero rimedi attraverso i quali il consumatore doveva essere in grado di chiedere il risarcimento dell’importo pagato in base alle clausole contrattuali asseritamente abusive, tale conclusione è stata raggiunta con riferimento alle condizioni restrittive in base alle quali la sentenza contumaciale avrebbe potuto essere contestata. In altri termini, la conclusione relativa all’obbligo di disattendere il carattere definitivo della decisione era connessa alla considerazione dell’insufficienza del quadro procedurale nel quale il consumatore avrebbe dovuto difendere i propri diritti (48). Per contro, una simile condizione (parametro) di non applicabilità dell’autorità di cosa giudicata non avrebbe potuto essere applicata, qualora l’assenza di autorità di cosa giudicata fosse derivata dalla mera assenza dell’esame delle clausole contrattuali nel procedimento che ha portato alla sentenza contumaciale di cui trattavasi nella fattispecie.
89. Similmente, nella sua sentenza Getin Noble Bank, la Corte ha affermato il dovere del giudice dell’esecuzione di esaminare d’ufficio l’eventuale carattere abusivo delle condizioni contrattuali, nel caso in cui l’inadempimento del consumatore abbia portato all’emissione di un’ingiunzione di pagamento passata in giudicato e qualora non sia stato effettuato alcun esame delle clausole al momento dell’emissione dell’ingiunzione di pagamento. La Corte ha collegato detto obbligo, in larga misura, alle condizioni (eventualmente) restrittive entro le quali l’ingiunzione avrebbe potuto essere contestata, il che avrebbe potuto, di contro, comportare un rischio significativo che il consumatore non avviasse l’esame (49).
90. La considerazione degli elementi sopra esposti mi induce a concludere che, alla luce dell’assenza, nel presente caso, di qualsivoglia analoga condizione procedurale che limiti la possibilità per il consumatore di tutelare i propri diritti (aspetto che, naturalmente, spetta al giudice del rinvio verificare), la necessità di garantire che l’effettività del diritto dei consumatori non sia limitata da una clausola contrattuale potenzialmente abusiva contenuta in un contratto stipulato con un consumatore non impone di disattendere l’autorità di cosa giudicata di una decisione giudiziaria che si sia formata nel dato procedimento (tutt’ora in corso) e, ciò, anche se nell’ambito di detto procedimento il carattere potenzialmente abusivo della clausola contrattuale interessata non sia stato esaminato.
V. Conclusione
91. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alla questione sollevata dalla Corte suprema di cassazione (Italia) nei seguenti termini:
L’articolo 6, paragrafo 1, e l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori
devono essere interpretati nel senso che non ostano a una norma di procedura nazionale che impedisce al giudice nazionale di cassazione di dichiarare la nullità/inefficacia di una clausola contenuta in un contratto stipulato tra un consumatore e un professionista, qualora l’impossibilità di effettuare un tale esame sia dovuta al fatto che, in assenza di un’eccezione sollevata in tal senso dai consumatori nelle fasi precedenti del procedimento, e dato altresì che tale questione non è stata sollevata d’ufficio dai rispettivi giudici nazionali in tali fasi precedenti, la validità di detta clausola deve essere considerata implicitamente decisa in via definitiva, a seguito di una precedente sentenza del giudice nazionale di cassazione, qualora:
– la questione sorga in un contesto in cui, a motivo delle norme di procedura applicabili, l’esecuzione forzata degli obblighi dei consumatori non risulti particolarmente agevolata e laddove, pertanto, non vi sia una specifica difficoltà per il consumatore di far valere i propri diritti derivanti dalla direttiva 93/13, e
– le condizioni in cui si sono svolte le fasi precedenti del procedimento non rendevano, in qualsiasi altro modo, in pratica impossibile o eccessivamente difficile per i consumatori l’esercizio dei diritti derivanti dalla direttiva 93/13.
1 Lingua originale: l’inglese.
2 Direttiva del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).
3 Il riferimento, in particolare, è alle sentenze della Corte (Grande Sezione) del 17 maggio 2022, SPV Project 1503 e a. (C‑693/19 e C‑831/19, EU:C:2022:395; in prosieguo: la «sentenza SPV Project 1503»); del 17 maggio 2022, Unicaja Banco (C‑869/19, EU:C:2022:397; in prosieguo: la «sentenza Unicaja Banco») e del 17 maggio 2022, Ibercaja Banco (C‑600/19, EU:C:2022:394; in prosieguo: la «sentenza Ibercaja Banco») (congiuntamente denominate in prosieguo le «sentenze sulla autorità di cosa giudicata del 17 maggio 2022»). Rilevo che la quarta decisione pronunciata nella medesima data, Impuls Leasing România (C‑725/19, EU:C:2022:396; in prosieguo: la «sentenza Impuls Leasing România») non riguardava la questione se l’autorità di cosa giudicata dovesse essere disattesa).
4 V., a titolo esemplificativo e da ultime, sentenza dell’11 aprile 2024, Air Europa Líneas Aéreas (C‑173/23, EU:C:2024:295, punto 29 e giurisprudenza citata) e sentenza del 9 aprile 2024, Profi Credit Polska (Riapertura di un procedimento terminato con una decisione definitiva) [C‑582/21; in prosieguo: la «sentenza in Profi Credit Polska (Riapertura di un procedimento terminato con una decisione definitiva)», EU:C:2024:282, punto 66 e giurisprudenza citata].
5 V., a titolo esemplificativo e da ultima, sentenza del 13 marzo 2025, APSAPS Beta Bulgaria e Agentsia za kontrol na prosrocheni zadalzhenia (C‑337/23, EU:C:2025:183, punto 53 e giurisprudenza citata).
6 Oppure un «intervento positivo, esterno al rapporto contrattuale», come ricordato dalla Corte. V., ad esempio la sentenza del 18 gennaio 2024, Getin Noble Bank e a. (Controllo d’ufficio del carattere abusivo delle clausole) [C‑531/22, in prosieguo: la «sentenza in Getin Noble Bank», EU:C:2024:58, punto 42 e giurisprudenza citata].
7 V., ad esempio, la sentenza Profi Credit Polska (Riapertura di un procedimento terminato con una decisione definitiva), punto 72 e giurisprudenza citata.
8 V., ad esempio, sentenza Profi Credit Polska (Riapertura di un procedimento terminato con una decisione definitiva), punti da 37 a 39.
9 V., a titolo esemplificativo, ibid., punto 39 e giurisprudenza citata.
10 Gli altri riferimenti pertinenti sono (per quanto riguarda casi meno recenti) in particolare le sentenze del 6 ottobre 2009, Asturcom Telecomunicaciones (C‑40/08; in prosieguo: la «sentenza Asturcom Telecomunicaciones», EU:C:2009:615); del 18 febbraio 2016, Finanmadrid EFC (C‑49/14, EU:C:2016:98) e del 26 gennaio 2017, Banco Primus (C‑421/14, EU:C:2017:60). Gli esempi più recenti sono, segnatamente, le sentenze Profi Credit Polska (Riapertura di un procedimento terminato con una decisione definitiva) e Getin Noble Bank e a., nonché del 29 febbraio 2024, Investcapital (C‑724/22, EU:C:2024:182).
11 Sentenza Ibercaja Banco, punto 49.
12 Sentenza SPV Project 1503, punto 68 (v. inoltre punto 22 per il contesto processuale).
13 Ibid., punto 65.
14 Sentenza Unicaja Banco, punto 40.
15 Sentenza del 21 dicembre 2016, Gutiérrez Naranjo e a. (C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:980, punti da 72 a 75).
16 Circostanza, questa, che spetta al giudice del rinvio verificare.
17 V. nota 8 che precede e, più recentemente (e in generale), sentenza del 16 gennaio 2025, BALTIC CONTAINER TERMINAL (C‑376/23, EU:C:2025:20, punti 71 e 72 nonché giurisprudenza citata).
18 Sentenze Târșia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punto 29 e giurisprudenza citata), e Profi Credit Polska (Riapertura di un procedimento terminato con una decisione definitiva), punto 38 e giurisprudenza citata.
19 V., a titolo esemplificativo, sentenze del 6 ottobre 2015, Târșia (C‑69/14, EU:C:2015:662, punti 36 e 37 nonché la giurisprudenza citata), e del 16 gennaio 2025, BALTIC CONTAINER TERMINAL (C‑376/23, EU:C:2025:20, punto 74 e giurisprudenza citata).
20 Sentenza del 18 luglio 2007, Lucchini (C‑119/05, EU:C:2007:434, punti da 61 a 63). Per le osservazioni riguardo al contesto «del tutto particolare» di cui a tale decisione, v. sentenza del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti (C‑213/13, EU:C:2014:2067, punto 61).
21 Sentenze del 3 settembre 2009, Fallimento Olimpiclub (C‑2/08, EU:C:2009:506, punti da 29 a 31); dell’11 novembre 2015, Klausner Holz Niedersachsen(C‑505/14, EU:C:2015:742, punti da 43 a 45 e giurisprudenza citata); del 2 aprile 2020, CRPNPAC e Vueling Airlines (C‑370/17 e C‑37/18, EU:C:2020:260, punti 95 e 96); del 16 luglio 2020, UR (Assoggettamento degli avvocati all’IVA) (C‑424/19, EU:C:2020:581, punti 32 e 33); e del 7 aprile 2022, Avio Lucos (C‑116/20, EU:C:2022:273, punti da 102 a 104).
22 La Corte ha ritenuto che il consumatore debba altresì essere informato delle conseguenze che la sua passività comporta in materia di decadenza dal diritto di far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole contrattuali; v. sentenza del 29 febbraio 2024, Investcapital (C‑724/22, EU:C:2024:182, punto 45).
23 Come deriva dalla giurisprudenza della Corte; v. sentenze Asturcom Telecomunicaciones, punto 47; Unicaja Banco, punto 28 e giurisprudenza citata; e Getin Noble Bank, punto 45.
24 Conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nelle cause riunite Gutiérrez Naranjo e a. (C‑154/15, C‑307/15 e C‑308/15, EU:C:2016:552, paragrafi da 72 a 74) e dell’avvocato generale Tanchev nella causa Unicaja Banco (C‑869/19, EU:C:2021:617, paragrafo 19).
25 Ricordo che non vi è un obbligo generale in forza del diritto dell’Unione per i giudici nazionali di rilevare, d’ufficio, una violazione del diritto dell’Unione, indipendentemente dalla sua importanza per l’ordinamento giuridico dell’Unione, purché sia data alle parti la possibilità effettiva di sollevare un motivo dinanzi al giudice nazionale. V., in particolare, sentenze del 14 dicembre 1995, Van Schijndel e van Veen (C‑430/93 e C‑431/93, EU:C:1995:441, punti da 16 a 22); del 7 giugno 2007, van der Weerd e a. (da C‑222/05 a C‑225/05, EU:C:2007:318, punto 41). V. anche, più recentemente, sentenza del 22 giugno 2023, K.B. e F.S. (Rilevabilità d’ufficio di una questione in ambito penale) (C‑660/21, EU:C:2023:498, punto 53).
26 V., a titolo esemplificativo, sentenze Asturcom Telecomunicaciones, punto 36, e giurisprudenza citata; del 26 gennaio 2017, Banco Primus (C‑421/14, EU:C:2017:60, punto 46); Profit Credit Polska (Riapertura di un procedimento terminato con una decisione definitiva), punti da 36 a 38; in Getin Noble Bank e a, punto 56 e giurisprudenza citata; o Investcapital, punto 39 e giurisprudenza citata.
27 V., ad esempio, sentenza del 24 ottobre 2018, XC e a. (C‑234/17, EU:C:2018:853, punto 52 e giurisprudenza citata) e Profi Credit Polska (Riapertura di un procedimento terminato con una decisione definitiva), punto 37 e giurisprudenza citata.
28 V. le mie conclusioni nella causa Profi Credit Polska (Riapertura di un procedimento terminato con una decisione definitiva) (C‑582/21, EU:C:2023:674, paragrafi 37 e 38 nonché giurisprudenza citata).
29 Sentenza del 1º giugno 1999, Eco Swiss (C‑126/97, EU:C:1999:269, punto 46). V., altresì, Corte EDU, 13 giugno 1979, Marckx c. Belgio, ECLI:CE:ECHR:1979:0613JUD000683374, § 58 e 1º dicembre 2020, Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, CE:ECHR:2020:1201JUD002637418, § 238.
30 Il principio dell’autorità di cosa giudicata è elencato tra i parametri di riferimento per la valutazione dello Stato di diritto in Consiglio d’Europa, Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto (Commissione di Venezia), Lista dei criteri dello Stato di diritto, 2016, pag. 28.
31 Corte EDU, 19 maggio 2020, Redquest Limited c. Slovacchia, ECLI:CE:ECHR:2020:0519JUD000274917, § 29.
32 V., ad esempio, Corte EDU, 1º dicembre 2020, Guðmundur Andri Ástráðsson c. Islanda, CE:ECHR:2020:1201JUD002637418, § 238. V., inoltre, Corte EDU, 23 novembre 2023, Wałęsa c. Polonia, ECLI:CE:ECHR:2023:1123JUD005084921,§ 224.
33 Sentenza del 9 luglio 2020, Ibercaja Banco (C‑452/18, EU:C:2020:536, punti 26 e 30).
34 Sentenza dell’11 marzo 2020, Lintner (C‑511/17, EU:C:2020:188, punto 40).
35 V., ad esempio, la sentenza Profi Credit Polska (Riapertura di un procedimento terminato con una decisione definitiva), punto 72 e giurisprudenza citata.
36 V., a titolo esemplificativo, SPV Project 1503, punto 58 e giurisprudenza ivi citata. Il fatto che la tutela di cui sopra non sia assoluta è illustrato bene dalla possibilità per il consumatore di non far valere il carattere abusivo di una clausola contrattuale, come spiegato al precedente paragrafo 68.
37 V., altresì, più in generale, conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nelle cause riunite Van Schijndel e van Veen (C‑430/93 e C‑431/93, EU:C:1995:185, paragrafo 35).
38 Prevedendo che «[o]gni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale. (…)».
39 Corte EDU, 19 maggio 2020, Redquest Limited c. Slovacchia, ECLI:CE:ECHR:2020:0519JUD000274917, § 50 e giurisprudenza citata.
40 Ibid., § 51. Rilevo che il fatto che una persona giuridica sia coinvolta in un procedimento contenzioso può ovviamente avere conseguenze sul valore dei beni aziendali.
41 V. sentenza del 22 aprile 2021, Profi Credit Slovakia (C‑485/19, EU:C:2021:313, punti da 59 a 66).
42 Sentenza del 30 settembre 2003, Köbler (C‑224/01, EU:C:2003:513, punti da 50 a 53).
43 Sentenze Ibercaja, punto 46; Unicaja Banco, punto 30 e SPV Project 1503, punto 62.
44 Sentenza del 4 giugno 2020, Kancelaria Medius (C‑495/19, EU:C:2020:431, punto 35 e giurisprudenza citata).
45 Sentenza Asturcom Telecomunicaciones, punti da 42 a 46.
46 V. sentenza del 18 febbraio 2016 (C‑49/14, EU:C:2016:98, in particolare, punti 45, 46 e 52).
47 Sentenza del 26 gennaio 2017 (C‑421/14, EU:C:2017:6, punto 54, parte finale).
48 Ciò vale altresì per l’osservazione di cui al punto 81 di tale sentenza (discussa in particolare all’udienza), secondo cui, per decidere di disattendere l’autorità di cosa giudicata, non rilevava se l’assenza di un previo esame delle clausole contrattuali derivasse dall’incompetenza a procedere a tale esame o dall’omissione di procedere allo stesso. Tale osservazione è stata formulata in seguito alla conclusione della Corte secondo cui la disapplicazione del giudicato era nella fattispecie necessaria a causa dell’ambito procedurale restrittivo, come appena illustrato. Tale giudizio in tale punto non può quindi essere letto in modo isolato rispetto alla precedente precisazione più ampia. V. altresì punti 71 e da l77 a 83 della stessa sentenza.
49 Sentenza Getin Noble Bank e a., punti da 53 a 61.