Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

LAILA MEDINA

presentate il 27 marzo 2025 (1)

Causa C-129/24

Coillte Cuideachta Ghníomhaíochta Ainmnithe

contro

Commissioner for Environmental Information,

intervenienti:

Persona/e sconosciuta/e alias John e/o Jane Doe,

Irlanda,

Attorney General,

Right to Know CLG

[Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla High Court (Alta Corte, Irlanda)]

« Rinvio pregiudiziale – Ambiente – Convenzione di Aarhus – Direttiva 2003/4/CE – Accesso del pubblico alle informazioni ambientali – Accesso alle informazioni ambientali su richiesta – Nozioni di “richiedente” e “richiesta” – Richieste anonime o presentate sotto pseudonimo – Obbligo per i richiedenti di comunicare il nome reale e l’indirizzo fisico attuale – Richiesta non valida – Rigetto di una richiesta in quanto manifestamente irragionevole »






I.      Introduzione

1.        Il diritto di accesso alle informazioni ambientali è il primo dei tre pilastri alla base della convenzione di Aarhus (2), insieme al diritto di partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia (3). Il fine ultimo di tali diritti è consentire a ogni cittadino di «affermare» il «diritto di vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute e il suo benessere e [adempiere al] dovere di tutelare e migliorare l’ambiente, individualmente o collettivamente, nell’interesse delle generazioni presenti e future» (4). La convenzione di Aarhus ha una «duplice identità» (5), che collega i diritti ambientali e i diritti umani (6). I suoi «pilastri» si «sorreggono vicendevolmente» (7); il diritto di accesso alle informazioni ambientali è una precondizione per il funzionamento degli altri diritti (8).

2.        Il primo considerando della direttiva 2003/4 (9) riflette l’importanza del diritto all’informazione ed esprime l’auspicio che «[u]n rafforzamento dell’accesso del pubblico all’informazione ambientale e la diffusione di tale informazione [contribuiscano] a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali (...) e, infine, a migliorare l’ambiente».

3.        La presente causa verte sulla questione se l’accesso all’informazione ambientale possa, come regola generale, comportare l’obbligo per i richiedenti di comunicare il proprio nome e indirizzo fisico. La questione che sorge è se la direttiva 2003/4 impedisca agli Stati membri di respingere una richiesta di informazione ambientale per il solo motivo che la richiesta non contiene informazioni precise che consentano l’identificazione della persona che presenta la richiesta. Il caso di specie solleva anche la questione delle garanzie di cui dispongono le autorità pubbliche nel trattare richieste che ritengono futili o vessatorie.

II.    Quadro normativo

A.      Diritto internazionale

4.        L’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della convenzione di Aarhus afferma:

«1) Fatti salvi i paragrafi che seguono, ciascuna Parte provvede affinché, nel quadro della legislazione nazionale, le autorità pubbliche mettano a disposizione del pubblico le informazioni ambientali loro richieste, ivi compreso il rilascio, ove richiesto e ferma restando la lettera b), di copie dei documenti contenenti tali informazioni:

a) senza che il pubblico debba far valere un interesse al riguardo».

B.      Diritto dell’Unione

5.        In base all’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2003/4, si intende per «“richiedente”: ogni persona fisica o giuridica che chiede l’informazione ambientale».

6.        L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, rubricato «Accesso all’informazione ambientale su richiesta», stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri provvedono affinché le autorità pubbliche siano tenute, ai sensi delle disposizioni della presente direttiva, a rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta da essi o per loro conto a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse».

C.      Diritto irlandese

7.        L’articolo 6 degli European Communities (Access to Information on the Environment) Regulations 2007‑2014 [regolamenti 2007‑2014 – Comunità europee (accesso all’informazione ambientale)] (in prosieguo: i «regolamenti AIE») così recita:

«6. 1) Una richiesta di informazione ambientale deve –

(...)

c) indicare il nome, l’indirizzo e qualsiasi altro recapito utile del richiedente (...)

(...)

2) Il richiedente non è tenuto a dichiarare il proprio interesse a presentare la richiesta».

III. Breve esposizione della controversia principale e questioni pregiudiziali

8.        Tra il 13 marzo e il 30 maggio 2022, uno o più richiedenti (probabilmente uno, ma forse più di uno) si sono rivolti in modo insistente alla Coillte (agenzia forestale parastatale irlandese) con un numero molto elevato di richieste probabilmente anonime o presentate sotto pseudonimo, di formato identico o quasi identico, per ottenere l’accesso ad informazioni ambientali. Non riportavano indirizzi fisici. I nomi erano ispirati a personaggi cinematografici.

9.        Le prime richieste che utilizzavano alcuni dei nomi usati dai ricorrenti in questo procedimento erano state esaminate normalmente dalla Coillte perché, in quel momento, sembravano essere richieste una tantum. Tuttavia, quando dal 20 marzo 2022 hanno iniziato a pervenire richieste anonime di stile e tipo simile e con fraseologia simile, la Coillte si è resa conto che ciò sembrava far parte di una campagna organizzata e ha preso provvedimenti al fine di verificare l’identità dei richiedenti.

10.      La Coillte ha espresso l’opinione, ragionevole secondo il giudice del rinvio, che tali richieste non sono concepite per ottenere informazioni ambientali e sembrano far parte di una campagna più ampia condotta da persone sconosciute per motivi discutibili. La campagna ha avuto ripercussioni molto significative sulle attività della Coillte e ha avuto l’effetto di distogliere tempo e risorse dalle richieste autentiche di informazioni ambientali, con conseguenti ritardi e frustrazioni per i veri richiedenti di informazioni sull’ambiente.

11.      La Coillte ha risposto a tali richieste chiedendo un indirizzo (attuale) ai richiedenti e la conferma che i nomi fossero i nomi reali (legali) dei richiedenti. Il giudice del rinvio ritiene che la Coillte si sia convinta, ragionevolmente date le circostanze, che sussistesse un dubbio prima facie sull’autenticità delle informazioni circa l’identità fornite dai richiedenti. Il giudice del rinvio ritiene inoltre che, dato il numero di richieste presentate, l’autorità pubblica interessata abbia agito in modo ragionevole al fine di stabilire se le richieste fossero manifestamente irragionevoli in relazione al volume, alla natura e alla frequenza delle altre richieste presentate dallo stesso richiedente.

12.      Il giudice del rinvio ritiene che, in assenza di prove contrarie, la conferma richiesta dalla Coillte circa il nome reale del richiedente e/o dell’indirizzo fisico attuale fosse finalizzata a verificare l’identità del richiedente, piuttosto che a stabilirne l’interesse.

13.      Poiché nessuna delle informazioni sollecitate dalla Coillte è stata comunicata, quest’ultima ha respinto le richieste in quanto non valide ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), dei regolamenti AIE.

14.      I richiedenti hanno quindi chiesto alla Coillte di effettuare un riesame interno. La Coillte ha chiesto ai richiedenti di confermare i loro nomi legali effettivi e di indicare i loro indirizzi attuali. Poiché tali richieste di conferma sono state nuovamente ignorate, le domande di riesame interno sono state respinte in quanto invalide.

15.      Molti dei vari rifiuti alle richieste di informazioni sono stati impugnati dinanzi al Commissioner for Environmental Information (Irlanda) (commissario per l’informazione ambientale; in prosieguo: il «Commissario»). L’OCEI ha emesso una decisione il 29 agosto 2022 (in prosieguo: la «decisione controversa»), in cui si è dichiarato competente a esaminare i ricorsi e ha stabilito che la Coillte non era legittimata a considerare invalide le richieste anonime o presentate sotto pseudonimo ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), dei regolamenti AIE.

16.      La Coillte ha proposto ricorso per cassazione dinanzi al giudice del rinvio contro la decisione controversa.

17.      L’Irlanda e l’Attorney General (Procuratore Generale) sono intervenuti nel procedimento giudiziario e la Right to Know CLG (in prosieguo: la «Right to Know») è stata autorizzata a intervenire in qualità di amicus curiae.

18.      Il giudice del rinvio chiede di chiarire l’interpretazione del termine «richiesta» di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2003/4 e del termine «richiedente» di cui all’articolo 2, paragrafo 5, della medesima direttiva.

19.      Per quanto riguarda il termine «richiesta», il giudice del rinvio sottolinea che, ai sensi dell’articolo 6 dei regolamenti AIE, una richiesta di informazione ambientale deve soddisfare determinati requisiti formali, tra cui la comunicazione di un nome e di un indirizzo. Una richiesta che non rispetti tali formalità deve essere considerata invalida. Il giudice del rinvio ritiene quindi che il termine «richiesta» possa significare solo una richiesta valida e conforme alla direttiva 2003/4 e alla normativa nazionale di recepimento.

20.      Per quanto riguarda il termine «richiedente», il giudice del rinvio ritiene che con esso si intenda una persona fisica o giuridica identificata dal suo nome legale attuale e dal suo indirizzo fisico, e non una persona anonima o sotto pseudonimo. Detto giudice afferma che il fatto che la direttiva 2003/4 conceda diritti alle persone fisiche e giuridiche implica che il richiedente deve fornire un nome reale e un indirizzo fisico perché possa essere accertata la spettanza del diritto a essere trattato come un richiedente. L’assenza di tali informazioni può altresì determinare un esito negativo allorché una controversia è sottoposta alla cognizione di un giudice, come è accaduto nel caso delle parti interessate, che non sono identificabili sulla base delle informazioni minime richieste per partecipare al procedimento.

21.      Il giudice del rinvio chiede se, nel caso in cui la Corte ritenga che non sussista obbligo di identificare un «richiedente», ai sensi della direttiva 2003/4, detta direttiva osti a una normativa nazionale che imponga ai richiedenti di fornire il proprio nome e/o un indirizzo fisico attuale per poter presentare una richiesta. Il giudice del rinvio ritiene che, in base al principio dell’autonomia procedurale nazionale, uno Stato membro possa scegliere di recepire la direttiva 2003/4 in modo tale da imporre ai richiedenti di identificarsi, affinché l’autorità pubblica sia in grado di verificare che si tratti delle persone fisiche o giuridiche cui sono conferiti i diritti dei richiedenti.

22.      Il giudice del rinvio desidera verificare se, qualora la Corte ritenga che la direttiva 2003/4 osti a una normativa nazionale che impone l’identificazione dei richiedenti, un’autorità pubblica possa comunque chiedere conferma del nome del richiedente e/o dell’indirizzo fisico attuale quando abbia ragionevoli motivi per sospettare che le informazioni fornite siano false o incomplete. Il fatto che tali informazioni possano teoricamente dare adito a speculazioni in merito all’interesse del richiedente non dovrebbe rilevare.

23.      Infine, il giudice di rinvio non è certo che l’autorità possa chiedere informazioni sull’identità del richiedente al fine di stabilire se una determinata richiesta sia manifestamente irragionevole in riferimento al volume, alla natura e alla frequenza di altre richieste presentate dallo stesso richiedente.

24.      In tali circostanze, la High Court (Alta Corte, Irlanda) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)      Se il termine “richiesta” di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 1, della [convenzione di Aarhus] designi esclusivamente una richiesta che è valida ai sensi della direttiva e della legge nazionale di recepimento dello Stato membro interessato.

2)      Se il termine “richiedente” di cui all’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2003/4, letto alla luce, in particolare, dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), e/o dell’articolo 6, paragrafi 1 e/o 2, e/o dell’articolo 2, paragrafo 5, e dell’articolo 4, paragrafi 1 e 3, lettera b), della [convenzione di Aarhus], designi una persona fisica o giuridica identificata con il proprio nome reale e/o con un indirizzo fisico attuale, e non una persona anonima o sotto pseudonimo e/o richiedente i cui recapiti siano costituiti solo da un’email.

3)      In caso di risposta negativa alla seconda questione, se l’articolo 3, paragrafo 1, e/o paragrafo 5, lettera c), della direttiva 2003/4, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 1, della [convenzione di Aarhus], osti ad una normativa nazionale che imponga ad un richiedente di fornire il proprio nome reale e/o il suo indirizzo fisico attuale per potere presentare una richiesta.

4)      In caso di risposta negativa alla seconda questione e di risposta in generale affermativa alla terza questione, se la direttiva 2003/4, letta alla luce dell’articolo 4 della [convenzione di Aarhus], comporti che, nel caso in cui un’autorità pubblica ritenga ragionevolmente che sussista un dubbio prima facie sull’autenticità delle informazioni fornite da un richiedente in merito alla propria identità, sia precluso a tale autorità pubblica chiedere conferma del nome reale e/o dell’indirizzo fisico attuale del richiedente al fine di verificarne l’identità e non allo scopo di stabilire l’interesse del medesimo, sebbene la comunicazione del nome reale e/o dell’indirizzo fisico attuale di un richiedente possa indirettamente dare adito a deduzioni o speculazioni da parte dell’autorità pubblica o di altri in merito all’eventuale interesse del richiedente di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva.

5)      In caso di risposta negativa alla seconda questione e di risposta in generale affermativa alla terza questione, se l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera b), della [convenzione di Aarhus], precluda ad un’autorità pubblica la possibilità di chiedere conferma del nome reale e/o dell’indirizzo fisico attuale del richiedente al fine di stabilire se una determinata richiesta sia manifestamente irragionevole in relazione al volume, alla natura e alla frequenza delle altre richieste presentate dallo stesso richiedente, e non allo scopo di stabilire l’interesse del medesimo, sebbene la comunicazione del nome reale e/o dell’indirizzo fisico attuale di un richiedente possa indirettamente dare adito a deduzioni o speculazioni da parte dell’autorità pubblica o di altri in merito all’eventuale interesse del richiedente di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva».

25.      La Coillte, il Commissario, i governi ceco e italiano nonché l’Irlanda e la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte.

IV.    Valutazione

A.      Osservazioni preliminari

26.      Innanzitutto, occorre ricordare che, divenendo parte della convenzione di Aarhus, l’Unione europea si è impegnata a garantire, nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione, l’accesso, in linea di principio, alle informazioni ambientali detenute dalla pubblica amministrazione o per conto di essa (10).

27.      Come confermato dal considerando 5 della direttiva 2003/4, adottando tale direttiva il legislatore dell’Unione ha inteso garantire la compatibilità del diritto dell’Unione con tale convenzione in vista della sua conclusione da parte dell’Unione, prevedendo un regime generale volto a garantire che qualsiasi persona fisica o giuridica di uno Stato membro abbia il diritto di accedere alle informazioni ambientali detenute dalla pubblica amministrazione o per conto di essa, senza che tale persona sia obbligata a far valere un interesse (11).

28.      Ne discende che, ai fini dell’interpretazione della direttiva 2003/4, occorre tenere conto del testo e dell’obiettivo della convenzione di Aarhus che tale direttiva mira ad attuare nel diritto dell’Unione (12).

29.      Inoltre, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte, la guida all’applicazione della convenzione di Aarhus può essere considerata come un documento esplicativo, idoneo eventualmente ad essere preso in considerazione, tra altri elementi rilevanti, al fine di interpretare tale Convenzione, sebbene le analisi ivi contenute non abbiano alcuna forza vincolante e siano prive della portata normativa propria delle disposizioni di detta convenzione (13).

B.      Sulla prima questione

30.      Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede in sostanza se il termine «richiesta» di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 1, della convenzione di Aarhus, debba essere interpretato nel senso che designa esclusivamente una richiesta che sia valida sotto il profilo di detta direttiva e della legge nazionale di recepimento dello Stato membro interessato.

31.      In forza dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, gli Stati membri provvedono affinché il «richiedente, allorché reputa che la sua richiesta di informazioni sia stata ignorata o infondatamente respinta (...), non abbia ricevuto una risposta adeguata o non sia stata trattata ai sensi delle disposizioni degli articoli 3, 4 e 5, possa esperire una procedura mediante la quale gli atti o le omissioni della pubblica autorità interessata sono riesaminati dalla stessa o da un’altra autorità pubblica o in via amministrativa da un organo indipendente e imparziale istituito dalla legge».

32.      Dall’impianto sistematico della direttiva 2003/4, come rilevato, in sostanza, dalla Commissione, risulta che l’espressione «richiesta di informazioni» di cui all’articolo 6, paragrafo 1, di detta direttiva riguarda una «richiesta» presentata ai sensi dell’articolo 3 della stessa.

33.      Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, l’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche deve essere resa disponibile «a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse».

34.      La direttiva 2003/4 non definisce il termine «richiesta» né impone requisiti specifici di validità nell’articolo 3 per la presentazione di una richiesta da parte di un richiedente.

35.      Tuttavia, secondo la giurisprudenza consolidata, il diritto di accesso garantito dalla direttiva 2003/4 si applica solo ove le informazioni richieste rientrino nelle prescrizioni relative all’accesso del pubblico previste da tale direttiva, il che presuppone in particolare che esse costituiscano «informazioni ambientali» ai sensi dell’articolo 2, punto 1, di detta direttiva (14).

36.      La richiesta deve quindi soddisfare i requisiti generali stabiliti dall’articolo 3 affinché il diritto di accesso sia applicabile, il che presuppone che la richiesta sia presentata da un «richiedente», a una «autorità pubblica» e che miri ad ottenere «informazioni ambientali» che siano «detenute» dalle autorità pubbliche o «per (...) conto [di]» esse. Il significato di tali termini è definito all’articolo 2 della direttiva 2003/4.

37.      Per il resto, né l’articolo 2, paragrafo 5, né l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4 impongono condizioni di forma o di validità per la presentazione di una richiesta. Il termine «richiesta» deve essere inteso in senso lato come qualsiasi richiesta presentata ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva.

38.      La necessità di intendere il termine «richiesta» in senso lato è confermata dall’articolo 4, paragrafo 1, della convenzione di Aarhus, che obbliga le parti a provvedere affinché, nel quadro della legislazione nazionale, mettano a disposizione del pubblico le informazioni ambientali loro richieste. Secondo la guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, «una “richiesta” può essere qualsiasi comunicazione, da parte di un membro del pubblico a un’autorità pubblica, con cui si richiedono informazioni ambientali» (15). Detta guida osserva inoltre che «la convenzione non specifica la forma della richiesta, il che implica che qualsiasi richiesta che soddisfi i requisiti dell’articolo 4, sia essa orale o scritta, sarà considerata tale ai sensi della convenzione» (16).

39.      Con la prima questione ci si chiede se gli Stati membri possano imporre requisiti di validità per la presentazione di una richiesta e se possano subordinare a tali requisiti il diritto di accesso alla giustizia di cui all’articolo 6 della direttiva 2003/4.

40.      In primo luogo, occorre sottolineare che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, lettera c), della direttiva 2003/4, ai fini dell’esercizio del diritto di accesso all’informazione ambientale su richiesta, gli Stati membri sono tenuti a garantire che «siano stabilite le modalità pratiche» per assicurare che tale diritto possa essere effettivamente esercitato. Esempi di tali «modalità pratiche» includono la designazione di addetti all’informazione, l’istituzione e il mantenimento di uffici per la consultazione dell’informazione richiesta e registri o elenchi dell’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o dai punti di informazione. Il considerando 15 di detta direttiva afferma che «[t]ali modalità garantiscono che l’informazione sia accessibile di fatto e in modo agevole e sia messa progressivamente a disposizione del pubblico». Le lettere a) e b) dell’articolo 3, paragrafo 5, si riferiscono all’obbligo degli Stati membri di assicurare che i funzionari assistano il pubblico che chiede di accedere all’informazione e di assicurare che gli elenchi delle autorità pubbliche siano accessibili al pubblico. Inoltre, secondo l’ultimo comma dell’articolo 3, paragrafo 5, gli Stati membri devono garantire che le autorità pubbliche informino adeguatamente il pubblico in merito ai diritti di cui gode e forniscano, in misura appropriata, informazioni, orientamenti e consigli a tal fine.

41.      Nel contesto dell’articolo 3, paragrafo 5, della direttiva 2003/4, l’obbligo di garantire le «modalità pratiche» per l’esercizio effettivo del diritto di accesso all’informazione ambientale fa parte del dovere delle autorità pubbliche di agevolare l’esercizio dei propri diritti da parte del pubblico (17).

42.      Di conseguenza, l’obbligo di cui all’articolo 3, paragrafo 5, della direttiva 2003/4, di stabilire «modalità pratiche» per l’esercizio del diritto di richiedere informazioni si differenzia da una qualsiasi imposizione di requisiti di validità. Infatti, mentre le «modalità pratiche» sono volte ad agevolare l’accesso all’informazione, i requisiti di validità sono formalità o precondizioni che il richiedente deve rispettare per ottenere l’accesso all’informazione pertinente.

43.      Sebbene la normativa nazionale possa definire il quadro per la presentazione e la trattazione di una richiesta, le disposizioni pertinenti non possono andare oltre quanto necessario per raggiungere l’obiettivo dell’articolo 3, paragrafo 5, della direttiva 2003/4, ossia salvaguardare un accesso agevole ed efficace all’informazione ambientale.

44.      In secondo luogo, dall’articolo 6 della direttiva 2003/4 si evince che un atto o un’omissione dell’autorità pubblica deve essere suscettibile di ricorso amministrativo e giudiziario qualora la «richiesta di informazioni sia stata ignorata o infondatamente respinta (in tutto o in parte), non abbia ricevuto una risposta adeguata o non sia stata trattata ai sensi delle disposizioni degli articoli 3, 4 e 5».

45.      Pertanto, l’esercizio del diritto di accesso alla giustizia non dipende dal fatto che l’autorità pubblica ritenga valida la richiesta o che le condizioni per l’attuazione del diritto all’informazione ambientale stabilite dal diritto nazionale siano soddisfatte. L’esistenza o meno di una «richiesta» ai sensi della direttiva 2003/4 è – come nel caso di tutte le altre condizioni sostanziali per l’insorgenza di un diritto di accesso all’informazione ambientale – una materia che deve essere suscettibile di ricorso amministrativo e giurisdizionale ai sensi dell’articolo 6 di tale direttiva. Spetta all’organismo competente verificare se una richiesta di informazione ambientale soddisfi le condizioni di cui all’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva.

46.      Se così non fosse, il diritto di accesso alla giustizia e la competenza conferita dall’articolo 6 della direttiva 2003/4 agli organi indipendenti e imparziali istituiti dalla legge e agli organi giurisdizionali dipenderebbero dall’interpretazione seguita dalle autorità nazionali in merito alle condizioni di accesso all’informazione ambientale. Come ha sostenuto il Commissario, il meccanismo per garantire l’accesso alla giustizia potrebbe essere minato dal semplice atto di un’autorità pubblica che ritenga che una richiesta non sia valida.

47.      Alla luce di quanto sopra, ritengo che il termine «richiesta» di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 1, della convenzione di Aarhus, debba essere interpretato come una richiesta presentata ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva. La questione se una richiesta rientri nell’ambito di applicazione di quest’ultima disposizione deve essere suscettibile di riesame amministrativo e giudiziario, ai sensi dell’articolo 6 della direttiva 2003/4, da parte di un organo indipendente e imparziale istituito dalla legge o di un organo giurisdizionale.

C.      Sulla seconda questione

48.      Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il termine «richiedente» di cui all’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2003/4, letto alla luce degli articoli 2 e 4 della convenzione di Aarhus, designi una persona fisica o giuridica identificata con il proprio nome reale e/o con un indirizzo fisico attuale, in contrapposizione a una persona anonima o sotto pseudonimo e/o richiedente i cui recapiti siano costituiti solo da un’email.

49.      Secondo l’articolo 2, paragrafo 5, per «richiedente» si intende «ogni persona fisica o giuridica che chiede l’informazione ambientale».

50.      Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta da esse o per loro conto a «chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse».

51.      Si pone la questione se la nozione di «richiedente» implichi l’identificazione delle persone fisiche o giuridiche con il loro nome effettivo o se essa possa comprendere anche richiedenti anonimi o sotto pseudonimo.

52.      Si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, dalla necessità di garantire tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza discende che i termini di una disposizione del diritto dell’Unione, la quale non contenga alcun espresso rinvio al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del proprio senso e della propria portata, devono di norma essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme (18).

53.      Ai fini dell’interpretazione di una norma di diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte (19).

54.      Per quanto riguarda il tenore letterale dell’articolo 2, paragrafo 5, tale disposizione qualifica come richiedente «ogni persona fisica o giuridica». Essa non specifica che tali persone fisiche o giuridiche devono essere identificate con il proprio nome reale e/o con un indirizzo fisico attuale.

55.      Il giudice del rinvio ritiene che il conferimento di diritti alle persone fisiche e giuridiche implichi che il richiedente debba fornire il nome reale e/o l’indirizzo fisico al fine di stabilire il diritto di essere trattato come richiedente.

56.      La Coillte, i governi ceco e italiano nonché l’Irlanda condividono tale opinione. Essi sostengono che solo una persona identificata con il proprio nome e indirizzo può presentare una richiesta di informazione ambientale. Ciò perché le autorità pubbliche devono essere in grado di confermare lo status della persona che effettua la richiesta, per cui il meccanismo più semplice e ovvio è l’obbligo di fornire il nome reale e/o l’indirizzo fisico attuale.

57.      Al contrario, il Commissario e la Right to Know affermano che il termine «richiedente», in assenza di qualsiasi riferimento all’identità dello stesso, non comporti l’obbligo di identificazione.

58.      La Commissione sostiene che il riferimento a una «persona» nell’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2003/4 presuppone che tale persona esista realmente e preclude la possibilità che un’eventuale persona fittizia presenti una richiesta ai sensi di tale direttiva e benefici delle sue disposizioni. La Commissione propone inoltre di prendere in considerazione quelle modalità con cui è messa a disposizione l’informazione ambientale che non sempre richiedono l’identificazione del richiedente.

59.      A mio avviso, l’obbligo di identificazione del richiedente non è intrinseco nel concetto di «richiedente». Come la Commissione ha in sostanza osservato, il fatto che una persona sia identificabile ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, non significa che l’identificazione sia necessaria ai sensi di tale disposizione. Infatti, un conto è accettare che il richiedente debba esistere realmente, e non essere un bot automatizzato o una persona fittizia. Altro è supporre che i richiedenti debbano, per forza di cose, fornire dettagli sulla loro identità per poter esercitare il diritto conferito dall’articolo 3, paragrafo 1, ed essere sistematicamente sottoposti alla verifica dell’identità.

60.      Pertanto, come sostiene la Commissione, per quanto riguarda la definizione di «richiedente» ai sensi dell’articolo 2, punto 5, della direttiva 2003/4, la sola esistenza di una persona fisica o giuridica è sufficiente perché tale persona possa godere dei diritti previsti dalla direttiva.

61.      Quanto sopra non pregiudica il margine di discrezionalità di cui godono gli Stati membri nel prevedere situazioni in cui sia necessario identificare il richiedente, come verrà discusso in dettaglio più avanti in riferimento alle questioni terza, quarta e quinta.

62.      Similmente, la convenzione di Aarhus non specifica che i richiedenti informazioni ambientali debbano essere identificati al fine di esercitare il proprio diritto di accesso a tale informazione. La convenzione di Aarhus non contiene una definizione della nozione di «richiedente». Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, di tale convenzione, le autorità pubbliche mettono a disposizione «del pubblico» le informazioni ambientali loro richieste. Ai sensi dell’articolo 2, punto 4, per «pubblico» si intende «una o più persone fisiche o giuridiche e, ai sensi della legislazione o della prassi nazionale, le associazioni, le organizzazioni o i gruppi costituiti da tali persone». Tale ampia definizione di «pubblico» è interpretata nella Guida all’applicazione della Convenzione di Aarhus nel senso che applica il principio di «ogni persona» (20).

63.      Come osservato in dottrina (21), l’assenza nella convenzione di Aarhus di un obbligo di fornire informazioni identificative quando si presenta una richiesta e l’assenza dell’obbligo di far valere un interesse comportano che le autorità pubbliche devono adottare un approccio «alla cieca rispetto ai richiedenti». Secondo tale approccio, «nessun soggetto – individui, ONG o altri – che richieda informazioni ambientali è tenuto a identificarsi o a motivare la propria richiesta» (22).

64.      Uno dei motivi per cui il giudice del rinvio ritiene che l’identificazione possa essere necessaria è che essa consente di verificare che i richiedenti siano le persone fisiche o giuridiche a cui sono conferiti i diritti di richiedente, a differenza, specificamente, delle richieste da parte di enti privi di personalità giuridica. La Coillte condivide tale punto di vista, al pari di alcune parti interessate tra cui il governo ceco, il quale sostiene che la direttiva 2003/4 e la convenzione di Aarhus collegano alla personalità giuridica del richiedente il diritto all’informazione ambientale.

65.      A tale proposito, va sottolineato che dal considerando 2 della direttiva 90/313 discende che essa «amplia l'accesso esistente sancito dalla direttiva 90/313/CEE» (23). Nel vigore della direttiva 90/313 era stato sottolineato che il diritto all’informazione ambientale è ampio e deve essere inteso come comprendente «praticamente tutti», senza alcun requisito di forma giuridica specifica (24). Un’interpretazione ampia dell’ambito di applicazione ratione personae del diritto all’informazione ambientale è suffragata dalle finalità dell’accesso del pubblico all’informazione ambientale che sono, ai sensi del considerando 1 della direttiva 2003/4, di contribuire «a sensibilizzare maggiormente il pubblico alle questioni ambientali, a favorire il libero scambio di opinioni, ad una più efficace partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l'ambiente».   Secondo i commentatori, la direttiva 2003/4 ha collocato «l’accesso all’informazione nel contesto di un diritto umano» e pertanto «il diritto è stato riconosciuto non solo ai cittadini dell’Unione, ma a tutti, comprese le associazioni» (25).

66.      Inoltre, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, lettera a), della direttiva 2003/4, i funzionari sono tenuti ad assistere «il pubblico che chiede di accedere all’informazione». L’articolo 2, punto 6, della direttiva definisce il «pubblico» come «una o più persone fisiche o giuridiche e, secondo la legislazione o la prassi nazionale, le loro associazioni, organizzazioni o gruppi». Dal combinato disposto di tali due disposizioni si evince che le persone fisiche o giuridiche e, in conformità con la legislazione o la prassi nazionale, le loro associazioni, organizzazioni o gruppi devono poter chiedere l’accesso all’informazione ambientale.

67.      L’obbligo di cui all’articolo 3, paragrafo 5, lettera a), della direttiva 2003/4, per i funzionari, di assistere il pubblico che chiede di accedere all’informazione sarebbe privo di significato se talune categorie di «pubblico» e, in particolare, le associazioni prive (ancora) di personalità giuridica si vedessero negare il diritto di accesso all’informazione ambientale quando presentano una richiesta ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva (26).

68.      Inoltre, come indicato supra nelle osservazioni preliminari, ai fini dell’interpretazione della direttiva 2003/4, occorre tener conto del testo e dell’obiettivo della convenzione di Aarhus, che tale direttiva mira ad attuare nel diritto dell’Unione (27). A tal riguardo, occorre ricordare che la convenzione di Aarhus segue, per quanto riguarda il diritto di accesso all’informazione ambientale, il principio di «ogni persona» (28). La nozione di «pubblico» ai sensi della convenzione di Aarhus comprende specificamente «associazioni, organizzazioni o gruppi» costituiti da persone fisiche o giuridiche, «ai sensi della legislazione o della prassi nazionale». Eventuali requisiti fissati dalla legge nazionale devono rispettare l’obiettivo della convenzione di Aarhus di garantire un «ampio accesso» ai diritti che essa conferisce (29). Un’interpretazione che permettesse alle autorità di negare il diritto all’informazione ambientale esclusivamente sulla base della personalità giuridica dei richiedenti sarebbe in grado di minare tale principio.

69.      In ogni caso, le singole persone fisiche che sono membri di un’associazione che non ha (ancora) assunto personalità giuridica hanno ovviamente il diritto di richiedere l’accesso alle informazioni (30).

70.      Di conseguenza, nella misura in cui tutti hanno il diritto di accedere all’informazione ambientale, la sola verifica dello status giuridico del «richiedente» non può essere un motivo per imporre l’identificazione del richiedente.

71.      Per quanto riguarda il contesto del termine «richiedente», occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, conformemente alla direttiva stessa, le autorità pubbliche sono tenute a rendere disponibile l’informazione ambientale «a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse». Dal considerando 8 di detta direttiva si evince che qualsiasi persona fisica o giuridica ha il diritto di accedere all’informazione ambientale senza dover dichiarare il proprio interesse.

72.      Il diritto di «qualsiasi» richiedente di richiedere informazione ambientale e il corrispondente dovere delle autorità di fornire tale informazione integrano il dovere proattivo delle autorità di fornire informazione che discende dall’articolo 7 della direttiva 2003/4. Ai sensi dell’articolo 1, lettera b), di tale direttiva, il dovere proattivo è volto a garantire che «l’informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa, in modo da ottenere la più ampia possibile sistematica disponibilità e diffusione al pubblico dell’informazione ambientale». Inoltre, conformemente al considerando 9 di tale direttiva, le autorità pubbliche devono mettere a disposizione del pubblico e diffondere l’informazione ambientale «nella massima misura possibile, in particolare ricorrendo alle tecnologie d’informazione e di comunicazione».

73.      Dall’articolo 7 della direttiva 2003/4, in combinato disposto con l’articolo 1, lettera b), e alla luce del considerando 9, si evince che l’informazione ambientale deve essere «messa a disposizione» del pubblico «sistematicamente» e «nella massima misura possibile», cosicché il pubblico non debba nemmeno richiederla. L’espressione «messa a disposizione» è sufficientemente ampia da includere una varietà di metodi di messa a disposizione dell’informazione. Come ha sostenuto la Right to Know, l’informazione ambientale può essere messa a disposizione di un richiedente presso gli uffici di un’autorità pubblica (prendendone visione o ritirandola), tramite un sito web o mettendola a disposizione per il ritiro da parte di un agente. In nessuna di tali situazioni c’è una ragione evidente per cui le persone fisiche o giuridiche che desiderano esercitare il loro diritto di accesso all’informazione ambientale debbano prima identificarsi. Inoltre, la direttiva 2003/4 non specifica il canale attraverso il quale l’informazione deve essere «messa a disposizione». L’informazione può quindi essere inviata, ad esempio, all’indirizzo email del richiedente, se quest’ultimo ha contattato l’amministrazione con tale mezzo.

74.      Il dovere generale delle autorità pubbliche di diffondere in modo proattivo l’informazione al pubblico suffraga l’interpretazione secondo cui, quando un membro del pubblico cerca di accedere all’informazione ambientale su richiesta, non vi è alcun obbligo specifico di fornire informazioni sull’identità.

75.      La Coillte, l’Irlanda e il governo ceco sostengono che l’articolo 6 della direttiva 2003/4 corrobora la conclusione che il termine «richiedente» impone l’identificazione del richiedente. A loro avviso, nella misura in cui il richiedente può esperire un riesame amministrativo di una decisione che respinge una richiesta di informazioni, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, e un ricorso dinanzi a un organo giurisdizionale, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, detto soggetto deve essere identificato quando richiede informazioni ambientali.

76.      Non mi convince il parallelo tra i requisiti per l’esercizio del diritto all’informazione ambientale e la procedura che disciplina la richiesta di riesame dinanzi a un’autorità amministrativa o la presentazione di un ricorso giurisdizionale. I requisiti stabiliti per l’esercizio di ciascuno di tali diritti devono essere esaminati separatamente. Riconoscere la possibilità di presentare una richiesta anonima ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4 non pregiudicherebbe comunque le regole che gli Stati membri possono stabilire per l’esercizio del diritto a un riesame amministrativo o a un ricorso giurisdizionale. Le regole stabilite dagli Stati membri per l’attuazione del diritto di accesso alle informazioni ambientali rientrano nel principio dell’autonomia procedurale, fatto salvo il rispetto dei principi di equivalenza ed effettività e il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice imparziale, in conformità all’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (31).

77.      Non mi convince nemmeno il parallelo tracciato dalla Commissione tra il regime in esame e quello applicabile all’accesso del pubblico ai documenti ai sensi del regolamento 1049/2001 (32). In primo luogo, l’ambito dei beneficiari del diritto di accesso ai documenti ai sensi del regolamento 1049/2001 è più restrittivo rispetto all’ambito dei beneficiari del diritto all’informazione ambientale stabilito nella direttiva 2003/4. Infatti, secondo l’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento 1049/2001, il diritto d’accesso ai documenti si applica a «[q]ualsiasi cittadino dell’Unione e qualsiasi persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro». Non esistono siffatte qualificazioni dell’ambito dei beneficiari del diritto di accesso all’informazione ambientale. In secondo luogo, l’accesso del pubblico all’informazione ambientale detenuta dalle istituzioni dell’Unione è disciplinato dal regolamento 1367/2006 (33). Tale regolamento, come osservato in dottrina (34), «estende i beneficiari del diritto di accesso» di cui all’articolo 2 del regolamento 1049/2001, riconoscendo al richiedente il diritto d’accesso all’informazione ambientale, «senza discriminazioni basate sulla cittadinanza, la nazionalità o la residenza del richiedente e, qualora si tratti di persone giuridiche, sull’ubicazione della sede legale o del centro effettivo delle loro attività» (35).

78.      In considerazione delle differenze nell’ambito dei beneficiari, è pertanto improprio imporre l’obbligo di identificare i richiedenti ai sensi della direttiva 2003/4 sulla base dei requisiti stabiliti dal regolamento 1049/2001.

79.      Per quanto riguarda gli obiettivi della direttiva 2003/4, ai sensi dell’articolo 1, lettera a), di detta direttiva essa mira a garantire il diritto di accesso all’informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per conto di esse. Tale diritto, secondo il considerando 1 della direttiva, e come già sottolineato al precedente paragrafo 45, contribuisce a una più efficace partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia e, infine, a migliorare l’ambiente. Inoltre, dal considerando 2 di tale direttiva discende che il diritto di accesso del pubblico all’informazione ambientale fa parte di un «processo di mutamento» con riferimento alla «questione dell'apertura e della trasparenza» (36). Risulta inoltre dal considerando 16 di tale direttiva che la divulgazione delle informazioni tutela l’interesse pubblico. Di conseguenza, il diritto di accesso all’informazione che autorizza alla divulgazione persegue una finalità di interesse pubblico e non dipende dall’interesse del singolo individuo che richiede la divulgazione. Per tale motivo, e come esplicitamente previsto dall’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, i richiedenti non sono tenuti a dichiarare il proprio interesse.

80.      Il fatto che i richiedenti possono sollecitare informazioni ambientali senza doversi identificare corrobora l’obiettivo di un accesso più ampio all’informazione ambientale e di trasparenza. Preservare l’anonimato può essere particolarmente importante, come hanno sostenuto in sostanza il Commissario e la Right to Know, per taluni richiedenti laddove l’inclusione del loro nome e indirizzo legale possa rivelare indirettamente il loro interesse a presentare la richiesta (37). L’assenza di un requisito di identificazione è inoltre coerente con la finalità di interesse pubblico del diritto all’informazione (38).

81.      La Coillte e alcune parti interessate hanno messo in guardia dal rischio dell’utilizzo dell’intelligenza artificiale per generare e inviare automaticamente richieste di accesso. Tale rischio, per quanto grave, non sembra essere intrinseco alle richieste anonime. Si riferisce piuttosto all’utilizzo dei mezzi della società dell’informazione per comunicare con le autorità pubbliche (in contrapposizione alle richieste presentate fisicamente). Per prevenire tale rischio, spetta allo Stato membro attuare le necessarie contromisure tecniche adeguate per garantire che le autorità trattino solo le richieste che provengono da un «richiedente» e non da un bot automatizzato (39).

82.      I governi che hanno presentato osservazioni scritte e l’Irlanda hanno anche messo in guardia dal rischio di abusi a seguito di richieste anonime o presentate sotto pseudonimo. Va ricordato che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/4, gli Stati membri possono respingere richieste di informazione ambientale «manifestamente [irragionevoli]». Tale motivo di rifiuto è sufficientemente ampio da consentire all’autorità pubblica di respingere una richiesta che risulti vessatoria o che abbia lo scopo di causare molestie o disturbo. Come discuterò di seguito in riferimento alla quinta questione, nel contesto dell’applicazione di tale eccezione, le autorità pubbliche possono chiedere l’identificazione.

83.      Pertanto, l’abuso del diritto all’informazione può portare al rifiuto di una richiesta, ma ciò non giustifica un’interpretazione restrittiva del termine «richiedente».

84.      Concludo che dal tenore letterale, dal contesto e dallo scopo dell’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2003/4 si evince che la nozione di «richiedente» non impone l’identificazione della persona fisica o giuridica che richiede l’informazione ambientale ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva.

85.      Alla luce di quanto sopra, ritengo che il termine «richiedente» di cui all’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2003/4, letto alla luce degli articoli 2 e 4 della convenzione di Aarhus, debba essere interpretato nel senso che esso non si limita a una persona fisica o giuridica identificata con il proprio nome reale e/o con un indirizzo fisico attuale, ma includa anche una persona anonima o sotto pseudonimo e/o richiedente i cui recapiti siano costituiti solo da un’email.

D.      Sulle questioni terza e quarta

86.      Con le questioni terza e quarta, che devono essere esaminate congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 1, della convenzione di Aarhus, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che imponga a un richiedente di fornire il proprio nome e/o indirizzo fisico per potere presentare una richiesta di informazioni ambientali e nel senso che esso preclude all’autorità pubblica di verificare l’identità del richiedente, anche qualora vi siano dubbi sull’autenticità delle informazioni identificative fornite dal richiedente.

87.      Sarà necessario rispondere alla suddetta questione nell’ipotesi in cui la Corte segua la mia proposta di risposta alla seconda questione.

88.      L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, che, come sottolineato in precedenza, stabilisce l’obbligo per le autorità pubbliche di «rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta da [esse] o per loro conto a chiunque ne faccia richiesta, senza che il richiedente debba dichiarare il proprio interesse», corrisponde all’articolo 4, paragrafo 1, della convenzione di Aarhus. Quest’ultima disposizione obbliga le autorità pubbliche a mettere a disposizione del pubblico le informazioni ambientali loro richieste.

89.      Come sottolineato in precedenza nella risposta alla seconda questione, l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4 non comporta per il richiedente l’obbligo intrinseco di fornire i dati di identità.

90.      La questione sollevata è se gli Stati membri possano stabilire un siffatto obbligo di identificazione nella propria normativa nazionale.

91.      Dall’articolo 288 TFUE si evince che gli Stati membri, nella trasposizione di una direttiva, dispongono di un ampio margine discrezionale quanto alla scelta delle modalità e dei mezzi destinati a garantirne l’attuazione. Tale libertà nulla toglie all’obbligo, per ciascuno degli Stati membri destinatari, di adottare tutti i provvedimenti necessari a garantire la piena efficacia della direttiva in questione, conformemente all’obiettivo che essa persegue (40).

92.      Per quanto riguarda l’attuazione del diritto di accesso all’informazione ambientale, l’articolo 3, paragrafo 5, della direttiva 2003/4 stabilisce specificamente che gli Stati membri devono definire «le modalità concrete» al fine di assicurare che tale diritto «possa essere effettivamente esercitato». Come sottolineato in precedenza (41), l’obiettivo di tali modalità concrete è quello di agevolare l’esercizio del diritto.

93.      La convenzione di Aarhus prevede all’articolo 4, paragrafo 1, che le autorità pubbliche debbano rendere disponibile l’informazione ambientale «nel quadro della legislazione nazionale». Secondo la guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, ciò significa che «la legislazione nazionale deve definire un quadro per il processo di risposta alle richieste di informazioni in conformità con la convenzione [di Aarhus]» (42). Ai fini dell’attuazione del diritto all’informazione ambientale, il diritto dell’Unione, e in particolare la direttiva 2003/4, è considerato parte del diritto nazionale degli Stati membri (43).

94.      Dall’articolo 3, paragrafo 5, della direttiva 2003/4 e dall’articolo 4, paragrafo 1, della convenzione di Aarhus, si evince che nel contesto della definizione delle modalità concrete per l’esercizio effettivo del diritto all’informazione ambientale, gli Stati membri hanno il potere discrezionale di determinare il quadro del processo di presentazione delle richieste di informazioni e di risposta alle stesse.

95.      In tale contesto, in primo luogo, l’identificazione del richiedente potrebbe essere necessaria per consentire alle autorità di rispondere alla richiesta. Le autorità pubbliche potrebbero, ad esempio, richiedere il nome e l’indirizzo postale del richiedente qualora quest’ultimo non fornisca altri dettagli di contatto.

96.      I dati identificativi del richiedente possono essere necessari anche nel caso in cui le informazioni siano fornite a fronte di una tassa (di importo ragionevole), ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2003/4 (44).

97.      In secondo luogo, i dati di identità potrebbero essere necessari quando la richiesta di informazioni rientra in una delle eccezioni previste dall’articolo 4 della direttiva 2003/4.

98.      L’articolo 4 di detta direttiva elenca specificamente le eccezioni al diritto di accesso all’informazione ambientale che gli Stati membri possono introdurre. Nei limiti in cui tali eccezioni siano state effettivamente recepite nel diritto nazionale, le autorità pubbliche possono invocarle per opporsi alle richieste di informazioni ad esse pervenute (45).

99.      Tali eccezioni riguardano, tra l’altro, le richieste manifestamente irragionevoli, le richieste di materiale in corso di completamento, le comunicazioni interne e le situazioni in cui la divulgazione di informazioni rechi pregiudizio alla riservatezza delle deliberazioni interne delle autorità pubbliche, alle relazioni internazionali, alla sicurezza pubblica o alla difesa nazionale, alla riservatezza delle informazioni commerciali o industriali o alla riservatezza dei dati personali.

100. L’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2003/4 precisa che in ogni caso specifico l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione deve essere ponderato con l’interesse tutelato dal rifiuto. Di conseguenza, il rifiuto di accesso alle informazioni ambientali per i motivi di cui all’articolo 4 deve sempre essere fondato su una ponderazione degli interessi coinvolti.

101. Dalla giurisprudenza della Corte emerge che siffatta ponderazione va effettuata sulla base di un esame effettivo e specifico di ciascuna situazione sottoposta alle autorità competenti nell’ambito di una richiesta di accesso ad un’informazione ambientale presentata in base alla direttiva 2003/4 (46).

102. Poiché l’esame di una domanda di accesso deve tener conto degli interessi specifici in gioco in ciascun caso specifico, l’autorità pubblica è altresì tenuta ad esaminare le indicazioni eventualmente fornite dal richiedente in merito ai motivi che possono giustificare la divulgazione delle informazioni richieste (47).

103. Inoltre, secondo l’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2003/4, il rifiuto di mettere a disposizione l’informazione deve essere «notificato» al richiedente per iscritto o elettronicamente, se si tratta di una richiesta scritta o se il richiedente lo desidera. La notifica deve precisare i motivi del rifiuto. In caso di notifica di un rifiuto, l’autorità pubblica non mette più a disposizione l’informazione. Essa adotta invece una decisione amministrativa per la quale possono essere richiesti i dati relativi all’identità del richiedente (48).

104. È evidente che nel contesto dell’applicazione di un’eccezione al diritto di accesso alle informazioni, l’autorità deve interagire con il richiedente in un modo diverso dalla semplice messa a disposizione delle informazioni. In siffatte circostanze, gli Stati membri potrebbero ritenere necessario richiedere l’identificazione del richiedente (49).

105. Tuttavia, quando un richiedente sollecita informazioni ambientali e fornisce i dettagli di contatto e l’autorità può rendere disponibili le informazioni senza alcuna interazione particolare con il richiedente e senza applicare un’eccezione, l’identificazione del richiedente non sembra essere un requisito necessario per l’esercizio del diritto di accesso. Non vi è alcun motivo apparente per cui, ad esempio, una persona che desideri accedere ai registri o agli elenchi di informazioni ambientali istituiti e mantenuti ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, della direttiva 2003/4 o che sia presente in loco presso una struttura per l’esame delle informazioni ambientali debba prima identificarsi. Lo stesso vale, ad esempio, per una persona che invia un’email firmata utilizzando uno pseudonimo, in cui si richiedono informazioni ambientali (50).

106. Come hanno sostenuto in sostanza il Commissario e la Right to Know, chiedere sistematicamente a chiunque solleciti informazioni ambientali di identificarsi potrebbe dissuadere alcune persone dal farlo. Come sottolineato supra  nella risposta alla prima questione, per alcuni richiedenti il nome potrebbe essere indicativo del proprio interesse e doverlo rivelare potrebbe equivalere a un obbligo di dichiarare il proprio interesse, in contrasto con la direttiva 2003/4 e la convenzione di Aarhus. Le suddette parti interessate hanno sottolineato in modo specifico il rischio di vessazioni per le persone che esercitano il proprio diritto all’informazione ambientale, un rischio che non è teorico o astratto, soprattutto quando sono in gioco interessi economici. L’approccio «alla cieca rispetto ai richiedenti», così come l’approccio «alla cieca rispetto ai motivi», possono prevenire il rischio di ritorsioni evocato all’articolo 3, paragrafo 8, della convenzione di Aarhus (51).

107. Poiché l’identificazione del richiedente non può essere imposta come requisito generale per poter esercitare il diritto di accesso all’informazione ambientale, i dubbi sull’autenticità dei dati identificativi forniti dal richiedente non sono un motivo adeguato sulla base del quale l’amministrazione possa chiedere conferma dell’identità del richiedente. Resta salva, comunque, come si vedrà a proposito della quinta questione, la situazione in cui si chieda una conferma per determinare se una richiesta sia manifestamente irragionevole, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/4.

108. Alla luce di quanto precede, ritengo che l’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 1, della convenzione di Aarhus, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che impone a un richiedente, come regola generale, di fornire il proprio nome e il suo indirizzo fisico per poter presentare una richiesta di informazione ambientale, anche quando vi siano dubbi sull’autenticità dei dati identificativi forniti dal richiedente. Quanto detto si applica fintantoché l’identificazione non sia necessaria per rispondere alla richiesta e non sia applicabile alcuna deroga ai sensi dell’articolo 4 di detta direttiva.

E.      Sulla quinta questione

109. Con la quinta questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/4, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera b), della convenzione di Aarhus, debba essere interpretato nel senso che a un’autorità pubblica è preclusa la possibilità di chiedere conferma del nome reale e/o dell’indirizzo fisico attuale del richiedente, al fine di stabilire se una determinata richiesta sia manifestamente irragionevole in relazione al volume, alla natura e alla frequenza delle altre richieste presentate dallo stesso richiedente.

110. Secondo una giurisprudenza costante, il diritto di accesso alle informazioni ambientali previsto dalla direttiva 2003/4 significa che la divulgazione di tali informazioni dovrebbe essere la regola generale e che le autorità pubbliche dovrebbero essere autorizzate ad opporre un rifiuto a una richiesta di informazione ambientale solo in casi specifici chiaramente definiti. Le eccezioni al diritto di accesso dovrebbero essere dunque interpretate restrittivamente in modo da ponderare l’interesse pubblico tutelato dalla divulgazione con l’interesse tutelato dal rifiuto di divulgare (52).

111. Come ho già sottolineato , (53) l’articolo 4 di tale direttiva elenca specificamente le eccezioni al diritto di accesso all’informazione ambientale che gli Stati membri possono introdurre. Nei limiti in cui tali eccezioni siano state effettivamente recepite nel diritto nazionale, le autorità pubbliche possono invocarle per opporsi alle richieste di informazioni ad esse pervenute (54).

112. Pertanto, gli Stati membri possono, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/4, prevedere che una richiesta di informazioni ambientali sia respinta, se la richiesta è «manifestamente [irragionevole]».

113. Il giudice del rinvio chiede espressamente se, nel contesto dell’applicazione di tale eccezione, le autorità pubbliche possano chiedere conferma dell’identità del richiedente e se, nel determinare la ragionevolezza della richiesta, possano prendere in considerazione il volume, la natura e la frequenza di altre richieste presentate dallo stesso richiedente.

114. Occorre anzitutto rilevare che talune versioni linguistiche della citata disposizione utilizzano il termine «irragionevole» (55) per descrivere una domanda, mentre altre versioni linguistiche utilizzano il termine «abusivo» (56). Tuttavia, nessuna delle versioni linguistiche indica criteri specifici per valutare la manifesta irragionevolezza o la natura abusiva della richiesta.

115. L’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2003/4 stabilisce che, se uno Stato membro prevede eccezioni in materia, può redigere un elenco di criteri, accessibile al pubblico, sulla base del quale l’autorità interessata possa decidere in merito all’ulteriore espletamento della richiesta (57).

116. Gli Stati membri dispongono pertanto del potere discrezionale di stabilire i fattori per l’applicazione di tale motivo di rifiuto.

117. Tuttavia, dal momento che costituisce un’eccezione alla regola generale dell’obbligo di fornire informazioni, il rifiuto sulla base di una richiesta manifestamente irragionevole deve rimanere eccezionale.

118. A tal fine, il criterio per qualificare una richiesta come manifestamente irragionevole deve essere di grado elevato.

119. In particolare, per quanto riguarda il volume delle informazioni richieste, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2003/4, tale fattore (così come la complessità delle informazioni richieste) giustifica una proroga del termine di un mese entro il quale l’amministrazione deve rispondere. Dal combinato disposto dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2003/4 e dell’articolo 4, paragrafo 2, lettera b), della stessa direttiva, risulta che il volume delle informazioni richieste non rende di per sé la richiesta manifestamente irragionevole (58).

120. Per quanto riguarda la frequenza delle richieste, occorre ricordare che il diritto di accesso all’informazione ambientale ha l’obiettivo generale di contribuire a una maggior sensibilizzazione riguardo alle questioni ambientali. Il richiedente ha il diritto di chiedere informazioni ambientali a diverse autorità o alla stessa autorità, senza limiti al numero di richieste. La definizione di una soglia numerica assoluta, al di sopra della quale una domanda possa essere qualificata come manifestamente irragionevole, sarebbe suscettibile di pregiudicare il diritto all’informazione ambientale (59).

121. Ciò detto, conformemente alla giurisprudenza costante, vi è nella giurisprudenza dell’Unione europea un principio giuridico secondo il quale non ci si può avvalere fraudolentemente o abusivamente delle norme del diritto dell’Unione (60). Il rispetto di tale principio generale è obbligatorio per i singoli (61), compresi i richiedenti che esercitano il loro diritto all’informazione ambientale.

122. L’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/4 riflette la giurisprudenza della Corte e conferma, come sostiene l’Irlanda, l’importanza di evitare l’abuso dei diritti conferiti dalla direttiva.

123. Al fine di stabilire che una richiesta è manifestamente irragionevole, l’autorità di cui trattasi deve tenere conto di tutte le circostanze rilevanti di ciascun caso, compresa la natura della richiesta e la fonte della stessa. Ciò è particolarmente vero, come ha sottolineato il governo ceco, quando le circostanze del caso mostrano che la richiesta è vessatoria o futile, quando può causare molestie o disagio o quando rivela l’intento del richiedente di paralizzare il funzionamento dell’autorità pubblica saturandola di richieste (62).

124. In tale contesto, la conferma del nome e dell’indirizzo del richiedente potrebbe rendersi necessaria affinché le autorità possano notificare al richiedente i motivi del rifiuto di mettere a disposizione integralmente o in parte le informazioni richieste, come previsto dall’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2003/4.

125. Ne consegue che stabilire se una richiesta sia manifestamente irragionevole non dipende dal numero, dalla natura o dalla frequenza delle richieste prese isolatamente, ma dall’insieme delle circostanze di ciascun caso. Tali circostanze possono includere l’uso di uno pseudonimo manifestamente futile o vessatorio.

126. Alla luce di quanto sopra, ritengo che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/4, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera b), della convenzione di Aarhus, debba essere interpretato nel senso che a un’autorità pubblica non è preclusa la possibilità di chiedere conferma del nome reale del richiedente e/o dell’indirizzo fisico attuale, al fine di stabilire se una determinata richiesta sia manifestamente irragionevole in riferimento al volume, alla natura e alla frequenza di altre richieste presentate dallo stesso richiedente, nella misura in cui tali criteri non siano presi in considerazione in modo isolato, ma nel contesto di una valutazione complessiva delle circostanze di ciascun caso. Ciò vale in particolare quando le circostanze specifiche del caso dimostrano che la richiesta è vessatoria o futile, quando può causare molestie o disagio o quando rivela l’intento da parte del richiedente o dei richiedenti di paralizzare il funzionamento dell’autorità pubblica.

V.      Conclusione

127. Alla luce di quanto precede, propongo alla Corte di giustizia di rispondere come segue alle questioni sollevate dalla High Court (Alta Corte, Irlanda):

«1)      Il termine “richiesta” di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2003/4 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 1, della Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 ed approvata a nome della Comunità europea con decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (Convenzione di Aarhus),

deve essere interpretato come una richiesta presentata ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva. La questione se una richiesta rientri nell’ambito di applicazione di quest’ultima disposizione deve essere suscettibile di riesame amministrativo e giudiziario, ai sensi dell’articolo 6 della direttiva 2003/4, da parte di un organo indipendente e imparziale istituito dalla legge o di un organo giurisdizionale.

2)      Il termine «richiedente» di cui all’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2003/4, letto alla luce, tra l’altro, degli articoli 2 e 4 della convenzione di Aarhus, deve essere interpretato nel senso che esso non si limita a una persona fisica o giuridica identificata con il proprio nome reale e/o con un indirizzo fisico attuale, ma include anche una persona anonima o sotto pseudonimo e/o richiedente i cui recapiti siano costituiti solo da un’email.

3)      L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2003/4, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 1, della convenzione di Aarhus,

deve essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale che imponga ai richiedenti, come regola generale, di fornire il proprio nome e indirizzo fisico per poter presentare una richiesta di informazione ambientale, anche quando vi siano dubbi sull’autenticità dei dati identificativi forniti dal richiedente. Quanto detto si applica fintantoché l’identificazione non sia necessaria per rispondere alla richiesta e non sia applicabile alcuna deroga ai sensi dell’articolo 4 di detta direttiva.

4)      L’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/4, letto alla luce dell’articolo 4, paragrafo 3, lettera b), della convenzione di Aarhus, deve essere interpretato nel senso che a un’autorità pubblica non è preclusa la possibilità di chiedere conferma del nome reale del richiedente e/o dell’indirizzo fisico attuale, al fine di stabilire se una determinata richiesta sia manifestamente irragionevole in riferimento al volume, alla natura e alla frequenza delle altre richieste presentate dallo stesso richiedente, nella misura in cui tali criteri non siano presi in considerazione in modo isolato, ma nel contesto di una valutazione complessiva delle circostanze di ciascun caso. Ciò vale in particolare quando le circostanze specifiche del caso dimostrano che la richiesta è vessatoria o futile, quando può causare molestie o disagio o quando rivela l’intento da parte del richiedente o dei richiedenti di paralizzare il funzionamento dell’autorità pubblica».


1      Lingua originale: l’inglese.


2      Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 ed approvata a nome della Comunità europea con decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU 2005, L 124, pag. 1, in prosieguo: la «convenzione di Aarhus»).


3      V. J. Ebbesson et al., The Aarhus Convention: An Implementation Guide, 2ª ed., Nazioni Unite, Ginevra, 2014, pag. 19 (in prosieguo: la «guida all’applicazione della convenzione di Aarhus»).


4      Convenzione di Aarhus, preambolo, settimo e ottavo comma.


5      Barritt, E., The Foundations of the Aarhus Convention, Londra, Hart Publishing, 2020, pag. 5.


6      Guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, pag. 15.


7      Whittaker, S., Reid, C.T. e Mendel, J., Freedom of Environmental Information: Aspirations and Practice, Cambridge, Intersentia, Cambridge, 2023, pag. 38.


8      L’accesso alle informazioni ambientali e la fornitura di tali informazioni possono essere ulteriormente giustificati da motivi quali la necessità di promuovere lo sviluppo sostenibile e di migliorare l’applicazione della legge ambientale. V. Bell, S. et al., Environmental Law, 9ª ed., Oxford University Press, Oxford, 2024, pag. 248.


9      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 gennaio 2003, sull’accesso del pubblico all’informazione ambientale e che abroga la direttiva 90/313/CEE del Consiglio (GU 2003, L 41, pag. 26).


10      Sentenza del 15 aprile 2021, Friends of the Irish Environment (C‑470/19, EU:C:2021:271, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).


11      Sentenza del 19 dicembre 2013, Fish Legal e Shirley (C‑279/12, EU:C:2013:853, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).


12      Sentenza del 19 dicembre 2013, Fish Legal e Shirley (C‑279/12, EU:C:2013:853, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).


13      V., in tal senso, sentenza dell’8 novembre 2022, Deutsche Umwelthilfe (Omologazione dei veicoli a motore) (C‑873/19, EU:C:2022:857, punto 55 e giurisprudenza ivi citata).


14      Sentenza del 15 aprile 2021, Friends of the Irish Environment (C‑470/19, EU:C:2021:271, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).


15      Guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, pag. 79 (il corsivo è mio).


16      Guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, pag. 79.


17      V. guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, pag. 62.


18      V., in tal senso, sentenza del 15 aprile 2021, Friends of the Irish Environment (C‑470/19, EU:C:2021:271, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).


19      Sentenza del 16 gennaio 2025, Banco de Santander (Rappresentanza dei singoli consumatori) (C‑346/23, EU:C:2025:13, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


20      Guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, pag. 55 (il corsivo è mio).


21      Whittaker, S. et al., op. cit., nota 7, pag. 49.  


22      Ibidem.


23      Direttiva del Consiglio 7 giugno 199, concernente la libertà di accesso all'informazione in materia di ambiente (GU 1990, L 58, pag. 56).


24      V. Krämer, L., «La Directive 90/313/CEE sur l’accès à l’information en matière d’environement : genèse et perspectives d’application» in Pallemaerts, M., (a cura di), Het recht op informatie inzake leefmilieu = Le droit à l’information en matière d’environnement = The right to environmental information, E. Story-Scientia, Bruxelles, 1991, pag. da 17 a 39, a pag. 32 (il corsivo è mio); Klein, D.R., «Kapitel 3 Reaktive Umweltinformationspflichten», in Umweltinformation im Völker- und Europarecht: Aktive Umweltaufklärung des Staates und Informationszugangsrechte des Bürgers, Mohr Siebeck, Tübingen, 2011, pag. 320, con ulteriori riferimenti dottrinali.


25      Krämer, L. and Badger, C., Krämer’s EU Environmental Law, 9a ed., Oxford, Hart Publishing, oxford, 2024, pag. 139 (il corsivo è mio). V., in generale, Boer, B. (ed.), Environmental Law Dimensions of Human Rights, Oxford University Press, Oxford, 2015.


26      V., per analogia, sentenza dell’8 novembre 2022, Deutsche Umwelthilfe (Omologazione dei veicoli a motore) (C‑873/19, EU:C:2022:857, punto 67).


27      V. paragrafo 28, supra. Ciò riflette, in materia di diritto ambientale, la giurisprudenza consolidata secondo cui le norme di diritto dell’Unione devono essere interpretate per quanto possibile alla luce del diritto internazionale, in particolare quando tali norme mirano ad eseguire un accordo internazionale concluso dall’Unione. V. sentenza del 6 luglio 2023, BEI e Commissione/ClientEarth (C‑212/21 P e C‑223/21 P, EU:C:2023:546, punto 66). V. Krämer, L., «The Aarhus Convention and the European Union» in Banner, C., (a cura di), The Aarhus Convention, A Guide for UK Lawyers, Londra, Hart Publishing, 2015, Bloomsbury, pag. 79.


28      V. supra, paragrafo 62.


29      V. guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, pag. 55. V., altresì, conclusioni da me presentate nella causa Societatea Civilă Profesională de Avocați AB & CD (C‑252/22, EU:C:2023:592, paragrafi 37 e 38).


30      V. Klein, D.R., op.cit. supra, nota 23, pag. 321.


31      V., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2015, East Sussex County Council (C‑71/14, EU:C:2015:656, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).


32      Regolamento (CE) n. 1049/2001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2001, relativo all’accesso del pubblico ai documenti del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione (GU 2001, L 145, pag. 43).


33      Regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 settembre 2006, sull’applicazione alle istituzioni e agli organi comunitari delle disposizioni della convenzione di Aarhus sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale (GU 2006, L 264, pag. 13).


34      Etemire, U., «Access to Environmental Information under EU Law» in Peeters, M. and Eliantonio, M. (a cura di), Research Handbook on EU Environmental Law, Edgard Elgar Publishing, Cheltenham, 2020, pagg. da 117 a 132, a pag. 120.


35      Articolo 3 del regolamento 1367/2006.


36      Per un approccio alla trasparenza basato sui diritti nell’ambito del diritto ambientale v., tra gli altri, Hunter, B. D., ‘The emerging norm of transparency in international environmental governance’ in Ala’i, P., e Vaughn, G. R., (eds) Research Handbook on Transparency, Edward Elgar, Cheltenham, United Kingdom, 2014.


37      Il Commissario riporta l’esempio di un individuo che abbia precedentemente presentato un ricorso a un’autorità pubblica in relazione all’impatto ambientale di un progetto, o quello di un individuo che chieda informazioni su una misura o un’attività con impatto ambientale nel lugo in cui abita, oppure quando le informazioni siano richieste da un’organizzazione con particolari obiettivi ambientali.


38      V.Whittaker, S. e a., nota 7, op.cit., che sottolinea come « non importa chi presenta una richiesta (o più richieste) di informazione ambientale, poiché chiunque lo faccia lo starà facendo allo scopo di proteggere e rafforzare l’ambiente per le generazioni presenti e future».


39      Un esempio potrebbe essere quello di richieste elettroniche effettuate utilizzando un modulo in cui è necessario, ai fini della presentazione dello stesso, verificare che il richiedente non sia un robot.


40      V., in tal senso, sentenza del 12 novembre 2020, Commissione/Austria (Autorità per la sicurezza delle ferrovie) (C‑796/19, EU:C:2020:920, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).


41      V. paragrafo 41 delle presenti conclusioni.


42      Guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, pag. 79.


43      V. Comitato di controllo della convenzione di Aarhus, Comunicazione ACCC/C/2006/18 Danimarca.


44      Sul significato di tasse/diritti «di importo ragionevole», v. sentenza del 9 settembre 1999, Commissione/Germania (C‑217/97, EU:C:1999:395, punto 48).


45      Sentenza del 23 novembre 2023, Right to Know (C‑84/22, EU:C:2023:910, punto 35).


46      V., in tal senso, sentenza del 20 gennaio 2021, Land BadenWürttemberg (Comunicazioni interne) (C‑619/19, EU:C:2021:35, punto 59).


47      V. sentenza del 20 gennaio 2021, Land BadenWürttemberg (Comunicazioni interne) (C‑619/19, EU:C:2021:35, punto 63).


48      V. Karg, M., «Informationszugang auf Antrag - §4 Antrag und Verfahren - B. Antragserfordernis (Abs.UIG § 4 Absatz 1)», in Gersdorf, H. e Paal, B.P. (a cura di), BeckOK, Informations - und Medienrecht, C.H. Beck, Munich, 45ª ed., 2021, punto 5.


49      Per esempio, secondo la normativa svedese che recepisce la direttiva 2003/4 (Lag 2005:181 om miljöinformation hos vissa enskilda organ, Legge 2005:181 sull’informazione ambientale di determinati enti individuali), chiunque può richiedere l’accesso all’informazione ambientale. Dall’articolo 3 di tale legge si evince che chi richiede informazioni non è tenuto a dichiarare il proprio nome o esporre i motivi della richiesta. Tuttavia, l’identificazione può essere necessaria affinché l’amministrazione possa esaminare se vi siano ostacoli alla divulgazione delle informazioni. Gli ostacoli sono essenzialmente gli stessi previsti dall’articolo 4 della direttiva 2003/4. In Finlandia, la normativa nazionale sull’accesso all’informazione ambientale è la Laki vesihuoltolain 16 §:n muuttamisesta 28.01.2005/54 (Legge 2005/54 che modifica l’articolo 16 della legge sulla fornitura di acqua). Comunque la normativa nazionale era già effettivamente conforme ai requisiti della direttiva 2003/4 in considerazione delle pertinenti disposizioni della Laki viranomaisten toiminnan julkisuudesta 21.5.1999/621 (Legge 1999/621 sull’accesso all’informazione). Ai sensi dell’articolo 13 di quest’ultima legge, chi richiede l’accesso non è tenuto a identificarsi o a motivare la richiesta, a meno che ciò sia necessario per l’esercizio del potere discrezionale dell’autorità o per determinare se chi richiede l’accesso ha il diritto di accedere al documento. La legge greca di trasposizione della direttiva 2003/4 (Ypourgiki apofasi HP 11764/653, Prosvasi toy koinou stis dimosies arches gia parochi pliroforion sxetika me to perivallon, Decisione ministeriale HP 11764/653 sull’accesso pubblico all’informazione ambientale, FEK B’327/17.03.2006, come codificata dal Proedriko Diatagma 28/2015, Kodikopoiisi diataxeon gia tin prosvasi se dimosia eggrafa kai stoixeia (Decreto presidenziale 28/25, codificazione delle disposizioni sull’accesso ai documenti e elementi pubblici (FEK A’34/23.03.2015) non specifica se la richiesta possa essere anonima. Va tuttavia notato che dal 1º gennaio 2025 il Kodikas Dioikitikis Diadikasias, (codice greco di procedura amministrativa, Legge 2690/1999, FEK A’ 45/9.3.1999), che si applica a tutte le autorità pubbliche salvo disposizioni contrarie, consente esplicitamente la presentazione di richieste in forma anonima. Tuttavia, l’autorità non ha l’obbligo di rispondere in caso di rifiuto di una richiesta in forma anonima o di una richiesta manifestamente vaga o ripetitiva.


50      Ciò detto, se lo pseudonimo utilizzato rivela un intento abusivo da parte del richiedente, la richiesta potrebbe rientrare nell’eccezione di cui all’articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/4.


51      V. guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, pag. 72, che afferma «come in molte situazioni che implicano apertura e trasparenza e in cui sono in gioco interessi economici, le persone che si assumono il rischio di chiedere il rispetto delle regole e il rispetto di procedure corrette possono necessitare di protezione dalle ritorsioni».


52      Sentenza del 23 novembre 2023, Right to Know (C‑84/22, EU:C:2023:910, punto 34).


53      Paragrafo 98 delle presenti conclusioni.


54      Sentenza del 23 novembre 2023, Right to Know (C‑84/22, EU:C:2023:910, punto 35).


55      Tale è il caso, a titolo di esempio, delle versioni bulgara («неоснователно»), ceca («nepřiměřená»), lettone («nepamatots»), spagnola («irrazonable»), neerlandese («onredeleijk») e greca («παράλογη»).


56      Tale è il caso, a titolo di esempio, delle versioni francese («abusive»), tedesca («missbräuchlich») e portoghese («abusivo»).


57      La guida all’applicazione della convenzione di Aarhus, pag. 84, afferma che, quando una Parte (alla convenzione di Aarhus) decide di prevedere questa eccezione, «dovrà definire l’espressione “manifestamente irragionevole” in modo da coadiuvare le autorità pubbliche nel determinare quando una richiesta è così irragionevole da poter essere respinta in base a tale eccezione e da tutelare l’interesse pubblico a che il criterio non sia applicato arbitrariamente».


58      La guida all’applicazione della convenzione di Aarhus conferma tale approccio, sottolineando, a pagina 84, che «sebbene la convenzione non fornisca indicazioni dirette su come definire la nozione di “manifestamente irragionevole”, è chiaro che essa deve riguardare più del semplice volume e della complessità delle informazioni richieste».


59      V., per analogia, sentenza del 9 gennaio 2025, Österreichische Datenschutzbehörde (Richieste eccessive) (C‑416/23, EU:C:2025:3, punto 47).


60      Sentenza del 19 settembre 2024, Matmut (C‑236/23, EU:C:2024:761, punto 51).


61      Ibidem, punto 52.


62      V., per analogia, sentenza del 9 gennaio 2025, Österreichische Datenschutzbehörde (Richieste eccessive) (C‑416/23, EU:C:2025:3, punto 57).