Edizione provvisoria

SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

13 giugno 2024 (*)

«Inadempimento di uno Stato – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Direttive 2008/115/CE, 2013/32/UE e 2013/33/UE – Procedura di riconoscimento di una protezione internazionale – Accesso effettivo – Procedura di frontiera – Garanzie procedurali – Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Ricorsi proposti contro le decisioni amministrative che respingono una domanda di protezione internazionale – Diritto di rimanere nel territorio – Sentenza della Corte che accerta un inadempimento – Mancata esecuzione – Articolo 260, paragrafo 2, TFUE – Sanzioni pecuniarie – Carattere proporzionato e dissuasivo – Somma forfettaria – Penalità»

Nella causa C‑123/22,

avente ad oggetto il ricorso per inadempimento, ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, proposto il 21 febbraio 2022,

Commissione europea, rappresentata inizialmente da A. Azéma, L. Grønfeldt, A. Tokár e J. Tomkin, successivamente da A. Azéma, A. Tokár e J. Tomkin, in qualità di agenti,

ricorrente,

contro

Ungheria, rappresentata da M.Z. Fehér, in qualità di agente,

convenuta,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da C. Lycourgos (relatore), presidente di sezione, O. Spineanu-Matei, J.-C. Bonichot, S. Rodin e L.S. Rossi, giudici,

avvocato generale: P. Pikamäe

cancelliere: R. Şereş, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 novembre 2023,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1        Con il suo ricorso, la Commissione europea chiede che la Corte voglia:

–        dichiarare che l’Ungheria, non avendo adottato tutte le misure che l’esecuzione della sentenza del 17 dicembre 2020, Commissione/Ungheria (Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) (C‑808/18; in prosieguo: la «sentenza Commissione/Ungheria del 2020», EU:C:2020:1029) comporta, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tale sentenza e dell’articolo 260, paragrafo 1, TFUE;

–        condannare l’Ungheria a versarle una somma forfettaria giornaliera di EUR 5 468,45, per un importo totale di almeno EUR 1 044 000, per il periodo compreso tra la data di pronuncia della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 e la data di esecuzione di tale sentenza da parte della convenuta, o la data di pronuncia della presente sentenza, se anteriore;

–        condannare l’Ungheria a versarle una penalità giornaliera di EUR 16 393,16 per il periodo compreso tra la data di pronuncia della presente sentenza e la data di esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, e

–        condannare l’Ungheria alle spese.

 Contesto normativo

 Diritto dellUnione

 Direttiva 2008/115/CE

2        L’articolo 5 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98), così dispone:

«Nell’applicazione della presente direttiva, gli Stati membri tengono nella debita considerazione:

a)      l’interesse superiore del bambino;

b)      la vita familiare;

c)      le condizioni di salute del cittadino di un paese terzo interessato;

e rispettano il principio di non-refoulement».

3        L’articolo 6, paragrafo 1, di tale direttiva prevede quanto segue:

«Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5».

4        Ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva in parola:

«Le decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d’ingresso e le decisioni di allontanamento sono adottate in forma scritta, sono motivate in fatto e in diritto e contengono informazioni sui mezzi di ricorso disponibili.

Le informazioni sui motivi in fatto possono essere ridotte laddove la legislazione nazionale consenta che il diritto di informazione sia limitato, in particolare per salvaguardare la sicurezza nazionale, la difesa, la pubblica sicurezza e per la prevenzione, le indagini, l’accertamento e il perseguimento di reati».

5        Ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, della medesima direttiva:

«Al cittadino di un paese terzo interessato sono concessi mezzi di ricorso effettivo avverso le decisioni connesse al rimpatrio di cui all’articolo 12, paragrafo 1, o per chiederne la revisione dinanzi ad un’autorità giudiziaria o amministrativa competente o a un organo competente composto da membri imparziali che offrono garanzie di indipendenza».

 Direttiva 2013/32/UE

6        L’articolo 6 della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60), così dispone:

«1.      Quando chiunque presenti una domanda di protezione internazionale a un’autorità competente a norma del diritto nazionale a registrare tali domande, la registrazione è effettuata entro tre giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda.

Se la domanda di protezione internazionale è presentata ad altre autorità preposte a ricevere tali domande ma non competenti per la registrazione a norma del diritto nazionale, gli Stati membri provvedono affinché la registrazione sia effettuata entro sei giorni lavorativi dopo la presentazione della domanda.

Gli Stati membri garantiscono che tali altre autorità preposte a ricevere le domande di protezione internazionale quali la polizia, le guardie di frontiera, le autorità competenti per l’immigrazione e il personale dei centri di trattenimento abbiano le pertinenti informazioni e che il loro personale riceva il livello necessario di formazione adeguato ai loro compiti e alle loro responsabilità e le istruzioni per informare i richiedenti dove e in che modo possono essere inoltrate le domande di protezione internazionale.

2.      Gli Stati membri provvedono affinché chiunque abbia presentato una domanda di protezione internazionale abbia un’effettiva possibilità di inoltrarla quanto prima. Qualora il richiedente non presenti la propria domanda, gli Stati membri possono applicare di conseguenza l’articolo 28.

3.      Fatto salvo il paragrafo 2, gli Stati membri possono esigere che le domande di protezione internazionale siano introdotte personalmente e/o in un luogo designato.

4.      In deroga al paragrafo 3, una domanda di protezione internazionale si considera presentata quando un formulario sottoposto dal richiedente o, qualora sia previsto nel diritto nazionale, una relazione ufficiale è pervenuta alle autorità competenti dello Stato membro interessato.

5.      Qualora le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano molto difficile all’atto pratico rispettare il termine di cui al paragrafo 1, gli Stati membri possono stabilire che tale termine sia portato a dieci giorni lavorativi».

7        Ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 3, di tale direttiva:

«Gli Stati membri provvedono affinché, qualora i richiedenti siano stati identificati come richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari, essi siano forniti di sostegno adeguato per consentire loro di godere dei diritti e di adempiere gli obblighi della presente direttiva per tutta la durata della procedura d’asilo.

Qualora tale sostegno adeguato non possa essere fornito nell’ambito delle procedure di cui all’articolo 31, paragrafo 8, e all’articolo 43, in particolare qualora gli Stati membri ritengano che il richiedente che necessita di garanzie procedurali particolari abbia subito torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale, essi non applicano o cessano di applicare l’articolo 31, paragrafo 8, e l’articolo 43. Qualora gli Stati membri applichino l’articolo 46, paragrafo 6, ai richiedenti ai quali non possono essere applicati l’articolo 31, paragrafo 8, e l’articolo 43 a norma del presente comma, gli Stati membri forniscono almeno le garanzie previste dall’articolo 46, paragrafo 7».

8        L’articolo 43 della direttiva in parola, intitolato «Procedure di frontiera», è così formulato:

«1.      Gli Stati membri possono prevedere procedure, conformemente ai principi fondamentali e alle garanzie di cui al capo II, per decidere alla frontiera o nelle zone di transito dello Stato membro:

a)      sull’ammissibilità di una domanda, ai sensi dell’articolo 33, ivi presentata; e/o

b)      sul merito di una domanda nell’ambito di una procedura a norma dell’articolo 31, paragrafo 8.

2.      Gli Stati membri provvedono affinché la decisione nell’ambito delle procedure di cui al paragrafo 1 sia presa entro un termine ragionevole. Se la decisione non è stata presa entro un termine di quattro settimane, il richiedente è ammesso nel territorio dello Stato membro, affinché la sua domanda sia esaminata conformemente alle altre disposizioni della presente direttiva.

3.      Nel caso in cui gli arrivi in cui è coinvolto un gran numero di cittadini di paesi terzi o di apolidi che presentano domande di protezione internazionale alla frontiera o in una zona di transito, rendano all’atto pratico impossibile applicare ivi le disposizioni di cui al paragrafo 1, dette procedure si possono applicare anche nei luoghi e per il periodo in cui i cittadini di paesi terzi o gli apolidi in questione sono normalmente accolti nelle immediate vicinanze della frontiera o della zona di transito».

9        L’articolo 46, paragrafi 5 e 6, della medesima direttiva prevede quanto segue:

«5.      Fatto salvo il paragrafo 6, gli Stati membri autorizzano i richiedenti a rimanere nel loro territorio fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso.

6.      Qualora sia stata adottata una decisione:

a)      di ritenere una domanda manifestamente infondata conformemente all’articolo 32, paragrafo 2, o infondata dopo l’esame conformemente all’articolo 31, paragrafo 8, a eccezione dei casi in cui tali decisioni si basano sulle circostanze di cui all’articolo 31, paragrafo 8, lettera h);

b)      di ritenere inammissibile una domanda a norma dell’articolo 33, paragrafo 2, lettere a), b) o d);

c)      di respingere la riapertura del caso del richiedente, sospeso ai sensi dell’articolo 28; o

d)      di non esaminare o di non esaminare esaurientemente la domanda ai sensi dell’articolo 39,

un giudice è competente a decidere, su istanza del richiedente o d’ufficio, se autorizzare o meno la permanenza del richiedente nel territorio dello Stato membro, se tale decisione mira a far cessare il diritto del richiedente di rimanere nello Stato membro e, ove il diritto nazionale non preveda in simili casi il diritto di rimanere nello Stato membro in attesa dell’esito del ricorso».

 Diritto ungherese

 Legge sul diritto di asilo

10      L’articolo 5, paragrafo 1, della menedékjogról szóló 2007. évi LXXX. törvény (legge n. LXXX del 2007 sul diritto di asilo), del 29 giugno 2007 (Magyar Közlöny 2007/83.; in prosieguo: la «legge sul diritto di asilo») così dispone:

«Il richiedente asilo è legittimato:

a)      in conformità alle condizioni previste dalla presente legge, a soggiornare nel territorio ungherese e, in conformità alla normativa specifica, a ottenere un permesso di soggiorno nel territorio ungherese;

(...)».

11      L’articolo 80/H della legge sul diritto di asilo è così formulato:

«In caso di situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, le disposizioni dei capi da I a IV e da V/A a VIII devono essere applicate fatte salve le deroghe previste dagli articoli da 80/I a 80/K».

12      L’articolo 80/J, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo prevede quanto segue:

«1.      La domanda di asilo deve essere introdotta personalmente dinanzi l’autorità competente ed esclusivamente nella zona di transito, a meno che il richiedente asilo:

a)      sia oggetto di una misura coercitiva, di una misura o di una condanna che limita la libertà personale;

b)      sia oggetto di un provvedimento di trattenimento disposto dall’autorità competente in materia di asilo;

c)      soggiorni legalmente nel territorio ungherese e non chieda di essere alloggiato in un centro di accoglienza».

 Legge sulle frontiere dello Stato

13      L’articolo 5 dell’az államhatárról szóló 2007. évi LXXXIX. törvény (legge n. LXXXIX del 2007 sulle frontiere dello Stato), del 4 luglio 2007 (Magyar Közlöny 2007/88.; in prosieguo: la «legge sulle frontiere dello Stato») così dispone:

«1.      Conformemente alla presente legge, è possibile utilizzare, nel territorio ungherese, una striscia di 60 metri a partire dal tracciato della frontiera esterna quale definita all’articolo 2, paragrafo 2 del [regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2006, L 105, pag. 1)], o dai segni di demarcazione della frontiera, al fine di costruire, impiantare e gestire strutture per la protezione dell’ordine alla frontiera (...), e di svolgere i compiti riguardanti la difesa e la sicurezza nazionali, la gestione delle catastrofi, la sorveglianza delle frontiere, l’asilo e la polizia degli stranieri.

(...)

1 ter.      In una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, la polizia può, nel territorio ungherese, fermare i cittadini stranieri il cui soggiorno nel territorio ungherese è irregolare e scortarli al di là dell’ingresso della struttura più vicina di cui al paragrafo 1, salvo in caso di sospetto di reato.

(...)».

 Sentenza Commissione/Ungheria del 2020

14      Nella sentenza Commissione/Ungheria del 2020, la Corte ha dichiarato che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 5, dell’articolo 6, paragrafo 1, dell’articolo 12, paragrafo 1, e dell’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, dell’articolo 6, dell’articolo 24, paragrafo 3, dell’articolo 43 e dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 nonché degli articoli 8, 9 e 11 della direttiva n. 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96):

–        prevedendo che le domande di protezione internazionale provenienti da cittadini di paesi terzi o da apolidi che, arrivando dalla Serbia, desiderano accedere, nel suo territorio, alla procedura di protezione internazionale possano essere presentate solo nelle zone di transito di Röszke (Ungheria) e Tompa (Ungheria), e adottando nel contempo una prassi amministrativa costante e generalizzata che limita drasticamente il numero di richiedenti autorizzati a entrare quotidianamente in tali zone di transito;

–        istituendo un sistema di trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e Tompa, senza rispettare le garanzie previste all’articolo 24, paragrafo 3, e all’articolo 43 della direttiva 2013/32 nonché agli articoli 8, 9 e 11 della direttiva 2013/33;

–        consentendo l’allontanamento di tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare, ad eccezione di quelli che sono sospettati di aver commesso un reato, senza rispettare le procedure e le garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, e

–        subordinando a condizioni contrarie al diritto dell’Unione l’esercizio, da parte dei richiedenti protezione internazionale che rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, del loro diritto di rimanere nel suo territorio.

 Procedimento precontenzioso e procedimento dinanzi alla Corte

15      Con lettera del 26 gennaio 2021, la direttrice generale della Direzione generale della Migrazione e degli affari interni della Commissione ha invitato il governo ungherese a informarla delle misure adottate per conformarsi pienamente alla sentenza Commissione/Ungheria del 2020.

16      Il 26 febbraio 2021 il governo ungherese ha risposto a tale lettera indicando che le zone di transito di Röszke e di Tompa erano state chiuse a seguito della pronuncia della sentenza del 14 maggio 2020, Országos Idegenrendészeti Főigazgatóság Dél-alföldi Regionális Igazgatóság (C‑924/19 PPU e C‑925/19 PPU, EU:C:2020:367). L’Ungheria si sarebbe quindi conformata alla sentenza Commissione/Ungheria del 2020 per quanto riguarda il trattenimento dei richiedenti asilo.

17      Per quanto concerne l’accesso alla procedura di protezione internazionale e l’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, il governo ungherese ha ritenuto di trovarsi di fronte, al momento dell’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, a un «dilemma costituzionale» nell’attuazione degli obblighi incombenti all’Ungheria in forza del diritto dell’Unione. Di conseguenza, il 25 febbraio 2021, tale governo ha chiesto all’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale, Ungheria) di stabilire se la Magyarország Alaptörvénye (Legge fondamentale dell’Ungheria) potesse essere interpretata nel senso che l’Ungheria può attuare un obbligo derivante dal diritto dell’Unione che, in assenza di effetto utile della normativa dell’Unione, può portare un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio dell’Ungheria è irregolare a soggiornarvi a tempo indeterminato e, di conseguenza, a far parte, di fatto, della sua popolazione.

18      Il 9 giugno 2021 la Commissione ha inviato all’Ungheria una lettera di diffida (in prosieguo: la «lettera di diffida»), ritenendo che tale Stato membro non avesse adottato le misure che l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 comporta e intimandole di presentare le sue osservazioni ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE entro un termine di due mesi. La lettera di diffida faceva riferimento alle quattro infrazioni individuate in tale sentenza.

19      Il 9 agosto 2021 il governo ungherese ha risposto alla lettera di diffida, dichiarando di non essere in grado di pronunciarsi sull’esecutività della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 fino alla conclusione del procedimento dinanzi all’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale) menzionato al punto 17 della presente sentenza. Tale governo ha chiesto alla Commissione di subordinare la prosecuzione del procedimento di esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 all’esito di tale procedimento dinanzi all’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale), al fine di «garantire il rispetto del dialogo costituzionale». Detto governo ha altresì dichiarato che, contrariamente a quanto sostiene la Commissione, sottolineando il «primato senza limiti» del diritto dell’Unione, le norme costituzionali prevalevano su quest’ultimo.

20      Il 7 dicembre 2021 l’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale) ha emesso la decisione n. 32/2021 (XII.20) in cui ha dichiarato, in primo luogo, che finché l’Unione europea non avesse esercitato in modo effettivo una competenza concorrente, l’Ungheria avrebbe potuto esercitare tale competenza; in secondo luogo, che, se l’insufficienza dell’esercizio da parte dell’Unione di una competenza concorrente fosse stata tale da comportare una violazione del diritto all’identità delle persone che risiedono nel territorio dell’Ungheria, lo Stato ungherese sarebbe stato tenuto a garantire la tutela di tale diritto; e, in terzo luogo, che la tutela del diritto inalienabile dell’Ungheria di determinare l’integrità del suo territorio, della sua popolazione, della sua forma di governo e della sua struttura statale faceva parte della sua identità costituzionale.

21      Ritenendo che l’Ungheria non si fosse ancora conformata alla sentenza Commissione/Ungheria del 2020, la Commissione ha proposto il presente ricorso il 21 febbraio 2022.

22      Con decisione del presidente della Corte del 1º aprile 2022, il procedimento è stato sospeso, su richiesta della Commissione, sulla base dell’articolo 55, paragrafo 1, lettera b), del regolamento di procedura della Corte. Con decisione del 21 settembre 2022, il presidente della Corte ha disposto la prosecuzione del procedimento, sulla base dell’articolo 55, paragrafo 2, del regolamento di procedura, sempre su richiesta della Commissione.

 Sul ricorso

 Sullinadempimento

 Argomenti delle parti

23      La Commissione riconosce, in via preliminare, che le zone di transito di Röszke e di Tompa sono state chiuse. Di conseguenza, il ricorso non contiene considerazioni relative alla seconda infrazione accertata nella sentenza Commissione/Ungheria del 2020, riguardante il trattenimento generalizzato dei richiedenti protezione internazionale in tali zone di transito.

24      Parimenti, per quanto riguarda la quarta infrazione accertata in tale sentenza, ossia la violazione del diritto dei richiedenti protezione internazionale di rimanere nel territorio ungherese fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso, l’atto introduttivo verte unicamente su una situazione diversa da una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa. Infatti, ai punti 290 e 291 della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, la Corte avrebbe accertato un’infrazione per quanto riguarda una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa solo a motivo del sistema di trattenimento generale nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, sistema che ha cessato di esistere con la chiusura di queste ultime.

25      Tuttavia, la Commissione ritiene che la chiusura delle zone di transito di Röszke e di Tompa non sia sufficiente a garantire l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020. Lo stesso varrebbe per le modifiche apportate alla legge sul diritto di asilo nel giugno 2020, nel contesto della pandemia di COVID-19, dall’a veszélyhelyzet megszűnésével összefüggő átmeneti szabályokról és a járványügyi készültségről szóló 2020. évi LVIII. törvény (legge n. LVIII del 2020 sulle norme provvisorie connesse alla revoca dello stato di emergenza e sulla situazione di allerta epidemiologica), del 17 giugno 2020 (Magyar Közlöny 2020/144.; in prosieguo: la «legge del 2020»). Infatti, tali modifiche sarebbero contrarie al diritto dell’Unione, come sostenuto da tale istituzione nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 22 giugno 2023, Commissione/Ungheria (Dichiarazione d’intenti preliminare a una domanda di asilo) (C‑823/21; in prosieguo: la «sentenza Commissione/Ungheria del 2023», EU:C:2023:504).

26      Il governo ungherese avrebbe del resto riconosciuto implicitamente la prosecuzione della commissione delle infrazioni accertate nella sentenza Commissione/Ungheria del 2020, in quanto tale governo ha dichiarato di non essere in grado di pronunciarsi sull’esecutività di detta sentenza in attesa della pronuncia della decisione dell’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale) menzionata al punto 20 della presente sentenza.

27      In primo luogo, per quanto riguarda l’accesso effettivo alla procedura di protezione internazionale, dai punti 104 e 106 della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, nonché dal punto 1, primo trattino, del dispositivo di quest’ultima, risulterebbe che, per conformarsi a tale sentenza, l’Ungheria deve adottare le misure necessarie affinché i cittadini di paesi terzi o gli apolidi possano effettivamente esercitare il loro diritto di presentare una domanda di protezione internazionale nel suo territorio, anche alle sue frontiere.

28      In particolare, l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 richiederebbe la modifica dell’articolo 80/J, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo, in forza del quale, in una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, le domande di protezione internazionale possono essere presentate, salvo qualche eccezione, unicamente nelle zone di transito interessate. Orbene, l’Ungheria non avrebbe né abrogato né modificato tale disposizione. Poiché le zone di transito di Röszke e di Tompa sono state chiuse, sarebbe impossibile presentare tali domande nel territorio dell’Ungheria.

29      Inoltre, alla data di scadenza del termine fissato nella lettera di diffida, una situazione di crisi provocata da un’immigrazione di massa sarebbe sussistita sull’insieme del territorio ungherese. Infatti, l’a tömeges bevándorlás okozta válsághelyzet Magyarország egész területére történő elrendeléséről, valamint a válsághelyzet elrendelésével, fennállásával és megszüntetésével összefüggő szabályokról szóló 41/2016. (III. 9.) Korm. Rendelet (decreto governativo n. 41/2016 relativo alla dichiarazione di una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa sull’insieme del territorio dell’Ungheria, nonché sulle norme relative alla dichiarazione, all’esistenza e alla cessazione della situazione di crisi), del 9 marzo 2016 (Magyar Közlöny 2016/33.), sarebbe stato prorogato dal governo ungherese fino al 7 marzo 2022, in forza dell’articolo 1 dell’a tömeges bevándorlás okozta válsághelyzet Magyarország egész területére történő elrendeléséről, valamint a válsághelyzet elrendelésével, fennállásával és megszüntetésével összefüggő szabályokról szóló 41/2016. (III. 9.) Korm. rendelet módosításáról szóló 509/2021. (IX. 3.) Korm. rendelet [decreto governativo no 509/2021 che modifica il decreto governativo n. 41/2016 (III. 9.) sulla dichiarazione di una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa nel territorio dell’Ungheria e sulle norme relative alla dichiarazione, all’esistenza e alla cessazione della situazione di crisi], del 3 settembre 2021 (Magyar Közlöny 2021/162.). Successivamente, il regime giuridico della situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa sarebbe stato prorogato almeno fino al 7 marzo 2024.

30      Quanto alla legge del 2020, essa si limiterebbe a istituire un regime transitorio distinto a causa della pandemia di COVID-19. In ogni caso, tale legge non può essere ritenuta una misura di esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, poiché essa sarebbe stata adottata prima della pronuncia di tale sentenza, nel contesto specifico di tale pandemia e con un’applicazione prevista, in un primo momento, solo fino al 31 dicembre 2020, prima di essere prorogata fino al 31 dicembre 2023.

31      Inoltre, l’Ungheria non affermerebbe che la legge del 2020 sia intesa a conformarsi alla sentenza Commissione/Ungheria del 2020. Pertanto, il fatto che tale legge fosse oggetto, a causa della complessità del sistema di asilo ungherese, di un procedimento ai sensi dell’articolo 258 TFUE nell’ambito della causa che ha portato alla sentenza Commissione/Ungheria del 2023 non avrebbe pregiudicato i diritti della difesa dell’Ungheria nel caso di specie.

32      In secondo luogo, per quanto riguarda l’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno in Ungheria è irregolare, l’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato non sarebbe stato né abrogato né modificato. Di conseguenza, la normativa ungherese continuerebbe a consentire l’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare, fatta eccezione per coloro che sono sospettati di aver commesso un reato, il che sarebbe incompatibile con i punti 253 e 254 della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, nonché con il punto 1, terzo trattino, del dispositivo di quest’ultima. Al riguardo, dal sito Internet della polizia ungherese emergerebbe che l’Ungheria non ha posto fine all’allontanamento illegittimo di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare, circostanza che tale Stato membro non contesterebbe.

33      In terzo luogo, per quanto riguarda il diritto dei richiedenti protezione internazionale, in una situazione diversa da una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, di rimanere nel territorio ungherese, la Commissione sostiene che l’Ungheria non ha modificato l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della legge sul diritto di asilo, che è applicabile in una situazione diversa da una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa.

34      Pertanto, le condizioni previste nel diritto ungherese per l’esercizio del diritto di rimanere nel territorio, previsto dall’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, rimarrebbero «vaghe», contrariamente a quanto stabilito ai punti 288 e 289 della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, nonché al punto 1, quarto trattino, del suo dispositivo. Tenuto conto dei punti da 297 a 301 di tale sentenza, sarebbe necessario modificare la normativa nazionale, poiché l’infrazione rilevata dalla Corte verterebbe non su una prassi contraria al diritto dell’Unione, ma sulla trasposizione inadeguata del diritto dell’Unione nell’ordinamento giuridico ungherese.

35      L’Ungheria chiede alla Corte di respingere il ricorso dichiarandolo irricevibile nella parte in cui riguarda l’accesso alla procedura di protezione internazionale, e infondato quanto al resto.

36      In via preliminare, tale Stato membro ritiene che gli «elementi centrali» della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 non siano più pertinenti, poiché le zone di transito di Röszke e Tompa non sono più utilizzate dal 20 maggio 2020. Inoltre, l’evoluzione della situazione migratoria sulla «rotta dei Balcani occidentali» e il gran numero di sfollati provenienti dall’Ucraina renderebbero gli argomenti della Commissione inopportuni e infondati.

37      Per quanto riguarda, in primo luogo, l’accesso alla procedura di protezione internazionale, il ricorso sarebbe irricevibile.

38      Infatti, tutti gli accertamenti effettuati nella sentenza Commissione/Ungheria del 2020 e relativi alle zone di transito di Röszke e di Tompa sarebbero divenuti privi di oggetto, a causa della chiusura di queste ultime. Non avrebbe senso parlare di «limitazioni» dell’accesso alla procedura di protezione internazionale in tali zone di transito, poiché non è più possibile presentarvi un «numero limitato» di domande.

39      La normativa ungherese continuerebbe certamente a contenere disposizioni relative alle zone di transito, ma tali disposizioni sarebbero inapplicabili dal 26 maggio 2020 a motivo dell’entrata in vigore della legge del 2020. Tale legge introdurrebbe un regime transitorio in deroga alla legge sul diritto di asilo, in forza del quale l’accesso a una procedura di protezione internazionale nel territorio dell’Ungheria è subordinato all’avvio di una procedura preliminare presso una rappresentanza diplomatica dell’Ungheria in un paese terzo.

40      Orbene, poiché la compatibilità della legge del 2020 con l’articolo 6 della direttiva 2013/32 era oggetto della causa che ha portato alla sentenza Commissione/Ungheria del 2023, la Commissione non avrebbe potuto avviare parallelamente un altro procedimento, basato sull’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, riguardante la medesima asserita infrazione senza violare i diritti della difesa dell’Ungheria e il principio di certezza del diritto.

41      Al riguardo, l’Ungheria sostiene che è giustificato che la Corte esamini tale legge nell’ambito del quadro procedurale dell’articolo 258 TFUE, poiché essa si inserisce in un contesto nuovo, che non è stato esaminato nella sentenza Commissione/Ungheria del 2020. Tuttavia, la causa che ha portato alla sentenza Commissione/Ungheria del 2023 avrebbe riguardato anche la questione se la violazione dell’articolo 6 della direttiva 2013/32 accertata nella sentenza Commissione/Ungheria del 2020 sussistesse ancora. Di conseguenza, se la Corte dovesse dichiarare un inadempimento nella presente causa, gli argomenti dedotti dall’Ungheria nel procedimento basato sull’articolo 258 TFUE per quanto riguarda la violazione dell’articolo 6 della direttiva 2013/32 non potrebbero avere alcuna incidenza, il che pregiudicherebbe i diritti della difesa dell’Ungheria in tale causa.

42      Inoltre, il ricorso non illustrerebbe il contenuto delle disposizioni adottate a seguito della pronuncia della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, il che impedirebbe alla Corte di pronunciarsi nel merito.

43      In subordine, l’Ungheria sostiene che tale parte del ricorso è infondata. Da un lato, il legislatore ungherese avrebbe adottato una normativa che si discosta dall’articolo 80/J della legge sul diritto di asilo. Dall’altro lato, la sentenza Commissione/Ungheria del 2020 menzionerebbe espressamente la normativa e la prassi relative alle zone di transito di Röszke e di Tompa. Orbene, la situazione esaminata in tale parte della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 non esisterebbe più.

44      In secondo luogo, per quanto riguarda l’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare al di là della barriera di frontiera, il mantenimento in vigore dell’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato sarebbe giustificato a causa della pressione migratoria crescente sulla «rotta migratoria dei Balcani occidentali» e del gran numero di rifugiati provenienti dall’Ucraina a partire dal febbraio 2022. Inoltre, prima di modificare tale disposizione, occorrerebbe attendere la pronuncia della decisione dell’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale) in una causa pendente alla data di chiusura della fase scritta del procedimento e vertente, su iniziativa della Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest-Capitale, Ungheria), sulla costituzionalità di detta disposizione.

45      In terzo luogo, per quanto riguarda il diritto dei richiedenti protezione internazionale, in una situazione diversa da una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, di rimanere nel territorio ungherese, la Corte avrebbe dichiarato, nella sentenza Commissione/Ungheria del 2020, che, nell’ambito dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della legge sul diritto di asilo, il diritto di rimanere nel territorio ungherese può essere subordinato a condizioni.

46      Ciò premesso, la normativa di cui trattasi non avrebbe introdotto la possibilità, prevista a titolo facoltativo, di subordinare a condizioni il diritto di rimanere in tale territorio. Pertanto, non sarebbe necessario legiferare nuovamente. In pratica, le autorità ungheresi non procederebbero ad alcuna espulsione fintantoché la decisione delle autorità che respinge la domanda di asilo non sia divenuta definitiva. Al riguardo, la Commissione non avrebbe fatto riferimento ad alcuna decisione amministrativa o giurisdizionale che metta in discussione una siffatta constatazione.

 Giudizio della Corte

–       Sulla ricevibilità del ricorso

47      L’Ungheria ritiene che il ricorso sia irricevibile nella parte in cui riguarda l’accesso alla procedura di protezione internazionale.

48      In primo luogo, sostenendo che la chiusura delle zone di transito di Röszke e di Tompa ha privato di oggetto gli accertamenti effettuati nella sentenza Commissione/Ungheria del 2020 relativi a tali zone di transito e che la legge del 2020 ha istituito un regime transitorio in deroga alla legge sul diritto di asilo, l’Ungheria sostiene, essenzialmente, di aver adottato le misure che l’esecuzione di tale sentenza comporta per quanto riguarda l’accesso alla procedura di protezione internazionale, argomento che non rientra nell’esame della ricevibilità del ricorso, bensì in quello della fondatezza di quest’ultimo.

49      In secondo luogo, l’argomento vertente sul pregiudizio che sarebbe arrecato al principio di certezza del diritto e ai diritti della difesa dell’Ungheria a causa delle questioni parallelamente sollevate dalla causa che ha portato alla sentenza Commissione/Ungheria del 2023 deve essere respinto, dal momento che tale causa ha dato luogo a una sentenza divenuta definitiva, che ha quindi autorità di cosa giudicata.

50      In terzo luogo, l’Ungheria contesta alla Commissione di non aver esposto, nel suo ricorso, il contenuto delle disposizioni della legge del 2020.

51      Al riguardo, da una giurisprudenza costante relativa all’articolo 120, lettera c), del regolamento di procedura risulta che ogni atto introduttivo del ricorso deve indicare in modo chiaro e preciso l’oggetto della controversia e l’esposizione sommaria dei motivi dedotti per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo sindacato. Ne deriva, in particolare, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali tale ricorso si basa devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso stesso [sentenza del 21 dicembre 2023, Commissione/Danimarca (Durata massima di parcheggio), C‑167/22, EU:C:2023:1020, punto 25 e giurisprudenza ivi citata].

52      Nel caso di specie, tali requisiti sono rispettati. Infatti, la Commissione ha indicato in modo coerente e preciso, nel suo ricorso, le ragioni che l’hanno indotta a ritenere che l’Ungheria non avesse adottato le misure necessarie per garantire l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020. Tale istituzione ha menzionato, in particolare, le modifiche apportate alla legge sul diritto di asilo nel giugno 2020 nel contesto della pandemia di COVID-19, precisando che, a suo avviso, tali disposizioni non conducevano all’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 e che, come da essa sostenuto nella causa che ha portato alla sentenza Commissione/Ungheria del 2023, erano contrarie al diritto dell’Unione.

53      Pertanto, il ricorso consente all’Ungheria e alla Corte di comprendere esattamente la posizione della Commissione, presupposto necessario affinché tale Stato membro possa far valere utilmente i suoi motivi di difesa e affinché la Corte possa verificare se detto Stato membro abbia adottato le misure che l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 comporta.

54      Alla luce di quanto precede, si deve concludere che il ricorso è ricevibile.

–       Nel merito

55      Ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE, se la Commissione ritiene che lo Stato membro in questione non abbia preso le misure che comporta l’esecuzione della sentenza della Corte con cui essa ha riconosciuto che tale Stato membro ha mancato ad uno degli obblighi ad esso incombenti in virtù dei trattati, essa può adire la Corte, dopo aver posto detto Stato membro in condizione di presentare osservazioni, precisando l’importo della somma forfettaria o della penalità, da versare da parte dello stesso Stato membro, che essa consideri adeguato alle circostanze.

56      La data di riferimento per valutare l’esistenza di un inadempimento ai sensi dell’articolo 260, paragrafo 2, TFUE è quella della scadenza del termine fissato nella lettera di diffida emessa ai sensi di tale disposizione [sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

57      Al riguardo, occorre rilevare che le autorità dello Stato membro interessato che partecipano all’esercizio del potere legislativo sono tenute a modificare le disposizioni legislative nazionali oggetto di una sentenza per inadempimento in modo da renderle conformi alle prescrizioni del diritto dell’Unione [v., in tal senso, sentenza del 13 luglio 2023, YP e a. (Revoca dell’immunità di un giudice e sospensione dalle sue funzioni), C‑615/20 e C‑671/20, EU:C:2023:562, punto 57 nonché giurisprudenza ivi citata].

58      Si deve altresì ricordare che il dispositivo di una sentenza per inadempimento, che descrive l’inadempimento accertato dalla Corte, è particolarmente importante per la determinazione delle misure che tale Stato membro è tenuto ad adottare al fine di dare piena esecuzione a tale sentenza. Il dispositivo di detta sentenza deve essere interpretato alla luce della motivazione della medesima sentenza (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2013, Commissione/Germania, C‑95/12, EU:C:2013:676, punti 37 e 40 nonché giurisprudenza ivi citata).

59      Nel caso di specie, nella sentenza Commissione/Ungheria del 2020, la Corte ha dichiarato che l’Ungheria era venuta meno ai suoi obblighi relativi, primo, all’accesso alla procedura di protezione internazionale, secondo, al trattenimento dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e di Tompa, terzo, all’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nonché, quarto, al diritto dei richiedenti protezione internazionale di rimanere nel territorio ungherese fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo e, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso.

60      Occorre osservare, in via preliminare, che il ricorso della Commissione non verte sul trattenimento dei richiedenti protezione internazionale nelle zone di transito di Röszke e di Tompa e che, per quanto riguarda il diritto dei richiedenti protezione internazionale di rimanere nel territorio ungherese, tale ricorso verte unicamente su una situazione diversa da una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa.

61      In primo luogo, per quanto concerne l’accesso alla procedura di protezione internazionale, la descrizione dell’infrazione di cui trattasi risulta dal testo introduttivo e dal primo trattino del punto 1 del dispositivo della sentenza Commissione/Ungheria del 2020.

62      Dal testo introduttivo del punto 1 di tale dispositivo risulta che l’infrazione di cui trattasi consiste nell’essere venuta meno agli obblighi che incombono all’Ungheria in forza dell’articolo 6 della direttiva 2013/32.

63      Tale infrazione è stata accertata in considerazione della situazione menzionata al primo trattino del punto 1 di detto dispositivo, ossia il cumulo, da un lato, dell’obbligo che le domande di protezione internazionale provenienti da cittadini di paesi terzi o da apolidi che arrivano dalla Serbia siano presentate nelle zone di transito di Röszke e di Tompa con, dall’altro, l’esistenza di una prassi amministrativa costante e generalizzata che limita drasticamente il numero di richiedenti autorizzati a entrare quotidianamente in tali zone di transito.

64      Al riguardo, la Corte ha dichiarato segnatamente, al punto 106 di tale sentenza, che l’articolo 6 della direttiva 2013/32 impone agli Stati membri di garantire che le persone interessate possano essere in grado di esercitare in modo effettivo il diritto di presentare una domanda di protezione internazionale, anche alle loro frontiere, non appena ne manifestino la volontà, affinché tale domanda sia registrata e possa essere inoltrata ed esaminata nel rispetto effettivo dei termini fissati da tale direttiva. Infatti, come accertato al punto 104 di tale sentenza, l’obiettivo stesso di detta direttiva, in particolare quello dell’articolo 6, paragrafo 1, di quest’ultima, consiste nel garantire un accesso effettivo, facile e rapido alla procedura di protezione internazionale.

65      Pertanto, per quanto riguarda l’accesso alla procedura di protezione internazionale, l’esecuzione di tale sentenza impone che l’Ungheria adotti l’insieme delle misure necessarie al fine di garantire un accesso effettivo, facile e rapido alla procedura di protezione internazionale.

66      Orbene, alla data di scadenza del termine fissato nella lettera di diffida, ossia il 9 agosto 2021, l’Ungheria non si era conformata a tale obbligo.

67      Al riguardo, contrariamente a quanto sostiene l’Ungheria, la chiusura delle zone di transito di Röszke e di Tompa non è sufficiente a garantire un accesso effettivo, facile e rapido alla procedura di protezione internazionale. Infatti, è pacifico tra le parti che, alla data di scadenza del termine fissato nella lettera di diffida, il regime applicabile all’accesso alla procedura di protezione internazionale era quello risultante dalla legge del 2020.

68      Al riguardo, al punto 1 del dispositivo della sentenza Commissione/Ungheria del 2023, la Corte ha dichiarato che, subordinando la possibilità, per taluni cittadini di paesi terzi o apolidi che si trovano nel territorio dell’Ungheria o alle frontiere di tale Stato membro, di presentare una domanda di protezione internazionale al previo deposito di una dichiarazione d’intenti presso un’ambasciata ungherese sita in un paese terzo e al rilascio di un documento di viaggio che consenta loro di entrare nel territorio ungherese, l’Ungheria era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 6 della direttiva 2013/32.

69      Dai punti da 8 a 13 e 37 di detta sentenza emerge che tale accertamento verte sulle disposizioni della legge del 2020 relative all’accesso alla procedura di protezione internazionale, la cui applicazione non può, pertanto, essere considerata un’esecuzione valida della sentenza Commissione/Ungheria del 2020.

70      Occorre precisare che le misure che l’esecuzione di una sentenza della Corte che dichiara un inadempimento comporta devono necessariamente essere compatibili con le disposizioni del diritto dell’Unione la cui violazione è stata accertata in tale sentenza, vale a dire, nel caso di specie, l’articolo 6 della direttiva 2013/32, e consentire la corretta applicazione di tali disposizioni. Orbene, come dichiarato dalla Corte nella sentenza Commissione/Ungheria del 2023, ciò non avviene, nel caso di specie, per le disposizioni della legge del 2020 relative all’accesso alla procedura di protezione internazionale.

71      In tali circostanze, si deve dichiarare che l’Ungheria non ha adottato le misure necessarie per l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 per quanto riguarda l’accesso alla procedura di protezione internazionale.

72      In secondo luogo, per quanto concerne l’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno in Ungheria è irregolare, la Corte ha dichiarato, al punto 1, terzo trattino, del dispositivo della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, che, consentendo l’allontanamento di tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio nazionale è irregolare, ad eccezione di quelli che sono sospettati di aver commesso un reato, senza rispettare le procedure e le garanzie previste all’articolo 5, all’articolo 6, paragrafo 1, all’articolo 12, paragrafo 1, e all’articolo 13, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, l’Ungheria era venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza di tali disposizioni.

73      L’Ungheria non nega che l’articolo 5, paragrafo 1 ter, della legge sulle frontiere dello Stato, indicato al punto 254 di tale sentenza come la disposizione nazionale che giustifica tale constatazione, fosse ancora in vigore alla data di scadenza del termine fissato dalla lettera di diffida, ossia il 9 agosto 2021. Tuttavia, detto Stato membro considera tale situazione giustificata a causa della pressione migratoria sulla «rotta migratoria dei Balcani occidentali» e del numero di sfollati provenienti dall’Ucraina.

74      Orbene, uno Stato membro non può eccepire difficoltà pratiche, amministrative, finanziarie o di ordine interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione [v, in tal senso, sentenza dell’8 giugno 2023, Commissione/Slovacchia (Diritto di risoluzione senza spese), C‑540/21, EU:C:2023:450, punto 86 e giurisprudenza ivi citata].

75      In terzo luogo, per quanto riguarda il diritto dei richiedenti protezione internazionale, in una situazione diversa da una situazione di crisi causata da un’immigrazione di massa, di rimanere nel territorio ungherese fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso, nella sentenza Commissione/Ungheria del 2020, la conclusione che l’Ungheria è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32 risulta dal punto 1, quarto trattino, del dispositivo di tale sentenza.

76      Tale conclusione è fondata sulla constatazione, effettuata ai punti 289 e 301 di detta sentenza, secondo cui, quando uno Stato membro decide di stabilire le modalità di esercizio del diritto di rimanere nel suo territorio, come sancito dall’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, tali modalità devono essere definite in modo sufficientemente chiaro e preciso affinché il richiedente protezione internazionale possa conoscere l’esatta portata di tale diritto e sia possibile valutare se siffatte modalità siano compatibili, in particolare, con le direttive 2013/32 e 2013/33.

77      Dal punto 297 della medesima sentenza emerge che, secondo l’Ungheria, le condizioni alle quali rinvia tale articolo 5, paragrafo 1, della legge sul diritto di asilo consistono nel richiedere che l’interessato si conformi allo status di richiedente stabilito dalla legge e rispetti, inoltre, l’obbligo che gli è imposto, se del caso, di risiedere in un luogo determinato.

78      Da un lato, come constatato al punto 298 della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, l’Ungheria non individua una disposizione della legge sul diritto di asilo che disponga proprio che il diritto di rimanere nel territorio di uno Stato membro è subordinato al rispetto di una condizione di residenza.

79      Dall’altro lato, come constatato al punto 300 di tale sentenza, la condizione che impone di rispettare lo status di richiedente protezione internazionale definito dalla legge e alla quale, secondo le stesse affermazioni dell’Ungheria, il diritto di soggiorno derivante dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della legge sul diritto di asilo sarebbe a sua volta subordinato si presta a diverse interpretazioni e rinvia ad altre condizioni, che non sono state individuate da tale Stato membro.

80      Pertanto, l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 richiede, per quanto riguarda l’infrazione di cui trattasi, modifiche della normativa nazionale, indipendentemente dalla circostanza invocata dall’Ungheria secondo la quale, nella prassi, le autorità ungheresi non procederebbero a un’espulsione fintantoché la decisione delle autorità che respinge la domanda di asilo non sia divenuta definitiva.

81      Al riguardo, si deve ricordare che mere prassi amministrative, per natura modificabili a piacimento dall’amministrazione e prive di pubblicità adeguata, non possono essere considerate validi adempimenti degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione (sentenza del 24 ottobre 2013, Commissione/Spagna, C‑151/12, EU:C:2013:690, punto 36 e giurisprudenza ivi citata).

82      Orbene, alla data di scadenza del termine fissato dalla lettera di diffida, ossia il 9 agosto 2021, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della legge sul diritto di asilo era ancora in vigore senza essere stato modificato, circostanza che l’Ungheria non contesta.

83      Alla luce di quanto precede, si deve dichiarare che l’Ungheria, non avendo adottato le misure che l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 comporta, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 260, paragrafo 1, TFUE.

 Sulle sanzioni pecuniarie

 Argomenti delle parti

84      Ritenendo che l’Ungheria non si sia ancora conformata alla sentenza Commissione/Ungheria del 2020, la Commissione chiede alla Corte di condannare tale Stato membro a pagare una somma forfettaria di importo pari a EUR 5 468,45 moltiplicata per il numero di giorni trascorsi tra la data di pronuncia di tale sentenza e, o la data di esecuzione di detta sentenza da parte dell’Ungheria, o la data di pronuncia della presente sentenza, se quest’ultima data è anteriore alla data di esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, fermo restando che la somma forfettaria minima dovrebbe essere pari a EUR 1 044 000.

85      Tale istituzione chiede altresì alla Corte di condannare l’Ungheria al pagamento di una penalità di importo pari a EUR 16 393,16 al giorno a decorrere dalla data di pronuncia della presente sentenza e fino alla data di esecuzione, da parte dell’Ungheria, della sentenza Commissione/Ungheria del 2020.

86      Rinviando alla sua comunicazione SEC(2005) 1658, del 12 dicembre 2005, intitolata «Applicazione dell’articolo [260 TFUE]», come aggiornata segnatamente dalla sua comunicazione del 13 aprile 2021, intitolata «Adeguamento del calcolo delle somme forfettarie e delle penalità proposte dalla Commissione nell’ambito dei procedimenti d’infrazione dinanzi alla Corte di giustizia dell’Unione europea a seguito del recesso del Regno Unito» (GU 2021, C 129, pag. 1), la Commissione propone che l’importo della somma forfettaria menzionata al punto 84 della presente sentenza sia determinato moltiplicando un importo forfettario di base uniforme di EUR 895 per un coefficiente di gravità. Il risultato ottenuto sarebbe moltiplicato per un fattore «n», tenendo conto, in particolare, della capacità finanziaria dello Stato membro interessato, e per il numero di giorni di persistenza dell’inadempimento di cui trattasi. Per quanto riguarda il calcolo dell’importo della penalità giornaliera menzionata al punto 85 della presente sentenza, l’importo forfettario di base sarebbe fissato in EUR 2 683 al giorno e dovrebbe essere moltiplicato per tale coefficiente di gravità, per un coefficiente di durata e per tale fattore «n».

87      In primo luogo, per quanto riguarda la gravità dell’inadempimento di cui trattasi, la Commissione propone di applicare un coefficiente di gravità di 13 su una scala da 1 a 20.

88      Secondo tale istituzione, l’importanza delle norme dell’Unione che sono state oggetto delle infrazioni di cui trattasi è elevata. Da un lato, gli articoli 6 e 46 della direttiva 2013/32 sarebbero essenziali per assicurare l’effettività dei diritti garantiti dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)] ed entrata in vigore il 22 aprile 1954, come integrata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967, nonché dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), in particolare il diritto di asilo, il rispetto del principio di non refoulement e il diritto a un ricorso effettivo. Dall’altro, l’infrazione relativa agli allontanamenti illeciti inciderebbe su varie disposizioni fondamentali della direttiva 2008/115.

89      La mancata esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 avrebbe effetti significativi sull’interesse pubblico e sugli interessi individuali. Da un lato, la Commissione afferma di aver avviato, dal 2015, sette procedure di infrazione nei confronti dell’Ungheria in materia di asilo, di cui quattro rinviate dinanzi alla Corte. La persistente inosservanza del diritto dell’Unione rischierebbe di creare un precedente per altri Stati membri e di pregiudicare il sistema europeo comune di asilo, trasferendo la responsabilità dell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale ad altri Stati membri e rafforzando la tratta illecita di esseri umani. Dall’altro lato, le infrazioni in questione avrebbero un’incidenza grave sui cittadini di paesi terzi.

90      Inoltre, la Commissione individua circostanze aggravanti. L’Ungheria non avrebbe cooperato con tale istituzione nel corso del procedimento precontenzioso, in quanto essa non avrebbe indicato alcuna modifica o abrogazione delle disposizioni giudicate contrarie al diritto dell’Unione. Inoltre, le ripetute violazioni del diritto dell’Unione in materia di migrazione e di asilo, la manifesta violazione del principio del primato del diritto dell’Unione e il rifiuto esplicito di conformarsi a una sentenza della Corte costituirebbero fattori aggravanti estremamente gravi.

91      In secondo luogo, per quanto riguarda la durata dell’infrazione, tale istituzione propone di applicare un coefficiente di durata 1 su una scala da 1 a 3, tenendo conto del periodo di dieci mesi trascorso tra la data di pronuncia della sentenza Commissione/Ungheria e quella in cui tale istituzione ha deciso di adire la Corte, ossia il 12 novembre 2021.

92      In terzo luogo, con riferimento al fattore «n», pur prendendo atto degli insegnamenti della sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferro nichel) (C‑51/20, EU:C:2022:36), da cui risulta che il prodotto interno lordo (PIL) dello Stato membro interessato costituisce il fattore predominante, mentre la presa in considerazione del peso istituzionale di quest’ultimo non è invece indispensabile, la Commissione basa tuttavia la sua domanda sui parametri esposti nelle comunicazioni menzionate al punto 86 della presente sentenza. In tale contesto, detta istituzione propone di fissare, per l’Ungheria, tale fattore «n» a 0,47.

93      L’Ungheria ritiene che la Commissione abbia valutato erroneamente la gravità dell’infrazione di cui trattasi, non tenendo conto della chiusura delle zone di transito di Röszke e Tompa, della nuova normativa ungherese in materia di asilo, della crescente pressione della migrazione illegale e delle conseguenze dell’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina. In particolare, a causa della chiusura di tali zone di transito, l’inadempimento contestato all’Ungheria sarebbe molto più limitato di quello di cui trattasi nella causa che ha dato luogo alla sentenza Commissione/Ungheria del 2020, il che dovrebbe costituire una considerazione fondamentale nella valutazione della gravità dell’infrazione di cui trattasi. Inoltre, a motivo del procedimento nella causa che ha dato luogo alla sentenza Commissione/Ungheria del 2023, la questione della conformità delle disposizioni della legge del 2020 all’articolo 6 della direttiva 2013/32 non può essere presa in considerazione per valutare la gravità di tale infrazione.

94      Inoltre, l’Ungheria ritiene di non aver violato il principio del primato del diritto dell’Unione. A tal riguardo, l’avvio del procedimento dinanzi all’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale) menzionato al punto 17 della presente sentenza, al fine di garantire il rispetto della Legge fondamentale dell’Ungheria, non potrebbe essere considerato una circostanza aggravante. Il governo ungherese non avrebbe fatto dipendere l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 dalla decisione dell’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale) menzionata al punto 20 della presente sentenza, ma avrebbe semplicemente atteso detta decisione. Tale governo non avrebbe neppure rifiutato esplicitamente di conformarsi alla sentenza Commissione/Ungheria del 2020, ma avrebbe semplicemente tenuto conto, contrariamente alla Commissione, di circostanze esterne.

95      Infine, l’Ungheria, facendo riferimento al punto 55 della sentenza del 30 maggio 2013, Commissione/Svezia (C‑270/11, EU:C:2013:339), chiede alla Corte di tener conto, quale circostanza attenuante, del fatto che essa non avrebbe mai omesso fino ad ora di dare esecuzione a una sentenza della Corte.

 Giudizio della Corte

96      In via preliminare, si deve rammentare che il procedimento previsto dall’articolo 260, paragrafo 2, TFUE ha lo scopo di indurre uno Stato membro inadempiente a dare esecuzione a una sentenza per inadempimento e, di conseguenza, di garantire l’applicazione effettiva del diritto dell’Unione e che le misure previste da tale disposizione, ossia la somma forfettaria e la penalità, mirano entrambe a questo stesso obiettivo [sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 50 e giurisprudenza ivi citata].

97      Si deve rammentare altresì che spetta alla Corte, in ciascuna causa e in funzione delle circostanze del caso di specie sottoposto al suo esame, nonché del livello di persuasione e di dissuasione che le appaia necessario, stabilire le sanzioni pecuniarie appropriate, in particolare per prevenire il reiterarsi di analoghe infrazioni al diritto dell’Unione [sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 51 e giurisprudenza ivi citata].

–       Sulla somma forfettaria

98      Secondo una costante giurisprudenza, la condanna al pagamento di una somma forfettaria e la fissazione dell’eventuale importo di detta somma devono restare correlati, in ciascun caso di specie, al complesso degli elementi rilevanti relativi tanto alle caratteristiche dell’inadempimento constatato quanto all’atteggiamento specifico dello Stato membro interessato dal procedimento avviato in base all’articolo 260 TFUE. A tal proposito, quest’ultimo attribuisce alla Corte un ampio potere discrezionale nel decidere in merito all’irrogazione o meno di una siffatta sanzione e nel determinarne eventualmente l’importo [sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 78 e giurisprudenza ivi citata].

99      Nel caso di specie, il complesso degli elementi di diritto e di fatto che hanno condotto alla constatazione dell’inadempimento costituisce un indizio nel senso che la prevenzione effettiva della futura reiterazione di infrazioni analoghe al diritto dell’Unione è tale da richiedere l’adozione di una misura dissuasiva, quale l’applicazione di una somma forfettaria.

100    In tali circostanze, spetta alla Corte, nell’esercizio del proprio potere discrezionale, fissare l’importo di tale somma forfettaria di modo che essa sia, da un lato, adeguata alle circostanze e, dall’altro, proporzionata alle infrazioni commesse [v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 80 e giurisprudenza ivi citata].

101    Figurano tra i fattori rilevanti al riguardo elementi quali la gravità e la durata delle infrazioni accertate nonché la capacità finanziaria dello Stato membro di cui trattasi [v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 81 e giurisprudenza ivi citata].

102    In primo luogo, per quanto riguarda la gravità delle infrazioni di cui trattasi, la prolungata mancata esecuzione di una sentenza della Corte rappresenta, di per sé, un grave pregiudizio al principio di legalità e dell’autorità di cosa giudicata in un’Unione di diritto.

103    Al riguardo, nonostante la chiusura delle zone di transito di Röszke e di Tompa, l’Ungheria non ha adottato le misure che l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 comporta per quanto riguarda diversi elementi essenziali di tale sentenza, ossia l’accesso alla procedura di protezione internazionale, l’allontanamento dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare e il diritto dei richiedenti protezione internazionale di rimanere nel territorio ungherese fino alla scadenza del termine entro il quale possono esercitare il loro diritto a un ricorso effettivo oppure, se tale diritto è stato esercitato entro il termine previsto, in attesa dell’esito del ricorso.

104    In tale contesto, si deve sottolineare l’importanza delle disposizioni oggetto dell’inadempimento constatato al punto 83 della presente sentenza.

105    Innanzitutto, il rispetto dell’articolo 6 della direttiva 2013/32 è necessario per garantire, conformemente al diritto di asilo riconosciuto all’articolo 18 della Carta, l’efficacia delle altre disposizioni di tale direttiva e, di conseguenza, della politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea nel suo insieme.

106    Infatti, la violazione di tale disposizione fondamentale impedisce sistematicamente qualsiasi accesso alla procedura di protezione internazionale, rendendo impossibile, per quanto riguarda lo Stato membro interessato, l’applicazione integrale di tale politica, quale stabilita all’articolo 78 TFUE.

107    Occorre rilevare che l’elusione deliberata, da parte di uno Stato membro, dell’applicazione di una politica comune nel suo insieme costituisce una violazione inedita ed eccezionalmente grave del diritto dell’Unione, che rappresenta una minaccia importante per l’unità di tale diritto e per il principio di uguaglianza degli Stati membri, richiamato all’articolo 4, paragrafo 2, TUE.

108    Quanto al caso particolare della politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, una siffatta violazione reca un pregiudizio particolarmente grave sia all’interesse pubblico sia agli interessi dei cittadini di paesi terzi e degli apolidi che intendono chiedere protezione internazionale. In particolare, il fatto di evitare sistematicamente la presentazione di domande di protezione internazionale priva della parte essenziale dei suoi effetti, per quanto riguarda lo Stato membro interessato, la Convenzione relativa allo status dei rifugiati, come integrata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, di cui tutti gli Stati membri sono parte e che costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati [v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2024, Intervyuirasht organ na DAB pri MS (Donne vittime di violenza domestica), C‑621/21, EU:C:2024:47, punto 36 e giurisprudenza ivi citata]. Inoltre, l’impossibilità, per i cittadini di paesi terzi o gli apolidi, di presentare una domanda di protezione internazionale alla frontiera ungherese priva tali persone del godimento effettivo del loro diritto, quale garantito dall’articolo 18 della Carta, di chiedere asilo presso l’Ungheria (v., in tal senso, sentenza Commissione/Ungheria del 2023, punto 52).

109    Quanto poi al rispetto dell’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, esso è indispensabile per garantire, per quanto riguarda i richiedenti protezione internazionale, l’effettività del principio della tutela giurisdizionale effettiva dei diritti spettanti ai singoli in forza del diritto dell’Unione, che costituisce un principio generale del diritto dell’Unione derivante dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, sancito agli articoli 6 e 13 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, e che è attualmente affermato all’articolo 47 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 7 settembre 2023, Asociaţia «Forumul Judecătorilor din România», C‑216/21, EU:C:2023:628, punto 59).

110    Infine, gli articoli 5, 6, 12 e 13 della direttiva 2008/115 stabiliscono garanzie fondamentali, in particolare per quanto riguarda il diritto alla protezione in caso di allontanamento e di espulsione, sancito dall’articolo 19 della Carta, per l’applicazione di tale direttiva.

111    Orbene, consentendo, senza rispettare tali garanzie, l’allontanamento di tutti i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel suo territorio è irregolare, ad eccezione di quelli che sono sospettati di aver commesso un reato, uno Stato membro viola l’essenziale degli obblighi relativi alle procedure applicabili al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, questione che costituisce, in forza dell’articolo 79, paragrafo 2, lettera c), TFUE, una componente fondamentale della politica comune dell’immigrazione.

112    Inoltre, il fatto che una controversia riguardi la mancata esecuzione di una sentenza avente ad oggetto una prassi generale e persistente tende ad acuire la gravità dell’inadempimento in questione (sentenza del 2 dicembre 2014, Commissione/Italia, C‑196/13, EU:C:2014:2407, punto 100).

113    Orbene, occorre rilevare che, omettendo di adottare le misure che l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 comporta, l’Ungheria si sottrae, in modo sistematico e deliberato, all’applicazione della politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea, nonché alle norme relative, nell’ambito della politica comune dell’immigrazione, al rimpatrio delle persone il cui soggiorno è irregolare, il che costituisce una violazione del diritto dell’Unione di eccezionale gravità.

114    Si deve aggiungere che il comportamento dell’Ungheria ha segnatamente l’effetto di trasferire agli altri Stati membri la responsabilità ad essa incombente, anche sul piano finanziario, di garantire l’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale nell’Unione, di istruire le domande seguendo le procedure ai fini del riconoscimento e della revoca di tale protezione, nonché di garantire modalità di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, conformi al diritto dell’Unione.

115    Un siffatto comportamento arreca un pregiudizio estremamente grave al principio di solidarietà e di equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri, anche sul piano finanziario, che governa, conformemente all’articolo 80 TFUE, la politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea nonché la politica comune in materia d’immigrazione [v., in tal senso, sentenza del 2 aprile 2020, Commissione/Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257, punto 80 nonché giurisprudenza ivi citata].

116    Al riguardo, occorre rammentare che il principio di solidarietà costituisce uno dei principi fondamentali del diritto dell’Unione e fa parte dei valori, comuni agli Stati membri, sui quali l’Unione si fonda, ai sensi dell’articolo 2 TUE (v., in tal senso, sentenza del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio, C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 129 nonché giurisprudenza ivi citata).

117    Il fatto, per uno Stato membro, di rompere unilateralmente l’equilibrio tra i vantaggi e gli oneri derivanti dalla sua appartenenza all’Unione mette in discussione il rispetto del principio di uguaglianza degli Stati membri dinanzi al diritto dell’Unione. Tale venir meno ai doveri di solidarietà accettati dagli Stati membri con la loro adesione all’Unione scuote dalle fondamenta l’ordinamento giuridico dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 7 febbraio 1979, Commissione/Regno Unito, 128/78, EU:C:1979:32, punto 12).

118    Da tutto quanto precede risulta che la mancata esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 pregiudica in modo straordinariamente grave tanto l’interesse pubblico quanto gli interessi privati, in particolare quelli dei cittadini di paesi terzi e degli apolidi che intendono chiedere protezione internazionale.

119    Certamente, si deve prendere in considerazione il fatto che l’Ungheria non è stata assoggettata, in precedenza, ad alcun procedimento avviato sulla base dell’articolo 260 TFUE [v., per analogia, sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 63 e giurisprudenza ivi citata].

120    Tuttavia, oltre alla gravità eccezionale dell’inadempimento di cui trattasi, si deve altresì prendere in considerazione, quale circostanza aggravante, la reiterazione del comportamento costituente infrazione di tale Stato membro [v., per analogia, sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferro nichel), C‑51/20, EU:C:2022:36, punto 103], che ha dato luogo a diverse altre condanne in materia di protezione internazionale [sentenze del 2 aprile 2020, Commissione/ Polonia, Ungheria e Repubblica ceca (Meccanismo temporaneo di ricollocazione dei richiedenti protezione internazionale), C‑715/17, C‑718/17 e C‑719/17, EU:C:2020:257; del 16 novembre 2021, Commissione/Ungheria (Configurazione come reato del sostegno ai richiedenti asilo), C‑821/19, EU:C:2021:930, nonché Commissione/Ungheria del 2023].

121    Inoltre, occorre prendere in considerazione la circostanza che il governo ungherese ha indicato che fosse giustificato attendere, prima di dare esecuzione alla sentenza Commissione/Ungheria del 2020, la conclusione del procedimento, menzionato al punto 17 della presente sentenza, da esso avviato dinanzi all’Alkotmánybíróság (Corte costituzionale), e la decisione di quest’ultima menzionata al punto 44 della presente sentenza.

122    Al riguardo, occorre rammentare che, in forza del principio del primato del diritto dell’Unione, il fatto che uno Stato membro invochi disposizioni di diritto nazionale, quand’anche di rango costituzionale, non può pregiudicare l’unità e l’efficacia del diritto dell’Unione. L’osservanza degli obblighi derivanti da tale principio è necessaria in particolare per garantire il rispetto dell’uguaglianza degli Stati membri davanti ai Trattati e costituisce un’espressione del principio di leale cooperazione enunciato all’articolo 4, paragrafo 3, TUE [sentenza del 5 giugno 2023, Commissione/Polonia (Indipendenza e vita privata dei giudici), C‑204/21, EU:C:2023:442, punto 77 e giurisprudenza ivi citata].

123    Inoltre, a seguito della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, l’Ungheria, invece di garantire la piena esecuzione di tale sentenza, ha prorogato l’applicabilità ratione temporis delle disposizioni della legge del 2020, le quali erano anch’esse incompatibili con l’articolo 6 della direttiva 2013/32, come dichiarato nella sentenza Commissione/Ungheria del 2023.

124    In tali circostanze, il comportamento dell’Ungheria dimostra che tale Stato membro non ha agito conformemente al suo obbligo di leale cooperazione per porre fine all’inadempimento constatato dalla Corte nella sentenza Commissione/Ungheria del 2020, il che costituisce una circostanza aggravante supplementare [v., per analogia, sentenza del 12 novembre 2019, Commissione/Irlanda (Centrale eolica di Derrybrien), C‑261/18, EU:C:2019:955, punto 120].

125    Infine, si deve precisare che i movimenti migratori degli ultimi anni, e in particolare quelli che hanno seguito l’aggressione russa contro l’Ucraina, non possono essere considerati, nel caso di specie, una circostanza attenuante dal momento che l’Ungheria non ha dimostrato, nelle sue osservazioni scritte o in udienza, in che modo le fosse stato impedito, a causa di tali movimenti migratori, di adottare le misure che l’esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 comporta.

126    In secondo luogo, per quanto riguarda la durata delle infrazioni di cui trattasi, occorre ricordare che essa deve essere calcolata prendendo in considerazione il momento in cui la Corte valuta i fatti [sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Grecia (Recupero di aiuti di Stato – Ferro nichel), C‑51/20, EU:C:2022:36, punto 105 e giurisprudenza ivi citata].

127    Al fine di determinare se l’inadempimento addebitato alla convenuta sia perdurato sino all’esame dei fatti del caso di specie da parte della Corte, occorre valutare le misure che, secondo tale convenuta, sono state adottate successivamente al termine stabilito nella lettera di diffida [sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 53 e giurisprudenza ivi citata].

128    Orbene, l’Ungheria non ha indicato alcuna misura, adottata tra la data di scadenza di tale termine e la fine della fase scritta del procedimento, tale da mettere in discussione la constatazione effettuata al punto 83 della presente sentenza. Essa ha indicato, in udienza, che dalla fine della fase scritta del procedimento non si era verificato alcun cambiamento nella normativa nazionale pertinente.

129    Pertanto, è accertato che l’inadempimento perdura da oltre tre anni a partire dalla data di pronuncia della sentenza Commissione/Ungheria del 2020, il che costituisce una durata considerevole.

130    Infatti, benché l’articolo 260, paragrafo 1, TFUE non precisi il termine entro il quale l’esecuzione di una sentenza deve avvenire, l’interesse collegato a un’applicazione immediata e uniforme del diritto dell’Unione impone, in base a una costante giurisprudenza, che quest’esecuzione sia avviata immediatamente e venga completata nel più breve termine possibile [sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 67 e giurisprudenza ivi citata].

131    In terzo luogo, per quanto riguarda la capacità finanziaria dello Stato membro interessato, occorre basarsi sul PIL di quest’ultimo quale fattore predominante, senza tenere conto del suo peso istituzionale. Al riguardo, si deve anche prendere in considerazione l’evoluzione recente del PIL di tale Stato membro, quale si presenta alla data dell’esame dei fatti da parte della Corte [sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 69 e giurisprudenza ivi citata].

132    Alla luce delle considerazioni che precedono, e in particolare dell’eccezionale gravità delle infrazioni di cui trattasi e della mancanza di leale cooperazione dell’Ungheria al fine di porvi fine, la Corte considera appropriata l’irrogazione di una somma forfettaria il cui importo deve essere fissato in EUR 200 000 000.

133    Di conseguenza, si deve condannare l’Ungheria a versare alla Commissione una somma forfettaria di importo pari a EUR 200 000 000.

–       Sulla penalità

134    Secondo una giurisprudenza costante, la Corte è legittimata, nell’esercizio del potere discrezionale che le è conferito nel settore interessato, ad imporre, cumulativamente, una penalità e una somma forfettaria [sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 77 e giurisprudenza ivi citata].

135    L’irrogazione di una penalità è giustificata, in linea di principio, soltanto se l’inadempimento relativo alla mancata esecuzione di una precedente sentenza perdura fino all’esame dei fatti da parte della Corte [sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 52 e giurisprudenza ivi citata].

136    Nel caso di specie, come dimostrato al punto 129 della presente sentenza, l’inadempimento contestato all’Ungheria perdura sino all’esame dei fatti del caso di specie da parte della Corte.

137    In tale contesto, la condanna dell’Ungheria al pagamento di una penalità costituisce un mezzo finanziario appropriato al fine di indurre tale Stato membro ad adottare le misure necessarie per porre fine all’inadempimento constatato e per garantire la completa esecuzione della sentenza Commissione/Ungheria del 2020 [v., per analogia, sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 55 e giurisprudenza ivi citata].

138    A tal riguardo, secondo giurisprudenza costante, tale penalità deve essere stabilita in funzione del grado di persuasione necessario affinché lo Stato membro interessato modifichi il proprio comportamento e ponga fine al comportamento censurato [v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 56 e giurisprudenza ivi citata].

139    Nell’esercizio del suo potere discrezionale in materia, spetta alla Corte fissare detta penalità in modo tale che essa sia, da una parte, adeguata alle circostanze e, dall’altra, proporzionata all’inadempimento constatato nonché alla capacità finanziaria dello Stato membro interessato [sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 57 e giurisprudenza ivi citata].

140    Le proposte della Commissione relative all’importo della medesima penalità non possono vincolare la Corte e costituiscono soltanto un’utile base di riferimento. La Corte deve restare libera di fissare la penalità inflitta nell’ammontare e nella forma che consideri adeguati per indurre lo Stato membro interessato a porre fine alla mancata esecuzione degli obblighi ad esso incombenti in forza del diritto dell’Unione [sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 58 e giurisprudenza ivi citata].

141    Nel fissare l’importo di una penalità, i criteri di base da prendere in considerazione per garantire la natura coercitiva di quest’ultima, ai fini di un’applicazione uniforme ed effettiva del diritto dell’Unione, sono, in linea di principio, la gravità delle infrazioni, la durata delle stesse e la capacità finanziaria dello Stato membro in questione. Per l’applicazione di tali criteri occorre tenere conto, in particolare, delle conseguenze della mancata esecuzione sugli interessi privati e pubblici nonché dell’urgenza che lo Stato membro interessato si conformi ai propri obblighi [v., in tal senso, sentenza del 14 dicembre 2023, Commissione/Romania (Chiusura di discariche), C‑109/22, EU:C:2023:991, punto 59 e giurisprudenza ivi citata].

142    Nel caso di specie, alla luce di tutti gli elementi di diritto e di fatto che hanno portato alla constatazione dell’inadempimento nonché delle considerazioni esposte ai punti da 102 a 131 della presente sentenza, la Corte considera adeguata l’applicazione di una penalità di importo pari a EUR 900 000 al giorno per quanto riguarda l’articolo 6 e l’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32, nonché l’applicazione di una penalità di importo pari a EUR 100 000 al giorno per quanto riguarda gli articoli 5, 6, 12 e 13 della direttiva 2008/115.

143    Si deve quindi condannare l’Ungheria a versare alla Commissione una penalità d’importo pari a EUR 900 000 per ogni giorno di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Ungheria del 2020, a decorrere dalla data della pronuncia della presente sentenza e fino alla completa esecuzione della prima sentenza nella parte in cui riguarda l’articolo 6 e l’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32. Si deve altresì condannare l’Ungheria a versare alla Commissione una penalità d’importo pari a EUR 100 000 per ogni giorno di ritardo nell’attuazione delle misure necessarie per conformarsi alla sentenza Commissione/Ungheria del 2020, a decorrere dalla data della pronuncia della presente sentenza e fino alla completa esecuzione della prima sentenza nella parte in cui riguarda gli articoli 5, 6, 12 e 13, della direttiva 2008/115.

 Sulle spese

144    Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. L’Ungheria, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda della Commissione.

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

1)      L’Ungheria, non avendo adottato tutte le misure che l’esecuzione della sentenza del 17 dicembre 2020, Commissione/Ungheria (Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) (C‑808/18, EU:C:2020:1029) comporta, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell’articolo 260, paragrafo 1, TFUE.

2)      L’Ungheria è condannata a versare alla Commissione europea una somma forfettaria d’importo pari a EUR 200 000 000.

3)      L’Ungheria è condannata a versare alla Commissione europea una penalità d’importo pari a EUR 900 000 al giorno a decorrere dalla pronuncia della presente sentenza fino alla data dell’esecuzione della sentenza del 17 dicembre 2020, Commissione/Ungheria (Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) (C808/18, EU:C:2020:1029), nella parte in cui riguarda l’articolo 6 e l’articolo 46, paragrafo 5, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.

4)      L’Ungheria è condannata a versare alla Commissione europea una penalità di importo pari a EUR 100 000 al giorno a decorrere dalla pronuncia della presente sentenza fino alla data di esecuzione della sentenza del 17 dicembre 2020, Commissione/Ungheria (Accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) (C808/18, EU:C:2020:1029), nella parte in cui riguarda gli articoli 5, 6, 12 e 13 della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

5)      L’Ungheria è condannata alle spese.

Firme


*      Lingua processuale: l’ungherese.