CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JEAN RICHARD DE LA TOUR

presentate il 13 luglio 2023 ( 1 )

Causa C‑392/22

X

contro

Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s-Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch, Paesi Bassi)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Sistema di Dublino – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Trasferimento del richiedente asilo verso lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale – Articolo 3, paragrafo 2, secondo comma – Impossibilità di eseguire il trasferimento a causa di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti – Portata – Respingimenti sommari alle frontiere esterne e misure di trattenimento ai valichi di frontiera – Regime probatorio applicabile – Dovere di cooperazione tra il richiedente e l’autorità competente e portata»

I. Introduzione

1.

Il presente rinvio pregiudiziale solleva nuovamente la questione della portata dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento (UE) n. 604/2013 ( 2 ), ai sensi del quale, qualora sia impossibile trasferire un richiedente protezione internazionale verso lo Stato membro inizialmente designato come competente per l’esame della sua domanda (in prosieguo: lo «Stato membro competente»), in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistano carenze sistemiche nella procedura di asilo che espongono quest’ultimo al rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ( 3 ), lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.

2.

Tale rinvio è stato presentato nell’ambito di una controversia tra X, cittadino siriano, e lo Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza, Paesi Bassi; in prosieguo: il «Segretario di Stato»), in merito alla decisione di quest’ultimo di non procedere all’esame della sua domanda di protezione internazionale, essendo lo Stato membro competente a tal fine la Repubblica di Polonia. X si oppone all’esecuzione del suo trasferimento verso tale Stato membro in ragione del fatto di essere stato sottoposto a respingimenti sommari alle frontiere esterne della Polonia e poi trattenuto in modo asseritamente illegittimo al valico di frontiera di tale Stato membro, per di più in condizioni non rispondenti alle sue esigenze.

3.

Nel caso di specie, la Corte è chiamata a porre un nuovo tassello nella sua linea interpretativa. Infatti, sebbene essa abbia individuato il principio alla base dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III nella sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. ( 4 ), essa ha successivamente chiarito la sua portata nelle sentenze del 16 febbraio 2017, C.K. e a. ( 5 ) e del 19 marzo 2019, Jawo ( 6 ). La presente causa si differenzia da tali precedenti giurisprudenziali in quanto il trasferimento sarebbe reso impossibile a causa della commissione, da parte dello Stato membro di regola competente, di violazioni gravi e sistematiche dei diritti fondamentali dei cittadini di paesi terzi alle sue frontiere.

4.

Nell’ambito di tale analisi, esporrò, innanzi tutto, le ragioni per le quali ritengo che le pratiche di cui al paragrafo 2 delle presenti conclusioni non consentano, di per sé, di ritenere che vi siano seri e comprovati motivi per ritenere che, in caso di trasferimento verso lo Stato membro di regola competente, il richiedente protezione internazionale correrebbe un rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta durante l’esame della sua domanda di protezione internazionale e al termine di tale esame.

5.

In seguito, spiegherò che, in tali circostanze, l’autorità competente è tenuta a eseguire la decisione di trasferimento senza prima effettuare verifiche o richiedere allo Stato membro di regola competente di fornire informazioni aggiuntive o garanzie individuali relativamente alle condizioni di accoglienza e di presa in carico del richiedente.

6.

Infine, alla luce dei principi già enunciati dalla Corte nella sua giurisprudenza, preciserò il regime probatorio nonché le modalità di cooperazione che devono presiedere all’accertamento di un rischio di trattamento inumano o degradante del richiedente nel contesto dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III.

II. Contesto normativo

7.

I considerando 19, 32 e 39 del regolamento Dublino III sono così formulati:

«(19)

Al fine di assicurare una protezione efficace dei diritti degli interessati, si dovrebbero stabilire garanzie giuridiche e il diritto a un ricorso effettivo avverso le decisioni relative ai trasferimenti verso lo Stato membro competente, ai sensi, in particolare, dell’articolo 47 della [Carta]. Al fine di garantire il rispetto del diritto internazionale è opportuno che un ricorso effettivo avverso tali decisioni verta tanto sull’esame dell’applicazione del presente regolamento quanto sull’esame della situazione giuridica e fattuale dello Stato membro in cui il richiedente è trasferito.

(...)

(32)

Per quanto riguarda il trattamento di persone che rientrano nell’ambito di applicazione del presente regolamento, gli Stati membri sono vincolati dagli obblighi che a essi derivano dagli strumenti giuridici internazionali, compresa la pertinente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo.

(...)

(39)

Il presente regolamento rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente dalla [Carta]. In particolare, il presente regolamento intende assicurare il pieno rispetto del diritto d’asilo garantito dall’articolo 18 della Carta, nonché dei diritti riconosciuti ai sensi degli articoli 1, 4, 7, 24 e 47 della stessa. Il presente regolamento dovrebbe pertanto essere applicato di conseguenza».

8.

L’articolo 3 di tale regolamento, intitolato «Accesso alla procedura di esame di una domanda di protezione internazionale», dispone quanto segue:

«1.   Gli Stati membri esaminano qualsiasi domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo o da un apolide sul territorio di qualunque Stato membro, compreso alla frontiera e nelle zone di transito. Una domanda d’asilo è esaminata da un solo Stato membro, che è quello individuato come Stato competente in base ai criteri enunciati al capo III.

2.   Quando lo Stato membro competente non può essere designato sulla base dei criteri enumerati nel presente regolamento, è competente il primo Stato membro nel quale la domanda è stata presentata.

Qualora sia impossibile trasferire un richiedente verso lo Stato membro inizialmente designato come competente in quanto si hanno fondati motivi di ritenere che sussistono carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro, che implichino il rischio di un trattamento inumano o degradante ai sensi dell’articolo 4 della [Carta], lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione dello Stato membro competente prosegue l’esame dei criteri di cui al capo III per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente.

Qualora non sia possibile eseguire il trasferimento a norma del presente paragrafo verso un altro Stato membro designato in base ai criteri di cui al capo III o verso il primo Stato membro in cui la domanda è stata presentata, lo Stato membro che ha avviato la procedura di determinazione diventa lo Stato membro competente.

(...)».

III. Fatti del procedimento principale e questioni pregiudiziali

9.

Il ricorrente, un cittadino siriano nato nel 1992, ha presentato una domanda di protezione internazionale in Polonia il 9 novembre 2021. Il 21 novembre 2021, egli si è recato nei Paesi Bassi, dove ha presentato una nuova domanda di protezione internazionale il 22 novembre 2021. Il 20 gennaio 2022, il Regno dei Paesi Bassi ha chiesto alla Repubblica di Polonia di riprendere in carico il ricorrente sulla base dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Dublino III. Il1o febbraio 2022, la Repubblica di Polonia ha accettato di riprenderlo in carico sulla base dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera c), di tale regolamento. Con decisione del 20 aprile 2022, il Segretario di Stato ha dato atto di non prendere in esame la domanda di protezione internazionale presentata dal ricorrente.

10.

Quest’ultimo ha presentato ricorso contro tale decisione dinanzi al rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s-Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch, Paesi Bassi), giudice del rinvio, e allo stesso tempo ha chiesto misure provvisorie al giudice dei procedimenti sommari. Il 3 giugno 2022, quest’ultimo ha concesso le misure richieste e ha vietato il trasferimento del ricorrente verso la Polonia fino alla decisione sul ricorso.

11.

Il ricorrente sostiene che le autorità polacche hanno violato i suoi diritti fondamentali e teme quindi che ciò si ripeta dopo il suo trasferimento verso la Polonia. Al riguardo, egli afferma di essere stato allontanato dal territorio dell’Unione verso la Bielorussia dalle autorità polacche in tre occasioni dopo il suo ingresso in Polonia, mediante una procedura denominata «pushback». Tale procedura lederebbe la dignità umana il che, alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, costituirebbe un ostacolo assoluto a un trasferimento effettuato sulla base del regolamento Dublino III ( 7 ). Il ricorrente ha fondato le sue affermazioni facendo riferimento a rapporti di organizzazioni non governative (ONG) e alla giurisprudenza della Corte, della Corte europea dei diritti dell’uomo e dei giudici nazionali. Il ricorrente denuncia, inoltre, il modo in cui è stato trattato dalle autorità polacche alla frontiera, dove, in particolare, non gli sarebbe stata fornita l’assistenza di un interprete per ottenere spiegazioni o informazioni. Avrebbe però ricevuto un documento in lingua araba che spiegava il regolamento Dublino III. Su consiglio di un’organizzazione, egli avrebbe accettato di farsi prendere le impronte digitali. Il ricorrente lamenta inoltre le condizioni in cui sarebbe stato trattenuto dopo la presentazione della domanda di protezione internazionale, in quanto non gli sarebbe stato fornito cibo a sufficienza e non avrebbe beneficiato di un controllo medico. Infine, il ricorrente afferma che in Polonia il potere giudiziario non è indipendente e ha chiesto al giudice del rinvio di sottoporre alla Corte le stesse questioni pregiudiziali che erano state sollevate nella causa che ha dato origine all’ordinanza del Presidente della Corte del 20 maggio 2022, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid ( 8 ).

12.

Il Segretario di Stato ritiene, per contro, di poter fare pieno affidamento sul principio di fiducia reciproca relativamente alla Repubblica di Polonia, dimodoché si può presumere che il ricorrente non si troverà in una situazione contraria all’articolo 4 della Carta dopo il suo trasferimento in tale Stato membro. Egli sottolinea che la pratica del «pushback» non rileva ai fini della valutazione della legittimità della decisione di trasferimento, laddove il richiedente non sarà esposto a tale pratica una volta avvenuto il suo trasferimento. Inoltre, egli sottolinea che quest’ultimo non ha dimostrato che la situazione in cui si troverà, dopo il suo trasferimento in Polonia, raggiungerà la soglia particolarmente elevata di gravità definita dalla Corte nella sentenza Jawo.

13.

Infine, il Segretario di Stato dichiara di non ravvisare alcun motivo per ricorrere alla clausola relativa alla discrezionalità conferitagli dall’articolo 17 del regolamento Dublino III, esaminando spontaneamente la domanda di protezione internazionale del richiedente.

14.

Il giudice del rinvio ritiene che spetti ad esso stabilire in che misura le violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini di paesi terzi, derivanti da pratiche di «pushback» e da misure di trattenimento illegittimo commesse dallo Stato membro di regola competente, incidano sul principio di fiducia reciproca tra gli Stati membri.

15.

In tali circostanze, il rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s-Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se il regolamento [Dublino III], alla luce dei considerando 3, 32 e 39 e in combinato disposto con gli articoli 1, 4, 18, 19 e 47 della [Carta], debba essere interpretato e applicato nel senso che il principio di fiducia reciproca tra gli Stati non è divisibile, cosicché violazioni gravi e sistematiche del diritto dell’Unione che vengono commesse dallo Stato membro eventualmente competente prima del trasferimento nei confronti di cittadini di paesi terzi che non sono (ancora) rimpatriati [in base al sistema] di Dublino ostano in senso assoluto al trasferimento in detto Stato membro.

2)

In caso di risposta negativa alla [prima] questione, se l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento [Dublino III], in combinato disposto con gli articoli 1, 4, 18, 19 e 47 della [Carta], debba essere interpretato nel senso che, laddove lo Stato membro eventualmente competente violi il diritto dell’Unione in modo grave e strutturale, lo Stato membro che effettua il trasferimento [a titolo di tale regolamento] non può fondarsi semplicemente sul principio di fiducia reciproca tra gli Stati, ma deve eliminare ogni dubbio o dimostrare che, dopo il trasferimento, il richiedente non verrà a trovarsi in una situazione in contrasto con l’articolo 4 della [Carta].

3)

Con quali mezzi di prova il richiedente possa suffragare i suoi argomenti che l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento [Dublino III] osta al suo trasferimento e quale livello probatorio sia applicabile al riguardo. Se allo Stato membro che effettua il trasferimento, in considerazione del rinvio all’acquis dell’Unione nel preambolo [di tale regolamento], incomba un dovere di cooperazione e/o di accertamento [quanto alla situazione cui il ricorrente va incontro], oppure, in caso di violazioni gravi e strutturali di diritti fondamentali nei confronti di cittadini di paesi terzi, se debbano essere ottenute dallo Stato membro competente garanzie individuali che dopo il trasferimento saranno rispettati i diritti fondamentali del richiedente. Se la risposta a questa domanda sarebbe diversa nel caso in cui il richiedente si trovi in difficoltà a presentare la prova, laddove non sia in grado di avvalorare con documenti le sue dichiarazioni coerenti e dettagliate, laddove ciò, in considerazione della natura delle dichiarazioni, non possa pretendersi.

4)

Se la risposta [alla terza questione] sia diversa qualora il richiedente dimostri che non sarà possibile e/o efficace presentare denunce alle autorità e/o presentare ricorsi».

16.

Hanno presentato osservazioni scritte il ricorrente, i governi belga, ceco, tedesco, italiano, ungherese, austriaco, polacco e dei Paesi Bassi nonché la Commissione europea.

IV. Analisi

A.   Sulla portata dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III (prima e seconda questione)

17.

Propongo alla Corte di esaminare congiuntamente la prima e la seconda questione pregiudiziale.

18.

Da un lato, con la prima questione, si chiede alla Corte di precisare se l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III debba essere interpretato nel senso che osta all’esecuzione di una decisione di trasferimento di un richiedente qualora sia accertato che lo Stato membro di regola competente ha commesso nei suoi confronti «violazioni gravi e sistematiche del diritto dell’Unione» prima dell’adozione di una siffatta decisione. Sebbene tale questione sia formulata in termini particolarmente ampi, dalla domanda di pronuncia pregiudiziale emerge chiaramente che il giudice del rinvio concentra i suoi quesiti su due tipi di pratiche a cui tale Stato membro sembra ricorrere quando i cittadini di paesi terzi tentano di attraversare o hanno appena attraversato le sue frontiere esterne, ossia la pratica dei respingimenti sommari e le misure di trattenimento ai valichi di frontiera.

19.

Rilevo quindi, innanzi tutto, che tale questione non si inscrive in una fattispecie in cui il richiedente fa valere l’esistenza di circostanze eccezionali relative al suo caso particolare, come una particolare vulnerabilità, fattispecie a cui la Corte ha fatto riferimento al punto 95 della sentenza Jawo e che ha esaminato nella sentenza del 16 febbraio 2017, C.K. e a. ( 9 ).

20.

Dall’atro lato, con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte di chiarire, nel caso in cui quest’ultima ritenga che tali pratiche non ostino all’esecuzione della decisione di trasferimento, in che misura l’autorità competente sia tenuta a garantire che il richiedente non sarà esposto a un rischio di trattamento inumano o degradante a causa di tale trasferimento.

1. Sulla portata e sulle modalità di valutazione circa l’esistenza di un rischio di trattamento inumano o degradante a causa dell’esecuzione del trasferimento

21.

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III, un richiedente protezione internazionale non può essere trasferito verso lo Stato membro di regola competente se vi sono fondati motivi di ritenere che corra un rischio di trattamenti inumani o degradanti ai sensi dell’articolo 4 della Carta, a causa di carenze sistemiche nella procedura di asilo e nelle condizioni di accoglienza dei richiedenti in tale Stato membro. Tale disposizione codifica la giurisprudenza sviluppata dalla Corte nella sentenza N.S. e a.

22.

Nella sentenza Jawo, la Corte ha ampliato la portata della verifica che deve essere effettuata dal giudice investito di un ricorso avverso una decisione di trasferimento, sulla base del rilievo che il sistema europeo comune di asilo e il principio di fiducia reciproca si fondano sulla garanzia che «l’applicazione di detto sistema non comporti, in nessuna fase e sotto alcuna forma, un grave rischio di violazioni dell’articolo 4 della Carta» ( 10 ), in quanto tale articolo contiene un divieto generale e assoluto di trattamenti inumani e degradanti ( 11 ). Di conseguenza, tale verifica deve concentrarsi tanto sul rischio di trattamenti inumani o degradanti che il richiedente corre al momento del trasferimento, quanto sul rischio cui egli è esposto quale richiedente durante la procedura di esame della sua domanda, e poi, al termine della stessa, o in quanto beneficiario dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria ( 12 ), o in quanto cittadino di un paese terzo in attesa di allontanamento in caso di diniego del riconoscimento di protezione internazionale ( 13 ).

23.

La Corte richiede all’autorità competente di effettuare una verifica che comporta due fasi.

24.

La prima fase consiste nel valutare il rischio effettivo per il richiedente di subire trattamenti inumani o degradanti sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati. Tali elementi devono consentire a detta autorità di valutare il funzionamento del sistema di protezione internazionale nello Stato membro competente e, in particolare, se vi siano carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone ( 14 ) nell’accoglienza e nella presa in carico dei richiedenti e, se del caso, l’adeguatezza e la sufficienza delle garanzie individuali che tale Stato membro può offrire. Tali elementi possono risultare in particolare da decisioni giudiziarie internazionali, come le sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, nonché da decisioni, rapporti e altri documenti redatti dagli organi del Consiglio d’Europa o relativi al sistema delle Nazioni Unite, oppure da rapporti regolari e concordanti di ONG internazionali. Al riguardo, è interessante notare che, secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, le autorità competenti «sono, in linea di principio, ritenute a conoscenza delle carenze generali ampiamente descritte in rapporti affidabili provenienti in particolare dall’[Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati], dal Consiglio d’Europa e dagli organi dell’Unione europea» ( 15 ).

25.

Per quanto riguarda i criteri in base ai quali l’autorità competente deve procedere a tale valutazione, la Corte ha dichiarato che, per rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 4 della Carta, tali carenze devono raggiungere una soglia particolarmente elevata di gravità, la quale dipende dall’insieme delle circostanze del caso di specie ( 16 ). Secondo la Corte, tale soglia è raggiunta in situazioni caratterizzate da un’estrema deprivazione materiale dell’interessato che non consenta a quest’ultimo di far fronte ai suoi bisogni più elementari quali, segnatamente, nutrirsi, lavarsi e disporre di un alloggio, e che pregiudichi la sua salute fisica o psichica o che lo ponga in uno stato di degrado incompatibile con la dignità umana ( 17 ). Detta soglia non comprenderebbe quindi alcune situazioni per quanto caratterizzate da un elevato grado di precarietà o da un forte degrado delle condizioni di vita dell’interessato ( 18 ).

26.

La seconda fase di tale verifica deve consentire all’autorità competente di valutare, in modo concreto e preciso, se sussistano seri e comprovati motivi per ritenere che l’interessato corra un rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti a causa del trattamento che gli verrà accordato al momento dell’esame della sua domanda e al termine dello stesso. Tale valutazione richiede un’analisi su base individuale e prospettica del rischio a cui egli sarà esposto.

2. Sugli effetti dei respingimenti sommari di cittadini di paesi terzi e delle misure di trattenimento dei richiedenti ai valichi di frontiera sull’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III

27.

Nel caso di specie, gli argomenti del ricorrente fanno riferimento non tanto all’esistenza di circostanze eccezionali relative al suo caso particolare, quanto piuttosto all’esistenza di violazioni o di carenze nell’attuazione, da parte dello Stato membro di regola competente, delle procedure di accoglienza dei cittadini di paesi terzi e dei richiedenti protezione internazionale alle sue frontiere. Come sottolinea il giudice del rinvio, il ricorrente lamenta, da un lato, di aver subito diversi respingimenti sommari alla frontiera esterna della Polonia prima di presentare la sua domanda di protezione internazionale e, dall’altro, il trattamento che gli è stato riservato quando è entrato nel territorio polacco e quando ha presentato la sua domanda di protezione internazionale, essendo stato trattenuto al valico di frontiera. Il giudice del rinvio sottolinea, al riguardo, che il ricorso a tali due pratiche è supportato da informazioni oggettive, attendibili, precise e opportunamente aggiornate.

28.

Non ritengo che tali argomenti, anche qualora fossero supportati da dette informazioni, siano sufficienti per escludere l’applicazione del principio di fiducia reciproca e, quindi, impedire l’esecuzione della decisione di trasferimento adottata ai sensi dell’articolo 29 del regolamento Dublino III.

29.

Infatti, detti argomenti, nella parte in cui riguardano pratiche relative alle condizioni di attraversamento delle frontiere esterne di uno Stato membro e la presentazione di domande di protezione internazionale a tali frontiere, non consentono di accertare le condizioni prevedibili di presa in carico del richiedente in caso di trasferimento in tale Stato membro.

30.

Per quanto riguarda la pratica dei respingimenti sommari dei cittadini di paesi terzi alla frontiera di uno Stato membro, essa costituisce chiaramente una grave violazione dei loro diritti fondamentali. A prescindere dallo status giuridico dell’interessato, il principio di non respingimento, sancito dall’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dagli articoli 18 e 19 della Carta, è una componente essenziale del divieto di tortura e di pene o trattamenti inumani o degradanti. Tale principio vieta l’allontanamento, l’espulsione o l’estradizione non solo verso un paese in cui una persona potrebbe essere esposta a un rischio di persecuzione o di danno grave (respingimento diretto), ma anche verso un paese in cui essa correrebbe un grave rischio di essere successivamente allontanata verso detto paese (respingimento indiretto).

31.

La Corte europea dei diritti dell’uomo esamina la legittimità di tale pratica, nota anche come «espulsione sommaria» o come «rimpatrio forzato», nel contesto dell’articolo 3 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ( 19 ) o dell’articolo 4 del Protocollo alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che riconosce alcuni diritti e libertà oltre quelli che già figurano nella Convenzione e nel Protocollo addizionale alla Convenzione ( 20 ), come modificato dal Protocollo n. 11, intitolato «Divieto di espulsioni collettive di stranieri» ( 21 ). Essa la collega all’espulsione, che si riferisce a qualsiasi allontanamento forzato di un cittadino di un paese terzo dal territorio di uno Stato, indipendentemente dalla regolarità del soggiorno dell’interessato, dal tempo che egli ha trascorso in tale territorio, dal luogo in cui è stato fermato, dal suo status di migrante o di richiedente asilo o dal suo comportamento al momento dell’attraversamento della frontiera ( 22 ). Ai cittadini di paesi terzi viene di fatto negata la possibilità di accedere al territorio dello Stato. Orbene, tale accesso è un prerequisito indispensabile per l’attuazione di una procedura di identificazione e valutazione dei bisogni particolari delle persone più vulnerabili. Taluni cittadini di paesi terzi possono quindi trovarsi nell’impossibilità di presentare una domanda di protezione internazionale.

32.

In tale contesto, ritengo che la pratica dei respingimenti sommari alla frontiera di uno Stato membro incida sul corretto funzionamento del sistema europeo comune di asilo nella sua dimensione esterna, in quanto non garantisce l’accesso a una protezione internazionale.

33.

Tuttavia, il fatto che lo Stato membro di regola competente incontri notevoli difficoltà nel contesto della gestione integrata delle sue frontiere e dell’applicazione del regolamento (CE) n. 562/2006 ( 23 ), inducendolo ad adottare pratiche alla frontiera suscettibili di violare i diritti fondamentali delle persone interessate, non costituisce di per sé un motivo serio e comprovato per ritenere che il richiedente protezione internazionale corra, in caso di trasferimento verso tale Stato membro, un rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, durante l’esame della sua domanda di protezione internazionale e al termine dello stesso ( 24 ). Come sottolineato dal Segretario di Stato dinanzi al giudice del rinvio, la pratica dei respingimenti sommari è irrilevante ai fini della valutazione della legittimità della decisione di trasferimento, laddove il richiedente non sarà esposto a tale pratica una volta avvenuto il suo trasferimento.

34.

La natura e la gravità del rischio di un trattamento inumano o degradante a cui il richiedente è esposto a causa del suo trasferimento verso lo Stato membro di regola competente devono essere valutate alla luce di dati precisi relativi alle mancanze o alle carenze di tale Stato membro in situazioni oggettivamente comparabili a quelle in cui il richiedente rischia di trovarsi, a seguito di tale trasferimento in qualità di richiedente, durante la procedura di esame della sua domanda, e successivamente, in qualità di beneficiario dello status di rifugiato o di protezione sussidiaria al termine della procedura, oppure in qualità di cittadino di un paese terzo in procinto di essere allontanato se la sua domanda viene respinta ( 25 ). Le indicazioni sulle pratiche a cui ricorre lo Stato membro di regola competente in caso di tentativi di attraversamento delle sue frontiere esterne o di presentazione di domande di protezione internazionale alle sue frontiere non consentono di presumere il trattamento che sarà riservato all’interessato nel prosieguo della procedura di esame della sua domanda e al termine della stessa. Ancorché tali indicazioni sembrino dimostrare l’esistenza di gravi violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini di paesi terzi, esse non dovrebbero essere considerate come dati rilevanti ai fini della valutazione del rischio di trattamenti inumani o degradanti che l’autorità competente deve effettuare sulla base dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, con il rischio di paralizzare il funzionamento di tale regolamento.

35.

Tale conclusione si impone anche per quanto riguarda le carenze a cui dovrebbe far fronte lo Stato membro di regola competente nel trattamento dei cittadini di paesi terzi al momento dell’attraversamento delle frontiere e nell’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale trattenuti ai valichi di frontiera. Tali carenze riguardano situazioni non paragonabili a quelle in cui potrebbe trovarsi il richiedente oggetto di una decisione di trasferimento, sia per lo status del cittadino di paese terzo, che per il corpus normativo applicabile. In assenza di dati attestanti l’esistenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone nell’attuazione della direttiva 2013/33 e, in particolare, nell’accesso alle condizioni materiali di accoglienza, tali considerazioni non sono, a loro volta, sufficienti a costituire un serio e comprovato motivo per ritenere che l’interessato correrebbe, in caso di trasferimento verso tale Stato membro, un rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti durante l’esame della sua domanda di protezione internazionale o al termine dello stesso, in particolare trovandosi in una situazione di estrema deprivazione materiale ( 26 ).

36.

In conclusione, in assenza di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati in grado di dimostrare l’esistenza, nello Stato membro di regola competente, di carenze sistemiche o generalizzate che incidono sul regime di protezione internazionale o di carenze che incidono sulla presa in carico e sul trattamento di un gruppo oggettivamente identificabile di persone cui il richiedente apparterrebbe, non vi è alcun valido motivo per cui l’autorità competente possa presumere che il trattamento riservato al richiedente, durante la procedura di esame della sua domanda e al termine della stessa, lo esporrà al rischio di un trattamento inumano o degradante. Al contrario, tale autorità è tenuta a basare la propria valutazione sul fatto che i diritti fondamentali, compresi quelli basati sulla Convenzione relativa allo status dei rifugiati ( 27 ), come integrata dal Protocollo relativo allo status dei rifugiati ( 28 ) nonché dalla CEDU ( 29 ), saranno rispettati, in conformità al principio di fiducia reciproca.

37.

In tali circostanze, l’autorità competente non può quindi essere autorizzata a esigere dallo Stato membro di regola competente che questi fornisca informazioni aggiuntive o garanzie individuali relativamente alle condizioni di accoglienza e di vita del richiedente durante l’esame della sua domanda e al termine dello stesso, salvo violare il principio di fiducia reciproca a cui gli Stati membri sono tenuti e su cui si fonda il sistema europeo comune in materia di asilo. Inoltre, procedure siffatte, nella misura in cui richiederebbero tempi supplementari, non consentirebbero di garantire la rapida determinazione dello Stato membro competente e il celere trattamento delle domande, che sono nondimeno obiettivi che il legislatore dell’Unione mira a conseguire nell’ambito del regolamento Dublino III ( 30 ).

38.

Alla luce di tali elementi, ritengo che l’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III, letto alla luce dell’articolo 4 della Carta, debba essere interpretato nel senso che esso non osta all’esecuzione di una decisione di trasferimento di un richiedente protezione internazionale che è stato sottoposto a respingimenti sommari alla frontiera esterna dello Stato membro che, ai sensi di tale regolamento, è di regola competente per l’esame della sua domanda, nonché a una misura di trattenimento asseritamente illegittima al valico di frontiera di tale Stato membro, a condizione che l’autorità competente non disponga di elementi atti a dimostrare l’esistenza di seri e comprovati motivi per ritenere che quest’ultimo sarebbe esposto a un rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti durante l’esame della sua domanda e al termine dello stesso, a causa del suo trasferimento verso detto Stato membro.

39.

In assenza di tali elementi, l’autorità competente è tenuta a eseguire la decisione di trasferimento, ai sensi dell’articolo 29 di detto regolamento, senza prima effettuare verifiche o richiedere allo Stato membro di regola competente di fornire informazioni aggiuntive o garanzie individuali relativamente al trattamento che sarà riservato all’interessato durante la procedura di esame della sua domanda di protezione internazionale e al termine della stessa.

B.   Sul regime probatorio e sull’obbligo di cooperazione applicabili nell’ambito dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III (terza e quarta questione)

40.

Propongo alla Corte di trattare insieme la terza e la quarta questione pregiudiziale.

41.

Con la sua terza questione, il giudice del rinvio, da un lato, chiede alla Corte di chiarire il regime probatorio applicabile nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III. In particolare, esso chiede quali siano i mezzi di prova nonché il livello di prova richiesti al fine di accertare un rischio di trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta, derivante da un trasferimento verso lo Stato membro di regola competente.

42.

Dall’altro lato, il giudice del rinvio chiede alla Corte se incomba sull’autorità competente un dovere di cooperazione ai fini dell’accertamento di un tale rischio e, se del caso, quale sia la portata di tale obbligo. In tale contesto, esso invita la Corte a precisare in che misura l’autorità competente sia tenuta a verificare l’esistenza di un rischio di trattamenti inumani o degradanti nello Stato membro di regola competente, o a richiedere garanzie individuali in caso di violazioni gravi e strutturali dei diritti fondamentali da parte di quest’ultimo.

43.

Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede se l’assenza di una tutela giuridica effettiva nello Stato membro di regola competente influisca sul regime probatorio o sulle modalità di cooperazione stabilite nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III.

1. Sul regime probatorio applicabile nell’ambito dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III

44.

Il legislatore dell’Unione non disciplina il regime probatorio applicabile nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III. Tuttavia, ritengo che l’impianto sistematico di tale regolamento nonché le regole stabilite dalla Corte nella propria giurisprudenza consentano di individuare i principi su cui deve basarsi tale regime.

45.

In primo luogo, la valutazione da effettuare ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, di detto regolamento prevede che il richiedente abbia l’opportunità di presentare tutti gli elementi in suo possesso che contribuiscano a dimostrare l’esistenza di un rischio di trattamenti inumani o degradanti in caso di trasferimento verso lo Stato membro di regola competente.

46.

Il richiedente deve disporre di tale opportunità nella fase del colloquio personale e, se del caso, al momento della presentazione del ricorso avverso la decisione di trasferimento.

47.

Il colloquio personale rientra tra i principi generali e le garanzie di cui al capo II del regolamento Dublino III. L’articolo 5, paragrafo 1, di tale regolamento prevede che l’autorità competente svolga un colloquio personale con il richiedente al fine di agevolare la procedura di determinazione dello Stato membro competente e di garantire la corretta comprensione delle informazioni fornite al richiedente ai sensi dell’articolo 4 di detto regolamento. Tale colloquio deve essere soprattutto l’occasione per il richiedente di formulare dichiarazioni circostanziate e/o di fornire tutti gli elementi di prova e le circostanze indiziarie di cui all’articolo 21, paragrafo 3, e all’articolo 22, paragrafo 3, dello stesso regolamento, che consentono di presumere la competenza di uno Stato membro e sulla cui base viene presentata la richiesta di presa in carico ( 31 ). Tali elementi di prova e tali circostanze indiziarie si riferiscono all’applicazione dei criteri di determinazione dello Stato membro competente elencati nel capo III del regolamento Dublino III, che non contempla il «criterio di esclusione» enunciato all’articolo 3, paragrafo 2, di tale regolamento ( 32 ). Tuttavia, a mio avviso, nulla osta a che tale colloquio personale sia anche l’occasione per il richiedente di esporre i suoi timori e di comunicare, se del caso, gli elementi che possono dimostrare l’esistenza di un rischio di trattamento inumano o degradante nel caso in cui sia previsto il suo trasferimento verso un altro Stato membro. Infatti, la formulazione dell’articolo 5, paragrafo 1, primo comma, di detto regolamento è sufficientemente ampia da consentire tale interpretazione, che, inoltre, contribuisce a raggiungere l’obiettivo perseguito dal legislatore dell’Unione quando richiede lo svolgimento di un colloquio personale, ossia rafforzare i diritti dei richiedenti e coinvolgerli al meglio nel processo di determinazione dello Stato membro competente ( 33 ). Infine, tale interpretazione mi sembra supportata dai principi che la Corte ha elaborato nelle sentenze del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. ( 34 ) e del 16 luglio 2020, Addis ( 35 ), relative alla valutazione del grave rischio di subire trattamenti inumani e degradanti cui il richiedente sarebbe esposto in caso di rinvio nello Stato membro in cui già gode di protezione internazionale. Al riguardo, rimando ai paragrafi da 55 a 57 delle presenti conclusioni.

48.

Dopo l’adozione di una decisione di trasferimento, il richiedente può far valere le ragioni per le quali un tale trasferimento rischia di esporlo a un trattamento inumano o degradante nell’ambito del ricorso che può presentare avverso tale decisione ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. La presente causa ne è un esempio.

49.

In secondo luogo, per quanto riguarda gli elementi di prova che egli deve fornire, la Commissione ha esposto, nelle sue osservazioni, che, alla luce della sentenza Jawo, «il richiedente deve fornire elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati che indichino l’esistenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone e raggiungono una soglia particolarmente elevata di gravità».

50.

Non condivido tale analisi.

51.

Da un lato, mi sembra che tale interpretazione conduca a far gravare sul richiedente un onere della prova eccessivo, considerate le difficoltà che egli può incontrare nella costituzione delle prove e, in particolare, le risorse a sua disposizione.

52.

Concordo sul fatto che, in linea di principio, spetti al richiedente produrre elementi atti a dimostrare l’esistenza di fondati motivi per ritenere che, se la decisione di trasferimento fosse eseguita, egli sarebbe esposto a un rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti. Tuttavia, ritengo necessario essere cauti riguardo ai requisiti relativi alla natura e al livello di prova richiesti, in quanto essi dipendono dalle circostanze del singolo caso di specie. Pertanto, condivido l’osservazione del governo polacco secondo cui l’assenza di un qualsiasi documento a supporto della dichiarazione del richiedente non può essere, di per sé, considerata a priori come un’indicazione della mancanza del suo valore probatorio. Infatti, alcuni richiedenti sono in grado di esporre, in maniera concreta, i loro timori fornendo informazioni pertinenti, se non addirittura prove documentali, relativamente alle condizioni della loro presa in carico, avendo soggiornato, a tale titolo, sul territorio dello Stato membro di regola competente prima di lasciarlo. Altri, per contro, non sono in grado di presentare prove a sostegno delle loro dichiarazioni e, se ne sono in possesso, di comunicare quelle più rilevanti. Al riguardo, il governo dei Paesi Bassi sottolinea, nelle sue osservazioni, che il richiedente può fornire le informazioni disponibili sullo Stato membro interessato, quali le relazioni redatte dall’Asylum Information Database (AIDA) o gli accordi di cooperazione conclusi tra tale Stato membro e l’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo (EUAA), oppure i rapporti delle organizzazioni di difesa dei diritti umani. Se è vero che nella fase di ricorso avverso una decisione di trasferimento alcuni richiedenti possono effettivamente utilizzare mezzi messi a disposizione dalla loro assistenza legale e linguistica, non sono persuaso del fatto che, nella maggior parte dei casi, essi siano necessariamente a conoscenza delle fonti di informazione utili per quanto riguarda il rispetto, in uno Stato membro, dei diritti fondamentali dei richiedenti e, eventualmente, dei mezzi per accedervi.

53.

In tali circostanze, ancorché il richiedente possa essere tenuto a dimostrare sufficientemente la realtà peculiare della propria situazione personale, attraverso la natura e la portata delle sue dichiarazioni e, se del caso, con prove documentali o indiziarie in suo possesso, per contro non ci si può da lui aspettare che egli fornisca dati oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati che consentano di dimostrare l’esistenza di carenze nello Stato membro di regola competente nonché il livello di gravità del rischio che corre. Siffatte azioni rientrano, a mio avviso, nella responsabilità dell’autorità competente, che è l’unica in grado di effettuare la valutazione giuridica necessaria per l’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III.

54.

Dall’altro lato, non vedo alcun motivo tale da giustificare che il richiedente sostenga un onere della prova più gravoso di quello che gli incombe quando deve dimostrare di correre un rischio di trattamenti contrari all’articolo 4 della Carta, in caso di rinvio nello Stato membro in cui già gode di protezione internazionale.

55.

Ricordo che nella sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. ( 36 ), che è stata pronunciata nello stesso giorno della sentenza Jawo, la Corte ha dichiarato che l’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32/UE ( 37 ) non osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta da tale disposizione di respingere come inammissibile una domanda di protezione internazionale per il motivo che al richiedente è già stata concessa da un altro Stato membro una siffatta protezione, quando le prevedibili condizioni di vita in cui si troverebbe tale richiedente quale beneficiario di detta protezione in tale altro Stato membro non lo esporrebbero a un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, ai sensi dell’articolo 4 della Carta ( 38 ).

56.

In tale contesto, la Corte ha elaborato principi identici a quelli enunciati nella sentenza Jawo, applicando quest’ultima per analogia. Essa ha quindi stabilito che, qualora le autorità di uno Stato membro dispongano di elementi prodotti dal richiedente per dimostrare l’esistenza di un tale rischio nello Stato membro che ha già riconosciuto una protezione internazionale, tali autorità sono tenute a valutare, sulla base di elementi oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati e in considerazione del livello di tutela dei diritti fondamentali garantito dal diritto dell’Unione, l’esistenza di carenze vuoi sistemiche o generalizzate, vuoi che colpiscono determinati gruppi di persone ( 39 ). Per quanto riguarda la soglia di gravità, essa è logicamente identica a quella definita nella sentenza Jawo e implica che l’interessato sia esposto al rischio di trovarsi in una situazione di estrema deprivazione materiale ( 40 ).

57.

Nella sentenza del 16 luglio 2020, Addis ( 41 ), la Corte ha concluso che la valutazione di un rischio di trattamenti contrari all’articolo 4 della Carta deve essere effettuata dopo aver offerto al richiedente l’opportunità di presentare tutti gli elementi, in particolare di natura personale, idonei a confermarne l’esistenza ( 42 ). La Corte ha quindi dichiarato che il colloquio personale deve consentire all’autorità accertante non solo di valutare la situazione specifica del richiedente e il grado di vulnerabilità di quest’ultimo, ma anche di accertarsi che egli sia stato invitato a fornire «tutti gli elementi atti a dimostrare che un rinvio nello Stato membro che gli ha concesso una protezione internazionale lo esporrebbe a un rischio di trattamenti contrari all’articolo 4 [della Carta]» ( 43 ).

58.

È giocoforza constatare che la Corte, alla stregua del legislatore dell’Unione, non ha ivi stabilito alcun requisito relativo alla natura e alla forza degli elementi di prova che il richiedente è tenuto a fornire a sostegno delle sue affermazioni. Non vi è quindi motivo, a mio avviso, di discostarsi da tali principi nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III, nella misura in cui non è necessario distinguere la situazione del richiedente che afferma correre un rischio di trattamento inumano o degradante a seconda che venga rinviato verso lo Stato membro in cui già gode di protezione internazionale o verso lo Stato membro competente.

59.

In base a tali considerazioni, concludo che spetta al richiedente formulare dichiarazioni circostanziate e, se del caso, produrre tutti gli elementi in suo possesso atti a dimostrare che vi sono seri motivi per ritenere che sarebbe esposto a un rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti a causa del suo trasferimento verso lo Stato membro di regola competente.

2. Sull’esistenza e, se del caso, sulla portata del dovere di cooperazione che incombe all’autorità competente nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III

60.

Nella seconda parte della sua terza questione, il giudice del rinvio chiede alla Corte di precisare in che misura l’autorità competente sia tenuta a cooperare con il richiedente al fine di accertare un rischio di trattamento inumano e degradante in caso di trasferimento verso lo Stato membro di regola competente. Un tale obbligo, laddove imponesse a tale autorità di esaminare e valutare in modo approfondito l’esistenza di un rischio effettivo di subire trattamenti inumani e degradanti, consentirebbe di compensare le difficoltà a cui è esposto il richiedente per quanto riguarda la prova dell’esistenza di un tale rischio, considerato che, peraltro, quest’ultimo non beneficia delle stesse garanzie procedurali previste dalle direttive 2011/95 e 2013/32.

61.

Il regolamento Dublino III non stabilisce alcun obbligo di cooperazione tra il richiedente e l’autorità competente nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, di tale regolamento.

62.

Da un lato, il regolamento Dublino III si basa, innanzi tutto, sui principi di fiducia reciproca e di cooperazione amministrativa tra gli Stati membri. Benché il richiedente venga ascoltato dall’autorità competente nel corso di un colloquio personale, la procedura di determinazione dello Stato membro competente si basa in particolare, conformemente al capo VII di tale regolamento, sulla condivisione di informazioni, sullo scambio di dati nonché sugli accordi amministrativi tra le autorità competenti degli Stati membri. Infatti, ai sensi del suo considerando 1, il regolamento n. 1560/2003 ha come scopo quello di definire chiaramente le modalità per l’effettiva attuazione del regolamento Dublino III, «in modo da facilitare la cooperazione fra le autorità degli Stati membri competenti per la [sua] applicazione, con riguardo sia alla trasmissione e al trattamento delle richieste di presa in carico e di ripresa in carico, sia alle domande di informazione e all’esecuzione dei trasferimenti».

63.

Dall’altro lato, l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III ha codificato i principi enunciati dalla Corte nella sentenza N.S. e a., senza che il legislatore dell’Unione integri disposizioni specifiche quanto all’esistenza di un eventuale dovere di cooperazione tra il richiedente e l’autorità competente.

64.

Nel silenzio di tale testo, il governo polacco suggerisce, nelle sue osservazioni, di applicare per analogia le disposizioni di cui all’articolo 4 della direttiva 2011/95; il giudice del rinvio ritiene, al riguardo, che l’obbligo di cooperazione che verrebbe in tal modo introdotto ai fini dell’accertamento di un rischio di trattamento inumano e degradante in caso di trasferimento verso lo Stato membro di regola competente sarebbe, per la sua natura e la sua portata, paragonabile a quello stabilito nell’ambito della direttiva 2011/95.

65.

Un’applicazione per analogia richiede, se non l’identità, almeno la somiglianza tra la situazione oggetto di un vuoto giuridico e quella disciplinata dal legislatore dell’Unione. Dunque, sebbene il regolamento Dublino III differisca per oggetto e finalità dalle direttive 2011/95 e 2013/32 ( 44 ), la situazione di cui all’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, di tale regolamento, relativa all’esistenza di un rischio di trattamento inumano o degradante in caso di trasferimento del richiedente verso lo Stato membro di regola competente, e quella di cui all’articolo 4 della direttiva 2011/95, relativa all’accertamento di un rischio effettivo di subire un danno grave in caso di rimpatrio del richiedente nel suo paese di origine, sono simili in termini di ragion d’essere di ciascuna di tali disposizioni. Certo, la valutazione del rischio effettuata nell’ambito della procedura di determinazione dello Stato membro competente ha una portata più limitata. Tuttavia, essa persegue la stessa finalità di quella effettuata nel corso dell’esame di una domanda di protezione internazionale, ossia garantire il rispetto dei diritti fondamentali del richiedente, e coinvolge gli stessi soggetti.

66.

Non credo, tuttavia, che sia necessario procedere con un’applicazione per analogia. Infatti, nelle sentenze N.S. e a., del 16 febbraio 2017, C.K. e a. ( 45 ) e Jawo, la Corte ha stabilito, tra le righe, un obbligo di cooperazione tra il richiedente e l’autorità competente nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III, le cui modalità sono simili a quelle previste dall’articolo 4 della direttiva 2011/95.

67.

In entrambi i casi, le dichiarazioni rese dal richiedente durante il suo colloquio personale e, se del caso, le prove documentali o indiziarie da lui fornite, costituiscono solo il punto di partenza della procedura di esame dei fatti e delle circostanze condotta dalle autorità competenti ( 46 ). Analogamente a quanto previsto dall’articolo 4, paragrafi 3 e 5, della direttiva 2011/95 ( 47 ), la Corte richiede che l’autorità competente valuti il rischio effettivo che il richiedente subisca trattamenti inumani o degradanti alla luce non solo di dati oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati relativi al funzionamento del sistema di protezione internazionale nello Stato membro di regola competente, ma anche della situazione specifica del richiedente, il che implica che tale autorità sia tenuta a effettuare una valutazione su base individuale ( 48 ).

68.

Riconosco che la portata di tale cooperazione tra il richiedente e l’autorità competente nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III differisce dalla cooperazione stabilita nell’ambito dell’articolo 4 della direttiva 2011/95 per un caso di specie, ossia quello in cui da tale valutazione emerga l’esistenza di seri e comprovati motivi per ritenere che il richiedente corra un rischio di trattamenti inumani o degradanti a causa del suo trasferimento verso lo Stato membro competente. Infatti, in tal caso, i principi di fiducia reciproca e di cooperazione amministrativa su cui si fonda il regolamento Dublino III richiedono, a mio avviso, che l’autorità competente chieda, caso per caso, allo Stato membro di regola competente di comunicare informazioni aggiuntive o di fornire garanzie individuali e adeguate per quanto riguarda le condizioni di accoglienza o di presa in carico del richiedente, e ciò al fine di eseguire la decisione di trasferimento nel rispetto dell’articolo 4 della Carta. Infatti, nel caso in cui tali garanzie dovessero rivelarsi insufficienti, detto articolo implica l’obbligo di non eseguire tale decisione, in quanto l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III impone all’autorità competente di proseguire l’esame dei criteri enunciati al capo III di tale regolamento per verificare se un altro Stato membro possa essere designato come competente (secondo comma) o di esaminare essa stessa la domanda di protezione internazionale (terzo comma).

3. Sulle conseguenze di un’eventuale inefficacia o inadeguatezza dei mezzi di ricorso nello Stato membro competente sul regime probatorio o sulle modalità di cooperazione stabilite nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento Dublino III

69.

Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, infine, in che misura l’inefficacia o l’inadeguatezza dei mezzi di ricorso che conducono all’assenza di una tutela giuridica effettiva nello Stato membro competente incida sul regime probatorio o sulle modalità di cooperazione applicabili nell’ambito dell’attuazione dell’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento Dublino III.

70.

Come il governo dei Paesi Bassi, ritengo che l’eventuale esistenza di carenze nello Stato membro di regola competente non incida di per sé su tale regime probatorio o su tali modalità di cooperazione tra il richiedente e l’autorità competente. Considerato isolatamente, tale elemento non costituisce una violazione dell’articolo 4 della Carta. Per contro, combinato con l’esistenza di carenze nel sistema di protezione internazionale, esso incide sulla portata della valutazione del rischio che l’autorità competente deve effettuare e, se del caso, sulle informazioni aggiuntive o sulle garanzie individuali che questa può richiedere.

71.

Alla luce dell’insieme di tali considerazioni, ritengo che spetti all’autorità competente valutare, in cooperazione con il richiedente, se vi siano seri e comprovati motivi per ritenere che quest’ultimo sarà esposto a un rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti a causa del suo trasferimento verso lo Stato membro di regola competente. Mentre il richiedente è tenuto a formulare dichiarazioni circostanziate e, se del caso, a produrre tutti gli elementi in suo possesso atti a dimostrare l’esistenza di un tale rischio, l’autorità competente è tenuta, da parte sua, a valutare tali elementi e a effettuare la sua valutazione del rischio alla luce non solo dei dati oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati relativi al funzionamento del sistema di protezione internazionale in tale Stato membro, ma anche alla luce della situazione specifica del richiedente, chiedendo, se del caso, presso detto Stato membro garanzie individuali e adeguate per quanto riguarda le condizioni di accoglienza o di presa in carico di quest’ultimo.

V. Conclusione

72.

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s‑Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch, Paesi Bassi) come segue:

L’articolo 3, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, letto alla luce dell’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

deve essere interpretato nel senso che:

esso non osta all’esecuzione di una decisione di trasferimento di un richiedente protezione internazionale che sostiene di essere stato sottoposto a respingimenti sommari alla frontiera esterna dello Stato membro che, ai sensi di tale regolamento, è di regola competente per l’esame della sua domanda, nonché a una misura di trattenimento asseritamente illegittima al valico di frontiera di tale Stato membro, a condizione che l’autorità competente non disponga di elementi atti a dimostrare l’esistenza di seri e comprovati motivi per ritenere che quest’ultimo sarebbe esposto a un rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti durante l’esame della sua domanda e al termine dello stesso, a causa del suo trasferimento verso detto Stato membro. In assenza di tali elementi, l’autorità competente è tenuta a eseguire la decisione di trasferimento, ai sensi dell’articolo 29 di detto regolamento, senza prima effettuare verifiche o richiedere allo Stato membro di regola competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale di fornire informazioni aggiuntive o garanzie individuali relativamente al trattamento che sarà riservato all’interessato durante la procedura di esame della sua domanda di protezione internazionale e al termine della stessa;

spetta all’autorità competente valutare, in cooperazione con il richiedente protezione internazionale, se vi siano seri e comprovati motivi per ritenere che quest’ultimo sarà esposto a un rischio effettivo di subire trattamenti inumani o degradanti a causa del suo trasferimento verso lo Stato membro di regola competente. Mentre il richiedente è tenuto a formulare dichiarazioni circostanziate e, se del caso, a produrre tutti gli elementi in suo possesso atti a dimostrare l’esistenza di un tale rischio, l’autorità competente è tenuta, da parte sua, a valutare tali elementi e a effettuare la sua valutazione del rischio alla luce non solo dei dati oggettivi, attendibili, precisi e opportunamente aggiornati relativi al funzionamento del sistema di protezione internazionale in tale Stato membro, ma anche alla luce della situazione specifica del richiedente, chiedendo, se del caso, presso detto Stato membro garanzie individuali e adeguate per quanto riguarda le condizioni di accoglienza o di presa in carico di quest’ultimo.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31; in prosieguo: il «regolamento Dublino III»).

( 3 ) In prosieguo: la «Carta».

( 4 ) C‑411/10 e C493/10, EU:C:2011:865; in prosieguo: la «sentenza N.S. e a.».

( 5 ) C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127.

( 6 ) C‑163/17, EU:C:2019:218; in prosieguo: la «sentenza Jawo».

( 7 ) X cita la sentenza della Corte EDU del 21 gennaio 2011, M.S.S. c. Belgio e Grecia (CE:ECHR:2011:0121JUD003069609).

( 8 ) C‑208/22, non pubblicata, EU:C:2022:441.

( 9 ) C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127.

( 10 ) Sentenza Jawo (punto 89).

( 11 ) V. sentenza Jawo (punto 87).

( 12 ) V. sentenza Jawo (punto 89, in cui la Corte ha anche rilevato che «sarebbe, al riguardo, contraddittorio che l’esistenza di un tale rischio nella fase della procedura di asilo impedisca un trasferimento, mentre invece questo venga tollerato quando tale procedura si è conclusa con il riconoscimento di una protezione internazionale»).

( 13 ) La sentenza N.S. e a. ne è un esempio, poiché nella causa che ha dato origine a tale sentenza vi era una carenza sistemica nello Stato membro in cui il richiedente doveva essere trattenuto in caso di allontanamento, carenza che era stata riscontrata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo a seguito di ricorsi individuali di cui era stata investita.

( 14 ) V. sentenze Jawo (punto 90 e giurisprudenza citata) e N.S. e a. (punto 91).

( 15 ) Sentenza della Corte EDU del 21 novembre 2019, Ilias e Ahmed c. Ungheria (EC:ECHR:2019:1121JUD004728715, § 141).

( 16 ) Nella sentenza Jawo (punto 91), la Corte ha fatto riferimento alla sentenza della Corte EDU del 21 gennaio 2011 nella causa M.S.S. c. Belgio e Grecia (EC:ECHR:2011:0121JUD003069609, § 254).

( 17 ) Nella sentenza Jawo (punto 92), la Corte ha fatto riferimento alla sentenza della Corte EDU del 21 gennaio 2011 nella causa M.S.S. c. Belgio e Grecia (EC:ECHR:2011:0121JUD003069609, §§ da 252 a 263).

( 18 ) V. sentenza Jawo (punto 93).

( 19 ) Firmata a Roma il 4 novembre 1950, in prosieguo: la «CEDU».

( 20 ) Firmato a Strasburgo il 16 settembre 1963.

( 21 ) Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, tale nozione si riferisce a «varie misure adottate dagli Stati, a volte con la partecipazione di paesi terzi o di attori non statali, che comportano che i migranti, compresi i richiedenti asilo, siano sommariamente costretti a ritornare, senza che siano valutate le loro esigenze individuali in materia di protezione dei diritti umani, nel paese o nel territorio, o nelle aree marittime, siano esse acque territoriali o internazionali, da cui hanno tentato di attraversare o hanno effettivamente attraversato una frontiera internazionale» (v. Relatore speciale sui diritti umani dei migranti, Rapport sur les moyens de répondre aux conséquences pour les droits de l’homme des mesures de renvoi de migrants sur terre et en mer (Rapporto sulle modalità per affrontare le implicazioni per i diritti umani delle misure di rimpatrio di migranti via terra e via mare, traduzione libera), 12 maggio 2021, punto 34).

( 22 ) V. sentenza della Corte EDU del 13 febbraio 2020, N.D. e N.T. c. Spagna (CE:ECHR:2020:0213JUD000867515, § 185). La Corte europea dei diritti dell’uomo è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione dell’applicabilità dell’articolo 4 del protocollo citato al paragrafo 31 delle presenti conclusioni, relativo al «[d]ivieto di espulsioni collettive di stranieri», al rimpatrio immediato e forzato di cittadini di paesi terzi da una frontiera terrestre a seguito di un tentativo, effettuato da un gran numero di migranti, di attraversare tale frontiera in modo irregolare e in massa. In tale sentenza, la Corte ha osservato che la specificità del contesto migratorio e le notevoli difficoltà che gli Stati affrontano attualmente per far fronte a un flusso crescente di migranti e richiedenti asilo non possono portare alla legittimazione di uno spazio di non diritto in cui gli individui non siano soggetti ad alcun regime giuridico in grado di garantire loro il godimento dei diritti e delle garanzie previsti dalla CEDU, che gli Stati si sono impegnati a riconoscere alle persone che rientrano nella loro giurisdizione (§§ 106 e 110 e giurisprudenza citata da detta sentenza). V., inoltre, l’applicazione di tale giurisprudenza nella sentenza della Corte EDU dell’8 luglio 2021, Shahzad c. Ungheria (EC:ECHR:2021:0708JUD001262517).

( 23 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2006, L 105, pag. 1).

( 24 ) Come sottolinea il governo ceco nelle sue osservazioni, le difficoltà che uno Stato membro possa incontrare nel registrare tempestivamente le domande di protezione internazionale ai suoi valichi di frontiera non significa che tale Stato membro non sia in grado di prendere in carico il richiedente ai fini dell’esame della sua domanda, se non vi sono indicazioni che, al riguardo, esso tratti i richiedenti protezione internazionale in violazione dei loro diritti fondamentali.

( 25 ) Durante l’esame della sua domanda di protezione internazionale e nella sua qualità di richiedente, quest’ultimo gode dei diritti e delle garanzie conferitigli dalla direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 96). Una volta esaminata la sua domanda, il beneficiario di protezione internazionale gode dei diritti connessi al suo status di rifugiato o di beneficiario di protezione sussidiaria, stabiliti dalla direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9). Quanto ai cittadini di paesi terzi la cui domanda di protezione internazionale è stata respinta, essi possono essere allontanati solo nelle circostanze previste dalla direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (GU 2008, L 348, pag. 98).

( 26 ) Le misure che gli Stati membri devono adottare devono assicurare ai richiedenti un’adeguata qualità di vita che garantisca il loro sostentamento e tuteli la loro salute sia fisica che mentale. V. articolo 17, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2013/33, nonché sentenza del 12 novembre 2019, Haqbin (C‑233/18, EU:C:2019:956, punti 3346).

( 27 ) Firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)] ed entrata in vigore il 22 aprile 1954.

( 28 ) Concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967.

( 29 ) V. sentenza del 23 gennaio 2019, M.A. e a. (C‑661/17, EU:C:2019:53, punto 83 e giurisprudenza citata).

( 30 ) Considerando 4 e 5 del regolamento Dublino III nonché sentenza Jawo (punto 82).

( 31 ) In tal senso, il regolamento (CE) n. 1560/2003 della Commissione, del 2 settembre 2003, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2003, L 222, pag. 3), rifuso dal regolamento Dublino III, elenca, nel suo allegato II, gli elementi di prova formali pertinenti e gli elementi indicativi (o prove indiziarie) da utilizzare al fine di determinare lo Stato competente, che comprendono, in particolare, i permessi di soggiorno rilasciati ai familiari del richiedente, documenti comprovanti il legame di parentela, o titoli di trasporto che consentono formalmente di stabilire l’ingresso attraverso una frontiera esterna, o estratti dei registri di strutture detentive, ecc.

( 32 ) V., in tal senso, sentenza N.S. e a. (punto 85).

( 33 ) V., in tal senso, sentenze del 7 giugno 2016, Ghezelbash (C‑63/15, EU:C:2016:409, punti da 47 a 51), e del 26 luglio 2017, Mengesteab (C‑670/16, EU:C:2017:587, punto 58).

( 34 ) C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219.

( 35 ) C‑517/17, EU:C:2020:579.

( 36 ) C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219.

( 37 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60). Ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva, gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile se un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale.

( 38 ) V. sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 101).

( 39 ) V. sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 88).

( 40 ) V. sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 90).

( 41 ) C‑517/17, EU:C:2020:579.

( 42 ) V. sentenza del 16 luglio 2020, Addis (C‑517/17, EU:C:2020:579, punto 53).

( 43 ) Sentenza del 16 luglio 2020, Addis (C‑517/17, EU:C:2020:579, punto 54).

( 44 ) Tali direttive stabiliscono le norme sostanziali e formali applicabili al riconoscimento della protezione internazionale, mentre tale regolamento stabilisce un metodo e criteri per determinare lo Stato membro competente.

( 45 ) C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127.

( 46 ) V., nell’ambito della direttiva 2011/95, sentenza del 19 novembre 2020, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Servizio militare e asilo) (C‑238/19, EU:C:2020:945, punto 52).

( 47 ) Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, l’autorità competente è tenuta a effettuare un esame della domanda su base individuale, tenendo conto, in particolare, di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito a tale domanda; delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi; della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, o il fatto che egli abbia già subito persecuzioni o danni gravi. Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2011/95, qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se, in particolare, tali dichiarazioni sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti alla sua domanda ed è accertato che il richiedente è in generale attendibile.

( 48 ) V. sentenza Jawo (punti da 94 a 97).