CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 7 settembre 2023 (1)

Causa C361/22

Industria de Diseño Textil SA (Inditex)

contro

Buongiorno Myalert SA

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna)]

« Rinvio pregiudiziale – Marchi di impresa – Direttiva 89/104/CEE – Direttiva 2008/95/CE – Limitazione degli effetti del marchio di impresa – Uso del marchio di impresa per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio – Condizioni di liceità »






I.      Introduzione

1.        La controversia principale, all’origine del presente rinvio pregiudiziale, oppone un fornitore di servizi di informazione attraverso Internet e la rete di telefonia mobile al titolare del marchio di impresa ZARA, a motivo di un’asserita violazione dei diritti conferiti da tale marchio. Infatti, nel corso di una campagna pubblicitaria, il fornitore dei servizi di informazione aveva offerto in omaggio la partecipazione ad un’estrazione, uno dei cui premi era un buono regalo ZARA, la cui immagine era stata presentata nell’ambito di detta campagna pubblicitaria. Il titolare del marchio ha avviato un’azione per contraffazione nei confronti del fornitore di servizi, in quanto quest’ultimo avrebbe tratto vantaggio dalla notorietà del marchio e le avrebbe arrecato pregiudizio.

2.        Pertanto, la controversia principale può collocarsi al confine tra il diritto dei marchi e il diritto degli atti di concorrenza sleale. Tuttavia, la questione pregiudiziale nel presente procedimento riguarda soltanto le direttive relative al diritto dei marchi.

3.        A tale proposito, il titolare di un marchio di impresa registrato in uno degli Stati membri può vietare ai terzi di fare determinati usi dei segni qualora tali usi non rispettino il suo diritto di proprietà intellettuale, tenuto conto delle condizioni previste da dette direttive.

4.        Tuttavia, il diritto esclusivo del titolare non è assoluto. Così, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), delle direttive 89/104/CEE (2) e 2008/95/CE (3) prevedeva che il titolare non potesse vietare a terzi l’uso nel commercio del marchio di impresa se esso era necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio. Nel 2015 la direttiva 2008/95 è stata sostituita dalla direttiva (UE) 2015/2436 (4), il cui articolo 14, paragrafo 1, lettera c), sembra introdurre, quanto meno sul piano letterale, una limitazione degli effetti del marchio più ampia rispetto a quella di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), delle direttive 89/104 e 2008/95.

5.        Ritenendo che il comportamento in discussione nella controversia principale rientri piuttosto in tale limitazione più ampia, il giudice del rinvio chiede alla Corte, nell’ambito della questione pregiudiziale, se l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 abbia effettivamente modificato la portata della limitazione di cui trattasi o se tale disposizione riguardi usi che figuravano già implicitamente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), delle direttive 89/104 e 2008/95.

6.        Sebbene la domanda di pronuncia pregiudiziale abbia ad oggetto l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), delle direttive 89/104 e 2008/95, tuttavia l’importanza della risposta da dare a tale questione così formulata va ben oltre il sistema dei marchi nazionali.

7.        Infatti, da un lato, detta risposta interesserà del pari il sistema dei marchi dell’Unione europea fondato sul regolamento (CE) n. 207/2009 (5), che è stato sostituito a decorrere dal 1° ottobre 2017 dal regolamento (UE) 2017/1001 (6). Nel frattempo, il regolamento n. 207/2008 è stato modificato dal regolamento (UE) 2015/2424 (7). Una limitazione analoga a quella contenuta nell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 89/104 figurava all’articolo 12, lettera c), del regolamento n. 207/2009. Il regolamento 2015/2424 ha modificato quest’ultima disposizione riprendendo, in sostanza, la formulazione dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436.

8.        Dall’altro lato, conformemente ad una giurisprudenza costante della Corte, la limitazione degli effetti dei diritti del titolare di un marchio prevista dal legislatore dell’Unione mira a conciliare gli interessi fondamentali della tutela dei diritti di marchio con quelli della libera circolazione delle merci e della libera prestazione dei servizi nel mercato comune, e ciò in modo tale che il diritto di marchio possa svolgere la sua funzione di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsata che il Trattato intende stabilire e conservare (8).

II.    Contesto normativo

A.      Diritto dell’Unione

1.      Direttiva 89/104

9.        L’articolo 5 della direttiva 89/104, intitolato «Diritti conferiti dal marchio di impresa», enunciava quanto segue:

«1.      Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)      un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b)      un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

2.      Uno Stato membro può inoltre prevedere che il titolare abbia il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico o simile al marchio di impresa per i prodotti o servizi che non sono simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio di impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi.

3.      Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate al paragrafo 1 e 2 sono soddisfatte:

a)      di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b)      di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c)      di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

d)      di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

(...)».

10.      L’articolo 6 della direttiva 89/104, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio di impresa», al paragrafo 1 disponeva quanto segue:

«1.      Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

(...)

b)      di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio;

c)      del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio,

purché l’uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale».

2.      Direttiva 2008/95

11.      La direttiva 89/104 è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2008/95, entrata in vigore il 28 novembre 2008. La direttiva 2008/95 non ha apportato modifiche sostanziali né all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 89/104 né all’articolo 6, paragrafo 1, lettere b) e c), di tale direttiva.

3.      Direttiva 2015/2436

12.      La direttiva 2015/2436, che ha abrogato e sostituito la direttiva 2008/95 con effetto dal 15 gennaio 2019, all’articolo 14, intitolato «Limitazione degli effetti del marchio d’impresa» dispone quanto segue:

«1.      Il diritto conferito da un marchio d’impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso nel commercio:

(...)

c)      del marchio d’impresa per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, specie se l’uso del marchio è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio.

2.      Il paragrafo 1 si applica solo se l’uso fatto dal terzo è conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale.

(...)».

B.      Diritto spagnolo

13.      L’articolo 34 della Ley 17/2001 de Marcas (legge 17/2001 sui marchi), del 7 dicembre 2001 (BOE n. 294, dell’8 dicembre 2001, pag. 45579), nella versione applicabile ai fatti della controversia principale (in prosieguo: la «legge sui marchi»), ha trasposto nell’ordinamento giuridico spagnolo l’articolo 5 della direttiva 89/104. Tale articolo disponeva quanto segue:

«1.      La registrazione di un marchio d’impresa conferisce al titolare il diritto esclusivo di usarlo nel commercio.

2.      Il titolare del marchio d’impresa registrato ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)      un segno identico al marchio d’impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b)      un segno che, a motivo dell’identità o della somiglianza di detto segno col marchio d’impresa e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi, dia adito a un rischio di confusione per il pubblico; il rischio di confusione comporta anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio d’impresa;

c)      un segno identico o simile per prodotti o servizi che non sono simili a quelli per i quali il marchio d’impresa è stato registrato, se tale marchio è notorio o gode di elevata rinomanza in Spagna e l’uso senza motivo legittimo del segno può indicare un nesso fra detti prodotti o servizi e il titolare del marchio o, in generale, se tale uso trae indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà o elevata rinomanza del marchio registrato oppure arreca loro pregiudizio».

14.      L’articolo 37, paragrafo 1, lettera c), della legge sui marchi, che ha trasposto nel diritto spagnolo l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 89/104, disponeva quanto segue:

«1.      Il diritto conferito dal marchio non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l’uso in commercio, purché tale uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale:

(...)

c)      del marchio d’impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio».

15.      A seguito dell’entrata in vigore della direttiva 2015/2436, il legislatore spagnolo ha modificato l’articolo 37, paragrafo 1, lettera c), della legge sui marchi, che è così formulato:

«1.      Il diritto conferito dal marchio d’impresa non consente al titolare di vietare ai terzi l’uso in commercio:

(...)

c)      del marchio d’impresa per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio, specie se l’uso del marchio è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio».

III. Fatti del procedimento principale

16.      La Buongiorno Myalert SA (in prosieguo: la «Buongiorno») è un’impresa che nel 2010 forniva servizi di informazione attraverso Internet e la rete di telefonia mobile. Nello stesso anno, essa ha lanciato una campagna pubblicitaria di abbonamento a un servizio di invio di contenuti multimediali tramite SMS commercializzata con la denominazione «Club Blinko», nel cui ambito essa offriva in omaggio la partecipazione ad un’estrazione il cui premio consisteva in un buono regalo ZARA del valore di EUR 1 000. Dopo avere cliccato su un banner per accedere all’estrazione, l’abbonato vedeva apparire nella schermata successiva il segno «ZARA» incorniciato in un rettangolo, che evocava il formato dei buoni regalo.

17.      La società Industria de Diseño Textil SA (in prosieguo: l’«Inditex») ha avviato un’azione per contraffazione nei confronti della Buongiorno per violazione dei diritti esclusivi conferiti da un marchio nazionale che protegge il segno «ZARA». A sostegno di tale azione, fondata sull’articolo 34, paragrafo 2, lettere b) e c), della legge sui marchi, l’Inditex ha dedotto motivi basati, rispettivamente, sull’esistenza di un rischio di confusione nonché sul vantaggio derivante dalla notorietà del marchio e sul pregiudizio arrecato a tale notorietà.

18.      La Buongiorno ha negato l’esistenza di una violazione dei diritti conferiti dal marchio ZARA sostenendo di avere fatto un uso occasionale di tale segno, non in quanto marchio, ma per indicare in cosa consistesse uno dei premi offerti in caso di vincita dell’estrazione. Secondo la Buongiorno, un uso siffatto, «referenziale», rientra negli usi leciti di segni distintivi di terzi disciplinati dall’articolo 37 della legge sui marchi.

19.      Il giudice di primo grado ha respinto le domande dell’Inditex. Dopo avere considerato che l’utilizzo del marchio ZARA da parte della Buongiorno non costituiva un uso «referenziale» rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 37 della legge sui marchi, detto giudice ha ritenuto che non fossero soddisfatte le condizioni enunciate all’articolo 34, paragrafo 2, lettere b) e c), della legge sui marchi.

20.      L’Inditex ha interposto appello avverso tale decisione facendo valere l’esistenza di una contraffazione del marchio ai sensi dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), della legge sui marchi. L’appello è stato respinto dal giudice di secondo grado, il quale ha considerato che l’uso del marchio ZARA non arrecava pregiudizio alla notorietà di tale marchio e non traeva indebitamente vantaggio da detta notorietà.

21.      L’Inditex ha proposto ricorso per cassazione dinanzi al Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna), il giudice del rinvio nel presente procedimento.

22.      Tenuto conto dell’impiego, all’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436, del termine «specie», il quale collega la condotta più generale («identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio»), che non compariva all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), alla condotta più specifica che invece compariva nella seconda direttiva (se l’uso del marchio «è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio»), il giudice del rinvio nutre dubbi sulla portata di tale passaggio introdotto nell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della prima direttiva. Esso si chiede se si tratti di un’esplicitazione di un elemento che figurava implicitamente all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 89/104 oppure sia stato ampliato l’ambito degli usi «referenziali». Secondo il giudice del rinvio, la condotta della Buongiorno rientra più nell’attuale tenore dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 che in quello dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 89/104.

23.      Il giudice del rinvio precisa di avere invitato le parti nel procedimento principale a presentare le loro osservazioni sull’opportunità di un rinvio pregiudiziale sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 89/104, «[q]ualora, in seguito all’accoglimento del motivo d’impugnazione basato sulla violazione dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), della [legge sui marchi], si dovesse esaminare se sia applicabile il limite agli effetti del marchio previsto dall’articolo 37, [paragrafo 1,] lettera c) della suddetta legge».

IV.    Questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

24.      In tale contesto, con ordinanza del 12 maggio 2022, pervenuta in cancelleria il 3 giugno 2022, il Tribunal Supremo (Corte suprema) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte una questione pregiudiziale, che è formulata come segue:

«Se l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva [89/104] debba essere interpretato nel senso che la condotta più generale alla quale fa riferimento adesso l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva [2015/2436] sia implicitamente inclusa nel limite al diritto dei marchi: uso “del marchio d’impresa per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio”».

25.      Hanno presentato osservazioni scritte le parti nel procedimento principale, il governo spagnolo e la Commissione europea. Non è stata svolta alcuna udienza.

V.      Analisi

A.      Delimitazione della questione pregiudiziale

26.      Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 debba essere interpretato nel senso che l’uso nel commercio del marchio d’impresa «per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio», attualmente menzionato all’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436, rientra nell’ambito di applicazione di tale prima disposizione.

27.      In via preliminare, tenuto conto degli argomenti presentati dalle parti nelle loro osservazioni scritte, ritengo opportuno formulare le seguenti considerazioni in merito alla delimitazione della questione pregiudiziale.

28.      In primo luogo, occorre rilevare che i fatti di cui al procedimento principale si sono svolti nel 2010, mentre la questione pregiudiziale fa riferimento all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 89/104. Tale direttiva è stata sostituita dalla direttiva 2008/95, che è entrata in vigore il 28 novembre 2008. È vero che quest’ultima direttiva non ha modificato l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 89/104, ma sembra tuttavia applicabile ratione temporis alla controversia principale. Pertanto, nelle presenti conclusioni farò riferimento alla direttiva 2008/95 e al suo articolo 6, paragrafo 1, lettera c), e propongo quindi di riformulare la questione pregiudiziale in tal senso (9).

29.      In secondo luogo, si potrebbe essere tentati di riformulare la questione pregiudiziale considerando che, con essa, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 debba essere interpretato nel senso che può rientrare nell’ambito di applicazione di tale disposizione la condotta di un terzo consistente nell’utilizzare il marchio d’impresa nell’ambito di una campagna pubblicitaria per evocare un premio che uno dei suoi clienti può vincere in un’estrazione. Tuttavia, la risposta alla questione come formulata dal giudice del rinvio gli consentirà di dirimere la controversia di cui è investito, cosicché non occorre sostituirsi a tale giudice nel suo ruolo e riformulare detta questione.

30.      In terzo luogo, la Buongiorno sostiene che la questione pregiudiziale non contiene alcun riferimento alla limitazione degli effetti del marchio prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, ai sensi del quale il titolare di un marchio non può vietare ai terzi l’uso nel commercio di indicazioni relative alla specie, alla qualità, alla quantità, alla destinazione, al valore, alla provenienza geografica, all’epoca di fabbricazione del prodotto o di prestazione del servizio o ad altre caratteristiche del prodotto o del servizio. Orbene, la Buongiorno afferma di avere già fatto valere tale disposizione in primo grado per difendere la legittimità del proprio comportamento. Essa sostiene pertanto che, al fine di fornire una risposta utile ed esauriente al giudice del rinvio, la Corte deve esaminare la questione pregiudiziale anche sotto il profilo della menzionata disposizione.

31.      Dal momento che il giudice nazionale non esprime dubbi in ordine all’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, non propongo alla Corte di riformulare la questione pregiudiziale neppure su questo punto al fine di interpretare anche tale disposizione. Infatti, la facoltà di determinare le questioni da sottoporre alla Corte è riservata al giudice nazionale e le parti nel procedimento principale non possono modificarne il tenore (10).

32.      Ciò premesso, per scrupolo di completezza devo osservare, sotto un primo profilo, che l’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 può trovare applicazione solo se il comportamento della Buongiorno è considerato un «uso» ai sensi dell’articolo 5 di detta direttiva. Dal momento che tale aspetto sembra controverso anche dal punto di vista dell’applicazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della menzionata direttiva, tornerò su questo punto nell’ambito della mia analisi nel merito della questione pregiudiziale (11).

33.      Sotto un secondo profilo, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95 costituisce, come dichiarato dalla Corte, un’espressione dell’imperativo di disponibilità. Affinché un terzo possa far valere l’imperativo di disponibilità che è alla base di tale disposizione, occorre che l’indicazione da esso utilizzata sia relativa a una delle caratteristiche del prodotto commercializzato o del servizio fornito da questo terzo (12). Inoltre, la Corte ha del pari statuito che l’apposizione di un segno, che sia identico ad un marchio registrato in particolare per autoveicoli, su modellini di veicoli contraddistinti dal marchio in questione, al fine di riprodurre fedelmente tali veicoli, non mira a fornire un’indicazione relativa ad una caratteristica di detti modellini, bensì è un elemento della riproduzione fedele dei veicoli originali (13).

34.      Nel caso di specie, il fatto che un terzo mostri il marchio di un titolare nell’ambito di una campagna pubblicitaria per evocare un premio che i suoi clienti possono vincere in un’estrazione equivale in definitiva ad indicare più una caratteristica del prodotto del titolare che una caratteristica del servizio di fornitura di contenuti multimediali offerto da tale terzo. Infatti, anche supponendo che l’Inditex abbia commercializzato buoni regalo che presentano le caratteristiche evocate nella campagna pubblicitaria della Buongiorno, non si può ritenere che la riproduzione di tali buoni in detta campagna pubblicitaria fosse intesa a fornire un’indicazione relativa ad una caratteristica del servizio fornito dalla Buongiorno.

35.      In quarto luogo, tenuto conto del contesto fattuale descritto dal giudice del rinvio, ci si potrebbe anche chiedere se il comportamento della Buongiorno rientrasse nell’ambito di applicazione dell’articolo 7 della direttiva 2008/95, intitolato «Esaurimento del diritto conferito dal marchio di impresa». Tale disposizione prevedeva che il diritto conferito dal marchio di impresa non permetteva al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso, a meno che sussistessero motivi legittimi perché il titolare si opponesse all’ulteriore commercializzazione dei prodotti.

36.      Senza pregiudizio per la risposta da dare a tale questione, devo osservare, anzitutto, che il giudice del rinvio non chiede l’interpretazione dell’articolo 7 della direttiva 2008/95. Inoltre, l’Inditex sostiene che, in assenza di una prima vendita del prodotto, vale a dire il buono regalo, o di una prima immissione in commercio con il suo consenso, il suo diritto di marchio non era esaurito al momento dell’uso del suo marchio da parte della Buongiorno. Infine, tale società afferma, in un diverso contesto, di non commercializzare, né di avere commercializzato all’epoca, buoni regalo con le caratteristiche indicate nella campagna pubblicitaria. Si tratterebbe quindi di un prodotto inesistente.

37.      Alla luce di quanto precede, propongo di analizzare il problema giuridico sollevato dalla questione pregiudiziale esclusivamente sotto il profilo del rapporto tra l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 e l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436. Occorre tuttavia, preliminarmente, esaminare gli argomenti dedotti dalle parti riguardo alla ricevibilità della questione pregiudiziale.

B.      Sulla ricevibilità

38.      L’Inditex adduce due argomenti per sostenere che il presente rinvio pregiudiziale è irricevibile.

39.      In primo luogo, l’Inditex osserva che, come constatato dallo stesso giudice del rinvio (14), l’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 può essergli utile solo qualora il ricorso per cassazione, sul quale tale giudice deve pronunciarsi, venga accolto per violazione dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), della legge sui marchi, il quale, in quanto disposizione nazionale con cui il legislatore spagnolo ha attuato la facoltà prevista all’articolo 5, paragrafo 2, di detta direttiva, conferisce una protezione speciale ai cosiddetti marchi «notori». Tuttavia, secondo l’Inditex, l’uso di un segno identico o simile a un marchio notorio previsto da quest’ultima disposizione non è in alcun caso conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale o commerciale, cosicché l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), di detta direttiva non può essere invocato da un terzo che utilizzi tale marchio. Aggiungo, anticipando le mie considerazioni successive, che l’argomento dedotto dall’Inditex per far valere che la questione pregiudiziale è irricevibile può anche essere considerato, sotto il profilo del merito, come un argomento relativo all’interpretazione delle succitate disposizioni (15).

40.      In secondo luogo, l’Inditex afferma che, in ogni caso, la risposta alla questione pregiudiziale non sarebbe utile, in quanto è chiaramente insufficiente per risolvere la questione di diritto sollevata nella controversia principale. Infatti, l’uso «referenziale» di un marchio non sarebbe di per sé lecito. La liceità di un uso siffatto presupporrebbe che esso sia «conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale» e rispetti le norme relative all’esaurimento del diritto di marchio in caso di operazioni aventi ad oggetto prodotti altrui.

41.      A questo proposito, l’argomento secondo cui una questione pregiudiziale si basa su una premessa sulla quale il giudice del rinvio deve ancora pronunciarsi, cosicché detta questione deve essere considerata prematura ed ipotetica (16), o quello secondo cui la risposta da dare a una questione pregiudiziale non sarebbe sufficiente a risolvere la controversia principale (17), non inducono automaticamente a concludere per l’irricevibilità di tale questione.

42.      Infatti, spetta esclusivamente al giudice nazionale, cui è stata sottoposta la controversia e che deve assumersi la responsabilità dell’emananda decisione giurisdizionale, valutare, alla luce delle particolari circostanze della causa principale, la rilevanza della questione che sottopone alla Corte. Se la questione sollevata verte sull’interpretazione o sulla validità di una norma del diritto dell’Unione, la Corte, in via di principio, è tenuta a pronunciarsi. Ne consegue che una questione pregiudiziale che verte sul diritto dell’Unione gode di una presunzione di rilevanza. La Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione siffatta solo qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto della controversia principale, qualora il problema sia di natura teorica oppure nel caso in cui la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte (18).

43.      Tale ipotesi non ricorre nel caso di specie. È vero che, per pronunciarsi sul ricorso per cassazione, il giudice del rinvio deve effettuare le valutazioni che precedono quella relativa al problema giuridico sollevato dalla questione pregiudiziale (l’uso di un marchio notorio, previsto all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95) e procedere, eventualmente, alle valutazioni aggiuntive e successive ad essa (l’uso conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale). Tuttavia, non appare manifestamente che l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 non sia destinato ad applicarsi in una situazione nella quale un marchio d’impresa appaia nel contesto di una campagna pubblicitaria di un terzo per evocare un premio che un cliente di tale terzo può vincere in un’estrazione.

44.      Inoltre, senza rimettere espressamente in discussione la ricevibilità della questione pregiudiziale, la Commissione sostiene che, poiché sembra che il giudice nazionale di primo grado non abbia commesso alcun errore di diritto nel considerare che l’uso del marchio ZARA non rientrava in nessuna delle fattispecie di «uso del marchio» previste all’articolo 34 della legge sui marchi, con cui il legislatore spagnolo ha trasposto l’articolo 5 della direttiva 89/104, non è necessario esaminare se le condizioni definite dall’articolo 37 della legge sui marchi e dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 siano soddisfatte nel caso di specie. Tuttavia, ritengo che l’argomento della Commissione non possa condurre all’irricevibilità della questione pregiudiziale per le stesse ragioni esposte ai paragrafi 41 e 42 delle presenti conclusioni in relazione agli argomenti dell’Inditex.

45.      Infatti, sebbene sia sensibile agli argomenti addotti dalla Commissione a sostegno della sua posizione secondo cui il comportamento della Buongiorno non costituiva un uso ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 89/104, occorre ricordare che il giudice del rinvio non esprime dubbi in ordine all’interpretazione di tale disposizione, il che non può indurre a concludere per l’irricevibilità della questione pregiudiziale (19).

46.      Ne consegue che la questione pregiudiziale è ricevibile.

C.      Nel merito

47.      Prima di esaminare il problema giuridico sollevato dalla questione pregiudiziale, analizzerò brevemente l’aspetto invocato dalle parti nelle loro osservazioni scritte e relativo alla qualificazione del comportamento della Buongiorno consistente nell’«uso di un segno identico o simile al marchio di impresa che gode di notorietà», previsto all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 89/104.

48.      Tale analisi presenta un duplice interesse. Infatti, da un lato, affinché possa applicarsi l’articolo 6 della direttiva 2008/95, un terzo deve fare un uso di un segno cui il titolare possa opporsi, ai sensi dell’articolo 5 di detta direttiva. Dall’altro, l’argomento dell’Inditex relativo all’irricevibilità della questione pregiudiziale può essere letto anche come un argomento relativo al merito, secondo il quale l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva in parola non può in alcun caso applicarsi quando si tratti di un uso relativo a un marchio di impresa che gode di notorietà, previsto all’articolo 5, paragrafo 2, della medesima direttiva.

1.      Sull’uso di un marchio di impresa che gode di notorietà, previsto all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95

49.      La questione se il comportamento di un terzo in relazione a un marchio possa essere legittimo alla luce della regola prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 si pone solo se si ritiene che tale comportamento costituisca un uso ai sensi dell’articolo 5 di detta direttiva (20).

50.      Nel caso di specie, il giudice del rinvio solleva la sua questione pregiudiziale per il caso in cui esso accogliesse il motivo del ricorso per cassazione basato sulla violazione dell’articolo 34, paragrafo 2, lettera c), della legge sui marchi, con cui il legislatore spagnolo ha dato attuazione alla facoltà prevista all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95. In altri termini, prima di pronunciarsi sull’argomento relativo all’uso referenziale, il giudice del rinvio dovrebbe considerare che il comportamento della Buongiorno costituiva un uso di un segno identico o simile al marchio di impresa che gode di notorietà, uso che senza giusto motivo trae indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio di impresa o arreca loro pregiudizio.

51.      Come ho già osservato al paragrafo 39 delle presenti conclusioni, si può intendere l’argomento dell’Inditex relativo al carattere ipotetico della questione pregiudiziale nel senso che, secondo tale società, il diritto del titolare di un marchio di impresa di opporsi all’uso menzionato all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 non è in alcun modo circoscritto dalla limitazione degli effetti del marchio, prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), di detta direttiva.

52.      A questo proposito, l’Inditex sostiene, da un lato, che l’uso referenziale del marchio di impresa deve essere conforme, come richiesto dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95, in combinato disposto con l’articolo 6, paragrafo 1, in fine, di detta direttiva, agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale. A suo avviso, la Corte ha statuito, nella sentenza Gillette Company e Gillette Group Finland (21), che l’uso di un marchio non è conforme a tali usi consueti di lealtà, segnatamente, quando pregiudichi il valore del marchio traendo indebitamente vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà. Essa afferma, dall’altro lato, che l’uso di un marchio di impresa che gode di notorietà, previsto all’articolo 5, paragrafo 2, della menzionata direttiva, consiste in un uso di un segno identico o simile al marchio notorio che, senza giusto motivo, consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio o reca pregiudizio agli stessi.

53.      In tali circostanze, secondo l’Inditex, le condizioni dell’uso legittimo previste all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 coincidono con quelle dell’uso di un marchio di impresa che gode di notorietà al quale il suo titolare può opporsi ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, cosicché le due disposizioni si escludono a vicenda. Essa ne conclude che un terzo il quale utilizzi un marchio di impresa che gode di notorietà, illecito a termini dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva, non può invocare un uso «referenziale».

54.      Sebbene sia sensibile a tale argomento, ritengo che considerazioni di ordine sistemico e giurisprudenziale ostino a una simile interpretazione restrittiva che esclude, a priori e in ogni caso, l’applicabilità congiunta di queste due disposizioni.

55.      Prima di esporre tali considerazioni, devo osservare che nulla suggerisce che il legislatore spagnolo, nell’attuare la facoltà prevista all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95, abbia inteso escludere siffatta applicabilità congiunta delle menzionate disposizioni. Pertanto, non occorre chiedersi se, in occasione di detta attuazione, il legislatore nazionale possa decidere di non assoggettare i diritti del titolare di un marchio di impresa notorio alla limitazione prevista dall’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della menzionata direttiva.

a)      Sull’articolazione tra l’articolo 5, paragrafo 2, e l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95

56.      Come dichiarato dalla Corte, la protezione offerta dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/95 mira solo a consentire al titolare del marchio di tutelare i propri interessi specifici in quanto titolare di quest’ultimo, ossia garantire che il marchio possa adempiere le sue proprie funzioni. La Corte ne ha dedotto, in primo luogo, che l’esercizio del diritto esclusivo conferito dal marchio deve essere riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio. Orbene, l’articolo 5, paragrafo 2, di detta direttiva introduce, a favore dei marchi che godono di notorietà, una tutela più ampia di quella prevista al paragrafo 1 di tale articolo. La condizione specifica di tale tutela è costituita da un uso privo di giusto motivo di un segno identico o simile ad un marchio registrato che trae o trarrebbe indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio in questione oppure arreca o arrecherebbe loro pregiudizio (22).

57.      Pertanto, in secondo luogo, a differenza dell’ipotesi che ricade nell’ambito di applicazione dell’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/95, l’esercizio del diritto del titolare di un marchio notorio non presuppone l’esistenza di un rischio di confusione per il pubblico interessato (23).

58.      Sebbene l’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 distingua tre diverse fattispecie di violazione, vale a dire il pregiudizio al carattere distintivo del marchio, il pregiudizio arrecato alla notorietà di tale marchio e, infine, il vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà dello stesso (24), nel caso in esame l’Inditex ha affermato, a sostegno della sua azione per contraffazione, che la Buongiorno aveva tratto vantaggio dalla notorietà del suo marchio e aveva arrecato pregiudizio a tale notorietà.

59.      A questo proposito, la Corte ha dichiarato che l’esame di una violazione prevista all’articolo 9, paragrafo 1, lettera c), del regolamento n. 207/2009 – e, per estensione, di quella prevista all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 – deve basarsi su una valutazione complessiva che tenga conto di tutti gli elementi rilevanti nel caso di specie, fra i quali si annoverano, in particolare, l’intensità della notorietà e il grado del carattere distintivo del marchio, il grado di somiglianza fra i marchi in conflitto, nonché la natura e il grado di contiguità dei prodotti o dei servizi interessati (25).

60.      Inoltre, quando il titolare del marchio notorio riesce a provare l’esistenza di uno dei pregiudizi previsti dall’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/05, spetta al terzo che ha usato un segno simile al marchio notorio dimostrare di avere un giusto motivo per l’uso di tale segno. L’invocazione da parte di un terzo di un giusto motivo per un uso siffatto obbliga allora il titolare del marchio notorio a tollerare l’utilizzo di detto segno (26).

61.      A prima vista, l’invocazione di un giusto motivo per l’uso di un segno identico o simile a un marchio notorio conduce allo stesso risultato dell’invocazione della limitazione degli effetti di un marchio, prevista all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/95. In entrambi i casi, il titolare deve tollerare l’uso di un segno identico o simile al suo marchio.

62.      Ciò premesso, affinché un terzo possa avvalersi della limitazione degli effetti del marchio, prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95, l’uso di un segno deve soddisfare le condizioni enunciate da detta disposizione nonché, come richiesto dall’articolo 6, paragrafo 1, in fine, di tale direttiva, essere conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

63.      In siffatte circostanze, occorre definire i contorni delle nozioni di «giusto motivo» e di «uso [conforme] agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale», utilizzate rispettivamente all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 e all’articolo 6, paragrafo 1, in fine, della medesima direttiva, per stabilire se l’assenza di un «giusto motivo» ai sensi della prima disposizione implichi che l’uso non sia, in alcun modo, «di lealtà» ai sensi della seconda disposizione.

64.      A tale proposito, vi è, in primo luogo, una differenza sul piano letterale tra queste due nozioni, cosicché non può presumersi l’identità del loro significato.

65.      In secondo luogo, sul piano sistemico, l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 non contiene alcuna riserva che possa escludere l’applicabilità di tale disposizione in caso di pregiudizio ad un marchio di impresa che gode di notorietà, prevista all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva in parola. Certo, si potrebbe sostenere che una riserva siffatta non è stata introdotta nel testo della menzionata direttiva per il motivo che la limitazione prevista dalla prima disposizione deve essere obbligatoriamente trasposta nel diritto nazionale, mentre spetta a ciascuno Stato membro decidere se intenda attuare la facoltà prevista dalla seconda disposizione. Tuttavia, disposizioni analoghe all’articolo 5, paragrafo 2, e all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della medesima direttiva figurano nel sistema dei marchi dell’Unione, che non lascia alcun margine di manovra agli Stati membri (27).

66.      In terzo luogo, da un lato, la condizione relativa all’«uso consueto di lealtà» costituisce, in sostanza, l’espressione di un obbligo di lealtà nei confronti degli interessi legittimi del titolare del marchio (28). Dall’altro, la nozione di «giusto motivo» mira a trovare un equilibrio tra gli interessi in gioco tenendo conto, nel contesto specifico dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 e in considerazione della tutela estesa di cui gode il marchio in questione, degli interessi del terzo utilizzatore di tale segno (29). La nozione di «giusto motivo» non può comprendere unicamente ragioni oggettivamente imperative, ma può anche collegarsi agli interessi soggettivi di un terzo che utilizza un segno identico o simile al marchio notorio (30).

67.      Sebbene alcuni degli elementi da tenere in conto nella valutazione di ciascuna di tali condizioni possano sovrapporsi, l’ottica adottata nell’ambito di tali valutazioni non è la stessa. Per semplificare, il requisito del «giusto motivo» si concentra piuttosto sulla prospettiva di un terzo e dei suoi interessi, mentre quello dell’«uso consueto di lealtà» adotta la prospettiva del titolare. Seguendo tale osservazione, può essere diversa anche l’importanza attribuita ad un elemento preso in considerazione nell’ambito di queste due valutazioni.

68.      In quarto luogo, lo stesso vale per elementi che, da un lato, formano una delle tre fattispecie di pregiudizio al marchio di impresa che gode di notorietà, previste dall’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 e che, dall’altro, vengono presi in considerazione nel valutare il requisito dell’«uso consueto di lealtà» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, in fine, di detta direttiva. Per illustrare tali affermazioni, come rilevato dall’Inditex, è vero che la Corte ha statuito, nella sentenza Gillette Company e Gillette Group Finland (31), che l’uso di un segno non è conforme agli usi consueti di lealtà in particolare quando pregiudichi il valore del marchio traendo indebitamente vantaggio dal suo carattere distintivo o dalla sua notorietà. Tuttavia, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della menzionata direttiva, per constatare un pregiudizio ad un marchio notorio è sufficiente che un terzo tragga indebitamente vantaggio dalla notorietà di tale marchio, senza che il suo comportamento pregiudichi il valore dello stesso.

69.      Inoltre, gli insegnamenti che si possono trarre dalla giurisprudenza della Corte costituiscono, anch’essi, un serio indizio del fatto che la limitazione prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 può essere applicata del pari quando il titolare possa, a priori, far valere una disposizione nazionale che attua la facoltà prevista all’articolo 5, paragrafo 2, di detta direttiva.

b)      Sulla giurisprudenza pertinente

70.      Nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenza Adam Opel (32), la Corte era stata interpellata in merito all’articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 89/104. In un primo momento, pur avendo inizialmente considerato che, tenuto conto delle circostanze del procedimento principale, occorreva altresì fornire al giudice del rinvio un’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, la Corte ha tuttavia lasciato al giudice del rinvio la valutazione di natura fattuale relativa alla questione se l’uso di cui si trattava costituisse un uso privo di giusta causa che traesse indebitamente profitto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio, in quanto marchio registrato, ovvero che arrecasse pregiudizio a tali caratteristiche del marchio (33). In un secondo momento, la Corte ha proceduto all’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), di detta direttiva, facendo riferimento anche all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della medesima direttiva (34). Devo sottolineare, a tale proposito, che tanto la limitazione prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 89/104 quanto quella prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della stessa sono soggette alla condizione che l’uso venga fatto conformemente agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

71.      Analogamente, nella sentenza adidas e adidas Benelux (35), tenuto conto del fatto che era pacifico che la controversia riguardasse un marchio notorio, la Corte ha proceduto, in un primo momento, all’interpretazione dell’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 89/104 e, in un secondo momento, senza alcuna riserva, a quella dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), di detta direttiva (36).

72.      In tale ordine di idee, per quanto riguarda la limitazione degli effetti del marchio di impresa prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/95, parimenti soggetta alla condizione dell’uso consueto di lealtà, la Corte ha dichiarato, nella sentenza Céline (37), che l’osservanza di detta condizione va valutata tenendo conto, in particolare, del fatto che si tratta di un marchio che, nello Stato membro in cui è registrato ed in cui è richiesta la sua tutela, gode di una certa notorietà, dalla quale il terzo potrebbe trarre vantaggio per la commercializzazione dei propri prodotti o servizi. Sulla base della citata sentenza, si può sostenere che se, per determinare se un terzo possa invocare una delle limitazioni degli effetti del marchio, previste all’articolo 6, paragrafo 1, della menzionata direttiva, occorre tenere conto anche della notorietà del marchio in questione, non si può affermare che qualsiasi pregiudizio ad un marchio che gode di notorietà, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, della medesima direttiva, sfugga a dette limitazioni.

73.      Da tale giurisprudenza deduco che, secondo la Corte, non vi è necessariamente contraddizione tra, da un lato, l’esistenza di un uso al quale il titolare di un marchio notorio può, a priori, opporsi sulla base di una disposizione nazionale che attua la facoltà prevista all’articolo 5, paragrafo 2, della direttiva 2008/95 e, dall’altro, il ricorso da parte di un terzo alla limitazione di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della menzionata direttiva.

74.      Occorre quindi esaminare l’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95.

2.      Sull’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95

75.      Nell’interpretare una disposizione del diritto dell’Unione si deve tener conto non soltanto del tenore letterale di quest’ultima e degli obiettivi da essa perseguiti, bensì anche del suo contesto. La genesi di una disposizione del diritto dell’Unione può del pari rivelare elementi rilevanti per la sua interpretazione (38).

76.      A tale proposito, in primo luogo, la comparazione sul piano letterale tra l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 e l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 suggerisce che l’unico uso che limitava gli effetti del marchio [«l’uso (...) del marchio di impresa se esso è necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio»] costituisce attualmente una delle ipotesi di uso lecito cui il titolare di un marchio non può opporsi. Infatti, l’articolo 14 della direttiva 2015/2436 dispone, in un primo momento, che esso copre attualmente l’uso del marchio d’impresa per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio e, in un secondo momento, che esso riprende il contenuto normativo dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 e lo fa precedere dal termine «specie».

77.      In secondo luogo, tale considerazione è corroborata dall’analisi dei lavori preparatori relativi alla direttiva 2015/2436.

78.      Infatti, anzitutto, dalla proposta di direttiva della Commissione risulta che è stato «considerato (...) opportuno prevedere (...) una limitazione esplicita per l’uso referenziale in generale» (39). Pertanto, la Commissione non ha considerato che l’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 si limiti a chiarire o a precisare i contorni dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 89/104. I termini «opportuno prevedere» indicano la volontà di detta istituzione di proporre di introdurre una limitazione degli effetti del marchio di impresa riguardante in generale l’uso referenziale. Inoltre, fin dall’inizio è stato il carattere generale di detta limitazione a distinguerla da quella prevista dalle direttive 89/104 e 2008/95, giacché quest’ultima limitazione ha una portata specifica e quindi più ridotta.

79.      Inoltre, in tale ordine di idee, la formulazione iniziale del considerando 25 di tale proposta di direttiva, che si riferisce all’uso referenziale, era più chiara di quella del considerando 27 della direttiva 2015/2436 per quanto riguarda la volontà di ampliare la portata della limitazione precedentemente contenuta all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 (40). Infatti, detto considerando 25 indicava che «occorre che il titolare non abbia il diritto di impedire un uso generale (41) corretto e onesto del marchio per designare e menzionare prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare» (42).

80.      Infine, la considerazione secondo cui il legislatore dell’Unione ha cercato di ampliare la portata della limitazione attualmente prevista all’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 non è rimessa in discussione dal dibattito svoltosi durante i lavori preparatori.

81.      Infatti, mentre la proposta iniziale della Commissione menzionava, in termini quasi identici a quelli utilizzati all’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436, «l’uso (…) del marchio d’impresa (...) necessario per contraddistinguere la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio», il Parlamento ha proposto di introdurre alcuni esempi aggiuntivi di uso lecito (43), ossia, in particolare, l’uso che «avviene per portare all’attenzione dei consumatori la rivendita di prodotti autentici che sono stati originariamente venduti dal titolare del marchio o con il suo consenso» e l’uso che «avviene per fini parodistici, di espressione artistica, critica o commento». Il Consiglio si è tuttavia opposto a tale proposta (44).

82.      La Commissione ha in definitiva aderito alla posizione del Consiglio (45), pur proponendo di riflettere, almeno in parte, la posizione del Parlamento al considerando 27 del regolamento 2015/2436, il quale enuncia che «[l]’uso di un marchio d’impresa da parte di terzi allo scopo di attirare l’attenzione dei consumatori sulla rivendita di prodotti autentici che erano originariamente venduti dal titolare del marchio o con il suo consenso nell’Unione dovrebbe essere considerato corretto a condizione di essere al tempo stesso conforme alle consuetudini di lealtà in ambito industriale e commerciale. L’uso di un marchio d’impresa da parte di terzi per fini di espressione artistica dovrebbe essere considerato corretto a condizione di essere al tempo stesso conforme alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale. Inoltre, la presente direttiva dovrebbe essere applicata in modo tale da assicurare il pieno rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali, in particolare della libertà di espressione».

83.      In terzo luogo, la portata ridotta dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 rispetto a quella dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 sembra essere confermata dall’analisi della giurisprudenza pertinente della Corte.

84.      A tale proposito, facendo riferimento alle sentenze Gillette Company e Gillette Group Finland (46) e Portakabin (47), il giudice del rinvio osserva che la Corte sembra aver limitato la portata della limitazione prevista all’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 89/104 all’uso necessario per indicare la destinazione di un prodotto.

85.      Infatti, la Corte ha chiarito nelle citate sentenze che le situazioni ricadenti nella sfera di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 devono restare limitate a quelle corrispondenti alla finalità di tale disposizione. Ad avviso della Corte, la finalità di detta disposizione è di permettere ai fornitori di prodotti o servizi aventi carattere complementare rispetto ai prodotti o servizi offerti dal titolare di un marchio di utilizzare tale marchio al fine di informare il pubblico sul nesso utilitaristico esistente tra i loro prodotti o servizi e quelli del suddetto titolare (48).

86.      Inoltre, la Corte ha brevemente evocato, nella sentenza Adam Opel (49), l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 89/104 considerando che l’apposizione, su modellini di vetture, di un marchio costituito dal logo di un costruttore non era intesa ad indicare la destinazione di tali modellini giocattolo. Se ne può dedurre, a contrario, che l’apposizione di un marchio su un prodotto di un terzo per indicare la destinazione di tale prodotto può ricadere nella limitazione prevista da detta disposizione.

87.      In tale ordine di idee, la Corte sembra inoltre avere considerato, nella sentenza BMW (50), che solo un uso che indichi la destinazione di un prodotto o di un servizio di un terzo costituisce un uso legittimo ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95. La Corte ha precisato, in detta sentenza, che «l’uso del marchio al fine di informare il pubblico che l’autore della pubblicità effettua la riparazione e la manutenzione dei prodotti contrassegnati da tale marchio costituisce un uso che indica la destinazione di un servizio ai sensi [di tale disposizione]. Infatti, alla guisa dell’uso di un marchio volto ad identificare le automobili alle quali è adatto un pezzo non originale, l’uso di cui trattasi mira a identificare i prodotti che costituiscono oggetto del servizio prestato» (51).

88.      In quarto luogo, l’interpretazione secondo cui l’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 89/104 aveva una portata relativamente limitata rispetto a quella dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 è ampiamente sostenuta dagli autori della dottrina.

89.      Infatti, l’introduzione di una limitazione generale dell’uso referenziale mediante una modifica dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 e dell’articolo 12, lettera c), del regolamento n. 207/2009 era stata proposta dagli autori della dottrina prima dell’adozione della direttiva 2015/2436 e del regolamento 2015/2424 (52). Come ho indicato ai paragrafi 78 e 79 delle presenti conclusioni, il legislatore dell’Unione ha inteso seguire l’approccio proposto da tali autori. Inoltre, per quanto riguarda le formulazioni dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 e dell’articolo 12, paragrafo 1, lettera c), del regolamento 2015/2424, tali autori sostengono che la loro portata è più ampia di quella delle analoghe disposizioni della direttiva 2008/95 e del regolamento n. 207/2009 (53).

90.      Alla luce di tali considerazioni relative all’interpretazione letterale dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95 e alla genesi di detta disposizione, nonché di quelle di ordine giurisprudenziale e dottrinale, propongo di rispondere alla questione pregiudiziale dichiarando che la disposizione in parola deve essere interpretata nel senso che l’uso nel commercio del marchio d’impresa «per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio», attualmente menzionato all’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436, non rientra nell’ambito di applicazione della prima disposizione, salvo che si tratti di un uso necessario per indicare la destinazione di un prodotto o di un servizio di tale terzo (54).

VI.    Conclusione

91.      Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini alla questione pregiudiziale sollevata dal Tribunal Supremo (Corte suprema, Spagna):

L’articolo 6, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa,

deve essere interpretato nel senso che:

l’uso nel commercio del marchio d’impresa «per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio», attualmente menzionato all’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, non rientra nell’ambito di applicazione della prima disposizione, salvo che si tratti di un uso necessario per indicare la destinazione di un prodotto o di un servizio di tale terzo.


1      Lingua originale: il francese.


2      Prima direttiva del Consiglio del 21 dicembre 1988 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).


3      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 22 ottobre 2008 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25).


4      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2015 sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1).


5      Regolamento del Consiglio del 26 febbraio 2009 sul marchio dell’Unione europea (GU 2009, L 78, pag. 1).


6      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1).


7      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2015 recante modifica del regolamento n. 207/2009 (GU 2015, L 341, pag. 21).


8      V., per quanto riguarda tanto il sistema dei marchi nazionali quanto quello dei marchi dell’Unione, ordinanza del 6 ottobre 2015, Ford Motor Company (C‑500/14, EU:C:2015:680, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


9      V. paragrafo 26 delle presenti conclusioni.


10      V. sentenza del 21 dicembre 2011, Danske Svineproducenter (C‑316/10, EU:C:2011:863, punto 32). V. altresì, in tal senso, sentenza del 4 aprile 2000, Darbo (C‑465/98, EU:C:2000:184, punto 19).


11      V. paragrafi da 49 a 53 delle presenti conclusioni.


12      V., in tal senso, sentenza del 10 aprile 2008, adidas e adidas Benelux (C‑102/07, EU:C:2008:217, punti 46 e 47).


13      V., in tal senso, sentenza del 25 gennaio 2007, Adam Opel (C‑48/05, EU:C:2007:55, punto 44).


14      V. paragrafo 23 delle presenti conclusioni.


15      V. paragrafi da 49 a 53 delle presenti conclusioni.


16      V., su tale problematica, sentenza del 12 gennaio 2023, RegioJet (C‑57/21, EU:C:2023:6, punti da 95 a 97).


17      V., su tale problematica, sentenza del 6 novembre 2008, Trespa International (C‑248/07, EU:C:2008:607, punti da 31 a 37).


18      V., recentemente, sentenza del 29 giugno 2023, International Protection Appeals Tribunal e a. (Attentato in Pakistan) (C‑756/21, EU:C:2023:523, punto 36).


19      V. paragrafi 41 e 42 delle presenti conclusioni, nella parte in cui riguardano l’argomento secondo cui una questione pregiudiziale si basa su una premessa sulla quale un giudice nazionale deve ancora pronunciarsi, cosicché tale questione deve essere considerata prematura ed ipotetica.


20      V., in tal senso, sentenza del 23 febbraio 1999, BMW (C‑63/97, EU:C:1999:82, punto 45).


21      Sentenza del 17 marzo 2005 (C‑228/03, EU:C:2005:177).


22      V., in tal senso, sentenza del 6 febbraio 2014, Leidseplein Beheer e de Vries (C‑65/12, EU:C:2014:49, punti 32 e 33).


23      V. sentenza dell’11 aprile 2019, ÖKO‑Test Verlag (C‑690/17, EU:C:2019:317, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).


24      V., in tal senso, sentenza del 22 settembre 2011, Interflora e Interflora British Unit (C‑323/09, EU:C:2011:604, punto 72).


25      Sentenza del 18 luglio 2013, Specsavers International Healthcare e a. (C‑252/12, EU:C:2013:497, punto 39).


26      V., in tal senso, sentenza del 6 febbraio 2014, Leidseplein Beheer e de Vries (C‑65/12, EU:C:2014:49, punto 46).


27      V. articolo 9, paragrafo 1, lettera c), e articolo 12, lettera c), del regolamento n. 207/2009.


28      V., in tal senso, sentenza del 23 febbraio 1999, BMW (C‑63/97, EU:C:1999:82, punto 61).


29      V., in tal senso, sentenza del 6 febbraio 2014, Leidseplein Beheer e de Vries (C‑65/12, EU:C:2014:49, punto 46).


30      V., in tal senso, sentenza del 6 febbraio 2014, Leidseplein Beheer e de Vries (C‑65/12, EU:C:2014:49, punti 44 e 45).


31      Sentenza del 17 marzo 2005 (C 228/03, EU:C:2005:177).


32      Sentenza del 25 gennaio 2007 (C‑48/05, EU:C:2007:55, punto 32).


33      Sentenza del 25 gennaio 2007, Adam Opel (C‑48/05, EU:C:2007:55, punto 36).


34      Sentenza del 25 gennaio 2007, Adam Opel (C‑48/05, EU:C:2007:55, punti 38 e 45).


35      Sentenza del 10 aprile 2008 (C‑102/07, EU:C:2008:217, punto 37).


36      Sentenza del 10 aprile 2008, adidas e adidas Benelux (C‑102/07, EU:C:2008:217, punto 37).


37      Sentenza dell’11 settembre 2007 (C‑17/06, EU:C:2007:497, punto 34).


38      V., recentemente, sentenza dell’8 giugno 2023, VB (Informazione al condannato in contumacia) (C‑430/22 e C‑468/22, EU:C:2023:458, punto 24).


39      Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa [COM(2013) 162 final] (il corsivo è mio).


40      Il considerando 27 della direttiva 2015/2436, che chiarisce il contenuto normativo dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della stessa, indica che «[è] opportuno che i diritti esclusivi conferiti dal marchio [dell’Unione] non permettano al titolare di vietare l’uso da parte di terzi di segni o indicazioni utilizzati correttamente e quindi conformemente alle consuetudini di lealtà in campo industriale e commerciale. (...) È opportuno (...) che il titolare non abbia il diritto di vietare un uso corretto e leale del marchio d’impresa al fine di identificare e menzionare prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare» (il corsivo è mio).


41      O, secondo la versione in lingua inglese, «general (...) use».


42      Il corsivo è mio.


43      P7_TA(2014)0119 Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 25 febbraio 2014 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa [COM(2013) 162 – C7‑0088/2013 – 2013/0089(COD)] disponibile al seguente indirizzo Internet: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=CELEX%3A52014AP0119


44      P7_TA(2014)0119 Risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 25 febbraio 2014, op. cit.


45      Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo a norma dell’articolo 294, paragrafo 6, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea riguardante la posizione del Consiglio in merito all’adozione della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa [COM(2015) 588 final].


46      Sentenza del 17 marzo 2005 (C‑228/03, EU:C:2005:177).


47      Sentenza dell’8 luglio 2010 (C‑558/08, EU:C:2010:416).


48      V. sentenze del 17 marzo 2005, Gillette Company e Gillette Group Finland (C‑228/03, EU:C:2005:177, punti 33 e 34), e dell’8 luglio 2010, Portakabin (C‑558/08, EU:C:2010:416, punto 64).


49      Sentenza del 25 gennaio 2007 (C‑48/05, EU:C:2007:55, punto 39).


50      Sentenza del 23 febbraio 1999 (C‑63/97, EU:C:1999:82).


51      V., in tal senso, sentenza del 23 febbraio 1999, BMW (C‑63/97, EU:C:1999:82, punto 59).


52      V., in particolare, Knaak, R., Kur, A., von Mühlendahl, A., «The Study on the Functioning of the European Trade Mark System, Max Planck Institute for Intellectual Property and Competition Law Research Paper, nn. 12 e 13, 2012, pag. 15: «Lo studio propone una limitazione generale dell’uso dei marchi di impresa come indicazione o riferimento ai prodotti o servizi del titolare del marchio» (traduzione libera).


53      V. Kur, A., Senftleben, M., European Trade Mark Law, Oxford University Press, Oxford, 2017, pag. 421, punti da 6.39 a 6.41, e pag. 429, punto 6.62.


54      Devo precisare che la mia proposta di risposta non può essere interpretata nel senso che il comportamento della Buongiorno rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2015/2436 se tale direttiva fosse applicabile nella controversia principale. Una considerazione siffatta dipende da una constatazione di ordine fattuale. Inoltre, interpretata in tal senso, la mia proposta di risposta non sarebbe utile al giudice nazionale, in quanto detta direttiva non è applicabile ratione temporis nella controversia principale.