CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

PRIIT PIKAMÄE

presentate l’8 giugno 2023 ( 1 )

Causa C‑125/22

X,

Y,

i loro 6 figli minorenni

contro

Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s‑Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch, Paesi Bassi)]

«Rinvio pregiudiziale – Politica comune in materia di asilo e di protezione sussidiaria – Direttiva 2011/95/UE – Condizioni per la concessione della protezione sussidiaria – Articolo 15 – Considerazione degli elementi propri della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente nonché della situazione generale nel paese di origine – Circostanze umanitarie»

I. Introduzione

1.

La domanda di pronuncia pregiudiziale in esame, proposta dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s‑Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch, Paesi Bassi) ai sensi dell’articolo 267 TFUE, ha per oggetto l’interpretazione dell’articolo 15 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta ( 2 ).

2.

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra i coniugi X e Y, nonché i loro sei figli minorenni, tutti cittadini libici (in prosieguo, congiuntamente: i «ricorrenti»), e lo Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Segretario di Stato alla Giustizia e alla Sicurezza, Paesi Bassi; in prosieguo: il «Segretario di Stato»), riguardo alle decisioni di quest’ultimo di respingere le domande di protezione internazionale dei ricorrenti. La questione al centro di tale controversia è se i ricorrenti possano beneficiare della protezione sussidiaria ai sensi della direttiva 2011/95.

3.

In sostanza, il giudice del rinvio chiede precisazioni sulla maniera in cui la situazione individuale e le circostanze personali di un richiedente, da un lato, e la situazione generale nel paese di origine, dall’altro, debbano essere prese in considerazione durante l’esame della domanda alla luce dell’articolo 15 della direttiva 2011/95. Esso chiede inoltre se, a talune condizioni, debbano essere altresì prese in considerazione circostanze umanitarie al fine di valutare il diritto alla protezione sussidiaria. Con la propria sentenza, nella quale saranno interpretati i criteri comuni che i richiedenti protezione internazionale devono soddisfare per poter beneficiare della protezione sussidiaria, la Corte contribuirà alla certezza del diritto e a una maggiore coerenza in sede di applicazione delle norme che disciplinano il sistema europeo comune di asilo.

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

1. Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

4.

L’articolo 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), intitolato «Dignità umana», enuncia quanto segue:

«La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata».

5.

L’articolo 4 della Carta, intitolato «Proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti», prevede quanto segue:

«Nessuno può essere sottoposto a tortura, né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

6.

L’articolo 19 della Carta, intitolato «Protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione», al paragrafo 2 enuncia quanto segue:

«Nessuno può essere allontanato, espulso o estradato verso uno Stato in cui esiste un rischio serio di essere sottoposto alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti».

2. Direttiva 2011/95

7.

L’articolo 2 della direttiva 2011/95, intitolato «Definizioni», prevede quanto segue:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

a)

“protezione internazionale”: lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria quale definito alle lettere e) e g);

b)

“beneficiario di protezione internazionale”: la persona cui è stato concesso lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria quale definito alle lettere e) e g);

(...)

f)

“persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria”: cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 15, e al quale non si applica l’articolo 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese;

g)

“status di protezione sussidiaria”: il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale persona avente titolo alla protezione sussidiaria;

h)

“domanda di protezione internazionale”: una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’ambito di applicazione della presente direttiva e che possa essere richiesto con domanda separata;

i)

“richiedente”: qualsiasi cittadino di un paese terzo o apolide che abbia presentato una domanda di protezione internazionale sulla quale non sia stata ancora adottata una decisione definitiva;

(...)».

8.

L’articolo 4 di tale direttiva, intitolato «Esame dei fatti e delle circostanze», contenuto nel capo II di quest’ultima, relativo alla «[v]alutazione delle domande di protezione internazionale», così dispone:

«1.   Gli Stati membri possono ritenere che il richiedente sia tenuto a produrre quanto prima tutti gli elementi necessari a motivare la domanda di protezione internazionale. Lo Stato membro è tenuto, in cooperazione con il richiedente, a esaminare tutti gli elementi significativi della domanda.

(...)

3.   L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

a)

di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda (...);

b)

delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi;

c)

della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, in particolare l’estrazione, il sesso e l’età, al fine di valutare se, in base alle circostanze personali del richiedente, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave;

(...)

4.   Il fatto che un richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di siffatte persecuzioni o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi, a meno che vi siano buoni motivi per ritenere che tali persecuzioni o danni gravi non si ripeteranno.

5.   Quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

a)

il richiedente ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda;

b)

tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;

c)

le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone;

(...)

e)

è accertato che il richiedente è in generale attendibile».

9.

Ai sensi dell’articolo 6 di detta direttiva, intitolato «Responsabili della persecuzione o del danno grave»:

«I responsabili della persecuzione o del danno grave possono essere:

a)

lo Stato;

b)

i partiti o le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio;

c)

soggetti non statuali, se può essere dimostrato che i responsabili di cui alle lettere a) e b), comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire la protezione contro persecuzioni o danni gravi di cui all’articolo 7».

10.

L’articolo 8 della medesima direttiva, intitolato «Protezione all’interno del paese d’origine», al paragrafo 2 enuncia quanto segue:

«Nel valutare se il richiedente ha fondati motivi di temere di essere perseguitato o corre rischi effettivi di subire danni gravi, oppure ha accesso alla protezione contro persecuzioni o danni gravi in una parte del territorio del paese d’origine conformemente al paragrafo 1, gli Stati membri tengono conto al momento della decisione sulla domanda delle condizioni generali vigenti in tale parte del paese, nonché delle circostanze personali del richiedente, in conformità dell’articolo 4. A tal fine gli Stati membri assicurano che informazioni precise e aggiornate pervengano da fonti pertinenti, quali l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati e l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo».

11.

Ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2011/95, intitolato «Danno grave», contenuto nel capo V di quest’ultima, relativo ai «[r]equisiti per la protezione sussidiaria»:

«Sono considerati danni gravi:

a)

la pena di morte o l’essere giustiziato; o

b)

la tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine; o

c)

la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale».

12.

L’articolo 18 di tale direttiva, intitolato «Riconoscimento dello status di protezione sussidiaria», enuncia quanto segue:

«Gli Stati membri riconoscono lo status di protezione sussidiaria a un cittadino di un paese terzo o a un apolide aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria in conformità dei capi II e V».

B.   Diritto dei Paesi Bassi

13.

L’articolo 29, paragrafo 1, della Wet tot algehele herziening van de Vreemdelingenwet (Vreemdelingenwet 2000) [legge sulla revisione generale della legge sugli stranieri (legge sugli stranieri del 2000)], del 23 novembre 2000 (Stb. 2000, n. 496), nella sua versione applicabile al procedimento principale, dispone quanto segue:

«1.   Il permesso di soggiorno temporaneo (...) può essere concesso al cittadino straniero che:

a)

possieda lo status di rifugiato; o

b)

dimostri sufficientemente di avere valide ragioni per supporre che, in caso di espulsione, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno, vale a dire:

1o.

la pena di morte o l’essere giustiziato;

2°.

la tortura, trattamenti o sanzioni inumani o degradanti; o

3°.

la minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

2.   Il permesso di soggiorno temporaneo di cui all’articolo 28 può inoltre essere concesso ai familiari elencati qui di seguito se, al momento dell’arrivo del cittadino straniero di cui trattasi, essi facevano parte della sua famiglia e sono entrati nei Paesi Bassi contemporaneamente a quest’ultimo, oppure l’hanno raggiunto entro tre mesi dopo che gli è stato rilasciato un permesso di soggiorno temporaneo (...).

(...)

4.   Il permesso di soggiorno temporaneo (...) può essere concesso anche a un familiare ai sensi del paragrafo 2 che non abbia semplicemente raggiunto il cittadino straniero di cui al paragrafo 1 nei tre mesi successivi al rilascio a quest’ultimo di un permesso di soggiorno (...) se, entro tale termine di tre mesi, è stata presentata da tale familiare, o a suo beneficio, una domanda di visto per un soggiorno superiore a tre mesi».

III. Fatti, procedimento principale e questioni pregiudiziali

14.

I coniugi X e Y, ricorrenti nel procedimento principale, provengono dalla Libia. Il 28 gennaio 2018 hanno presentato domande di protezione internazionale nei Paesi Bassi, anche a nome dei loro sei figli minorenni.

15.

Essi hanno fondato le loro domande sulle seguenti dichiarazioni: X avrebbe lavorato per anni a Tripoli come guardia del corpo di politici di alto livello. Una volta gli avrebbero sparato mentre era andato a correre dopo il lavoro. Sarebbe stato ferito alla testa e avrebbe ricevuto una scheggia di proiettile nella guancia sinistra. In seguito a ciò, X sarebbe stato minacciato due volte per telefono, la prima volta circa cinque mesi dopo che gli avevano sparato e la seconda volta tra uno e due anni dopo la sparatoria. Nel corso di tali conversazioni telefoniche, sarebbe stato detto in particolare che X lavorava per il governo, che sarebbe stato ucciso e che i suoi figli sarebbero stati rapiti. X nutrirebbe sospetti riguardo all’identità del responsabile della sparatoria e delle minacce, ma non potrebbe provarlo. I ricorrenti hanno poi affermato che, oltre alle circostanze umanitarie in Libia (in particolare la mancanza di accesso all’acqua potabile e all’elettricità), anche il fatto che abbiano sei figli minorenni rileverebbe nell’ambito della valutazione ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95.

16.

Con decisioni distinte, tutte datate 24 dicembre 2020, il Segretario di Stato ha respinto le domande di protezione internazionale in quanto infondate. Le decisioni prevedono inoltre che ai ricorrenti non venga rilasciato un permesso di soggiorno regolare e che essi non beneficino di un rinvio del loro obbligo di partenza. Infine, il Segretario di Stato ha deciso che tali decisioni valgano anche come obbligo di lasciare il territorio e che i ricorrenti dispongano di un termine di quattro settimane per conformarvisi.

17.

I ricorrenti hanno impugnato per infondatezza il rigetto delle loro domande di protezione internazionale dinanzi al rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s‑Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch).

18.

Tale giudice esprime dubbi riguardo all’interpretazione dell’articolo 15 della direttiva 2011/95. Esso si chiede se le disposizioni del citato articolo 15, lettera b), da un lato, e quelle dell’articolo 15, lettera c), dall’altro, debbano essere valutate in modo rigorosamente separato o se, invece, detto articolo 15 debba essere interpretato nel senso che tutti gli elementi rilevanti relativi sia alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente sia alla situazione generale nel paese di origine devono essere sempre valutati integralmente e congiuntamente, prima di indicare quale aspetto di danno grave possa essere suffragato da detti elementi. Il giudice del rinvio afferma che la decisione se concedere o meno una protezione ai ricorrenti nel procedimento principale dipenderebbe dalla maniera in cui tali disposizioni debbano essere interpretate.

19.

Per tale ragione il rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s‑Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 15 della direttiva [2011/95], in combinato disposto con l’articolo 2, lettera g), e con l’articolo 4 della medesima direttiva, nonché con [l’articolo 4 e l’articolo 19], paragrafo 2, della [Carta], debba essere interpretato nel senso che, per stabilire se un richiedente sia bisognoso di protezione sussidiaria, devono essere sempre esaminati e valutati, integralmente e in combinato disposto, tutti gli elementi rilevanti che riguardano sia la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente sia la situazione generale nel paese di origine, prima di indicare quale paventato aspetto di danno grave possa essere suffragato da detti elementi.

2)

In caso di risposta negativa alla prima questione, se la valutazione della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente nell’esame di cui all’articolo 15, lettera c), della direttiva [2011/95], relativamente alle quali la Corte ha già precisato che devono essere prese in considerazione, sia più estesa della verifica del requisito di individualizzazione, di cui alla sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo [del 17 luglio 2008,] nella causa N.A./Regno Unito [(CE:ECHR:2008:0717JUD002590407) ( 3 )]. Se detti elementi relativi alla stessa domanda di protezione sussidiaria possano essere presi in considerazione tanto nella valutazione di cui all’articolo 15, lettera b), della direttiva [2011/95] quanto nella valutazione di cui all’articolo 15, lettera c), della medesima direttiva.

3)

Se l’articolo 15 della direttiva [2011/95] debba essere interpretato nel senso che, nel valutare la necessità di protezione sussidiaria, la cosiddetta scala progressiva, relativamente alla quale la Corte ha già precisato che deve essere applicata per valutare un asserito timore di danno grave, ai sensi dell’articolo 15, lettera c), [di tale direttiva], deve essere applicata anche nel valutare un asserito timore di danno grave, ai sensi dell’articolo 15, lettera b), [di quest’ultima].

4)

Se l’articolo 15 della direttiva [2011/95], in combinato disposto con gli articoli 1, 4 e [l’articolo 19], paragrafo 2, della [Carta], debba essere interpretato nel senso che circostanze umanitarie, che sono un effetto (in)diretto dell’azione e/o dell’omissione di un responsabile di danno grave, devono essere prese in considerazione per valutare se un richiedente sia bisognoso di protezione sussidiaria».

IV. Procedimento dinanzi alla Corte

20.

La decisione di rinvio, datata 22 febbraio 2022, è pervenuta alla cancelleria della Corte in pari data.

21.

I ricorrenti nel procedimento principale, i governi dei Paesi Bassi, belga, tedesco e francese, nonché la Commissione europea, hanno depositato osservazioni scritte entro il termine impartito all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea.

22.

All’udienza del 23 marzo 2023, i mandatari ad litem dei ricorrenti nel procedimento principale, del governo dei Paesi Bassi, nonché della Commissione, hanno presentato osservazioni orali.

V. Analisi giuridica

A.   Osservazioni preliminari

23.

La Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e il suo protocollo del 31 gennaio 1967 relativi allo status dei rifugiati ( 4 ) sono i principali strumenti giuridici internazionali nel settore della protezione internazionale, in particolare per quanto concerne lo status dei rifugiati e il principio di non respingimento. Con l’adozione della direttiva 2011/95, è stata introdotta nell’Unione una nuova forma di tutela, la «protezione sussidiaria». La direttiva in parola, essendo stata adottata dal legislatore dell’Unione sulla base, in particolare, dell’articolo 78, paragrafo 2, lettera b), TFUE, si inserisce nel contesto delle misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa «uno status uniforme in materia di protezione sussidiaria per i cittadini di paesi terzi che, pur senza il beneficio dell’asilo europeo, necessitano di protezione internazionale» (il corsivo è mio).

24.

Per «persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria», ai sensi dell’articolo 2, lettera f), della direttiva 2011/95, si intende il «cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 15» (il corsivo è mio). Tale disposizione prevede tre tipi di «danni gravi» il cui ricorrere comporta, per chi li subisce, la concessione della protezione sussidiaria. Si tratta, in concreto, della pena di morte [lettera a)]; della tortura o altra forma di pena o trattamento inumano o degradante ai danni del richiedente nel suo paese di origine [lettera b)], e della minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale [lettera c)].

25.

La direttiva 2011/95 introduce quindi criteri comuni per l’attribuzione, alle persone richiedenti protezione internazionale, della qualifica di beneficiari della protezione sussidiaria, così garantendo che tutti gli Stati membri applichino tali criteri. Come correttamente rilevato dalla Corte, tale direttiva è diretta a istituire un regime uniforme di protezione sussidiaria ( 5 ). Compete alle autorità nazionali valutare i fatti e stabilire se tali criteri siano soddisfatti nel caso di specie, pur seguendo gli orientamenti della giurisprudenza. Poiché il giudice del rinvio esprime dubbi riguardo all’interpretazione dell’articolo 15 di detta direttiva e deplora una prassi eterogenea in sede di applicazione di detti criteri, ritengo indispensabile che la Corte si pronunci con chiarezza sulle questioni sollevate, al fine di garantire l’applicazione coerente delle norme del sistema europeo comune di asilo.

26.

Il giudice del rinvio, in sostanza, chiede alla Corte precisazioni sulla maniera in cui la situazione individuale e le circostanze personali di un richiedente, da un lato, e la situazione generale nel paese di origine, dall’altro lato, devono essere prese in considerazione nell’ambito dell’esame diretto alla concessione a tale richiedente della protezione sussidiaria prevista all’articolo 15 della direttiva 2011/95 (questioni dalla prima alla terza). Tale giudice chiede inoltre se, a talune condizioni, occorra altresì prendere in considerazione circostanze umanitarie per valutare il diritto alla protezione sussidiaria di detto richiedente (quarta questione). Tali questioni saranno trattate nell’ordine in cui sono state formulate.

B.   Sulla prima questione pregiudiziale

27.

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 15 della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera g), e l’articolo 4, di tale direttiva, nonché con l’articolo 4 e l’articolo 19, paragrafo 2, della Carta, debba essere interpretato nel senso che, per stabilire se un richiedente sia esposto al rischio di subire un danno grave, ai sensi del citato articolo 15, le autorità competenti sono tenute a procedere sistematicamente all’esame di tutti gli elementi rilevanti, che riguardano sia la «situazione individuale» e le «circostanze personali» del richiedente sia la «situazione generale» nel paese di origine, prima di indicare quale forma di danno grave possa essere suffragata da detti elementi.

1. Sull’obbligo di procedere a una valutazione individuale della domanda di protezione internazionale che tenga conto di tutti gli aspetti rilevanti relativi al paese di origine nonché della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente

28.

Si deve anzitutto ricordare che, come risulta dall’articolo 10, paragrafo 3, della direttiva 2013/32/UE ( 6 ), compete all’autorità accertante dello Stato membro interessato pronunciarsi su una domanda di protezione internazionale previo congruo esame, come precisato in particolare in detto paragrafo. L’esame della domanda da parte dell’autorità accertante, che deve disporre di mezzi specifici e di personale specializzato in materia, costituisce una fase essenziale delle procedure comuni istituite da detta direttiva ( 7 ).

29.

Si deve poi osservare che, conformemente all’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95, l’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base «individuale», tenendo conto, fra l’altro, degli elementi menzionati in detto articolo ( 8 ). La lettera a) fa riferimento a «tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine», mentre la lettera c) fa riferimento alla «situazione individuale» e alle «circostanze personali» del richiedente. Tale disposizione si applica anche alla valutazione dell’opportunità di riconoscere al richiedente lo status conferito dalla protezione sussidiaria qualora egli non debba essere considerato rifugiato. In altre parole, quand’anche una domanda di protezione internazionale non deduca elementi attinenti alla situazione del richiedente, tale disposizione esige che vengano prese in considerazione la «situazione individuale» nonché le «circostanze personali» del richiedente.

30.

Si deve poi osservare che, contrariamente a quanto affermato dal governo francese, non sussiste alcun ordine gerarchico o cronologico fra i differenti tipi di danni gravi definiti all’articolo 15 della direttiva 2011/95 ( 9 ), cosicché non si può ricavare alcun argomento allo scopo di affermare l’irrilevanza della «situazione individuale» e delle «circostanze personali» del richiedente (con riferimento alla situazione nel paese di origine) quale elemento da prendere in considerazione ai fini della valutazione della sua domanda di protezione internazionale alla luce dell’articolo 15, lettera c), di tale direttiva. Al contrario, tale constatazione sembra avvalorare un’interpretazione che imponga appunto di tenerne conto nell’ambito della valutazione che deve essere svolta dall’autorità competente.

31.

Mi sembra pertanto che dalle summenzionate disposizioni emerga che, per valutare se, in caso di rientro nel paese di origine, il richiedente corra un rischio effettivo di danno grave ai sensi dell’articolo 15 di detta direttiva, occorra sempre tener conto sia della «situazione individuale» e delle «circostanze personali» del richiedente, sia di tutti i fatti rilevanti che riguardano il paese di origine e, pertanto, anche, all’occorrenza, della «situazione generale nel paese» in questione.

2. Le manifestazioni di danno grave possono soddisfare contemporaneamente più criteri da esaminare nell’ambito della valutazione della stessa domanda di protezione internazionale

32.

Ciò premesso, occorre precisare che tale osservazione non implica che ai due elementi summenzionati (da un lato, la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente e, dall’altro lato, la situazione generale nel paese di origine) debba essere necessariamente attribuito lo stesso significato nell’ambito di una valutazione alla luce dell’articolo 15, lettere a), b) e c), della direttiva 2011/95. Nella sua giurisprudenza, la Corte ha richiamato l’attenzione sull’esistenza di differenze fra tali lettere, differenze che occorre menzionare brevemente ai fini di una migliore comprensione dell’analisi.

33.

Da un lato, per quanto riguarda i motivi indicati alla lettera a), ossia «la pena di morte o l’essere giustiziato», e alla lettera b), vale a dire il rischio di «tortura o altra forma di (...) trattamento inumano», tali danni gravi riguardano situazioni in cui il richiedente la protezione sussidiaria è esposto in modo specifico al rischio di un danno di un tipo particolare ( 10 ). Dall’altro lato, il danno definito all’articolo 15, lettera c), di tale direttiva, consistendo in una «minaccia grave e individuale alla vita o alla persona» del richiedente, riguarda il rischio di un danno più generale. Viene quindi considerata in modo più ampio una «minaccia (...) alla vita o alla persona» di un civile, piuttosto che determinate violenze. Inoltre, tale minaccia è inerente ad una situazione generale di conflitto armato che dà luogo a una «violenza indiscriminata», il che implica che essa possa estendersi ad alcune persone a prescindere dalla loro situazione personale ( 11 ).

34.

Tali differenze non escludono tuttavia che sussistano sovrapposizioni cosicché, in alcuni casi, le manifestazioni di danno grave possono soddisfare contemporaneamente più criteri da esaminare nell’ambito della valutazione della stessa domanda di protezione internazionale ( 12 ). Per tale ragione, ritengo che tutti gli elementi rilevanti, che riguardano sia la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente, sia la situazione generale nel paese di origine, debbano essere esaminati e valutati congiuntamente prima di individuare l’aspetto di danno grave che meglio corrisponde ai casi di specie in forza dell’articolo 15, lettere a), b) o c), della direttiva 2011/95.

35.

Peraltro, mi preme ricordare che, come dichiarato dalla Corte, si deve intendere il riferimento alla «minaccia grave e individuale» (il corsivo è mio), di cui all’articolo 15, lettera c), della direttiva in parola, nel senso che esso riguarda danni contro civili a prescindere dalla loro identità, qualora il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso, valutato dalle autorità nazionali competenti investite di una domanda di protezione sussidiaria o dai giudici di uno Stato membro ai quali viene deferita una decisione di rigetto di una tale domanda, raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza in tale territorio, un rischio effettivo di subire la minaccia grave di cui all’articolo 15, lettera c), di detta direttiva ( 13 ).

36.

Se è vero che l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 può riguardare una situazione eccezionale come quella descritta al paragrafo precedente, la Corte ha tuttavia precisato che detta disposizione può riguardare anche altre situazioni caratterizzate da un grado di violenza indiscriminata meno elevato, ma in cui un simile rischio discende dalle circostanze personali del richiedente. Infatti, come stabilito dalla Corte nella sua giurisprudenza, ai fini dell’applicazione dell’articolo 15, lettera c), di tale direttiva, «tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria» ( 14 ) (il corsivo è mio).

37.

Tutti gli elementi summenzionati portano a concludere che, nell’ambito dell’analisi diretta al riconoscimento al richiedente della protezione sussidiaria ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, occorre necessariamente prendere in considerazione non soltanto la «situazione generale» nel paese di origine, ma anche, eventualmente, gli elementi che riguardano la «situazione individuale» e le «circostanze personali» di tale richiedente.

3. Alcuni principi che possono servire da guida per le autorità nazionali nell’esercizio delle loro funzioni

38.

Occorre infine rilevare che, poiché né la direttiva 2011/95, né la direttiva 2013/32, né qualsiasi altra norma del diritto dell’Unione contengono regole esplicite e dettagliate in ordine alla struttura e all’organizzazione del processo di valutazione per quanto concerne l’interdipendenza e lo svolgimento sequenziale della valutazione delle differenti forme di danno grave ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2011/95, gli Stati membri, in linea di principio, dispongono di un certo margine di discrezionalità al riguardo.

39.

A mio avviso, le suesposte considerazioni, fondate sull’interpretazione delle disposizioni pertinenti, tenuto conto al contempo della giurisprudenza della Corte, permettono nondimeno di stabilire una serie di principi che possono limitare il margine di discrezionalità degli Stati membri. Considerato che tali principi possono guidare le autorità nazionali nell’esercizio delle loro funzioni, ritengo opportuno esporli nel prosieguo.

40.

In primo luogo, dall’articolo 15 della direttiva 2011/95 emerge che il legislatore dell’Unione ha volutamente distinto le differenti forme di danno grave che possono sussistere. Ciascuna delle tre forme di danno grave menzionate in tale articolo costituisce un motivo autonomo per la concessione dello status conferito dalla protezione sussidiaria. Di conseguenza, prima che tale status sia concesso, devono essere soddisfatte tutte le condizioni che discendono dalla lettera pertinente dell’articolo 15. Non è dunque sufficiente soddisfare in parte le condizioni di una lettera e in parte quelle di un’altra lettera di detto articolo 15. Resta nondimeno il fatto che, se del caso, è possibile parlare contemporaneamente di un rischio effettivo di più danni gravi ai sensi di tale disposizione.

41.

In secondo luogo, fermo restando quanto precede, in una situazione in cui possono venire in rilievo più danni gravi ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2011/95, taluni elementi possono essere pertinenti contemporaneamente per più forme di siffatti danni gravi. In tale ipotesi, occorre tenere conto degli elementi pertinenti in questione in sede di valutazione di tutte le forme di danno grave che possono venire in rilievo. Infatti, come ho spiegato al paragrafo 29 delle presenti conclusioni, l’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 esige che si tenga sempre conto di «tutti i fatti pertinenti» ivi menzionati, incluse la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente, nonché la situazione generale nel paese di origine. Conformemente a tale necessità, non si può ammettere che, in uno Stato membro, taluni elementi potenzialmente pertinenti non siano esaminati e valutati dall’autorità accertante unicamente per la ragione formale che il richiedente ha addotto tali elementi con riferimento a una delle forme potenzialmente rilevanti di danno grave temuto, ma non all’altra.

42.

In terzo luogo, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, in sede di valutazione di una domanda di protezione internazionale, occorre distinguere due fasi ( 15 ). La prima fase riguarda l’accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda, mentre la seconda fase riguarda la valutazione giuridica di tali elementi, che consiste nel decidere se, alla luce dei fatti che caratterizzano una fattispecie, siano soddisfatti i requisiti sostanziali previsti per il riconoscimento di una protezione internazionale. La necessità di cooperazione, prevista all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2011/95, si applica durante la prima fase, ma non durante la seconda. Tale distinzione tra le due fasi della valutazione, con differenti responsabilità per il richiedente e l’autorità accertante, conferma che detta autorità non può escludere taluni elementi potenzialmente pertinenti, anticipando la possibile qualificazione giuridica. Tale approccio contrasterebbe con il principio secondo il quale esistono due fasi distinte che, logicamente, occorre attuare successivamente.

43.

In quarto luogo, un aspetto particolarmente importante da prendere in considerazione durante la valutazione di una domanda di protezione internazionale alla luce dell’articolo 15 della direttiva 2011/95 – che sarà spiegato dettagliatamente nell’ambito dell’esame della seconda questione pregiudiziale – riguarda la questione di stabilire in quale misura il richiedente sia specificamente esposto al rischio di subire un certo tipo di danno. Come dichiarato dalla Corte, tale «individualizzazione» è importante per poter determinare non soltanto se la situazione del richiedente rientri fra i danni gravi definiti alle lettere a) e b), ma anche fra quelli menzionati alla lettera c) di tale articolo. Conformemente alla cosiddetta scala «progressiva», elaborata in via giurisprudenziale e che trova applicazione con riferimento alla lettera c), «tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria» ( 16 ) (il corsivo è mio). Di conseguenza, l’autorità competente dovrà stabilire il grado di «individualizzazione» richiesto nel caso di specie.

44.

Conformemente alla ripartizione di competenze nell’ambito di un procedimento pregiudiziale ai sensi dell’articolo 267 TFUE, spetta al giudice del rinvio verificare se l’approccio adottato nel caso di specie dall’autorità competente in sede di esame della domanda di protezione internazionale dei ricorrenti nel procedimento principale soddisfi le suesposte condizioni del diritto dell’Unione.

4. Risposta alla prima questione pregiudiziale

45.

Tenuto conto delle precedenti considerazioni, propongo di rispondere alla prima questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 15 della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, di quest’ultima, dev’essere interpretato nel senso che, per ciascuna delle lettere di tale articolo, che possono venire in rilievo in un caso specifico, la valutazione della domanda di protezione internazionale deve tener conto, in particolare, dell’insieme degli elementi elencati all’articolo 4, paragrafo 3, tra cui la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente nonché tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine, e dev’essere svolta in maniera da distinguere le due fasi relative, rispettivamente, all’accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda e alla valutazione giuridica di tali elementi, senza che occorra esaminare congiuntamente le differenti lettere di detto articolo 15.

C.   Sulla seconda questione pregiudiziale

1. La rilevanza della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 3 della CEDU

46.

Con la seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che, nell’ambito dell’analisi diretta a individuare un rischio di danno grave ai sensi di tale disposizione, occorre valutare gli elementi relativi alla situazione individuale e alle circostanze personali di tale richiedente, e se detta valutazione sia più estesa della verifica del requisito di «individualizzazione», di cui alla sentenza NA c. Regno Unito.

47.

Dalla decisione di rinvio risulta, in particolare, che il giudice a quo desidera ottenere chiarimenti segnatamente sulla questione di stabilire se circostanze individuali diverse dalla semplice provenienza da una zona in cui si verificano «i casi più estremi di violenza generale», ai sensi di detta sentenza – ossia in cui il grado di violenza in un dato paese raggiunge un livello tale che l’espulsione di una persona verso tale paese costituisce una violazione della proibizione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti garantita all’articolo 3 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU») – possano servire quale elemento pertinente necessario per suffragare un timore di danni gravi ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95.

48.

In proposito, si deve ricordare che la Corte ha dichiarato che l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 può riguardare non soltanto situazioni caratterizzate da un grado di violenza indiscriminata, ma anche altre situazioni caratterizzate da un grado di violenza meno elevato, ma in cui un simile rischio discende dalle circostanze personali del richiedente. Come ho rilevato nell’ambito dell’esame della prima questione pregiudiziale ( 17 ), nella sua giurisprudenza la Corte ha precisato che, «tanto più il richiedente è eventualmente in grado di dimostrare di essere colpito in modo specifico a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale, tanto meno elevato sarà il grado di violenza indiscriminata richiesto affinché egli possa beneficiare della protezione sussidiaria» (il corsivo è mio). Ne consegue che, nel corso dell’analisi che dev’essere effettuata in forza di tale disposizione, è possibile applicare una «scala progressiva» fondata su una differenziazione in base ai possibili livelli di violenza indiscriminata e alla situazione individuale del richiedente, per valutare se quest’ultimo possa beneficiare della protezione ai sensi di detta disposizione.

49.

Per quanto concerne la questione di stabilire se la valutazione degli elementi relativi alla situazione individuale e alle circostanze personali del richiedente, svolta nell’ambito dell’analisi diretta a individuare un rischio di danno grave ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, sia più estesa della verifica del requisito di «individualizzazione», di cui alla sentenza della Corte EDU nella causa NA c. Regno Unito, si deve ricordare che, nella sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94), la Corte ha dichiarato che l’articolo 15, lettera b), della direttiva 2011/95 sostanzialmente corrisponde all’articolo 3 della CEDU. Per contro, l’articolo 15, lettera c), di tale direttiva, in quanto differisce da detta disposizione della CEDU, deve essere interpretato autonomamente, pur nel rispetto dei diritti fondamentali come garantiti dalla CEDU ( 18 ). La Corte, facendo riferimento alla citata sentenza NA c. Regno Unito, ha aggiunto che l’interpretazione ivi contenuta dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 2, lettera e), di quest’ultima, è pienamente compatibile con la CEDU, ivi compresa la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 3 della CEDU ( 19 ).

50.

Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, la Carta è divenuta giuridicamente vincolante e ha lo stesso valore giuridico dei trattati, come previsto dall’articolo 6, paragrafo 1, TUE. La Carta, ormai, è dunque il principale punto di riferimento in materia di tutela dei diritti fondamentali nell’ordinamento giuridico dell’Unione. È appunto quanto risulta dal considerando 16 della direttiva 2011/95. Tuttavia, si deve precisare che i diritti fondamentali garantiti dalla CEDU – e, pertanto, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in proposito – conservano tutta la loro importanza nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Infatti, l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta stabilisce che, laddove quest’ultima contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla CEDU.

51.

Per quanto concerne più specificamente l’articolo 3 della CEDU, il diritto fondamentale ivi contenuto corrisponde al diritto fondamentale sancito all’articolo 4 della Carta. In quanto tale, come ho spiegato nelle mie conclusioni presentate nella causa Bundesrepublik Deutschland (Nozione di «minaccia grave e individuale»), quest’ultima disposizione ha dunque lo stesso significato e la stessa portata della prima ( 20 ). Pertanto, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare per quanto concerne l’articolo 3 della CEDU, alla quale appartiene la sentenza N.A./Regno Unito, può essere pertinente ai fini dell’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2011/95.

2. Altri aspetti connessi alla «situazione individuale» o alle «circostanze personali» del richiedente da prendere in considerazione

52.

Ciò premesso, si deve precisare che, considerato che l’interpretazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 dev’essere effettuata autonomamente, come dichiarato dalla Corte, la valutazione delle circostanze personali alla luce di tale disposizione non è limitata al controllo del requisito dell’«individualizzazione» menzionato dalla Corte EDU nella sentenza citata. Di conseguenza, mi sembra che la valutazione delle circostanze personali alla luce dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 sia più estesa della verifica di detto requisito di «individualizzazione».

53.

Come avevo già rilevato nelle conclusioni che ho presentato nella causa Bundesrepublik Deutschland (Nozione di «minaccia grave e individuale») ( 21 ), dalla giurisprudenza della Corte risulta chiaramente che, sebbene l’applicazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 non implichi, in un primo tempo, l’esame delle circostanze personali del richiedente, tale disposizione dev’essere letta, in un secondo tempo, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 4, di tale direttiva, cosicché elementi di carattere personale che lo riguardano possono, se del caso, essere presi in considerazione in sede di valutazione della sussistenza di una minaccia grave e individuale ai sensi del citato articolo 15, lettera c) ( 22 ).

54.

Secondo l’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 2011/95, «[i]l fatto che un richiedente abbia già subito persecuzioni o danni gravi o minacce dirette di siffatte persecuzioni o danni costituisce un serio indizio della fondatezza del timore del richiedente di subire persecuzioni o del rischio effettivo di subire danni gravi, a meno che vi siano buoni motivi per ritenere che tali persecuzioni o danni gravi non si ripeteranno» (il corsivo è mio). Pertanto, non si può escludere che l’individuazione di un’eventuale «minaccia grave e individuale» ai sensi dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 si fondi su elementi identici a quelli presi in considerazione nell’ambito dell’individuazione di atti di «tortura o [di] altra forma di pena o trattamento inumano o degradante» ai quali il richiedente deve dimostrare di essere specificamente esposto ai sensi della lettera b) del citato articolo 15.

55.

Peraltro, ammetto di essere favorevole all’interpretazione proposta dal governo tedesco, secondo la quale occorre tener conto anche di alcuni fattori attinenti alla situazione individuale o alle circostanze personali del richiedente, idonei ad accrescere il rischio di essere vittima di violenza in caso di conflitto armato interno o internazionale ( 23 ). Fra tali fattori rientra in particolare la professione, qualora, ad esempio, un medico, un avvocato o un interprete sia esposto a rischi specifici a causa della sua attività. Sebbene sia impossibile elencare in modo esaustivo tutti i fattori che possono accrescere il rischio per una persona di essere vittima di violenza, ritengo che l’approccio da adottare sia sufficientemente chiaro per sensibilizzare le autorità competenti.

3. Risposta alla seconda questione pregiudiziale

56.

Per le ragioni suesposte, ritengo che occorra rispondere alla seconda questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 15 della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafi 3 e 4, di quest’ultima, dev’essere interpretato nel senso che la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente, inclusa la sua professione, devono essere prese in considerazione durante l’esame alla luce dell’articolo 15, lettera c), di tale direttiva, purché tali elementi accrescano il rischio specifico di esposizione a una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

D.   Sulla terza questione pregiudiziale

57.

Con la terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 15, lettera b), della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che la citata «scala progressiva», applicata durante la valutazione effettuata ai sensi della lettera c) di tale articolo, dev’essere applicata anche alla valutazione effettuata ai sensi di detta lettera b).

58.

In proposito, si deve rilevare che tale «scala progressiva» ha ad oggetto il grado di violenza indiscriminata nell’ambito di un conflitto armato interno o internazionale e permette di stabilire se, in un caso particolare, il grado di una simile violenza indiscriminata, che può comportare una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile, sia tale che, nei confronti della persona interessata, sussistano fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, detta persona correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 2, lettera f), della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 15, lettera c), di quest’ultima.

59.

Per contro, i danni gravi di cui all’articolo 15, lettere a) e b), di tale direttiva riguardano situazioni differenti, nelle quali il richiedente è esposto specificamente al rischio di un danno che richiede un certo grado di individualizzazione, sulla base di elementi propri della sua situazione personale.

60.

Tenuto conto del fatto che il citato articolo 15, lettera b), non contiene un requisito relativo a una situazione in cui venga in questione un certo grado di violenza indiscriminata, ritengo che tale «scala progressiva» sia priva di rilevanza ai fini della valutazione ai sensi di detta lettera b).

61.

Per tali ragioni, occorre rispondere alla terza questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 15, lettera b), della direttiva 2011/95 dev’essere interpretato nel senso che la «scala progressiva», che, secondo la giurisprudenza della Corte, si applica ai fini della valutazione ai sensi della lettera c) di tale articolo non si applica a questa prima disposizione.

E.   Sulla quarta questione pregiudiziale

62.

Con la quarta questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si chiede, in sostanza, se, nell’ambito dell’analisi diretta a concedere al richiedente la protezione prevista all’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, sia possibile tener conto di circostanze di emergenza umanitaria nel paese di origine.

63.

Secondo una costante giurisprudenza, il procedimento istituito all’articolo 267 TFUE costituisce uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, grazie al quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione necessari a questi ultimi per risolvere la controversia che sono chiamati a dirimere ( 24 ). Nell’ambito di tale cooperazione, il giudice nazionale adito è nella situazione più idonea per valutare, tenuto conto delle peculiarità della causa, la necessità di una pronuncia pregiudiziale per essere posto in grado di emettere la sentenza nonché la pertinenza delle questioni sottoposte alla Corte. Resta il fatto che spetta alla Corte esaminare, ove necessario, le condizioni in cui viene adita dal giudice nazionale al fine di verificare la propria competenza e, in particolare, verificare se l’interpretazione richiesta del diritto dell’Unione presenti una relazione con l’effettività e l’oggetto della controversia nel procedimento principale, di modo che la Corte non sia indotta ad esprimere pareri su questioni generali o ipotetiche. Laddove risulti che la questione posta non è manifestamente pertinente ai fini della soluzione di tale controversia, la Corte deve dichiarare il non luogo a provvedere ( 25 ). Come spiegherò nel prosieguo, l’esame della quarta questione solleva difficoltà che mi sembrano insormontabili ai fini della ricevibilità di detta questione, nonostante una lettura attenta e indulgente della decisione di rinvio.

64.

In primo luogo, il giudice del rinvio non indica espressamente quale lettera dell’articolo 15 della direttiva 2011/95 sia interessata da tale questione. Tuttavia, dal contesto nel quale la questione è stata sollevata risulta che essa verte sull’interpretazione da fornire alla lettera c) di tale articolo. Inoltre, il giudice del rinvio non spiega cosa si debba intendere con il riferimento alle «circostanze umanitarie». Le spiegazioni fornite nella decisione di rinvio permettono nondimeno di dedurre che il giudice del rinvio fa riferimento a situazioni caratterizzate da una grave mancanza di servizi di base quali il cibo, l’acqua o le cure mediche, cosicché si tratta apparentemente di «circostanze di emergenza umanitaria». Ciò premesso, anche supponendo che il giudice del rinvio abbia in mente simili circostanze, si deve constatare che dalla decisione di rinvio non risulta che i ricorrenti si trovino appunto nella situazione descritta. Un mero riferimento generico a relazioni predisposte da organizzazioni internazionali riguardo alla situazione complessiva nel paese di origine non può sostituire la valutazione caso per caso della situazione del richiedente.

65.

Sebbene, infatti, i ricorrenti abbiano dichiarato che «le difficili condizioni di vita, come il fatto di non poter disporre di carburante, acqua potabile ed elettricità, erano state una delle ragioni della [loro] partenza», resta nondimeno il fatto che la direttiva 2011/95 impone requisiti elevati per il rischio di subire danni gravi ( 26 ). Come più volte sottolineato dalla Corte, tale direttiva impone agli Stati membri l’obbligo di identificare «le persone che hanno effettivamente bisogno di [protezione internazionale]» ( 27 ) (il corsivo è mio). In quest’ottica la Corte ha considerato, in riferimento ai rischi di deterioramento dello stato di salute di un cittadino di un paese terzo, che «carenze generali del sistema sanitario del paese d’origine»non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 15, lettera c), di tale direttiva ( 28 ). Analogamente, la Corte ha ritenuto che la sola dichiarazione oggettiva di un «rischio legato alla situazione generale di un paese» non è sufficiente, in linea di principio, a provare che le condizioni menzionate in tale disposizione sono soddisfatte in capo ad una determinata persona ( 29 ).

66.

Tale interpretazione è avvalorata dal considerando 35 di detta direttiva, da cui risulta che «[i] rischi a cui è esposta in generale la popolazione o una parte della popolazione di un paese di norma non costituiscono di per sé una minaccia individuale da definirsi come danno grave» (il corsivo è mio). Da quanto precede discende che non si può ritenere che una situazione come quella descritta dai ricorrenti rientri in una delle ipotesi contemplate dall’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95, per quanto difficili possano essere le circostanze per le persone interessate. Per tali ragioni, il collegamento fra la questione sollevata dal giudice del rinvio e i fatti all’origine del procedimento appare quantomeno discutibile. Mi sembra dunque che la quarta questione abbia carattere ipotetico.

67.

In secondo luogo, si deve rilevare che dalla decisione di rinvio non risulta che le circostanze umanitarie di cui trattasi nel procedimento principale siano un effetto diretto o indiretto dell’azione e/o dell’omissione di un responsabile di danno grave, come presuppone la questione sollevata. La decisione di rinvio non precisa chi sia il responsabile considerato, in cosa consistano le azioni e/o omissioni concrete di tale responsabile, se esse siano state commesse in maniera deliberata o involontariamente, o quale sia il rapporto preciso fra le circostanze umanitarie e tali azioni e/o omissioni. Orbene, in tale contesto va ricordato che, conformemente alla giurisprudenza della Corte, la protezione sussidiaria può essere concessa soltanto se le minacce sono conseguenza di un comportamento intenzionale di uno dei responsabili elencati all’articolo 6 della direttiva 2011/95 ( 30 ). Secondo la Corte, il fatto che tale disposizione contenga un elenco dei responsabili del danno grave «corrobora l’idea secondo cui siffatto danno deve essere costituito dal comportamento di un terzo» ( 31 ) (il corsivo è mio).

68.

Nel contesto dell’articolo 15, lettera c), di tale direttiva, ciò implica che una simile protezione può essere concessa qualora le minacce gravi e individuali siano la conseguenza sufficientemente diretta di una violenza indiscriminata. Nel caso di specie, in assenza delle necessarie informazioni sulla situazione specifica dei ricorrenti, in particolare per quanto concerne l’esatta identità dei responsabili asseritamente coinvolti, non è possibile rispondere alla questione sollevata, salvo lasciandosi guidare da riflessioni ipotetiche, il che è escluso dalla giurisprudenza menzionata al paragrafo 63 delle presenti conclusioni.

69.

In terzo luogo, non posso fare a meno di pensare che, in realtà, la domanda di pronuncia pregiudiziale miri a invitare la Corte a includere condizioni aggiuntive nell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 a dispetto della formulazione chiara ed esaustiva di tale disposizione. È infatti innegabile che detta disposizione non menzioni le «circostanze di emergenza umanitaria» in quanto tali come una delle ipotesi che possono dare diritto a una protezione sussidiaria. Anzitutto, la formulazione di tale disposizione osta a un’interpretazione che possa includere una simile ipotesi. Ritengo pertanto che le «circostanze di emergenza umanitaria»non rientrino nell’ambito di applicazione di tale disposizione ( 32 ).

70.

Mi sembra peraltro che una simile interpretazione, se dovesse essere presa in considerazione dalla Corte, non solo sarebbe problematica a causa degli argomenti suesposti, ma comporterebbe anche difficoltà applicative per le autorità nazionali, tanto più che non sarebbe chiaro come le condizioni aggiuntive – da incorporare in via giurisprudenziale – si integrino nell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95. In particolare, solleverebbe numerosi interrogativi il rapporto tra le «circostanze di emergenza umanitaria» e le condizioni espressamente contemplate da tale disposizione. Mi sembra che le difficoltà associate a un simile approccio evidenzino che l’intento del legislatore dell’Unione non può essere stato quello di accettare una siffatta estensione dell’ambito di applicazione della disposizione summenzionata senza prevedere una riforma ( 33 ). A mio avviso, compete soltanto al legislatore dell’Unione garantire la certezza del diritto modificando la direttiva 2011/95 se necessario.

71.

Per le ragioni menzionate ai paragrafi precedenti, propongo alla Corte di dichiarare la quarta questione irricevibile.

VI. Conclusione

72.

Alla luce dell’insieme delle precedenti considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nel modo seguente alle questioni pregiudiziali sollevate dal rechtbank Den Haag, zittingsplaats ’s‑Hertogenbosch (Tribunale dell’Aia, sede di ’s‑Hertogenbosch, Paesi Bassi):

1)

L’articolo 15 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 3, della medesima direttiva,

dev’essere interpretato nel senso che:

per ciascuna delle lettere di tale articolo, che possono venire in rilievo in un caso specifico, la valutazione della domanda di protezione internazionale deve tener conto, in particolare, dell’insieme degli elementi elencati all’articolo 4, paragrafo 3, di tale direttiva, tra cui la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente nonché tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine, e dev’essere svolta in maniera da distinguere le due fasi relative, rispettivamente, all’accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda e alla valutazione giuridica di tali elementi, senza che occorra esaminare congiuntamente le differenti lettere di detto articolo 15.

2)

L’articolo 15 della direttiva 2011/95, in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafi 3 e 4, di quest’ultima,

dev’essere interpretato nel senso che:

la situazione individuale e le circostanze personali del richiedente, inclusa la sua professione, devono essere prese in considerazione durante l’esame alla luce di detto articolo 15, lettera c), purché tali elementi accrescano il rischio specifico di esposizione a una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale.

3)

L’articolo 15, lettera b), della direttiva 2011/95

dev’essere interpretato nel senso che:

la «scala progressiva», che, secondo la giurisprudenza della Corte, si applica ai fini della valutazione ai sensi della lettera c) di tale articolo non si applica a questa prima disposizione.

4)

La quarta questione è irricevibile.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2011, L 337, pag. 9.

( 3 ) In prosieguo: la «sentenza NA. c. Regno Unito».

( 4 ) Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], come modificata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967.

( 5 ) Sentenza del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di minaccia grave e individuale) (C‑901/19, EU:C:2021:472, punto 22).

( 6 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60).

( 7 ) Sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 64)

( 8 ) Sentenza del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di minaccia grave e individuale) (C‑901/19, EU:C:2021:472, punto 41).

( 9 ) V., in proposito, Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), Guida pratica dell’EASO: Requisiti per poter beneficiare della protezione internazionale, aprile 2018, pag. 27.

( 10 ) Sentenza del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di minaccia grave e individuale) (C‑901/19, EU:C:2021:472, punto 25).

( 11 ) Sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94, punti da 32 a 34).

( 12 ) V., in tal senso, EASO, Articolo 15, lettera c), della direttiva «qualifiche» (2011/95/UE) – Un’analisi giuridica, gennaio 2015, pag. 16.

( 13 ) Sentenze del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94, punto 35), e del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di minaccia grave e individuale) (C‑901/19, EU:C:2021:472, punto 28).

( 14 ) Sentenze del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94, punto 39), e del 30 gennaio 2014, Diakité (C‑285/12, EU:C:2014:39, punto 31).

( 15 ) Sentenze del 22 novembre 2012, M. (C‑277/11, EU:C:2012:744, punti 44 e segg.), e del 2 dicembre 2014, A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 58).

( 16 ) V. paragrafo 36 delle presenti conclusioni.

( 17 ) V. paragrafo 36 delle presenti conclusioni.

( 18 ) Sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94, punto 28).

( 19 ) Sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94, punto 44).

( 20 ) C‑901/19 (EU:C:2021:116, paragrafo 49).

( 21 ) C‑901/19 (EU:C:2021:116, paragrafo 24).

( 22 ) Sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94, punti 39 e 40).

( 23 ) V., in tal senso, Storey, H., EU immigration and asylum law, Hailbronner, K., Thym, D. (a cura di), Monaco di Baviera, 2016, part. D III, art. 15, pag. 1238, punto 16, il quale considera che l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 può servire alla tutela delle persone qualora esse riescano a provare di far fronte a minacce a causa di loro «caratteristiche individuali».

( 24 ) Sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet (C‑322/16, EU:C:2017:985, punto 17).

( 25 ) Sentenza del 24 ottobre 2013, Stoilov i Ko (C‑180/12, EU:C:2013:693, punto 38).

( 26 ) Sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94, punto 37).

( 27 ) Sentenze del 30 gennaio 2014, Diakité (C‑285/12, EU:C:2014:39, punto 33); del 18 dicembre 2014, M’Bodj (C‑542/13, EU:C:2014:2452, punto 37), e del 10 giugno 2021, Bundesrepublik Deutschland (Nozione di minaccia grave e individuale) (C‑901/19, EU:C:2021:472, punto 44).

( 28 ) Sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj (C‑542/13, EU:C:2014:2452, punto 31).

( 29 ) Sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94, punto 37).

( 30 ) Sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj (C‑542/13, EU:C:2014:2452, punto 31).

( 31 ) Sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj (C‑542/13, EU:C:2014:2452, punto 35).

( 32 ) Si può scorgere una certa analogia con la giurisprudenza citata al paragrafo 65 delle presenti conclusioni, secondo la quale alcune ipotesi specifiche non rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95.

( 33 ) Nelle mie conclusioni nella causa Bundesrepublik Deutschland (Nozione di minaccia grave e individuale) (C‑901/19, EU:C:2021:116, paragrafo 56), ho spiegato che il testo dell’articolo 15, lettera c), della direttiva 2011/95 è frutto di un compromesso tra gli Stati membri. Infatti, la genesi di tale disposizione rivela che è stata oggetto di discussioni controverse in seno al Consiglio (v., al riguardo, Storey, H., op. cit., pag. 1235, punto 6).