SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

9 novembre 2023 ( *1 )

«Impugnazione – Regolamento (CE) n. 1907/2006 (regolamento REACH) – Registrazione, valutazione, autorizzazione e restrizioni delle sostanze chimiche – Allegato XVII – Aggiornamento – Restrizioni applicabili alla fabbricazione, all’immissione sul mercato e all’uso di talune sostanze e miscele pericolose e di taluni articoli pericolosi – Restrizioni riguardanti l’ottametilciclotetrasilossano (D4) e il decametilciclopentasilossano (D5) – Sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche – Sostanze molto persistenti e molto bioaccumulabili – Rischi inaccettabili»

Nella causa C‑558/21 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta l’8 settembre 2021,

Global Silicones Council, con sede in Washington (Stati Uniti),

Wacker Chemie AG, con sede in Monaco di Baviera (Germania),

Momentive Performance Materials GmbH, con sede in Leverkusen (Germania),

Shin-Etsu Silicones Europe BV, con sede in Almere (Paesi Bassi),

Elkem Silicones France SAS, con sede in Lione (Francia),

rappresentate inizialmente da A. Bartl, advokát, R. Cana, avocat, A. Kołtunowska, adwokat, e E. Mullier, avocate, successivamente da A. Bartl, advokát, R. Cana e E. Mullier, avocats,

ricorrenti,

procedimento in cui le altre parti sono:

Commissione europea, rappresentata da R. Lindenthal e K. Mifsud-Bonnici, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado,

Repubblica federale di Germania, rappresentata inizialmente da J. Möller e D. Klebs, in qualità di agenti, successivamente da J. Möller, in qualità di agente,

Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord,

Parlamento europeo,

Consiglio dell’Unione europea,

Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA), rappresentata da W. Broere, A. Hautamäki e M. Heikkilä, in qualità di agenti,

American Chemistry Council Inc. (ACC), con sede in Washington, rappresentata inizialmente da A. Moroni, avocate, B. Natens, advocaat, e K. Nordlander, advokat, successivamente da S. De Knop, advocaat, A. Moroni, avocate, e B. Natens, advocaat, e infine da S. De Knop, advocaat, e A. Moroni, avocate,

intervenienti in primo grado,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da C. Lycourgos, presidente di sezione, O. Spineanu-Matei (relatrice), J.-C. Bonichot, S. Rodin e L.S. Rossi, giudici,

avvocato generale: J. Kokott

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 20 aprile 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la loro impugnazione le società Global Silicones Council, Wacker Chemie AG, Momentive Performance Materials GmbH, Shin-Etsu Silicones Europe BV e Elkem Silicones France SAS (in prosieguo, congiuntamente: le «ricorrenti») chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 30 giugno 2021, Global Silicones Council e a./Commissione (T‑226/18, in prosieguo: la sentenza impugnata, EU:T:2021:403), con la quale quest’ultimo ha respinto il loro ricorso diretto all’annullamento del regolamento (UE) 2018/35 della Commissione, del 10 gennaio 2018, recante modifica dell’allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) per quanto riguarda l’ottametilciclotetrasilossano («D4») e il decametilciclopentasilossano («D5») (GU 2018, L 6, pag. 45; in prosieguo: il «regolamento controverso»).

Contesto normativo

Regolamento REACH

2

L’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 dicembre 2006, concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), che istituisce un’agenzia europea per le sostanze chimiche, che modifica la direttiva 1999/45/CE e che abroga il regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio e il regolamento (CE) n. 1488/94 della Commissione, nonché la direttiva 76/769/CEE del Consiglio e le direttive della Commissione 91/155/CEE, 93/67/CEE, 93/105/CE e 2000/21/CE (GU 2006, L 396, pag. 1, e rettifica in GU 2007, L 136, pag. 3), come modificato dal regolamento (UE) 2017/1510 della Commissione, del 30 agosto 2017 (GU 2017, L 224, pag. 110) (in prosieguo: il «regolamento REACH»), dispone quanto segue:

«Quando per acquisire informazioni sulle proprietà intrinseche delle sostanze sono necessari test, questi sono eseguiti secondo i metodi specificati nel regolamento della Commissione [europea] o, se del caso, secondo altri metodi internazionali riconosciuti dalla Commissione o dall’Agenzia [europea per le sostanze chimiche (ECHA)]. La Commissione adotta tale regolamento, inteso a modificare elementi non essenziali del presente regolamento integrandolo, secondo la procedura di cui all’articolo 133, paragrafo 4.

Possono essere acquisite informazioni sulle proprietà intrinseche delle sostanze con altri metodi di prova, purché siano soddisfatte le condizioni di cui all’allegato XI».

3

Ai sensi dell’articolo 57, lettere d) ed e), di tale regolamento:

«Le sostanze seguenti possono essere incluse nell’allegato XIV secondo la procedura di cui all’articolo 58:

(...)

d) le sostanze che sono persistenti, bioaccumulabili e tossiche, secondo i criteri di cui all’allegato XIII del presente regolamento;

e) le sostanze che sono molto persistenti e molto bioaccumulabili, secondo i criteri di cui all’allegato XIII del presente regolamento».

4

Il titolo VIII di detto regolamento, intitolato «Restrizioni relative alla fabbricazione, all’immissione sul mercato e all’uso di talune sostanze pericolose, miscele e articoli», comprende gli articoli da 67 a 73 del medesimo regolamento.

5

L’articolo 68 del regolamento REACH, intitolato «Introduzione di nuove restrizioni e modificazione delle restrizioni esistenti», al paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Quando la fabbricazione, l’uso o l’immissione sul mercato di sostanze comportano un rischio inaccettabile per la salute umana o per l’ambiente, che richiede un’azione a livello comunitario, l’allegato XVII è modificato secondo la procedura di cui all’articolo 133, paragrafo 4, tramite l’adozione di nuove restrizioni o la modificazione delle restrizioni esistenti previste nell’allegato XVII per la fabbricazione, l’uso o l’immissione sul mercato di sostanze, in quanto tali o in quanto componenti di miscele o articoli, secondo la procedura di cui agli articoli da 69 a 73. Una siffatta decisione tiene conto dell’impatto socioeconomico della restrizione, compresa l’esistenza di alternative.

(...)».

6

L’articolo 69 di tale regolamento, intitolato «Elaborazione di una proposta», così dispone:

«1.   Se ritiene che la fabbricazione, l’immissione sul mercato o l’uso di una sostanza, in quanto tale o in quanto componente di una miscela o di un articolo, presentino per la salute umana o per l’ambiente un rischio non adeguatamente controllato e richiedano un’azione, la Commissione invita l’[ECHA] a predisporre un fascicolo conforme alle prescrizioni dell’allegato XV.

(...)

4.   Se uno Stato membro ritiene che la fabbricazione, l’immissione sul mercato o l’uso di una sostanza, in quanto tale o in quanto componente di una miscela o di un articolo, presentino per la salute umana o per l’ambiente un rischio non adeguatamente controllato e richiedano un’azione, notifica all’[ECHA] che intende predisporre un fascicolo conforme alle prescrizioni dei pertinenti punti dell’allegato XV. (…).

(…)».

7

Ai termini dell’articolo 70 di detto regolamento, intitolato «Parere dell’[ECHA]: comitato per la valutazione dei rischi», «il comitato per la valutazione dei rischi esprime un parere sull’adeguatezza delle restrizioni proposte ai fini della riduzione del rischio per la salute umana e/o per l’ambiente, in base ad un esame degli elementi pertinenti del fascicolo».

8

L’articolo 71 del regolamento REACH, intitolato «Parere dell’[ECHA]: comitato per l’analisi socioeconomica», al paragrafo 1 così dispone:

«(…) [I]l comitato per l’analisi socioeconomica esprime un parere sulle restrizioni proposte, in base all’esame degli elementi pertinenti del dossier e dell’impatto socioeconomico. (...)».

9

Sotto il titolo «Trasmissione di un parere alla Commissione», l’articolo 72 di tale regolamento prevede, al paragrafo 1, quanto segue:

«L’[ECHA] trasmette senza indugio alla Commissione i pareri emessi dal comitato per la valutazione dei rischi e dal comitato per l’analisi socioeconomica sulle restrizioni proposte per sostanze, in quanto tali o in quanto componenti di miscele o articoli. (...)».

10

L’articolo 73 del citato regolamento, intitolato «Decisione della Commissione», al suo paragrafo 1 così dispone:

«1.   Se sono soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 68, la Commissione elabora un progetto di modifica dell’allegato XVII (...)

Se il progetto di modifica diverge dalla proposta originaria o se non tiene conto dei pareri dell’[ECHA], la Commissione allega una spiegazione dettagliata delle ragioni delle divergenze.

2.   La decisione finale è assunta secondo la procedura di cui all’articolo 133, paragrafo 4. La Commissione invia il progetto di modifica agli Stati membri almeno quarantacinque giorni prima della votazione».

11

L’allegato I del regolamento REACH, come modificato dal regolamento (UE) n. 252/2011 della Commissione, del 15 marzo 2011 (GU 2011, L 69, pag. 3) (in prosieguo: l’«allegato I»), intitolato «Disposizioni generali relative alla valutazione delle sostanze e all’elaborazione delle relazioni sulla sicurezza chimica», è così formulato:

«0. Introduzione

(...)

0.6.

Fasi di una valutazione della sicurezza chimica

0.6.1.

Una valutazione della sicurezza chimica effettuata dal fabbricante o dall’importatore di una sostanza comprende le fasi seguenti da 1 a 4, conformemente ai punti corrispondenti del presente allegato:

1.

valutazione dei pericoli per la salute umana;

2.

valutazione dei pericoli che le proprietà fisico-chimiche presentano per la salute umana;

3.

valutazione dei pericoli per l’ambiente;

4.

valutazione PBT e vPvB.

0.6.2.

Nei casi di cui al punto 0.6.3 la valutazione della sicurezza chimica deve anche comprendere le fasi seguenti 5 e 6 in conformità dei punti 5 e 6 del presente allegato:

5.

valutazione dell’esposizione;

5.1.

creazione di scenari d’esposizione o, se del caso, identificazione di pertinenti categorie d’uso e d’esposizione;

5.2.

stima dell’esposizione;

6.

caratterizzazione dei rischi.

0.6.3.

Se, dopo le fasi da 1 a 4, il fabbricante o l’importatore conclude che la sostanza risponde ai criteri di [persistente, bioaccumulabile e tossica (PBT)] o [molto persistente e molto bioaccumulabile (vPvB)], la valutazione della sicurezza chimica deve comprendere anche le fasi 5 e 6 in conformità dei punti 5 e 6 del presente allegato:

(...)

4. Valutazione PBT e vPvB

4.0. Introduzione

4.0.1.

La valutazione PBT e vPvB ha lo scopo di determinare se la sostanza corrisponde ai criteri enunciati nell’allegato XIII e, in caso affermativo, di caratterizzare le emissioni potenziali di tale sostanza. Una valutazione dei pericoli, a norma dei punti 1 e 3 del presente allegato, che prende in considerazione tutti gli effetti a lungo termine e la stima dell’esposizione a lungo termine delle persone e dell’ambiente a norma del punto 5 (valutazione dell’esposizione), fase 2 (stima dell’esposizione), non può essere effettuata con sufficiente affidabilità per le sostanze che corrispondono ai criteri PBT e vPvB di cui all’allegato XIII. È pertanto necessaria una valutazione PBT e vPvB distinta.

4.0.2.

La valutazione PBT e vPvB comprende le due fasi seguenti, che sono chiaramente identificate come tali nella parte B, punto 8, della relazione sulla sicurezza chimica:

fase 1: confronto con i criteri

fase 2: caratterizzazione delle emissioni

(...)

4.1. Fase 1: confronto con i criteri

Questa parte della valutazione PBT e vPvB comporta il confronto dei dati disponibili con i criteri enunciati nella sezione 1 dell’allegato XIII e una dichiarazione da cui risulti se la sostanza corrisponde o no ai criteri. La valutazione deve essere effettuata in conformità delle disposizioni di cui alla parte introduttiva dell’allegato XIII e alle sezioni 2 e 3 dello stesso allegato.

4.2. Fase 2: caratterizzazione delle emissioni

Se la sostanza corrisponde ai criteri, o se è considerata come PBT o vPvB, è effettuata una caratterizzazione delle emissioni, comprendente gli elementi pertinenti della valutazione dell’esposizione descritta al punto 5. (...)

(...)

6. Caratterizzazione dei rischi

(...)

6.3.

La caratterizzazione dei rischi consiste in:

un confronto tra l’esposizione di ogni popolazione umana di cui è noto che è o è probabile che sia esposta e i DNEL [(livello derivato senza effetto): livello di esposizione alla sostanza al di sopra del quale l’uomo non dovrebbe essere esposto] appropriati;

un confronto delle concentrazioni ambientali previste in ogni settore ambientale e le PNEC [(prevedibile concentrazione priva di effetti): concentrazione della sostanza al di sotto della quale è prevedibile che non vi siano effetti nocivi per l’ambiente]; e

una valutazione della probabilità e della gravità di un evento che si produca a causa delle proprietà fisico-chimiche della sostanza.

6.4.

Per ogni scenario d’esposizione, i rischi per le persone e l’ambiente possono essere considerati adeguatamente controllati, nell’intero ciclo di vita della sostanza risultante dalla fabbricazione o dagli usi identificati, se:

i livelli d’esposizione stimati al punto 6.2 non superano il DNEL o la PNEC, come determinati rispettivamente nei punti 1 e 3, e

la probabilità e la gravità di un evento che si produca a causa delle proprietà fisico-chimiche della sostanza, come determinato nel punto 2, sono trascurabili.

6.5.

Per gli effetti sulle persone e i settori ambientali per i quali non è stato possibile determinare (…) una PNEC, si procede a una valutazione qualitativa della probabilità che gli effetti siano evitati nella definizione dello scenario d’esposizione.

Per le sostanze che corrispondono ai criteri PBT e vPvB, il fabbricante o l’importatore utilizza le informazioni ottenute come indicato nel punto 5, fase 2, quando applica nel suo sito e raccomanda agli utilizzatori a valle misure di gestione dei rischi che riducano al minimo le emissioni e l’esposizione della popolazione e dell’ambiente, nell’intero ciclo di vita della sostanza risultante dalla fabbricazione o dagli usi identificati.

(...)».

12

L’allegato XIII del regolamento REACH (in prosieguo: l’«allegato XIII»), intitolato «Criteri per l’identificazione delle sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche, e delle sostanze molto persistenti e molto bioaccumulabili», definisce i criteri per l’identificazione delle sostanze persistenti, bioaccumulabili e tossiche (in prosieguo: le «sostanze PBT») e delle sostanze molto persistenti e molto bioaccumulabili (in prosieguo: le «sostanze vPvB»), nonché le informazioni di cui occorre tenere conto per valutare le proprietà P (persistente), B (bioaccumulabile) e T (tossica) di una sostanza.

13

L’allegato XV del regolamento REACH (in prosieguo: l’«allegato XV»), intitolato «Fascicoli», «definisce i principi generali relativi alla preparazione dei fascicoli per proporre e giustificare (...) l’identificazione di una sostanza come (...) PBT, vPvB (...) [e] le restrizioni alla fabbricazione, all’immissione sul mercato o all’uso di una sostanza all’interno della Comunità».

Regolamento (UE) n. 253/2011

14

Il 15 marzo 2011 la Commissione ha adottato il regolamento (UE) n. 253/2011, recante modifica del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) per quanto riguarda l’allegato XIII (GU 2011, L 69, pag. 7).

15

I considerando 5 e 6 del regolamento n. 253/2011 così recitano:

«(5)

L’esperienza insegna che, per una corretta identificazione delle sostanze PBT e vPvB, è opportuno utilizzare in modo integrato tutte le informazioni pertinenti e applicare un metodo basato sulla forza probante dei dati, confrontando questi ultimi con i criteri elencati nella parte 1 dell’allegato XIII.

(6)

Tale metodo è particolarmente importante nei casi in cui il raffronto tra i dati disponibili e i suddetti criteri non è immediato».

16

Il preambolo dell’allegato XIII, come modificato dal regolamento n. 253/2011, così recita:

«Il presente allegato definisce i criteri per l’identificazione delle sostanze [PBT], e delle sostanze [vPvB], nonché le informazioni di cui occorre tenere conto per valutare le proprietà P, B e T di una sostanza.

Per identificare le sostanze PBT e vPvB si applica un metodo basato sulla forza probante dei dati e sul parere di esperti, mettendo a confronto tutti i dati pertinenti e disponibili elencati nel punto 3.2 con i criteri figuranti nella parte 1. Tale metodo si applica in particolare quando i criteri indicati nella parte 1 non possono essere applicati direttamente alle informazioni disponibili.

In base a tale metodo viene vagliato l’insieme delle informazioni disponibili per l’identificazione di una sostanza PBT o vPvB: risultati di appropriati studi in vitro di monitoraggio e modellizzazione, dati pertinenti sugli animali, informazioni tratte dall’applicazione dell’approccio per categorie (raggruppamento, metodo del read-across), risultati basati sui metodi (Q)SAR [modelli di relazione (quantitativa o qualitativa) struttura-attività], esperienza umana ricavata dai dati relativi a malattie professionali e infortuni, studi epidemiologici e clinici, studi di casi e osservazioni ben documentati. Occorre dare la debita importanza alla qualità e alla coerenza dei dati. A prescindere dalle conclusioni individuali che si possono trarre dai singoli risultati, essi sono accorpati in modo da costituire un’unica evidenza per determinare se una sostanza presenta o meno una particolare proprietà.

Le informazioni utilizzate per valutare le proprietà PBT/vPvB si fondano su dati ottenuti in condizioni di analisi pertinenti.

L’identificazione tiene inoltre conto delle proprietà PBT/vPvB dei costituenti pertinenti di una sostanza e dei prodotti di trasformazione e/o degradazione pertinenti.

Il presente allegato si applica a tutte le sostanze organiche, anche le organometalliche».

17

I punti 1.1.2 e 1.2.2 dell’allegato XIII, come modificati dal regolamento n. 253/2011, sono così formulati:

«1.1.2. Bioaccumulo

Una sostanza è bioaccumulabile (B) se il suo fattore di bioconcentrazione (FBC) nelle specie acquatiche è superiore a 2000.

(...)

1.2.2. Bioaccumulo

Una sostanza è molto bioaccumulabile (vB) se il suo fattore di bioconcentrazione nelle specie acquatiche è superiore a 5000».

18

Ai sensi dei punti 3.2 e 3.2.2 dell’allegato XIII, come modificati dal regolamento n. 253/2011:

«3.2. Informazioni sulla valutazione

Per la valutazione delle proprietà P, vP [(molto persistenti)], B, vB e T si tiene conto delle seguenti informazioni, utilizzando un metodo basato sulla forza probante dei dati:

(...)

3.2.2. Valutazione delle proprietà B o vB:

a)

risultati di uno studio di bioconcentrazione o di bioaccumulo nelle specie acquatiche;

b)

altri dati sul potenziale di bioaccumulo di cui si possa ragionevolmente dimostrare l’adeguatezza e l’affidabilità, come ad esempio:

risultati di uno studio di bioaccumulo nelle specie terrestri,

(...)

c)

informazioni sulla capacità della sostanza di bioamplificarsi nella catena alimentare, se possibile espressa mediante fattori di bioamplificazione o di amplificazione nelle reti trofiche».

Regolamento (CE) n. 440/2008

19

Il 30 maggio 2008 la Commissione ha adottato, sulla base dell’articolo 13, paragrafo 3, del regolamento REACH, il regolamento (CE) n. 440/2008, che istituisce dei metodi di prova ai sensi del regolamento (CE) n. 1907/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l’autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) (GU 2008, L 142, pag. 1, e rettifica GU 2014, L 11, pag. 12).

20

Il capitolo C.13 dell’allegato al regolamento n. 440/2008, come modificato dal regolamento (UE) 2017/735 della Commissione, del 14 febbraio 2017 (GU 2017, L 112, pag. 1), riguarda il «[b]ioaccumulo nei pesci: esposizione attraverso l’ambiente acquatico e per via alimentare».

21

Il primo comma dell’Introduzione di tale capitolo C.13 è così formulato:

«Il presente metodo di prova è equivalente alla linea guida dell’[Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico (OCSE)] per le prove sulle sostanze chimiche n. 305 (2012). L’obiettivo principale della presente revisione del metodo di prova è duplice. In primo luogo, essa è intesa a includere una prova di bioaccumulo per via alimentare idonea a determinare il potenziale di bioaccumulo delle sostanze a bassa solubilità in acqua. (...)».

Fatti

22

I fatti all’origine della controversia sono stati esposti ai punti da 9 a 20 della sentenza impugnata nei seguenti termini:

«9.

(...) Global Silicones Council è una società senza capitale azionario, con sede negli Stati Uniti, che rappresenta società che fabbricano e vendono prodotti a base di silicone in tutto il mondo. (...) Wacker Chemie (...), Momentive Performance Materials (...), Shin-Etsu Silicones Europe (...) e Elkem Silicones France (...) sono società con sede nell’Unione europea che fabbricano, vendono e forniscono prodotti a base di silicone, in particolare le sostanze chimiche ottametilciclotetrasilossano (in prosieguo: il “D4”) e decametilciclopentasilossano (in prosieguo: il “D5”).

10.

Il 1o ottobre 2014, l’autorità competente del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord ha presentato all’[ECHA] parti di un fascicolo basato sull’allegato XV (...) relativo alle proprietà PBT e vPvB del D4 e del D5.

11.

Il 14 ottobre 2014, il direttore esecutivo dell’ECHA ha chiesto al comitato degli Stati membri dell’ECHA (in prosieguo: il “CSM”) di emettere un parere in ordine alla persistenza e al bioaccumulo del D4 e del D5 rispetto ai criteri stabiliti dall’allegato XIII.

12.

Tra il 15 ottobre e il 1o dicembre 2014 si è svolta una consultazione pubblica a proposito dei documenti forniti dal Regno Unito relativi alle proprietà PBT e vPvB del D4 e del D5.

13.

Il 17 aprile 2015, il Regno Unito ha presentato all’ECHA un fascicolo basato sull’allegato XV (in prosieguo: il “fascicolo elaborato conformemente all’allegato XV”) che proponeva una restrizione relativa al D4 e al D5 nei prodotti cosmetici che erano eliminati mediante risciacquo in condizioni normali d’uso. Secondo il fascicolo, era necessario intervenire a livello dell’Unione per affrontare i rischi per l’ambiente derivanti dall’uso del D4 e del D5 se scaricati nelle acque reflue.

14.

Il 22 aprile 2015, il CSM ha adottato un parere (in prosieguo: il “parere del CSM”) secondo il quale sia il D4 che il D5 soddisfacevano i criteri di cui all’allegato XIII per quanto riguarda l’identificazione delle sostanze vP e vB.

15.

Tra il 18 giugno e il 18 dicembre 2015 si è svolta una consultazione pubblica sulla proposta restrizione dell’uso del D4 e del D5. Nell’ambito di tale consultazione pubblica le ricorrenti hanno presentato le loro osservazioni e prove.

16.

Il 10 marzo 2016, il comitato per la valutazione dei rischi dell’ECHA (in prosieguo: il “CVR”) ha adottato un parere in cui concludeva, da un lato, che il D4 soddisfaceva i criteri di cui all’allegato XIII per l’identificazione delle sostanze PBT e delle sostanze vPvB e, dall’altro, che il D5 soddisfaceva i criteri per l’identificazione delle sostanze vPvB (in prosieguo: il “parere del CVR”). Il CVR ha confermato che le proprietà pericolose del D4 e del D5 davano adito a particolari preoccupazioni per l’ambiente quando tali sostanze erano presenti nei prodotti cosmetici utilizzati o smaltiti con l’acqua. Esso ha inoltre concluso che la restrizione proposta sarebbe stata una misura specifica e appropriata a livello dell’Unione per ridurre al minimo le emissioni causate dai prodotti da risciacquo.

17.

L’11 marzo 2016, il comitato per l’analisi socioeconomica dell’ECHA (in prosieguo: il “CASE”) ha adottato un progetto di parere. Una consultazione pubblica si è tenuta tra il 16 luglio e il 16 maggio 2016. Il 9 giugno 2016, il CASE ha adottato il suo parere definitivo indicando che la restrizione proposta costituiva la misura più appropriata a livello dell’Unione, al fine di ridurre gli scarichi di D4 e D5 nelle acque reflue, sotto il profilo costi socioeconomici/benefici (in prosieguo: il “parere del CASE”). (...)

18.

Il 10 agosto 2016, l’ECHA ha trasmesso alla Commissione i pareri del CVR e del CASE.

19.

Il 10 maggio 2017, la Commissione ha sottoposto la sua proposta di regolamento al parere del comitato istituito dall’articolo 133 del regolamento [REACH].

20.

Il 10 gennaio 2018, la Commissione ha adottato il [regolamento controverso]. Tale regolamento prevede che né il D4 né il D5 possano essere immessi sul mercato nei prodotti cosmetici da risciacquo in concentrazione pari o superiore allo 0,1% in peso di ciascuna sostanza, a partire dal 31 gennaio 2020».

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

23

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 2 aprile 2018, le ricorrenti hanno presentato un ricorso volto all’annullamento del regolamento controverso.

24

Con decisione del presidente della Quinta Sezione del Tribunale, del 5 settembre 2018, la Repubblica federale di Germania, il Regno Unito, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea sono stati ammessi ad intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.

25

Con ordinanza del 25 ottobre 2018, il presidente della Quinta Sezione del Tribunale ha ammesso l’ECHA a intervenire a sostegno delle conclusioni della Commissione.

26

Con ordinanza del 13 dicembre 2018, il presidente della Quinta Sezione del Tribunale ha ammesso la società American Chemistry Council Inc. (ACC) a intervenire a sostegno delle conclusioni delle ricorrenti.

27

A sostegno del loro ricorso, le ricorrenti hanno dedotto otto motivi, vertenti, il primo, su errori manifesti di valutazione, il secondo, su una violazione del principio di proporzionalità, in quanto il regolamento controverso non sarebbe appropriato o necessario, non costituirebbe la misura meno restrittiva e causerebbe inconvenienti sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti, il terzo, su una violazione delle forme sostanziali, in particolare in quanto la Commissione non avrebbe «mai esaminato o verificato adeguatamente o sufficientemente il fondamento del [regolamento controverso]» e in quanto avrebbe dovuto essere il CVR – e non il CSM – a valutare l’insieme dei fattori e delle giustificazioni sottesi alla restrizione fissata dal regolamento controverso, il quarto, su una violazione del principio della certezza del diritto e del principio della tutela del legittimo affidamento, il quinto, su una violazione dell’equilibrio istituzionale dei poteri, in quanto l’ECHA avrebbe «legiferato» concludendo sulle proprietà B e vB del D4 e del D5 al di fuori e indipendentemente dal diritto applicabile, il sesto, su una violazione del principio di buona amministrazione, in particolare in quanto la Commissione e l’ECHA avrebbero violato l’obbligo di assicurare che le procedure amministrative di valutazione dei rischi garantiscano l’obiettività scientifica ed escludano misure arbitrarie, il settimo, su una violazione dei diritti della difesa e del diritto di essere ascoltato, e, l’ottavo, su una violazione dell’obbligo di motivazione del regolamento controverso.

28

Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto ciascuno di tali motivi e, pertanto, ha respinto il ricorso nella sua interezza.

Conclusioni delle parti dinanzi alla Corte

29

Con la loro impugnazione le ricorrenti, sostenute da ACC, chiedono che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata;

annullare il regolamento controverso;

in subordine, rinviare la causa al Tribunale affinché statuisca sul ricorso di annullamento, e

condannare la Commissione alle spese del procedimento, compreso il procedimento dinanzi al Tribunale.

30

La Commissione, sostenuta dalla Repubblica federale di Germania e dall’ECHA, chiede che la Corte voglia:

respingere l’impugnazione e

condannare le ricorrenti alle spese.

Sull’impugnazione

31

A sostegno della loro impugnazione, le ricorrenti deducono cinque motivi, vertenti:

il primo, su un errore commesso dal Tribunale per aver considerato che la Commissione non avesse violato l’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH, da un lato, non constatando esplicitamente l’esistenza di un rischio inaccettabile e, dall’altro, non stabilendo una soglia critica di probabilità di effetti nocivi inaccettabili per la società;

il secondo, su un errore commesso dal Tribunale per aver considerato che la Commissione non avesse omesso di motivare la sua decisione secondo cui i rischi connessi all’uso del D4 e del D5 nei prodotti da risciacquo erano inaccettabili;

il terzo, su un errore commesso dal Tribunale per aver considerato che l’incertezza legata alla valutazione delle sostanze PBT o vPvB giustificasse di ritenere il rilascio di una sostanza un’indicazione dell’esistenza di un rischio;

il quarto, su un’interpretazione erronea dell’allegato XIII e del regolamento n. 253/2011 per aver il Tribunale affermato che i dati relativi al fattore di bioconcentrazione (in prosieguo: il «FBC») hanno una «certa priorità» o una «maggiore forza probante», rispetto ad altri dati, ai fini della valutazione delle proprietà B/vB;

il quinto, su un’interpretazione erronea dell’allegato XIII per aver il Tribunale considerato che l’ECHA non avesse commesso un errore manifesto non tenendo conto della natura ibrida del D4 e del D5.

Sul secondo motivo

Argomenti delle parti

32

Con il loro secondo motivo, che occorre esaminare per primo, le ricorrenti, sostenute da ACC, allegano che il Tribunale ha a torto statuito che la Commissione non aveva violato l’obbligo di motivazione, sancito dall’articolo 296, secondo comma, TFUE, non indicando, nel regolamento controverso, che il rischio associato all’uso del D4 e del D5 in taluni prodotti cosmetici da risciacquo fosse «inaccettabile», ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH.

33

Secondo le ricorrenti, i considerando 8 e 9 del regolamento controverso danno atto, quanto all’uso del D4 e del D5, dell’esistenza di un rischio, ma non indicano che tale rischio sia inaccettabile. Il riferimento al fascicolo elaborato conformemente all’allegato XV nonché ai pareri del CSM, del CVR e del CASE non sarebbe in grado di ovviare alla violazione di tale obbligo di motivazione, giacché il legislatore dell’Unione non ha incaricato tali comitati di determinare essi, in ultima istanza, se il rischio sia inaccettabile. Peraltro, anche supponendo che la Commissione possa procedere ad una determinazione implicita del rischio, il regolamento controverso sarebbe viziato da un difetto di motivazione e non potrebbe quindi essere utilmente sottoposto a sindacato giurisdizionale.

34

Le ricorrenti contestano il punto 187 della sentenza impugnata, in quanto potrebbe dedursi da tale punto che la Commissione ha rispettato il proprio obbligo di motivazione per il solo fatto dell’adozione del regolamento controverso.

35

A loro avviso, a torto il Tribunale ha dichiarato, al punto 204 della sentenza impugnata, che «dalla giurisprudenza non discende che la Commissione avrebbe dovuto utilizzare l’espressione “rischio inaccettabile”», mentre l’obbligo di far figurare una tale menzione risulterebbe direttamente dall’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH.

36

Accettando che alla Commissione sia lecito effettuare una valutazione implicita del rischio, il Tribunale avrebbe convalidato la tesi secondo cui, quando una decisione segue il parere di un organismo scientifico, il contenuto di tale parere, menzionato nei considerando della decisione, costituisce parte integrante della motivazione di quest’ultima. Orbene, sarebbe errato considerare che l’ECHA può procedere ad una valutazione dell’inaccettabilità del rischio e la Commissione limitarsi a rinviare implicitamente a tale valutazione.

37

L’affermazione del Tribunale, al punto 337 della sentenza impugnata, secondo cui l’assenza di menzione del termine «inaccettabile» nel regolamento controverso non ha alcuna incidenza sulla capacità degli interessati di comprendere la portata e le giustificazioni di tale regolamento, sarebbe in palese contraddizione con quanto imposto dall’obbligo di motivazione.

38

La Commissione, sostenuta dalla Repubblica federale di Germania e dall’ECHA, ritiene che l’argomentazione delle ricorrenti sia priva di fondamento.

Giudizio della Corte

39

Si deve osservare che, facendo valere una violazione dell’articolo 296, secondo comma, TFUE, le ricorrenti contestano il modo in cui il Tribunale ha risposto, in particolare ai punti 187, 204 e 337 della sentenza impugnata, alle censure relative all’assenza di menzione del termine «inaccettabile», ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH, nel regolamento controverso.

40

A tal riguardo occorre ricordare che il carattere sufficiente di una motivazione dev’essere valutato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e dell’insieme delle norme giuridiche che disciplinano la materia di cui trattasi (sentenza del 29 settembre 2022, ABLV Bank/CRU,C‑202/21 P, EU:C:2022:734, punto 193 e giurisprudenza ivi citata).

41

Nel caso di specie, si deve rilevare che, dopo aver esposto, ai punti da 327 a 331 della sentenza impugnata, la portata dell’obbligo di motivazione che incombe all’istituzione, autore dell’atto di cui trattasi, il Tribunale ha esaminato, al punto 337 di tale sentenza, la censura mossa dalle ricorrenti riguardo all’assenza di menzione del termine «inaccettabile» nel regolamento controverso in relazione al rischio per l’ambiente della presenza del D4 e del D5 in taluni prodotti cosmetici.

42

Esso ha constatato che l’assenza di menzione di tale termine nel regolamento controverso non aveva alcuna incidenza sulla capacità degli interessati di comprendere la portata e le giustificazioni di detto regolamento, né sulla capacità del giudice dell’Unione di esercitare il suo controllo di legittimità. A tal fine, il Tribunale ha rinviato al punto 204 della sentenza impugnata, secondo il quale dai considerando 8 e 9 e dal fondamento giuridico del regolamento controverso risulta che la Commissione ha implicitamente, ma necessariamente considerato il rischio legato alla presenza del D4 e del D5 in taluni prodotti cosmetici come un rischio inaccettabile per l’ambiente. Questa stessa considerazione risulta anche dal punto 187 della medesima sentenza.

43

Inoltre, al punto 338 della sentenza impugnata, il Tribunale ha considerato che occorreva tener conto delle motivazioni fornite nel fascicolo elaborato conformemente all’allegato XV nonché dei pareri del CSM, del CVR e del CASE, i quali sono pubblici e le cui conclusioni sono state seguite dalla Commissione nell’elaborazione del regolamento controverso, come risulta dai considerando 1, da 3 a 5 e 7 dello stesso.

44

Il Tribunale ha potuto, pertanto, senza commettere errori di diritto, dedurre dagli elementi menzionati ai punti 42 e 43 della presente sentenza che l’assenza dei termini «rischio inaccettabile» nel regolamento controverso non costituiva una lacuna nella motivazione di quest’ultimo, dato che tanto dalla formulazione quanto dal contesto di detto regolamento emerge che la Commissione doveva necessariamente considerare il rischio legato alla presenza del D4 e del D5 in taluni prodotti cosmetici da risciacquo come un rischio inaccettabile.

45

Ne consegue che il secondo motivo deve essere respinto in quanto infondato.

Sul primo motivo

Sulla prima parte del primo motivo

– Argomenti delle parti

46

Con la prima parte del primo motivo le ricorrenti, sostenute da ACC, contestano al Tribunale che avrebbe violato l’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH convalidando l’approccio della Commissione consistente nel constatare implicitamente l’esistenza di un rischio inaccettabile per la salute umana o per l’ambiente, ai sensi di tale disposizione, e nell’avallare le conclusioni dei pareri del CSM, del CVR e del CASE senza procedere alla sua propria valutazione dell’inaccettabilità di tale rischio.

47

In primo luogo, dal combinato disposto dell’articolo 68, paragrafo 1, dell’articolo 69, paragrafi 1 e 4, e dell’articolo 70 del regolamento REACH risulterebbe che né l’ECHA né il CVR né gli Stati membri sono autorizzati a procedere alla qualificazione di detto rischio come inaccettabile. Secondo le ricorrenti, nel caso di specie, se è vero che il fascicolo elaborato conformemente all’allegato XV indica che «semplici emissioni e la successiva esposizione possono, nel caso di una sostanza PBT o vPvB, essere considerate indice di un rischio inaccettabile», né il parere del CVR né il parere del CASE menzionerebbero il termine «inaccettabile», e questo dimostrerebbe che tali comitati non si sono ritenuti competenti a procedere alla qualificazione del rischio.

48

Una tale qualificazione risulterebbe da una decisione politica da parte della Commissione, adottata conformemente alla procedura di cui all’articolo 133, paragrafo 4, del regolamento REACH. La Commissione non può fondarsi sull’allegato I per la valutazione del «rischio inaccettabile», poiché tale allegato non verte sulla valutazione di un tale rischio. Il Tribunale avrebbe quindi commesso un errore di diritto constatando, al punto 192 della sentenza impugnata, che «i principi stabiliti nell’allegato I si applicano non solo al fascicolo elaborato conformemente all’allegato XV, ma anche alle fasi successive del processo di adozione di una restrizione».

49

Le ricorrenti sostengono che non esiste alcuna base giuridica che consenta al Tribunale di affermare che la Commissione sia vincolata dai principi stabiliti nell’allegato I in sede di valutazione del rischio ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH. Il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che la fase prevista da tale disposizione e quella prevista all’articolo 69 di detto regolamento sono due fasi distinte, ciascuna delle quali ha una base giuridica diversa e nel cui ambito si applicano principi diversi.

50

In secondo luogo, il Tribunale si sarebbe contraddetto ai punti 192, 199 e 217 della sentenza impugnata, affermando, da un lato, che i principi stabiliti nell’allegato I si applicano nel corso dell’intero processo di adozione di una restrizione e, dall’altro, che la nozione di «rischio inaccettabile», di cui all’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH, è diversa da quella di «rischio non adeguatamente controllato e [che] richied[e] un’azione», di cui all’articolo 69 del medesimo regolamento, e che la Commissione non era tenuta a procedere ad una nuova valutazione scientifica analoga a quella effettuata dagli attori ai quali detto regolamento ha esplicitamente affidato tale compito.

51

Pertanto, contrariamente a quanto risulta dalla sentenza impugnata, la Commissione non avrebbe rispettato l’obbligo ad essa incombente in forza del titolo VIII del regolamento REACH di determinare se l’uso del D4 e del D5 nei prodotti cosmetici da risciacquo presentasse un rischio inaccettabile, ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 1, di tale regolamento, non essendo sufficiente un semplice riferimento alla valutazione dei rischi effettuata dal CVR a norma dell’articolo 69 di tale regolamento. Il Tribunale avrebbe pertanto erroneamente considerato che è ammessa una determinazione implicita del rischio.

52

Secondo la Commissione, sostenuta dalla Repubblica federale di Germania e dall’ECHA, l’argomentazione delle ricorrenti è priva di fondamento.

– Giudizio della Corte

53

In primo luogo, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH, l’adozione di una nuova restrizione per quanto riguarda la fabbricazione, l’uso o l’immissione sul mercato di determinate sostanze si basa sulla constatazione, da parte della Commissione, di un rischio inaccettabile che tali sostanze comportano per la salute umana o per l’ambiente, il quale richiede un’azione a livello dell’Unione, e implica che si tenga conto dell’impatto socioeconomico di tale restrizione, compresa l’esistenza di alternative.

54

Ai sensi dell’articolo 69 del regolamento REACH, la procedura di adozione di una nuova restrizione inizia con l’elaborazione di un fascicolo a norma dell’allegato XV, se la Commissione o uno Stato membro ritiene che esista un rischio non adeguatamente controllato e che richiede un’azione. Conformemente all’articolo 70 di detto regolamento, il CVR si pronuncia sull’adeguatezza della restrizione ai fini della riduzione del rischio per la salute umana o per l’ambiente e, ai sensi dell’articolo 71, paragrafo 1, del medesimo regolamento, il CASE esprime un parere sulle restrizioni proposte, in base in particolare al loro impatto socio-economico. L’ECHA sottopone i pareri del CVR e del CASE alla Commissione, sulla base dell’articolo 72, paragrafo 1, del regolamento REACH, la quale, conformemente all’articolo 73, paragrafo 1, primo comma, di tale regolamento, elabora il progetto di modifica dell’allegato XVII di detto regolamento.

55

Da tali disposizioni risulta che la determinazione del rischio inaccettabile che la fabbricazione, l’uso o l’immissione sul mercato di una sostanza comportano per la salute umana o per l’ambiente, pur rientrando nel potere discrezionale della Commissione, si basa anche sui pareri emessi dal CVR e dal CASE. Come fa valere la Commissione nella sua comparsa di risposta, tale determinazione risulta da un procedimento amministrativo unico, nel corso del quale diversi attori elaborano pareri di natura scientifica dopo che ha avuto luogo una consultazione pubblica, al fine di preparare la decisione finale.

56

Di conseguenza, il Tribunale ha potuto a giusto titolo dichiarare, al punto 192 della sentenza impugnata, che i principi stabiliti nell’allegato I si applicano non solo al fascicolo elaborato conformemente all’allegato XV, ma anche nelle fasi successive del processo di adozione di una restrizione, ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH. Come osserva già l’avvocato generale al paragrafo 55 delle sue conclusioni, le ricorrenti non possono quindi sostenere che la Commissione non potesse basarsi sull’allegato I per valutare l’inaccettabilità del rischio, ai sensi di tale disposizione.

57

In secondo luogo, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, la lettura dei punti 192, 199 e 217 della sentenza impugnata non rivela alcuna contraddizione. La constatazione, al punto 192 di tale sentenza, che i principi stabiliti nell’allegato I si applicano durante tutto il processo di adozione di una restrizione non è contraddetta dalla distinzione, operata al punto 199 di detta sentenza, tra il rischio che non è adeguatamente controllato, ai sensi dell’articolo 69 del regolamento REACH, e il rischio inaccettabile, ai sensi dell’articolo 68 di quest’ultimo. L’elaborazione di un fascicolo conformemente all’allegato XV e i pareri del CSM, del CVR e del CASE sono intesi a fornire alla Commissione elementi scientifici indispensabili per consentirle di qualificare il rischio. Se è vero che la Commissione è tenuta a procedere a una siffatta qualificazione, dall’articolo 68, paragrafo 1, di detto regolamento non deriva, come giustamente rilevato dal Tribunale al punto 217 della sentenza impugnata, che essa debba procedere ad una nuova valutazione scientifica analoga a quella condotta a monte dagli attori ai quali il regolamento REACH ha affidato tale compito.

58

Infine, nei limiti in cui le ricorrenti lamentano l’assenza di una constatazione esplicita, nel regolamento controverso, dell’esistenza di un «rischio inaccettabile» e ne deducono che la Commissione ha omesso di stabilire se l’uso del D4 e del D5 nei prodotti cosmetici da risciacquo presenti un tale rischio, è sufficiente ricordare, come è stato esposto al punto 44 della presente sentenza, che tanto dalla formulazione quanto dal contesto di tale regolamento emerge che la Commissione doveva necessariamente considerare il rischio legato alla presenza del D4 e del D5 in taluni prodotti cosmetici da risciacquo come un rischio inaccettabile.

59

Ne consegue che la prima parte del primo motivo deve essere respinta in quanto infondata.

Sulla seconda parte del primo motivo

– Argomenti delle parti

60

Secondo le ricorrenti, sostenute da ACC, come risulta dalla sentenza dell’11 settembre 2002, Pfizer Animal Health/Consiglio (T‑13/99, in prosieguo: la sentenza Pfizer, EU:T:2002:209, punto 151), la Commissione avrebbe dovuto stabilire una soglia critica di probabilità di effetti nocivi che non sono accettabili per la salute umana o per l’ambiente, vuoi quantitativa vuoi qualitativa. Orbene, ai punti 185 e 202 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe escluso l’applicazione della sentenza Pfizer.

61

Le ricorrenti sostengono che la procedura per l’adozione di una restrizione ai sensi del regolamento REACH comporta due fasi, al pari della valutazione del rischio alla luce del principio di precauzione di cui si trattava nella causa all’origine della sentenza Pfizer: la prima fase, vertente sull’identificazione scientifica del rischio e, la seconda, volta a determinare se il rischio così identificato sia accettabile per la società. La determinazione del «livello di rischio reputato inaccettabile» che il Tribunale avrebbe effettuato nella sentenza Pfizer sarebbe pertanto trasponibile alla determinazione dell’inaccettabilità del rischio ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH. Rifiutando di procedere come nella sentenza Pfizer, il Tribunale avrebbe mal applicato la giurisprudenza dell’Unione.

62

Di conseguenza, secondo le ricorrenti, nel determinare il «rischio inaccettabile», ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH, la Commissione dovrebbe valutare se il rischio individuato da chi ha proposto il fascicolo raggiunga la soglia critica di probabilità degli effetti nocivi considerata inaccettabile per la società.

63

Secondo la Commissione, sostenuta dalla Repubblica federale di Germania e dall’ECHA, l’argomentazione delle ricorrenti è priva di fondamento.

– Giudizio della Corte

64

In via preliminare, occorre osservare che, al punto 151 della sentenza Pfizer, il Tribunale ha dichiarato che «spetta alle istituzioni [dell’Unione] stabilire il livello di protezione che esse reputano appropriato per la società [e] determinare il livello di rischio – ossia la soglia critica di probabilità di effetti nocivi per la salute umana e della gravità di tali potenziali effetti – che reputano non essere più accettabile per tale società e che, una volta superato, rende necessario, nell’interesse della tutela della salute umana, il ricorso a misure preventive».

65

Se è vero che tale punto verte sulla valutazione del rischio nel contesto dell’applicazione del principio generale di precauzione, non si può tuttavia dedurre dalla sentenza Pfizer, che è stata pronunciata prima dell’adozione del regolamento REACH, che la determinazione del livello di rischio che può essere reputato «inaccettabile», ai sensi di tale regolamento, debba obbligatoriamente comportare una soglia critica quantificabile di probabilità di effetti nocivi.

66

Come sottolinea l’avvocato generale al paragrafo 81 delle sue conclusioni, infatti, dalla giurisprudenza costante della Corte relativa al principio di precauzione emerge che le misure precauzionali presuppongono, in primo luogo, l’individuazione delle conseguenze potenzialmente negative e, in secondo luogo, una valutazione complessiva del rischio basata sui dati scientifici disponibili più attendibili e sui risultati più recenti della ricerca internazionale (v., in tal senso, sentenze del 28 gennaio 2010, Commissione/Francia,C‑333/08, EU:C:2010:44, punto 92, e del 1o ottobre 2019, Blaise e a., C‑616/17, EU:C:2019:800, punto 46). Per contro, la Corte non esige una determinazione precisa del limite di rischio ancora accettabile.

67

Nel contesto particolare delle sostanze PBT e vPvB, come constatato anche dal Tribunale ai punti 190, 191 e 202 della sentenza impugnata, disposizioni specifiche sono state adottate dal legislatore dell’Unione nell’allegato I per osservare il principio di precauzione.

68

A tal riguardo, dal punto 4.0.1 di tale allegato risulta che, per le sostanze PBT e vPvB, la valutazione dei pericoli che prende in considerazione gli effetti a lungo termine, a norma dei punti 1 e 3 di detto allegato, e la stima dell’esposizione a lungo termine delle persone e dell’ambiente, a norma del punto 5.2 dell’allegato I, non sono sufficientemente affidabili. Il punto 6.5 di tale allegato enuncia che per le sostanze, come le sostanze PBT e vPvB, per le quali non è possibile determinare una PNEC, si procede ad una «valutazione qualitativa della probabilità che gli effetti siano evitati».

69

Di conseguenza, il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto convalidando la determinazione del carattere inaccettabile del rischio, ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH, sulla base della valutazione dei rischi effettuata conformemente agli allegati I e XV, dell’adeguatezza della restrizione ai fini della riduzione dei rischi valutati e dell’impatto socioeconomico di una siffatta restrizione in assenza di una soglia critica quantificata di probabilità di effetti nocivi.

70

Ne consegue che la seconda parte del primo motivo deve essere respinta in quanto infondata.

Sul terzo motivo

Argomenti delle parti

71

Con il terzo motivo le ricorrenti, sostenute da ACC, allegano che il punto 196 della sentenza impugnata è viziato da un errore di diritto, in quanto il Tribunale avrebbe ivi concluso che l’incertezza legata alla valutazione del livello di rischio delle sostanze PBT o vPvB giustificherebbe di considerare la loro emissione come un indice dell’esistenza di un rischio. Il Tribunale avrebbe quindi applicato erroneamente la sua giurisprudenza relativa alla nozione di «rischio zero», quale risulta dalla sentenza del 17 maggio 2018, Bayer CropScience e a./Commissione (T‑429/13 e T‑451/13, EU:T:2018:280, punti 116123), e dalla sentenza Pfizer (in prosieguo: la «giurisprudenza relativa alla nozione di “rischio zero”»), e avrebbe commesso un errore di interpretazione dell’allegato I.

72

Per quanto riguarda, da un lato, l’errore di applicazione della giurisprudenza relativa alla nozione di «rischio zero», le ricorrenti allegano che la Commissione non disponeva di alcun criterio per stabilire che il rischio fosse inaccettabile, ai sensi dell’articolo 68, paragrafo 1, del regolamento REACH, diverso dalla conclusione formulata nel fascicolo, e corroborata dall’ECHA, secondo la quale ogni emissione di una sostanza indicherebbe l’esistenza di un rischio. Orbene, una siffatta conclusione equivarrebbe ad esigere l’esistenza di un «rischio zero», dal momento che solo l’assenza di emissioni potrebbe essere considerata accettabile. Essa sarebbe pertanto contraria alla suddetta giurisprudenza, dalla quale risulterebbe che, in sede di determinazione del livello di rischio reputato inaccettabile, l’adozione di una misura preventiva, il suo ritiro o la sua riduzione non possono essere subordinati alla prova dell’assenza di qualsiasi rischio, in quanto una siffatta prova è, in generale, impossibile da fornire, non esistendo in realtà un livello di rischio zero.

73

Per quanto riguarda, dall’altro lato, l’interpretazione dell’allegato I, le ricorrenti allegano che il proponente il fascicolo, il CVR e il Tribunale quando ha convalidato le conclusioni del CVR hanno interpretato erroneamente tale allegato giacché, primo, non si può dedurre dalla valutazione qualitativa del rischio prevista al suo punto 6.5 che tutte le emissioni siano indice di un rischio e, secondo, l’affermazione secondo cui tale valutazione qualitativa esclude la quantificazione del rischio sarebbe priva di fondamento.

74

Riguardo, in primo luogo, alla valutazione qualitativa dei rischi prevista all’allegato I, i punti 0.1, 0.3 e 0.5 di tale allegato mirerebbero a valutare i rischi e ad accertare se essi siano adeguatamente controllati, analizzando i potenziali effetti nocivi delle sostanze e confrontandoli con la stima dell’esposizione dell’uomo e dell’ambiente a tali sostanze. Un tale confronto sarebbe effettuato sulla base di dati quantificati. Il punto 0, intitolato «Introduzione», di detto allegato sarebbe di applicazione generale, incluso per le sostanze PBT o vPvB. Orbene, esso confuterebbe di per sé solo le considerazioni esposte dal Tribunale ai punti 190, 191 e 196 della sentenza impugnata, secondo le quali il rischio connesso alle sostanze PBT e vPvB non può essere validamente quantificato e controllato, ciò che gli avrebbe permesso di affermare che qualsiasi emissione di tali sostanze indica l’esistenza di un rischio.

75

Tale affermazione del Tribunale sarebbe inficiata anche da un’interpretazione sistematica dell’allegato I. Infatti, per le sostanze PBT o vPvB, a differenza che per altre sostanze, il punto 4 di tale allegato esigerebbe una valutazione delle sostanze stesse, e non una valutazione dei pericoli, quale prevista ai punti 1 e 3 di detto allegato, nonché una caratterizzazione delle emissioni (punto 4.2) in aggiunta alla valutazione dell’esposizione prevista al punto 5 (fase 2) dello stesso allegato. Tale valutazione dell’esposizione dovrebbe essere effettuata per le sostanze PBT o vPvB, in quanto il punto 7 dell’allegato, intitolata «Formato della relazione sulla sicurezza chimica», comprende una «valutazione dell’esposizione» tra gli elementi obbligatori della relazione sulla sicurezza chimica, ai sensi dell’articolo 14 del regolamento REACH, e ciò per tutte le sostanze. Orbene, poiché l’obiettivo principale di detta valutazione dell’esposizione è quello di dimostrare che i rischi per la salute umana e per l’ambiente sono adeguatamente controllati, tale valutazione richiederebbe una quantificazione del rischio perché possa dimostrarsi che esso è adeguatamente controllato. Se si ammettesse che qualsiasi emissione di una sostanza è indice di un rischio, non sarebbe necessario valutare l’esposizione degli esseri umani e dell’ambiente alle sostanze PBT o vPvB e la valutazione della sicurezza chimica di queste ultime si limiterebbe a stabilire se una sostanza costituisca una sostanza PBT o una sostanza vPvB.

76

Secondo le ricorrenti, la valutazione qualitativa del rischio menzionata al punto 6.5 dell’allegato I includerebbe una valutazione caso per caso della probabilità di evitare gli effetti nocivi e quindi di controllare validamente il rischio. A supporre che qualsiasi emissione di una sostanza indichi l’esistenza di un rischio, il punto 6 di tale allegato sarebbe privo di utilità, in quanto dal mero fatto che una sostanza è stata identificata come una sostanza PBT o una sostanza vPvB si evincerebbe che il rischio non può essere quantificato e validamente controllato, senza che occorra effettuare una valutazione.

77

Da tali punti risulterebbe che, se le emissioni e la probabilità di effetti nocivi di tali sostanze sono ridotte al minimo, il rischio può essere considerato adeguatamente controllato, ancorché tali emissioni non siano nulle. Orbene, in ragione delle caratteristiche specifiche del D4 e del D5 – quali la solubilità, la ripartizione negli spazi, la biodiluizione e l’assenza di potenziale di bioamplificazione – dalla valutazione del rischio si potrebbe dedurre che non esiste alcuna probabilità di effetti nocivi e che il rischio è adeguatamente controllato, ma il CVR e il Tribunale lo avrebbero ignorato, limitandosi piuttosto ad affermare che le emissioni delle sostanze di cui trattasi sono indice dell’esistenza di un rischio.

78

Le ricorrenti fanno valere che il rinvio operato nel punto 191 della sentenza impugnata all’articolo 60, paragrafi 3 e 4, del regolamento REACH, ai sensi del quale non può essere concessa un’autorizzazione per le sostanze PBT e vPvB in quanto il rischio per l’ambiente sarebbe adeguatamente controllato, non contraddice gli argomenti esposti ai punti da 74 a 77 della presente sentenza. Tale disposizione rifletterebbe soltanto la volontà del legislatore dell’Unione di limitare la facoltà di chiedere un’autorizzazione ai sensi dell’articolo 60, paragrafo 2, di tale regolamento per le sostanze che presentano una soglia critica di probabilità di effetti nocivi.

79

Le ricorrenti aggiungono che, se si ammettesse che qualsiasi emissione di una sostanza è indice dell’esistenza di un rischio, l’obbligo di attuare misure di gestione dei rischi al fine di minimizzare le emissioni sarebbe privo di contenuto, poiché, a prescindere da tali misure, la sostanza sarebbe sempre soggetta a restrizioni, non esistendo in realtà un’emissione zero. Riducendo al minimo l’emissione e l’esposizione conformemente al punto 6 dell’allegato I, le dichiaranti soddisferebbero le condizioni richieste affinché una sostanza PBT o una sostanza vPvB possa essere legalmente immessa sul mercato. Esse dovrebbero pertanto essere tutelate dal principio della certezza del diritto e rassicurate che la loro sostanza non sarà vietata per il solo motivo di produrre ancora emissioni.

80

Riguardo, in secondo luogo, all’affermazione del Tribunale secondo cui la valutazione qualitativa escluderebbe la quantificazione del rischio, essa sarebbe in contraddizione con il tenore dell’allegato I. In proposito le ricorrenti adducono che, per procedere alla quantificazione del rischio delle sostanze PBT o vPvB, i valutatori utilizzano la relazione tecnica del Centro europeo di ecotossicologia e tossicologia dei prodotti chimici (Ecetoc) vertente sulla «valutazione dei rischi dei prodotti chimici PBT» pubblicata nel 2005, come completata e precisata dalla relazione di Ecetoc pubblicata nel 2011. Orbene, tale relazione indicherebbe che la fase della «caratterizzazione dei rischi», che corrisponde a quella prevista al punto 6 dell’allegato I, contiene «una stima qualitativa e/o quantitativa della probabilità, della frequenza e della gravità degli effetti nocivi noti o potenziali».

81

Le ricorrenti sostengono pertanto che una valutazione qualitativa dei rischi deve, in linea di principio, essere fondata su dati quantitativi che consentano di quantificare il rischio, di modo che il Tribunale avrebbe dichiarato a torto che i rischi associati alle sostanze di cui trattasi nella presente causa e alle sostanze PBT o vPvB in generale non potevano essere quantificati adeguatamente.

82

La Commissione, sostenuta dalla Repubblica federale di Germania e dall’ECHA, ritiene che l’argomentazione delle ricorrenti sia priva di fondamento. In particolare, per quanto riguarda l’argomento menzionato al punto 80 della presente sentenza, che si fonda sulla citazione della relazione Ecetoc di cui a tale punto, la Commissione afferma che si tratta di un argomento nuovo che non è stato dedotto dinanzi al Tribunale e che la sua presentazione in sede di impugnazione è irricevibile. In ogni caso, tale argomento sarebbe privo di fondamento, poiché tale relazione della Ecetoc risulta da un’iniziativa privata, finanziata dalle imprese interessate nella fabbricazione e nell’uso di prodotti chimici.

83

Nella replica, le ricorrenti aggiungono che l’interpretazione dell’allegato I operata dal Tribunale, contestata nell’ambito del terzo motivo, comporta parimenti una violazione del diritto fondamentale alla libertà d’impresa, in quanto tale interpretazione non consentirebbe di svolgere alcuna attività redditizia in relazione a sostanze PBT o vPvB.

84

Le ricorrenti fanno altresì valere che gli argomenti fondati sui documenti della Ecetoc non sono nuovi e che tali documenti valgono a spiegare che una valutazione qualitativa dei rischi conformemente al punto 6.5 dell’allegato I permette di quantificare il rischio.

85

Nella controreplica, la Commissione obietta che il diritto fondamentale alla libertà d’impresa non costituisce una prerogativa assoluta, in quanto i pubblici poteri ben possono stabilire, nell’interesse generale, limitazioni all’esercizio dell’attività economica.

Giudizio della Corte

86

Con il terzo motivo le ricorrenti allegano, in sostanza, che il punto 196 della sentenza impugnata è viziato da un errore di diritto, in quanto il Tribunale avrebbe convalidato il parere del CVR secondo cui i rischi connessi al D4 e al D5 non potevano essere validamente quantificati e le emissioni di tali sostanze potevano essere considerate indicare l’esistenza di un rischio. Esse ritengono che il Tribunale abbia applicato erroneamente la giurisprudenza relativa alla nozione di «rischio zero» e che abbia proceduto ad un’interpretazione errata dell’allegato I riguardo alla valutazione qualitativa del rischio che, a loro avviso, non escluderebbe la quantificazione di quest’ultimo.

87

Per quanto riguarda, in primo luogo, la pretesa applicazione di una nozione di «rischio zero», occorre osservare, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 91 delle sue conclusioni, che l’argomento delle ricorrenti deriva da un errore di lettura della sentenza impugnata. Al punto 196 di tale sentenza, il Tribunale ha solamente affermato che non si poteva sostenere che il regolamento controverso fosse viziato da un errore manifesto di valutazione per aver il CVR concluso, al pari del Regno Unito, che «i rischi connessi al D4 e al D5 non potevano essere sufficientemente quantificati e che la loro emissione poteva essere considerata indice di un rischio».

88

Di conseguenza, da un lato, si deve constatare che, al suddetto punto 196, non si afferma che «qualsiasi» emissione è indice di un rischio, bensì che le rispettive emissioni delle sostanze in questione, esaminate dal CVR, vale a dire le emissioni nell’ambiente acquatico in conseguenza del loro impiego in prodotti cosmetici da risciacquo, potevano essere per ciò stesso considerate costituire un rischio. Dall’altro lato, occorre osservare che il punto 196 della sentenza impugnata si inserisce nell’ambito dell’analisi della valutazione del rischio effettuata dal Tribunale, che inizia al punto 193 di tale sentenza e che conduce, al punto 200 di detta sentenza, alla conclusione che al momento dell’adozione del regolamento controverso la Commissione ha tenuto conto di tutti i fattori richiesti. In particolare, al punto 195 della medesima sentenza, il Tribunale ha accolto le spiegazioni fornite nel parere del CVR per giustificare la sua conclusione, al punto 196 della sentenza impugnata, secondo cui i rischi connessi al D4 e al D5 non potevano essere sufficientemente quantificati e la loro emissione nell’ambiente poteva essere considerata indice di un rischio.

89

Di conseguenza, dal punto 196 della sentenza impugnata non risulta che il Tribunale abbia convalidato un approccio di «rischio zero».

90

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’asserita erronea interpretazione dell’allegato I, si deve osservare che le sostanze PBT e vPvB sono oggetto di regole specifiche nell’ambito di tale allegato.

91

L’«Introduzione» di detto allegato dispone, al punto 0.6.3, che se, a seguito delle prime quattro fasi della valutazione della sicurezza chimica, si conclude che le sostanze di cui trattasi devono essere qualificate come sostanze PBT o vPvB, tale valutazione deve comprendere anche la fase 5 (valutazione dell’esposizione) e la fase 6 (caratterizzazione dei rischi) in conformità dei punti 5 e 6 del medesimo allegato.

92

Il punto 4 dell’allegato I è intitolato «Valutazione PBT e vPvB». Secondo il sottopunto 0.1 di tale punto 4, la «valutazione PBT e vPvB» ha lo scopo di caratterizzare le emissioni potenziali delle sostanze qualificate come sostanze PBT o vPvB. Da tale punto 4.0.1 risulta che, siccome per dette sostanze le valutazioni dei pericoli relative agli effetti a lungo termine, a norma dei punti 1 e 3 dell’allegato I, e la stima dell’esposizione a lungo termine delle persone e dell’ambiente alle sostanze, a norma del punto 5.2 di tale allegato, non possono essere effettuate con sufficiente affidabilità, sono necessarie valutazioni distinte, ossia un confronto con i criteri (punto 4.1) e una caratterizzazione delle emissioni (punto 4.2). Tali valutazioni sono elencate nella parte B, sezione 8, della relazione sulla sicurezza chimica, ai sensi dell’articolo 14 del regolamento REACH.

93

Di conseguenza, se è vero che richiede, per le sostanze PBT e vPvB, di procedere alla valutazione dell’esposizione, ai sensi del punto 5 dell’allegato I, il punto 0.6.3 deve essere letto in combinato disposto con il punto 4.0.1, ai cui termini i risultati ottenuti al termine della seconda fase della valutazione dell’esposizione (punto 5.2 – Stima dell’esposizione) non sono sufficientemente affidabili, ragione per la quale il punto 4.2 prevede che sia effettuata una caratterizzazione delle emissioni, comprendente gli elementi pertinenti della valutazione dell’esposizione descritta al punto 5.

94

Il punto 6, intitolato «Caratterizzazione dei rischi», contiene un sottopunto 5 dedicato alle sostanze PBT, secondo il quale per gli effetti sulle persone e i settori ambientali per i quali non è stato possibile determinare una PNEC si procede a una valutazione qualitativa della probabilità che gli effetti siano evitati nella definizione dello scenario d’esposizione. Orbene, come è stato giustamente considerato al punto 190 della sentenza impugnata, per gli effetti a lungo termine delle sostanze PBT o vPvB la PNEC non può essere determinata in modo affidabile.

95

Dall’impianto sistematico dell’allegato I risulta quindi che, per le sostanze PBT e vPvB, prevale l’applicazione di norme specifiche. Peraltro, contrariamente a quanto sostengono le ricorrenti, da tale allegato risulta non già che la caratterizzazione delle emissioni, prevista al punto 4.2 di detto allegato, si aggiunge alla valutazione dell’esposizione, descritta al punto 5 del medesimo allegato, ma che la caratterizzazione delle emissioni specifiche alle sostanze PBT e vPvB comprende gli elementi pertinenti della valutazione dell’esposizione descritta in tale punto 5, nei limiti in cui la specificità di tali sostanze lo consente. Come fa altresì valere la Commissione, nella sua comparsa di risposta, in base al punto 4.2 dell’allegato I solo gli elementi pertinenti della valutazione dell’esposizione descritti in tale punto 5 sono applicabili alle sostanze PBT o vPvB.

96

Pertanto, se da quanto precede risulta che il punto 5 dell’allegato I, il cui scopo è stabilire una stima quantitativa e qualitativa della dose/concentrazione della sostanza alla quale l’uomo e l’ambiente sono o possono essere esposti, si applica alla «valutazione PBT o vPvB» delle sostanze, ciò non implica che una stima quantitativa del rischio di tali sostanze debba necessariamente avere luogo.

97

Infatti, come giustamente affermato dal Tribunale al punto 191 della sentenza impugnata, non è possibile affrontare con sufficiente affidabilità e in modo quantitativo i rischi connessi alle sostanze PBT e vPvB. Tale affermazione è corroborata dall’articolo 60, paragrafi 3 e 4, del regolamento REACH, che osta al rilascio di un’autorizzazione per l’uso delle sostanze PBT e vPvB in quanto il rischio per l’ambiente sarebbe adeguatamente controllato, giacché una tale autorizzazione può essere concessa solo se è dimostrato che i vantaggi socioeconomici prevalgono sui rischi e che non esistono sostanze o tecnologie alternative idonee.

98

Riguardo all’argomento secondo cui la conclusione del Tribunale, al punto 191 della sentenza impugnata, potrebbe essere inficiata dalle conclusioni del rapporto Ecetoc, si deve constatare, come fa valere la Commissione, che esso è sollevato per la prima volta in sede di impugnazione e che, con tale argomento, le ricorrenti invitano la Corte a procedere ad una valutazione di fatto, il che eccede l’ambito del suo potere di controllo (v., in tal senso, sentenza del 9 marzo 2023, PlasticsEurope/ECHA,C‑119/21 P, EU:C:2023:180, punto 84 e giurisprudenza citata). Detto argomento è pertanto irricevibile.

99

A sostegno del terzo motivo le ricorrenti deducono altresì una violazione del principio della certezza del diritto e affermano di essersi conformate alle prescrizioni del regolamento REACH al fine di minimizzare le emissioni e l’esposizione conformemente al punto 6 dell’allegato I e di aver così soddisfatto le condizioni affinché le sostanze interessate potessero essere utilizzate. A tal riguardo, si deve ricordare che il principio della certezza del diritto esige che una normativa dell’Unione consenta agli interessati di conoscere esattamente la portata degli obblighi che essa impone loro, e che tali interessati possano conoscere senza ambiguità i propri diritti ed obblighi e regolarsi di conseguenza (sentenza del 29 marzo 2011, ArcelorMittal Luxembourg/Commissione e Commissione/ArcelorMittal Luxembourg e a., C‑201/09 P e C‑216/09 P, Racc., EU:C:2011:190, punto 68 e giurisprudenza ivi citata). Orbene, eccepire una violazione del regolamento REACH dinanzi al Tribunale e affermare che le sostanze in questione soddisfano le condizioni richieste per essere immesse sul mercato non poteva bastare a che le ricorrenti ottenessero ragione. Ammettere la posizione sostenuta dalle ricorrenti presupporrebbe che, in tutte le situazioni in cui i dichiaranti impiegano le precauzioni necessarie per minimizzare le emissioni di una sostanza, l’uso di quest’ultima sia autorizzato quand’anche esista un rischio reputato inaccettabile, il che non corrisponderebbe all’intenzione del legislatore dell’Unione.

100

Riguardo alla censura relativa alla violazione del diritto alla libertà d’impresa, occorre osservare che tale censura è stata dedotta non nell’atto di impugnazione, ma unicamente in fase di replica, cosicché essa deve essere respinta in quanto irricevibile.

101

Il terzo motivo deve pertanto essere respinto in toto in quanto in parte infondato e in parte irricevibile.

Sul quarto motivo

Argomenti delle parti

102

Le ricorrenti allegano che dal secondo comma del preambolo dell’allegato XIII nonché dai considerando 5 e 6 del regolamento n. 253/2011 risulta che la valutazione delle proprietà B e vB di una sostanza non deve basarsi unicamente sui dati relativi alla bioconcentrazione o al bioaccumulo, previsti alla lettera a) del punto 3.2.2 dell’allegato XIII, ma dovrebbe prendere in considerazione anche altre categorie di informazioni, quali il fattore di bioamplificazione (in prosieguo: il «FBA») o il fattore di amplificazione nelle reti trofiche (in prosieguo: il «FAT»), espressamente menzionati alla lettera c) di tale punto.

103

Secondo le ricorrenti, il Tribunale, in primo luogo, ha commesso un errore di diritto dichiarando, al punto 88 della sentenza impugnata, che «il legislatore ha scelto di accordare una certa priorità ai risultati degli studi affidabili sul FBC di una sostanza nelle specie acquatiche o, quanto meno, che il CSM ha, senza errore manifesto di valutazione, ritenuto che i valori del FBC avessero, nel caso di specie, una forza probante maggiore rispetto agli altri dati ai quali le ricorrenti fanno riferimento». Tale errore si spiegherebbe con il fatto che il Tribunale, da un lato, avrebbe erroneamente ritenuto, al punto 86 di tale sentenza, che il legislatore dell’Unione abbia scelto di fissare nei punti 1.1.2 e 1.2.2 dell’allegato XIII i criteri per l’identificazione delle proprietà B o vB con riferimento al FBC delle sostanze di cui trattasi nelle specie acquatiche, dando così priorità ai dati FBC, e, dall’altro, avrebbe giustificato tale priorità, al punto 87 di detta sentenza, con il fatto che, quando sono disponibili informazioni attendibili sul FBC, i criteri stabiliti con riferimento al FBC possono essere applicati direttamente a tali informazioni.

104

L’interpretazione accolta nella sentenza impugnata sarebbe incompatibile con il punto 3.2 dell’allegato XIII nonché con la «Guida alle prescrizioni in materia di informazione e alla valutazione della sicurezza chimica» dell’ECHA, la quale indica, nella sua sezione R.11.4.1.2, che, «oltre ai valori del FBC, devono essere prese in considerazione altre informazioni pertinenti», e che, «per giungere alla conclusione, l’introduzione dell’allegato XIII (...) richiede che tutti gli altri dati di bioaccumulo disponibili siano presi in considerazione congiuntamente e applicando un metodo basato sulla forza probante e sul parere di esperti», senza che «siano definiti l’ordine di importanza o la forza probante dei diversi tipi di dati».

105

Il Tribunale avrebbe altresì interpretato erroneamente, al punto 87 della sentenza impugnata, il secondo comma del preambolo dell’allegato XIII nonché il considerando 6 del regolamento n. 253/2011, i quali enunciano che il metodo basato sulla forza probante si applica in particolare quando i criteri indicati nella parte 1 non possono essere applicati direttamente alle informazioni disponibili. Secondo le ricorrenti, ritenendo che i dati di cui al punto 3.2.2 di detto allegato assumano maggiore importanza quando i dati sul FBC non possono essere applicati direttamente alle informazioni disponibili, il Tribunale avrebbe, in realtà, considerato che non si debba attribuire alcuna rilevanza o alcun effetto particolare ai dati di cui alle lettere b) e c) di tale punto, qualora siano disponibili risultati ai sensi della lettera a) del medesimo.

106

Tuttavia, tale conclusione non sarebbe corroborata dal secondo comma del preambolo dell’allegato XIII né dai considerando 5 e 6 del regolamento n. 253/2011, i quali indicherebbero non già che si applica il metodo basato sulla forza probante in particolare quando i criteri B/vB non possono essere applicati direttamente alle informazioni sul FBC disponibili, bensì che tale metodo si applica in particolare quando i criteri B/vB non possono essere applicati direttamente a tutte le informazioni disponibili. Siffatta interpretazione sarebbe altresì conforme al terzo comma del preambolo di tale allegato, che insiste sulla necessità di prendere in considerazione l’insieme delle informazioni disponibili, a prescindere dalle conclusioni individuali. Orbene, la sentenza impugnata attribuirebbe, a torto, la priorità ai dati sul FBC perché è possibile applicarli in forma numerica ai criteri indicati nella parte 1 di detto allegato. Nel caso di specie, però, per valutare le proprietà B e vB delle sostanze di cui trattasi avrebbe dovuto essere applicato un metodo basato sulla forza probante, anche se il Tribunale ha ritenuto che ai criteri previsti in tale parte i dati sul FBC potessero essere applicati direttamente/numericamente.

107

Secondo le ricorrenti, l’allegato XIII impone di prendere in considerazione i dati sul FBC nonché quelli relativi al FBA e/o al FAT, senza ordine di priorità. Qualora siano disponibili risultati provenienti da tali dati, ma siano contraddittori, come avverrebbe nel caso di specie, e qualora le proprietà della sostanza esaminata indichino che una categoria di dati non risulta pertinente, come avverrebbe per il FBC, sarebbe conforme alla coerenza interna di tale allegato che ad un metodo basato sulla forza probante, che esamini dati diversi dal FBC e che rivestono lo stesso livello di importanza, sia attribuito per principio un peso particolare.

108

In secondo luogo, le ricorrenti allegano che, al punto 96 della sentenza impugnata, il Tribunale ha invertito l’onere della prova, concludendo che l’assenza di bioamplificazione di una sostanza in una catena alimentare non dimostra l’assenza di bioamplificazione di questa stessa sostanza in altre catene alimentari. Così facendo, il Tribunale avrebbe ignorato che il regolamento REACH non impone di fornire la prova dell’assenza di bioamplificazione in tutte le possibili catene alimentari, ma impone invece all’ECHA l’obbligo di dimostrare che una sostanza soddisfa i criteri fissati per essere identificata come sostanza B o vB, dimostrazione che sarebbe mancata nel caso di specie.

109

La Commissione sostiene che il quarto motivo è in parte irricevibile e in parte inconferente. Nella misura in cui le ricorrenti contestano le valutazioni del Tribunale vertenti sulla forza probante del FBC, la loro argomentazione sarebbe irricevibile, dal momento che essa mira in realtà ad ottenere una nuova valutazione dei fatti. Per contro, nella misura in cui l’argomentazione delle ricorrenti verte sull’errore di interpretazione che il Tribunale avrebbe commesso convalidando la priorità accordata ai risultati degli studi affidabili sul FBC, essa sarebbe inconferente. Infatti, quand’anche il Tribunale avesse commesso un errore di diritto accordando una priorità di principio a tali risultati, quod non, la sua valutazione non può essere rimessa in discussione dal momento che, nel caso di specie, il CSM ha considerato, senza commettere un errore manifesto di valutazione, che i valori del FBC avevano un’efficacia probatoria maggiore rispetto agli altri dati ai quali le ricorrenti fanno riferimento.

110

In ogni caso, secondo la Commissione, che è sostenuta dall’ECHA, il quarto motivo è privo di fondamento, in quanto la priorità accordata ai risultati degli studi affidabili sul FBC di una sostanza nelle specie acquatiche rifletterebbe, scientificamente, la maggior forza probante dei dati relativi al FBC.

111

Nella sua comparsa di risposta, la Repubblica federale di Germania aggiunge che, essendo il FBC del D4 e del D5 nettamente superiore alle soglie fissate dall’allegato XIII, esso sarebbe stato di per sé sufficiente a giustificare un divieto di basarsi sulla bioconcentrazione di tali sostanze, ancorché la Commissione e l’ECHA abbiano esaminato altre informazioni di cui al punto 3.2.2 di tale allegato.

Giudizio della Corte

112

Nell’ambito del quarto motivo le ricorrenti, sostenute da ACC, fanno valere in sostanza che i punti da 86 a 88 e 96 della sentenza impugnata sono viziati da errori di diritto relativi, in primo luogo, ad un’erronea interpretazione dell’allegato XIII per quanto riguarda la priorità riconosciuta dal Tribunale ai dati del FBC e, in secondo luogo, ad un’inversione dell’onere della prova.

113

Per quanto riguarda, in primo luogo, la priorità accordata ai risultati degli studi affidabili relativi al FBC di una sostanza nelle specie acquatiche e accolta dal Tribunale ai punti da 86 a 88 della sentenza impugnata, dall’impianto sistematico dell’allegato XIII, come modificato dal regolamento n. 253/2011, risulta che il metodo basato sulla forza probante dei dati presuppone che tutte le informazioni disponibili che incidono sull’identificazione di una sostanza PBT o di una sostanza vPvB siano prese in considerazione congiuntamente, indipendentemente dalle conclusioni individuali, dovendosi attribuire un’importanza adeguata alla qualità e alla coerenza dei dati.

114

Ai sensi del secondo comma del preambolo di tale allegato, ai fini dell’identificazione delle sostanze PBT e vPvB, nell’ambito del metodo basato sulla forza probante si mettono a confronto tutti i dati pertinenti e disponibili elencati nel punto 3.2 di detto allegato, vale a dire, in particolare, i dati pertinenti e disponibili relativi al FBC, al FBA e al FAT, con i criteri figuranti nella parte 1 di quest’ultimo.

115

Ai sensi della parte 1 dell’allegato XIII, relativa ai criteri di identificazione delle sostanze PBT e vPvB, il bioaccumulo è definito con riferimento al FBC nelle specie acquatiche. Così, una sostanza è «bioaccumulabile» se il suo FBC è superiore a 2000 e «molto bioaccumulabile» se il suo FBC è superiore a 5000.

116

Dal secondo comma del preambolo di tale allegato risulta che il metodo basato sulla forza probante si applica in particolare quando i criteri indicati nella parte 1 – nella specie il FBC – non possono essere applicati direttamente alle informazioni disponibili. Ciò risulta altresì dal considerando 6 del regolamento n. 253/2011, ai termini del quale il metodo per forza probante è particolarmente importante nei casi in cui il raffronto tra i dati disponibili e i criteri elencati nella parte 1 non è immediato.

117

Come è stato altresì rilevato ai paragrafi da 44 a 50 delle conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Global Silicones Council e a./ECHA (C‑559/21 P, EU:C:2023:321), dalla lettura combinata di tale preambolo e di tale considerando 6 risulta che il metodo basato sulla forza probante deve innanzitutto chiarire, tenendo conto di tutte le informazioni disponibili enumerate nel punto 3.2.2 dell’allegato XIII, se gli studi disponibili abbiano stabilito in modo pertinente e affidabile il FBC. In tale ipotesi, i dati pertinenti e affidabili relativi al FBC godono di una posizione privilegiata nell’economia dell’allegato XIII nella misura in cui il bioaccumulo è direttamente collegato a tali dati. Tale interpretazione non può essere rimessa in discussione dall’integrazione operata dal regolamento 2017/735, che ha modificato il regolamento n. 440/2008, del metodo di prova per via alimentare, vale a dire mediante bioamplificazione o amplificazione nelle reti trofiche, che conviene alle sostanze scarsamente idrosolubili, come metodo di prova del bioaccumulo nei pesci al pari dell’esposizione attraverso l’ambiente acquatico.

118

Di conseguenza, il Tribunale ha potuto concludere, senza commettere errori di diritto, ai punti da 86 a 88 della sentenza impugnata, che il legislatore dell’Unione ha accordato una priorità ai risultati degli studi affidabili sul FBC di una sostanza nelle specie acquatiche. Come giustamente affermato dal Tribunale al punto 87 di detta sentenza, tale priorità non pregiudica l’applicazione del metodo basato sulla forza probante. È in tale contesto che il Tribunale ha constatato che il CSM non aveva commesso un errore manifesto di valutazione nel ritenere che i dati sul FBC avevano un’efficacia probatoria maggiore di quella di altri dati ai quali le ricorrenti hanno fatto riferimento, vale a dire quelli relativi al FAT e al FBA. Di conseguenza, l’argomento delle ricorrenti secondo cui dalla sentenza impugnata risulterebbe che nessuna rilevanza o nessun effetto particolare debba essere accordato ai dati di cui al punto 3.2.2, lettere b) e c), dell’allegato XIII qualora siano disponibili risultati riguardanti la bioconcentrazione testimonia una lettura erronea di tale sentenza e deve, pertanto, essere respinto in quanto infondato.

119

Peraltro, nei limiti in cui il quarto motivo riguarda la valutazione del Tribunale del modo in cui il metodo per forza probante è stato concretamente applicato nel caso di specie e della forza probante riconosciuta ai dati relativi al FBC al momento della ponderazione dei diversi elementi di prova, tale motivo deve essere respinto, in assenza di qualsiasi allegazione di snaturamento, in quanto irricevibile, per gli stessi motivi menzionati al punto 98 della presente sentenza.

120

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’asserita inversione dell’onere della prova operata dal Tribunale al punto 96 della sentenza impugnata, in quanto esso avrebbe implicitamente considerato che le ricorrenti dovevano fornire la prova dell’assenza di bioamplificazione in tutte le catene alimentari, è sufficiente constatare che, al punto 95 di tale sentenza, il Tribunale ha giustamente rilevato che l’assenza di bioamplificazione non è l’assenza di bioaccumulo e non consente necessariamente di dissipare le preoccupazioni derivanti dalla bioconcentrazione. È in tale contesto che, al punto 96 della sentenza impugnata, il Tribunale ha affermato, senza invertire l’onere della prova, che le ricorrenti non avevano dimostrato che l’esistenza di una biodiluizione in talune catene alimentari escludesse una bioamplificazione in altre catene alimentari.

121

Il quarto motivo deve pertanto essere integralmente respinto in quanto in parte infondato e in parte irricevibile.

Sul quinto motivo

Argomenti delle parti

122

Le ricorrenti, sostenute da ACC, fanno valere che l’allegato XIII si applica alle sostanze organiche, comprese le sostanze organometalliche, e non alle sostanze inorganiche. Il D4 e il D5 avrebbero caratteristiche uniche a motivo della loro natura ibrida, che si tradurrebbero in proprietà diverse di solubilità e di ripartizione negli ambienti che influenzano la loro distribuzione e il loro destino nell’ambiente; per questo, secondo le ricorrenti, nella valutazione delle proprietà B e vB di tali sostanze i dati sul FBC non dovrebbero essere prioritari. Gli studi relativi alla bioconcentrazione sarebbero realizzati in condizioni artificiali, nelle quali le sostanze non hanno la possibilità di ripartirsi nell’aria o nei sedimenti e la loro concentrazione nell’acqua è mantenuta costante. Il FBC non rifletterebbe pertanto il comportamento del D4 e del D5 nell’ambiente in condizioni normali. Per contro, il FBA e il FAT costituirebbero, in tali condizioni, parametri pertinenti.

123

Secondo le ricorrenti, oltre ad avere proprietà di solubilità e di ripartizione negli ambienti, il D4 e il D5 si biodiluiscono, poiché la loro concentrazione diminuisce con l’aumento del livello trofico, per esempio passando dagli organismi che vivono nei sedimenti ai pesci, e vengono metabolizzati quando sono assorbiti dagli organismi per via alimentare, vale a dire non si accumulano nella catena alimentare. Orbene, l’ECHA avrebbe dovuto tener conto della natura ibrida del D4 e del D5 e adeguare di conseguenza l’applicazione dei criteri enunciati ai punti 1.1.2 e 1.2.2 dell’allegato XIII.

124

Secondo le ricorrenti, il Tribunale non avrebbe risposto agli argomenti esposti ai punti 122 e 123 della presente sentenza e si sarebbe limitato ad affermare, al punto 105 della sentenza impugnata, che una sostanza avente natura ibrida non sarebbe esclusa dall’ambito di applicazione dell’allegato XIII o, al punto 108 di tale sentenza, che nessuno degli argomenti sollevati dalle ricorrenti era idoneo a dimostrare che il D4 e il D5 sono sostanze inorganiche e che l’allegato XIII o i criteri ivi definiti non si applicano a tali sostanze.

125

Tuttavia, osservano le ricorrenti, il Tribunale era chiamato a stabilire non se l’allegato XIII si applichi a dette sostanze, bensì se la Commissione e l’ECHA avessero commesso un errore omettendo di esaminare l’impatto della natura particolare di queste stesse sostanze sul modo in cui i criteri dell’allegato XIII potrebbero essere loro applicati. Orbene, nei limiti in cui le ricorrenti affermano di aver dimostrato che l’ECHA non aveva tenuto conto delle proprietà intrinseche del D4 e del D5 derivanti dalla loro natura ibrida, sarebbe spettato all’ECHA provare il contrario e al Tribunale esercitare il suo controllo al riguardo. La conclusione cui sarebbe giunto il Tribunale al punto 108 della sentenza impugnata condurrebbe però ad invertire l’onere della prova; il Tribunale avrebbe anche commesso un errore di diritto dichiarando che tale omissione dell’ECHA non costituiva un errore manifesto di valutazione tale da inficiare la legittimità del regolamento controverso.

126

La Commissione, sostenuta dall’ECHA, eccepisce l’irricevibilità del quinto motivo con il quale le ricorrenti cercherebbero, in realtà, di ottenere una nuova valutazione dei fatti e degli elementi di prova esaminati dal Tribunale, in particolare per quanto riguarda la questione se l’ECHA abbia preso in considerazione le proprietà uniche o la natura ibrida del D4 e del D5.

127

Al pari della Repubblica federale di Germania, la Commissione ritiene che, in ogni caso, il quinto motivo sia infondato, in quanto, come risulterebbe dai punti 118 e seguenti della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe correttamente compreso gli argomenti delle ricorrenti e vi avrebbe risposto.

128

Nella replica, le ricorrenti precisano che esse cercano di ottenere non un nuovo apprezzamento di una valutazione scientifica, bensì una decisione della Corte sulla questione se il Tribunale abbia commesso un errore di diritto nell’interpretazione dell’allegato XIII, se abbia snaturato i loro motivi nonché le prove che esse avevano prodotto al suo cospetto e se abbia violato il loro diritto di essere ascoltate.

129

Nella controreplica, la Commissione fa valere che l’argomento vertente sullo snaturamento dei motivi dedotti dalle ricorrenti e sulla violazione del diritto di essere ascoltato è stato dedotto unicamente in fase di replica e deve, pertanto, essere respinto in quanto irricevibile, per gli stessi motivi menzionati al punto 100 della presente sentenza.

Giudizio della Corte

130

Con il quinto motivo le ricorrenti allegano, in sostanza, che il Tribunale è stato chiamato non a stabilire se l’allegato XIII si applichi al D4 e al D5, come esso ha constatato ai punti 107 e 108 della sentenza impugnata, bensì a valutare le conseguenze che derivano dalla natura ibrida di tali sostanze sull’applicazione dei criteri indicati nell’allegato.

131

Per quanto riguarda, in primo luogo, le considerazioni della sentenza impugnata vertenti sulla classificazione del D4 e del D5 come sostanze organiche che rientrano nell’ambito di applicazione dell’allegato XIII, sebbene dai documenti processuali depositati dinanzi al Tribunale, in particolare dal ricorso, risulti che le ricorrenti hanno sostenuto, inter alia, che «i criteri dell’allegato XIII, compresi i criteri di cui ai punti 1.1.2 e 1.2.2 (...), dovevano essere adeguati per determinare (...) il bioaccumulo per il D4 e/o il D5», la constatazione del Tribunale vertente sull’applicazione di tale allegato alle sostanze in questione non pregiudica i loro interessi. Infatti, nell’economia della sentenza impugnata, tale constatazione costituisce una tappa preliminare all’analisi delle proprietà intrinseche derivanti dalla natura ibrida di tali sostanze e della loro influenza sulla valutazione delle proprietà PBT o vPvB, analisi cui il Tribunale ha ben proceduto. Peraltro, come risulta dai punti 106, 107, 109 e 111 della sentenza impugnata, non contestati dalle ricorrenti, la loro argomentazione dinanzi al Tribunale ha parimenti riguardato la natura organica/inorganica di tali sostanze, e il Tribunale vi ha risposto ai punti 107 e 108 di tale sentenza.

132

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’asserita omissione, da parte del Tribunale, di un’analisi dell’argomentazione delle ricorrenti relativa alle conseguenze derivanti dalla natura ibrida del D4 e del D5, dai punti da 118 a 126 della sentenza impugnata, non contestati da queste ultime, risulta che le proprietà fisico-chimiche del D4 e del D5 sono state esaminate dal Tribunale, il quale ha constatato, al punto 122 di tale sentenza, che tutte queste proprietà erano state osservate dal CSM al momento della valutazione delle proprietà P e vP nonché delle proprietà B e vB di tali sostanze.

133

Si deve altresì osservare che il Tribunale non ha proceduto ad alcuna inversione dell’onere della prova nell’ambito del suo esame delle conseguenze derivanti dalla natura ibrida del D4 e del D5. A tal riguardo, occorre ricordare che, senza che ciò costituisca un’inversione dell’onere della prova, la parte che invoca un’analisi insufficiente degli elementi pertinenti da parte dell’organismo dell’Unione interessato o suoi errori manifesti di valutazione deve fornire elementi idonei a fondare dubbi significativi quanto alla valutazione effettuata da tale organismo, al quale spetterà poi, se del caso, fugare tali dubbi.

134

Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’asserito snaturamento dei motivi e degli elementi di prova nonché la violazione del diritto di essere ascoltato, si deve osservare che tali censure, peraltro non dimostrate, sono state mosse per la prima volta in fase di replica e sono, di conseguenza, irricevibili, per gli stessi motivi menzionati al punto 100 della presente sentenza.

135

Ne consegue che il quinto motivo deve essere respinto in quanto in parte infondato e in parte irricevibile.

136

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che l’impugnazione deve essere integralmente respinta.

Sulle spese

137

A norma dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta, la Corte statuisce sulle spese. L’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento d’impugnazione in forza del successivo articolo 184, paragrafo 1, prevede che la parte soccombente sia condannata alle spese, se ne è stata fatta domanda.

138

A norma dell’articolo 184, paragrafo 4, del regolamento di procedura della Corte, una parte interveniente in primo grado, che non abbia proposto essa stessa impugnazione, può essere condannata alle spese del procedimento di impugnazione solo se ha partecipato alla fase scritta od orale del procedimento dinanzi alla Corte. In tal caso, la Corte può decidere che le spese da essa sostenute restino a suo carico.

139

Conformemente all’articolo 140, paragrafo 1, di tale regolamento, gli Stati membri e le istituzioni intervenuti nella causa si fanno carico delle proprie spese.

140

Poiché la Commissione ne ha fatto domanda, le ricorrenti, rimaste soccombenti, devono essere condannate alle spese.

141

La Repubblica federale di Germania, l’ECHA e ACC, intervenienti in primo grado, che hanno partecipato alla fase scritta del procedimento dinanzi alla Corte, si faranno carico delle proprie spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’impugnazione è respinta.

 

2)

Global Silicones Council, Wacker Chemie AG, Momentive Performance Materials GmbH, Shin-Etsu Silicones Europe BV e Elkem Silicones France SAS si faranno carico delle proprie spese e di quelle sostenute dalla Commissione europea.

 

3)

La Repubblica federale di Germania, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) e American Chemistry Council Inc. (ACC) si faranno carico delle proprie spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.