SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

12 gennaio 2023 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica comune in materia di asilo – Requisiti per l’attribuzione dello status di rifugiato – Direttiva 2011/95/UE – Articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2 – Motivi di persecuzione – Nozioni di “opinione politica” e di “opinione politica attribuita” – Tentativi di un richiedente asilo di difendersi, nel suo paese di origine, con mezzi legali contro soggetti non statali che agiscono con modalità illecite e sono in grado di strumentalizzare l’apparato repressivo dello Stato interessato»

Nella causa C‑280/21,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Lietuvos vyriausiasis administracinis teismas (Corte amministrativa suprema di Lituania), con decisione del 21 aprile 2021, pervenuta in cancelleria il 30 aprile 2021, nel procedimento

P.I.

contro

Migracijos departamentas prie Lietuvos Respublikos vidaus reikalų ministerijos,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da K. Jürimäe, presidente di sezione, M. Safjan, N. Piçarra (relatore), N. Jääskinen e M. Gavalec, giudici,

avvocato generale: J. Richard de la Tour

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per P.I., da L. Biekša, advokatas;

per il governo lituano, da K. Dieninis e V. Kazlauskaitė-Švenčionienė, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da A. Azéma e A. Steiblytė, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 giugno 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 10 della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra P.I. e il Migracijos departamentas prie Lietuvos Respublikos vidaus reikalų ministerijos (dipartimento dell’immigrazione presso il Ministero dell’Interno della Repubblica di Lituania; in prosieguo: il «dipartimento dell’immigrazione») in merito al rifiuto di quest’ultimo di concedergli lo status di rifugiato.

Contesto normativo

Diritto internazionale

3

La Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 ed entrata in vigore il 22 aprile 1954 [Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], come integrata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967 ed entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «convenzione di Ginevra»), dispone, al suo articolo 1, sezione A, punto 2, primo comma, che il termine «rifugiato» si applica a chiunque, «nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato».

Diritto dell’Unione

4

I considerando 4, 12, 16 e 29 della direttiva 2011/95 così recitano:

«(4)

La convenzione di Ginevra e il relativo protocollo costituiscono la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati.

(...)

(12)

Lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.

(...)

(16)

La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali e osserva i principi riconosciuti segnatamente nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Essa mira in particolare ad assicurare il pieno rispetto della dignità umana, il diritto di asilo dei richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito e a promuovere l’applicazione degli articoli 1, 7, 11, 14, 15, 16, 18, 21, 24, 34 e 35 di detta Carta, e dovrebbe pertanto essere attuata di conseguenza.

(...)

(29)

Una delle condizioni per l’attribuzione dello status di rifugiato ai sensi dell’articolo 1 A della convenzione di Ginevra è l’esistenza di un nesso causale tra i motivi di persecuzione, tra cui razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, e gli atti di persecuzione o la mancanza di protezione contro tali atti».

5

L’articolo 2, lettera d), di tale direttiva riprende, ai fini di quest’ultima, la definizione di «rifugiato» contenuta nell’articolo 1, sezione A, punto 2, primo comma, della convenzione di Ginevra e l’articolo 2, lettera e), di detta direttiva definisce lo «status di rifugiato» come «il riconoscimento, da parte di uno Stato membro, di un cittadino di un paese terzo o di un apolide quale rifugiato».

6

L’articolo 2, lettera h), della direttiva 2011/95 definisce la nozione di «domanda di protezione internazionale» come la «richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo (...) che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria», e l’articolo 2, lettera i), di tale direttiva definisce quella di «richiedente» come «qualsiasi cittadino di un paese terzo (...) che abbia presentato una [siffatta domanda] sulla quale non sia stata ancora adottata una decisione definitiva».

7

L’articolo 4 di detta direttiva, intitolato «Esame dei fatti e delle circostanze», ai paragrafi 3 e 5 dispone quanto segue:

«3.   L’esame della domanda di protezione internazionale deve essere effettuato su base individuale e prevede la valutazione:

a)

di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e regolamentari del paese d’origine e le relative modalità di applicazione;

b)

delle dichiarazioni e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente che deve anche render noto se ha già subito o rischia di subire persecuzioni o danni gravi;

(...)

5.   Quando gli Stati membri applicano il principio in base al quale il richiedente è tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale e qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo, la loro conferma non è comunque necessaria se sono soddisfatte le seguenti condizioni:

a)

il richiedente ha compiuto sinceri sforzi per circostanziare la domanda;

b)

tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una spiegazione soddisfacente dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi;

c)

le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone;

d)

il richiedente ha presentato la domanda di protezione internazionale il prima possibile, a meno che egli non dimostri di aver avuto buoni motivi per ritardarla; e

e)

è accertato che il richiedente è in generale attendibile».

8

L’articolo 6, lettere a) e c), della medesima direttiva identifica come «responsabili della persecuzione» lo Stato e i «soggetti non statuali», nei confronti dei quali può essere dimostrato che lo Stato non può o non vuole fornire la protezione contro persecuzioni o danni gravi.

9

Ai sensi dell’articolo 9 della direttiva 2011/95, intitolato «Atti di persecuzione»:

«1.   Sono atti di persecuzione ai sensi dell’articolo 1 A della convenzione di Ginevra gli atti che:

a)

sono, per loro natura o frequenza, sufficientemente gravi da rappresentare una violazione grave dei diritti umani fondamentali, in particolare dei diritti per cui qualsiasi deroga è esclusa a norma dell’articolo 15, paragrafo 2, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali [firmata a Roma il 4 novembre 1950]; oppure

b)

costituiscono la somma di diverse misure, tra cui violazioni dei diritti umani, il cui impatto sia sufficientemente grave da esercitare sulla persona un effetto analogo a quello di cui alla lettera a).

2.   Gli atti di persecuzione che rientrano nella definizione di cui al paragrafo 1 possono, tra l’altro, assumere la forma di:

(...)

c)

azioni giudiziarie o sanzioni penali sproporzionate o discriminatorie;

(...)

3.   In conformità dell’articolo 2, lettera d), i motivi di cui all’articolo 10 devono essere collegati agli atti di persecuzione quali definiti al paragrafo 1 del presente articolo o alla mancanza di protezione contro tali atti».

10

L’articolo 10 di tale direttiva, intitolato «Motivi di persecuzione», al paragrafo 1, lettera e), e al paragrafo 2, prevede quanto segue:

«1.   Nel valutare i motivi di persecuzione, gli Stati membri tengono conto dei seguenti elementi:

(...)

e)

il termine «opinione politica» si riferisce, in particolare, alla professione di un’opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori di cui all’articolo 6 e alle loro politiche o metodi, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti.

2.   Nell’esaminare se un richiedente abbia un timore fondato di essere perseguitato è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni».

11

L’articolo 13 di detta direttiva, intitolato «Riconoscimento dello status di rifugiato», è così formulato:

«Gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo o all’apolide aventi titolo al riconoscimento dello status di rifugiato in conformità dei capi II e III».

Diritto lituano

12

L’articolo 83, paragrafo 2, della Lietuvos Respublikos įstatymas dėl užsieniečių teisinės padėties Nr. IX-2206 (legge della Repubblica di Lituania sullo status giuridico degli stranieri n. IX-2206), del 29 aprile 2004 (Žin., 2004, n. 73-2539), che recepisce nel diritto lituano, in particolare, la direttiva 2011/95, prevede, nella versione modificata dalla legge n. XII‑1396 del 9 dicembre 2014 (TAR, 2014, n. 19923), quanto segue:

«Qualora, nel corso dell’esame della domanda, si accerti che gli elementi relativi alla determinazione dello status del richiedente asilo non possono essere dimostrati da prove documentali, nonostante i suoi sinceri sforzi, tali elementi sono valutati a favore del richiedente e la domanda di asilo è considerata fondata, se detta domanda è stata presentata non appena possibile, a meno che il richiedente non possa addurre un valido motivo per non averlo fatto, se il richiedente asilo ha presentato tutti gli elementi pertinenti a sua disposizione e ha fornito una spiegazione soddisfacente in merito alla mancanza di altre prove, e se le sue dichiarazioni sono considerate plausibili e coerenti e non contraddette dalle informazioni specifiche e generali note e pertinenti per la sua domanda».

Procedimento principale e questione pregiudiziale

13

Il 15 luglio 2019, P.I., cittadino di un paese terzo, ha presentato una domanda di asilo presso il dipartimento dell’immigrazione. A sostegno di tale domanda ha affermato che, nel 2010, nel suo paese di origine, egli ha concluso un contratto di acquisto di azioni con un’impresa detenuta da una persona legata alle sfere del potere, compresi i servizi di intelligence. Egli ha versato a tale impresa l’importo di 690000 dollari statunitensi (USD) (circa EUR 647500). Poiché il contratto non è stato eseguito, P.I. ha chiesto alla sua controparte contrattuale di rimborsargli tale importo. Successivamente, egli è stato oggetto di un procedimento penale avviato su iniziativa del proprietario di detta impresa e, nel dicembre 2015, ha dovuto rinunciare alla maggior parte di un progetto sviluppato dalla sua impresa, il cui controllo era passato a talune imprese appartenenti ad altre persone.

14

Tale procedimento penale sarebbe stato sospeso nel gennaio 2016. Tuttavia, dopo il tentativo di P.I. di difendersi in giudizio contro l’appropriazione illegale del suo progetto, il procedimento sarebbe stato riaperto, nell’aprile 2016, a seguito della testimonianza resa contro P.I. da una persona collegata ai nuovi proprietari della sua impresa. Nei mesi di dicembre 2016 e di gennaio 2017, detto procedimento penale si sarebbe concluso con ordinanze di incriminazione e di custodia cautelare di P.I., che nel frattempo sarebbe stato spossessato della parte rimanente del progetto.

15

Con decisione del 21 settembre 2020, il dipartimento dell’immigrazione ha respinto la domanda di concessione dello status di rifugiato presentata da P.I. Al termine della sua indagine, tale dipartimento ha ritenuto che, nonostante fossero stati individuati e considerati plausibili, i motivi all’origine del rischio di azioni penali e di detenzione non corrispondevano a nessun motivo contemplato dalla convenzione di Ginevra, compreso, in particolare, il motivo basato sulla nozione di «opinione politica».

16

In seguito al rigetto del suo ricorso proposto avverso tale decisione dinanzi al Vilniaus apygardos administracinis teismas (Tribunale amministrativo regionale di Vilnius, Lituania), P.I. ha proposto appello avverso la sentenza di tale tribunale dinanzi al Lietuvos vyriausiasis administracinis teismas (Corte amministrativa suprema di Lituania), il giudice del rinvio. Egli contesta la decisione del dipartimento dell’immigrazione, confermata in primo grado, sostenendo che, qualora atti di persecuzione o la mancanza di protezione contro tali atti siano collegati, come nel caso di specie, non a un’«attività politica», in senso tradizionale, o a idee politiche espresse pubblicamente, bensì alla resistenza opposta, con atti concreti, a un gruppo che agisce con mezzi illeciti e che esercita influenza sullo Stato attraverso la corruzione, tale resistenza rientra nella nozione di «opinione politica», ai sensi dell’articolo 10 della direttiva 2011/95, come «opinione politica attribuita». Esso precisa che il reato contestatogli (estorsione commessa allo scopo di appropriarsi di un bene altrui di valore molto elevato) è in realtà una controversia civile di natura patrimoniale tra operatori economici.

17

Il giudice del rinvio rileva che P.I. ha coerentemente affermato, nel corso dell’intera indagine, che uomini d’affari legati al potere statale da atti di corruzione si erano impossessati dei suoi beni, che, a seguito della sua opposizione all’operazione di cui trattasi, era stato avviato un procedimento penale a suo carico, su iniziativa di uno di questi uomini d’affari e che, a seguito di un tentativo di P.I. di difendersi in giudizio, tale procedimento penale avviato a scopo di intimidazione, dopo essere stato sospeso era stato riaperto ed era sfociato, in particolare, in un ordine di detenzione nei suoi confronti. Tale giudice aggiunge che, secondo la normativa nazionale in materia di asilo, procedimenti o sanzioni penali costituiscono atti di persecuzione se sono sproporzionati e discriminatori e precisa che gli sembra probabile che detto procedimento penale sia stato «costruito artatamente», con la conseguenza che, se P.I. ritornasse nel suo paese d’origine, rischierebbe di continuare a essere oggetto di atti di persecuzione.

18

In tale contesto, il Lietuvos vyriausiasis administracinis teismas (Corte amministrativa suprema di Lituania) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se opporsi a un gruppo che agisce con mezzi illeciti ed esercita influenza mediante la corruzione, il quale opprime un richiedente asilo avvalendosi dell’apparato dello Stato e contro il quale non è possibile difendersi per vie legali a causa dell’ampia estensione della corruzione nello Stato interessato, debba considerarsi equivalente a un’opinione politica attribuita [in lingua inglese: “attributed political opinion”], ai sensi dell’articolo 10 della [direttiva 2011/95]».

Sulla questione pregiudiziale

19

Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che la nozione di «opinione politica» comprende i tentativi di un richiedente protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettere h) e i), di tale direttiva, di difendere i suoi interessi patrimoniali ed economici personali con mezzi legali contro soggetti non statali che agiscono con modalità illecite, qualora questi ultimi, a causa dei legami che intrattengono con lo Stato interessato attraverso la corruzione, siano in grado di strumentalizzare l’apparato repressivo di quest’ultimo a danno di tale richiedente.

20

In via preliminare, occorre ricordare che la direttiva 2011/95, come enuncia il suo considerando 12, è stata adottata affinché, segnatamente, tutti gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale.

21

Tale direttiva dev’essere interpretata alla luce del suo impianto sistematico e della sua finalità, nel rispetto non solo della convenzione di Ginevra, che costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati, come ricordato al considerando 4 di detta direttiva, ma anche, come risulta dal considerando 16 della direttiva medesima, nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali (in prosieguo: la «Carta») [v., in tal senso, sentenza del 19 novembre 2020, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Servizio militare e asilo), C‑238/19, EU:C:2020:945, punti 1920 nonché giurisprudenza citata].

22

Ai sensi dell’articolo 2, lettera d), della direttiva 2011/95 la nozione di «rifugiato» ricomprende, in particolare, il cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese.

23

Conformemente all’articolo 13 di tale direttiva, gli Stati membri riconoscono lo status di rifugiato al cittadino di un paese terzo avente titolo al riconoscimento ai sensi, in particolare, degli articoli 9 e 10 di detta direttiva.

24

Il richiedente un siffatto status quindi, a causa delle circostanze esistenti nel suo paese di origine, deve trovarsi di fronte al fondato timore di subire «atti di persecuzione» ai sensi dell’articolo 9, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2011/95, compiuti sulla sua persona dai «responsabili della persecuzione», di cui all’articolo 6 di tale direttiva, a condizione che esista un nesso causale, ai sensi del paragrafo 3 di tale articolo 9, letto alla luce del considerando 29 di detta direttiva, tra tali atti o la mancanza di protezione contro di essi e almeno uno dei cinque motivi di persecuzione elencati all’articolo 10 della medesima direttiva, tra cui figura l’«opinione politica» (v., per analogia, sentenza del 5 settembre 2012, Y e Z, C‑71/11 e C‑99/11, EU:C:2012:518, punto 51).

25

Per quanto riguarda la nozione di «opinione politica», sulla quale vertono i dubbi del giudice del rinvio, l’articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/95 dispone che tale nozione «si riferisce, in particolare, alla professione di un’opinione, un pensiero o una convinzione su una questione inerente ai potenziali persecutori di cui all’articolo 6 e alle loro politiche o metodi, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti». Inoltre, conformemente al paragrafo 2 di tale articolo 10, è irrilevante che il richiedente possegga effettivamente le caratteristiche razziali, religiose, nazionali, sociali o politiche che provocano gli atti di persecuzione, purché una siffatta caratteristica gli venga attribuita dall’autore delle persecuzioni.

26

A tal riguardo, occorre rilevare, in primo luogo, che la formulazione stessa di tali disposizioni implica che la nozione di «opinione politica» sia interpretata in maniera ampia. Tale premessa si fonda su diversi elementi. Si tratta, anzitutto, dell’uso della locuzione «in particolare» per elencare, a titolo non esaustivo, gli elementi che possono identificare tale nozione. Inoltre, sono menzionate non solo l’«opinione» ma anche il «pensiero» e la «convinzione» in questioni inerenti ai potenziali responsabili della persecuzione, nonché in quelle inerenti alle «politiche» e ai «metodi» di tali responsabili, indipendentemente dal fatto che il richiedente abbia tradotto tale opinione, pensiero o convinzione in atti concreti. Infine, l’accento è posto sulla percezione della natura «politica» di questi ultimi da parte dei responsabili della persecuzione.

27

Tale interpretazione è corroborata dal manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato e dalle linee guida sulla protezione internazionale ai sensi della convenzione del 1951 e del protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati [Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR), 1979, riedito e aggiornato nel febbraio 2019, HCR/1P/4/FRE/REV.4], al quale è necessario riferirsi, tenendo conto della loro pertinenza particolare in conseguenza del ruolo che la convenzione di Ginevra attribuisce all’UNHCR (v., in tal senso, sentenza del 23 maggio 2019, Bilali, C‑720/17, EU:C:2019:448, punto 57 e giurisprudenza citata). Infatti, anche tali linee guida utilizzano un’accezione ampia della nozione di «opinione politica», nel senso che tale nozione può comprendere qualsiasi opinione o qualsiasi questione che riguardi l’apparato statale, il governo, la società o una politica.

28

In secondo luogo, la nozione di «opinione politica», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/95, dal momento che mira a tutelare il diritto alla libertà di opinione e di espressione, deve essere interpretata alla luce dell’articolo 11 della Carta, che è espressamente menzionato al considerando 16 di tale direttiva come uno degli articoli che l’applicazione di detta direttiva mira a promuovere.

29

Ai sensi dell’articolo 11 della Carta, ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione che include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera. Come risulta dalle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17), e dall’articolo 52, paragrafo 3, di quest’ultima, i diritti garantiti dall’articolo 11 della stessa hanno significato e portata identici a quelli garantiti dall’articolo 10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, come interpretati nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, e ciò fatta salva la possibilità che il diritto dell’Unione conceda loro una protezione più estesa (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2022, Polonia/Parlamento e Consiglio, C‑401/19, EU:C:2022:297, punto 44).

30

Da tale giurisprudenza risulta che la libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica e una delle condizioni basilari del suo progresso e della realizzazione di ciascun individuo e che essa protegge, in linea di principio non soltanto le «informazioni» o le «idee» accolte favorevolmente o considerate inoffensive o indifferenti, ma anche quelle offensive, scioccanti o inquietanti, e ciò al fine di garantire il pluralismo, la tolleranza e lo spirito di apertura senza i quali non vi è società democratica [Corte EDU, 15 ottobre 2015, Perinçek c. Svizzera, CE:ECHR:2015:1015JUD002751008, §196, i)].

31

Inoltre, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sottolineato che l’articolo 10, paragrafo 2, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali non lascia molto spazio a restrizioni alla libertà di espressione nell’ambito del dibattito politico o in questioni di interesse generale e che un livello elevato di tutela della libertà di espressione è normalmente accordato quando le dichiarazioni rese riguardano un tema di interesse generale [sentenza del 15 ottobre 2015, Perinçek/Svizzera, CE:ECHR:2015:1015JUD002751008, § 196, i), §§ 197, 230 e 231]. Essa ha inoltre precisato che la corruzione nell’ambito della gestione degli affari pubblici all’interno dello Stato costituisce un tema di interesse generale e che la sua discussione contribuisce al dibattito politico (v., in tal senso, sentenza del 31 maggio 2016, Nadtoka c. Russia, CE:ECHR:2016:0531JUD003801005, § 43).

32

Tale giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, rilevante per l’interpretazione dell’articolo 11 della Carta, corrobora l’interpretazione ampia che occorre accogliere della nozione di «opinione politica», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera e) della direttiva 2011/95. Ai sensi di tale interpretazione, la nozione di «opinione politica» comprende qualsiasi opinione, pensiero o convinzione che, pur non avendo necessariamente un carattere direttamente e immediatamente politico, si manifesta con un atto o un’omissione che sono percepiti dai responsabili della persecuzione di cui all’articolo 6 di tale direttiva come relativi a una questione inerente a tali responsabili o alle loro politiche e/o ai loro metodi e come una manifestazione di opposizione o resistenza a questi ultimi.

33

In terzo luogo, l’interpretazione ampia della nozione di «opinione politica» in quanto «motiv[o] di persecuzione», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2011/95, implica che, per determinare l’esistenza di una siffatta opinione nonché il nesso di causalità tra quest’ultima e gli atti di persecuzione, le autorità competenti degli Stati membri devono tenere conto del contesto generale del paese d’origine del richiedente lo status di rifugiato, in particolare nei suoi aspetti politici, giuridici, giudiziari, storici e socioculturali.

34

La Corte ha infatti dichiarato che la manifestazione, con un atto o con un’omissione, di talune opinioni, pensieri o convinzioni che non rivestono un carattere direttamente e immediatamente politico, può, a seconda del contesto specifico del paese d’origine di tale richiedente, indurre i «responsabili della persecuzione» ad attribuire a tali opinioni, pensieri o convinzioni il carattere di «opinione politica», ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, di tale direttiva.

35

A questo proposito, essa ha precisato, da un lato, che in un contesto di conflitto armato, in particolare di guerra civile, e in assenza di una possibilità legale di sottrarsi agli obblighi militari, è altamente probabile che il rifiuto di prestare servizio militare sia interpretato dalle autorità del paese terzo di cui trattasi come un atto di opposizione politica, a prescindere dalle motivazioni personali eventualmente più complesse dell’interessato, con riserva di verifica, da parte delle autorità dello Stato membro al quale è stata presentata la domanda di protezione internazionale, della plausibilità del collegamento di tale rifiuto al motivo di persecuzione di cui trattasi [sentenza del 19 novembre 2020, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Servizio militare e asilo), C‑238/19, EU:C:2020:945, punti 47, 48, 6061].

36

Dall’altro lato, la Corte ha ritenuto che la partecipazione del richiedente protezione internazionale alla proposizione di un ricorso contro il suo paese d’origine dinanzi alla Corte europea dei diritti dell’uomo, al fine di far constatare una violazione delle libertà fondamentali da parte del regime ivi al potere, deve essere considerata come un motivo di persecuzione a titolo di «opinione politica», se sussistono fondati motivi di temere che tale partecipazione sia percepita da detto regime come un atto di dissidenza politica contro il quale esso potrebbe prevedere di esercitare rappresaglie (v., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova, C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 90).

37

Lo stesso vale per i tentativi di un richiedente lo status di rifugiato di difendere i propri interessi mediante azioni giudiziarie contro soggetti non statali che agiscono con modalità illecite nei suoi confronti, qualora tali soggetti, a causa dei legami che intrattengono con lo Stato attraverso la corruzione, siano in grado di strumentalizzare l’apparato repressivo di quest’ultimo a danno di tale richiedente, e ciò anche se l’azione di quest’ultimo è stata motivata dalla difesa dei suoi interessi patrimoniali ed economici personali.

38

Nell’ambito dell’esame dei fatti e delle circostanze previsto all’articolo 4 della direttiva 2011/95, che, ai sensi del suo paragrafo 3, deve essere effettuato su base individuale, alla luce di tutte le circostanze di cui trattasi, tenendo conto di tutti i fatti pertinenti, e in particolare di quelli menzionati al punto 33 della presente sentenza, le autorità competenti dello Stato membro devono prendere in considerazione il fatto che può essere particolarmente difficile fornire la prova diretta che un determinato atto o una determinata omissione del richiedente possano essere percepiti dalle autorità del paese di origine come una manifestazione di «opinione politica». L’articolo 4, paragrafo 5, di tale direttiva riconosce, infatti, che un richiedente possa non essere sempre in grado di circostanziare la sua domanda con prove documentali o di altro tipo ed elenca le condizioni cumulative in presenza delle quali tali prove non sono richieste [v., per analogia, sentenza del 19 novembre 2020, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Servizio militare e asilo), C‑238/19, EU:C:2020:945, punto 55].

39

Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 59 delle sue conclusioni, la valutazione spettante a tali autorità deve pertanto vertere, alla luce del complesso delle circostanze, sulla plausibilità dell’opinione politica attribuita al richiedente dai responsabili della persecuzione.

40

Alla luce di tutti i motivi che precedono, si deve rispondere alla questione sollevata dichiarando che l’articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, della direttiva 2011/95 dev’essere interpretato nel senso che la nozione di «opinione politica» comprende i tentativi di un richiedente protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettere h) e i), di tale direttiva, di difendere i suoi interessi patrimoniali ed economici personali con mezzi legali contro soggetti non statali che agiscono con modalità illecite, qualora questi ultimi, a causa dei legami che intrattengono con lo Stato interessato attraverso la corruzione, siano in grado di strumentalizzare l’apparato repressivo di quest’ultimo a danno di tale richiedente, nella misura in cui tali tentativi siano percepiti dai responsabili della persecuzione come un’opposizione o una resistenza su una questione inerente a tali responsabili o alle loro politiche e/o ai loro metodi.

Sulle spese

41

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

 

L’articolo 10, paragrafo 1, lettera e), e paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta,

 

dev’essere interpretato nel senso che:

 

la nozione di «opinione politica» comprende i tentativi di un richiedente protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettere h) e i), di tale direttiva, di difendere i suoi interessi patrimoniali ed economici personali con mezzi legali contro soggetti non statali che agiscono con modalità illecite, qualora questi ultimi, a causa dei legami che intrattengono con lo Stato interessato attraverso la corruzione, siano in grado di strumentalizzare l’apparato repressivo di quest’ultimo a danno di tale richiedente, nella misura in cui tali tentativi siano percepiti dai responsabili della persecuzione come un’opposizione o una resistenza su una questione inerente a tali responsabili o alle loro politiche e/o ai loro metodi.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il lituano.