CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 16 febbraio 2023 ( 1 )

Causa C‑756/21

X

contro

International Protection Appeals Tribunal,

Minister for Justice and Equality,

Ireland,

Attorney General

[domanda di pronuncia pregiudiziale, proposta dalla High Court (Alta Corte, Irlanda)]

«Rinvio pregiudiziale – Condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato – Domanda di protezione sussidiaria – Valutazione delle domande di protezione internazionale – Dovere di cooperazione dello Stato membro con il richiedente – Portata – Sindacato giurisdizionale – Portata – Termine ragionevole per l’adozione di una decisione – Inosservanza – Conseguenze – Credibilità generale di un richiedente – Criteri di valutazione»

I. Introduzione

1.

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 4 della direttiva 2004/83/CE ( 2 ), nonché degli articoli 8 e 23 della direttiva 2005/85/CE ( 3 ).

2.

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un’impugnazione proposta dal ricorrente nel procedimento principale, X, cittadino di un paese terzo, avverso la decisione dell’International Protection Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per la protezione internazionale, Irlanda; in prosieguo: l’«IPAT»), con la quale quest’ultimo ha respinto i suoi ricorsi avverso le decisioni di rigetto delle sue domande di asilo e di protezione sussidiaria. La controversia oppone il ricorrente nel procedimento principale all’IPAT, al Minister for Justice and Equality (Ministro della Giustizia e delle Pari opportunità, Irlanda), all’Irlanda e all’Attorney General (procuratore generale, Irlanda) (in prosieguo, congiuntamente: gli «intimati»).

3.

La High Court (Alta Corte, Irlanda) solleva sette questioni pregiudiziali che si articolano attorno a tre problematiche riguardanti, la prima, la portata del dovere di cooperazione dell’autorità accertante con il richiedente protezione internazionale e le conseguenze da trarre da un’eventuale violazione di tale dovere, la seconda, le conseguenze della mancata adozione di una decisione sulle domande di asilo e di protezione internazionale entro un termine ragionevole e, la terza, l’impatto, sulla credibilità generale di un richiedente, di una dichiarazione mendace presentata inizialmente nella sua domanda, ove quest’ultimo ha successivamente ritrattato tale dichiarazione alla prima occasione, dopo aver fornito chiarimenti in merito.

II. Contesto normativo

A.   Diritto internazionale

4.

Ai sensi dell’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, primo comma, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati ( 4 ), il termine «rifugiato» si applica a chiunque, «nel giustificato timore d’essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure a chiunque, essendo apolide e trovandosi fuori dei suo Stato di domicilio (...), non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi».

B.   Diritto dell’Unione

5.

Oltre a talune disposizioni di diritto primario, vale a dire gli articoli 41 e 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), l’articolo 4 e l’articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/83 ( 5 ) nonché l’articolo 8, paragrafi 2 e 3, l’articolo 23, paragrafi 1 e 2, e l’articolo 39, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2005/85 ( 6 ) sono pertinenti nell’ambito della presente causa.

III. Procedimento principale e questioni pregiudiziali

6.

Il ricorrente nel procedimento principale è un cittadino pakistano che è entrato in Irlanda il 1o luglio 2015, dopo aver soggiornato nel Regno Unito dal 2011 al 2015 senza presentare alcuna domanda di protezione internazionale.

7.

Il 2 luglio 2015 il ricorrente nel procedimento principale ha presentato in Irlanda una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. Tale domanda, inizialmente fondata su una dichiarazione mendace che il ricorrente nel procedimento principale ha poi ritrattato, si basava sul fatto che egli si era trovato nelle immediate vicinanze del luogo di esplosione di un ordigno nel corso di un attentato terroristico, verificatosi durante un funerale in Pakistan e nel quale erano rimaste uccise una quarantina di persone, tra cui due suoi conoscenti. Il ricorrente affermava di essere rimasto profondamente colpito da tale evento, tanto da aver timore di vivere in Pakistan e di subire danni gravi in caso di rimpatrio. Egli dichiarava di soffrire di ansia, di depressione e di disturbi del sonno. La sua domanda è stata respinta il 14 novembre 2016 dall’Office of the Refugee Applications Commissioner (servizio del Commissario per le domande dei rifugiati, Irlanda).

8.

Il 2 dicembre 2016 il ricorrente nel procedimento principale ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Refugee Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i rifugiati, Irlanda). Il procedimento relativo a tale ricorso è stato sospeso a causa di modifiche legislative avvenute il 31 dicembre 2016, a seguito dell’entrata in vigore dell’International Protection Act 2015 (legge del 2015 sulla protezione internazionale) che ha unificato le varie procedure di protezione internazionale previste in precedenza e ha creato, in particolare, l’International Protection Office (Ufficio per la protezione internazionale, Irlanda; in prosieguo: l’«IPO») e l’IPAT.

9.

Il 13 marzo 2017 il ricorrente nel procedimento principale ha presentato una domanda di protezione sussidiaria, che è stata respinta dall’IPO. Il 13 febbraio 2018 egli ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi all’IPAT.

10.

Con decisione del 7 febbraio 2019, l’IPAT ha respinto i due ricorsi.

11.

Il 7 aprile 2019 il ricorrente nel procedimento principale ha proposto impugnazione dinanzi alla High Court (Alta Corte) chiedendo l’annullamento di tale decisione dell’IPAT.

12.

A sostegno di tale ricorso, il ricorrente nel procedimento principale ha sostenuto, in primo luogo, che le informazioni sul paese d’origine consultate dall’IPAT, risalenti al periodo dal 2015 al 2017, erano incomplete e superate, cosicché l’IPAT non ha tenuto conto della situazione esistente in Pakistan al momento dell’adozione della decisione del 7 febbraio 2019. Inoltre, l’IPAT non avrebbe adeguatamente esaminato le informazioni di cui disponeva.

13.

In secondo luogo, il termine per statuire sulla domanda del 2 luglio 2015 sarebbe stato manifestamente irragionevole e avrebbe violato il principio di effettività, l’articolo 47 della Carta e le norme minime stabilite dal diritto dell’Unione.

14.

In terzo luogo, l’IPAT sarebbe stato informato dello stato di salute mentale del ricorrente nel procedimento principale, ma avrebbe omesso di assicurarsi di disporre di tutti gli elementi di prova necessari per poter decidere correttamente sulle domande. In particolare, detto tribunale avrebbe dovuto chiedere una perizia medico‑legale, utilizzata generalmente a sostegno della domanda di asilo di una persona che aveva subito torture, o addirittura un’altra perizia sul suo stato di salute mentale.

15.

In quarto luogo, per quanto riguarda altri elementi pertinenti per la sua domanda, al ricorrente nel procedimento principale non sarebbe stato concesso il beneficio del dubbio, sebbene il suo stato di salute mentale non sia stato debitamente accertato e preso in considerazione. Pertanto, taluni elementi pertinenti della sua argomentazione non sarebbero stati verificati o non sarebbero stati presi in considerazione e non vi sarebbe stata alcuna cooperazione tra lui e le istituzioni competenti, in particolare per quanto riguarda detta perizia medico‑legale.

16.

In quinto luogo, nelle circostanze del caso di specie, caratterizzate dal fatto che il ricorrente nel procedimento principale ha ammesso che il suo precedente racconto degli eventi era falso e che fosse plausibile che egli soffrisse di problemi di salute mentale, sarebbe stato irragionevole concludere che quest’ultimo non fosse credibile per quanto riguarda aspetti essenziali della sua argomentazione.

17.

La High Court (Alta Corte) considera, anzitutto, che l’IPAT è venuto meno al suo dovere di cooperazione in quanto non si è procurato le informazioni adeguate sul paese d’origine né una perizia medico‑legale. Essa si chiede tuttavia se l’IPAT fosse tenuto, in forza del diritto dell’Unione, a procurarsi tale perizia e se sia compatibile con il diritto dell’Unione esigere, conformemente al diritto nazionale, che il ricorrente nel procedimento principale dimostri, al fine di ottenere l’annullamento della decisione dell’IPAT, l’esistenza di un danno derivante da tale inadempimento.

18.

Tale giudice si chiede, inoltre, quali conseguenze debba trarre dal fatto che sono trascorsi più di tre anni e mezzo tra la presentazione della domanda del 2 luglio 2015 e l’adozione della decisione dell’IPAT il 7 febbraio 2019, termine che esso considera irragionevole.

19.

Infine, il giudice del rinvio nutre dubbi sul fatto che un’unica dichiarazione mendace, che il ricorrente nel procedimento principale ha ritrattato alla prima occasione dopo aver fornito chiarimenti in merito, possa giustificare la contestazione della credibilità generale di quest’ultimo.

20.

In tale contesto, con decisione del 23 novembre 2021, pervenuta alla cancelleria della Corte il 9 dicembre 2021, la High Court (Alta Corte) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se, in caso di piena violazione del dovere di cooperazione, quale descritto al punto 66 della [sentenza M. ( 7 )], nell’ambito di una domanda di protezione sussidiaria, l’esame di tale domanda sia stato privato di “qualsiasi effetto utile” nel senso enunciato nella [sentenza Commissione/Germania ( 8 )]?

2)

In caso di risposta affermativa alla [prima questione], se la suddetta violazione del dovere di cooperazione legittimi tout court il richiedente all’annullamento della decisione [di diniego della protezione sussidiaria].

3)

In caso di risposta negativa alla [seconda questione], pertanto e se del caso, su chi incomba l’onere di dimostrare che la decisione di diniego avrebbe potuto essere diversa se vi fosse stata un’adeguata cooperazione [in merito alla domanda di protezione sussidiaria] da parte dell’autorità responsabile del processo decisionale.

4)

Se la mancata adozione entro un termine ragionevole di una decisione circa una domanda di protezione internazionale legittimi il richiedente all’annullamento della decisione [di diniego], una volta adottata.

5)

Se il tempo impiegato per apportare modifiche al quadro normativo applicabile in materia di protezione dell’asilo all’interno di uno Stato membro esoneri tale Stato membro dall’applicare un sistema di protezione internazionale che avrebbe permesso l’adozione di una decisione su tale domanda di protezione entro un termine ragionevole.

6)

Se, nel caso in cui l’autorità responsabile del processo decisionale [in materia di protezione internazionale] non disponga di prove sufficienti sullo stato di salute mentale di un richiedente, ma esista qualche prova della possibilità che il richiedente soffra di tali difficoltà, detta autorità responsabile del processo decisionale, conformemente al dovere di cooperazione menzionato nella [sentenza M. (punto 66)], o ad altri dettami, sia soggetta all’obbligo di effettuare ulteriori indagini, o ad altri obblighi, prima di pronunciare una decisione definitiva.

7)

Nel caso in cui uno Stato membro assolva il suo obbligo ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva [2004/83], di esaminare tutti gli elementi significativi della domanda, se sia consentito dichiarare tout court che la credibilità generale di un richiedente non è dimostrata a causa di una dichiarazione falsa, in merito alla quale sono state fornite spiegazioni e che è ritirata successivamente, alla prima occasione ragionevolmente disponibile».

IV. Procedimento dinanzi alla Corte

21.

Il giudice del rinvio ha chiesto che la presente causa sia sottoposta al procedimento pregiudiziale d’urgenza previsto all’articolo 107 del regolamento di procedura della Corte.

22.

Il 17 dicembre 2021 la Prima Sezione della Corte ha deciso, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, di non accogliere tale domanda.

23.

Hanno presentato osservazioni scritte il ricorrente nel procedimento principale, gli intimati, i governi tedesco e dei Paesi Bassi, nonché la Commissione europea. Il ricorrente nel procedimento principale, il governo irlandese e la Commissione sono comparsi all’udienza che si è tenuta il 16 novembre 2022.

24.

Con una richiesta di chiarimenti del 20 settembre 2022, la Corte ha invitato il giudice del rinvio a precisare la legislazione applicabile e il ruolo deferito all’IPAT. Tale giudice ha risposto con atto del 21 ottobre 2022.

V. Sulla ricevibilità

25.

Gli intimati contestano la ricevibilità delle sette questioni pregiudiziali.

26.

In primo luogo, essi affermano che la prima questione ha carattere ipotetico, in quanto si basa su una premessa non suffragata dal giudice del rinvio, per due ragioni. Da un lato, contrariamente a quanto suggerisce il tenore letterale di tale questione, il giudice del rinvio non avrebbe constatato una «piena violazione del dovere di cooperazione» e non avrebbe potuto effettuare una siffatta constatazione sulla base dei fatti di causa. D’altro, detta questione inviterebbe la Corte a emettere una decisione determinante sui fatti del caso di specie, il che non sarebbe di sua competenza. Secondo gli intimati, tali considerazioni valgono anche per la seconda e la terza questione, dato il loro collegamento con la prima questione.

27.

In secondo luogo, gli intimati sostengono che anche la quarta e la quinta questione sono ipotetiche, dato che il giudice del rinvio non ha constatato un inadempimento dell’obbligo di emettere una decisione entro un termine ragionevole.

28.

In terzo luogo, gli intimati ritengono che la sesta questione non sia necessaria ai fini della soluzione della controversia nel procedimento principale, dato che l’IPAT ha tenuto conto delle prove mediche fornite dal ricorrente nel procedimento principale, senza metterle in discussione.

29.

Infine, in quarto luogo, gli intimati fanno valere che la settima questione ha carattere ipotetico e non deve quindi ricevere risposta, dato che il ricorrente nel procedimento principale ha precisato di non contestare le conclusioni dell’IPAT relative alla sua credibilità e che, contrariamente a quanto lascerebbe intendere la formulazione di tale questione, la dichiarazione mendace non è stata l’unico elemento che ha indotto l’IPAT a ritenere che la credibilità del ricorrente nel procedimento principale non fosse dimostrata. A tal riguardo, altri elementi pertinenti riguardavano il fatto che quest’ultimo avrebbe menzionato solo molto tardivamente elementi chiave relativi agli eventi passati e non avrebbe chiesto la protezione internazionale nella sua domanda iniziale.

30.

Tali obiezioni non mi convincono.

31.

Ricordo che, secondo costante giurisprudenza, la domanda di pronuncia pregiudiziale è irricevibile qualora risulti manifestamente che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica oppure nel caso in cui la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le vengono sottoposte ( 9 ).

32.

In tale contesto, è difficile affermare che le questioni pregiudiziali non hanno alcun rapporto con la realtà, sono ipotetiche o non forniscono gli elementi di fatto necessari.

33.

Nel caso di specie, per quanto riguarda l’asserita natura ipotetica delle questioni prima, seconda, terza e sesta, è certamente vero che gli elementi di fatto riportati dal giudice del rinvio non costituiscono indizi di una «piena violazione del dovere di cooperazione» da parte dell’IPAT ( 10 ). Tuttavia, da tali questioni risulta che il giudice del rinvio si interroga proprio sulla questione se tali fatti corrispondano a una violazione del dovere di cooperazione delle autorità competenti con il richiedente e sulle conseguenze che esso deve trarre eventualmente da tale constatazione, tenuto conto dei limiti imposti a tali autorità dal diritto nazionale ( 11 ).

34.

Per quanto riguarda le questioni quarta e quinta, neppure il fatto che il giudice del rinvio non abbia ancora constatato un inadempimento dell’obbligo di emettere una decisione entro un termine ragionevole, ma che intenda farlo, costituisce un motivo sufficiente per concludere, nel caso di specie, che si tratta di questioni ipotetiche.

35.

Inoltre, dalla decisione di rinvio risulta che la sesta questione verte sull’eventuale obbligo di ottenere una perizia medico‑legale complementare a quelle fornite dal ricorrente nel procedimento principale. Il fatto che l’IPAT abbia tenuto conto delle prove mediche presentate dall’interessato, senza metterle in discussione, non ha alcun rapporto con tale obbligo e non può rimettere in discussione la rilevanza di tale questione.

36.

Per quanto riguarda, infine, la settima questione, occorre rilevare che gli intimati contestano le constatazioni di fatto del giudice del rinvio nonché la sua valutazione della rilevanza di tale questione ai fini della soluzione della controversia nel procedimento principale. Orbene, non spetta alla Corte, bensì al giudice del rinvio, constatare e valutare i fatti relativi alla credibilità del ricorrente nel procedimento principale.

37.

In sintesi, spetta al giudice del rinvio individuare le questioni giuridiche di una causa che richiede l’interpretazione del diritto dell’Unione.

38.

Pertanto, occorre considerare le questioni pregiudiziali ricevibili e analizzarle nel merito.

VI. Nel merito

A.   Considerazioni generali sull’interpretazione delle direttive 2004/83 e 2005/85

39.

Prima di passare all’esame delle questioni pregiudiziali, mi sembra utile ricordare brevemente il contesto in cui si inseriscono le direttive 2004/83 e 2005/85.

40.

In primo luogo, occorre rilevare che dal considerando 3 della direttiva 2004/83 risulta che la Convenzione di Ginevra costituisce la pietra angolare della disciplina giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati. Analogamente, dai considerando 16 e 17 di tale direttiva risulta che le disposizioni relative alle condizioni per il riconoscimento dello status di rifugiato nonché al contenuto del medesimo status sono state adottate per orientare le autorità competenti degli Stati membri nell’applicazione di tale convenzione basandosi su nozioni e criteri comuni ( 12 ). Inoltre, per quanto riguarda la direttiva 2005/85, dai suoi considerando 2, 3, 5 e 7 risulta che essa stabilisce un quadro comune delle garanzie che consentono di assicurare il pieno rispetto di detta convenzione. L’articolo 33 di quest’ultima sancisce il principio di non respingimento. Tale principio è garantito quale diritto fondamentale all’articolo 18 e all’articolo 19, paragrafo 2, della Carta ( 13 ).

41.

Ne consegue che l’interpretazione delle disposizioni delle direttive 2004/83 e 2005/85 deve essere effettuata alla luce dell’impianto sistematico e della finalità di ciascuna di tali direttive, nel rispetto della Convenzione di Ginevra e degli altri trattati pertinenti di cui all’articolo 78, paragrafo 1, TFUE ( 14 ). Inoltre, tale interpretazione deve essere effettuata, come risulta dal considerando 10 della direttiva 2004/83 e dal considerando 8 della direttiva 2005/85, nel rispetto dei diritti riconosciuti dalla Carta ( 15 ).

42.

In secondo luogo, occorre parimenti rilevare che, mentre lo scopo della direttiva 2004/83 è quello di stabilire norme minime riguardanti le condizioni che devono essere soddisfatte dai cittadini di paesi terzi per poter beneficiare di una protezione internazionale, e il contenuto di tale protezione, lo scopo della direttiva 2005/85 è quello di stabilire norme minime riguardanti le procedure di esame delle domande, precisando al contempo i diritti dei richiedenti asilo.

43.

È in tale contesto che esaminerò le questioni sollevate dal giudice del rinvio. Esaminerò anzitutto la portata del dovere di cooperazione dell’autorità accertante con il richiedente protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2004/83, nonché le conseguenze da trarre da un’eventuale violazione di tale obbligo (sezione B). Esaminerò poi le conseguenze della mancata adozione di una decisione sulle domande di asilo e di protezione internazionale entro un termine ragionevole alla luce dell’articolo 23 della direttiva 2005/85 (sezione C). Infine, esaminerò la questione relativa alla credibilità generale di un richiedente (sezione D).

B.   Sulla portata del dovere di cooperazione e sulle conseguenze della sua violazione (prima, seconda, terza e sesta questione)

44.

Con le sue questioni prima, seconda, terza e sesta, alle quali propongo di rispondere congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il dovere di cooperazione previsto all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 imponga all’autorità accertante di ottenere informazioni aggiornate sul paese d’origine di un richiedente asilo e protezione internazionale e, qualora esistano indizi di problemi di salute mentale risultanti potenzialmente da un evento traumatizzante avvenuto in tale paese, una perizia medico‑legale sulla sua salute mentale. Esso si interroga, inoltre, sulla questione se la violazione di tale obbligo possa portare, di per sé, all’annullamento della decisione di rigetto di tali domande o se possa essere imposto al richiedente di dimostrare che la decisione avrebbe potuto essere diversa in mancanza di una siffatta violazione.

45.

Mi sembra che la risposta a tali quesiti possa essere ottenuta esaminando il significato del dovere di cooperazione in capo allo Stato membro, ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2004/83.

1. Sul significato del dovere di cooperazione in capo allo Stato membro

46.

Il giudice del rinvio rileva che le informazioni fornite dal richiedente sul paese d’origine non erano aggiornate, neppure alla data in cui il richiedente le aveva fornite. In particolare, nell’ambito di una constatazione cruciale nella decisione controversa ( 16 ), l’IPAT fa riferimento a una missione di indagine austriaca del 2015 ( 17 ) e a una relazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (HCR) [dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR)] del 2017 ( 18 ). Secondo tale giudice, non si poteva ritenere che detti elementi costituissero, propriamente, informazioni aggiornate sul paese d’origine nell’ambito di tale decisione, emessa il 7 febbraio 2019 ( 19 ). Pertanto, sulla base dell’articolo 4 della direttiva 2004/83, come interpretato dalla Corte nella sentenza M., il giudice del rinvio considera che l’IPAT è venuto meno al suo dovere di cooperazione in quanto non ha ottenuto le informazioni adeguate e aggiornate sul paese d’origine del richiedente.

47.

Tale approccio mi sembra a priori ragionevole. Tuttavia, è opportuno chiarire taluni elementi.

48.

Ricordo che, come risulta dal suo titolo, l’articolo 4 della direttiva 2004/83 riguarda l’«esame dei fatti e delle circostanze» di una domanda di protezione internazionale. Secondo la Corte, tale «esame» si svolge in due fasi distinte. La prima riguarda l’accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda e, la seconda, la valutazione giuridica di tali elementi, consistente nel decidere se, alla luce dei fatti che caratterizzano una fattispecie, siano soddisfatti i requisiti sostanziali previsti dagli articoli 9 e 10 o 15 della direttiva 2004/83 per il riconoscimento di una protezione internazionale ( 20 ).

49.

In tale contesto si pone la questione di accertare quale sia, concretamente, il significato del dovere di cooperazione con il richiedente nell’ambito di ciascuna di queste due fasi.

a) Sul dovere di cooperazione nell’ambito della prima fase dell’esame riguardante l’accertamento delle circostanze di fatto

50.

Ricordo anzitutto che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, benché il richiedente sia tenuto a produrre tutti gli elementi necessari a motivare la domanda, spetta tuttavia allo Stato membro interessato cooperare con tale richiedente nel momento della determinazione degli elementi significativi della stessa ( 21 ). In altri termini, tale disposizione impone un «obbligo positivo» delle autorità degli Stati membri di agire in cooperazione con il richiedente per esaminare tali elementi ( 22 ).

51.

A tal riguardo, dall’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2004/83 risulta che gli elementi di prova che possono giustificare una domanda di protezione internazionale sono le dichiarazioni del richiedente e tutta la documentazione in suo possesso in merito alla sua situazione individuale riguardante, in particolare, l’età, l’estrazione, l’identità o la/e cittadinanza/e. Tale disposizione fa quindi riferimento a tutti gli elementi pertinenti per giustificare la domanda e, pertanto, riguarda le dichiarazioni e la documentazione relative alle circostanze di fatto inerenti al passato del richiedente, comprese quelle relative «[al/ai] «paese/i e [al/ai] luogo/luoghi in cui ha soggiornato in precedenza».

52.

Ricordo altresì che il significato del dovere di cooperazione in capo allo Stato membro nell’ambito di questa prima fase dell’esame è già stato chiarito dalla Corte. Quest’ultima ha precisato che se, per qualsivoglia ragione, gli elementi forniti dal richiedente una protezione internazionale non sono esaustivi, attuali o pertinenti, è necessario che lo Stato membro interessato cooperi attivamente con il richiedente, in tale fase della procedura, per consentire di riunire tutti gli elementi atti a sostenere la domanda ( 23 ). Essa ha altresì dichiarato che le autorità di uno Stato membro possono spesso rivestire una posizione più adeguata del richiedente per l’accesso a determinati tipi di documenti ( 24 ).

53.

Pertanto, è evidente, a mio avviso, che nell’ambito di questa prima fase dell’esame relativa all’accertamento delle circostanze di fatto che possono costituire gli elementi di prova a sostegno della domanda, il dovere di cooperazione previsto all’articolo 4 della direttiva 2004/83 impone all’autorità accertante di ottenere informazioni esaustive e aggiornate sul paese d’origine di un richiedente asilo e protezione internazionale.

54.

Ciò detto, si pone ancora la questione se esista un siffatto dovere di «cooperazione» in capo alle autorità dello Stato membro interessato nell’ambito della seconda fase dell’esame.

b) Sussiste un dovere di cooperazione nell’ambito della seconda fase dell’esame relativa alla valutazione giuridica degli elementi di prova a sostegno della domanda?

55.

Ricordo che l’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/83 prevede, per quanto riguarda l’esame su base individuale di una domanda di protezione internazionale, che occorre procedere a tale valutazione tenendo conto, in particolare, di tutti i fatti pertinenti che riguardano il paese d’origine al momento dell’adozione della decisione in merito alla domanda, comprese le disposizioni legislative e regolamentari del paese d’origine e relative modalità di applicazione.

56.

Tale esame su base individuale della domanda è, come ho già chiarito ( 25 ), la seconda fase nell’ambito dell’«esame dei fatti e delle circostanze» di una domanda di asilo o di protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 2004/83. Tale fase riguarda la valutazione giuridica degli elementi di prova forniti a sostegno della domanda per dimostrare se questi ultimi siano effettivamente tali da soddisfare i requisiti posti per il riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione internazionale richiesti ( 26 ).

57.

Orbene, come è già stato dichiarato dalla Corte, l’esame della fondatezza della domanda rientra nella responsabilità esclusiva dell’autorità nazionale competente, di modo che, in tale fase della procedura, un dovere di cooperazione di tale autorità con il richiedente, come imposto dall’articolo 4, paragrafo 1, seconda frase, della direttiva 2004/83, è privo di pertinenza ( 27 ). A tal riguardo, ricordo che dall’articolo 4, paragrafo 1, e dall’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2005/85 risulta che l’autorità accertante è competente a procedere a un «congruo esame» delle domande, in esito al quale essa prenderà una decisione sulle stesse ( 28 ). In particolare, dall’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), di tale direttiva risulta che gli Stati membri garantiscono che pervengano informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel paese d’origine dei richiedenti asilo ( 29 ) da diverse fonti, quali l’HCR ( 30 ).

58.

Pertanto, condivido pienamente la posizione della Commissione secondo la quale da tali disposizioni risulta che, in forza dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/83, l’autorità accertante è tenuta ad andare oltre il mero dovere di cooperazione con il richiedente per quanto riguarda le informazioni relative alla situazione del paese d’origine. Infatti, quando una persona soddisfa le condizioni previste dalla direttiva 2004/83, gli Stati membri sono tenuti a riconoscere la protezione internazionale richiesta, atteso che le loro autorità non dispongono di un potere discrezionale al riguardo ( 31 ). Orbene, dato che, conformemente all’articolo 28, paragrafo 1, della direttiva 2005/85, gli Stati membri possono ritenere infondata una domanda solo se l’autorità accertante ha stabilito che al richiedente non è attribuibile la qualifica di rifugiato a norma della direttiva 2004/83, tale autorità non potrebbe respingere una domanda senza effettuare un «esame adeguato» della stessa e, quindi, senza prendere in considerazione informazioni aggiornate sulla situazione esistente nel paese d’origine.

59.

In particolare, ciò vale a maggior ragione per la condizione dei danni gravi, di cui all’articolo 15, lettera c), della direttiva 2004/83, consistente in minacce gravi e individuali alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, come quelle menzionate nel procedimento principale ( 32 ). Infatti, la Corte ha dichiarato che l’esistenza di tali tipi di minacce non è subordinata alla condizione che il richiedente fornisca la prova di esserne specifico oggetto a motivo di elementi peculiari della sua situazione personale. Secondo la Corte, il grado di violenza indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso è valutato dalle autorità nazionali competenti cui sia stata presentata una domanda o dai giudici di uno Stato membro ai quali venga deferita una decisione di rigetto di una siffatta domanda ( 33 ). Inoltre, occorre ricordare che la valutazione della questione se le circostanze accertate rappresentino o meno una minaccia tale che la persona interessata possa fondatamente temere, con riferimento alla sua situazione individuale, di essere effettivamente oggetto di atti di persecuzione deve, in tutti i casi, essere operata con vigilanza e prudenza, poiché si tratta di questioni di integrità della persona umana e di libertà individuali, questioni che attengono ai valori fondamentali dell’Unione ( 34 ).

60.

Di conseguenza, da quanto precede risulta che l’articolo 4, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2004/83 impone all’autorità accertante, nell’ambito del suo obbligo di procedere a un congruo esame della domanda, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2005/85, di ottenere informazioni precise e aggiornate sul paese d’origine di un richiedente asilo e protezione internazionale. In altri termini, tale autorità non può limitarsi ad esaminare informazioni parziali o obsolete, fornite dal richiedente a sostegno della sua domanda, ma deve ottenere informazioni aggiornate.

2. Il dovere di cooperazione implica, per l’autorità accertante, l’obbligo di ottenere una perizia medico‑legale sulla salute mentale del richiedente?

61.

Il giudice del rinvio afferma che il ricorrente nel procedimento principale aveva presentato dinanzi all’IPO un referto medico in cui si sottolineava l’esistenza di disturbi mentali derivanti dal fatto di essersi trovato nelle immediate vicinanze del luogo di esplosione di un ordigno nel corso di un attentato terroristico avvenuto nel proprio paese d’origine ( 35 ). Detto giudice chiarisce che l’IPO ha sostenuto dinanzi all’IPAT che siffatto referto non consentiva di accertare se i disturbi mentali di cui soffriva il richiedente fossero stati causati o meno da tale esplosione. Inoltre, dalla decisione di rinvio risulta che l’IPAT condivideva tale opinione e ha considerato che una perizia medico‑legale, vale a dire una «relazione Spirasi», avrebbe potuto essere, effettivamente, «di maggiore utilità» ( 36 ). Pertanto, il giudice del rinvio constata che tanto l’IPO quanto l’IPAT hanno considerato che il referto medico presentato dal ricorrente nel procedimento principale non era sufficiente e che una perizia medico‑legale sarebbe stata pertinente.

62.

In tale contesto, si pone la questione se il dovere di cooperazione istituito all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 imponga alle autorità nazionali di ottenere tale perizia.

63.

In primo luogo, per quanto riguarda la prima fase dell’esame, relativa all’accertamento delle circostanze di fatto, osservo che siffatto requisito non risulta dalla formulazione di tale disposizione. Infatti, la direttiva 2004/83 ha lo scopo di stabilire norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale. Orbene, se il legislatore dell’Unione avesse inteso imporre agli Stati membri siffatto obbligo, l’avrebbe certamente precisato in maniera esplicita. Di conseguenza, le autorità nazionali devono disporre di un margine di discrezionalità per stabilire se una perizia medico‑legale sia pertinente o meno per l’esame su base individuale che le autorità nazionali sono tenute a effettuare, conformemente all’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/83 ( 37 ).

64.

Tuttavia, contrariamente a quanto sostenuto dagli intimati, qualora, come nel caso di specie, tali autorità ritengano che la perizia medico‑legale di cui trattasi sia pertinente o necessaria per l’esame della domanda di protezione internazionale ( 38 ), dal dovere di cooperazione, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83, deriva, a mio avviso, che esse devono darne comunicazione al richiedente e cooperare con lo stesso per poter disporre di tale perizia ( 39 ). Come ho già osservato, dal dovere di cooperazione incombente alle autorità nazionali risulta che, qualora l’autorità accertante ritenga che gli elementi forniti dal richiedente protezione internazionale siano incompleti, obsoleti o non pertinenti, essa è tenuta a cooperare attivamente con il richiedente al fine di consentire la riunione di tutti gli elementi necessari ( 40 ) per accertare le circostanze di fatto che possono costituire elementi di prova a sostegno della domanda.

65.

In secondo luogo, per quanto riguarda la seconda fase dell’esame relativa alla valutazione giuridica degli elementi di prova presentati a sostegno della domanda, ricordo che dall’articolo 4, paragrafo 3, lettere b) e c), della direttiva 2004/83 risulta che occorre procedere all’esame su base individuale di una domanda di protezione internazionale tenendo conto della dichiarazione e della documentazione pertinenti presentate dal richiedente, comprese le informazioni che consentono di stabilire se quest’ultimo sia stato o possa essere sottoposto a persecuzioni o danni gravi, nonché dello status e delle circostanze personali del richiedente per stabilire se, tenuto conto di tali circostanze, gli atti a cui è stato o potrebbe essere esposto si configurino come persecuzione o danno grave. In particolare, la Corte ha già dichiarato che l’articolo 4, paragrafo 3, di tale direttiva non esclude il ricorso alle perizie nell’ambito del processo di valutazione dei fatti e delle circostanze ( 41 ). Spetta quindi alle autorità competenti adeguare le loro modalità di valutazione delle dichiarazioni e degli elementi di prova documentali o di altro tipo in funzione delle caratteristiche proprie di ciascuna categoria di domanda di protezione internazionale ( 42 ).

66.

A tal riguardo, l’esigenza di ottenere una perizia medico‑legale sulla salute mentale del richiedente, qualora le autorità nazionali ritengano ciò pertinente o necessario per valutare gli elementi di prova, è corroborata dall’articolo 4, paragrafo 1, e dall’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2005/85. Tali disposizioni prevedono l’obbligo per l’autorità accertante di procedere a un «esame adeguato» delle domande, in esito al quale essa prenderà una decisione sulle stesse ( 43 ). Infatti, detta autorità non sarà in grado di procedere a tale esame adeguato delle domande, ai sensi di tali disposizioni, se, pur ritenendo che una perizia medico‑legale sia pertinente o necessaria per l’esame individuale della domanda in questione, non provveda a ottenerla.

67.

Di conseguenza, ritengo che l’articolo 4, paragrafo 3, lettere b) e c), della direttiva 2004/83 imponga all’autorità accertante, nell’ambito del suo obbligo di procedere a un congruo esame della domanda, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2005/85, qualora ritenga che la perizia medico‑legale sulla salute mentale del richiedente sia pertinente o necessaria per l’esame individuale di tale domanda, di ottenere una siffatta perizia. A mio avviso, un’interpretazione diversa contrasterebbe con l’obiettivo della direttiva 2004/83 e priverebbe di contenuto sia l’articolo 4, paragrafo 3, di tale direttiva sia l’articolo 8, paragrafo 2, della direttiva 2005/85.

3. Sulle conseguenze da trarre dalla violazione del dovere di cooperazione e dell’obbligo di procedere a un esame adeguato della domanda

68.

Prima di analizzare le conseguenze da trarre dalla violazione del dovere di cooperazione e dell’obbligo di procedere a un esame adeguato della domanda [sezioni c) e d)], occorre stabilire se, come sostengono il governo tedesco e la Commissione, l’articolo 39 della direttiva 2005/85 richieda che il giudice di primo grado possa esercitare un controllo di merito ex nunc su una decisione di rigetto di una domanda di asilo o di protezione internazionale [sezione a)]. In caso affermativo, si pone la questione se l’IPAT debba essere considerato un’autorità giurisdizionale ai sensi dell’articolo 39 della direttiva 2005/85 [sezione b)].

a) Sulla nozione di «giudice» ai sensi dell’articolo 39 della direttiva 2005/85

69.

Ricordo che l’articolo 39, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2005/85 prevede che gli Stati membri dispongano che il richiedente asilo abbia diritto a un mezzo di impugnazione efficace dinanzi a un giudice avverso una decisione sulla sua domanda di asilo. Tuttavia, tale disposizione non precisa che è necessario che detto giudice possa esercitare un siffatto controllo ex nunc. A tal riguardo, la Commissione dichiara nelle sue osservazioni scritte che, a suo avviso, tali requisiti risultano dalla giurisprudenza elaborata dalla Corte.

70.

Osservo, a tal riguardo, che un siffatto requisito risulta chiaramente dall’articolo 46 della direttiva 2013/32, che ha sostituito l’articolo 39 della direttiva 2005/85 e che non è applicabile nel caso di specie. Mi sembra tuttavia utile osservare, come constatato dalla Commissione nel corso della procedura legislativa relativa a detto articolo 46, che tale disposizione si informa «ampiamente all’evoluzione giurisprudenziale della [Corte] e della Corte europea dei diritti dell’uomo» ( 44 ). Verificherò quindi se l’articolo 39 della direttiva 2005/85, come interpretato dalla Corte, preveda detto requisito.

71.

In primo luogo, la Corte ha già rilevato che le caratteristiche del ricorso previsto dall’articolo 39 della direttiva 2005/85 devono essere determinate conformemente all’articolo 47 della Carta, che costituisce una riaffermazione del principio della tutela giurisdizionale effettiva e ai sensi del quale ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste in tale articolo ( 45 ). In particolare, essa ha dichiarato che, affinché l’esercizio di tale diritto sia effettivo, il giudice nazionale deve poter verificare, nell’ambito di un esame approfondito, la fondatezza dei motivi che hanno indotto l’autorità amministrativa competente a considerare la domanda di protezione internazionale infondata ( 46 ). Ricordo, a tal riguardo, che qualsiasi decisione relativa al riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario della protezione sussidiaria deve essere fondata su una valutazione individuale ( 47 ).

72.

In secondo luogo, la Corte ha dichiarato, nell’ambito del regolamento (UE) n. 604/2013 ( 48 ), che un ricorso di annullamento proposto avverso una decisione amministrativa, nell’ambito del quale il giudice adito non possa tener conto di circostanze successive all’adozione di tale decisione, non garantisce una tutela giurisdizionale sufficiente, tale da consentire all’interessato di esercitare i diritti che gli sono conferiti dal citato regolamento e dall’articolo 47 della Carta ( 49 ).

73.

In terzo luogo, occorre aggiungere che, come è stato ricordato dall’avvocato generale Mengozzi, l’esigenza di un «esame completo», che non si limiti al rispetto delle norme di diritto applicabili ma si estenda all’accertamento e alla valutazione dei fatti, è stata già da tempo affermata dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ( 50 ). Secondo tale giudice, detto esame deve essere attento, indipendente, rigoroso e completo e deve consentire l’esclusione di qualsiasi dubbio, per quanto legittimo, riguardo all’infondatezza di una domanda di protezione internazionale, a prescindere dalla portata delle competenze dell’autorità responsabile del controllo ( 51 ).

74.

Si deve quindi ritenere che l’articolo 39 della direttiva 2005/85, interpretato alla luce dell’articolo 47 della Carta, richieda che il giudice di primo grado possa esercitare un controllo ex nunc su una decisione di rigetto di una domanda di asilo o di protezione internazionale.

b) Sulla qualificazione dell’IPAT come «giudice», ai sensi dell’articolo 39 della direttiva 2005/85

75.

Nella sua risposta alla richiesta di chiarimenti inviata dalla Corte, il giudice del rinvio afferma, da un lato, che l’IPO adotta la decisione di riconoscere o di negare la protezione internazionale in primo grado, ai sensi dell’articolo 23 della direttiva 2005/85 ( 52 ). D’altro, tale giudice chiarisce che l’IPAT agisce, in una controversia come quella di cui al procedimento principale, quale autorità giurisdizionale che esercita un primo grado di controllo giurisdizionale, dinanzi alla quale è possibile proporre un ricorso sul piano fattuale e sul piano giuridico avverso una decisione di primo grado adottata dall’autorità accertante (vale a dire l’IPO), ai sensi dell’articolo 39 di tale direttiva ( 53 ). Esso sottolinea, in particolare, che l’IPAT emette decisioni ex nunc e ha il potere di richiedere al Ministro della Giustizia e delle Pari opportunità di svolgere indagini e di fornirgli informazioni ( 54 ).

76.

Pertanto, ritengo che, poiché la decisione dell’autorità accertante, in forza dell’articolo 4, paragrafo 3, lettere da a) a c), della direttiva 2004/83, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2005/85, deve essere adottata al termine di un «congruo esame» che tenga conto di tutti i fatti pertinenti relativi al paese d’origine, ivi compresa, qualora lo ritenga pertinente o necessario, di una perizia medico‑legale sulla salute mentale del richiedente, il controllo, da parte di un giudice di primo grado, della fondatezza della motivazione di tale autorità implichi, come sostenuto correttamente dalla Commissione nelle sue osservazioni, l’esame delle informazioni precise e aggiornate sulla situazione esistente nel paese d’origine che erano, tra l’altro, alla base della decisione amministrativa oggetto del controllo.

77.

Del pari, se tale giudice considera che gli elementi di prova presentati dal richiedente non sono sufficienti per suffragare la sua dichiarazione secondo la quale egli è già stato oggetto di un danno grave, né per valutare in particolare lo stato di salute mentale di quest’ultimo, esso deve poter disporre misure istruttorie per consentire al richiedente di fornire una perizia medico‑legale. Ciò implica che il giudice di primo grado che esamina il ricorso possa effettuare un esame ex nunc, vale a dire sulla base non già di circostanze di cui l’autorità che ha adottato la decisione era o avrebbe dovuto essere a conoscenza al momento di tale adozione, bensì di quelle esistenti al momento in cui il giudice statuisce.

78.

Pertanto, l’IPAT, in quanto giudice di cui all’articolo 39 della direttiva 2005/85, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, è tenuto ad ottenere e ad esaminare informazioni precise e aggiornate sulla situazione esistente nel paese d’origine del richiedente, compresa una perizia medico‑legale qualora lo ritenga pertinente o necessario, tenuto conto del suo obbligo di garantire un ricorso effettivo avverso una decisione dell’autorità accertante, nel caso di specie l’IPO, che nega il riconoscimento del diritto di asilo o della protezione internazionale.

c) Sulla possibilità di annullamento della decisione di rigetto delle domande

79.

Il giudice del rinvio chiede se un obbligo siffatto possa, di per sé, comportare l’annullamento della decisione di rigetto delle domande di asilo e di protezione internazionale.

80.

Devo precisare che, nella sua risposta alla richiesta di chiarimenti della Corte, il giudice del rinvio ha affermato, facendo riferimento ai punti 102 e 103 della sentenza D. e A., che il sistema irlandese di riconoscimento e di revoca dello status di rifugiato comprende anche la possibilità di un controllo dell’IPO e dell’IPAT dinanzi ad esso sul piano degli errori di diritto nella determinazione della domanda ( 55 ). Pertanto, il presente rinvio pregiudiziale è stato proposto nell’ambito di un siffatto controllo giurisdizionale.

81.

Ciò significa, mi sembra, che il giudice del rinvio garantisca un controllo di secondo grado. Pertanto, il suo esame è limitato agli eventuali errori di diritto, come avviene nel caso di specie, della violazione dell’obbligo, sia dell’autorità accertante sia del giudice di primo grado, di ottenere informazioni precise e aggiornate sul paese d’origine del richiedente, compresa una perizia medico‑legale qualora lo ritengano pertinente o necessario.

82.

Sebbene la violazione di un siffatto obbligo possa condurre all’annullamento della decisione di rigetto di tali domande, il giudice del rinvio precisa, nella sua risposta alla richiesta di chiarimenti, che, nel caso in cui dichiari che è stato commesso un errore di diritto, esso rinvia la causa all’IPAT affinché tale giudice pronunci una nuova decisione d’appello sul piano fattuale e sul piano giuridico. Spetta dunque al giudice del rinvio valutare l’esistenza di un siffatto errore.

d) Sull’onere della prova

83.

Può essere imposto al richiedente di dimostrare che la decisione avrebbe potuto essere diversa in caso di mancata violazione dell’obbligo di procedere ad un esame adeguato della domanda?

84.

Il governo tedesco sostiene giustamente nelle sue osservazioni scritte che, se il giudice di primo grado procede esso stesso ad un esame completo al fine di determinare se il richiedente asilo abbia diritto alla protezione internazionale sulla base delle circostanze di fatto attuali, non è necessario che le parti del procedimento dimostrino che la decisione dell’autorità nazionale accertante avrebbe potuto essere diversa.

85.

Osservo a tal riguardo che, sebbene sia certamente vero che tale questione rientra nell’autonomia procedurale degli Stati membri, resta il fatto che, come ho già spiegato, l’esercizio effettivo del diritto di asilo o di protezione internazionale, nonché il rispetto degli obblighi derivanti dall’articolo 47 della Carta ( 56 ) e del principio di non respingimento impongono un esame ex nunc da parte del giudice di primo grado, di cui all’articolo 39 della direttiva 2005/85 ( 57 ).

86.

Pertanto, tenuto conto dell’importanza dei diritti fondamentali in gioco nell’ambito di una domanda di asilo e di protezione internazionale, non mi sembra pertinente che, in caso di violazione dell’obbligo dell’autorità accertante e del giudice di primo grado di procedere a un esame adeguato della domanda, l’onere di dimostrare che la decisione avrebbe potuto essere diversa in mancanza di una siffatta violazione debba gravare sul richiedente. Al contrario, nell’ambito di tale esame, l’onere di procedere a una siffatta dimostrazione risulta, a mio avviso, eccessivo, dal momento che detto obbligo spetta a tale autorità nazionale e a tale giudice e non al richiedente.

C.   Sulle conseguenze della mancata adozione di una decisione sulle domande di asilo e di protezione internazionale entro un termine ragionevole (quarta e quinta questione)

87.

Con le sue questioni quarta e quinta, che occorre a mio avviso esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il termine di oltre tre anni e mezzo trascorso tra la presentazione della domanda di asilo e la decisione dell’IPAT possa essere giustificato dalle modifiche legislative avvenute in Irlanda nel corso di tale procedimento e, in caso contrario, se un siffatto termine, che esso qualifica come «irragionevole», possa giustificare di per sé l’annullamento della decisione di rigetto delle domande di cui trattasi nel procedimento principale.

88.

Prima di rispondere a tali questioni, esaminerò brevemente quali siano le differenze tra i termini di cui agli articoli 23 e 39 della direttiva 2005/85 nonché la loro natura.

1. Sulle differenze tra i termini di cui agli articoli 23 e 39 della direttiva 2005/85 nonché sulla loro natura

89.

Devo anzitutto rilevare che dalla struttura e dall’impianto sistematico della direttiva 2005/85, in particolare dalla distinzione tra le procedure di primo grado, previste al capo III, e le procedure di impugnazione, previste al capo V, risulta che occorre distinguere tra il termine per l’adozione di una decisione dell’autorità accertante, di cui all’articolo 23 di tale direttiva, e il termine per l’adozione di una decisione del giudice di primo grado, di cui all’articolo 39 di detta direttiva.

90.

Per quanto riguarda, in primo luogo, la natura del termine di cui all’articolo 23 della direttiva 2005/85, ricordo che il paragrafo 2, primo comma, di tale articolo dispone che gli Stati membri provvedono affinché siffatta procedura sia espletata quanto prima possibile, fatto salvo un esame adeguato e completo ( 58 ). Dal testo di tale disposizione risulta quindi che essa riguarda unicamente il termine adeguato affinché l’autorità accertante adotti una decisione nell’ambito di una procedura di esame. Tale termine di sei mesi è quindi un termine ordinatorio e non è affatto vincolante per tale autorità.

91.

Ciò è corroborato, da un lato, dall’obiettivo della direttiva 2005/85. Ricordo, a tal riguardo, che la Corte ha già avuto occasione di sottolineare che le procedure introdotte da tale direttiva costituiscono norme minime e che gli Stati membri dispongono sotto vari profili di una certa discrezionalità per l’attuazione di tali disposizioni, tenendo conto delle specificità del diritto nazionale ( 59 ). In particolare, essa ha rilevato che l’intenzione del legislatore dell’Unione di lasciare siffatta discrezionalità agli Stati membri si rinviene, in particolare, nel testo del considerando 11 e dell’articolo 23 della direttiva 2005/85, dedicato alle procedure d’esame ( 60 ). Infatti, l’interesse connesso alla rapidità dell’esame delle domande d’asilo, come risulta da tale considerando, è condiviso sia dagli Stati membri sia dai richiedenti asilo ( 61 ).

92.

La natura ordinatoria di tale termine è altresì corroborata, d’altro lato, dall’articolo 23, paragrafo 2, secondo comma, lettere a) e b), della direttiva 2005/85. Tale disposizione prevede che, gli Stati membri provvedono affinché, nell’impossibilità di prendere una decisione entro sei mesi, il richiedente asilo interessato sia informato del ritardo oppure sia informato, su sua richiesta, del termine entro cui è prevista la decisione in merito alla sua domanda. Secondo detta disposizione, tali informazioni non comportano per lo Stato membro alcun obbligo, nei confronti del richiedente in questione, di prendere una decisione entro il suddetto termine.

93.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la natura dei termini stabiliti all’articolo 39 della direttiva 2005/85, ricordo che il paragrafo 4 di tale articolo dispone che gli Stati membri possono stabilire i termini entro i quali il giudice di primo grado esamina la decisione dell’autorità accertante ( 62 ). Pertanto, da tale disposizione risulta chiaramente che essa non prevede un termine, ordinatorio o perentorio, entro cui tale giudice deve statuire su un ricorso avverso la decisione dell’autorità accertante.

94.

Ciò precisato, devo rilevare che, nel caso di specie, la decisione di rigetto dell’IPO è intervenuta più di sedici mesi dopo la presentazione, da parte del ricorrente nel procedimento principale, della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, mentre la decisione dell’IPAT che ha respinto il ricorso avverso tale decisione è stata emessa due anni e due mesi dopo la presentazione della sua impugnazione. Tuttavia, il giudice del rinvio si interroga sul fatto che la decisione che conferma il rifiuto di riconoscere al ricorrente nel procedimento principale la protezione internazionale è stata pronunciata dal giudice di primo grado tre anni e sette mesi dopo la presentazione della sua prima domanda di asilo.

95.

Pertanto, anche se, come ho chiarito, occorre distinguere tra il termine ordinatorio della procedura di esame, di cui all’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2005/85, e il termine della procedura di impugnazione che può essere fissato dagli Stati membri, stabilito all’articolo 39, paragrafo 4, di tale direttiva, e sebbene condivida il parere della Commissione secondo il quale la direttiva 2005/85 non fissa un termine perentorio entro il quale deve essere emessa una decisione finale, si pone tuttavia la questione se tale termine di più di tre anni e mezzo sia ragionevole.

96.

Non penso sia così, per i seguenti motivi.

2. Sulla mancata adozione di una decisione entro un termine ragionevole

97.

In primo luogo, è certamente vero che, in mancanza di norme fissate dal diritto dell’Unione concernenti le modalità procedurali relative all’esame di una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri restano competenti, conformemente al principio dell’autonomia procedurale, a disciplinare tali modalità, garantendo al contempo il rispetto dei diritti fondamentali e la piena effettività delle disposizioni del diritto dell’Unione relative alla protezione internazionale ( 63 ).

98.

Tuttavia, ricordo, da un lato, che l’effettività dell’accesso allo status conferito dalla protezione internazionale necessita, secondo la Corte, che l’esame della domanda avvenga entro un termine ragionevole ( 64 ). Infatti, come dichiarato dall’avvocato generale Bot, le domande di asilo e di protezione sussidiaria devono «formare oggetto di un esame diligente, che rientri in un termine ragionevole, in quanto la rapidità del procedimento contribuisce non solo alla certezza del diritto del richiedente, ma anche alla sua integrazione» ( 65 ).

99.

A tal riguardo, occorre, a mio avviso, prendere in considerazione sia la durata della procedura di esame delle domande dinanzi all’autorità accertante sia la durata della procedura di impugnazione dinanzi al giudice di primo grado, nel caso di specie, rispettivamente, l’IPO e l’IPAT.

100.

Rilevo, d’altro lato, che la Corte ha ricordato che il diritto a una buona amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta, riflette un principio generale di diritto dell’Unione. Pertanto, le esigenze che derivano da tale diritto a una buona amministrazione, in particolare, il diritto di ogni individuo a che le questioni che lo riguardano siano trattate entro un termine ragionevole, trovano applicazione nell’ambito di una procedura volta al riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria, come quella in esame nel procedimento principale, condotta dall’autorità nazionale competente ( 66 ).

101.

Ciò significa che la durata complessiva di una procedura di domanda di asilo o di protezione internazionale deve rispettare il diritto a una buona amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta, e l’effettività del diritto a un ricorso effettivo. A tal riguardo, ricordo che l’articolo 47, secondo comma, della Carta stabilisce in particolare che «[o]gni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge» ( 67 ). Devo altresì rilevare che, tenuto conto della situazione individuale dei richiedenti asilo o protezione internazionale, lo Stato membro in cui si trova tale richiedente deve quindi assicurarsi di non aggravare una situazione di violazione dei diritti fondamentali di tale richiedente mediante procedure di esame che siano di durata irragionevole.

102.

In secondo luogo, per quanto riguarda la giustificazione di tale termine irragionevole, ricordo che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, uno Stato membro non può invocare le modifiche legislative avvenute nel corso del procedimento principale per giustificare il mancato rispetto del suo obbligo di statuire sulle domande di diritto di asilo o di protezione internazionale entro un termine ragionevole ( 68 ).

103.

In terzo e ultimo luogo, per quanto riguarda la questione se l’inosservanza di un termine ragionevole possa giustificare, di per sé, l’annullamento della decisione di rigetto di una domanda di diritto di asilo o di protezione internazionale, condivido il parere della Commissione secondo cui l’inadempimento dell’obbligo di statuire su tali domande entro un termine ragionevole non costituisce un motivo rilevante per decidere, nell’ambito dell’impugnazione di cui all’articolo 39 della direttiva 2005/85, se un rifiuto di riconoscere la protezione internazionale sia conforme alle norme e ai criteri stabiliti dalla direttiva 2004/83.

104.

Infatti, l’impugnazione di cui all’articolo 39 della direttiva 2005/85 ha lo scopo di decidere se l’autorità accertante abbia correttamente ritenuto che un richiedente non soddisfacesse le condizioni richieste per beneficiare della protezione internazionale. A tal riguardo, la questione se una persona necessiti realmente o meno di tale protezione deve essere valutata in base ai criteri di riconoscimento di tale protezione stabiliti dalla direttiva 2004/83. Il fatto che la decisione relativa alla necessità di protezione internazionale non sia stata adottata entro un termine ragionevole non è rilevante nell’ambito di tale valutazione e non può fungere da base per decidere sul riconoscimento della protezione.

105.

Ciò detto, ricordo che l’articolo 47, secondo comma, della Carta precisa che «[o]gni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare» ( 69 ). Secondo una giurisprudenza costante, il rispetto dei diritti della difesa costituisce un principio fondamentale del diritto dell’Unione ( 70 ). Nel caso di specie, se la durata complessiva della procedura comporta la violazione dei diritti della difesa di un richiedente asilo e protezione internazionale, l’inosservanza del termine ragionevole dovuta a tale violazione può giustificare, di per sé, l’annullamento della decisione di rigetto di dette domande, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare ( 71 ).

D.   Sulla credibilità generale di un richiedente (settima questione)

106.

Con la sua settima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una dichiarazione mendace nella domanda iniziale, che il richiedente ha ritrattato alla prima occasione, giustifichi il fatto di rimettere in discussione la sua credibilità.

107.

Ricordo che l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2004/83 prevede la possibilità per gli Stati membri di ritenere che il richiedente sia tenuto a motivare la sua domanda di protezione internazionale, obbligo consistente, secondo la Corte, nel «produrre tutti gli elementi necessari» ( 72 ). L’articolo 4, paragrafo 2, di tale direttiva definisce tali elementi, in particolare, come «le dichiarazioni del richiedente e tutta la documentazione in possesso del richiedente». Inoltre, dall’articolo 4, paragrafo 5, di detta direttiva risulta che, qualora taluni aspetti delle dichiarazioni del richiedente non siano suffragati da prove documentali o di altro tipo ( 73 ), tali aspetti non necessitano di una conferma quando sono soddisfatte cinque condizioni cumulative, e una di esse è che sia stato «accertato che il richiedente è in generale attendibile» ( 74 ).

108.

Tuttavia, rilevo che né la direttiva 2004/83 né la direttiva 2005/85 precisano cosa debba intendersi per «credibilità» e non forniscono indicazioni riguardo agli elementi da prendere in considerazione per valutare la «credibilità generale» del richiedente da parte delle autorità nazionali e dei giudici competenti.

109.

Secondo l’HCR, «[l]a credibilità è accertata quando il richiedente presenta una domanda coerente e plausibile, che non è in contraddizione con informazioni generali di cui si dispone, e che quindi è, tutto sommato, credibile» ( 75 ). Da tale definizione risulta che tali criteri corrispondono a una delle condizioni cumulative previste dall’articolo 4, paragrafo 5, della direttiva 2004/83, vale a dire quella secondo cui «le dichiarazioni del richiedente sono ritenute coerenti e plausibili e non sono in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso di cui si dispone» ( 76 ). Pertanto, tale definizione non mi sembra pertinente per definire il criterio di «credibilità generale», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 5, lettera e), di tale direttiva. Ne deduco piuttosto che tale criterio deve essere valutato dall’autorità accertante nell’ambito del suo obbligo di procedere a una valutazione individuale di una domanda di protezione internazionale tenendo conto, in particolare, della situazione individuale e delle circostanze personali del richiedente, conformemente all’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), di detta direttiva.

110.

A tal riguardo, osservo che la Corte ha già ricordato il requisito imposto alle autorità competenti, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2005/85 ( 77 ) e dell’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2004/83, di condurre il colloquio tenendo conto della situazione personale o generale in cui si inserisce la domanda, segnatamente della vulnerabilità del richiedente, e di procedere ad una valutazione individuale di tale domanda, tenendo conto della situazione individuale e delle circostanze personali di ciascun richiedente ( 78 ).

111.

In tale contesto, il fatto che un richiedente abbia mentito non significa, di per sé, che dette menzogne siano sostanziali o determinanti ai fini del risultato della domanda senza fattori aggiuntivi tali da indicare che la domanda del richiedente è infondata ( 79 ). Infatti, molteplici ragioni possono spiegare perché un richiedente abbia presentato una dichiarazione mendace ( 80 ). Pertanto, se un elemento di prova è in contrasto con le dichiarazioni del richiedente, il funzionario preposto al caso deve risolvere il problema e dare al richiedente la possibilità di spiegare le incongruenze ( 81 ).

112.

Nel caso di specie, dalla decisione di rinvio risulta che la domanda del ricorrente nel procedimento principale era inizialmente fondata su un’unica dichiarazione mendace e che egli ha ritrattato tale dichiarazione spiegandola alla prima occasione possibile. Inoltre, non si può escludere che i problemi di salute mentale di cui il ricorrente nel procedimento principale sembra soffrire abbiano potuto incidere sulla sua prima dichiarazione.

113.

Pertanto, condivido il parere della Commissione secondo il quale non sarebbe proporzionato ritenere, sulla base di una sola dichiarazione mendace, che il richiedente ha spiegato e ha ritrattato alla prima occasione possibile, che il richiedente non sia attendibile.

VII. Conclusione

114.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di fornire la seguente risposta alla High Court (Alta Corte, Irlanda):

1)

L’articolo 4, paragrafo 3, lettere da a) a c), della direttiva 2004/83/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato,

deve essere interpretato nel senso che:

esso impone all’autorità accertante di ottenere, da un lato, informazioni precise e aggiornate sul paese d’origine di un richiedente asilo e protezione internazionale e, dall’altro, qualora esistano indizi di problemi di salute mentale risultanti potenzialmente da un evento traumatizzante avvenuto in tale paese, una perizia medico‑legale sulla sua salute, qualora ritenga che tale perizia sia pertinente o necessaria per l’esame della domanda.

2)

L’articolo 4, paragrafo 3, lettere da a) a c), della direttiva 2004/83, in combinato disposto con l’articolo 8, paragrafo 2, lettera b), e con l’articolo 39 della direttiva 2005/85, nonché con l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea,

deve essere interpretato nel senso che:

esso impone al giudice di primo grado, tenuto conto del suo obbligo di garantire un ricorso effettivo avverso una decisione dell’autorità accertante, di ottenere, da un lato, informazioni precise e aggiornate sul paese d’origine di un richiedente asilo e di protezione internazionale e, dall’altro, qualora esistano indizi di problemi di salute mentale risultanti potenzialmente da un evento traumatizzante avvenuto in tale paese, una perizia medico‑legale sulla sua salute, qualora ritenga che tale perizia sia pertinente o necessaria per l’esame della domanda.

Tenuto conto dell’importanza dei diritti fondamentali in gioco nell’ambito di una domanda di asilo e di protezione internazionale, in caso di violazione dell’obbligo dell’autorità accertante e del giudice di primo grado di procedere a un esame adeguato della domanda, l’onere di dimostrare che le loro decisioni avrebbero potuto essere diverse in mancanza di una siffatta violazione non deve gravare sul richiedente.

3)

Nel caso in cui la durata complessiva della procedura di riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione internazionale comporti la violazione dei diritti della difesa di un richiedente lo status di rifugiato e protezione internazionale, l’inosservanza del termine ragionevole può giustificare, di per sé, l’annullamento della decisione di rigetto di dette domande, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare.

Uno Stato membro non può invocare le modifiche legislative avvenute nel corso di tale procedura per giustificare il mancato rispetto del suo obbligo di statuire sulle domande di protezione internazionale entro un termine ragionevole.

4)

L’articolo 4, paragrafo 3, lettera c), e paragrafo 5, lettera e), della direttiva 2004/83,

deve essere interpretato nel senso che:

una dichiarazione mendace nella domanda iniziale di riconoscimento dello status di rifugiato, che il richiedente ha ritrattato alla prima occasione, dopo aver fornito chiarimenti in merito, non giustifica la contestazione della sua credibilità generale.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Direttiva del Consiglio del 29 aprile 2004 recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12).

( 3 ) Direttiva del Consiglio del 1o dicembre 2005 recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato (GU 2005, L 326, pag. 13).

( 4 ) Convenzione firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 [Recueil des traités des Nations unies, vol. 189, pag. 150, n. 2545 (1954)], entrata in vigore il 22 aprile 1954, come integrata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra»).

( 5 ) La direttiva 2004/83 è stata sostituita e abrogata dalla direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9). Tuttavia, poiché l’Irlanda non partecipa a quest’ultima direttiva, la direttiva 2004/83 continua ad applicarsi a tale Stato membro. V. considerando 50 e articolo 40 della direttiva 2011/95.

( 6 ) La direttiva 2005/85 è stata sostituita e abrogata dalla direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (GU 2013, L 180, pag. 60). Tuttavia, poiché l’Irlanda non partecipa a quest’ultima direttiva, la direttiva 2005/85 continua ad applicarsi a tale Stato membro. V. articolo 53 della direttiva 2013/32.

( 7 ) Sentenza della Corte del 22 novembre 2012 (C‑277/11; in prosieguo: la «sentenza M., EU:C:2012:744).

( 8 ) Sentenza del 15 ottobre 2015 (C‑137/14, EU:C:2015:683).

( 9 ) V., recentemente, sentenza del 20 settembre 2022, VD e SR (C‑339/20 e C‑397/20, EU:C:2022:703, punto 57).

( 10 ) Per quanto riguarda la formulazione della prima questione, osservo che essa inizia con la locuzione «in caso di».

( 11 ) Su tali limiti, v. paragrafo 17 delle presenti conclusioni.

( 12 ) V. sentenze del 2 marzo 2010, Salahadin Abdulla e a. (C‑175/08, C‑176/08, C‑178/08 e C‑179/08, EU:C:2010:105, punto 52), nonché del 3 marzo 2022, Secretary of State for the Home Department (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑349/20, EU:C:2022:151, punto 39).

( 13 ) Sentenza del 19 giugno 2018, Gnandi (C‑181/16, EU:C:2018:465, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

( 14 ) Precedente articolo 63, primo comma, punto 1, CE.

( 15 ) Per quanto riguarda la direttiva 2004/83, v., in particolare, sentenze del 2 marzo 2010, Salahadin Abdulla e a. (C‑175/08, C‑176/08, C‑178/08 e C‑179/08, EU:C:2010:105, punti 5354), nonché del 3 marzo 2022, Secretary of State for the Home Department (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑349/20, EU:C:2022:151, punto 40). Per quanto riguarda la direttiva 2005/85, v., in particolare, sentenze del 28 luglio 2011, Samba Diouf (C‑69/10, EU:C:2011:524, punto 34), e del 31 gennaio 2013, D. e A. (C‑175/11, EU:C:2013:45, punto 58).

( 16 ) Secondo il giudice del rinvio, tale constatazione dell’IPAT riguardava il fatto che la situazione nel paese d’origine del richiedente costituiva una situazione di violenza indiscriminata nell’ambito di un conflitto armato interno/internazionale. V. paragrafo 59 delle presenti conclusioni.

( 17 ) Si trattava di informazioni raccolte nel corso di una missione di indagine realizzata nel luglio 2015 riguardo alla regione di cui è originario il ricorrente.

( 18 ) Freedom House, Refworld Freedom in the World 2017‑ Pakistan, UNHCR. Secondo tale giudice, detta relazione indica che la violenza terroristica in Pakistan sarebbe fortemente diminuita e riguarda solo il primo trimestre del 2017.

( 19 ) V. paragrafo 10 delle presenti conclusioni.

( 20 ) Sentenze M. (punto 64); del 2 dicembre 2014, A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 55), nonché del 3 marzo 2022, Secretary of State for the Home Department (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑349/20, EU:C:2022:151, punto 63).

( 21 ) Sentenza M. (punto 65).

( 22 ) Conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nelle cause riunite A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2111, paragrafo 42).

( 23 ) Sentenza M. (punto 66). V. altresì, a tal riguardo, conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa M. (C‑277/11, EU:C:2012:253, paragrafo 67).

( 24 ) Sentenza del 3 marzo 2022, Secretary of State for the Home Department (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑349/20, EU:C:2022:151, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

( 25 ) V. paragrafo 48 delle presenti conclusioni.

( 26 ) V., in tal senso, sentenza M. (punto 69).

( 27 ) Sentenza M. (punto 70).

( 28 ) Sentenza del 25 gennaio 2018, F (C‑473/16, EU:C:2018:36, punto 40).

( 29 ) Sentenza M. (punto 67).

( 30 ) Sull’obbligo dell’autorità accertante di raccogliere e valutare di propria iniziativa le relazioni riguardanti la situazione generale nel paese d’origine del richiedente, v. Reneman, M., «The Burden and Standard of Proof and Evidentiary Assessment», EU Asylum Procedures and the Right to an Effective Remedy, Hart Publishing, Londra, 2014, pagg. da 183 a 248, in particolare pag. 204.

( 31 ) V., in particolare, in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 50).

( 32 ) V., a tal riguardo, paragrafo 46 e nota a piè di pagina 16 delle presenti conclusioni. Secondo il giudice del rinvio, tenuto conto delle persecuzioni patite dai Pashtun (Pathani) in Pakistan, è sorprendente che la decisione dell’IPAT non contenga alcuna considerazione relativa all’etnia del ricorrente nel procedimento principale e che non vi sia fatto alcun riferimento nell’esame delle informazioni sul paese d’origine.

( 33 ) V., in tal senso, sentenza del 17 febbraio 2009, Elgafaji (C‑465/07, EU:C:2009:94, punto 43).

( 34 ) V. sentenza del 2 marzo 2010, Salahadin Abdulla e a. (C‑175/08, C‑176/08, C‑178/08 e C‑179/08, EU:C:2010:105, punti 8990).

( 35 ) V. paragrafo 7 delle presenti conclusioni.

( 36 ) V., per quanto riguarda la relazione Spirasi, l’indirizzo Internet https://spirasi.ie/what-we-do/medico-legal-report/

( 37 ) Sebbene la direttiva 2013/32 non sia applicabile nel caso di specie, mi sembra opportuno menzionare il fatto che l’articolo 18, paragrafo 1, primo comma, di tale direttiva dispone che «[q]ualora sia ritenuto pertinente dall’autorità accertante per la valutazione di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 4 della direttiva [2011/95], gli Stati membri dispongono, previo consenso del richiedente, una visita medica del richiedente concernente i segni che potrebbero indicare persecuzioni o danni gravi subiti. In alternativa, gli Stati membri possono prevedere che il richiedente disponga tale visita medica» (il corsivo è mio).

( 38 ) V. paragrafi 16, 17 e 61 delle presenti conclusioni.

( 39 ) V., in tal senso, sentenza M. (punto 66).

( 40 ) V. paragrafo 52 delle presenti conclusioni.

( 41 ) La Corte ha precisato che le modalità di un eventuale ricorso a una siffatta perizia devono essere tuttavia conformi alle altre disposizioni pertinenti di diritto dell’Unione, in particolare ai diritti fondamentali garantiti dalla Carta, quali il diritto al rispetto della dignità umana, sancito all’articolo 1 di quest’ultima. V. sentenza del 25 gennaio 2018, F (C‑473/16, EU:C:2018:36, punti 3435).

( 42 ) V., in tal senso, sentenza del 25 gennaio 2018, F (C‑473/16, EU:C:2018:36, punto 36).

( 43 ) Sentenza del 25 gennaio 2018, F (C‑473/16, EU:C:2018:36, punto 40).

( 44 ) Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 ottobre 2009, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale [COM(2009) 554 definitivo, pag. 8]. V. nota a piè di pagina 51 delle presenti conclusioni.

( 45 ) V., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2015, Tall (C‑239/14, EU:C:2015:824, punto 51 e giurisprudenza ivi citata). Il considerando 27 della direttiva 2005/85 precisa che è un principio fondamentale del diritto dell’Unione che le decisioni relative a una domanda di asilo e alla revoca dello status di rifugiato siano soggette ad un rimedio effettivo dinanzi a un giudice a norma dell’articolo 267 TFUE.

( 46 ) V., in tal senso, sentenza del 28 luglio 2011, Samba Diouf (C‑69/10, EU:C:2011:524, punti 5661).

( 47 ) Sentenza 19 marzo 2020, Bevándorlási és Menekültügyi Hivatal (C‑406/18, EU:C:2020:216, punto 29 e giurisprudenza ivi citata). V. paragrafo 56 delle presenti conclusioni.

( 48 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31).

( 49 ) V. sentenza del 15 aprile 2021, Stato belga (Elementi successivi alla decisione di trasferimento) (C‑194/19, EU:C:2021:270, punto 45).

( 50 ) Per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, v. conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:327, paragrafo 69). V., altresì, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 113).

( 51 ) V., per quanto riguarda gli articoli 3 e 13 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, Corte EDU, 11 luglio 2000, Jabari c. Turchia (CE:ECHR:2000:0711JUD004003598, § 50); Corte EDU, 12 aprile 2005, Chamaïev e a. c. Georgia e Russia (CE:ECHR:2005:0412JUD003637802, § 448); Corte EDU, 21 gennaio 2011, M.S.S c. Belgio (CE:ECHR:2011:0121JUD003069609, §§ 293 e 388), e Corte EDU, 2 ottobre 2012, Singh e a. c. Belgio (CE:ECHR:2012:1002JUD003321011, § 103). A tal riguardo, v., altresì, Reneman, M., «Judicial Review of the Establishment and Qualification of the Facts», EU Asylum Procedures and the Right to an Effective Remedy, Hart Publishing, Londra, 2014, pagg. da 249 a 293, in particolare pagg. da 268 a 270 e 292.

( 52 ) Il giudice del rinvio ha aggiunto, in particolare, che, in forza dell’articolo 47, paragrafo 3, della legge del 2015 sulla protezione internazionale, quando l’IPO raccomanda di riconoscere la protezione internazionale o l’IPAT conferma tale raccomandazione in appello, il Ministro della Giustizia e delle Pari opportunità non dispone di alcun potere discrezionale e tali decisioni sono per esso vincolanti, salvo che sussistano motivi ragionevoli per considerare il ricorrente un pericolo per la società o per la sicurezza dello Stato.

( 53 ) Il giudice del rinvio precisa che la legge del 2015 sulla protezione internazionale ha mantenuto le funzioni, la struttura e le competenze materiali del Refugee Appeals Tribunal (Tribunale d’appello per i rifugiati), come constatate dalla Corte nella sentenza del 31 gennaio 2013, D. e A. (C‑175/11, EU:C:2013:45, punti da 20 a 32 e da 78 a 105).

( 54 ) A tal riguardo, il giudice del rinvio fa riferimento all’articolo 44 della legge del 2015 sulla protezione internazionale.

( 55 ) Sentenza del 31 gennaio 2013 (C‑175/11, EU:C:2013:45). Il giudice del rinvio aggiunge che tale sistema prevede la possibilità di ricorrere su questioni di diritto dinanzi alla Court of Appeal (Corte d’appello, Irlanda) e dinanzi alla Supreme Court (Corte suprema, Irlanda) quando ne viene data autorizzazione.

( 56 ) V. sentenza dell’8 maggio 2014, N. (C‑604/12, EU:C:2014:302, punto 41).

( 57 ) V. paragrafi 40 e 41 nonché da 71 a 74 delle presenti conclusioni.

( 58 ) Per contro, il termine di sei mesi di cui all’articolo 31, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, che non è applicabile nel caso di specie, è vincolante per gli Stati membri.

( 59 ) V., in particolare, sentenze del 28 luglio 2011, Samba Diouf (C‑69/10, EU:C:2011:524, punto 29), e del 31 gennaio 2013, D. e A. (C‑175/11, EU:C:2013:45, punto 63).

( 60 ) V., in tal senso, sentenza del 31 gennaio 2013, D. e A. (C‑175/11, EU:C:2013:45, punto 65).

( 61 ) Sentenza del 31 gennaio 2013, D. e A. (C‑175/11, EU:C:2013:45, punto 60).

( 62 ) L’articolo 39, paragrafo 4, della direttiva 2005/85 è identico all’articolo 46, paragrafo 10, della direttiva 2013/32, che non è applicabile nel caso di specie.

( 63 ) V. sentenza dell’8 maggio 2014, N. (C‑604/12, EU:C:2014:302, punto 41).

( 64 ) V., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2014, N. (C‑604/12, EU:C:2014:302, punto 45).

( 65 ) Conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa M. (C‑277/11, EU:C:2012:253, paragrafo 115).

( 66 ) V., in tal senso, sentenza dell’8 maggio 2014, N. (C‑604/12, EU:C:2014:302, punti 4950). V., altresì, Reneman, M., «Judicial Review of the Establishment and Qualification of the Facts», EU Asylum Procedures and the Right to an Effective Remedy, Hart Publishing, Londra, 2014, pagg. da 249 a 293, in particolare, pag. 288.

( 67 ) Il corsivo è mio.

( 68 ) V., in tal senso, per quanto riguarda il settore del diritto di asilo, sentenza del 9 luglio 2009, Commissione/Spagna (C‑272/08, non pubblicata, EU:C:2009:442, punto 10 e giurisprudenza ivi citata). V., altresì, sentenza del 19 aprile 2012, Commissione/Grecia (C‑297/11, non pubblicata, EU:C:2012:228, punto 14).

( 69 ) Conformemente all’articolo 48, paragrafo 2, della Carta, il rispetto dei diritti della difesa è garantito ad ogni imputato.

( 70 ) Sentenza M. (punto 81 e giurisprudenza ivi citata).

( 71 ) Nell’ambito dell’interpretazione dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, che non è applicabile nel caso di specie, v. sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 59 e giurisprudenza ivi citata), sull’obbligo di ogni Stato membro di adattare il proprio diritto nazionale di modo che, in seguito all’annullamento della decisione iniziale e in caso di rinvio del fascicolo a tale organo quasi giurisdizionale o amministrativo, sia adottata entro un breve termine una nuova decisione che sia conforme alla valutazione contenuta nella sentenza che ha disposto l’annullamento.

( 72 ) Sentenza M. (punto 65).

( 73 ) Si tratta, in particolare, di prove orali, documentali, visive, sonore o di documenti. V. relazione dell’HCR, «Beyond Proof, Credibility Assessment in EU Asylum Systems: Full Report», maggio 2013, disponibile all’indirizzo Internet https://www.refworld.org/docid/519b1fb54.html

( 74 ) Articolo 4, paragrafo 5, lettera e), della direttiva 2004/83 (il corsivo è mio).

( 75 ) La traduzione è mia. V. UNHCR, Note on Burden and Standard of Proof in Refugee Claims, 16 dicembre 1998, punto 11, disponibile all’indirizzo Internet https://www.refworld.org/pdfid/3ae6b3338.pdf.

( 76 ) Articolo 4, paragrafo 5, lettera c), della direttiva 2004/83 (il corsivo è mio).

( 77 ) L’articolo 13 della direttiva 2005/85 prevede i criteri applicabili al colloquio personale. Si tratta in particolare di fare in modo che il colloquio personale si svolga in condizioni che consentano al richiedente di esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda. Pertanto, gli Stati membri devono garantire che la persona incaricata di condurre il colloquio sia sufficientemente competente e che i richiedenti abbiano accesso ai servizi di un interprete per assisterli.

( 78 ) Sentenza del 2 dicembre 2014, A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2406, punto 70). Come è stato correttamente sottolineato dall’avvocato generale Sharpston nelle sue conclusioni in tali cause riunite A e a. (da C‑148/13 a C‑150/13, EU:C:2014:2111, paragrafo 74), vertenti sulla portata della valutazione della credibilità delle dichiarazioni del richiedente asilo relative al suo orientamento sessuale e, più in particolare, sui limiti imposti a tale valutazione dall’articolo 4 della direttiva 2004/83 e dagli articoli 3 e 7 della Carta, «[i] richiedenti lo status di rifugiato sinceri si trovano spesso a chiedere l’asilo perché hanno sofferto supplizi e sopportato circostanze ardue e dolorose. Spesso è necessario dare loro il beneficio del dubbio quando si tratta di valutare la credibilità delle loro dichiarazioni e dei documenti presentati a sostegno delle stesse».

( 79 ) Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, Analisi giuridica: valutazione delle prove e della credibilità nell’ambito del sistema europeo comune di asilo, EASO, 2018, pag. 79.

( 80 ) In particolare, una costrizione, una coercizione, la mancanza di autonomia, consulenze errate, la paura, la disperazione o l’ignoranza. V., a tal riguardo, relazione dell’HCR, «Beyond Proof, Credibility Assessment in EU Asylum Systems: Full Report», loc. cit, pag. 213.

( 81 ) V., in tal senso, Ufficio europeo di sostegno per l’asilo, Guida pratica dell’EASO: valutazione delle prove, Ufficio delle pubblicazioni dell’Unione europea, Lussemburgo 2016, pag. 4.