CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 27 aprile 2023 ( 1 )

Causa C‑655/21

Procedimento penale

contro

G. ST. T.,

con l’intervento di:

Rayonna prokuratura Burgas, TO Nesebar

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Rayonen sad- Nesebar (Tribunale distrettuale di Nesebar, Bulgaria)]

«Rinvio pregiudiziale – Rispetto dei diritti di proprietà intellettuale – Accordo sugli ADPIC – Sanzioni penali in caso di contraffazione del marchio – Applicabilità della Carta – Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene»

1.

Nella causa oggetto delle presenti conclusioni, il Rayonen sad- Nesebar (Tribunale distrettuale di Nesebar, Bulgaria) pone alla Corte quattro questioni pregiudiziali vertenti, le prime due, sull’interpretazione della direttiva 2004/48 ( 2 ) e, le ultime due, sull’interpretazione dell’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»). Tali questioni sono sollevate nel quadro di una procedura penale a carico di G. ST. T., cui sono contestati diversi reati di contraffazione di marchi.

I. Contesto giuridico

A.   Diritto dell’Unione

2.

Per quanto concerne il diritto primario, nella domanda di pronuncia pregiudiziale viene in rilievo l’articolo 49 della Carta, sotto i due profili della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene, di cui rispettivamente al primo e al terzo paragrafo di tale articolo. Per quanto riguarda la direttiva 2004/48, il giudice del rinvio richiama i considerando 26 e 28 nonché l’articolo 13, in materia di risarcimento del danno da violazione di diritti di proprietà intellettuale. Per economia di spazio, mi limito in questa sede a rinviare ai relativi testi di tali disposizioni, riservandomi di richiamarne il contenuto, ove necessario, nel prosieguo delle presenti conclusioni.

B.   Diritto bulgaro

3.

La domanda di pronuncia pregiudiziale menziona gli articoli 13, 119 e 127 dello Zakon za markite i geografskite oznacheniya (legge in materia di marchi e indicazioni geografiche; in prosieguo: lo «ZMGO») e gli articoli 13, 76b e 81 dello Zakon za markite i geografskite oznacheniya (legge in materia di marchi e indicazioni geografiche, abrogata, vigente in data 22 giugno 2016; in prosieguo: lo «ZMGO 2016»). In particolare, l’articolo 127, paragrafo 1, dello ZMGO e l’articolo 81, paragrafo 1, dello ZMGO 2016, prevedono che una sanzione amministrativa è inflitta alla persona che utilizza nel commercio prodotti o servizi che recano un segno identico o simile ad un marchio registrato, senza il consenso del suo titolare.

4.

Il giudice del rinvio richiama altresì gli articoli 55, 66 e 172b del Nakazatelen kodeks (codice penale; in prosieguo: il «NK») e gli articoli da 84 a 88 e 247c del Nakazatelno-protsesualen kodeks (codice di procedura penale; in prosieguo: il «NPK»). Ai fini della presente causa, viene in rilievo, in particolare, l’articolo 172b del NK, il cui testo, che conviene richiamare fin da ora, ha il seguente tenore:

«(1)   Chi utilizza nel commercio un marchio, un disegno o modello, una varietà vegetale o una razza animale, oggetto di un diritto esclusivo, senza il consenso del titolare di detto diritto oppure un’indicazione geografica o le rispettive contraffazioni senza fondamento legale è punito con la reclusione fino a 5 anni e una multa fino a 5000 leva bulgari (BGN).

(2)   Ove il fatto di cui al paragrafo 1 sia ripetuto oppure ne conseguano effetti gravemente dannosi, è irrogata la pena della reclusione da 5 a 8 anni e una multa da BGN 5000 a BGN 8000.

(3)   L’oggetto del reato, indipendentemente dall’identità del suo proprietario, viene confiscato e distrutto.»

II. Procedimento principale e procedura dinanzi alla Corte

5.

L’imputata, G. ST. T., titolare di un’impresa individuale, è accusata di aver commesso nel 2016 diversi reati di contraffazione di marchi registrati, offrendo alla vendita, senza il consenso del titolare del relativo diritto, capi di abbigliamento su cui erano apposti segni simili a tali marchi, per un valore complessivo di BGN 1404590, per i capi originali, e di BGN 80201, per le contraffazioni. I prodotti in questione, sequestrati nel locale in cui erano offerti in vendita, sono stati confiscati e successivamente distrutti.

6.

Il giudice del rinvio sottolinea, in primo luogo, che, nell’ambito del margine discrezionale concesso dal considerando 28 della direttiva 2004/48, sono stati introdotti nella Repubblica di Bulgaria i reati di cui all’articolo 172b, paragrafi 1 e 2, del NK, che si affiancano all’illecito amministrativo attualmente previsto dall’articolo 81, paragrafo 1, dello ZMGO 2016. Tale giudice rileva, in sostanza, che la fattispecie costitutiva del reato di cui all’articolo 172b, paragrafo 2, del NK, richiede che sia valutata l’entità del pregiudizio causato al titolare del diritto. A tal fine, la giurisprudenza nazionale fa ricorso ad una presunzione non prevista dalla direttiva 2004/48, secondo la quale i danni derivanti da tale reato corrisponderebbero al controvalore dei prezzi di vendita al dettaglio dei prodotti legalmente fabbricati identici o simili ai prodotti contraffatti. Tali danni escluderebbero inoltre sia il mancato guadagno che il danno morale. In tali circostanze, detto giudice si chiede se la normativa bulgara sia compatibile con la direttiva 2004/48.

7.

In secondo luogo, dopo aver rilevato che il reato di cui all’articolo 172b del NK e l’illecito amministrativo previsto dallo ZMGO rientrano nel campo di applicazione del diritto dell’Unione in quanto disposizioni sanzionatorie applicabili a rapporti giuridici disciplinati dal diritto dell’Unione, il giudice del rinvio si chiede se sia compatibile con l’articolo 49, paragrafo 1, della Carta la normativa bulgara che fa ricadere la stessa condotta nelle fattispecie di un illecito amministrativo e di un reato, senza prevedere un criterio di differenziazione chiaro e preciso.

8.

Infine, tale giudice si chiede se la pena detentiva prevista dall’articolo 172b, paragrafo 2, del NK, con un minimo edittale particolarmente elevato e una pena massima che non può essere considerata mite, rispetti il principio di proporzionalità enunciato all’articolo 49, paragrafo 3, della Carta, anche alla luce del fatto che le possibilità concrete di una riduzione della pena sono estremamente limitate.

9.

È in tale contesto che il Rayonen sad- Nesebar (Tribunale distrettuale di Nesebar) ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«Se la normativa e la giurisprudenza, le quali stabiliscono che i danni subiti dal titolare del diritto rappresentano elementi costitutivi dei reati previsti dall’articolo 172b, paragrafi 1 e 2, del NK, siano conformi alle disposizioni introdotte dalla direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardanti i danni derivanti dall’esercizio illecito di diritti di proprietà intellettuale.

In caso di risposta affermativa alla prima questione: se la presunzione automatica introdotta dalla giurisprudenza nella Repubblica di Bulgaria ai fini della determinazione del danno – corrispondente al valore dei prodotti offerti in vendita, calcolato in base ai prezzi di vendita al dettaglio dei prodotti fabbricati legalmente – sia conforme alle disposizioni della direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004.

Se siano compatibili con il principio di legalità dei reati sancito dall’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea normative in cui non figura una distinzione tra un illecito amministrativo (articolo 127, paragrafo 1, dello ZMGO – allora vigente e articolo 81, paragrafo 1, dello ZMGO vigente nel 2016), il reato previsto dall’articolo 172b, paragrafo 1, del NK e, nel caso di risposta negativa alla prima questione, il reato previsto dal successivo paragrafo 2 di quest’ultimo articolo.

Se le pene stabilite dall’articolo 172b, paragrafo 2, del NK (pena detentiva da 5 a 8 anni, nonché multa da BGN 5000 a BGN 8000) rispettino il principio (secondo cui la misura della pena non deve essere sproporzionata rispetto al reato) formulato dall’articolo 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.»

10.

Hanno presentato osservazioni scritte ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte la Repubblica d’Austria e la Commissione europea. A titolo di misura di organizzazione del procedimento, la Corte ha posto agli interessati ai sensi del predetto articolo 23 taluni quesiti per risposta scritta vertenti sugli articoli 49 e 51 della Carta. La Repubblica d’Austria e la Commissione hanno dato seguito a tale misura.

11.

Conformemente alla richiesta della Corte, le presenti conclusioni verteranno unicamente sulla terza e la quarta questione pregiudiziale.

III. Analisi

A.   Sulla competenza della Corte: osservazioni preliminari

12.

La competenza della Corte a rispondere alla terza e alla quarta questione pregiudiziale dipende dall’applicabilità della Carta al procedimento principale. Tale applicabilità dipende a sua volta dalla questione di sapere se, come richiesto dall’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, che delimita l’ambito di applicazione della stessa, nel definire le sanzioni previste dall’articolo 172b del NK, il legislatore bulgaro ha dato attuazione al diritto dell’Unione. La risposta a tale questione sarebbe chiaramente affermativa nel caso in cui si dovesse ritenere, come il giudice del rinvio, che l’articolo 172b del NK costituisce una disposizione penale adottata nel quadro della trasposizione in diritto bulgaro della direttiva 2004/48. La Corte dovrà pronunciarsi su tale punto nel quadro della risposta da dare alle prime due questioni pregiudiziali.

13.

Le presenti conclusioni, che, come detto, non vertono su tali questioni, si prefiggono invece l’obiettivo di esaminare l’applicabilità della Carta sotto una diversa angolazione e muovono pertanto dalla premessa che la Corte si pronunci nel senso che le norme penali di cui il giudice di rinvio intende valutare la compatibilità con la direttiva 2004/48 esulino dall’ambito di applicazione di quest’ultima. Più precisamente, esaminerò qui di seguito se l’applicazione della Carta e dunque la competenza della Corte a rispondere a tali questioni possano discendere dalla circostanza che la normativa nazionale in causa dà attuazione ad un impegno assunto nell’ambito di un accordo internazionale concluso dall’Unione.

1. L’applicazione della Carta in caso di attuazione da parte degli Stati membri di obblighi giuridici internazionali dell’Unione

14.

Ai termini dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, le disposizioni di quest’ultima si applicano agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. In virtù del suo articolo 51, paragrafo 2, la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati.

15.

Da una costante giurisprudenza risulta che i diritti fondamentali garantiti dalla Carta sono applicabili a tutte le situazioni regolate dal diritto dell’Unione, ma non al di fuori di esse ( 3 ). Tali diritti devono dunque essere rispettati, segnatamente, allorché una normativa nazionale rientra nell’ambito di applicazione di tale diritto ( 4 ). Ove tale sia il caso, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di tale normativa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce il rispetto ( 5 ).

16.

Come sottolineato dall’avvocato generale Saugmandsgaard Øe nella sue conclusioni nella causa Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli) ( 6 ), emerge dalla giurisprudenza della Corte che le situazioni in cui gli Stati membri sono vincolati dai diritti fondamentali riconosciuti nell’ordinamento giuridico dell’Unione possono essere classificate in – almeno – due categorie.

17.

Da un lato, tali diritti fondamentali vincolano gli Stati membri quando essi danno esecuzione a norme del diritto dell’Unione, siano esse contenute nel Trattato ( 7 ), in regolamenti ( 8 ), in direttive ( 9 ), in decisioni-quadro ( 10 ) o ancora in atti che trovano il loro fondamento giuridico in regolamentazioni dell’Unione e che fanno parte del diritto di quest’ultima ( 11 ).

18.

Dall’altro lato, i diritti fondamentali riconosciuti nell’ordinamento giuridico dell’Unione si applicano allorché uno Stato membro deroga, tramite una normativa nazionale, al diritto dell’Unione e invoca una giustificazione riconosciuta da tale diritto per difendere detta normativa. In proposito, la Corte ha precisato, sulla scorta di quanto già affermato nella sentenza ERT ( 12 ) prima dell’entrata in vigore della Carta, che costituisce altresì «attuazione del diritto dell’Unione» ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, il ricorso, da parte di uno Stato membro, a eccezioni previste da tale diritto per giustificare un ostacolo a una libertà fondamentale garantita dal Trattato, anche se, di per sé, la normativa in questione non ha lo scopo di attuare una disposizione di diritto dell’Unione ( 13 ).

19.

Tale dicotomia non esaurisce tuttavia la totalità delle situazioni in cui la Carta trova applicazione. Ciò appare chiaramente già dalla sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson ( 14 ). In tale sentenza, le misure nazionali in questione, che prevedevano l’applicazione di sovrattasse e l’instaurazione di procedimenti penali volti a sanzionare frodi in materia di IVA, non rientravano con esattezza in nessuna delle due categorie sopra indicate. La Corte ha nondimeno ritenuto che tali misure costituissero attuazione del diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, dando rilievo al fatto che esse miravano a sanzionare violazioni di disposizioni contenute nelle direttive dell’Unione in materia di IVA e pertanto ad attuare l’obbligo, imposto dal Trattato agli Stati membri, di sanzionare in modo effettivo comportamenti lesivi degli interessi finanziari dell’Unione.

20.

Lo spettro delle situazioni che ricadono nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e danno luogo all’applicazione della Carta è dunque più ampio e non chiaramente né esaustivamente definito. Esso include, in generale, tutte le situazioni in cui il diritto dell’Unione pone specifici obblighi a carico degli Stati membri o in cui una disposizione del diritto dell’Unione trova applicazione. I criteri per valutare in concreto se si versi in una situazione di «attuazione del diritto dell’Unione» ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta risultano anch’essi fluidi. La Corte ha precisato che occorre, a tal fine, verificare, inter alia, se la misura nazionale in questione «abbia lo scopo di attuare una disposizione del diritto dell’Unione, quale sia il suo carattere e se essa persegua obiettivi diversi da quelli contemplati dal diritto dell’Unione, anche se è in grado di incidere indirettamente su quest’ultimo, nonché se esista una normativa di diritto dell’Unione che disciplini specificamente la materia o che possa incidere sulla stessa» ( 15 ). Malgrado tale fluidità, l’obiettivo della valutazione è chiaro ed è quello di garantire l’applicazione dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta in tutti i casi in cui si applica il diritto dell’Unione. Come affermato dalla Corte al punto 21 della sentenza «Åkerberg Fransson», infatti, «non possono esistere casi rientranti nel diritto dell’Unione senza che i diritti fondamentali garantiti dalla Carta trovino applicazione».

21.

Nella recente sentenza del 6 ottobre 2020, Commissione/Ungheria (Insegnamento superiore) ( 16 ), la Corte, statuendo in grande sezione, ha aggiunto un importante tassello alla giurisprudenza sopra richiamata. La causa all’origine di tale pronuncia aveva ad oggetto un procedimento per infrazione in cui la Commissione contestava all’Ungheria, oltre ad una violazione dell’articolo XVII dell’Accordo generale sugli scambi di servizi (General Agreement on Trade in Services; in prosieguo: il «GATS») ( 17 ) e ad una violazione degli obblighi incombenti a tale Stato membro in forza dell’articolo 16 della direttiva 2006/123 ( 18 ), altresì una distinta e autonoma violazione degli articoli 13, 14, paragrafo 3, e 16 della Carta, relativi alla libertà accademica, alla libertà di creare istituti di insegnamento e alla libertà d’impresa ( 19 ).

22.

Nella sentenza, la Corte ha anzitutto ricordato la sua costante giurisprudenza secondo cui un accordo internazionale concluso dall’Unione costituisce, a partire dalla sua entrata in vigore, parte integrante dell’ordinamento giuridico di quest’ultima ( 20 ). Essa ha poi affermato che, in quanto incluso nell’accordo che istituisce l’OMC, firmato dall’Unione, poi approvato da quest’ultima, il 22 dicembre 1994 ( 21 ), il GATS faceva parte del diritto dell’Unione ( 22 ). Essa ha quindi concluso, al punto 213, che, «quando gli Stati membri adempiono gli obblighi derivanti da tale accordo […], essi attu[a]no il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta».

23.

Sebbene la Corte non si sia richiamata a nessun precedente, emerge dalla sistematica della sentenza che la logica sottesa a tale conclusione è quella richiamata ai paragrafi 19 e 20 delle presenti conclusioni ( 23 ). In base a tale logica, l’applicazione dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta si giustifica, in un’ipotesi quale quella menzionata al punto 213 della sentenza Commissione/Ungheria, poiché, quando attuano al loro interno gli obblighi giuridici internazionali dell’Unione sulla base della loro competenza normativa, gli Stati membri adempiono un obbligo nei confronti dell’Unione, dando esecuzione a norme che fanno parte integrante di tale diritto, di sorta che l’applicabilità della Carta garantisce che questi ultimi non violino i diritti fondamentali dell’Unione allorché operano come «agenti» della stessa ( 24 ). D’altro canto, l’obbligo per gli Stati membri di dare esecuzione agli accordi conclusi dall’Unione discende dal Trattato, che, all’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, prevede che tali accordi vincolano gli Stati membri.

24.

La conclusione cui la Corte è giunta al punto 213 della sentenza Commissione/Ungheria ha dunque un potenziale di applicazione per analogia particolarmente ampio, che va al di là dei confini della fattispecie in cui si iscrive. Non ritengo, infatti, che si possa inferire dal contesto della causa che ha dato origine a tale sentenza, e in particolare dalla circostanza che questa verteva sulla violazione di un obbligo derivante da un accordo concluso dall’Unione, che la Corte abbia voluto circoscrivere tale conclusione ai soli casi in cui la misura nazionale in causa è suscettibile di mettere in causa la responsabilità internazionale di quest’ultima. Si oppongono, a mio avviso, ad una tale lettura restrittiva, sia la formulazione di detto punto, sia le premesse da cui è inferita l’applicazione nella specie della Carta – vale a dire l’integrazione del GATS nel diritto dell’Unione – sia ancora la logica sottesa a tale applicazione, richiamata sopra.

25.

A questo proposito, rilevo che un ragionamento analogo a quello svolto dalla Corte nella sentenza Commissione/Ungheria, per giustificare questa volta l’applicazione dei principi generali del diritto dell’Unione, si ritrova nella sentenza del 24 febbraio 2022, Agenzia delle dogane e dei monopoli e Ministero dell’Economia e delle Finanze ( 25 ). Nella causa che ha dato origine a tale sentenza, il giudice del rinvio si interrogava sulla proporzionalità di una normativa nazionale che prevedeva, nel caso di vendita di prodotti del tabacco a minori, il cumulo di una sanzione amministrativa pecuniaria e di una sanzione amministrativa accessoria, consistente nella sospensione temporanea della licenza di rivendita di tabacchi. La Corte ha dapprima constatato l’inapplicabilità alla situazione dedotta in giudizio nel procedimento principale delle disposizioni del diritto dell’Unione di cui il giudice del rinvio chiedeva l’interpretazione ( 26 ). Successivamente, richiamando il punto 69 della sentenza Commissione/Ungheria e la giurisprudenza secondo cui un accordo internazionale concluso dall’Unione costituisce, a partire dalla sua entrata in vigore, parte integrante del diritto di quest’ultima, essa ha ritenuto che la disposizione nazionale in causa nel procedimento nazionale dovesse essere valutata alla luce delle prescrizioni introdotte all’articolo 16 della convenzione quadro dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per la lotta contro il tabagismo, firmata a Ginevra il 21 maggio 2003 (WHO Framework Convention on Tobacco Control; in prosieguo: la «FCTC») ( 27 ) e, in particolare, del suo paragrafo 1, in base al quale ogni parte di detta convenzione quadro adotta e applica «misure legislative, esecutive, amministrative o altre misure efficaci a livello governativo appropriato per vietare la vendita di prodotti del tabacco alle persone che non hanno raggiunto l’età prevista nel diritto interno o fissata dalla legislazione nazionale, o l’età di diciotto anni». La Corte ha infine precisato che «poiché la FCTC costituisce parte integrante del diritto dell’Unione, la sua attuazione deve rispettare il principio di proporzionalità in quanto principio generale del diritto dell’Unione» ( 28 ). In altri termini, la Corte ha riconosciuto che l’esecuzione, da parte degli Stati membri, di impegni assunti in base a detta convezione quadro costituiva un caso di «applicazione del diritto dell’Unione», tale da far scattare l’applicazione dei principi generali di tale diritto.

26.

È alla luce dei principi suesposti che va valutata l’applicabilità della Carta nella situazione in causa nel procedimento principale.

2. Sull’applicazione della Carta alla situazione in causa nel procedimento principale

27.

Il giudice del rinvio interroga la Corte sull’interpretazione dell’articolo 49 della Carta allo scopo di valutare la conformità a tale disposizione delle disposizioni che sanzionano in diritto bulgaro la contraffazione del marchio registrato. Tale giudice muove dalla premessa che la situazione oggetto del procedimento principale ricade nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione poiché i reati di cui all’articolo 172b, paragrafi 1 e 2, del NK e le infrazioni amministrative previste dallo ZMGO e dallo ZMGO 2016 si applicano «a rapporti giuridici disciplinati dal diritto dell’Unione».

28.

In proposito, ricordo che l’accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, che figura all’allegato 1 C dell’accordo che istituisce l’OMC (in prosieguo: l’«accordo sugli ADPIC») persegue, tra l’altro, l’obiettivo di stabilire norme minime multilaterali per combattere la contraffazione e realizza un’armonizzazione di fatto delle misure e delle procedure volte a far rispettare i diritti di proprietà intellettuale ( 29 ). Ai termini del suo articolo 61, «[i] membri prevedono procedimenti penali e sanzioni da applicare almeno nei casi di contraffazione intenzionale di un marchio […]. I possibili provvedimenti comprendono pene detentive o pecuniarie sufficienti per costituire un mezzo di dissuasione, coerentemente con il livello delle sanzioni applicate per reati di corrispondente gravità. Ove opportuno, i possibili provvedimenti comprendono anche il sequestro, la confisca e la distruzione dei prodotti costituenti violazione […]». Sebbene il giudice del rinvio non abbia richiamato tale accordo, quest’ultimo stabilisce obblighi specifici in materia di procedimenti e sanzioni penali. Pur non prescrivendo un determinato livello di sanzioni, esso esige nondimeno l’introduzione di determinati tipi di sanzione. Il riferimento, contenuto al considerando 28 della direttiva 2004/48, alle sanzioni penali quale «mezzo per assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale» deve considerarsi come un implicito rinvio a tali obblighi che la direttiva fa tuttavia espressamente salvi ( 30 ).

29.

Ora, la Corte ha oramai da tempo riconosciuto che l’accordo sugli ADPIC, come il GATS, fa parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione ( 31 ) ed è pertanto applicabile nel suo ambito, sebbene le sue disposizioni non siano dotate di efficacia diretta e non siano idonee a creare in capo ai privati diritti che questi possano invocare direttamente dinanzi al giudice ai sensi del diritto dell’Unione ( 32 ). Tale accordo rientra peraltro nella nozione di «aspetti commerciali della proprietà intellettuale» di cui all’articolo 207, paragrafo 1, TFUE e, quindi, a partire dall’entrata in vigore del Trattato FUE, nella competenza esclusiva esterna dell’Unione in materia di politica commerciale comune ( 33 ).

30.

Applicando per analogia il ragionamento svolto dalla Corte al punto 213 della sentenza Commissione/Ungheria, ne risulta che quando gli Stati membri adempiono gli obblighi derivanti dall’accordo sugli ADPIC, inclusi quelli che derivano dall’articolo 61 di tale accordo, essi attuano il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. Nella misura in cui i reati di cui all’articolo 172b, paragrafi 1 e 2, del NK costituiscano un’attuazione degli impegni derivanti dall’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC, la Carta sarebbe dunque applicabile alla situazione in causa nel procedimento principale.

31.

Contrariamente a quanto sostenuto dal governo austriaco, non si oppone a tale conclusione la circostanza che gli autori dei Trattati hanno conferito all’Unione solo competenze limitate in materia penale ( 34 ) e che pertanto la normativa penale rientra, in linea di principio, nella competenza degli Stati membri ( 35 ).

32.

In effetti, da un lato, si evince da questa stessa giurisprudenza che tale competenza deve essere comunque esercitata nel rispetto non solo delle libertà fondamentali garantite dal diritto dell’Unione, ma anche dell’insieme del diritto dell’Unione, in particolare del diritto primario ( 36 ). Anche quando agiscono in settori rientranti nella loro competenza, gli Stati membri sono dunque tenuti a rispettare gli obblighi per essi derivanti dal diritto dell’Unione ( 37 ). Dall’altro, la Corte ha già da tempo affermato che il solo fatto che, in via di principio, la legislazione penale, così come le norme di procedura penale, non rientrano nella competenza dell’Unione ( 38 ), non impedisce al legislatore dell’Unione, allorché l’applicazione di sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive da parte delle competenti autorità nazionali costituisce una misura indispensabile al fine di garantire la piena effettività di una politica dell’Unione o il buon funzionamento del mercato interno, di adottare provvedimenti in relazione al diritto penale degli Stati membri ( 39 ). Tale competenza risulta ora espressamente enunciata all’articolo 83, paragrafo 2, TFUE. Ne consegue che il legislatore dell’Unione è competente, alle condizioni previste da tale disposizione, ad adottare le misure di armonizzazione in ambito penale, concernenti la definizione di norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni, necessarie per garantire la piena efficacia delle norme che esso emana in materia di protezione della proprietà intellettuale, protezione che è peraltro consacrata dalla stessa Carta, all’articolo 17, paragrafo 2. Ora, la portata dell’obbligo che risulta per gli Stati membri dall’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC di prevedere procedimenti penali e sanzioni da applicare nei casi di contraffazione intenzionale di un marchio non va al di là della competenza prevista all’articolo 83, paragrafo 2, TFUE.

33.

Certo, come sottolineato dal governo austriaco, conformemente all’articolo 4, paragrafo 2, lettera j), TFUE, si tratta di una competenza concorrente con quella degli Stati membri, che, ai termini dell’articolo 2, paragrafo 2, TFUE, questi ultimi esercitano «nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria». Ora, l’Unione non ha adottato norme di armonizzazione in materia di sanzioni e procedimenti penali per violazione dei diritti di proprietà intellettuale ( 40 ). Come altresì osservato dal governo austriaco, la Corte ha precisato che il solo fatto che una misura nazionale ricada in un settore nel quale l’Unione è competente non può collocarla nella sfera di applicazione del diritto dell’Unione e, quindi, comportare l’applicabilità della Carta ( 41 ). Infine, risulta da una giurisprudenza costante, che risale alla sentenza del 26 ottobre 1982, Kupferberg, anch’essa richiamata dal governo austriaco, che i provvedimenti necessari per attuare le disposizioni di un accordo concluso dall’Unione devono essere adottati in base allo stato attuale del diritto dell’Unione nei settori interessati dall’accordo, talora dalle istituzioni di quest’ultima, talaltra dagli Stati membri ( 42 ).

34.

Tuttavia, se l’Unione resta nella piena facoltà di legiferare, da un lato, sui diritti di proprietà intellettuale, in forza delle competenze relative all’ambito del mercato interno, nel rispetto delle norme relative all’esistenza, all’ambito e all’esercizio dei diritti di proprietà intellettuale contenute nell’accordo sugli ADPIC ( 43 ) e, dall’altro, in forza dell’articolo 83, paragrafo 2, TFUE, in ambito penale, al fine di garantire l’efficacia delle norme di protezione di tali diritti, l’armonizzazione della tutela della proprietà intellettuale su scala mondiale realizzata da tale accordo ( 44 ), incluso per quanto riguarda la lotta alla contraffazione, vincola in linea di principio ciascuno dei membri dell’OMC e si integra nell’ordinamento giuridico dell’Unione indipendentemente da atti di armonizzazione interna, di sorta che l’attuazione degli impegni assunti nel quadro di detti accordi, anche ove realizzata dagli Stati membri nell’esercizio della loro competenza, rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione.

35.

D’altro canto, già nella stessa sentenza Kupferberg, la Corte ha affermato che, «nel garantire il rispetto degli impegni derivanti da un accordo concluso dalle istituzioni comunitarie, gli Stati membri adempiono un obbligo non solo nei confronti del paese terzo interessato, ma anche e soprattutto verso la Comunità, che si è assunta la responsabilità del corretto adempimento dell’accordo», sottolineando il «carattere comunitario» delle norme convenzionali in causa ( 45 ). Ora, il punto 213 della sentenza Commissione/Ungheria appare uno sviluppo di tale giurisprudenza che, se costituisce indubbiamente un’interpretazione estensiva della nozione di «attuazione del diritto dell’Unione» di cui all’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, tuttavia non supera i limiti imposti da tale disposizione. Non ritengo dunque che la portata dell’interpretazione di tale nozione che risulta da detto punto possa essere limitata, come suggerisce il governo austriaco, alle sole ipotesi in cui si tratta dell’attuazione di disposizioni convenzionali che rientrano nella competenza, già esercitata, dell’Unione ( 46 ).

36.

Ricordo, peraltro, per un verso, che, nella sentenza Commissione/Ungheria, all’argomento basato sull’assenza di competenza dell’Unione nel settore dell’istruzione superiore, la Corte ha replicato che, poiché gli impegni assunti nell’ambito del GATS rientrano nella politica commerciale comune, sebbene gli Stati membri dispongano di un’ampia competenza nel settore dell’istruzione, detti impegni, compresi quelli riguardanti la liberalizzazione del commercio dei servizi di insegnamento privati, rientrano nella competenza esclusiva dell’Unione ( 47 ). Per altro verso, osservo che, nella sentenza Agenzia delle dogane e dei monopoli e Ministero dell’Economia e delle Finanze, l’attuazione della FCTC da parte dello Stato membro interessato ha dato luogo all’applicazione dei principi generali del diritto dell’Unione anche in assenza di una specifica normativa di armonizzazione a livello di quest’ultima, non solo per quanto concerne le sanzioni applicabili, ma anche con riguardo alle norme di diritto materiale violate ( 48 ). In proposito, importa altresì rilevare che, a differenza che nella causa che ha dato origine a tale sentenza, il procedimento penale a carico di G. ST. T. e le sanzioni di cui è questione in tale procedimento sono destinate a reprimere le violazioni dei diritti esclusivi conferiti dal marchio registrato, la portata dei quali costituisce un ambito oggetto di un’estesa armonizzazione e regolamentazione a livello dell’Unione ( 49 ).

37.

Per quanto concerne infine l’argomento che il governo austriaco trae dall’articolo 207, paragrafo 6, TFUE, in base al quale «l’esercizio delle competenze attribuite dal presente articolo nel settore della politica commerciale comune […] non comporta un’armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri, se i trattati escludono tale armonizzazione», è sufficiente rilevare, da un lato, che, nella causa Commissione/Ungheria, la circostanza che, per quanto riguarda il settore dell’istruzione, l’articolo 166, paragrafo 4, TFUE, contenga un esplicito divieto di armonizzazione, non ha impedito alla Corte di considerare la Carta applicabile per i motivi di cui al punto 213 di tale sentenza e, dall’altro, che la possibilità di un ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale al fine di garantire l’attuazione efficace di una politica dell’Unione è, come si è visto, espressamente prevista dall’articolo 83, paragrafo 2, TFUE ( 50 ).

38.

Sulla base dell’insieme delle considerazioni che precedono, ritengo che la Carta sia applicabile alla situazione oggetto della causa principale, se e nella misura in cui la condotta incriminata nel procedimento principale e le sanzioni ad essa applicabili rientrino, nell’ambito di applicazione dell’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC, ciò che spetta al giudice del rinvio verificare.

B.   Sulla terza questione pregiudiziale

39.

Con la terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede in sostanza alla Corte se il principio di legalità dei reati e delle pene iscritto all’articolo 49, paragrafo 1, della Carta si oppone a una legislazione nazionale in base alla quale uno stesso comportamento può dar luogo ad un’infrazione amministrativa e a un’infrazione penale, senza definire chiaramente i confini dell’una e dell’altra e senza consentire dunque agli interessati di prevedere le conseguenze di tali comportamenti.

40.

Secondo una giurisprudenza costante, in virtù del principio di legalità dei reati e delle pene, le disposizioni penali devono rispettare determinati requisiti di accessibilità e prevedibilità per quanto concerne sia la definizione del reato sia la determinazione della pena ( 51 ). Tale principio è applicabile anche al cumulo di procedimenti e di sanzioni amministrative e penali e pertanto gli stessi requisiti devono essere rispettati anche nel caso di disposizioni che autorizzano la doppia repressione ( 52 ). Sebbene il principio di legalità dei reati e delle pene imponga che la legge definisca chiaramente le infrazioni e le pene che li reprimono, tale condizione si rivela soddisfatta qualora il soggetto sia in grado di sapere, sulla base del dettato della disposizione pertinente e con l’eventuale aiuto dell’interpretazione che ne è data dai tribunali, quali atti ed omissioni implicano la sua responsabilità penale ( 53 ). Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, il principio di precisione della legge applicabile non può essere interpretato come un divieto di graduale chiarimento, da una causa all’altra, delle norme sulla responsabilità penale da parte di un’interpretazione giurisprudenziale, a condizione che il risultato sia ragionevolmente prevedibile al momento della commissione dell’infrazione, alla luce, in particolare, dell’interpretazione vigente a quell’epoca nella giurisprudenza relativa alla disposizione giuridica di cui trattasi ( 54 ).

41.

Dalla decisione di rinvio emerge che G. ST. T. è stata accusata del solo reato aggravato di cui all’articolo 172b, paragrafo 2, del NK. Ora, come sottolinea lo stesso giudice del rinvio, l’esistenza di «effetti gravemente dannosi» figura tra gli elementi costitutivi di tale reato e vale a differenziare quest’ultimo dall’infrazione amministrativa di cui all’articolo 127, paragrafo 1, dello ZMGO.

42.

Risulta inoltre da tale decisione che, in una sentenza interpretativa del 2013 ( 55 ), la Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione, Bulgaria) ha adottato un algoritmo di calcolo del pregiudizio subito in ragione dell’infrazione penale di cui all’articolo 172b – la cui compatibilità con la direttiva 2004/48 è contestata dal giudice del rinvio nel quadro delle prime due questioni pregiudiziali – allo scopo, tra l’altro, di fornire un orientamento pratico ai fini della corretta qualificazione dell’infrazione penale prevista all’articolo 172b del NK e della delimitazione di quest’ultima rispetto alle infrazioni amministrative.

43.

Nella misura in cui emerge dalla giurisprudenza richiamata al paragrafo 42 delle presenti conclusioni, da un lato, che il chiarimento graduale delle norme sulla responsabilità penale mediante interpretazioni giurisprudenziali non è in sé incompatibile con il principio di legalità dei reati e delle pene e, dall’altro, che non è, di per sé, idonea a mettere in discussione il carattere chiaro e preciso della normativa nazionale la sola circostanza che la precisa delimitazione tra illecito amministrativo e infrazione penale, come l’eventuale cumulo tra le sanzioni previste, dipenda dall’interpretazione di una nozione generale richiedente una valutazione di ampia portata da parte dei giudici nazionali ( 56 ), spetta al giudice del rinvio valutare se, nonostante la sopramenzionata sentenza interpretativa della Varhoven kasatsionen sad (Corte suprema di cassazione), permane una confusione circa gli elementi costitutivi dell’illecito amministrativo di cui all’articolo 127 dello ZMGO e quelli dell’infrazione penale di cui all’articolo 172b del NK, tale da comportare la non prevedibilità della sfera di responsabilità penale che discende da tale articolo.

44.

Occorre dunque, a mio avviso, rispondere alla terza questione pregiudiziale che, ove la legislazione di uno Stato membro sanzioni la contraffazione del marchio registrato mediante l’applicazione di sanzioni amministrative e penali, l’articolo 49, paragrafo 1, della Carta esige che i confini della responsabilità penale siano chiaramente definiti. Tale principio non osta a che l’esatta portata degli elementi costitutivi del reato di contraffazione che valgono a distinguere quest’ultimo dall’illecito amministrativo sia precisata per via di interpretazione giurisprudenziale, sempreché quest’ultima consenta ai soggetti interessati di sapere con precisione quali atti ed omissioni implicano la loro responsabilità penale.

C.   Sulla quarta questione pregiudiziale

45.

Con la quarta questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede in sostanza se le pene stabilite dall’articolo 172b, paragrafo 2, del NK, vale a dire una pena detentiva da 5 a 8 anni e una multa da BGN 5000 a BGN 8000, rispettino il principio di proporzionalità enunciato all’articolo 49, paragrafo 3, della Carta. Secondo tale giudice la pena detentiva, in particolare il minimo edittale, è di una «severità eccezionale», considerato anche che il reato si concretizza con la sola messa in vendita dei prodotti in causa. Egli precisa, inoltre, che, data l’elevatezza della pena, la possibilità per il giudice di ridurla o di sospenderne l’esecuzione è estremamente limitata. Infine, egli sottolinea che tanto il cumulo della pena detentiva con un’ammenda elevata, che la misura ulteriore consistente nella confisca dei beni oggetto dell’infrazione e nella loro distruzione contribuiscono ad aumentare la severità della sanzione complessivamente irrogata.

46.

Ricordo anzitutto che, secondo consolidata giurisprudenza, in mancanza di armonizzazione a livello dell’Unione nel settore delle sanzioni applicabili, gli Stati membri restano competenti per scegliere le sanzioni che sembrano loro appropriate. Essi sono tuttavia tenuti, come ho già avuto modo di osservare sopra, ad esercitare la loro competenza nel rispetto del diritto dell’Unione e dei suoi principi generali e, di conseguenza, nel rispetto del principio di proporzionalità ( 57 ). Ora, l’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC si limita a prevedere l’obbligo per i membri dell’OMC di sanzionare penalmente determinate violazioni dei diritti di proprietà intellettuale e a indicare che i possibili provvedimenti comprendono «pene detentive o pecuniarie sufficienti per costituire un mezzo di dissuasione, coerentemente con il livello delle sanzioni applicate per reati di corrispondente gravità». Inoltre, come anche ho già rilevato, nessuna armonizzazione a livello dell’Unione è intervenuta nella materia. Ne consegue che gli Stati membri godono al riguardo di un ampio margine di discrezionalità, in particolare quanto a livello delle sanzioni applicabili, discrezionalità che consente loro, in particolare, di valutare la gravità dell’infrazione in ambito nazionale e di adattare queste ultime di conseguenza.

47.

Ricordo poi che risulta da una giurisprudenza costante che il principio di proporzionalità delle pene di cui all’articolo 49, paragrafo 3, della Carta esige che la severità delle sanzioni comminate sia adeguata alla gravità delle violazioni che esse reprimono, garantendo, in particolare, un effetto realmente dissuasivo, pur senza spingersi oltre il limite di quanto è necessario al conseguimento degli scopi legittimamente perseguiti dalla normativa di cui trattasi ( 58 ). La Corte ha altresì precisato che il principio di proporzionalità esige che, nella determinazione della sanzione, si tenga conto delle specifiche circostanze del caso di specie ( 59 ). Spetta in ultima analisi al giudice nazionale, che è il solo competente a valutare i fatti e a interpretare il diritto nazionale, stabilire se, nel procedimento di cui è investito, tali requisiti siano soddisfatti.

48.

Nel caso di specie, per quanto attiene anzitutto alla natura e alla gravità del reato, emerge dalla decisione di rinvio che l’articolo 172b del NK è inteso a sanzionare, tra l’altro, la contraffazione intenzionale del marchio, vale a dire un comportamento connotato da una certa gravità, che l’articolo 61 dell’accordo sugli ADPIC impone di sanzionare penalmente e in modo da assicurare una sufficiente dissuasione. Fenomeno in costante crescita, che assume da tempo una dimensione internazionale, la contraffazione rappresenta una seria minaccia per le imprese e per le economie nazionali, con significative ripercussioni sociali, oltre a porre problemi per la tutela dei consumatori, in particolare quando siano in gioco la salute e la sicurezza pubblica. Si tratta inoltre di un fenomeno che appare sempre più legato alla criminalità organizzata ( 60 ).

49.

Per quanto riguarda, in primo luogo, la pena detentiva prevista dall’articolo 172b, paragrafo 2, del NK, essa è fissata a un livello significativamente elevato, in particolare se si considera il limite minimo di tale pena, fissato a cinque anni ( 61 ), ed è dunque tale da sollevare ragionevoli dubbi quanto alla sua proporzionalità, in particolare ove applicata a una condotta come quella oggetto del procedimento principale, quale descritta dal giudice del rinvio. Occorre, tuttavia, considerare che l’articolo 172b, paragrafo 2, del NK si applica in presenza di specifiche circostanze aggravanti, che appaiono legate, da un lato, alla recidiva o alla continuazione, e dall’altro, alla gravità del danno cagionato. Per il reato semplice, l’articolo 172b, paragrafo 1, del NK prevede, infatti, un minimo edittale inferiore, fissato a tre anni. Ora, come correttamente sottolineato dalla Commissione, uno degli elementi da prendere in considerazione nel valutare la proporzionalità di una normativa penale è costituito dalla possibilità di modulazione della sanzione rispetto alla gravità dell’infrazione ( 62 ).

50.

Nella specie, se, come si è detto, emerge dalla decisione del rinvio che la condotta oggetto del procedimento principale, consistente nell’aver offerto alla vendita capi di abbigliamento sui quali erano apposti marchi simili a marchi registrati, è stata dal pubblico ministero considerata come rientrante nel reato di cui all’articolo 172b, paragrafo 2, del NK, in considerazione della gravità del pregiudizio che ne è risultato, la Corte non dispone di sufficienti elementi, in particolare con riferimento alla precisa portata della nozione di «effetti gravemente dannosi » ai sensi dell’articolo 172b, paragrafo 2, del NK, sia in astratto sia con riguardo al caso concreto, per fornire al giudice del rinvio ulteriori elementi di valutazione oltre a quelli già indicati. In ogni caso, spetta a tale giudice procedere, alla luce dell’insieme delle circostanze del caso di specie suscettibili di essere prese in considerazione in base al diritto nazionale, all’esame concreto della proporzionalità della pena detentiva applicabile rispetto alla condotta incriminata e alle conseguenze che ne sono derivate e, ove necessario, adattare il livello di tale pena alle circostanze specifiche del caso di specie, nei limiti di quanto possibile in forza del potere discrezionale di cui è investito, incluso l’eventuale potere di riqualificazione dei fatti per i quali G. ST. T. è chiamata a rispondere da reato ai sensi dell’articolo 172b, paragrafo 2, del NK a reato ai sensi del paragrafo 1, di tale articolo.

51.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, il cumulo consentito dall’articolo 172b, paragrafo 2, del NK tra ammenda e pena detentiva, ricordo che la Corte ha già avuto modo di chiarire che al cumulo di sanzioni di natura penale devono accompagnarsi norme che consentano di garantire che la severità del complesso delle sanzioni imposte corrisponda alla gravità del reato di cui si tratti e che una tale esigenza discende non soltanto dal principio di proporzionalità delle pene di cui all’articolo 49, paragrafo 3, della Carta, ma altresì dall’articolo 52, paragrafo 1, della medesima ( 63 ). La Corte ha altresì chiarito che tale requisito si applica, senza eccezioni, a tutte le sanzioni inflitte cumulativamente e, pertanto, sia al cumulo di sanzioni di uguale natura sia al cumulo di sanzioni di natura diversa, come quello delle sanzioni pecuniarie e delle pene detentive ( 64 ).

52.

Nella specie, spetta dunque al giudice di rinvio, allo scopo di valutare la proporzionalità dell’applicazione concreta della normativa in causa nell’ambito del procedimento principale, verificare se sussistono norme idonee a garantire l’adeguamento della severità del complesso delle sanzioni previste, inclusa la confisca e la distruzione dei beni oggetto dell’infrazione, a quanto strettamente necessario rispetto alla gravità del reato commesso e se tali norme siano applicabili nel procedimento penale a carico di G. ST. T.

53.

In base a quanto precede, occorre dunque, a mio avviso, rispondere alla quarta questione pregiudiziale che l’articolo 49, paragrafo 3, della Carta va interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che, in vista della lotta alla contraffazione del marchio registrato, prevede l’irrogazione di sanzioni penali di natura sia detentiva che pecuniaria la cui severità non risulti proporzionata alla gravità delle violazioni commesse. Spetta al giudice del rinvio procedere in concreto a un tale esame di proporzionalità, alla luce, in particolare, della possibilità di modulazione di tali sanzioni rispetto alla gravità dell’infrazione offerta da detta normativa, nonché dell’insieme delle circostanze suscettibili di essere prese in considerazione in base al diritto nazionale al fine di ponderare, da un lato, la gravità del reato in questione e, dall’altro, l’onere risultante concretamente per la persona interessata, dal cumulo delle suddette sanzioni.

IV. Conclusione

54.

Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere come segue alla terza e alla quarta questione pregiudiziale poste dal Rayonen sad- Nesebar (Tribunale distrettuale di Nesebar, Bulgaria):

«L’articolo 49, paragrafo 1, della Carta deve essere interpretato nel senso che, ove la legislazione di uno Stato membro sanzioni la contraffazione del marchio registrato mediante l’applicazione di sanzioni amministrative e penali, il principio di legalità dei reati e delle pene iscritto in tale disposizione esige che i confini della responsabilità penale siano chiaramente definiti. Tale principio non osta a che l’esatta portata degli elementi costitutivi del reato di contraffazione che valgono a distinguere quest’ultimo dall’illecito amministrativo sia precisata per via di interpretazione giurisprudenziale, sempreché quest’ultima consenta ai soggetti interessati di sapere con precisione, al momento della commissione del reato, quali atti ed omissioni implicano la loro responsabilità penale.

L’articolo 49, paragrafo 3, della Carta va interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale che, in vista della lotta alla contraffazione del marchio registrato, prevede l’irrogazione di sanzioni penali di natura sia detentiva che pecuniaria, nella misura in cui la severità di tali sanzioni, considerate sia separatamente che cumulativamente, non risulta proporzionata alla gravità delle violazioni commesse. Spetta al giudice del rinvio procedere in concreto a un tale esame di proporzionalità, alla luce, in particolare, della possibilità di modulazione della sanzione rispetto alla gravità dell’infrazione offerta da detta normativa, nonché dell’insieme delle circostanze suscettibili di essere prese in considerazione in base al diritto nazionale al fine di ponderare, da un lato, la gravità del reato in questione e, dall’altro, l’onere risultante concretamente per la persona interessata, dal cumulo delle suddette sanzioni.»


( 1 ) Lingua originale: l’italiano.

( 2 ) Direttiva 2004/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (GU 2004, L 157, pag. 45).

( 3 ) V. sentenza del 5 maggio 2022, BPC Lux 2 e a. (C‑83/20, EU:C:2022:346, punto 26).

( 4 ) V. sentenza del 21 maggio 2019, Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli) (C‑235/17, EU:C:2019:432, punto 63 e giurisprudenza citata).

( 5 ) V. sentenza del 5 maggio 2022, BPC Lux 2 e a. (C‑83/20, EU:C:2022:346, punto 26).

( 6 ) C‑235/17, EU:C:2018:971, paragrafi 71 e segg.

( 7 ) V. sentenza del 5 dicembre 2017, M.A.S. e M.B. (C‑42/17, EU:C:2017:936).

( 8 ) V. sentenza del 24 marzo 1994, Bostock (C‑2/92, EU:C:1994:116).

( 9 ) V. sentenza del 10 luglio 2003, Booker Aquaculture e Hydro Seafood (C‑20/00 e C‑64/00, EU:C:2003:397).

( 10 ) V. sentenza del 5 aprile 2016, Aranyosi e Căldăraru (C‑404/15 e C‑659/15 PPU, EU:C:2016:198).

( 11 ) V. sentenza del 5 maggio 2022, BPC Lux 2 e a. (C‑83/20, EU:C:2022:346).

( 12 ) V. sentenza del 18 giugno 1991, ERT (C‑260/89, EU:C:1991:254).

( 13 ) V., in tal senso, sentenza del 21 maggio 2019, Commissione/Ungheria (Usufrutti su terreni agricoli) (C‑235/17, EU:C:2019:432, punto 65 e giurisprudenza citata). Nella specie, si trattava di un ricorso per inadempimento, in cui la Commissione aveva, per la prima volta, chiesto alla Corte di constatare una violazione autonoma da parte dello Stato membro interessato di una disposizione della Carta. La normativa ungherese contestata costituiva una restrizione alla libera circolazione dei capitali e l’Ungheria deduceva, al fine di giustificare tale restrizione, l’esistenza di ragioni imperative di interesse generale nonché dei motivi contemplati dall’articolo 65 TFUE. La Corte ha ritenuto che, in simili circostanze, la compatibilità di detta normativa con il diritto dell’Unione doveva essere esaminata alla luce tanto delle eccezioni previste dal Trattato e dalla giurisprudenza della Corte che dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta e ha dunque proceduto ad un esame congiunto delle censure distinte sollevate dalla Commissione. Rilevo che nelle sue conclusioni in questa causa (C‑235/17, EU:C:2018:971), l’avvocato generale Saugmandsgaard Øe aveva suggerito alla Corte di respingere la censura della Commissione fondata in via autonoma sulla Carta.

( 14 ) C‑617/10, EU:C:2013:105 (in prosieguo: la sentenza «Åkerberg Fransson»).

( 15 ) V. sentenza del 5 maggio 2022, BPC Lux 2 e a. (C‑83/20, EU:C:2022:346, punto 27).

( 16 ) C‑66/18, EU:C:2020:792 (in prosieguo: la «sentenza Commissione/Ungheria»).

( 17 ) Il GATS figura all’allegato 1 B dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech e approvato dalla decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986‑1994) (GU 1994, L 336, pag. 1), (in prosieguo: l’«accordo che istituisce l’OMC»).

( 18 ) Direttiva 2016/23/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (GU 2006, L 376, pag. 36).

( 19 ) La normativa nazionale messa in causa dalla Commissione imponeva agli istituti di insegnamento esteri con sede al di fuori dello Spazio economico europeo (SEE), quale condizione per poter fornire servizi di insegnamento in Ungheria, la conclusione di un accordo internazionale tra tale Stato membro e lo Stato d’origine, nonché l’obbligo di offrire una formazione d’insegnamento superiore nel proprio paese di origine.

( 20 ) V. punto 69 della sentenza Commissione/Ungheria.

( 21 ) V. decisione 94/800. L’accordo OMC è entrato in vigore il 1o gennaio 1995.

( 22 ) V. punti 70 e 71 della sentenza Commissione/Ungheria.

( 23 ) V. paragrafo 19 delle presenti conclusioni. La giurisprudenza che prende le mosse dalla sentenza ERT, rientrante nella seconda di tali categorie, v. paragrafo 20 delle presenti conclusioni, è infatti espressamente richiamata al punto 214 della sentenza Commissione/Ungheria, a sostegno di una distinta giustificazione per l’applicazione, nella specie, dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta.

( 24 ) V., in tal senso, le conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Ungheria (Insegnamento superiore) (C‑66/18, EU:C:2020:172, punto 128).

( 25 ) C‑452/20, EU:C:2022:111 (in prosieguo: la sentenza «Agenzia delle dogane e dei monopoli e Ministero dell’Economia e delle Finanze»).

( 26 ) Si trattava dell’articolo 5 TUE e dell’articolo 23, paragrafo 3, della direttiva 2014/40/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 aprile 2014, sul ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri relative alla lavorazione, alla presentazione e alla vendita dei prodotti del tabacco e dei prodotti correlati e che abroga la direttiva 2001/37/CE (GU 2014, L 127, pag. 1, e rettifica in GU 2015, L 150, pag. 24). Trattandosi di tale direttiva, la Corte ha ritenuto che essa non avesse proceduto all’armonizzazione degli aspetti della vendita dei prodotti del tabacco che riguardano la vendita di detti prodotti ai minori (v. punti da 24 a 27).

( 27 ) V. sentenza Agenzia delle dogane e dei monopoli e Ministero dell’Economia e delle Finanze, punti da 19 a 32. La FCTC è stata approvata a nome dell’Unione con decisione 2004/513/CE del Consiglio, del 2 giugno 2004, relativa alla conclusione della convenzione quadro dell’OMS per la lotta contro il tabagismo (GU 2004, L 213, pag. 8).

( 28 ) V. punto 33 della sentenza Agenzia delle dogane e dei monopoli e Ministero dell’Economia e delle Finanze.

( 29 ) V., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Daiichi Sankyo e Sanofi-Aventis Deutschland (C‑414/11, EU:C:2013:520, punto 58).

( 30 ) V. articolo 2, paragrafo 3, lettera b).

( 31 ) V. sentenza del 15 marzo 2012, SCF Consorzio Fonografici (C‑135/10, EU:C:2012:140, punti 3940). V. altresì sentenza del 13 novembre 2018, Levola Hengelo (C‑310/17, EU:C:2018:899, punto 39).

( 32 ) V. sentenza del 15 marzo 2012, SCF Consorzio Fonografici (C‑135/10, EU:C:2012:140, punto 46).

( 33 ) V. sentenza del 18 luglio 2013, Daiichi Sankyo e Sanofi-Aventis Deutschland (C‑414/11, EU:C:2013:520, punti da 45 a 60).

( 34 ) V. sentenza del 26 febbraio 2019, Rimšēvičs e BCE/Lettonia (C‑202/18 e C‑238/18, EU:C:2019:139, punto 57).

( 35 ) V. sentenza del 17 dicembre 2020, Generalstaatsanwaltschaft Berlin e a. (Estradizione verso l’Ucraina) (C‑398/19, EU:C:2020:1032, punto 65).

( 36 ) V. sentenza del 26 febbraio 2019, Rimšēvičs e BCE/Lettonia (C‑202/18 e C‑238/18, EU:C:2019:139, punto 57).

( 37 ) V., in tal senso, sentenza del 22 febbraio 2022, RS (Effetti delle decisioni di un giudice costituzionale) (C‑430/21, EU:C:2022:99, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

( 38 ) V. sentenza dell’11 novembre 1981, causa 203/80, Casati, Racc. pag. 2595, punto 27, e del 16 giugno 1998, causa C‑226/97, Lemmens, Racc. pag. I‑3711, punto 19.

( 39 ) V., in tal senso, sentenza del 13 settembre 2005, Commissione/Consiglio (C‑176/03, EU:C:2005:542, punto 48), sebbene, nella sentenza del 23 ottobre 2007, Commissione/Consiglio (C‑440/05, EU:C:2007:625, punto 70), la Corte abbia escluso la competenza della Comunità europea per quanto riguarda invece la determinazione del tipo e del livello delle sanzioni penali applicabili.

( 40 ) Ricordo che il 12 luglio 2005, la Commissione ha adottato una proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle misure penali finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale [COM(2005) 276 definitivo], modificata il 26 aprile 2006 [COM(2006)168 definitivo; in prosieguo: la «proposta modificata di direttiva»]. Tale proposta, fondata inizialmente sull’articolo 95 CE e, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sull’articolo 83, paragrafo 2, TFUE è stata ritirata nel 2010 (GU 2010, C‑252, pag. 7).

( 41 ) V. sentenza del 14 ottobre 2021, INSS (Pensione di vedovanza fondata su un rapporto di convivenza more uxorio) (C‑244/20, non pubblicata, EU:C:2021:854, punto 61).

( 42 ) V. sentenza del 26 ottobre 1982, Kupferberg (104/81, EU:C:1982:362, punto 12; in prosieguo: la «sentenza Kupferberg»).

( 43 ) V. sentenza del 18 luglio 2013, Daiichi Sankyo e Sanofi-Aventis Deutschland (C‑414/11, EU:C:2013:520, punto 59).

( 44 ) V., in questo senso, sentenza del 18 luglio 2013, Daiichi Sankyo e Sanofi-Aventis Deutschland (C‑414/11, EU:C:2013:520, punto 58).

( 45 ) V. sentenza Kupferberg, punti 13 e 14.

( 46 ) Rilevo peraltro che, se così fosse, la Carta si applicherebbe in ragione delle disposizioni adottate dall’Unione in forza della propria competenza interna.

( 47 ) V. sentenza Commissione/Ungheria, punto 74. Con tale argomento l’Ungheria eccepiva l’incompetenza della Corte a conoscere del ricorso per inadempimento in questione.

( 48 ) Come si è visto, in tale sentenza, la Corte ha espressamente riconosciuto l’assenza di armonizzazione degli aspetti relativi alla vendita di prodotti del tabacco a minori.

( 49 ) V. direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (rifusione) (GU 2015, L 336, pag. 1) e il regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1).

( 50 ) Sul punto, v. anche conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Commissione/Consiglio (C‑137/12, EU:C:2013:441, paragrafi 6667).

( 51 ) V. sentenza dell’11 giugno 2020, JI (C‑634/18, EU:C:2020:455, punto 48 e giurisprudenza citata).

( 52 ) V. sentenza del 5 maggio 2022, BV (C‑570/20, EU:C:2022:348, punto 37).

( 53 ) V. sentenza del 5 maggio 2022, BV (C‑570/20, EU:C:2022:348, punto 38 e giurisprudenza citata).

( 54 ) V. sentenza del 5 maggio 2022, BV (C‑570/20, EU:C:2022:348, punto 41).

( 55 ) V. sentenza del 31 maggio 2013, nella causa n. 1/2013.

( 56 ) V., in questo senso, sentenza del 20 marzo 2018, Garlsson Real Estate e a. (C‑537/16, EU:C:2018:193, punti 5253).

( 57 ) V. sentenza dell’11 febbraio 2021, K.M. (Sanzioni inflitte al comandante di un peschereccio) (C‑77/20, EU:C:2021:112, punto 36).

( 58 ) V., in tal senso, sentenza del 14 ottobre 2021, Landespolizeidirektion Steiermark e a. (Apparecchi automatici per il gioco d’azzardo) (C‑231/20, EU:C:2021:845, punto 45).

( 59 ) V. sentenza del 4 ottobre 2018, Link Logistik N&N (C‑384/17, EU:C:2018:810, punto 45).

( 60 ) Sulla base di tali elementi, nella proposta modificata di direttiva, la Commissione ha sottolineato come la lotta alla contraffazione e alla pirateria costituisca un obiettivo di fondamentale importanza per l’Unione.

( 61 ) A titolo di raffronto, la proposta modificata di direttiva prevedeva per lo stesso reato l’applicazione di una pena massima non inferiore a 4 anni di reclusione quando commesso nell’ambito di un’organizzazione criminale o quando implicante un rischio per la salute o la sicurezza delle persone.

( 62 ) V. sentenze dell’11 febbraio 2021, K.M. (Sanzioni inflitte al comandante di un peschereccio) (C‑77/20, EU:C:2021:112, punto 51) e del 16 luglio 2015, Chmielewski (C‑255/14, EU:C:2015:475, punto 26).

( 63 ) V., in tal senso, sentenza del 20 marzo 2018, Procura della Repubblica (C‑524/15, EU:C:2018:197, punto 55).

( 64 ) V. sentenza del 5 maggio 2022, BV (C‑570/20, EU:C:2022:348, punto 50).