CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

ANTHONY MICHAEL COLLINS

presentate il 9 marzo 2023 ( 1 )

Causa C‑568/21

Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid

con l’intervento di:

E.,

S.,

e i loro figli minorenni

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Regolamento (UE) n. 604/2013 – Articolo 2, lettera l) – Nozione di “titolo di soggiorno” – Carta d’identità diplomatica rilasciata da uno Stato membro – Criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale – Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche – Privilegi e immunità – Diritto di soggiorno sul territorio dello Stato membro accreditatario»

I. Introduzione

1.

Le presenti conclusioni esaminano la questione se le carte d’identità diplomatiche rilasciate da uno Stato membro in forza della Convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche, conclusa a Vienna il 18 aprile 1961 (in prosieguo: la «Convenzione di Vienna») ( 2 ) a cittadini di paesi terzi, membri del personale di una missione diplomatica in tale Stato, siano titoli di soggiorno ai fini dell’articolo 2, lettera l), del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (in prosieguo: il «regolamento Dublino III») ( 3 ), con la conseguenza che tale Stato membro è competente per l’esame delle domande di protezione internazionale presentate dai titolari di tali documenti.

II. Regolamento Dublino III

2.

I considerando 4 e 5 del regolamento Dublino III sono così formulati:

«(4)

Secondo le conclusioni del Consiglio europeo di Tampere, il [sistema europeo comune di asilo] dovrebbe prevedere a breve termine un meccanismo per determinare con chiarezza e praticità lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di asilo.

(5)

Tale meccanismo dovrebbe essere fondato su criteri oggettivi ed equi sia per gli Stati membri sia per le persone interessate. Dovrebbe, soprattutto, consentire di determinare con rapidità lo Stato membro competente al fine di garantire l’effettivo accesso alle procedure volte al riconoscimento della protezione internazionale e non dovrebbe pregiudicare l’obiettivo di un rapido espletamento delle domande di protezione internazionale».

3.

L’articolo 1 del regolamento Dublino III, intitolato «Oggetto», stabilisce che «[i]l presente regolamento stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (“Stato membro competente”)».

4.

Ai fini del regolamento Dublino III, l’articolo 2, lettera l), definisce la nozione di «titolo di soggiorno» come «qualsiasi permesso rilasciato dalle autorità di uno Stato membro che autorizza il soggiorno di un cittadino di un paese terzo o di un apolide nel suo territorio, compresi i documenti che consentono all’interessato di soggiornare nel territorio nazionale nell’ambito di un regime di protezione temporanea o fino a quando avranno termine le circostanze che ostano all’esecuzione di un provvedimento di allontanamento, ad eccezione dei visti e delle autorizzazioni di soggiorno rilasciati nel periodo necessario a determinare lo Stato membro competente ai sensi del presente regolamento o durante l’esame di una domanda di protezione internazionale o di una richiesta di permesso di soggiorno».

5.

Ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, «[i] criteri per la determinazione dello Stato membro competente si applicano nell’ordine nel quale sono definiti dal presente capo».

6.

L’articolo 12, paragrafo 1, e l’articolo 14 del regolamento Dublino III stabiliscono i criteri pertinenti. L’articolo 12, paragrafo 1, di tale regolamento, intitolato «Rilascio di titoli di soggiorno o visti», stabilisce che «[s]e il richiedente è titolare di un titolo di soggiorno in corso di validità, lo Stato membro competente per l’esame della domanda di protezione internazionale è quello che ha rilasciato tale titolo». L’articolo 14 del regolamento Dublino III, intitolato «Ingresso con esenzione dal visto» prevede quanto segue:

«1.   Se un cittadino di un paese terzo o un apolide entra nel territorio di uno Stato membro in cui è dispensato dal visto, l’esame della domanda di protezione internazionale compete in questo caso a tale Stato membro.

2.   Il principio di cui al paragrafo 1 non si applica se il cittadino di un paese terzo o l’apolide presenta la domanda di protezione internazionale in un altro Stato membro in cui è parimenti dispensato dal visto per l’ingresso nel suo territorio. In questo caso tale altro Stato membro è competente per l’esame della domanda di protezione internazionale».

7.

L’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento Dublino III così dispone:

«Il trasferimento del richiedente (...) dallo Stato membro richiedente verso lo Stato membro competente avviene (...)entro sei mesi dall’accettazione della richiesta da parte di un altro Stato membro di prendere o riprendere in carico l’interessato o dalla decisione definitiva su un ricorso o una revisione in caso di effetto sospensivo ai sensi dell’articolo 27, paragrafo 3.

(...)».

III. Fatti del procedimento principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

8.

I richiedenti protezione internazionale (in prosieguo: i «richiedenti») sono una famiglia di cittadini di paesi terzi. Il marito lavorava presso l’ambasciata del suo Stato di origine nello Stato membro X. Il marito, la moglie e due figli godevano di privilegi e immunità in forza della Convenzione di Vienna e avevano ricevuto dal Ministero degli Affari esteri di tale Stato carte d’identità diplomatiche. Dopo alcuni anni, la famiglia ha lasciato lo Stato membro X e ha presentato domande di protezione internazionale nei Paesi Bassi ( 4 ).

9.

Il 31 luglio 2019 lo staatssecretaris (Segretario di Stato alla giustizia e alla sicurezza, Paesi Bassi; in prosieguo: il «Segretario di Stato») ha informato i richiedenti che riteneva lo Stato membro X competente per l’esame delle loro domande, in forza dell’articolo 12, paragrafo 1 o dell’articolo 12, paragrafo 3, del regolamento Dublino III.

10.

Il 30 agosto 2019 lo Stato membro X ha respinto le richieste del Segretario di Stato di presa in carico, dichiarando che esso non aveva rilasciato titoli di soggiorno né visti ai richiedenti, poiché questi ultimi avevano soggiornato in tale Stato membro soltanto in base al loro status diplomatico. I richiedenti erano entrati nello Stato membro X e nei Paesi Bassi con passaporti diplomatici rilasciati dal loro Stato di origine, sicché non avevano bisogno di visti. In forza dell’articolo 14, paragrafo 2, del regolamento Dublino III, i Paesi Bassi erano quindi responsabili per l’esame delle loro domande.

11.

L’11 settembre 2019 il Segretario di Stato ha chiesto allo Stato membro X di riesaminare le richieste di presa in carico. Il Segretario di Stato, sulla base del manuale dello Stato membro X sui privilegi e sulle immunità diplomatiche, ha ritenuto che le carte di identità diplomatiche rilasciate dallo Stato membro X costituissero titoli di soggiorno. In forza dell’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, la competenza per l’esame delle domande spettava allo Stato membro X.

12.

Il 25 settembre 2019 lo Stato membro X ha accettato le richieste di presa in carico.

13.

Con decisioni del 29 gennaio 2020, il Segretario di Stato ha deciso di non esaminare le domande di protezione internazionale.

14.

I richiedenti hanno proposto ricorso avverso tale decisione. Dinanzi al rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia, Paesi Bassi), essi hanno sostenuto che lo Stato membro X non era competente per l’esame delle loro domande perché il loro diritto di soggiorno in detto Stato membro derivava dalla Convenzione di Vienna. Le carte d’identità diplomatiche rilasciate dallo Stato membro X avevano un valore meramente dichiarativo, e ne erano quindi una conferma.

15.

Il rechtbank Den Haag (Tribunale dell’Aia) ha accolto il ricorso. Esso ha annullato le decisioni del Segretario di Stato, considerando che le carte d’identità diplomatiche non potevano essere ritenute un’autorizzazione al soggiorno nello Stato membro X, posto che i richiedenti godevano già di un diritto di soggiorno in tale Stato membro in forza della Convenzione di Vienna. Le carte avevano un valore dichiarativo, e non costitutivo, di detto diritto. Il Segretario di Stato era quindi tenuto ad esaminare le loro domande.

16.

Il Segretario di Stato ha impugnato tale sentenza dinanzi al Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi).

17.

Il giudice del rinvio ritiene che né il testo né il contesto dell’articolo 2, lettera l), del regolamento Dublino III forniscano una definizione sufficientemente chiara dei termini «titolo di soggiorno». Il regolamento in parola non stabilisce esplicitamente che si debba trattare di un titolo rilasciato in forza del diritto nazionale. Sebbene debba trattarsi di un’autorizzazione a rimanere sul territorio di uno Stato membro, concessa dalle autorità di tale Stato, il regolamento non precisa che cosa debba prevedere detta autorizzazione. Neppure la giurisprudenza della Corte di giustizia fa luce sulla questione. La Convenzione di Vienna obbliga gli Stati parte a permettere che i membri del personale diplomatico e le loro famiglie soggiornino nel loro territorio. Lo Stato accreditatario non ha il potere di concedere o negare ai diplomatici un permesso di soggiornare nel suo territorio ( 5 ).

18.

Alla luce di queste osservazioni, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 2, parte iniziale e lettera l), del [regolamento Dublino III] debba essere interpretato nel senso che una tessera diplomatica rilasciata da uno Stato membro in forza della [Convenzione di Vienna] configura un titolo di soggiorno ai sensi di tale disposizione».

19.

I richiedenti, il governo dei Paesi Bassi e il governo austriaco, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte.

IV. Esame delle questioni pregiudiziali

A.   Ricevibilità

20.

Il governo austriaco sostiene che, sulla base delle informazioni di cui dispone, la domanda di pronuncia pregiudiziale potrebbe essere irricevibile. Benché lo Stato membro X abbia accettato, il 25 settembre 2019, le richieste di presa in carico, il trasferimento dei richiedenti non ha avuto luogo entro i sei mesi successivi. In forza dell’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, i Paesi Bassi sarebbero quindi competenti per l’esame delle domande, il ricorso del Segretario di Stato sarebbe inconferente e la questione pregiudiziale non esigerebbe più una risposta ( 6 ).

21.

Dalla decisione di rinvio deduco che, quando il Segretario di Stato ha proposto il ricorso dinanzi al Raad van State (Consiglio di Stato), esso ha presentato un’istanza di sospensione provvisoria del termine di sei mesi previsto dall’articolo 29, paragrafo 1, del regolamento Dublino III. Il giudice del rinvio ha accolto tale istanza il 24 marzo 2020. Ne consegue che la controversia tra le parti dinanzi al giudice del rinvio è in essere e che la domanda di pronuncia pregiudiziale è quindi ricevibile ( 7 ).

B.   Merito

1. Sintesi delle osservazioni delle parti

22.

Al giudice del rinvio si presentano due possibili interpretazioni. Una tessera diplomatica costituisce un titolo di soggiorno ai sensi dell’articolo 2, lettera l), del regolamento Dublino III e, quindi, lo Stato membro X è competente per l’esame delle domande di protezione internazionale. Una tessera diplomatica non costituisce un titolo di soggiorno di tal genere e, pertanto, i Paesi Bassi sono competenti per l’esame di dette domande.

23.

Il governo dei Paesi Bassi e la Commissione difendono la prima interpretazione. Essi sostengono che la definizione di «titolo di soggiorno» che figura nel regolamento Dublino III è sufficientemente ampia da includere le carte d’identità diplomatiche. Essi si fondano sull’interpretazione data dalla Corte agli articoli da 12 a 14 del suddetto regolamento, secondo la quale l’applicazione dei criteri contenuti nelle disposizioni in parola deve, in generale, consentire di attribuire allo Stato membro che è all’origine dell’ingresso o del soggiorno del cittadino di un paese terzo sul territorio degli Stati membri la competenza a esaminare la domanda di protezione internazionale presentata da tale cittadino.

24.

La Commissione non è convinta che le carte d’identità diplomatiche abbiano valore dichiarativo anziché costitutivo, poiché gli Stati parte della Convenzione di Vienna dispongono di un margine di discrezionalità per quanto concerne le persone che accettano sul loro territorio in qualità di personale diplomatico. Essi possono, ad esempio, dichiarare tali persone non gratae o non accettabili. In ogni caso, sarebbe contrario agli obiettivi del regolamento Dublino III ritenere che uno Stato membro il quale abbia accettato un cittadino di un paese terzo in qualità di personale diplomatico non sia tenuto a esaminare la sua domanda di protezione internazionale.

25.

Il governo dei Paesi Bassi ritiene che le carte d’identità diplomatiche attestino i diritti previsti dall’articolo 39 della Convenzione di Vienna, compreso il diritto di soggiornare nello Stato membro X, ma che siffatti diritti derivino, in ultima analisi, dalle decisioni dello Stato membro X e dello Stato di origine dei richiedenti di divenire parti della Convenzione di Vienna e di instaurare relazioni diplomatiche. È in tale contesto che lo Stato membro X ha autorizzato il soggiorno dei richiedenti nel suo territorio, fatta salva la discrezionalità di cui dispone per dichiarare chiunque di essi persona non grata o non accettabile. Ciò dimostra l’importanza del ruolo svolto dallo Stato membro X nel consentire ai richiedenti di soggiornare nel suo territorio.

26.

I richiedenti e il governo austriaco difendono la seconda interpretazione, sebbene con approcci diversi. I richiedenti invocano una sentenza del Raad van State (Consiglio di Stato) ai sensi della quale i membri del personale diplomatico e i loro familiari traggono il loro status privilegiato direttamente dalla Convenzione di Vienna, e detto status non dipende dal fatto che essi siano in possesso di un documento ( 8 ). Analogamente, i diritti dei richiedenti di soggiornare nello Stato membro X deriverebbero direttamente dalla Convenzione di Vienna e una carta d’identità diplomatica costituirebbe una mera prova di un diritto di soggiorno esistente. In forza della Convenzione di Vienna, lo Stato accreditatario non può, salvo eccezioni molto limitate, revocare il diritto di soggiorno di un diplomatico. Ne consegue che lo Stato accreditatario non possa concedere tale diritto. Essi sottolineano, inoltre, il fatto che i diplomatici sono esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo ( 9 ).

27.

Il governo austriaco sostiene che una carta d’identità diplomatica attesta i privilegi e le immunità dei quali gode il personale diplomatico in forza della Convenzione di Vienna. Tra di essi non si annovera un diritto d’ingresso o di soggiorno nello Stato accreditatario. Le carte d’identità diplomatiche rilasciate in forza della Convenzione di Vienna non costituiscono, quindi, titoli di soggiorno ai sensi dell’articolo 2, lettera l), del regolamento Dublino III. Esso sottolinea che numerosi Stati membri, tra cui l’Austria, impongono al personale diplomatico di chiedere un visto d’ingresso che, se rilasciato, costituisce, di fatto, un’autorizzazione a restare in tale Stato membro.

2. Valutazione

28.

Esaminerò anzitutto il contesto giuridico in cui lo Stato membro X ha rilasciato le carte di identità diplomatiche dei richiedenti. Mi occuperò poi delle osservazioni delle parti sulla giurisprudenza di questa Corte in materia di diritto di soggiorno dei cittadini degli Stati membri e ne valuterò la rilevanza nel contesto in esame. Infine, valuterò il testo e il contesto delle disposizioni pertinenti del regolamento Dublino III, concludendo che sono determinanti ai fini della risposta alla questione pregiudiziale.

a) Carte d’identità diplomatica dei richiedenti

29.

La Convenzione di Vienna è un accordo di diritto internazionale firmato e ratificato da Stati membri e Stati terzi nell’esercizio delle loro competenze sovrane in materia di relazioni diplomatiche. Essa non concerne le relazioni con l’Unione europea, che non è parte di tale accordo ( 10 ).

30.

Gli Stati parte della Convenzione di Vienna accettano di attribuire al personale delle missioni diplomatiche taluni privilegi e immunità allo scopo di facilitare «il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali e lo sviluppo di relazioni amichevoli tra le nazioni». Lo «scopo di tali privilegi e immunità è non già di avvantaggiare le persone quanto invece di assicurare il compimento efficace delle funzioni delle missioni diplomatiche che rappresentano gli Stati» ( 11 ).

31.

Come sottolineato dal governo austriaco, la Convenzione di Vienna non conferisce espressamente al personale diplomatico il diritto di entrare e soggiornare nel territorio di uno Stato accreditatario, e gli Stati parte possono istituire procedure per trattare tali aspetti. È tuttavia ragionevole supporre che l’esercizio efficace delle funzioni delle missioni diplomatiche esiga che il personale di una missione sia autorizzato non soltanto a entrare, ma anche a soggiornare nel territorio dello Stato accreditatario ( 12 ).

32.

Tale diritto non è assoluto. La Convenzione di Vienna attribuisce agli Stati parte un margine di manovra sostanziale per quanto riguarda l’identità e il numero di persone che accettano in qualità di personale delle missioni diplomatiche, nonché la durata della loro permanenza a seguito della cessazione delle funzioni ( 13 ).

33.

Lo Stato membro X è firmatario della Convenzione di Vienna, che ha ratificato negli anni ’90. Dalle circostanze del presente rinvio pregiudiziale risulta che lo Stato membro X e lo Stato di origine dei richiedenti hanno instaurato relazioni diplomatiche disciplinate dalla Convenzione in parola. Lo Stato membro X ha quindi accettato di conferire i privilegi e le immunità di cui alla Convenzione di Vienna al personale di tale missione diplomatica, ai fini dell’esercizio efficace delle funzioni di detta missione, fatto salvo l’esercizio della sua discrezionalità, quale descritta al paragrafo precedente delle presenti conclusioni.

34.

Nella decisione di rinvio si dichiara che le carte d’identità diplomatiche di cui trattasi includono le seguenti informazioni: «diplomatic identity card, mission, surname, given names, date of birth, personal code, position, date of issue, date of expiry and holder’s signature [carta d’identità diplomatica, missione, cognome, nome, data di nascita, codice personale, funzioni, data di rilascio, data di scadenza e firma del titolare]». Anche lo status è indicato. Il fascicolo del giudice nazionale non contiene una copia delle tessere rilasciate ai richiedenti.

35.

Il governo dei Paesi Bassi fa riferimento al manuale dello Stato membro X sui privilegi e sulle immunità diplomatiche ( 14 ), ai sensi del quale una carta d’identità diplomatica attribuisce i privilegi e le immunità descritti nella Convenzione di Vienna. Essa costituisce la base giuridica del soggiorno dei membri del personale diplomatico e dei loro familiari in tale Stato membro. Unitamente al passaporto, essa conferisce al titolare il diritto di entrare e di viaggiare negli Stati Schengen ( 15 ).

36.

Lo Stato membro X ha inoltre pubblicato un documento contenente un esempio delle carte d’identità diplomatiche da esso emesse ( 16 ). Esso riporta la dicitura «carta d’identità diplomatica» e contiene una fotografia del titolare sul lato sinistro. Il lato sul quale figura la fotografia contiene le informazioni descritte al paragrafo 34 delle presenti conclusioni. Il testo sul retro indica che la tessera autorizza il titolare a soggiornare nello Stato membro X fino alla data di scadenza della stessa e, qualora sia esibita unitamente a un documento di viaggio valido, a entrare nel territorio degli Stati Schengen. Nel documento contenente l’esempio di tessera si chiarisce che il retro della stessa include informazioni sui privilegi del titolare.

37.

A differenza di quanto sostenuto dal governo austriaco, da quanto precede risulta che le carte d’identità diplomatiche dei richiedenti attestano il loro diritto di soggiornare nello Stato membro X per il periodo indicato su tali carte, conformemente alla Convenzione di Vienna ( 17 ).

b) Giurisprudenza della Corte in materia di diritto di soggiorno e permessi di soggiorno

38.

I richiedenti invocano, per analogia, la giurisprudenza di questa Corte ai sensi della quale il diritto dei cittadini di uno Stato membro di entrare nel territorio di un altro Stato membro e di soggiornarvi, per gli scopi voluti dal Trattato, è un diritto attribuito direttamente da quest’ultimo o, a seconda dei casi, dalle disposizioni adottate per la sua attuazione. Il rilascio di un titolo di soggiorno ad un cittadino di uno Stato membro dev’essere considerato non come un atto costitutivo di diritti (documento con valore costitutivo), ma come un atto destinato ad attestare la posizione individuale del cittadino di un altro Stato membro alla luce delle norme dell’Unione (documento con valore dichiarativo) ( 18 ). Essi ritengono che tale giurisprudenza sia applicabile alla situazione di cittadini di paesi terzi in forza della Convenzione di Vienna; che le loro carte d’identità diplomatiche si limitino ad attestare diritti dei quali essi disponevano già in forza della Convenzione; e che, di conseguenza, le autorità dello Stato membro X non abbiano rilasciato loro titoli di soggiorno ai fini del regolamento Dublino III.

39.

In tale contesto, è utile prendere in considerazione una delle prime sentenze in cui la Corte ha esaminato la fonte del diritto dei cittadini di uno Stato membro di entrare e soggiornare nel territorio di un altro Stato membro, vale a dire la sentenza nella causa Royer ( 19 ).

40.

La Corte ha dichiarato che il diritto dei cittadini di uno Stato membro di entrare nel territorio di un altro Stato membro e di soggiornarvi, per gli scopi voluti dal Trattato, è un diritto attribuito direttamente da quest’ultimo o, a seconda dei casi, dalle disposizioni adottate per l’attuazione del detto Trattato. Pertanto, il diritto in parola si acquista indipendentemente dal rilascio di un documento di soggiorno da parte dell’autorità competente di uno Stato membro. Il rilascio di questo documento va considerato non già come un atto costitutivo di diritti, ma come un atto che comprova la posizione individuale del cittadino di un altro Stato membro con riguardo alle norme dell’Unione. La Corte ha poi osservato che la direttiva 68/360 ( 20 ) obbligava gli Stati membri a riconoscere il diritto di soggiorno nel loro territorio alle persone che fossero in grado di esibire i documenti indicati da tale direttiva, e che il diritto di soggiorno veniva comprovato mediante una carta di soggiorno. Le disposizioni rilevanti della direttiva di cui trattasi avevano quindi lo scopo di determinare le modalità pratiche dell’esercizio di diritti attribuiti direttamente dal Trattato. Ne conseguiva che le autorità degli Stati membri erano tenute a riconoscere il diritto di soggiorno a chiunque rientrasse nelle categorie indicate nella direttiva e fosse in grado di dimostrare, mediante esibizione dei documenti indicati, di appartenere ad una di dette categorie. Trattandosi dell’esercizio di un diritto acquistato in forza dello stesso Trattato, un’omissione delle formalità di legge non poteva essere considerata come di per sé lesiva dell’ordine o della sicurezza pubblici al punto di giustificare l’adozione di un provvedimento di espulsione ( 21 ).

41.

Da tale giurisprudenza emergono due punti importanti.

42.

In primo luogo, dato che, sul piano giuridico e sostanziale, il contesto è differente, non è possibile applicare le statuizioni della Corte relative ai diritti che i cittadini degli Stati membri traggono dai Trattati nell’ambito dell’ordinamento giuridico dell’Unione e la dottrina dell’effetto diretto ai privilegi e alle immunità di cui godono i cittadini di paesi terzi in forza della Convenzione di Vienna nell’ordinamento giuridico di un determinato Stato membro.

43.

In secondo luogo, dinanzi a una situazione in cui determinati Stati membri avevano indebitamente limitato i diritti di cittadini degli Stati membri, la Corte ha dichiarato che tali diritti derivano direttamente dai Trattati e che essi esistono indipendentemente dal rilascio di un permesso di soggiorno. Non è questa la situazione del caso di specie. Non è dedotta l’esistenza di una discrepanza tra i diritti che i richiedenti traggono, direttamente o indirettamente, dalla Convenzione di Vienna e i diritti attestati dalle carte d’identità diplomatiche o quelli di cui i richiedenti altrimenti godevano.

44.

Alla luce di quanto precede, ritengo che stabilire se le carte d’identità diplomatiche dei richiedenti abbiano valore dichiarativo o costitutivo ai sensi della sentenza nella causa Royer non sia d’ausilio ai fini della soluzione della questione sottoposta alla Corte, vale a dire se le tessere in parola siano titoli di soggiorno ai sensi dell’articolo 2, lettera l), del regolamento Dublino III. Peraltro, l’analisi testuale e contestuale che segue indica che non è necessario procedere in tal senso.

c) Analisi testuale e contestuale dell’articolo 2, lettera l), e dell’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento Dublino III

45.

Conformemente al testo dell’articolo 2, lettera l), e dell’articolo 12, paragrafo 1, del regolamento Dublino III, l’autorità di uno Stato membro la quale ritenga che un cittadino di un paese terzo o un apolide abbia diritto di soggiornare nel suo territorio rilascia un permesso a tal fine. Lo Stato membro X ha fatto esattamente ciò allorché ha rilasciato ai richiedenti carte d’identità diplomatiche ( 22 ).

46.

Il testo delle disposizioni summenzionate non indica che i permessi rilasciati per il fatto della partecipazione di tale Stato membro a un accordo internazionale quale la Convenzione di Vienna o della pertinente normativa nazionale di attuazione siano esclusi dalla definizione di «titolo di soggiorno». Analogamente, e a differenza di quanto sostenuto dai richiedenti, è irrilevante che il documento possa essere qualificato come avente valore dichiarativo o costitutivo e/o che differisca, nella forma o nella sostanza, dai permessi di soggiorno rilasciati ad altre persone, ad esempio ai cittadini o ai residenti permanenti dello Stato membro X. Il regolamento Dublino III non richiama considerazioni del genere.

47.

Siffatta interpretazione del testo delle disposizioni in parola è coerente rispetto al contesto nel quale esse si inseriscono. Il regolamento Dublino III mira a stabilire un meccanismo per determinare con chiarezza e praticità lo Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale ( 23 ). È coerente con tale obiettivo il fatto che tutti i documenti rilasciati dalle autorità dello Stato membro volti ad autorizzare il soggiorno di individui nel territorio di quest’ultimo debbano essere considerati titoli di soggiorno ai fini dell’articolo 2, lettera l), del succitato regolamento. Detta interpretazione si confà, inoltre, all’interpretazione data dalla Corte agli obiettivi perseguiti dal regolamento Dublino III ( 24 ).

48.

Il governo dei Paesi Bassi e la Commissione sottolineano inoltre che i richiedenti hanno il legame più forte con lo Stato membro X. Essi sono entrati nel territorio degli Stati membri in virtù delle relazioni diplomatiche tra il loro Stato di origine e lo Stato membro X, nel quale hanno anche lavorato e vissuto per diversi anni.

49.

Considerare che lo Stato membro X è competente per l’esame delle domande di protezione internazionale è conforme alla giurisprudenza della Corte secondo cui il regolamento Dublino III mira a garantire i tre risultati seguenti. In primo luogo, che la competenza per l’esame delle domande spetti allo Stato membro che è all’origine dell’ingresso o del soggiorno del cittadino di un paese terzo sul territorio degli Stati membri. In secondo luogo, che venga tenuto conto del ruolo ricoperto dallo Stato membro X con riferimento alla presenza dei richiedenti in tale territorio. In terzo luogo, che, nel settore della libera circolazione, ogni Stato membro è responsabile, nei confronti di tutti gli altri Stati membri, della sua politica in materia di ingresso e di soggiorno di cittadini di paesi terzi. Ogni Stato membro deve quindi assumerne le conseguenze sulla base dei principi di solidarietà e di leale cooperazione ( 25 ).

50.

Come osservato dal giudice del rinvio e dal governo dei Paesi Bassi, un’interpretazione diversa implicherebbe che i cittadini di paesi terzi nella stessa situazione dei richiedenti, i quali godono dei privilegi e delle immunità in forza della Convenzione di Vienna, possano scegliere in quale Stato membro presentare una domanda di protezione internazionale, mentre altri, i cui titoli di soggiorno hanno un fondamento giuridico diverso, non disporrebbero di tale facoltà. Ciò sarebbe in contrasto con i meccanismi e i criteri uniformi per la determinazione dello Stato membro competente che il regolamento Dublino III mira a instaurare ( 26 ). È irrilevante il fatto che soltanto un ridotto numero di persone si trovi nella situazione dei richiedenti.

51.

Infine, non sono convinto del fatto che l’esclusione dei diplomatici dall’ambito di applicazione della direttiva 2003/109 possa incidere su tale conclusione. La direttiva in parola mira a escludere dal suo ambito di applicazione persone, come quelle che godono di uno status giuridico in forza della Convenzione di Vienna, non destinate a stabilirsi in maniera duratura nel territorio degli Stati membri ( 27 ). Ciò non impedisce agli Stati membri di rilasciare loro titoli di soggiorno ai sensi dell’articolo 2, lettera l), del regolamento Dublino III.

V. Conclusione

52.

Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale proposta dal Raad van State (Consiglio di Stato, Paesi Bassi) nei seguenti termini:

L’articolo 2, lettera l), del regolamento (UE) n. 604/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide

deve essere interpretato nel senso che:

una carta d’identità diplomatica rilasciata in forza della Convenzione di Vienna del 18 aprile 1961 sulle relazioni diplomatiche costituisce un titolo di soggiorno ai sensi di tale disposizione.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) United Nations Treaty Series, vol. 500, pag. 95.

( 3 ) GU 2013, L 180, pag. 31.

( 4 ) Al fine di tutelare l’identità dei richiedenti, la decisione di rinvio non indica la loro cittadinanza, né lo Stato membro della loro missione diplomatica, designato come Stato membro X. Nelle presenti conclusioni seguirò tale approccio.

( 5 ) Secondo il giudice del rinvio, il diritto del personale diplomatico di soggiornare nei Paesi Bassi deriva direttamente dalla Convenzione di Vienna, e non dal diritto nazionale.

( 6 ) V., ad esempio, sentenza del 24 novembre 2020, Openbaar Ministerie (Falso in atti) (C‑510/19, EU:C:2020:953, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

( 7 ) V., per analogia, sentenze del 26 luglio 2017, A.S. (C‑490/16, EU:C:2017:585, punti da 56 a 60) e del 25 ottobre 2017, Shiri (C‑201/16, EU:C:2017:805, punto 46); non mi esprimo sulla legittimità della sospensione ai sensi del regolamento Dublino III.

( 8 ) Sentenza del 27 marzo 2008 del Raad van State (Consiglio di Stato) (ECLI:NL:RVS:2008:BC8570).

( 9 ) GU 2004, L 16, pag. 44; v. articolo 3, paragrafo 2, lettera f), di tale direttiva.

( 10 ) Sentenza del 22 marzo 2007, Commissione/Belgio (C‑437/04, EU:C:2007:178), punto 33).

( 11 ) Convenzione di Vienna, secondo e terzo considerando.

( 12 ) V. Denza, E., Diplomatic Law – Commentary on the Vienna Convention on Diplomatic Relations, quarta edizione, Oxford University Press, 2016, pag. 50: «Although entitlement to enter and remain in the territory of the receiving State is not explicitly spelt out as a privilege in the [Vienna Convention], it is in practice regarded as flowing from Article 7 and given effect in domestic immigration law in so far as this is necessary in some States [Sebbene il diritto di entrare e di rimanere nel territorio dello Stato accreditatario non sia espressamente qualificato come un privilegio nella [Convenzione di Vienna], nella prassi è considerato derivante dall’articolo 7 e ad esso è data attuazione nella normativa nazionale in materia di immigrazione, nella misura in cui ciò sia necessario in taluni Stati]» (nota omessa). L’articolo 7 della Convenzione di Vienna prevede che, fatte salve specifiche riserve, lo Stato accreditante può nominare liberamente i membri del personale delle sue missioni.

( 13 ) La Convenzione di Vienna prevede che lo Stato accreditante debba accertarsi che la persona che intende accreditare come capo della missione riceva l’«agrément [gradimento]» dello Stato accreditatario; l’«agrément» può essere negato senza necessità di comunicare i motivi (articolo 4). Lo Stato accreditatario gode di discrezionalità quanto alla nomina di membri del personale diplomatico che siano cittadini di tale Stato (articolo 8, paragrafo 2). La Convenzione consente allo Stato accreditatario, in qualsiasi momento, di dichiarare una persona non grata o non accettabile, senza doverne indicare i motivi (articolo 9). Lo Stato accreditatario può imporre dei limiti alle dimensioni della missione, circoscrivendo in tal modo il numero dei suoi membri (articolo 11). Lo Stato accreditatario gode di discrezionalità quanto alla determinazione del periodo di tempo che ritiene ragionevole per un membro del personale di una missione per lasciare il territorio a seguito della cessazione delle sue funzioni e quanto al periodo di tempo in cui i familiari di un membro della missione possono rimanervi a seguito del decesso di quest’ultimo (articolo 39, paragrafi 2 e 3). Eventi recenti offrono un’ampia dimostrazione dell’esercizio di tale discrezionalità. Il 7 aprile 2022 il Ministero degli Affari esteri austriaco ha dichiarato di sentirsi tenuto a revocare lo status diplomatico di tre membri dell’ambasciata russa a Vienna e di un membro del consolato generale russo a Salisburgo. Tali persone avevano compiuto atti incompatibili con il loro status diplomatico, in conseguenza dei quali sono stati dichiarati personae non gratae in forza dell’articolo 9 della Convenzione di Vienna ed è stato loro ingiunto di lasciare il territorio austriaco entro il 12 aprile 2022.

( 14 ) Tale documento non è stato trasmesso alla Corte; la versione attuale è disponibile su Internet.

( 15 ) Articolo 19, paragrafo 2, e articolo 4, paragrafo 3, dell’allegato VII del regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen) (GU 2006, L 105, pag. 1).

( 16 ) Il modello di tale tessera è stato comunicato alla Commissione conformemente all’articolo 34, paragrafo 1, lettera e), del codice frontiere Schengen e pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea ai sensi dell’articolo 34, paragrafo 2, di detto codice. Il modello precedente, probabilmente la versione in uso al momento dell’arrivo dei richiedenti nello Stato membro X, è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale tre anni prima. Ai fini della presente causa, non vi è alcuna differenza sostanziale tra le due versioni.

( 17 ) Risulta che, in forza del diritto primario dello Stato membro X, non prodotto dinanzi alla Corte ma disponibile su Internet, i trattati e gli strumenti di diritto internazionale costituiscono la base giuridica del soggiorno temporaneo del personale diplomatico in tale Stato. Come i Paesi Bassi, lo Stato membro X è comunemente descritto come uno Stato monista, che riconosce gli accordi i trattati internazionali da esso ratificati come parte del suo diritto nazionale, senza necessità di una normativa nazionale di attuazione.

( 18 ) V., ad esempio, sentenze del 23 marzo 2006, Commissione/Belgio (C‑408/03, EU:C:2006:192, punti 6263 e giurisprudenza ivi citata); del 21 luglio 2011, Dias (C‑325/09, EU:C:2011:498, punto 54) e conclusioni dell’avvocato generale Bobek nella causa I (C‑195/16, EU:C:2017:374, paragrafi 3738 e giurisprudenza ivi citata).

( 19 ) Sentenza dell’8 aprile 1976, Royer (48/75, EU:C:1976:57); v. anche direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77).

( 20 ) Direttiva 68/360/CEE del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativa alla soppressione delle restrizioni al trasferimento e al soggiorno dei lavoratori degli Stati Membri e delle loro famiglie all’interno della Comunità (GU 1968, L 257, pag. 13).

( 21 ) Sentenza dell’8 aprile 1976, Royer (48/75, EU:C:1976:57, punti da 18 a 40).

( 22 ) V., per analogia, sentenza del 26 luglio 2017, Jafari (C‑646/16, EU:C:2017:586, punto 58). Nel caso di specie, lo Stato membro X non si è limitato a tollerare la presenza dei ricorrenti sul suo territorio.

( 23 ) Considerando 4 e 5 del regolamento Dublino III.

( 24 ) V., ad esempio, sentenza del 9 dicembre 2021, BT (Coinvolgimento della persona assicurata) (C‑708/20, EU:C:2021:986, punto 24 e giurisprudenza ivi citata).

( 25 ) Sentenze del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 79); e del 26 luglio 2017, Jafari (C‑646/16, EU:C:2017:586, punti da 86 a 8891).

( 26 ) V., per analogia, sentenza del 2 aprile 2019, H. e R. (C‑582/17 e C‑583/17, EU:C:2019:280, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

( 27 ) V. articolo 3, paragrafo 2, lettera f), di tale direttiva e conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Singh (C‑502/10, EU:C:2012:294, paragrafi da 36 a 39).