CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NICHOLAS EMILIOU

presentate il 7 luglio 2022 ( 1 )

Causa C‑372/21

Freikirche der Siebenten-Tags-Adventisten in Deutschland KdöR

con l’intervento di:

Bildungsdirektion für Vorarlberg

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria)]

«Rinvio pregiudiziale – Articolo 49 TFUE – Diritto di stabilimento – Articolo 17 TFUE – Chiese e associazioni o comunità religiose – Sovvenzionamento di una scuola privata riconosciuta come scuola confessionale da un’associazione religiosa con sede in un altro Stato membro»

I. Introduzione

1.

Ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 1, TFUE, l’Unione europea «rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale». A sua volta, l’articolo 49, primo comma, TFUE stabilisce che «le restrizioni alla libertà di stabilimento dei cittadini di uno Stato membro nel territorio di un altro Stato membro vengono vietate».

2.

La presente causa verte sull’interazione tra tali due disposizioni. In particolare, essa solleva due questioni principali.

3.

In primo luogo, l’articolo 17, paragrafo 1, TFUE osta all’applicazione delle norme dell’Unione in materia di libera circolazione dei servizi nel caso in cui un’associazione religiosa, stabilita in uno Stato membro, riconosca una scuola situata in un altro Stato membro come scuola confessionale e chieda finanziamenti pubblici in quest’ultimo Stato? In secondo luogo, in caso contrario, tali norme possono essere utilmente invocate in relazione a un’attività economica che, in caso di rimozione dell’asserita restrizione nello Stato membro ospitante, perderebbe il suo carattere economico?

II. Contesto normativo nazionale

4.

L’articolo 1 del Gesetz vom 20 Mai 1874 betreffend die gesetzliche Anerkennung von Religionsgesellschaften (legge austriaca relativa al riconoscimento giuridico delle associazioni religiose; in prosieguo: l’«AnerkennungsG») ( 2 ) prevede quanto segue:

«I membri di una confessione religiosa non riconosciuta dalla legge sono riconosciuti come associazione religiosa alle seguenti condizioni:

1)

nulla nella loro dottrina religiosa, nelle loro cerimonie, nei loro statuti e nella denominazione da essi adottata deve essere illegale o contrario alla morale;

2)

è garantita l’istituzione e l’esistenza di almeno una comunità religiosa fondata in conformità ai requisiti di cui alla presente legge».

5.

L’articolo 2 dell’AnerkennungsG è così formulato:

«Qualora siano soddisfatte le condizioni di cui all’articolo 1, il Cultusminister [Ministro dell’Istruzione, Austria] riconosce l’associazione religiosa.

Per effetto del riconoscimento, l’associazione religiosa gode di tutti i diritti conferiti alle chiese e alle associazioni religiose riconosciute dalla legge».

6.

L’articolo 11 del Bundesgesetz über die Rechtspersönlichkeit von religiösen Bekenntnisgemeinschaften (legge federale sulla personalità giuridica delle comunità religiose; in prosieguo: il «BekGG») ( 3 ) prevede requisiti aggiuntivi per il riconoscimento di una comunità religiosa ai sensi dell’AnerkennungsG. Esso dispone quanto segue:

«Ai fini del riconoscimento, una comunità religiosa deve soddisfare, oltre ai requisiti previsti nell’[AnerkennungsG], le condizioni che seguono.

1)   La comunità religiosa deve:

a)

esistere in Austria da almeno 20 anni, dei quali 10 in forma organizzata e almeno 5 come comunità religiosa dotata di personalità giuridica ai sensi della presente legge; o

b)

essere integrata sotto il profilo organizzativo e dottrinale in un’associazione religiosa attiva a livello internazionale che esiste da almeno 100 anni ed essere già attiva in Austria in forma organizzata da almeno 10 anni; o

c)

essere integrata sotto il profilo organizzativo e dottrinale in un’associazione religiosa attiva a livello internazionale che esiste da almeno 200 anni e

d)

riunire un numero di membri pari almeno al 2 per mille della popolazione austriaca, come determinata nell’ultimo censimento. Se la comunità religiosa non è in grado di fornire tale prova sulla base dei dati del censimento, essa è tenuta a fornirla in qualsiasi altra forma idonea.

2)   I proventi e le risorse della comunità religiosa possono essere utilizzati soltanto a fini religiosi, ivi compresi fini caritativi e di interesse generale fondati su principi religiosi.

3)   La comunità dei fedeli deve essere rispettosa nei confronti della società e dello Stato.

4)   Essa non deve causare perturbazioni illecite nei rapporti con le chiese e le associazioni religiose riconosciute dalla legge e con altre comunità religiose esistenti».

7.

Sotto la rubrica «Sovvenzionamento di scuole private confessionali», l’articolo 17 del Privatschulgesetz (legge austriaca sulle scuole private; in prosieguo: il «PrivSchG») ( 4 ), in materia di ammissibilità, prevede quanto segue:

«1)   Le chiese e le associazioni religiose legalmente riconosciute beneficiano di sovvenzioni per le spese del personale delle scuole private confessionali riconosciute dallo Stato in conformità con le seguenti disposizioni.

2)   Per scuole private confessionali s’intendono le scuole istituite e mantenute da chiese e associazioni religiose legalmente riconosciute e dalle loro istituzioni, nonché le scuole istituite e mantenute da associazioni, fondazioni e fondi, che sono riconosciute come scuole confessionali dall’autorità superiore ecclesiastica (associazione religiosa) competente».

8.

L’articolo 18, paragrafo 1, del PrivSchG, concernente l’ambito di applicazione delle sovvenzioni, così recita:

«Alle chiese e alle associazioni religiose legalmente riconosciute è fornito, a titolo di sovvenzione, il personale docente necessario per l’attuazione del programma della scuola di cui trattasi (...), purché il rapporto tra il numero di studenti e insegnanti della scuola confessionale in questione corrisponda essenzialmente a quello che caratterizza gli istituti scolastici pubblici di tipo e ubicazione identici o comparabili».

9.

Ai sensi dell’articolo 19 del PrivSchG, rubricato «Natura della sovvenzione», le sovvenzioni per la retribuzione del personale sono erogate, in linea di principio, mediante l’assegnazione di insegnanti, dipendenti dello Stato federale o del Land o ad essi legati da contratto, a titolo di «sovvenzioni in termini di risorse umane».

10.

L’articolo 21 del PrivSchG, relativo alle condizioni per il sovvenzionamento di altre scuole private, così dispone:

«1)   Alle scuole private riconosciute dallo Stato che non rientrano nell’articolo 17, lo Stato federale può assegnare sovvenzioni per le spese del personale sulla base dei fondi disponibili ai sensi della rispettiva legge finanziaria federale, qualora

(…)

b) la gestione della scuola non abbia fini di lucro,

(…)».

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

11.

La Freikirche der Siebenten-Tags-Adventisten in Deutschland KdöR (Chiesa libera avventista del settimo giorno in Germania; in prosieguo: la «ricorrente») è un’associazione religiosa riconosciuta in Germania, in cui beneficia dello status di persona giuridica di diritto pubblico. Essa non gode dello stesso status in Austria.

12.

Nel 2019 la ricorrente ha riconosciuto come scuola confessionale un istituto privato in Austria, gestito da un’associazione privata e costituito da una scuola primaria e secondaria, e ha presentato una richiesta di finanziamento pubblico per il suo personale ai sensi delle disposizioni del PrivSchG.

13.

Con decisione del 3 settembre 2019, la Bildungsdirektion für Voralberg (direzione dell’istruzione e formazione del Vorarlberg, Austria) ha respinto tale richiesta.

14.

La ricorrente ha impugnato tale decisione. Detta impugnazione è stata tuttavia respinta, in quanto infondata, con sentenza del Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Austria) del 26 febbraio 2020. Tale giudice ha ritenuto che la scuola in questione non possedesse lo status giuridico speciale concesso alle scuole «confessionali» ai sensi dell’articolo 18 del PrivSchG, poiché la ricorrente non era legalmente riconosciuta in Austria quale chiesa o associazione religiosa. Esso ha quindi concluso che i requisiti di cui agli articoli 17 e seguenti del PrivSchG non erano soddisfatti.

15.

La ricorrente ha proposto un ricorso per cassazione avverso la sentenza del Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) dinanzi al Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria). Nutrendo dubbi quanto alla compatibilità con il diritto dell’Unione della normativa nazionale pertinente (in prosieguo: la «normativa nazionale di cui trattasi»), tale giudice ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.

Se, alla luce dell’articolo 17 TFUE, rientri nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e, in particolare, dell’articolo 56 TFUE, una situazione in cui un’associazione religiosa riconosciuta e stabilita in uno Stato membro dell’Unione europea chieda, in un altro Stato membro, sovvenzioni a favore di una scuola privata da essa riconosciuta come confessionale e che viene gestita in tale altro Stato membro da un’associazione registrata in detto Stato membro conformemente al diritto dello stesso.

In caso di risposta affermativa alla prima questione:

2.

Se l’articolo 56 TFUE debba essere interpretato nel senso che osta a una disposizione nazionale che prevede, come condizione per la sovvenzione di scuole private confessionali, che il richiedente sia riconosciuto come chiesa o associazione religiosa dal diritto nazionale».

16.

La ricorrente, i governi ceco e austriaco, nonché la Commissione europea, hanno presentato osservazioni scritte.

IV. Analisi

17.

Nei paragrafi che seguono esaminerò i due problemi principali sollevati dalle questioni proposte, che riguardano, in sostanza, gli effetti dell’articolo 17, paragrafo 1, TFUE (A) e l’ambito di applicazione dell’articolo 49 TFUE (B).

A.   Prima questione: effetti dell’articolo 17 TFUE

18.

Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 17, paragrafo 1, TFUE osti all’applicazione delle norme dell’Unione in materia di libera circolazione dei servizi nell’ipotesi in cui un’associazione religiosa, stabilita in uno Stato membro, riconosca una scuola situata in un altro Stato membro come scuola confessionale e chieda finanziamenti pubblici nel secondo Stato membro.

19.

A mio avviso, a tale questione si dovrebbe rispondere in senso negativo.

20.

L’articolo 17, paragrafo 1, TFUE stabilisce che l’Unione europea «rispetta e non pregiudica lo status di cui le chiese e le associazioni o comunità religiose godono negli Stati membri in virtù del diritto nazionale». A tal riguardo, la Corte ha dichiarato che tale disposizione «esprime (...) la neutralità dell’Unione nei confronti dell’organizzazione, da parte degli Stati membri, dei loro rapporti con le chiese e le associazioni o comunità religiose» ( 5 ) e sancisce il principio dell’autonomia organizzativa delle comunità religiose ( 6 ).

21.

A mio avviso, le statuizioni della Corte implicano che l’Unione europea non possiede una competenza specifica ai fini della disciplina di questioni concernenti il funzionamento interno delle comunità religiose e il loro rapporto con gli Stati membri. Pertanto, spetta a ciascuno Stato membro, in linea di principio, definire il tipo di rapporti che intende intrattenere con le comunità religiose e, a tal fine, adottare norme che disciplinino questioni quali, ad esempio, lo status giuridico e la portata dell’autonomia delle comunità religiose, il loro finanziamento, nonché qualsiasi status speciale riconosciuto ai loro ministri di culto o al loro personale ( 7 ).

22.

Ciò non significa, tuttavia, che tali organizzazioni non debbano rispettare le norme dell’Unione ad esse eventualmente applicabili, né che gli Stati membri siano liberi di adottare normative ecclesiastiche incompatibili con il diritto dell’Unione. Infatti, anche quando agiscono in settori rientranti nella loro competenza, gli Stati membri sono tenuti a esercitare tale competenza nel rispetto del diritto dell’Unione ( 8 ) e a rispettare gli obblighi per essi derivanti dal diritto dell’Unione ( 9 ).

23.

Infatti, la Corte si è pronunciata in numerose occasioni sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di norme nazionali concernenti il rapporto tra uno Stato membro e le comunità religiose. In particolare, alcune di queste cause riguardano situazioni che presentano talune analogie con la causa in esame. Ad esempio, la Corte ha già esaminato la questione se misure nazionali che prevedono finanziamenti a favore di scuole confessionali ( 10 ) o esenzioni fiscali a favore di attività svolte da comunità religiose ( 11 ) siano conformi alle regole dell’Unione in materia di aiuti di Stato. Analogamente, la Corte ha altresì confermato che il fatto che un’attività sia svolta da una comunità religiosa o da un membro di quest’ultima non osta all’applicazione delle norme dell’Unione sul mercato interno ( 12 ).

24.

Ciò non è rimesso in discussione dall’articolo 17, paragrafo 1, TFUE. Come sottolineato dall’avvocato generale Tanchev, dall’articolo 17, paragrafo 1, TFUE non risulta che i rapporti tra le comunità religiose e uno Stato membro siano completamente sottratti a qualsiasi controllo del rispetto del diritto dell’Unione, «qualunque siano le circostanze» ( 13 ). In altri termini, l’articolo 17, paragrafo 1, TFUE non può essere considerato, prendendo a prestito le parole dell’avvocato generale Bobek, come una sorta di «esenzione in blocco» per ogni questione concernente una comunità religiosa e i suoi rapporti con le autorità nazionali ( 14 ). La Corte ha dichiarato, infatti, che l’articolo 17, paragrafo 1, TFUE non può essere invocato per esentare dal rispetto, fra l’altro, delle norme dell’Unione sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro ( 15 ) o sulla protezione dei dati personali ( 16 ).

25.

Alla luce di quanto precede, si deve concludere che l’articolo 17, paragrafo 1, TFUE non osta all’applicazione delle norme dell’Unione in materia di libera circolazione dei servizi in circostanze in cui un’associazione religiosa, stabilita in uno Stato membro, riconosca una scuola situata in un altro Stato membro come scuola confessionale e chieda finanziamenti pubblici in quest’ultimo Stato.

B.   Seconda questione: ambito di applicazione dell’articolo 49 TFUE

26.

Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se le norme dell’Unione in materia di libera circolazione dei servizi ostino a una normativa nazionale che prevede, come condizione per il sovvenzionamento di scuole private confessionali, che il richiedente sia riconosciuto come chiesa o associazione religiosa ai sensi del diritto nazionale.

27.

Nelle sezioni che seguono, dopo aver svolto alcune osservazioni preliminari che chiariscono la disposizione del diritto dell’Unione applicabile (1), esaminerò il merito di tale questione. Spiegherò il motivo per cui ritengo che il diritto di stabilimento non possa essere invocato dai prestatori al fine di essere autorizzati a esercitare un’attività non economica in un altro Stato membro (2). In subordine, spiegherò le ragioni per le quali ritengo che una normativa nazionale come quella di cui trattasi possa costituire una restrizione al diritto di stabilimento, ma possa essere giustificata in quanto necessaria e proporzionata alla realizzazione di taluni obiettivi pubblici degni di tutela (3).

1. Osservazioni preliminari

28.

In via preliminare, può essere utile chiarire quale disposizione specifica del diritto dell’Unione sia applicabile nel caso di specie. Svolgerò due osservazioni a tal riguardo.

29.

In primo luogo, il giudice del rinvio s’interroga sulla compatibilità di normativa nazionale come quella di cui trattasi con l’articolo 56 TFUE, che sancisce la libertà di prestazione dei servizi. Tuttavia, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, non è l’articolo 56 TFUE a trovare applicazione, bensì l’articolo 49 TFUE, che riguarda il diritto di stabilimento.

30.

Infatti, secondo una giurisprudenza costante della Corte, la nozione di stabilimento implica che l’operatore offra i suoi servizi in maniera stabile e continuativa da un domicilio professionale nello Stato membro ospitante. Di converso, una prestazione di servizi che non sono offerti in maniera stabile e continuativa da un domicilio professionale nello Stato membro ospitante costituisce una «prestazione di servizi», ai sensi dell’articolo 56 TFUE ( 17 ).

31.

Poiché l’attività di cui trattasi nel procedimento principale è la gestione di una scuola che offre, in maniera stabile e continuativa, servizi di insegnamento a studenti della scuola primaria e secondaria in Austria, ritengo che la presente fattispecie rientri nell’ambito di applicazione delle norme dell’Unione in materia di stabilimento ( 18 ).

32.

Inoltre, è assodato che le norme dell’Unione in materia di libera circolazione, comprese quelle relative alla libertà di prestazione dei servizi e alla libertà di stabilimento, non si applicano a una fattispecie i cui elementi si collocano tutti all’interno di un solo Stato membro ( 19 ). Tali norme possono quindi essere validamente invocate soltanto in situazioni caratterizzate da un elemento transfrontaliero. Tale requisito discende dalla finalità stessa delle disposizioni sul mercato interno, ossia la liberalizzazione degli scambi nell’Unione ( 20 ).

33.

Nel caso di specie, a differenza di quanto sostenuto dal governo austriaco, tale requisito è soddisfatto. La ricorrente, una comunità religiosa, è una persona giuridica con sede in Germania, che ha presentato una richiesta di finanziamento in un altro Stato membro, segnatamente l’Austria. Come rilevato dal giudice del rinvio, tale richiesta è stata presentata in conformità al diritto nazionale austriaco. Infatti, ai sensi dell’articolo 17 del PrivSchG, le comunità religiose sono (da un punto di vista formale) le beneficiarie di tale finanziamento. Nel caso di specie, dunque, è presente un elemento transfrontaliero.

34.

Fatte tali precisazioni, mi occuperò ora delle questioni di merito sollevate dalla seconda questione pregiudiziale.

2. Non invocabilità dell’articolo 49 TFUE da parte di prestatori di servizi al fine di poter esercitare un’attività non economica in un altro Stato membro

35.

Secondo una giurisprudenza costante, l’articolo 49 TFUE osta a qualsiasi provvedimento nazionale che, pur se applicabile senza discriminazioni in base alla nazionalità, possa ostacolare o scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato FUE ( 21 ).

36.

Occorre tuttavia ricordare che le norme dell’Unione relative allo stabilimento, al pari di quelle concernenti le altre libertà del mercato interno, si applicano soltanto quando l’attività di cui trattasi può essere qualificata come «economica». A tal riguardo, da una giurisprudenza costante della Corte risulta che costituisce un’attività economica qualsiasi attività che consista nell’offrire beni o servizi su un determinato mercato ( 22 ).

37.

Più precisamente, l’articolo 57 TFUE stabilisce che i «servizi» ai sensi dei trattati sono prestazioni «fornite normalmente dietro retribuzione». La caratteristica essenziale della retribuzione va ravvisata, come statuito dalla Corte, nella circostanza che essa costituisce il corrispettivo economico della prestazione di cui trattasi ( 23 ) ed è normalmente convenuta tra il prestatore e il destinatario del servizio ( 24 ).

38.

La Corte ha accolto un’interpretazione alquanto ampia della nozione di «retribuzione» ( 25 ). In particolare, l’applicazione delle norme in materia di libertà di prestazione dei servizi non è esclusa dalla circostanza che la retribuzione del servizio sia: i) di importo ridotto ( 26 ), ii) fornita sotto forma di un vantaggio in natura ( 27 ); iii) corrisposta da un soggetto diverso dal destinatario del servizio ( 28 ) o iv) successivamente rimborsata da un terzo ( 29 ). Analogamente, un servizio può rientrare nell’ambito di applicazione dell’articolo 49 TFUE anche qualora il prestatore non miri a realizzare un utile ( 30 ).

39.

Tuttavia, in un modo o nell’altro, deve essere effettuato un pagamento (o un trasferimento di un qualsivoglia beneficio di valore economico) che rappresenti una forma di «corrispettivo» per la prestazione fornita ( 31 ). La Corte ha costantemente affermato che «il fattore decisivo che riconduce un’attività nell’ambito di applicazione delle disposizioni del Trattato relative alla libera prestazione dei servizi è il suo carattere economico» ( 32 ). Ciò non si verifica, ad esempio, quando l’attività è esercitata a titolo gratuito ( 33 ) o s’inserisce nell’ambito di un sistema non basato su una logica commerciale ( 34 ). Ciò che è determinante affinché un’attività possa essere considerata «economica» è, a mio avviso, che l’operazione tra il prestatore e il destinatario sia fondata su un quid pro quo ( 35 ), nel quale possa essere ravvisato un rapporto ragionevole tra il valore del servizio prestato e il pagamento effettuato a titolo di corrispettivo.

40.

Alla luce di tali principi, per quanto riguarda le attività di insegnamento, la Corte ha statuito che i corsi impartiti da istituti scolastici finanziati essenzialmente da fondi privati costituiscono «servizi» ai sensi del diritto dell’Unione. Di conseguenza, il diritto nazionale che disciplina tali attività deve, in linea di principio, rispettare le regole del mercato interno e, più in particolare, le regole relative alla libera circolazione dei servizi. Di converso, l’offerta di corsi d’insegnamento da parte di istituti integrati in un sistema di istruzione pubblico e finanziati, interamente o principalmente, mediante fondi pubblici non costituisce un’attività economica ai fini delle norme dell’Unione sul mercato interno. Infatti, istituendo e mantenendo un siffatto sistema di insegnamento pubblico, finanziato di norma dal bilancio pubblico e non dagli studenti o dai loro genitori, lo Stato non intende impegnarsi in attività remunerate, bensì adempie la propria missione nei settori sociale, culturale e educativo nei confronti della propria popolazione ( 36 ).

41.

Nella presente fattispecie, mi sembra di capire che l’attività di insegnamento svolta dalla scuola (privata) di cui trattasi sia attualmente finanziata mediante fondi privati, compresi quelli forniti dai suoi studenti e dai loro genitori. Pertanto, tale attività può essere qualificata come «economica» ai sensi del diritto dell’Unione.

42.

Ciò detto, nel caso di specie si pongono due questioni. In primo luogo, l’attività che tale scuola intende svolgere in Austria, se e quando otterrà il finanziamento pubblico richiesto, può continuare a essere qualificata come «economica» ai fini delle regole sul mercato interno? In secondo luogo, qualora non possa essere qualificata come tale, ciò inciderebbe in qualche modo sulla risposta da fornire alla seconda questione posta dal giudice del rinvio?

43.

Per quanto riguarda la prima questione, il governo austriaco e la Commissione sostengono che, in caso di concessione del finanziamento pubblico richiesto, l’attività che tale scuola eserciterebbe in Austria non potrebbe più essere considerata un’attività «economica».

44.

Se la mia interpretazione della normativa nazionale di cui trattasi è corretta, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare, tenderei a concordare con tale posizione. Infatti, qualora la scuola in questione fosse ammessa nel sistema istituito dalla normativa nazionale di cui trattasi, sembra che tale scuola soddisferebbe le due condizioni alle quali, conformemente alla giurisprudenza della Corte richiamata al precedente paragrafo 40, l’offerta di corsi di insegnamento non può essere considerata come un «servizio» ai fini delle regole sul mercato interno: i) la scuola è integrata in un sistema di istruzione pubblico, e ii) tale sistema è finanziato interamente o principalmente mediante fondi pubblici.

45.

Infatti, la normativa nazionale di cui trattasi non si limita a stabilire un meccanismo per il finanziamento delle scuole confessionali, ma sembra spingersi oltre, prevedendo, in sostanza, una piena integrazione di dette scuole nel sistema di istruzione pubblico.

46.

Le scuole private possono essere riconosciute come «confessionali» soltanto da comunità religiose riconosciute come tali in Austria. Dette comunità sono costituite in forma di persone giuridiche di diritto pubblico, i cui proventi e le cui risorse possono essere utilizzati soltanto a fini religiosi, ivi compresi fini non lucrativi e caritativi fondati su obiettivi religiosi ( 37 ). Alle comunità religiose sono riconosciuti diritti speciali, ma sono altresì assegnati compiti specifici attraverso i quali, secondo l’espressione impiegata dal Verfassungsgerichshof (Corte costituzionale, Austria) esse «influiscono, al loro livello, sulla vita pubblica nazionale» ( 38 ). Uno di tali compiti riguarda proprio l’istruzione, poiché esse sono responsabili dell’insegnamento religioso nelle scuole ( 39 ) e sono tenute a fornire, a tal riguardo, un insegnamento «di qualità» ( 40 ).

47.

Ai fini dell’assolvimento dei loro compiti, le comunità religiose hanno il diritto di ricevere sovvenzioni per le spese del personale che, in linea di principio, sono erogate mediante l’assegnazione di insegnanti dipendenti dello Stato federale o di un Land o ad essi legati da contratto, a titolo di «sovvenzioni in termini di risorse umane». Il personale assegnato è costituito da personale incaricato dell’attuazione del programma scolastico di cui trattasi (compreso il posto di preside e ogni servizio aggiuntivo che il personale docente in scuole pubbliche comparabili deve fornire) ( 41 ). Per quanto mi è dato comprendere, le scuole sovvenzionate con fondi pubblici in Austria non soltanto non possono essere gestite a scopo di lucro ( 42 ), ma, soprattutto, sono finanziate principalmente mediante fondi pubblici.

48.

Pertanto, fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, ritengo che, inevitabilmente, la natura dell’attività della scuola di cui trattasi, una volta ammessa al sistema di finanziamento pubblico istituito dal PrivScG, muterebbe e cesserebbe di essere «economica». Tale attività sarebbe quindi esercitata in un sistema gestito dallo Stato, che non risponde a una logica commerciale.

49.

Tale conclusione provvisoria solleva la seguente questione: l’articolo 49 TFUE può essere validamente invocato con riferimento a un’attività economica nello Stato membro ospitante in circostanze in cui, in caso di rimozione dell’asserita restrizione, essa perderebbe il suo carattere economico?

50.

In proposito, concordo nuovamente con il governo austriaco e la Commissione sul fatto che la risposta a tale questione dovrebbe essere negativa.

51.

A tal riguardo, non si deve dimenticare che l’obiettivo perseguito dalle norme dell’Unione sul mercato interno è eliminare ogni intralcio per gli scambi all’interno dell’Unione al fine di fondere i mercati nazionali in un mercato unico il più possibile simile ad un vero e proprio mercato interno ( 43 ). Lo scopo fondamentale del mercato interno è garantire, all’interno dell’Unione europea, un flusso libero dei fattori produttivi necessari per l’esercizio di attività economiche, al fine di garantire un’allocazione ottimale delle risorse e massimizzare il benessere economico ( 44 ).

52.

Viceversa, le norme sul mercato interno non sono intese a perseguire forme di integrazione non economica tra gli Stati membri dell’Unione, che possono formare oggetto di altre disposizioni dei trattati dell’Unione. Di conseguenza, dette norme non possono, in linea di principio, essere invocate in assenza di un’attività esercitata in una logica commerciale ( 45 ).

53.

Infatti, secondo una giurisprudenza costante della Corte, la nozione di «stabilimento» ai sensi dei trattati dell’Unione implica l’esercizio effettivo di un’attività economica nello Stato membro ospitante ( 46 ). Tale principio si rinviene altresì in una serie di cause in cui la Corte ha escluso, in tutto o in parte, talune attività dall’ambito di applicazione delle disposizioni dell’Unione sulla libera circolazione dei servizi.

54.

Anzitutto, in un filone giurisprudenziale costante, la Corte ha dichiarato che le attività connesse alla gestione del pubblico servizio della previdenza sociale, che svolgono una funzione di carattere esclusivamente sociale, non sono «economiche» allorché sono fondate sul principio della solidarietà nazionale e non hanno alcuno scopo di lucro ( 47 ).

55.

Inoltre, nella causa Sodemare e a., in cui una società ha invocato le norme dell’Unione in materia di libera circolazione dei servizi al fine di essere autorizzata a fornire servizi socio-assistenziali a rilevanza sanitaria, nonostante la normativa nazionale riservasse la possibilità di partecipare alla gestione del sistema di assistenza sociale ai soli operatori privati senza scopo di lucro, la Corte ha negato l’applicabilità dell’articolo 49 TFUE. Essa ha ricordato che, secondo un principio consolidato, il diritto dell’Unione non menoma la competenza degli Stati membri a prefigurare i loro sistemi previdenziali come meglio intendono. Nell’esercizio delle competenze delle quali disponevano in materia, quindi, gli Stati membri potevano legittimamente stabilire che l’ammissione di operatori privati a tale sistema in quanto prestatori di servizi d’assistenza sociale fosse subordinata alla condizione che essi non perseguissero fini di lucro ( 48 ).

56.

Una logica analoga è stata seguita dalla Corte nella causa Analisi G. Caracciolo, in cui una società intendeva avvalersi, in particolare, delle norme relative alla libera circolazione dei servizi per opporsi al suo mancato accreditamento ai sensi del regolamento (CE) n. 765/2008, che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti e che abroga il regolamento (CEE) n. 339/93 ( 49 ). Nella sua sentenza, la Corte ha confermato la validità delle disposizioni dell’Unione ai sensi delle quali l’accreditamento era effettuato esclusivamente da un unico organismo nazionale. La Corte ha statuito che le norme relative alla libera circolazione dei servizi non erano applicabili a tale causa poiché l’organismo di accreditamento svolgeva un’attività di autorità pubblica, al di fuori di qualsiasi contesto commerciale, e operava senza fini di lucro ( 50 ).

57.

Sulla base delle considerazioni che precedono ritengo che le norme dell’Unione in materia di libera prestazione di servizi non possano essere invocate in riferimento a un’attività economica nel caso in cui tale attività, per effetto della rimozione dell’asserita restrizione, perderebbe necessariamente il suo carattere economico.

58.

Una conclusione diversa sarebbe, a mio avviso, non soltanto difficilmente conciliabile con la definizione di «servizi» di cui all’articolo 57 TFUE, secondo l’interpretazione costante che ne ha dato la Corte, ma, soprattutto, estenderebbe in modo eccessivo l’ambito di applicazione delle norme sulla libera circolazione, ponendosi in tal modo in contrasto con la loro stessa ragion d’essere.

59.

Alla luce di quanto precede, concludo che l’articolo 49 TFUE non osta a una normativa nazionale che prevede, quale condizione per il sovvenzionamento di scuole private confessionali, che il richiedente sia riconosciuto come chiesa o associazione religiosa ai sensi del diritto nazionale, qualora tale sovvenzione abbia come conseguenza la piena integrazione della scuola nel sistema pubblico.

60.

Tuttavia, qualora la Corte non condivida tale punto di vista, o qualora il giudice del rinvio ritenga che l’analisi si fondi su un’interpretazione errata del diritto nazionale, valuterò, in subordine, la compatibilità con l’articolo 49 TFUE di una normativa nazionale quale quella di cui trattasi.

3. L’articolo 49 TFUE non osta a una normativa nazionale quale quella di cui trattasi

61.

L’articolo 49 TFUE osta non soltanto alle discriminazioni palesi in base alla cittadinanza, ma anche a qualsiasi forma dissimulata di discriminazione che, in applicazione di altri criteri di distinzione, conduca di fatto allo stesso risultato ( 51 ). In particolare, come indicato al precedente paragrafo 35, l’articolo 49 TFUE osta a qualsiasi provvedimento nazionale che possa ostacolare o scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di stabilimento garantita dal Trattato FUE.

62.

Nella presente fattispecie, ritengo che una normativa nazionale come quella di cui trattasi sia indirettamente discriminatoria, e che la differenza di trattamento tra scuole risultante da tale normativa possa ostacolare o scoraggiare l’esercizio, da parte di persone, associazioni e società stabilite in un altro Stato membro, del loro diritto di stabilimento in Austria.

63.

In primo luogo, secondo la normativa nazionale di cui trattasi, soltanto le scuole confessionali hanno il diritto di beneficiare di finanziamenti pubblici ( 52 ). Altre scuole private possono ricevere finanziamenti, a determinate condizioni, qualora lo Stato federale abbia destinato a tal fine taluni fondi nel bilancio federale ( 53 ).

64.

Per scuole confessionali private, ai sensi della normativa nazionale di cui trattasi, si intendono soltanto quelle affiliate a comunità religiose legalmente riconosciute ( 54 ). Tra le condizioni per il riconoscimento da parte dello Stato figurano i requisiti ai sensi dei quali la comunità religiosa deve i) essere attiva in Austria da un determinato numero di anni e, ii) possedere un numero di fedeli pari almeno a una determinata percentuale della popolazione austriaca ( 55 ).

65.

È ovvio che tali requisiti sono più facilmente soddisfatti da comunità che possiedono una certa forma di stabilimento in Austria.

66.

In secondo luogo, mi sembra altresì evidente che una normativa di uno Stato membro che prevede finanziamenti pubblici soltanto per determinati tipi di scuole a gestione privata (ossia le scuole confessionali) e non ad altre (vale a dire le scuole non confessionali, ivi comprese quelle affiliate a comunità religiose non legalmente riconosciute), può scoraggiare talune persone fisiche o giuridiche, in particolare, come spiegato in precedenza, quelle non stabilite in Austria, dall’istituire nuove scuole in tale Stato membro.

67.

Le scuole private che non ricevono alcun finanziamento pubblico sono manifestamente sfavorite rispetto a quelle che ne beneficiano. Queste ultime dovrebbero, di regola, poter offrire servizi analoghi a rette inferiori, dato che un’ampia porzione dei loro costi è coperta da fondi pubblici. Gli importi pagati dagli studenti e dai loro genitori «si aggiungono» ai fondi pubblici. Per contro, le scuole non confessionali devono finanziare le loro attività principalmente mediante fondi privati, e le rette degli studenti costituiscono, di norma, una parte significativa di detti fondi.

68.

In tale contesto, ritengo che una normativa nazionale che prevede, quale condizione per il sovvenzionamento di scuole private (confessionali), che il richiedente sia riconosciuto come chiesa o associazione religiosa ai sensi del diritto nazionale costituisca una «restrizione» al diritto di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 TFUE.

69.

Ciò premesso, secondo costante giurisprudenza, una restrizione alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo a condizione, in primo luogo, di essere giustificata da motivi di ordine pubblico, pubblica sicurezza e sanità pubblica o da una ragione imperativa di interesse generale e, in secondo luogo, di rispettare il principio di proporzionalità. Per quanto riguarda la proporzionalità, la misura nazionale deve essere idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non deve eccedere quanto necessario per conseguirlo. Inoltre, la misura nazionale deve essere stricto sensu proporzionata, dovendo operare un giusto bilanciamento degli interessi in gioco, ossia l’interesse perseguito dallo Stato mediante la misura in questione e quello delle persone sulle quali essa incide negativamente ( 56 ).

70.

A tal riguardo, il governo austriaco sottolinea che, in Austria, le scuole private confessionali completano il sistema pubblico delle scuole, poiché le scuole pubbliche sono soltanto interconfessionali. Le scuole private confessionali consentono quindi ai genitori di scegliere per i loro figli un’educazione conforme alle loro convinzioni religiose. In tale contesto, il governo austriaco richiama l’articolo 2 del protocollo n. 1 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «CEDU») che, per quanto riguarda il diritto all’istruzione, stabilisce che «[l]o Stato (...) deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche».

71.

Detto governo sostiene, in sostanza, che la limitazione delle sovvenzioni pubbliche a tali scuole persegue un duplice obiettivo: garantire un uso ragionevole delle risorse pubbliche, che a sua volta garantisce la qualità dell’istruzione, e tutelare la pubblica sicurezza. Tale governo sottolinea che la procedura di riconoscimento delle comunità religiose consente alle autorità pubbliche di controllare, in particolare, che la comunità di cui trattasi disponga di un’organizzazione stabile e di un numero sufficiente di fedeli, che essa sia rispettosa della società e dello Stato e che non metta in pericolo la pace religiosa.

72.

Si tratta, a mio avviso, di obiettivi legittimi che, in linea di principio, possono giustificare restrizioni al diritto di stabilimento. Infatti, l’articolo 52 TFUE consente agli Stati membri di introdurre o mantenere deroghe al diritto di stabilimento per motivi, tra l’altro, di pubblica sicurezza. Inoltre, la Corte ha ammesso che sia un rischio di grave alterazione dell’equilibrio finanziario di una politica sociale ( 57 ), sia l’obiettivo di garantire un livello elevato dell’istruzione ( 58 ) possono costituire motivi imperativi di interesse generale idonei a giustificare ostacoli alla libertà di circolazione.

73.

Occorre poi esaminare se una normativa nazionale come quella di cui trattasi sia idonea a conseguire tali obiettivi, nel senso di contribuire utilmente alla loro realizzazione.

74.

A mio parere è così.

75.

In primo luogo, concordo con il governo austriaco sul fatto che limitare le sovvenzioni alle scuole che hanno maggiore probabilità di essere frequentate da un numero significativo di studenti e che sono connesse a un’organizzazione stabile costituisce una misura ragionevole per garantire un controllo dei costi e ad evitare, per quanto possibile, qualsiasi spreco di risorse finanziarie, tecniche e umane ( 59 ). Un utilizzo ragionevole delle risorse disponibili, necessariamente limitate, è altresì idoneo a promuovere la prestazione di migliori servizi di insegnamento.

76.

In secondo luogo, la storia più e meno recente mostra che l’insegnamento religioso, la predicazione e il proselitismo possono, in talune rare circostanze, essere utilizzati per veicolare idee idonee a mettere in pericolo la sicurezza pubblica. In tale situazione, dette attività non possono essere considerate tutelate dal diritto alla libertà di espressione o di religione ( 60 ) e uno Stato membro deve quindi essere in grado, come statuito dalla Corte EDU, di mantenere «l’ordine pubblico, l’armonia religiosa e la tolleranza in una società democratica», in particolare tra gruppi contrapposti ( 61 ). Un controllo ex ante della compatibilità dell’ideologia e delle convinzioni di una comunità religiosa con i valori fondamentali della società appare adeguato, almeno in una certa misura, a limitare tale rischio.

77.

Ciò premesso, la normativa nazionale di cui trattasi eccede quanto necessario per raggiungere i suoi obiettivi o non realizza un giusto equilibrio tra gli interessi in gioco?

78.

A mio avviso, si tratta di questioni in relazione alle quali i giudici del rinvio si trovano, in generale, nella posizione migliore per pronunciarsi. Ciò è particolarmente vero nel caso di specie, poiché la parte che ha invocato il diritto di stabilimento, ricorrente nel procedimento principale, non ha dedotto alcun argomento al riguardo.

79.

In ogni caso, devo osservare che, sulla base degli elementi contenuti nel fascicolo, non sono in grado di individuare alcuna possibile misura meno restrittiva nei confronti dei prestatori di servizi rispetto alla normativa nazionale di cui trattasi, e parimenti idonea a raggiungere gli obiettivi perseguiti da tale normativa. Dal fascicolo non emerge neppure alcun elemento tale da suggerire che, limitando il finanziamento pubblico alle scuole affiliate a comunità religiose legalmente riconosciute, le autorità austriache possano aver operato un bilanciamento errato degli interessi pubblici perseguiti dalla normativa di cui trattasi con quelli dei soggetti che ne risultano lesi (nella fattispecie, le comunità religiose non riconosciute).

80.

A tal riguardo, rilevo altresì che i criteri da soddisfare affinché una comunità religiosa sia legalmente riconosciuta non sembrano irragionevoli o eccessivi per una comunità caratterizzata da una presenza e un’attività significative nel paese. Mi risulta altresì che, se i criteri sono soddisfatti, le autorità pubbliche non dispongono di alcun potere discrezionale in materia dato che il riconoscimento è concesso automaticamente, il che dovrebbe garantire un trattamento giusto ed equo delle diverse comunità religiose ( 62 ).

81.

La circostanza che la ricorrente nel procedimento principale abbia lo status di associazione religiosa riconosciuta in Germania è irrilevante al riguardo. Infatti, nessuna disposizione del diritto dell’Unione può essere interpretata nel senso che prevede un meccanismo di «riconoscimento reciproco» tra gli Stati membri per quanto concerne le comunità religiose. Come giustamente rilevato dal governo ceco, un siffatto principio priverebbe l’articolo 17, paragrafo 1, TFUE, in larga misura, del suo effetto utile, poiché limiterebbe fortemente la libertà degli Stati membri di occuparsi delle comunità religiose come meglio intendono.

82.

Soprattutto, sono dell’avviso che l’articolo 17, paragrafo 1, TFUE implichi necessariamente, in tale contesto, che gli Stati membri devono disporre di un ampio margine di manovra per quanto riguarda le norme relative al riconoscimento delle comunità religiose e al rapporto che intendono stabilire con esse. Dovrebbe esistere un certo margine di manovra anche per quanto concerne i rapporti finanziari stabiliti dagli Stati membri con le comunità religiose ( 63 ).

83.

È interessante osservare che, su tale punto, la Corte EDU – che è stata investita di alcune cause concernenti, in particolare, asserite violazioni della libertà di religione ( 64 ) – è pervenuta a conclusioni simili. Tale giudice ha riconosciuto che gli Stati membri dispongono di un ampio margine di discrezionalità per quanto concerne il modo in cui intendono organizzare i loro rapporti con le comunità religiose, la possibilità di affidare a queste ultime lo svolgimento di determinati compiti (anche non religiosi) nell’interesse generale, nonché il finanziamento di tali comunità o di talune attività di queste ultime, quale l’offerta di corsi di insegnamento. Il margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri non è stato escluso per il mero fatto che la normativa nazionale in questione operasse un trattamento diverso delle varie comunità, concedendo un maggiore sostegno ad alcune rispetto ad altre ( 65 ). In tale contesto, la Corte EDU ha altresì statuito che l’articolo 2 del protocollo n. 1 ( 66 ) non può essere interpretato nel senso che i genitori possono esigere che Stato fornisca una determinata forma di insegnamento (religioso) ( 67 ).

84.

A mio avviso, dalle summenzionate considerazioni discende che una normativa nazionale come quella di cui trattasi nella presente causa costituisce una restrizione al diritto di stabilimento, ma può essere giustificata in quanto necessaria e proporzionata alla realizzazione di determinati obiettivi pubblici degni di tutela. Spetta al giudice del rinvio verificare se ciò ricorre nel caso di specie.

85.

Alla luce di quanto precede, devo concludere che l’articolo 49 TFUE non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale che prevede, quale condizione per il sovvenzionamento di scuole private confessionali, che il richiedente sia riconosciuto come chiesa o associazione religiosa ai sensi del diritto nazionale.

V. Conclusione

86.

In conclusione, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali poste dal Verwaltungsgerichtshof (Corte amministrativa, Austria) nei seguenti termini:

L’articolo 17, paragrafo 1, TFUE non osta all’applicazione delle norme dell’Unione relative alla libera circolazione dei servizi nell’ipotesi in cui un’associazione religiosa, stabilita in uno Stato membro, riconosca una scuola situata in un altro Stato membro come scuola confessionale e chieda finanziamenti pubblici in quest’ultimo Stato.

L’articolo 49 TFUE non osta, in linea di principio, a una normativa nazionale che prevede, come condizione per il sovvenzionamento di scuole private confessionali, che il richiedente sia riconosciuto come chiesa o associazione religiosa ai sensi del diritto nazionale.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) RGBl. n. 68/1874.

( 3 ) BGB1. I, 19/1998, nella sua versione pubblicata in BGBl. I, 78/2011.

( 4 ) BGB1. n. 244/1962, nella versione pubblicata in BGBl. I, 35/2019.

( 5 ) V., in particolare, sentenza del 13 gennaio 2022, GILDA-UNAMS e a. (C‑282/19, EU:C:2022:3, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

( 6 ) V., in tal senso, sentenza del 10 luglio 2018, Jehovan todistajat (C‑25/17, EU:C:2018:551, punto 74).

( 7 ) Analogamente, Morini, A. «Commento all’articolo 17 TFUE», in Curti Gialdino, C. (a cura di) Codice dell’Unione europea operativo, Simone, Napoli, 2012, pag. 543.

( 8 ) V., in tal senso, sentenza del 17 dicembre 2020, Generalstaatsanwaltschaft Berlin (Estradizione verso l’Ucraina) (C‑398/19, EU:C:2020:1032, punto 65 e giurisprudenza ivi citata).

( 9 ) V., in tal senso, sentenza del 22 febbraio 2022, RS (Effetti delle decisioni di un giudice costituzionale) (C‑430/21, EU:C:2022:99, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

( 10 ) Sentenza del 27 giugno 2017, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania (C‑74/16, EU:C:2017:496).

( 11 ) Sentenza del 6 novembre 2018, Scuola Elementare Maria Montessori/Commissione, Commissione/Scuola Elementare Maria Montessori e Commissione/Ferracci (da C‑622/16 P a C‑624/16 P, EU:C:2018:873).

( 12 ) V., in particolare, sentenze del 5 ottobre 1988, Steymann (196/87, EU:C:1988:475); del 7 settembre 2004, Trojani (C‑456/02, EU:C:2004:488), e del 7 maggio 2019, Monachos Eirinaios (C‑431/17, EU:C:2019:368).

( 13 ) Conclusioni nella causa Egenberger (C‑414/16, EU:C:2017:851, paragrafi 8893). V. anche le conclusioni dall’avvocato generale Kokott nella causa Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania (C‑74/16, EU:C:2017:135, paragrafo 32).

( 14 ) Conclusioni nella causa Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2018:614, paragrafo 26).

( 15 ) V., ad esempio, sentenza del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2019:43).

( 16 ) Sentenza del 10 luglio 2018, Jehovan todistajat (C‑25/17, EU:C:2018:551, punto 74).

( 17 ) V., in tal senso, sentenze del 30 novembre 1995, Gebhard (C‑55/94, EU:C:1995:411, punti 2526), e del 19 luglio 2012, Garkalns (C‑470/11, EU:C:2012:505, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

( 18 ) V., mutatis mutandis, le mie conclusioni nella causa Boriss Cilevičs e a. (C‑391/20, EU:C:2022:166).

( 19 ) V., in particolare, sentenza del 15 novembre 2016, Ullens de Schooten (C‑268/15, EU:C:2016:874).

( 20 ) V., con ulteriori riferimenti, conclusioni dell’avvocato generale Wahl nelle cause riunite Venturini e a. (da C‑159/12 a C‑161/12, EU:C:2013:529, paragrafo 27).

( 21 ) V., in particolare, sentenza del 3 settembre 2020, Vivendi (C‑719/18, EU:C:2020:627, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

( 22 ) V., in particolare, sentenza del 27 giugno 2017, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania (C‑74/16, EU:C:2017:496, punto 45 e giurisprudenza ivi citata).

( 23 ) Ibidem, punto 47.

( 24 ) V., inter alia, sentenza del 17 marzo 2011, Peñarroja Fa (C‑372/09 e C‑373/09, EU:C:2011:156, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

( 25 ) Parimenti, conclusioni dell’avvocato generale Cosmas nelle cause riunite Deliège (C‑51/96 e C‑191/97, EU:C:1999:147, paragrafo 30).

( 26 ) V., ad esempio, sentenza del 18 dicembre 2007, Jundt (C‑281/06, EU:C:2007:816, punto 34).

( 27 ) Sentenze del 5 ottobre 1988, Steymann (196/87, EU:C:1988:475), e del 7 settembre 2004, Trojani (C‑456/02, EU:C:2004:488).

( 28 ) Sentenza del 26 aprile 1988, Bond van Adverteerders e a. (352/85, EU:C:1988:196, punto 16).

( 29 ) Sentenza del 12 luglio 2001, Smits e Peerbooms (C‑157/99, EU:C:2001:404, punto 58).

( 30 ) Ibidem, punti 50 e 52.

( 31 ) V. la giurisprudenza citata alla precedente nota 22. V. anche Koutrakos, P., «Healthcare as an economic service under EC law», in Dougan, M., Spaventa, E. (a cura di), Social Welfare and EU Law, Hart Publishing, Oxford, 2005, pagg. da 112 a 115, che sottolinea in particolare tale aspetto e fornisce ulteriori riferimenti.

( 32 ) V. sentenze del 18 dicembre 2007, Jundt (C‑281/06, EU:C:2007:816, punto 32), e del 23 febbraio 2016, Commissione/Ungheria (C‑179/14, EU:C:2016:108, punto 154). Il corsivo è mio.

( 33 ) V., in particolare, sentenza del 4 ottobre 1991, Society for the Protection of Unborn Children Ireland (C‑159/90, EU:C:1991:378, punti da 24 a 26).

( 34 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Slynn nella causa Gravier (293/83, non pubblicata, EU:C:1985:15, pag. 603), e conclusioni dell’avvocato generale Fennelly nella causa Sodemare e a. (C‑70/95, EU:C:1997:55, paragrafo 29).

( 35 ) V., in tal senso, sentenza del 12 luglio 2001, Ordine degli Architetti e a. (C‑399/98, EU:C:2001:401, punto 77). V., in generale, Spaventa, E., «Public Services and European Law: Looking for Boundaries», Cambridge Yearbook of European Legal Studies, vol. 5, 2003, pagg. da 272 a 275.

( 36 ) V. sentenza del 27 giugno 2017, Congregación de Escuelas Pías Provincia Betania (C‑74/16, EU:C:2017:496, punto 50 e giurisprudenza ivi citata).

( 37 ) Articolo 11, paragrafo 2, del BekGG.

( 38 ) Sentenza del 16 dicembre 2009, VfSlg 18.965/2009 (AT:VFGH:2009:B516.2009).

( 39 ) Articolo 17, paragrafo 4, del Staatsgrundgesetz vom 21. December 1867, über die allgemeinen Rechte der Staatsbürger für die im Reichsrathe vertretenen Königreiche und Länder (Legge fondamentale austriaca sui diritti generali dei cittadini; RGBl. 142/1867).

( 40 ) Come precisato dal governo austriaco mediante rinvio alle spiegazioni concernenti il progetto di legge di modifica del BekGG (v. supra, nota 2).

( 41 ) Articoli 18 e 19 del PrivSchG.

( 42 ) Articolo 21, paragrafo 1, lettera b), del PrivtSchG.

( 43 ) V. sentenze del 5 maggio 1982, Schul Douane Expediteur (15/81, EU:C:1982:135, punto 33), e del 17 maggio 1994, Francia/Commissione (C‑41/93, EU:C:1994:196, punto 19).

( 44 ) V., ad esempio, conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nelle cause riunite X e Visser (C‑360/15 e C‑31/16, EU:C:2017:397, paragrafo 1), e Barnard, C., The substantive Law of the EU: The Four Freedoms, 5a edizione, Oxford University Press, Oxford, 2016, pagg. da 3 a 8.

( 45 ) Nella dottrina giuridica v., ad esempio, Odudu, O., «Economic Activity as a Limit to Community Law», in Barnard, C., Odudu, O. (a cura di), The Outer Limits of European Union Law, Hart Publishing, Oxford, 2009, pagg. 242 e 243.

( 46 ) V., ad esempio, sentenza del 12 luglio 2012, VALE Építési (C‑378/10, EU:C:2012:440, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

( 47 ) V., in particolare, sentenze del 17 febbraio 1993, Poucet e Pistre (C‑159/91 e C‑160/91, EU:C:1993:63, punti 1718), e del 22 ottobre 2015, EasyPay e Finance Engineering (C‑185/14, EU:C:2015:716, punto 38).

( 48 ) Sentenza del 17 giugno 1997 (C‑70/95, EU:C:1997:301).

( 49 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 luglio 2008 (GU 2008, L 218, pag. 30).

( 50 ) Sentenza del 6 maggio 2021 (C‑142/20, EU:C:2021:368).

( 51 ) V., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Tesco-Global Áruházak (C‑323/18, EU:C:2020:140, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

( 52 ) Articolo 17 del PrivSchG.

( 53 ) Articolo 21 del PrivSchG.

( 54 ) Articolo 17, paragrafo 2, del PrivtSchG.

( 55 ) Articolo 11, paragrafo 1, del BekGG.

( 56 ) V., in tal senso, sentenza del 6 ottobre 2020, Commissione/Ungheria (Istruzione superiore) (C‑66/18, EU:C:2020:792, punti 178179 e giurisprudenza ivi citata).

( 57 ) V., in particolare, sentenza del 1o ottobre 2009, Woningstichting Sint Servatius (C‑567/07, EU:C:2009:593, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

( 58 ) V., in tal senso, sentenze del 13 novembre 2003, Neri (C‑153/02, EU:C:2003:614, punto 46), e del 14 settembre 2006, Centro di Musicologia Walter Stauffer (C‑386/04, EU:C:2006:568, punto 45).

( 59 ) V., mutatis mutandis, sentenza del 20 dicembre 2017, Simma Federspiel (C‑419/16, EU:C:2017:997, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).

( 60 ) V., ad esempio, Corte EDU, 13 febbraio 2003, Refah Partisi (The Welfare Party) e a. c. Turchia (CE:ECHR:2003:0213JUD004134098).

( 61 ) Corte EDU, 10 novembre 2005, Leyla Şahin c. Turchia (CE:ECHR:2005:1110JUD004477498, § 107).

( 62 ) V., in particolare, la formulazione degli articoli 1 e 2 dell’AnerkennungsG.

( 63 ) Tuttavia, è importante formulare un avvertimento a tal riguardo: tale margine di manovra in ordine alle questioni finanziarie sussiste nella misura in cui le norme sui fondi pubblici erogati alle comunità religiose sono conformi alle disposizioni dell’Unione che, a seconda delle circostanze, possono trovare applicazione nel caso concreto. In particolare, se uno Stato membro sovvenziona attività economiche svolte da comunità religiose, le misure in questione devono essere compatibili con le norme dell’Unione in materia di aiuti di Stato (v., ad esempio, la giurisprudenza citata alle precedenti note 9 e 10). Tuttavia, tale questione non è stata dedotta nell’ambito del presente procedimento.

( 64 ) Tale diritto è tutelato ai sensi dell’articolo 9 della CEDU, rubricato «Libertà di pensiero, di coscienza e di religione».

( 65 ) V., in particolare, Corte EDU, 7 dicembre 1976, Kjeldsen, Busk Madsen e Pedersen c. Danimarca (CE:ECHR:1976:1207JUD000509571); 28 agosto 2001, Lundberg c. Svezia (CE:ECHR:2001:0828DEC003684697); 29 giugno 2007, Folgerø e a. c. Norvegia (CE:ECHR:2007:0629JUD001547202); e 18 marzo 2011, Lautsi e a. c. Italia (CE:ECHR:2011:0318JUD003081406). Più ampiamente su tale questione, v., con ulteriori riferimenti, Evans, C. Thomas, C.A., «Church-State Relations in the European Court of Human Rights», BYU Law Review, 2006, pag. 699.

( 66 ) V., supra, paragrafo 70 delle presenti conclusioni.

( 67 ) Corte EDU, 18 marzo 2011, Lautsi e a. c. Italia (CE:ECHR:2011:0318JUD003081406, § 61 e giurisprudenza ivi citata).