CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

TAMARA ĆAPETA

presentate il 17 novembre 2022 ( 1 )

Causa C‑123/21 P

Changmao Biochemical Engineering Co. Ltd

contro

Commissione europea

«Impugnazione – Dumping – Determinazione del valore normale – Metodo del “paese di riferimento” – Articolo 2, paragrafo 7, del regolamento (UE) 2016/1036 – Articolo 15 del protocollo di adesione della Cina all’OMC – Potere di controllo giurisdizionale – Sentenza Nakajima/Consiglio»

I. Introduzione

1.

La presente causa ha ad oggetto un’impugnazione proposta dalla Changmao Biochemical Engineering Co. Ltd (in prosieguo: la «ricorrente»), nella quale quest’ultima chiede alla Corte di giustizia di annullare la sentenza del Tribunale del 16 dicembre 2020, Changmao Biochemical Engineering/Commissione ( 2 ) (in prosieguo: la «sentenza impugnata»). Con tale sentenza, il Tribunale ha respinto il ricorso della ricorrente diretto all’annullamento del regolamento di esecuzione (UE) 2018/921 (in prosieguo: il «regolamento impugnato») ( 3 ), che ha mantenuto dazi antidumping sulle esportazioni di acido tartarico della ricorrente provenienti dalla Cina.

2.

Nella parte dell’impugnazione oggetto delle presenti conclusioni ( 4 ), la ricorrente contesta in sostanza la constatazione del Tribunale secondo cui esso non poteva controllare la legittimità dell’articolo 2, paragrafo 7, regolamento (UE) 2016/1036 (in prosieguo: il «regolamento di base») ( 5 ), alla luce degli gli accordi dell’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), e più precisamente dell’articolo 15 del protocollo di adesione della Cina all’OMC ( 6 ) (in prosieguo: il «protocollo di adesione»). La presente impugnazione solleva quindi importanti questioni relative ai limiti del potere di controllo giurisdizionale della Corte sugli atti delle istituzioni dell’Unione alla luce del diritto dell’OMC.

II. Fatti all’origine della controversia

3.

Il 7 dicembre 1995 il governo cinese ha presentato domanda di adesione all’accordo che istituisce l’OMC, ai sensi dell’articolo XII di tale accordo. Lo stesso giorno è stato istituito un gruppo di lavoro per l’adesione all’OMC al fine di raggiungere un accordo su termini di adesione accettabili per la Cina e per tutti i membri dell’OMC. La Commissione europea, a nome dell’Unione europea e dei suoi Stati membri, ha partecipato a tali negoziati.

4.

Il 1o dicembre 2001 la Cina ha aderito all’OMC. Nell’ambito del processo di adesione tale paese ha accettato una serie di impegni, che sono sanciti nel protocollo di adesione. Tra gli altri aspetti, tale protocollo prevede un regime per il calcolo del valore normale nelle inchieste antidumping che differisce dalle norme contenute nell’Accordo antidumping dell’OMC (in prosieguo: l’«ADA»).

5.

Più specificamente, l’articolo 15, lettera a), del protocollo di adesione contiene norme relative alla determinazione del valore normale nei procedimenti antidumping che consentono all’autorità investigativa di un membro dell’OMC di utilizzare un metodo che non sia basato su un confronto rigoroso con i prezzi e i costi interni cinesi. Il ricorso a tale metodo è importante nella pratica, in quanto significa che i prezzi e i costi di un produttore cinese possono essere ignorati dall’autorità investigativa, non fornendo così un quadro accurato dell’effettivo valore normale del prodotto considerato.

6.

Tuttavia, in forza dell’articolo 15, lettera d), del protocollo di adesione, parte di tale regime doveva scadere 15 anni dopo la data di adesione della Cina all’OMC. Quel giorno era l’11 dicembre 2016.

7.

Il 19 aprile 2017, e quindi, come è pacifico tra le parti, dopo la scadenza del termine di 15 anni previsto nel protocollo di adesione ( 7 ), la Commissione ha pubblicato un avviso di apertura di un riesame in previsione della scadenza delle misure antidumping applicabili alle importazioni di acido tartarico originario della Cina ( 8 ).

8.

In tale avviso la Commissione ha informato le parti interessate che, in applicazione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, il valore normale sarebbe stato determinato utilizzando il cosiddetto metodo del «paese di riferimento» ( 9 ). Il ricorso a tale metodo era possibile nell’ambito di tale inchiesta, tenuto conto della classificazione normativa della Cina, all’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base, accanto a «qualsiasi paese non retto da un’economia di mercato che sia membro dell’OMC».

9.

In pratica, l’uso del metodo del «paese di riferimento» consente di calcolare il valore normale delle importazioni sulla base dei prezzi di un paese a economia di mercato appropriato e non sulla base dei prezzi e dei costi interni del paese esportatore, i cui prezzi e costi non sono considerati soggetti a condizioni di economia di mercato ( 10 ). Tale metodo è richiesto a norma dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base, a meno che i produttori sottoposti all’inchiesta non siano in grado di dimostrare che sussistono condizioni di un’economia di mercato per quanto riguarda la fabbricazione e la vendita, da parte loro, del prodotto simile in esame. Il metodo del «paese di riferimento» differisce quindi dal metodo standard, previsto all’articolo 2, paragrafi da 1 a 6, del regolamento di base, secondo il quale il valore normale è calcolato sulla base dei prezzi e dei costi interni del paese esportatore.

10.

La Commissione ha informato la ricorrente, altri produttori esportatori cinesi nonché il governo cinese dell’apertura di tale riesame in previsione della scadenza e della sua intenzione di ricorrere al metodo di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base. Nessuna di tali parti ha collaborato a detto riesame.

11.

Il 28 giugno 2018 la Commissione ha adottato il regolamento impugnato, mantenendo i dazi antidumping ( 11 ). Per quanto riguarda l’esistenza di un dumping, la Commissione ha calcolato il valore normale conformemente all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base ( 12 ).

III. Ricorso dinanzi al Tribunale

12.

Con atto introduttivo del 12 settembre 2018, la ricorrente ha proposto un ricorso di annullamento avverso il regolamento impugnato dinanzi al Tribunale. Tra gli altri argomenti, la ricorrente ha affermato, in sostanza, che il valore normale per le importazioni del suo acido tartarico avrebbe dovuto essere calcolato in base all’articolo 2, paragrafi da 1 a 6, del regolamento di base, poiché l’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del medesimo regolamento [e quindi il ricorso al metodo del «paese di riferimento» di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a)] aveva cessato di essere applicabile alle importazioni dalla Cina dopo la scadenza del termine di 15 anni di cui all’articolo 15, lettera d), del protocollo di adesione.

13.

Pertanto, secondo tale argomento, poiché era contrario al protocollo di adesione, l’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base non poteva essere applicato alle importazioni dalla Cina dopo l’11 dicembre 2016. Di conseguenza, come sostiene la ricorrente, la Commissione non avrebbe potuto ricorrere al metodo del «paese di riferimento» in quanto «manca[va] [la] base giuridica per l’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 7» nell’inchiesta sottostante.

14.

Il 16 dicembre 2020 il Tribunale ha pronunciato la sentenza impugnata. Essa ricordava che, «tenuto conto della loro natura e della loro finalità, gli accordi OMC non figurano, in linea di principio, tra le normative alla luce delle quali può essere controllata la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione» ( 13 ).

15.

La ricorrente non contesta tale constatazione «di principio». Essa fa valere, piuttosto, che la sua situazione rientra in quella che essa definisce la «prima eccezione» alla regola summenzionata, quale elaborata nella sentenza pronunciata dalla Corte nella causa Nakajima ( 14 ).

16.

Nella sentenza impugnata il Tribunale ha riconosciuto l’esistenza, nella giurisprudenza, di due situazioni in cui il controllo di legittimità di un atto dell’Unione alla luce degli accordi OMC era ritenuto possibile. La prima è quella in cui «l’Unione abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nel contesto di tali accordi» ( 15 ) (come è stato riconosciuto nella situazione alla base della sentenza Nakajima) e la seconda è quella in cui «l’atto del diritto dell’Unione di cui trattasi faccia espresso rinvio a precise disposizioni dei medesimi accordi» ( 16 ) (come risulta dalle circostanze che hanno dato luogo alla sentenza Fediol ( 17 )).

17.

L’inapplicabilità della sentenza Fediol non è stata contestata dalla ricorrente, considerato il fatto che gli atti dell’Unione di cui trattasi non rinviano espressamente alla normativa dell’OMC.

18.

Basandosi sulla sentenza pronunciata nella causa Rusal Armenal ( 18 ), il Tribunale ha constatato che la sentenza Nakajima non era applicabile dal momento che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base risulta dalla volontà del legislatore di introdurre «un regime speciale che fissa norme dettagliate in materia di calcolo del valore normale relativamente alle importazioni provenienti da paesi non retti da un’economia di mercato, tra cui la Repubblica popolare cinese» ( 19 ).

19.

In subordine, dinanzi al Tribunale, la ricorrente ha dedotto un secondo argomento, in base al quale, nell’ipotesi in cui la sentenza Nakajima non si applichi, la ricorrente dovrebbe poter beneficiare di una «terza eccezione» ( 20 ). La ricorrente ha sostenuto che dovrebbe poter «far valere direttamente le disposizioni di un accordo internazionale, (…) quando l’accordo internazionale di cui trattasi consente una deroga alla norma generale e il diritto dell’Unione fa uso di tale facoltà, come nel caso di specie» ( 21 )». Il Tribunale ha respinto tale linea argomentativa; in primo luogo, perché non ha ritenuto che essa fosse diversa dalla situazione di cui alla sentenza Nakajima, e, in secondo luogo, perché non ha ritenuto opportuno riconoscere l’esistenza di tale «nuova» situazione ( 22 ).

20.

Di conseguenza, il Tribunale ha stabilito che la ricorrente non poteva invocare il protocollo di adesione per opporsi all’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base ( 23 ). Su tale base, in particolare, il Tribunale ha respinto il ricorso della ricorrente.

IV. Procedimento dinanzi alla Corte di giustizia

21.

Nella sua impugnazione dinanzi alla Corte di giustizia, proposta il 26 febbraio 2021, la ricorrente chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata, di accogliere le conclusioni presentate dinanzi al Tribunale e di annullare il regolamento impugnato nella parte riguardante la ricorrente, nonché di condannare la Commissione e le Distillerie Bonollo SpA, l’Industria Chimica Valenzana (ICV) SpA e la Caviro Extra Srl (in prosieguo: le «intervenienti») a pagare le spese sostenute dalla ricorrente nella presente impugnazione e nella causa T‑541/18.

22.

Il primo motivo d’impugnazione è diretto principalmente contro tre punti della sentenza impugnata. Si tratta, rispettivamente, del punto 64 (che nega l’applicabilità della sentenza Nakajima alla presente situazione), del punto 65 (che applica la sentenza Rusal Armenal per concludere che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base costituisce un approccio autonomo di diritto dell’Unione per le importazioni provenienti da paesi non retti da un’economia di mercato, compresa la Cina), e del punto 74 (che respinge gli argomenti della ricorrente relativi alla presenza di una «terza eccezione»).

23.

Da parte sua, la Commissione, sostenuta dalle intervenienti, afferma che la Corte deve respingere l’impugnazione e condannare la ricorrente alle spese.

24.

All’udienza dell’8 settembre 2022 la ricorrente, le intervenienti, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno presentato osservazioni.

V. Argomenti delle parti

25.

Con il suo argomento principale, la ricorrente sostiene che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base costituisce la volontà di dare esecuzione, nel diritto dell’Unione, conformemente alla sentenza Nakajima, alle conseguenze della scadenza del termine previsto all’articolo 15, lettera d), del protocollo di adesione.

26.

A sostegno di tale argomento, la ricorrente fa valere principalmente i punti 54 e 55 della relazione della proposta della Commissione del 2001 per una decisione del Consiglio sull’adesione della Cina all’OMC (in prosieguo: la «proposta del 2001») ( 24 ). Questi due punti riguardano il metodo di calcolo del valore normale delle importazioni dalla Cina, ove al secondo punto si precisa che le «procedure specifiche per i presunti casi di dumping da parte di esportatori cinesi[,] poiché questi ultimi possono non operare ancora in normali condizioni di economia di mercato, (...) rester[anno] applicabil[i] ancora per un periodo massimo di 15 anni dall’adesione della Cina all’OMC».

27.

La ricorrente ritiene che tale spiegazione costituisca l’espressione della manifesta volontà del legislatore dell’Unione, conformemente alla sentenza Nakajima, di limitare il ricorso al metodo del «paese di riferimento», di cui all’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base, per quanto riguarda la Cina, a un periodo di soli 15 anni. Per tale ragione, sostiene la ricorrente, il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel ritenere di non poter controllare la legittimità dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base alla luce dell’articolo 15 del protocollo di adesione per mancata volontà di attuazione.

28.

La ricorrente fa altresì valere che la sentenza Rusal Armenal non si applica alla sua situazione. A suo avviso, tale sentenza riguardava esclusivamente l’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base alla situazione specifica dell’Armenia. Pertanto, la constatazione della Corte di giustizia, nella sentenza Rusal Armenal, secondo la quale «l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base esprime l’intenzione del legislatore dell’Unione di adottare in tale ambito un approccio specifico all’ordinamento giuridico dell’Unione» ( 25 ), riguarda unicamente la situazione dei paesi non retti da un’economia di mercato che non sono membri dell’OMC. Pertanto, secondo la ricorrente, il Tribunale è incorso in un errore nell’estendere tale sentenza alla situazione delle importazioni dalla Cina dopo la scadenza del protocollo di adesione cinese.

29.

Con un argomento dedotto in subordine, la ricorrente sostiene che il Tribunale non ha riconosciuto la presenza di circostanze che consentono di rilevare una «terza eccezione», distinta da quelle di cui trattavasi nelle sentenze Nakajima e Fediol. Nel corso dell’udienza essa ha approfondito tale posizione. Essa ha spiegato che le circostanze del caso di specie differiscono dalla situazione di cui alla sentenza Nakajima, in quanto l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base è stato introdotto prima dell’adesione della Cina all’OMC. Pertanto, il linguaggio specifico dei punti 54 e 55 della relazione della proposta del 2001 dovrebbe essere inteso nel senso che il ricorso al «metodo del paese di riferimento» non sarebbe più possibile 15 anni dopo la data di adesione della Cina all’OMC.

30.

La Commissione e le intervenienti, sostenute nella fase orale del procedimento dal Parlamento e dal Consiglio, contestano tale ragionamento. In sostanza, esse rilevano che il caso di specie non rientra tra le circostanze menzionate nella sentenza Nakajima. Esse sostengono che le spiegazioni contenute nella proposta del 2001 sono irrilevanti ai fini della valutazione della volontà del legislatore dell’Unione di adottare, all’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base, un approccio specifico dell’ordinamento giuridico dell’Unione, come è stato riconosciuto nella sentenza Rusal Armenal. A loro avviso, le uniche fonti pertinenti per accertare la volontà, da parte del legislatore dell’Unione, di dare esecuzione a un particolare obbligo rientrante negli accordi OMC, sarebbero i considerando o altri documenti relativi al processo di adozione o di modifica del regolamento di base stesso.

31.

Come spiegato dal Consiglio in udienza, tale istituzione è essenzialmente in grado di «indossare due cappelli diversi»: uno, quando agisce come parte del legislatore dell’Unione, e un altro, quando partecipa ai negoziati a livello internazionale. Pertanto, le dichiarazioni adottate nel corso di negoziati internazionali non possono essere utilizzate per spiegare l’intento legislativo sotteso agli atti adottati su tale base, né tanto meno a quelli adottati o modificati che non si riferiscono a tale strumento giuridico internazionale.

32.

Su tale base, la Commissione, sostenuta dal Parlamento e dal Consiglio in udienza, ha ritenuto che l’applicazione della sentenza Nakajima richieda una volontà chiara ed esplicita del legislatore dell’Unione di dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito degli accordi OMC. Solo in una situazione del genere il legislatore dell’Unione indicherebbe la propria intenzione di sottoporsi al controllo giurisdizionale della Corte. Pertanto, poiché nell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base siffatto intento non è presente, tale disposizione non costituisce espressione della volontà del legislatore dell’Unione di dare esecuzione all’articolo 15 del protocollo di adesione. Ne consegue che la Corte non è competente a controllare un atto delle istituzioni alla luce di tale protocollo.

VI. Valutazione

A.   Osservazioni preliminari

33.

Gli accordi internazionali di cui l’Unione è parte, come gli accordi OMC, fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione e vincolano le sue istituzioni. In quanto parte di tale ordinamento giuridico, detti accordi internazionali hanno il primato sul diritto derivato dell’Unione. Ciò risulta dall’articolo 216, paragrafo 2, TFUE e dalla giurisprudenza della Corte ( 26 ).

34.

Pertanto, gli accordi internazionali di cui l’Unione è parte non vincolano le sue istituzioni soltanto sotto il profilo del diritto internazionale e del suo principio pacta sunt servanda, ma anche sotto il profilo del diritto costituzionale dell’Unione. La loro forza vincolante sulle istituzioni dell’Unione è la scelta costituzionale dell’Unione ( 27 ).

35.

La seconda scelta costituzionale rilevante riguarda il potere di controllo giurisdizionale concesso alla Corte. Nell’ordinamento giuridico dell’Unione spetta alla Corte «dire quale sia la legge» ( 28 )e vigilare affinché le istituzioni rispettino la legge. I Trattati hanno conferito alla Corte il potere di controllo giurisdizionale degli atti delle istituzioni già nei primi giorni del progetto europeo ( 29 ). Attualmente, tale potere si esercita o direttamente, attraverso i ricorsi di annullamento (articolo 263 TFUE), o indirettamente, attraverso il procedimento pregiudiziale (articolo 267 TFUE) e l’eccezione di illegittimità (articolo 277 TFUE). Soprattutto, dopo la sentenza Foto‑Frost ( 30 ), è evidente che la Corte di giustizia dell’Unione europea (intesa sia come Tribunale sia come Corte di giustizia) dispone, nell’ordinamento giuridico dell’Unione, del potere esclusivo di controllare la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione ( 31 ).

36.

Se queste due caratteristiche dell’ordinamento costituzionale dell’Unione vengono combinate, ne consegue il potere della Corte di controllare se le istituzioni dell’Unione, anche nelle loro scelte legislative, rispettino gli obblighi dell’Unione derivanti dagli accordi OMC, che fanno parte dell’ordinamento giuridico dell’Unione e quindi sono per esse vincolanti.

37.

Tuttavia, a causa della realtà politica del sistema commerciale internazionale, la Corte, sin dall’inizio ( 32 ), ha esitato a esercitare il suo potere di controllo giurisdizionale quando si è trattato di controllare la conformità della normativa dell’Unione al GATT ( 33 ), e successivamente agli accordi OMC ( 34 ).

38.

La Corte ha già spiegato le ragioni di tale autolimitazione giudiziaria nella sentenza International Fruit Company ( 35 ). Essa ha rilevato anzitutto la particolare natura e struttura del GATT, «fondato (…) sul principio di negoziati da condursi su “una base di reciprocità e di vantaggio mutui”», e «caratterizzato dalla grande flessibilità delle sue disposizioni, in ispecie di quelle relative alla possibilità di deroghe, ai provvedimenti ammessi in caso di difficoltà eccezionali ed alla composizione delle controversie fra i contraenti» ( 36 ).

39.

La Corte ha ulteriormente elaborato il tema della flessibilità del GATT nella sentenza Germania/Consiglio ( 37 ), e ha poi esteso lo stesso ragionamento agli accordi OMC nella sentenza Portogallo/Consiglio ( 38 ). In quest’ultima causa la Corte ha spiegato che, nonostante il rafforzamento del sistema di risoluzione delle controversie previsto dagli accordi OMC rispetto a quello disponibile nell’ambito del GATT, il suo meccanismo di risoluzione delle controversie ( 39 ) attribuiva tuttavia notevole importanza ai negoziati tra le parti. Pertanto, anche se la DSU mostra una «preferenza» per la piena attuazione della raccomandazione di rendere una misura conforme al diritto dell’OMC, essa consente tuttavia soluzioni negoziate diverse fondate su una compensazione reciprocamente accettabile ( 40 ).

40.

Tenuto conto di tale struttura del sistema dell’OMC, la Corte ha considerato che gli organi legislativi dell’Unione sarebbero privati della possibilità di concludere siffatti accordi negoziati o di offrire una compensazione reciprocamente accettabile anziché rendere il diritto dell’Unione conforme al diritto dell’OMC, se i giudici potessero imporre loro l’obbligo di disapplicare le norme dell’Unione incompatibili con gli accordi OMC ( 41 ).

41.

Era quindi necessario che la Corte si astenesse dall’esercitare il suo potere di controllo giurisdizionale per non impedire al legislatore dell’Unione di avvalersi della discrezionalità lasciatagli dagli accordi OMC. Con questa mossa, la Corte ha rispettato l’equilibrio istituzionale quale risulta dal sistema dell’OMC. A suo avviso, gli accordi OMC lasciano alle istituzioni politiche la facoltà di decidere su come dare esecuzione a un obbligo particolare assunto in base a questi ultimi, o addirittura su come non dare affatto attuazione ad alcuni degli obblighi dell’OMC.

42.

La necessità di un’autolimitazione giudiziaria è stata inoltre corroborata dal fatto che i partner commerciali più importanti dell’Unione europea non hanno sottoposto i loro organi legislativi ed esecutivi ad un controllo giurisdizionale in seno all’OMC ( 42 ).

43.

Questi due motivi – la flessibilità insita nel sistema stesso dell’OMC e la realtà politica che i partner commerciali dell’Unione non impediscono giudizialmente alle loro istituzioni di ricorrere a tale flessibilità – hanno poi portato alla conclusione che «gli accordi OMC non figurano in linea di principio tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle istituzioni [dell’Unione]» ( 43 ).

44.

Occorre chiarire le conseguenze derivanti da tale giurisprudenza. Il margine di discrezionalità che ne deriva per le istituzioni politiche dell’Unione, che include la possibilità di scegliere una determinata interpretazione delle disposizioni degli accordi OMC nonché, dopo aver valutato le relative conseguenze, di decidere, se necessario, di discostarsi dagli obblighi incombenti all’Unione in forza degli accordi OMC ( 44 ), non dovrebbe essere inteso erroneamente come una decisione della Corte di sottrarsi completamente alla sua prerogativa di garantire il rispetto degli obblighi internazionali dell’Unione.

45.

Ciò non è costituzionalmente possibile: sconvolgerebbe l’equilibrio interistituzionale tra il potere giudiziario dell’Unione e le sue istituzioni politiche ( 45 ).

46.

Questo mi porta all’apparente malinteso espresso dalla Commissione in udienza, durante la quale sembrava essere sostenuto anche dal Parlamento e dal Consiglio. Contrariamente alla posizione di tali istituzioni, le situazioni oggetto delle sentenze Nakajima e Fediol, nelle quali la Corte ha deciso di effettuare un controllo di validità degli atti dell’Unione alla luce del diritto dell’OMC, non costituiscono «eccezioni» a un’apparente mancanza del potere di controllo giurisdizionale in materia ( 46 ). Il potere di controllo giurisdizionale esercitato in tali cause dalla Corte non deriva dalla benevola decisione legislativa delle istituzioni politiche dell’Unione di rimettere alla Corte il potere di controllare i loro atti alla luce del diritto dell’OMC. Come ho spiegato, nell’ambito della «normalità» costituzionale dell’Unione, ciò non può essere accettato, in quanto il potere di controllo giurisdizionale conferito alla Corte deriva direttamente dai Trattati. Piuttosto, queste due situazioni costituiscono casi in cui la Corte ha deciso che non avrebbe compromesso la discrezionalità politica necessaria a livello di OMC se avesse dovuto svolgere un controllo di validità degli atti delle istituzioni politiche dell’Unione.

47.

Le sentenze della Corte danno luogo a una giurisprudenza e le norme esposte nella sentenza iniziale sono applicate nuovamente in sentenze successive in situazioni simili, ma non identiche. Lo spiacevole effetto collaterale di tale processo è che, col tempo, la giurisprudenza si discosta dal suo contesto iniziale e, soprattutto, dalla giustificazione sottostante. Tale tipo di discostamento, sebbene inusuale, è una caratteristica insita in un sistema giuridico basato sul precedente ( 47 ).

48.

È quindi talvolta necessario rivedere le cause sulle quali spesso ci basiamo. In tale ottica, riesaminando la sentenza Nakajima, mi riesce difficile individuare qualsiasi ragionamento che indichi che la Corte ha inteso introdurre un’«eccezione» a un potere di controllo giurisdizionale altrimenti inesistente. Si trattava, in tale causa, di dazi antidumping su talune stampanti provenienti dal Giappone, che il produttore esportatore in questione ha cercato di contestare invocando direttamente il codice antidumping del GATT. Il Consiglio ha contestato il potere della Corte di controllare la validità del(l’allora) regolamento di base per il fatto che quest’ultimo avrebbe potuto violare tale codice. Esso ha sostenuto che ciò derivava dalla precedente giurisprudenza della Corte che negava l’efficacia diretta del GATT ( 48 ). La Corte ha esaminato anzitutto l’argomento relativo all’efficacia diretta. Essa ha spiegato che la ricorrente, la Nakajima, non stava invocando l’efficacia diretta delle disposizioni del codice antidumping, ma che tale parte, di fatto, stava mettendo in discussione, in via incidentale, attraverso un’eccezione di illegittimità, l’applicabilità del(l’allora) nuovo regolamento di base ( 49 ). Pertanto, la questione dell’efficacia diretta delle disposizioni dell’OMC può e dovrebbe essere distinta dalla questione dell’esercizio, da parte della Corte, del potere di controllo giurisdizionale degli atti delle istituzioni dell’Unione ( 50 ).

49.

Occorre rilevare che la situazione che ha dato luogo alla sentenza Nakajima è analoga a quella del caso di specie. Sulla base dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, la ricorrente contesta direttamente il regolamento impugnato. Al contempo, in subordine, essa fa valere che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base non è applicabile relativamente alle importazioni dalla Cina in quanto non è conforme al protocollo di adesione.

50.

Per disattendere il secondo argomento del Consiglio relativo al divieto di controllo giurisdizionale, la Corte si è basata, nella sentenza Nakajima, sulle parti della sentenza International Fruit Company che sottolineavano l’efficacia vincolante del GATT nei confronti della (allora) Comunità ( 51 ). Essa ha poi ricercato le possibili ragioni per astenersi dal riesame, ma ha constatato, al contrario, che i considerando del(l’allora) regolamento base chiarivano che quest’ultimo «è stato istituito in conformità con gli obblighi internazionali vigenti, in particolare quelli derivanti dall’articolo 6 dell’accordo generale e dal codice antidumping» ( 52 ). Su tale base, la Corte ha concluso che l’allora «nuovo regolamento di base, contestato dalla ricorrente, è stato adottato per adempiere gli obblighi internazionali della Comunità, cui spetta pertanto, secondo la costante giurisprudenza, garantire il rispetto delle disposizioni dell’accordo generale e dei suoi provvedimenti esecutivi» ( 53 ).

51.

«Stando così le cose» ( 54 ), nulla impediva alla Corte di esercitare il suo potere di controllo giurisdizionale.

52.

Nella giurisprudenza successiva, fondata sulla sentenza Nakajima, l’espressione «stando così le cose» è stata trasformata nell’espressione «in due situazioni» o «in due situazioni eccezionali» ( 55 ).

53.

A mio avviso, sarebbe inaccettabile qualificare la situazione di cui trattavasi nella sentenza Nakajima come «eccezione» a una presunta regola generale di incompetenza della Corte a controllare gli atti dell’Unione nel settore del diritto dell’OMC ( 56 ).

54.

La competenza della Corte a riesaminare gli atti dell’Unione si basa sui Trattati e le istituzioni non possono, con un atto di diritto derivato, limitare la competenza della Corte ( 57 ). Far dipendere il potere di controllo giurisdizionale della Corte dal previo consenso di tali istituzioni, che proprio tale Corte è chiamata a controllare, priverebbe del suo contenuto il potere di controllo giurisdizionale.

55.

Inoltre, ragionare in tal senso sarebbe come presumere che le istituzioni politiche dell’Unione non abbiano intenzione di adempiere i loro obblighi internazionali a meno che non lo affermino apertamente, ad esempio adottando misure che dichiarino espressamente la loro volontà di dare effetto agli obblighi internazionali dell’Unione europea. Ciò sarebbe difficile da conciliare con il quadro costituzionale creato dall’articolo 216, paragrafo 2, TFUE e con gli obiettivi politici dichiarati delle relazioni dell’Unione con il resto del mondo, quali risultano dall’articolo 3, paragrafo 5, TUE.

56.

Al contrario, il punto di partenza deve sempre essere che l’Unione europea, in linea di principio, ha voluto rispettare i suoi impegni internazionali, indipendentemente dallo strumento giuridico emanato dalle sue istituzioni. Partendo da questo presupposto, la Corte può quindi decidere se, a causa della natura e della struttura dell’accordo internazionale in questione, nonché dei più ampi problemi politici che accompagnano le azioni di politica commerciale dell’Unione, la Corte debba limitare eccezionalmente il suo potere di controllo giurisdizionale in un caso particolare.

57.

Tenuto conto del riconoscimento delle realtà del sistema del commercio internazionale, è quindi del tutto possibile dal punto di vista giuridico – e anzi a volte opportuno – lasciare alle istituzioni politiche dell’Unione la possibilità di interpretare un obbligo OMC assunto dall’Unione senza il controllo della Corte e, se necessario, di adottare una decisione consapevole di discostarsi da tale obbligo. Tuttavia, tale potere discrezionale è eccezionale e possibile solo in quanto il particolare accordo internazionale in questione lo consente. Gli accordi OMC sarebbero accordi internazionali di questo tipo.

58.

Pertanto, nell’esaminare gli accordi OMC nonché la loro natura e struttura flessibili, era possibile per la Corte creare una presunzione relativa ( 58 ) di limitazione del suo potere di controllo giurisdizionale. Di qui l’uso dell’espressione «in linea di principio» quando la Corte decide di non rivedere un atto dell’Unione alla luce del diritto dell’OMC. Solo in tale contesto specifico la sentenza Nakajima può essere interpretata nel senso che crea un’«eccezione».

59.

Infatti, la sentenza Nakajima può essere essa stessa oggetto di una lettura più ampia o più restrittiva. Essa può essere facilmente circoscritta, come sostenuto dalle istituzioni in udienza, a situazioni in cui il legislatore dell’Unione ha inviato un chiaro messaggio di voler applicare il diritto dell’OMC. Ciò premesso, non vi sono motivi per cui la Corte debba limitare il suo potere di controllo giurisdizionale, dal momento che non sorge alcun «potenziale imbarazzo dalle svariate dichiarazioni rese dai diversi servizi su una singola questione» ( 59 ). Occorre affermare che esistono, in realtà, taluni elementi che dimostrano che la Corte interpreta tale sentenza in senso così restrittivo ( 60 ).

60.

Tuttavia, la sentenza Nakajima potrebbe anche essere letta in modo più ampio, nel senso che la Corte dovrebbe effettuare un controllo di diritto derivato in tutte le situazioni in cui essa sia in grado di concludere che il legislatore non ha inteso discostarsi dai suoi obblighi derivanti dall’OMC. Nella giurisprudenza esistono anche elementi che consentono di ritenere che questa sia la lettura corretta della sentenza Nakajima ( 61 ).

61.

Se l’applicabilità della sentenza Nakajima è limitata, deve esservi spazio, a mio avviso, per ulteriori situazioni in cui la Corte potrebbe decidere di ritornare al controllo degli atti delle istituzioni alla luce degli impegni assunti dall’Unione in forza degli accordi OMC. Le sentenze Nakajima (e Fediol) potrebbero quindi essere considerate non come le «uniche» situazioni in cui la Corte può decidere di esercitare il suo potere di controllo alla luce del diritto dell’OMC.

62.

Una situazione in cui la Corte ha considerato che la sentenza Nakajima, interpretata estensivamente o restrittivamente, non era applicabile alla situazione in esame nella causa Rusal Armenal. In tale causa la Corte ha concluso che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base rappresenta un approccio specifico dell’ordinamento giuridico dell’Unione (almeno relativamente alla questione di come trattare i paesi non retti da un’economia di mercato per quanto riguarda, tra gli altri elementi, il calcolo del valore normale ai fini delle inchieste antidumping) ( 62 ).

63.

Mentre la causa Nakajima può essere intesa come una situazione in cui è certo concludere che l’Unione intendeva conformarsi alle norme dell’OMC, la causa Rusal Armenal deve essere intesa, di conseguenza, come una situazione in cui l’Unione avrebbe potuto volere, ma anche non volere, rispettare i suoi impegni OMC. Quest’ultima situazione giustifica la limitazione, da parte della Corte, dell’esercizio del suo potere di controllo giurisdizionale in base alla giustificazione della particolare natura e struttura del sistema dell’OMC.

64.

Pertanto, in caso di applicazione della sentenza Rusal Armenal, non trova applicazione la sentenza Nakajima.

65.

Alla luce delle suesposte considerazioni, è necessario esaminare se, nel caso di specie, esistano ragioni per cui la Corte debba astenersi dal controllo giurisdizionale dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base alla luce del protocollo di adesione.

B.   Valutazione del primo motivo di impugnazione

66.

La ricorrente presenta due linee di ragionamento a sostegno dell’affermazione secondo cui il Tribunale sarebbe incorso in un errore di diritto nel considerare di non potersi pronunciare sulla presunta incompatibilità dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base con l’articolo 15 del protocollo di adesione. Da un lato, la ricorrente afferma l’applicabilità della sentenza Nakajima al caso di specie. Dall’altro lato, essa afferma l’inapplicabilità della sentenza Rusal Armenal.

67.

Sarebbe possibile invertire l’analisi e valutare anzitutto se la sentenza Rusal Armenal possa essere applicata. Una conclusione in senso affermativo condurrebbe quindi, come esposto al paragrafo 64 delle presenti conclusioni, automaticamente all’inapplicabilità della sentenza Nakajima. Tuttavia, per completezza, valuterò entrambe le linee di ragionamento separatamente.

68.

Nell’ambito della sua prima linea di ragionamento, la ricorrente fa valere che la sua situazione è paragonabile alla situazione esistente nella causa Nakajima. Essa sostiene che la proposta del 2001, e in particolare i punti 54 e 55 della sua relazione, dimostrano una chiara intenzione, da parte del legislatore dell’Unione, di attuare l’articolo15, lettera d), del protocollo di adesione nel Regolamento di base.

69.

La pertinenza della proposta del 2001 può essere rapidamente esclusa. Se la sentenza Nakajima è interpretata restrittivamente, la Corte esercita il suo potere di controllo giurisdizionale solo in presenza di un’indicazione espressa, nell’atto legislativo stesso, che il legislatore dell’Unione ha inteso dare esecuzione, nel diritto dell’Unione, a taluni obblighi assunti nell’ambito degli accordi OMC ( 63 ).

70.

Una siffatta intenzione di attuare il protocollo di adesione non può essere dimostrata per quanto riguarda il regolamento di base. Come hanno spiegato la Commissione, le intervenienti, il Parlamento e il Consiglio, sia per iscritto che in udienza, la proposta del 2001 non ha alcuna relazione con il processo legislativo che ha portato all’adozione del regolamento di base, e neppure con l’articolo 2, paragrafo 7, del medesimo regolamento nella forma applicabile durante l’inchiesta sottostante. La ricorrente non è stata in grado di contestare tale spiegazione. Al contempo, né il testo né i documenti preparatori di tale atto legislativo menzionano l’intenzione di dare esecuzione all’articolo 15 del protocollo di adesione.

71.

Tuttavia, se la sentenza Nakajima è intesa in senso ampio, vale a dire nel senso che richiede un controllo giurisdizionale ogniqualvolta la Corte possa concludere che il legislatore non ha voluto discostarsi dai suoi obblighi OMC, l’argomento della ricorrente relativo alle intenzioni espresse a livello dell’OMC non può essere totalmente trascurato. Al contempo, si deve riconoscere che una presunta intenzione espressa in un solo documento preparatorio della Commissione, e non ripetuta nell’atto del Consiglio con cui l’Unione europea ha assunto i rispettivi impegni ai sensi del protocollo di adesione, e neppure dal Parlamento in qualità di colegislatore, non è sufficiente per una constatazione conclusiva su tale fronte. Come il Consiglio ha giustamente chiarito in udienza, le dichiarazioni adottate nel corso di negoziati internazionali non possono essere utilizzate, almeno non da sole, per dedurre l’intenzione del legislatore alla base degli atti delle istituzioni adottati internamente.

72.

La ricorrente non è stata inoltre in grado di fornire altre indicazioni sull’intenzione del legislatore dell’Unione di non discostarsi dal protocollo di adesione. Analogamente, come ha sottolineato il Parlamento in udienza, il regolamento di base è stato modificato più volte dal 2001, ossia dall’entrata in vigore del protocollo di adesione. In nessuna di tali occasioni il suo testo è stato modificato per riflettere la scadenza del termine di 15 anni di cui all’articolo 15, lettera d), del protocollo di adesione e nessuna indicazione dell’intenzione di adeguare di conseguenza il regolamento di base può essere rinvenuta nei pertinenti considerando e nei documenti preparatori degli atti modificativi ( 64 ).

73.

La situazione nel caso di specie si distingue quindi dalla situazione che ha dato luogo alla sentenza Nakajima. Non si può concludere che il legislatore dell’Unione abbia inteso dare esecuzione al protocollo di adesione nell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base, né si può concludere che esso non abbia inteso discostarsene mediante tale disposizione.

74.

Il Tribunale non è quindi incorso in errore nella constatazione effettuata al punto 64 della sentenza impugnata.

75.

Ciò mi porta a esaminare la seconda linea di ragionamento della ricorrente, secondo la quale il Tribunale ha erroneamente constatato che la sentenza Rusal Armenal si applica nel caso di specie e porta alla conclusione che la specificità dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base si applica anche alla Cina dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 15, lettera d), del protocollo di adesione.

76.

Infatti, se si può concludere che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base costituisce un regime specifico, che il legislatore dell’Unione ha adottato per il calcolo del valore normale relativamente alle importazioni provenienti dalla Cina, come è stato constatato in relazione alle importazioni provenienti dall’Armenia nella sentenza Rusal Armenal, il controllo giurisdizionale non è giustificato.

77.

Nella sentenza Rusal Armenal la Corte ha esaminato se l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento (CE) n. 384/96 (nella versione del regolamento di base allora applicabile), in combinato disposto con i suoi considerando, dovesse essere inteso nel senso che mirava a dare esecuzione a taluni obblighi derivanti dall’ADA.

78.

Il ragionamento contenuto in tale sentenza può essere sintetizzato in tre fasi. In primo luogo, la Corte ha esaminato se il considerando 5 del regolamento n. 384/96, che spiega che «è opportuno trasporre, per quanto possibile, i termini del nuovo [ADA dell’OMC] nella legislazione comunitaria», fosse sufficientemente preciso da rappresentare un’espressione dell’intenzione del legislatore dell’Unione di dare esecuzione a tale accordo nel diritto dell’Unione. Essa ha concluso in senso contrario a tale affermazione ( 65 ). In secondo luogo, la Corte ha esaminato, in particolare, l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 384/96. Essa ha rilevato che dal considerando 7 di tale regolamento risulta che il legislatore dell’Unione aveva cercato di introdurre «un regime speciale che fissa norme dettagliate in materia di calcolo del valore normale relativamente alle importazioni provenienti da paesi non retti da un’economia di mercato», che si discosta dalle norme ordinarie contenute nell’articolo 2, paragrafi da 1 a 6, del regolamento n. 384/96 per il calcolo del valore normale ( 66 ). Infine, la Corte ha osservato che l’ADA non contiene norme specifiche per i paesi non retti da un’economia di mercato. Pertanto, non è stato possibile stabilire una correlazione tra l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 384/96 e l’articolo 2 dell’ADA ( 67 ). Pertanto, la Corte ha concluso che il regime previsto all’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento n. 384/96 «esprime l’intenzione del legislatore dell’Unione di adottare in tale ambito un approccio specifico all’ordinamento giuridico dell’Unione» ( 68 ).

79.

Mi chiedo se questo ragionamento possa essere automaticamente trasposto alla situazione di cui trattasi nel caso di specie.

80.

In primo luogo, il regolamento n. 384/96 (la versione del regolamento di base applicabile nella causa Rusal Armenal), è stato sostituito dapprima dal regolamento n. 1225/2009 e successivamente dal regolamento 2016/1036 (applicabile nel caso di specie). In secondo luogo, la sentenza Rusal Armenal riguardava importazioni provenienti dall’Armenia, e non dalla Cina. Il Tribunale ha quindi valutato la possibilità di sottoporre il regolamento n. 384/96 a controllo giurisdizionale alla luce dell’ADA, ma non alla luce del protocollo di adesione.

81.

Ritengo che la sentenza Rusal Armenal non possa essere automaticamente trasposta al caso di specie. Tuttavia, a mio avviso, il regime di dumping per le importazioni provenienti dalla Cina può essere qualificato come scelta legislativa specifica dell’Unione utilizzando la stessa logica adottata dalla Corte nella sentenza Rusal Armenal.

82.

Quanto alla prima differenza tra queste due situazioni, le disposizioni pertinenti del regolamento di base applicabili nella causa Rusal Armenal e quelle applicabili nel caso di specie non differiscono, salvo per alcuni aspetti non pertinenti ai fini della presente discussione. Inoltre, il considerando 5 del regolamento n. 384/96, esaminato nella sentenza Rusal Armenal, afferma di aver cercato di introdurre «per quanto possibile» l’ADA nel diritto derivato dell’Unione. Per contro, il considerando 3 del regolamento 2016/1036 afferma che è opportuno recepire nella legislazione dell’Unione, «nella misura massima possibile», i termini dell’ADA ( 69 ). Non vedo una differenza sostanziale tra queste due espressioni. Pertanto, è possibile concludere allo stesso modo che nella sentenza Rusal Armenal, ossia che l’Unione europea intendeva applicare l’ADA, ma non necessariamente tutte le sue disposizioni.

83.

La seconda differenza tra la situazione di cui alla sentenza Rusal Armenal e quella oggetto della presente causa potrebbe risiedere nel fatto che, questa volta, si tratta di un protocollo di adesione di un membro (principale) dell’OMC, che viene richiesto come parametro del controllo della validità del regolamento di base, e non dell’ADA.

84.

Tale differenza potrebbe essere rilevante in vari modi. Da un lato, l’argomento fatto valere nella sentenza Rusal Armenal secondo cui l’ADA non contiene disposizioni relative ai paesi non retti da un’economia di mercato, e ciò significa che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base non può essere considerato come la sua attuazione, non è applicabile se il protocollo di adesione viene effettivamente utilizzato come parametro del controllo giurisdizionale. In particolare, l’articolo 15, lettera d), del protocollo di adesione utilizza la dicitura «economia di mercato» e prevede, all’articolo 15, lettera a), di tale protocollo la scelta di un trattamento differenziato delle importazioni provenienti dalla Cina a determinate condizioni ( 70 ). Si tratta di un argomento a favore del fatto che l’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base, nonché il metodo applicato ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), di tale regolamento, relativo al calcolo del valore normale per i paesi non retti da un’economia di mercato, siano considerati quale attuazione del protocollo di adesione per il caso specifico della Cina.

85.

Dall’altro lato, mentre i considerando del regolamento di base (nelle sue diverse versioni) richiedevano adeguamenti all’ADA «per quanto possibile» o «nella misura massima possibile», non vi è neppure un considerando che menzioni il protocollo di adesione. Tale argomento consente di concludere che il regime per il calcolo del valore normale per le importazioni provenienti dalla Cina è specifico dell’ordinamento giuridico dell’Unione e non è finalizzato a dare esecuzione a tale protocollo.

86.

Se, inoltre, si prendono in considerazione gli argomenti delle istituzioni esposti in udienza, secondo cui il trattamento specifico dell’Unione nei confronti della Cina era precedente all’adesione di quest’ultima all’OMC e non è cambiato in seguito, sono propensa a interpretare l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base come un regime specifico dell’Unione europea nei confronti della Cina, nonostante la presenza e la natura vincolante del protocollo di adesione.

87.

Tale conclusione giustifica la decisione del Tribunale di non esercitare il suo potere di controllo giurisdizionale.

88.

Inoltre, al pari dell’ADA, il protocollo di adesione è parte integrante degli accordi dell’OMC ( 71 ). Come tale, deve essere trattato proprio come qualsiasi altra parte di tali accordi. Come confermato sia a livello di Tribunale ( 72 ) sia in udienza nella presente causa, la ricorrente non contesta tale affermazione. Pertanto, la flessibilità del sistema dell’OMC utilizzata come giustificazione per la limitazione giudiziaria è applicabile anche in relazione al protocollo di adesione.

89.

Infine, esiste un precedente chiaro e recente sull’applicabilità della sentenza Rusal Armenal alle importazioni dalla Cina. Senza esaminare eventuali differenze tra le posizioni dell’Armenia e della Cina, nella sentenza Zhejiang Jiuli Hi‑Tech Metals/Commissione, la Corte si è basata sulla sentenza Rusal Armenal ( 73 ). In presenza di argomenti quasi identici a quelli dedotti dalla ricorrente nella presente causa, la Corte ha concluso che l’articolo 15 del protocollo di adesione non poteva essere invocato per contestare la validità del regolamento di esecuzione che applica l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base alle importazioni dalla Cina, dal momento che tale articolo costituisce l’espressione di un approccio specifico dell’Unione ( 74 ).

90.

È vero che la sentenza Zhejiang Jiuli Hi‑Tech Metals/Commissione riguardava circostanze di fatto leggermente diverse da quelle di cui trattasi nel caso di specie. A differenza della presente causa, l’inchiesta sottostante è stata avviata prima della scadenza del termine di 15 anni di cui all’articolo 15, lettera d), del protocollo di adesione ( 75 ).

91.

Tuttavia, la conclusione cui è giunta la Corte in tale sentenza è più trasversale che collegata a fatti specifici: la logica della sentenza Rusal Armenal deve essere considerata applicabile all’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base in generale ( 76 ), e non unicamente alla luce del contesto fattuale e giuridico particolare in cui tale sentenza è stata pronunciata. Nulla indica che, nella sentenza Zhejiang Jiuli Hi‑Tech Metals/Commissione, la Corte abbia considerato in qualche modo pertinenti i tempi dell’avvio dell’inchiesta di cui trattasi.

92.

In udienza la ricorrente non è stata in grado di spiegare come tale differenza di tempistica porterebbe a una conclusione diversa, tale che, nel caso di specie, l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base non rappresenterebbe più un regime specifico dell’ordinamento giuridico dell’Unione.

93.

Pertanto, anche dopo il dicembre 2016, l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base deve essere considerato come un regime specifico dell’ordinamento giuridico dell’Unione che prevede un trattamento differenziato per il calcolo del valore normale per le importazioni in un certo numero di paesi, tra cui la Cina.

94.

Tuttavia, la conclusione che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base, come applicato alle importazioni dalla Cina, costituisce un regime specifico dell’ordinamento giuridico dell’Unione non implica, di per sé, che tale regime sia in contrasto con l’articolo 15 del protocollo di adesione. Ciò significa soltanto che la Corte può decidere di astenersi dall’esercitare un controllo giurisdizionale sulla compatibilità del primo con il secondo.

95.

Pertanto, si deve concludere che la specifica natura di diritto dell’Unione dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base costituisce un motivo, per la Corte, di astensione dal riesaminare gli atti delle istituzioni in relazione al protocollo di adesione, prima o dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 15, lettera d), di tale protocollo. Per lo stesso motivo, non spetta alla Corte interpretare gli effetti dell’articolo 15, lettera d), del protocollo di adesione al fine di stabilire se tale disposizione sia rimasta in vigore e, in caso affermativo, quale parte (o quali parti), dopo l’11 dicembre 2016, e se, eventualmente, le parti che rimanevano in vigore consentissero ancora alla Commissione di applicare il metodo del paese di riferimento per il calcolo del valore normale per le importazioni provenienti da produttori cinesi come la ricorrente ( 77 ).

96.

Ne consegue che non vi è motivo di ritenere che il Tribunale sia incorso in un errore nella sua conclusione al punto 65 della sentenza impugnata.

97.

Infine, mi soffermerò brevemente sull’argomento dedotto in subordine dalla ricorrente, relativo all’asserita presenza di una «terza eccezione», distinta da quelle derivanti dalle sentenze Nakajima e Fediol. In relazione a tale argomento, la ricorrente fa valere nuovamente la proposta del 2001, sostenendo che è rilevante per concludere che l’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base, precedente a tale proposta, dovrebbe essere inteso come non più applicabile alle importazioni dalla Cina a decorrere dall’11 dicembre 2016.

98.

Come ho già spiegato, non vedo, in linea di principio, alcuna ragione per cui la Corte non possa decidere in altre situazioni, diverse da quelle della sentenza Nakajima o Fediol, di esercitare un controllo giurisdizionale alla luce del diritto dell’OMC. Tale decisione dovrebbe essere motivata con una valutazione secondo la quale è chiaro che il legislatore dell’Unione non intendeva discostarsi dal diritto dell’OMC. Tuttavia, devo ammettere che, pur con le migliori intenzioni, fatico ancora a comprendere come opererebbe esattamente la proposta, sostenuta dalla ricorrente, di una «terza eccezione», o come essa si distingua da quella di cui alla sentenza Nakajima.

99.

Con un po’ di immaginazione, l’unico modo per poter comprendere le spiegazioni della ricorrente, formulate per iscritto e in udienza, è che tale eccezione non fa riferimento alla questione della non applicabilità dell’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base a causa della sua non conformità al protocollo di adesione, ma fa invece riferimento all’obbligo di interpretazione conforme. Tuttavia, come ha giustamente sottolineato la Commissione in udienza, la seconda questione, sollevata (e respinta) anche in primo grado, non è stata oggetto di impugnazione ( 78 ). Alla Corte è pertanto impedito di esaminare tale argomento ( 79 ).

100.

Tuttavia, desidero esprimere il mio punto di vista secondo il quale le stesse ragioni che depongono a favore della limitazione del potere di controllo giurisdizionale della Corte, devono applicarsi anche all’obbligo della Corte di interpretare il diritto dell’Unione (nel caso di specie, il regolamento di base) in conformità al diritto dell’OMC (nel caso di specie, il protocollo di adesione). Come si intende nell’ordinamento giuridico interno dell’Unione, l’obbligo di interpretazione conforme impone al giudice chiamato a interpretare di fare tutto il possibile per trovare una soluzione conforme alla norma giuridica dell’Unione in relazione alla quale interpreta una norma di diritto nazionale ( 80 ).

101.

In una situazione come quella di cui trattasi nel caso di specie, l’obbligo di fare tutto il possibile per interpretare il diritto dell’Unione alla luce del diritto dell’OMC spetterebbe alla Corte di giustizia, con l’unico limite a tale riguardo di non interpretare il diritto dell’Unione «contra legem». Se l’interpretazione del diritto dell’OMC, da parte della Corte, differisse da quella del legislatore dell’Unione, o se il legislatore intendesse effettivamente discostarsi dal diritto dell’OMC, ma non lo esprimesse chiaramente (il che non dovrebbe sorprendere), un’interpretazione conforme precluderebbe l’accesso alla discrezionalità necessaria affinché il potere politico possa disporre di tutte quelle caratteristiche della DSU che consentono una manovra politica. Ciò sarebbe in contrasto con la logica che giustifica la limitazione del potere di controllo giurisdizionale della Corte.

102.

Pertanto, non individuo alcun errore nemmeno nella constatazione del Tribunale contenuta nel punto 74 della sentenza impugnata.

VII. Conclusione

103.

Sulla base di quanto precede, propongo alla Corte di giustizia di respingere il primo motivo di impugnazione.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) T‑541/18, non pubblicata, EU:T:2020:605.

( 3 ) Regolamento di esecuzione della Commissione, del 28 giugno 2018, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di acido tartarico originario della Repubblica popolare cinese a seguito di un riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2018, L 164, pag. 14).

( 4 ) La Corte ha chiesto che le mie conclusioni siano incentrate solo sul primo motivo di impugnazione.

( 5 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 1).

( 6 ) Organizzazione mondiale del commercio, protocollo di adesione della Repubblica popolare cinese (WT/L/432, 23 novembre 2001).

( 7 ) Occorre rilevare che, sebbene in udienza tutte le parti concordassero sul fatto che l’inchiesta fosse stata avviata dopo il termine di 15 anni previsto nel protocollo di adesione, non esisteva una chiara linea argomentativa quanto agli effetti di tale scadenza, neppure tra le istituzioni dell’Unione.

( 8 ) Avviso di apertura di un riesame in previsione della scadenza delle misure antidumping applicabili alle importazioni di acido tartarico originario della Repubblica popolare cinese (GU 2017, C 122, pag. 8).

( 9 ) Avviso di apertura di un riesame in previsione della scadenza delle misure antidumping applicabili alle importazioni di acido tartarico originario della Repubblica popolare cinese, punto 5.2.2.

( 10 ) Sui problemi pratici dell’applicazione del metodo del «paese di riferimento», v. Zang, M.Q., «The WTO contingent trade instruments against China: what does accession bring?», International and Comparative Law Quarterly, Vol. 58, 2009, pagg. da 321 a 351, in particolare pagg. da 326 a 330.

( 11 ) Regolamento impugnato, considerando 181.

( 12 ) Ibid., considerando 45.

( 13 ) Sentenza impugnata, punto 58.

( 14 ) Sentenza del 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio (C‑69/89, EU:C:1991:186, punti da 29 a 32; in prosieguo: la «sentenza Nakajima»), sebbene, probabilmente, l’attuale interpretazione della sentenza Nakajima sia basata sulla riformulazione di tale sentenza nella sentenza del 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio (C‑280/93, EU:C:1994:367, punto 111).

( 15 ) Sentenza impugnata, punto 60.

( 16 ) Ibid.

( 17 ) Sentenza del 22 giugno 1989, Fediol/Commissione (70/87, EU:C:1989:254, punti da 19 a 23; in prosieguo: la «sentenza Fediol») [in tale causa un atto dell’Unione faceva espresso rinvio a norme di diritto internazionale fondate sull’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio (in prosieguo: il «GATT»), ragion per cui la Corte ha ritenuto di poter esercitare la propria competenza a interpretare le disposizioni pertinenti del GATT].

( 18 ) Sentenza del 16 luglio 2015, Commissione/Rusal Armenal (C‑21/14 P, EU:C:2015:494; in prosieguo: la «sentenza Rusal Armenal»).

( 19 ) Sentenza impugnata, punto 65.

( 20 ) La ricorrente ha fatto riferimento alla situazione esistente nella sentenza Nakajima come prima eccezione e alla situazione esistente nella sentenza Fediol come seconda eccezione. Sull’uso errato del termine «eccezione» rispetto alla sentenza Nakajima e alla sentenza Fediol, v. paragrafi 46 e segg. delle presenti conclusioni.

( 21 ) Sentenza impugnata, punto 74.

( 22 ) Ibid.

( 23 ) Sentenza impugnata, punto 67.

( 24 ) Proposta di decisione del Consiglio che definisce la posizione della Comunità europea nella Conferenza dei ministri prevista dall’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio in merito all’adesione della Repubblica popolare cinese all’Organizzazione mondiale del commercio [COM(2001) 517 def.]. Tale proposta è stata adottata con decisioni del Consiglio che definiscono la posizione della Comunità europea nella Conferenza dei ministri prevista dall’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio in merito all’adesione della Repubblica popolare cinese e del territorio doganale separato di Taiwan, di Penghu, di Kinmen e di Matsu (in cinese Taipei) all’Organizzazione mondiale del commercio (Boll. 10‑2001, punto 1.6.26).

( 25 ) Sentenza Rusal Armenal, punto 48.

( 26 ) Sin dal 1974 la Corte ha dichiarato che gli accordi internazionali adottati dall’Unione fanno parte del suo ordinamento giuridico; v. sentenza del 30 aprile 1974, Haegeman (181/73, EU:C:1974:41, punti 45) (in cui si ritiene che un accordo di associazione concluso dalla (allora) Comunità con la Grecia «costituisc[a] quindi, per quanto riguarda la Comunità, un atto compiuto da una delle istituzioni (…) [e che] le sue disposizioni formano (…) parte integrante dell’ordinamento comunitario»). Successivamente, la Corte ha altresì confermato la loro forza vincolante sulle istituzioni e il primato sul diritto derivato dell’Unione. V., ad esempio, sentenza del 3 giugno 2008, Intertanko e a. (C‑308/06, EU:C:2008:312, punto 42) (relativa al carattere vincolante della Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento causato da navi, firmata a Londra il 2 novembre 1973, come integrata dal protocollo del 17 febbraio 1978).

( 27 ) È tale scelta costituzionale a formare oggetto del presente procedimento. Per tale ragione, gli argomenti dedotti da alcune istituzioni in udienza, come quello secondo cui solo l’organo di conciliazione dell’OMC è competente e può decidere se gli atti dell’Unione siano o meno conformi al diritto dell’OMC, sono irrilevanti ai fini del presente procedimento. Nella presente impugnazione ci occupiamo esclusivamente della questione del potere della Corte, nell’ambito dell’ordinamento costituzionale dell’Unione, di verificare tali discrepanze.

( 28 ) Per riprendere il linguaggio della sentenza della U.S. Supreme Court (Corte suprema degli Stati Uniti) nella causa Marbury c. Madison [5 U.S. (1 Cranch) 137] (1803), pag. 177.

( 29 ) V. articolo 34 CECA.

( 30 ) V. sentenza del 22 ottobre 1987, Foto‑Frost (314/85, EU:C:1987:452, punto 17).

( 31 ) Occorre qui ricordare le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Paesi Bassi/Parlamento e Consiglio (C‑377/98, EU:C:2001:329, paragrafo 147), in cui l’avvocato generale ha spiegato in modo puntuale che, «in generale, si potrebbe ritenere comunque auspicabile, sotto il profilo politico, che la Corte possa sindacare la legittimità della legislazione comunitaria alla luce di trattati che vincolano la Comunità. Non vi è alcun altro giudice che possa sindacare la legislazione comunitaria; di conseguenza, se la Corte si dichiara incompetente, gli Stati membri possono trovarsi soggetti ad obblighi confliggenti senza disporre di strumenti per risolvere tali conflitti».

( 32 ) Nella sentenza del 12 dicembre 1972, International Fruit Company e a. (da 21/72 a 24/72, EU:C:1972:115), dopo aver confermato che il GATT è vincolante per le istituzioni (punto 18), la Corte ha dichiarato che le disposizioni di tale accordo sono di natura tale da non poter conferire diritti ai singoli (punto 27). A causa della mancanza di efficacia diretta di tali disposizioni, i singoli non potevano quindi invocare il GATT dinanzi a un giudice nazionale per mettere in discussione la validità del diritto dell’Unione.

( 33 ) Nella sentenza del 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio (C‑280/93, EU:C:1994:367, punto 109), la Corte ha concluso non solo che i singoli non possono invocare direttamente il GATT (essendo tale accordo, in linea di principio, privo di efficacia diretta), ma anche che gli Stati membri non possono far valere tale accordo nell’ambito di ricorsi proposti ai sensi dell’articolo 260 TFUE. Infatti, la Corte ha ritenuto di non poter prendere in considerazione il GATT nel valutare la legittimità di un regolamento dell’Unione.

( 34 ) Nella sentenza del 23 novembre 1999, Portogallo/Consiglio (C‑149/96, EU:C:1999:574, punto 47), la Corte ha considerato che l’istituzione dell’OMC non ha modificato nulla rispetto alla sua constatazione secondo cui, in linea di principio, essa non può valutare il diritto dell’Unione alla luce del GATT e, più in generale, del diritto dell’OMC.

( 35 ) Sentenza del 12 dicembre 1972 (da 21/72 a 24/72, EU:C:1972:115).

( 36 ) Ibid., punto 21.

( 37 ) Sentenza del 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio (C‑280/93, EU:C:1994:367, punti da 106 a 109).

( 38 ) Sentenza del 23 novembre 1999, Portogallo/Consiglio (C‑149/96, EU:C:1999:574).

( 39 ) Tale meccanismo è basato sulla Dispute Settlement Understanding on Rules and Procedures Governing the Settlement of Disputes (Intesa sulle norme e sulle procedure che disciplinano la risoluzione delle controversie; in prosieguo: la «DSU»).

( 40 ) Ibid., punti da 36 a 39.

( 41 ) V., in tal senso, ibid., punto 40.

( 42 ) Ibid., punto 43.

( 43 ) Ibid., punto 47. A causa di questa stessa flessibilità, la Corte ha altresì ritenuto inopportuno consentire un controllo di validità degli atti di diritto derivato delle istituzioni alla luce delle raccomandazioni o delle decisioni dell’organo di conciliazione dell’OMC che constatavano una violazione delle norme dell’OMC.V. sentenze del 1o marzo 2005, Van Parys (C‑377/02, EU:C:2005:121, punti da 41 a 48), del 9 settembre 2008, FIAMM e a./Consiglio e Commissione (C‑120/06 P e C‑121/06 P, EU:C:2008:476, punti da 127 a 133), e del 18 ottobre 2018, Rotho Blaas (C‑207/17, EU:C:2018:840, punto 52).

( 44 ) Una situazione che, lo ricordo, non è nuova per l’Unione europea a livello di GATT/OMC. Dal 1997 al 2012 l’Unione ha violato manifestamente gli obblighi assunti nell’ambito dell’OMC per quanto riguarda il suo regime di importazione, vendita e distribuzione delle banane. Questo nonostante le molteplici attuazioni insoddisfacenti delle relazioni del Panel e delle relazioni di conformità, nonché le concessioni sospese da parte di diversi membri dell’OMC. Solo dopo aver trovato una soluzione concordata, la questione è stata (parzialmente) risolta. V. OMC, Notifica di una soluzione concordata (WT/DS27, WT/DS361, WT/DS364, WT/DS16, WT/DS105, WT/DS158, WT/L/616 e WT/L/625, 8 novembre 2012). Analogamente, ricordiamo la lunga e aspra disputa commerciale tra gli Stati Uniti e l’Unione europea sulla decisione di quest’ultima di vietare la carne trattata con ormoni, a partire dal 1981 [con la Direttiva 81/602/CEE (GU 1981, L 222, pag. 32)]. Solo nel 2019 l’Unione europea ha raggiunto un accordo con gli Stati Uniti sulla carne bovina trattata con ormoni, risolvendo così (temporaneamente) la controversia. V. Accordo fra gli Stati Uniti d’America e l’Unione europea per l’assegnazione agli Stati Uniti di una quota del contingente tariffario per le carni bovine di alta qualità di cui al protocollo d’intesa sottoposto a revisione concernente l’importazione di carni bovine provenienti da animali non trattati con alcuni ormoni di crescita e i dazi maggiorati applicati dagli Stati Uniti a determinati prodotti dell’Unione europea (2014) (GU 2019, L 316, pag. 3).

( 45 ) L’esigenza di tale equilibrio si riflette nell’articolo 13, paragrafo 2, TUE.

( 46 ) Per chiarire, non solo le istituzioni, ma anche la ricorrente e le intervenienti hanno qualificato come «eccezioni» le situazioni menzionate nelle sentenze Nakajima e Fediol.

( 47 ) Sebbene non esista, nel diritto dell’Unione, un sistema formale del precedente, la Corte suffragherà comunque il suo ragionamento facendo riferimento a precedenti sentenze e si discosterà da precedenti sentenze soltanto in circostanze eccezionali. V. a tal proposito, Arnull, A., «Owning up to Fallibility: Precedent and the Court», Common Market Law Review, Vol. 30(2), 1993, pagg. da 247 a 266; Tridimas, T., «Precedent and the Court of Justice, A Jurisprudence of Doubt?» in Dickinson, J., Eleftheriadis, P. (a cura di.), Philosophical Foundations of EU Law, OUP, Oxford, 2012, pagg. da 307 a 330.

( 48 ) Sentenza Nakajima, punto 27.

( 49 ) Sentenza Nakajima, punto 28.

( 50 ) Ciò è corroborato dalla sentenza del 5 ottobre 1994, Germania/Consiglio (C‑280/93, EU:C:1994:367, punto 109). Dopo aver valutato l’eventuale efficacia diretta del GATT, la Corte ha concluso che «queste particolarità dell’Accordo generale, rilevate dalla Corte per constatare che i singoli della Comunità non possono farle valere in giudizio per contestare la legittimità di atti comunitari, ostano parimenti a che la Corte prenda in considerazione le disposizioni dell’Accordo generale per valutare la legittimità di un regolamento». Il corsivo è mio. V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Saggio nella causa Portogallo/Consiglio (C‑149/96, EU:C:1999:92, paragrafo 18) [che distingue il diniego dell’efficacia diretta del GATT dal diritto al controllo della legittimità di un (allora) atto comunitario].

( 51 ) Sentenza Nakajima, punto 29, che rinvia al punto 18 della sentenza International Fruit Company e a. (da 21/72 a 24/72, EU:C:1972:115).

( 52 ) Sentenza Nakajima, punto 30.

( 53 ) Ibid., punto 31.

( 54 ) Ibid., punto 32.

( 55 ) Anche se non è chiaro il motivo per cui la Corte alterna questo linguaggio. In generale, le modifiche linguistiche appaiono rintracciabili attraverso una lunga linea giurisprudenziale in cui le circostanze della sentenza Nakajima (e Fediol) sono state descritte in un’unica frase, che è stata successivamente riportata in altre cause. Così, nella sentenza Germania/Consiglio (C‑280/93, EU:C:1994:367), la Corte ha fatto riferimento alla sentenza Nakajima (e Fediol) nel seguente modo: dopo aver affermato che l’applicabilità diretta del GATT non può essere desunta dal suo spirito, dalla sua struttura o dalla sua lettera, la Corte ha spiegato che «in assenza di un siffatto obbligo derivante dall’accordo stesso, solo nell’ipotesi in cui la Comunità abbia inteso dare esecuzione ad un obbligo particolare assunto nell’ambito del GATT o in quella in cui l’atto comunitario rinvii espressamente a precise disposizioni dell’Accordo generale la Corte è tenuta a controllare la legittimità dell’atto comunitario di cui trattasi alla luce delle norme del GATT [citazione delle sentenze Fediol e Nakajima]» (sentenza Germania/Consiglio, punto 111; il corsivo è mio). Nella sentenza Portogallo/Consiglio (C‑149/96, EU:C:1999:574, punti 4749), la stessa formula faceva seguito all’affermazione secondo cui gli accordi OMC non figurano «in linea di principio» tra le normative alla luce delle quali la Corte controlla la legittimità degli atti delle (allora) istituzioni comunitarie. Nella sentenza Rusal Armenal, la Corte ha indicato, per la prima volta, le due ipotesi come «due situazioni eccezionali» (sentenza Rusal Armenal, punto 40; il corsivo è mio). Essa ha poi aggiunto che, «per applicare tale eccezione a un caso specifico, occorre che sia sufficientemente dimostrata la chiara volontà del legislatore di attuare nel diritto dell’Unione un obbligo particolare assunto nell’ambito degli accordi OMC» (sentenza Rusal Armenal, punto 45; il corsivo è mio). Successivamente, tuttavia, sembra che la Corte abbia usato alternativamente l’espressione «in due situazioni» [v., ad esempio, sentenze del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punto 87) (che aggiunge «in via di eccezione» dopo il rinvio indiretto alle sentenze Nakajima e Fediol)] e del 15 novembre 2018, Baby Dan (C‑592/17, EU:C:2018:913, punto 67) (che aggiunge «eccezionalmente» più avanti nello stesso punto)] e l’espressione «in due situazioni eccezionali» [sentenze del 18 ottobre 2018, Rotho Blaas (C‑207/17, EU:C:2018:840, punto 47), del 9 luglio 2020, Donex Shipping and Forwarding (C‑104/19, EU:C:2020:539, punto 46), e del 5 maggio 2022, Zhejiang Jiuli Hi-Tech Metals/Commissione (C‑718/20 P, EU:C:2022:362, punto 85)]. Infine, occorre sottolineare che la logica dell’«eccezione» è stata introdotta anche nella giurisprudenza relativa ad altri accordi internazionali, come la Convenzione di Aarhus. V., a tal riguardo, sentenza del 13 gennaio 2015, Consiglio e a./Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht (da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2015:4, punto 57).

( 56 ) I termini impiegati dalla Corte spingono talvolta in tale direzione. Ad esempio, nella sentenza Rusal Armenal, è stato constatato che «la Corte, in determinati casi, ha riconosciuto che il sistema antidumping dell’OMC poteva costituire un’eccezione al principio generale secondo il quale il giudice dell’Unione non può controllare la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione in base alla loro conformità alle norme contenute negli accordi OMC» (sentenza Rusal Armenal, punto 44; il corsivo è mio).

( 57 ) A tal riguardo, v. conclusioni dell’avvocato generale Saggio nella causa Portogallo/Consiglio (C‑149/96, EU:C:1999:92, paragrafo 20) [che rinvia all’ultimo considerando della decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU 1994, L 336, pag. 1), concernente la conclusione, da parte dell’Unione, degli accordi OMC, che sembra «avere (…) inteso limitare gli effetti dell’accordo», prima di concludere che, in forza dell’obbligo della Corte, previsto dal Trattato, di vigilare sul rispetto degli accordi che vincolano l’Unione, «il Consiglio non può, con un atto di diritto derivato, limitare questa competenza della Corte, né decidere di escludere la competenza dei giudici nazionali in ordine all’applicazione delle stesse fonti»].

( 58 ) V., a tal riguardo, Ruiz Fabri, H., «Is There a Case – Legally and Politically – for Direct Effect of WTO Obligations?», European Journal of International Law, Vol. 25(1), 2014, pagg. da 151 a 173, in particolare pag. 152.

( 59 ) Per riprendere il linguaggio della sentenza della U.S. Supreme Court (Corte suprema degli Stati Uniti), Baker c. Carr 369 U.S. 186 (1962), pag. 217.

( 60 ) V., ad esempio, sentenza Rusal Armenal, punti 45 e 46 (in cui si constata che la chiara volontà del legislatore di cui alla sentenza Nakajima non sia “sufficientemente” dimostrata quando dal preambolo di un atto dell’Unione «risulti in generale che l’adozione di quest’ultimo sia avvenuta in considerazione di obblighi internazionali dell’Unione»). Tale conclusione sembra derivare anche dal tentativo fallito di applicare la sentenza Nakajima al di fuori del particolare settore del diritto dell’OMC.V., ad esempio, sentenza del 13 gennaio 2015, Consiglio e a./Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht (da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2015:4, punti 5759) (che nega l’applicabilità della giurisprudenza Nakajima agli obblighi particolari assunti dall’Unione europea nell’ambito della Convenzione di Aarhus).

( 61 ) V., ad esempio, sentenza del 20 gennaio 2022, Commissione/Hubei Xinyegang Special Tube (C‑891/19 P, EU:C:2022:38, punti 3034). In tale sentenza la Corte ha concluso che, poiché le disposizioni dell’articolo 3 del regolamento di base possono essere considerate sostanzialmente identiche a quelle dell’articolo 3 dell’ADA, la Corte può interpretare il primo facendo riferimento all’interpretazione del secondo, fornita dall’organo di conciliazione dell’OMC.

( 62 ) Sentenza Rusal Armenal, punti 47 e 48.

( 63 ) Va ricordato che la sentenza Nakajima riguardava una situazione in cui la volontà del legislatore di dare esecuzione a un obbligo di diritto internazionale che vincolava l’Unione era espressa nel documento stesso che mirava ad attuare tale obbligo.

( 64 ) L’articolo 2, paragrafo 7, lettere a) e b), ha trovato collocazione nel regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), a decorrere dalla modifica di quest’ultimo, nel 1998, da parte del regolamento (CE) n. 905/98 del Consiglio, del 27 aprile 1998 (GU 1998, L 128, pag. 18). L’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), in tale versione, faceva già espresso riferimento alla Cina, insieme alla Russia. Nel 2000, con il regolamento (CE) n. 2238/2000 del Consiglio, del 9 ottobre 2000 (GU 2000, L 257, pag. 2) sono stati aggiunti altri tre paesi all’articolo 2, paragrafo 7, lettera b): Ucraina, Vietnam e Kazakistan. Nel 2002, con regolamento (CE) n. 1972/2002 del Consiglio, del 5 novembre 2002 (GU 2022, L 305, pag. 1), la Russia è stata cancellata dal testo dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera b). L’Ucraina ha seguito l’esempio nel 2005, mediante modifica ad opera del regolamento (CE) n. 2117/2005 del Consiglio, del 21 dicembre 2005 (GU 2005, L 340, pag. 17). Le successive modifiche al(l’allora) regolamento di base, comprese le codifiche del 2009 [regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51)] e del 2016 (regolamento 2016/1036), non hanno apportato modifiche all’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), o all’inclusione della Cina in tale regolamento, fino all’introduzione del metodo delle «distorsioni significative» mediante il regolamento (UE) 2017/2321 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2017, che modifica il regolamento (UE) 2016/1036 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea e il regolamento (UE) 2016/1037 relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri dell’Unione europea (GU 2017, L 338, pag. 1).

( 65 ) Sentenza Rusal Armenal, punto 52.

( 66 ) Ibid., punto 47.

( 67 ) Ibid., punto 50.

( 68 ) Ibid., punti da 47 a 50 e 53.

( 69 ) Tale divergenza linguistica tra i due regolamenti non esiste in tutte le versioni linguistiche. Ad esempio, mentre tale differenza è presente nelle versioni tedesca, neerlandese e italiana, essa non esiste nelle versioni spagnola, francese e portoghese.

( 70 ) Come rileva Zang, «tutte le precedenti adesioni al GATT del 1947 da parte di economie non di mercato, vale a dire la Polonia, la Romania e l’Ungheria sono state testimoni di disposizioni analoghe a quelle dell’articolo 15; tuttavia, nessuna di esse faceva esplicitamente riferimento alle condizioni di un’economia di mercato o non di mercato. Pertanto (…) l’articolo 15 è la prima disposizione dell’OMC che ricorre espressamente a tali nozioni». Zang, M.Q., «The WTO contingent trade instruments against China: what does accession bring?», International and Comparative Law Quarterly, Vol. 58, aprile 2009, pagg. da 321 a 351, in particolare pagg. da 324 a 325.

( 71 ) V., ad esempio, Parte I, paragrafo 1.2 del protocollo di adesione della Cina (in cui si afferma che il protocollo «costituisce parte integrante dell’accordo OMC». Per analogia, v. altresì sentenze del 19 settembre 2019, Zhejiang Jndia Pipeline Industry/Commissione (T‑228/17, EU:T:2019:619, punto 97) (in cui si constata che il protocollo di adesione cinese costituisce «una parte dell’insieme di accordi conclusi nell’ambito dell’OMC»), e del 5 maggio 2021, Acron e a./Commissione (T‑45/19, non pubblicata, EU:T:2021:238, punto 105) (in cui si constata che il protocollo di adesione russo è parte integrante dell’accordo OMC). Va sottolineato che tale trattamento non è esclusivo dei protocolli di adesione, in quanto l’articolo II, paragrafo 2, dell’accordo OMC specifica che gli accordi e gli strumenti giuridici associati, inclusi negli allegati 1, 2 e 3 di tale accordo, «sono parti integranti» dello stesso.

( 72 ) Sentenza impugnata, punto 63, (in cui si precisa che «la ricorrente ha confermato in udienza di non sostenere che gli accordi OMC o il protocollo di adesione avevano efficacia diretta in generale»).

( 73 ) Sentenza del 5 maggio 2022 (C‑718/20 P, EU:C:2022:362).

( 74 ) Ibid., punti 88, 89 e 91.

( 75 ) Ibid., punto 18 (in cui viene precisato che la Commissione ha avviato il procedimento di riesame in previsione della scadenza di cui trattasi il 10 dicembre 2016).

( 76 ) Tale interpretazione della sentenza Rusal Armenal come una sentenza che qualifica l’intero sistema istituito dall’articolo 2, paragrafo 7, del regolamento di base come una specifica scelta legislativa dell’Unione relativamente ai paesi indicati in tale articolo contribuisce a escludere altre differenze tra tale causa e la presente causa. Vale a dire, l’Armenia è stata inserita nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base tra i paesi non retti da un’economia di mercato ai quali è sempre stato applicato il metodo del «paese di riferimento». Dal canto suo, la Cina è inserita nell’elenco di cui all’articolo 2, paragrafo 7, lettera b), del regolamento di base, che richiede il ricorso al metodo del paese di riferimento ogniqualvolta il produttore esportatore di cui trattasi, che ha collaborato, non possa dimostrare «la prevalenza di condizioni dell’economia di mercato [di cui alla lettera c) di tale disposizione] per il produttore (…) relativamente alla produzione e alla vendita del prodotto simile».

( 77 ) Per completezza, occorre aggiungere che, ad oggi, non esiste alcuna decisione dell’organo di conciliazione dell’OMC sugli effetti della scadenza del termine di cui all’articolo 15, lettera d), del protocollo di adesione e sulla possibilità, successivamente, di ricorrere a un metodo che non sia basato su un confronto rigoroso con i prezzi o i costi interni della Cina, sulla base del protocollo di adesione o dell’ADA. Infatti, pur avendo avviato una causa contro l’Unione europea subito dopo la scadenza del termine previsto dal protocollo, nel giugno 2019, la Cina ha chiesto la sospensione di tale procedimento. I poteri del Panel costituito per la causa European Union – Measures related to price comparison methodologies (Unione europea – Misure relative ai metodi di confronto dei prezzi) (WT/DS516), che riguardavano proprio tale questione, sono decaduti il 15 giugno 2020 (v. la nota del segretariato dell’OMC dello stesso giorno, WT/DS516/14). Per maggiori dettagli, v. Zhou, W. e Qu, X., «Confronting the “Non‑Market Economy” Treatment: The Evolving World Trade Organization Jurisprudence on Anti‑Dumping and China’s Recent Practices», Journal of International Dispute Settlement, Vol. 13(3), 2022, pagg. da 1 a 22, in particolare pagg. da 6 a 7. Al contempo, i pareri dottrinali sugli effetti della scadenza sono divergenti. Alcuni suggeriscono che non sia cambiato nulla, dato che è scaduto solo l’articolo 15, lettera a), punto ii), del protocollo, lasciando intatto l’articolo 15, lettere a) e a), punto i), ma invertendo in tal modo l’onere della prova richiesto per derogare alle regole per il calcolo del valore normale contenute nell’articolo 2 dell’ADA. Altri ritengono che la scadenza di cui all’articolo 15, lettera a), punto ii), incida sull’intera lettera a). Altri, invece, come il ricorrente, ritengono che, a decorrere dalla scadenza di tale termine, la Cina debba essere considerata incondizionatamente un paese a economia di mercato. V., in particolare, Graafsma, F., Kumashova, E., «In re China’s Protocol of Accession and the Anti‑Dumping Agreement: Temporary Derogation or Permanent Modification?», Global Trade and Customs Journal, Vol. 9(4), 2014, pagg. da 154 a 159; Lee, J., «China’s Nonmarket Economy Treatment and U.S. Trade Remedy Actions», Journal of World Trade, Vol. 51(3), 2017, pagg. da 495 a 516; Suse, A., «Old Wine in a New Bottle: the EU’s Response to the Expiry of Section 15(a)(ii) of China’s WTO Protocol of Accession», Journal of International Economic Law, Vol. 20(4), 2017, pagg. da 951 a 977; e «China: NME at the Gates? Article 15 of China’s WTO Accession Protocol: A multi‑perspective analysis», Research Paper, European Institute for Asian Studies, Bruxelles, 2016.

( 78 ) Sentenza impugnata, punto 68. Ciò detto, trovo strano che il Tribunale consideri che un’interpretazione conforme non sia possibile prima di accertare il risultato al quale condurrebbe siffatta interpretazione.

( 79 ) Come risulta dall’articolo 169, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte (in cui si richiede che nell’impugnazione debbano essere indicati con precisione gli elementi contestati della sentenza di cui il ricorrente chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto specificamente dedotti a sostegno di tale impugnazione). V. altresì, in tal senso, sentenza del 19 settembre 2013, EFIM/Commissione (C‑56/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:575, punto 97) (che respinge in quanto irricevibile in sede di impugnazione un argomento che non rimette in discussione le conclusioni cui è giunto il Tribunale).

( 80 ) V., ad esempio, sentenze del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 119), e del 24 gennaio 2012, Dominguez (C‑282/10, EU:C:2012:33, punto 27). Nella sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger (C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 73 e giurisprudenza ivi citata), la Corte ha quindi imposto a un giudice nazionale di disapplicare la giurisprudenza nazionale esistente che gli imporrebbe di «ritenere di trovarsi nell’impossibilità di interpretare una disposizione nazionale conformemente al diritto dell’Unione».