SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)

20 febbraio 2024 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Politica sociale – Direttiva 1999/70/CE – Accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato – Clausola 4 – Principio di non discriminazione – Differenza di trattamento in caso di licenziamento – Recesso da un contratto di lavoro a tempo determinato – Assenza dell’obbligo di indicare i motivi del recesso – Sindacato giurisdizionale – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea»

Nella causa C‑715/20,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Sąd Rejonowy dla Krakowa – Nowej Huty w Krakowie (Tribunale circondariale di Cracovia – Nowa Huta in Cracovia, Polonia), con decisione dell’11 dicembre 2020, pervenuta in cancelleria il 18 dicembre 2020, nel procedimento

K.L.

contro

X sp. z o.o.,

LA CORTE (Grande Sezione),

composta da K. Lenaerts, presidente, L. Bay Larsen, vicepresidente, A. Arabadjiev, A. Prechal, E. Regan, F. Biltgen, N. Piçarra, presidenti di sezione, S. Rodin, P.G. Xuereb, L.S. Rossi, A. Kumin (relatore), N. Wahl, I. Ziemele, J. Passer e D. Gratsias, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: M. Siekierzyńska, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 22 novembre 2022,

considerate le osservazioni presentate:

per il governo polacco, da B. Majczyna, J. Lachowicz e A. Siwek-Ślusarek, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da D. Martin, D. Recchia e A. Szmytkowska, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 marzo 2023,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione della clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999 (in prosieguo: l’«accordo quadro»), che figura nell’allegato della direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato (GU 1999, L 175, pag. 43), nonché su quella degli articoli 21 e 30 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra K.L., un lavoratore che è stato oggetto di un licenziamento, e X sp. z o.o., una società a responsabilità limitata di diritto polacco ed ex datore di lavoro di K.L., in merito al recesso dal contratto di lavoro a tempo determinato che vincolava detto lavoratore a tale società.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Direttiva 1999/70

3

Ai sensi del considerando 14 della direttiva 1999/70:

«le parti contraenti hanno voluto concludere un accordo quadro sul lavoro a tempo determinato che stabilisce i principi generali e i requisiti minimi per i contratti e i rapporti di lavoro a tempo determinato; hanno espresso l’intenzione di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo l’applicazione del principio di non discriminazione, nonché di creare un quadro per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato».

4

L’articolo 1 della direttiva 1999/70 così dispone:

«Scopo della presente direttiva è attuare l’[accordo quadro]».

Accordo quadro

5

Il terzo comma del preambolo dell’accordo quadro è redatto nei termini seguenti:

«Il presente accordo stabilisce i principi generali e i requisiti minimi relativi al lavoro a tempo determinato, riconoscendo che la loro applicazione dettagliata deve tener conto delle realtà specifiche delle situazioni nazionali, settoriali e stagionali. Esso indica la volontà delle parti sociali di stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni, e un uso dei contratti di lavoro a tempo determinato accettabile sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori».

6

Ai sensi della clausola 1 dell’accordo quadro, l’obiettivo di quest’ultimo è, da un lato, migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione e, dall’altro, creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato.

7

La clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro, intitolata «Campo di applicazione», enuncia quanto segue:

«Il presente accordo si applica ai lavoratori a tempo determinato con un contratto di assunzione o un rapporto di lavoro disciplinato dalla legge, dai contratti collettivi o dalla prassi in vigore di ciascuno Stato membro».

8

La clausola 3 del suddetto accordo quadro è così formulata:

«1.

Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo determinato” indica una persona con un contratto o un rapporto di lavoro definiti direttamente fra il datore di lavoro e il lavoratore e il cui termine è determinato da condizioni oggettive, quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico.

2.

Ai fini del presente accordo, il termine “lavoratore a tempo indeterminato comparabile” indica un lavoratore con un contratto o un rapporto di lavoro di durata indeterminata appartenente allo stesso stabilimento e addetto a lavoro/occupazione identico o simile, tenuto conto delle qualifiche/competenze. In assenza di un lavoratore a tempo indeterminato comparabile nello stesso stabilimento, il raffronto si dovrà fare in riferimento al contratto collettivo applicabile o, in mancanza di quest’ultimo, in conformità con la legge, i contratti collettivi o le prassi nazionali».

9

La clausola 4, punto 1, del medesimo accordo quadro, intitolata «Principio di non discriminazione», prevede quanto segue:

«Per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato non possono essere trattati in modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per il solo fatto di avere un contratto o rapporto di lavoro a tempo determinato, a meno che non sussistano ragioni oggettive».

Diritto polacco

10

Conformemente all’articolo 8 dell’ustawa – Kodeks pracy (legge che istituisce un codice del lavoro), del 26 giugno 1974 (Dz. U. n. 24, posizione 141), nella versione applicabile al procedimento principale (Dz. U. del 2020, posizione 1320, come modificata) (in prosieguo: il «codice del lavoro»), un diritto non può essere esercitato in contraddizione con il suo scopo socio-economico o in violazione dei principi della vita sociale.

11

L’articolo 183a, paragrafi 1 e 2, del codice del lavoro così recita:

«1.   I lavoratori devono essere trattati allo stesso modo per quanto riguarda la costituzione e la cessazione del rapporto di lavoro, le condizioni di lavoro, la promozione e l’accesso alla formazione professionale, senza distinzione, in particolare, di sesso, età, handicap, razza, religione, nazionalità, convinzioni politiche, appartenenza sindacale, origine etnica, confessione, tendenze sessuali ed anche indipendentemente dal fatto che l’occupazione è a tempo determinato o indeterminato, a tempo pieno o parziale.

2.   Per parità di trattamento in materia di occupazione si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, basata su uno dei motivi di cui al paragrafo 1».

12

L’articolo 183b paragrafo 1, del codice del lavoro così dispone:

«Per violazione del principio della parità di trattamento in materia di occupazione, fatte salve le disposizioni di cui ai paragrafi da 2 a 4, si intende una distinzione operata dal datore di lavoro della situazione del lavoratore per uno o più motivi di cui all’articolo 183a, paragrafo 1, che produca come effetto, in particolare:

1)

il rifiuto della costituzione o della cessazione del rapporto di lavoro;

2)

la determinazione sfavorevole della retribuzione o delle altre condizioni di lavoro oppure l’esclusione dalla promozione o da altre prestazioni legate al lavoro;

3)

(...)

salvo che il datore di lavoro dimostri di aver agito per ragioni oggettive.

(...)».

13

L’articolo 30 del codice del lavoro prevede quanto segue:

«1.   La cessazione del contratto di lavoro ha luogo:

1)

per mutuo consenso delle parti;

2)

a seguito di una dichiarazione di una delle parti, nel rispetto del termine di preavviso (recesso dal contratto di lavoro con preavviso);

3)

a seguito di una dichiarazione di una delle parti, senza rispettare un termine di preavviso (recesso dal contratto di lavoro senza preavviso);

4)

alla scadenza del termine previsto nel contratto.

(...)

3.   La dichiarazione di ciascuna delle parti riguardante il recesso da un contratto di lavoro con o senza preavviso deve essere effettuata in forma scritta.

4.   La dichiarazione del datore di lavoro riguardante il recesso con preavviso da un contratto di lavoro a tempo indeterminato o il recesso da un contratto di lavoro senza preavviso deve indicare i motivi che giustificano il recesso».

14

L’articolo 44 del codice del lavoro così dispone:

«Il lavoratore può impugnare il recesso dal contratto di lavoro dinanzi al giudice del lavoro (...)».

15

L’articolo 45, paragrafo 1, del codice del lavoro così recita:

«Nel caso in cui sia accertato che il recesso da un contratto di lavoro a tempo indeterminato è ingiustificato o viola le norme sul recesso dai contratti di lavoro, il giudice del lavoro, su richiesta del lavoratore, dichiara inefficace il recesso o, se tale contratto di lavoro è già cessato, dispone la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro alle condizioni precedentemente previste o il risarcimento a suo favore».

16

L’articolo 50, paragrafo 3, del codice del lavoro prevede quanto segue:

«Qualora il recesso dal contratto di lavoro a tempo determinato sia avvenuto in violazione delle norme sul recesso da tali contratti, al lavoratore spetta soltanto il diritto al risarcimento».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

17

K.L. e X hanno concluso un contratto di lavoro a tempo determinato e parziale per il periodo compreso tra il 1o novembre 2019 e il 31 luglio 2022.

18

Il 15 luglio 2020, X ha notificato a K.L., ricorrente nel procedimento principale, una dichiarazione di recesso da tale contratto di lavoro rispettando un termine di preavviso di un mese. Detto recesso ha quindi avuto effetto il 31 agosto 2020, senza tuttavia che i motivi dello stesso fossero stati comunicati a K.L.

19

A seguito del suo licenziamento, K.L. ha adito il Sąd Rejonowy dla Krakowa – Nowej Huty w Krakowie (Tribunale circondariale di Cracovia – Nowa Huta in Cracovia, Polonia), giudice del rinvio, con una domanda di risarcimento sulla base dell’articolo 50, paragrafo 3, del codice del lavoro, deducendo l’illegittimità del suo licenziamento.

20

In tale domanda, K.L. ha affermato, da un lato, che la dichiarazione di X presentava errori formali, costituenti vizi che davano diritto ad ottenere un risarcimento, in forza dell’articolo 50, paragrafo 3, del codice del lavoro. Dall’altro lato, egli ha sostenuto che, sebbene il codice del lavoro non imponga ai datori di lavoro l’obbligo di indicare i motivi di recesso in caso di recesso dai contratti di lavoro conclusi a tempo determinato, l’assenza di una siffatta indicazione ha violato il principio di non discriminazione sancito nel diritto dell’Unione nonché nel diritto polacco, dato che tale obbligo sussiste in caso di recesso da contratti di lavoro conclusi a tempo indeterminato.

21

X, per contro, ha sostenuto di aver proceduto al licenziamento del ricorrente nel procedimento principale conformemente alle disposizioni del diritto del lavoro polacco in vigore, circostanza che tale ricorrente non avrebbe contestato.

22

Il giudice del rinvio conferma, nella domanda di pronuncia pregiudiziale, che, nel diritto polacco, in caso di ricorso di un lavoratore avverso il recesso dal suo contratto di lavoro a tempo determinato, il giudice competente non esamina il motivo del licenziamento e il lavoratore interessato non ha diritto ad alcun risarcimento a causa dell’assenza di giustificazione di tale licenziamento. Un siffatto lavoratore sarebbe quindi privato della tutela derivante dall’articolo 30 della Carta, ai sensi del quale «[o]gni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali».

23

Il giudice del rinvio osserva al riguardo che, nel corso del 2008, il Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale, Polonia) ha pronunciato una sentenza che verteva sulla conformità alla Konstytucja Rzeczypospolitej Polskiej (Costituzione della Repubblica di Polonia), del 2 aprile 1997 (Dz. U. del 1997, n. 78, posizione 483) (in prosieguo: la «Costituzione»), dell’articolo 30, paragrafo 4, del codice del lavoro, tenuto conto delle differenze previste da tale disposizione in termini di requisiti in materia di recesso, a seconda del tipo di contratto di lavoro interessato.

24

In tale sentenza, detto giudice costituzionale avrebbe dichiarato che l’articolo 30, paragrafo 4, del codice del lavoro, nella parte in cui non prevede l’obbligo di indicare il motivo del recesso nella dichiarazione del datore di lavoro relativa al recesso da un contratto di lavoro a tempo determinato, e l’articolo 50, paragrafo 3, di tale codice, nella parte in cui non prevede il diritto del lavoratore a un indennizzo per recesso ingiustificato da un siffatto contratto di lavoro, sono compatibili con l’articolo 2 della Costituzione, che sancisce il principio dello Stato di diritto democratico, nonché con l’articolo 32 di quest’ultima, che prevede il principio di uguaglianza dinanzi alla legge e il divieto di discriminazione nella vita politica, sociale o economica basato su qualsiasi motivo.

25

Il Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale) avrebbe concluso che nulla consentiva di ritenere che la distinzione introdotta, fondata sulla caratteristica del periodo di durata dell’assunzione, non fosse operata secondo un criterio pertinente ai sensi dell’articolo 32 della Costituzione.

26

Il giudice del rinvio espone in tale contesto che, in una sentenza pronunciata nel 2019, il Sąd Najwyższy (Corte suprema, Polonia) ha, per contro, espresso dubbi quanto alla corretta attuazione della clausola 4 dell’accordo quadro nel diritto polacco e, di conseguenza, quanto alla conformità delle disposizioni pertinenti del codice del lavoro con il diritto dell’Unione. Ciò premesso, tale giudice supremo avrebbe indicato che un soggetto che non costituisce un’emanazione dello Stato, quale un datore di lavoro privato, non può essere tenuto a rispondere dell’illegittimità consistente nello scorretto recepimento della direttiva 1999/70 nel diritto interno. Detto giudice supremo non avrebbe quindi potuto disapplicare l’articolo 30, paragrafo 4, del codice del lavoro nella causa che aveva dato origine a tale sentenza in quanto una disposizione di una direttiva, che ha lo scopo di riconoscere a un privato un diritto o di imporgli un obbligo, nemmeno se chiara, precisa e incondizionata può essere applicata nell’ambito di una controversia tra privati.

27

Il giudice del rinvio aggiunge che, in tale contesto, occorre prendere in considerazione, in particolare, le sentenze del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2019:43), e del 19 aprile 2016, DI, (C‑441/14, EU:C:2016:278). Esso precisa, a tale riguardo, che i criteri la cui applicazione è vietata ai fini di una distinzione tra lavoratori, criteri che sono stati oggetto di queste due sentenze, vale a dire la religione nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2019:43), e l’età, nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 19 aprile 2016, DI (C‑441/14, EU:C:2016:278), sono espressamente menzionati all’articolo 21 della Carta, mentre un rapporto di lavoro nell’ambito di un contratto di lavoro a tempo determinato non figura tra i criteri menzionati in tale disposizione. Tuttavia, il giudice del rinvio osserva che, l’articolo 21, paragrafo 1, della Carta enunci il divieto di ogni discriminazione, dato che l’elenco dei criteri da esso menzionati non è esaustivo, come attesterebbe l’impiego dell’avverbio «in particolare» in tale disposizione.

28

Infine, il giudice del rinvio ritiene che, se la Corte di giustizia interpretasse l’accordo quadro nel senso che esso osta a una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale senza chiarire la questione dell’effetto diretto orizzontale della normativa dell’Unione europea di cui si chiede l’interpretazione, nel diritto polacco si applicherebbero due regimi distinti di recesso dai contratti a tempo determinato a seconda che il datore di lavoro costituisca o meno un’emanazione dello Stato.

29

In tali circostanze, il Sąd Rejonowy dla Krakowa – Nowej Huty w Krakowie (Tribunale circondariale di Cracovia – Nowa Huta in Cracovia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 1 della direttiva [1999/70], nonché le clausole 1 e 4 [dell’accordo quadro] debbano essere interpretati nel senso che ostano alla disciplina di diritto nazionale che prevede l’obbligo del datore di lavoro di indicare per iscritto la motivazione della decisione di recesso da un contratto di lavoro soltanto in relazione ai contratti di lavoro conclusi a tempo indeterminato e, di conseguenza, il controllo in via giudiziaria della fondatezza dei motivi di recesso dai contratti di lavoro a tempo indeterminato, senza prevedere contemporaneamente tale obbligo del datore di lavoro di indicare il motivo che giustifichi il recesso in relazione ai contratti di lavoro conclusi a tempo determinato (quindi soltanto l’aspetto relativo alla conformità del recesso alle disposizioni sul recesso dai contratti è sottoposto a sindacato giurisdizionale).

2)

Se la clausola 4 dell’accordo quadro e il principio generale del diritto dell’Unione riguardante il divieto di discriminazione (articolo 21 della [Carta]) possano essere fatti valere dalle parti di una controversia giudiziaria in cui entrambe le parti siano soggetti privati, e, di conseguenza, se le suddette disposizioni abbiano un effetto orizzontale».

Sulle questioni pregiudiziali

30

Secondo una giurisprudenza costante, nell’ambito della procedura di cooperazione tra i giudici nazionali e la Corte istituita dall’articolo 267 TFUE, spetta a quest’ultima fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito. In tale prospettiva, spetta alla Corte, se necessario, riformulare le questioni che le sono sottoposte. La circostanza che un giudice nazionale abbia, sul piano formale, elaborato una questione pregiudiziale facendo riferimento a talune disposizioni del diritto dell’Unione non osta a che la Corte fornisca a detto giudice tutti gli elementi di interpretazione che possono essere utili per la soluzione della causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o no riferimento nell’enunciazione delle sue questioni. Spetta, a tale riguardo, alla Corte trarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale, e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi di diritto dell’Unione che richiedano un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia (sentenza del 5 dicembre 2023, Nordic Info, C‑128/22, EU:C:2023:951, punto 99 e giurisprudenza ivi citata).

31

Nel caso di specie, alla luce di tutti gli elementi forniti dal giudice del rinvio e delle osservazioni presentate dal governo polacco nonché dalla Commissione europea, al fine di fornire al giudice del rinvio elementi di interpretazione utili, occorre riformulare le questioni sollevate.

32

Pertanto, senza che sia necessario pronunciarsi sulla domanda di interpretazione dell’articolo 21 della Carta, si deve considerare che, con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la clausola 4 dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale secondo la quale un datore di lavoro non è tenuto a motivare per iscritto il recesso con preavviso da un contratto di lavoro a tempo determinato, mentre è tenuto a tale obbligo in caso di recesso da un contratto di lavoro a tempo indeterminato, e se tale clausola possa essere invocata nell’ambito di una controversia tra privati.

33

In primo luogo, occorre ricordare che l’accordo quadro si applica nei confronti di tutti i lavoratori che forniscono prestazioni retribuite nell’ambito di un rapporto di lavoro a tempo determinato che li vincola al loro datore di lavoro (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2022, Comunidad de Castilla y León, C‑192/21, EU:C:2022:513, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

34

Nel caso di specie, è pacifico che il ricorrente nel procedimento principale, nell’ambito del suo rapporto di lavoro con X, era considerato un lavoratore assunto con un contratto a tempo determinato, ai sensi della clausola 2, punto 1, dell’accordo quadro, letta in combinato disposto con la clausola 3, punto 1, di quest’ultimo, cosicché il procedimento principale rientra nell’ambito di applicazione di tale accordo quadro.

35

In secondo luogo, il divieto di un trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quello riservato ai lavoratori a tempo indeterminato, di cui alla clausola 4 dell’accordo quadro, riguarda le condizioni di impiego dei lavoratori. Occorre quindi stabilire se la normativa di cui trattasi nel procedimento principale, nei limiti in cui disciplina il recesso da un contratto di lavoro, rientri nella nozione di «condizioni di impiego», ai sensi della clausola 4 dell’accordo quadro.

36

Dalla formulazione e dall’obiettivo di tale clausola risulta che essa non riguarda la scelta stessa di concludere contratti di lavoro a tempo determinato anziché contratti di lavoro a tempo indeterminato, bensì le condizioni di impiego dei lavoratori che hanno stipulato il primo tipo di contratto rispetto a quelle dei lavoratori impiegati in forza del secondo tipo di contratto (sentenza dell’8 ottobre 2020, Universitatea Lucian Blaga Sibiu e a., C‑644/19, EU:C:2020:810, punto 39 e giurisprudenza ivi citata).

37

A tal proposito, il criterio decisivo per stabilire se una misura rientri nella nozione di «condizioni di impiego» ai sensi della clausola 4 dell’accordo quadro è proprio quello dell’impiego, vale a dire il rapporto di lavoro sussistente tra un lavoratore e il suo datore di lavoro [ordinanza del 18 maggio 2022, Ministero dell’istruzione (Carta elettronica), C‑450/21, EU:C:2022:411, punto 33 e giurisprudenza ivi citata].

38

La Corte ha quindi dichiarato che tale nozione comprende, tra l’altro, la tutela accordata a un lavoratore in caso di licenziamento illegittimo (sentenza del 17 marzo 2021, Consulmarketing, C‑652/19, EU:C:2021:208, punto 52, e la giurisprudenza ivi citata), nonché le regole relative alla determinazione del termine di preavviso applicabile in caso di estinzione dei contratti di lavoro a tempo determinato, così come quelle relative all’indennità corrisposta al lavoratore in considerazione dell’estinzione del contratto di lavoro intercorrente con il suo datore di lavoro, dato che siffatta indennità è versata a causa del rapporto di lavoro che si è instaurato tra loro (sentenza del 25 luglio 2018, Vernaza Ayovi, C‑96/17, EU:C:2018:603, punto 28 e giurisprudenza citata).

39

Infatti, un’interpretazione della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro che escludesse dalla definizione della nozione di «condizioni di impiego» le condizioni di estinzione di un contratto di lavoro a tempo determinato equivarrebbe a ridurre, in spregio all’obiettivo assegnato a detta disposizione, l’ambito di applicazione della tutela accordata ai lavoratori a tempo determinato contro il trattamento meno favorevole (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Vernaza Ayovi, C‑96/17, EU:C:2018:603, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).

40

Alla luce di tale giurisprudenza, una normativa nazionale come quella controversa nel procedimento principale rientra dunque nella nozione di «condizioni di impiego» di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro. Infatti, tale normativa prevede il regime di cessazione di un contratto di lavoro in caso di licenziamento, dato che siffatto regime ha come fondamento il rapporto di lavoro che si è instaurato tra un lavoratore e il suo datore di lavoro.

41

In terzo luogo, occorre rammentare che, ai sensi della clausola 1, lettera a), dell’accordo quadro, uno degli obiettivi di quest’ultimo è di migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato garantendo il rispetto del principio di non discriminazione. Del pari, al suo terzo comma, il preambolo dell’accordo quadro precisa che esso «indica la volontà delle parti sociali di stabilire un quadro generale che garantisca la parità di trattamento ai lavoratori a tempo determinato, proteggendoli dalle discriminazioni». Il considerando 14 della direttiva 1999/70 precisa, a tal fine, che l’obiettivo dell’accordo quadro consiste, in particolare, nel migliorare la qualità del lavoro a tempo determinato, fissando requisiti minimi atti a garantire l’applicazione del principio di non discriminazione (sentenza del 17 marzo 2021, Consulmarketing, C‑652/19, EU:C:2021:208, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).

42

L’accordo quadro, in particolare la sua clausola 4, mira a dare applicazione il principio di non discriminazione nei confronti dei lavoratori a tempo determinato, al fine di impedire che un rapporto di lavoro di tale natura venga utilizzato da un datore di lavoro per privare detti lavoratori di diritti riconosciuti ai lavoratori a tempo indeterminato (sentenza del 3 giugno 2021, Servicio Aragonés de Salud, C‑942/19, EU:C:2021:440, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

43

Inoltre, il divieto di discriminazione di cui alla clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro non è che l’espressione specifica del principio generale di uguaglianza che rientra nei principi fondamentali del diritto dell’Unione (sentenza del 19 ottobre 2023, Lufthansa CityLine, C‑660/20, EU:C:2023:789, punto 37 e giurisprudenza ivi citata).

44

Alla luce di tali obiettivi, detta clausola dev’essere intesa nel senso che esprime un principio di diritto sociale dell’Unione che non può essere interpretato in modo restrittivo (v., in tal senso, sentenza del 19 ottobre 2023, Lufthansa CityLine, C‑660/20, EU:C:2023:789, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

45

Conformemente all’obiettivo dell’eliminazione delle discriminazioni tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, detta clausola, che ha effetto diretto, enuncia, al punto 1, un divieto di trattare, per quanto riguarda le condizioni di impiego, i lavoratori a tempo determinato in un modo meno favorevole dei lavoratori a tempo indeterminato comparabili per l’unico motivo che lavorano a tempo determinato, a meno che un trattamento diverso non sia giustificato da «ragioni oggettive» (v., in tal senso, sentenze dell’8 settembre 2011, Rosado Santana, C‑177/10, EU:C:2011:557 punti 5664, nonché del 5 giugno 2018, Montero Mateos, C‑677/16, EU:C:2018:393, punto 42).

46

Più concretamente, occorre esaminare se la normativa di cui trattasi nel procedimento principale comporti, per quanto riguarda tale regime di cessazione, una differenza di trattamento costitutiva di un trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato comparabili, prima di determinare, eventualmente, se una siffatta differenza di trattamento possa essere giustificata da «ragioni oggettive».

47

Per quanto riguarda, in primo luogo, la comparabilità delle situazioni di cui trattasi, al fine di valutare se le persone interessate esercitino un lavoro identico o simile nel senso dell’accordo quadro, occorre stabilire, in conformità alle clausole 3, punto 2, e 4, punto 1, di quest’ultimo, se, tenuto conto di un insieme di fattori, come la natura del lavoro, le condizioni di formazione e le condizioni di impiego, si possa ritenere che esse si trovino in una situazione comparabile (sentenze del 5 giugno 2018, Grupo Norte Facility, C‑574/16, EU:C:2018:390, punto 48 nonché giurisprudenza ivi citata, e del 5 giugno 2018, Montero Mateos, C‑677/16, EU:C:2018:393, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

48

Orbene, tenuto conto del carattere generale della normativa di cui trattasi nel procedimento principale, che disciplina l’informazione dei lavoratori il cui contratto di lavoro sia stato oggetto di recesso, in merito ai motivi che hanno giustificato tale recesso, risulta che tale normativa si applica a lavoratori assunti nell’ambito di un contratto a tempo determinato che possono essere comparabili a lavoratori assunti nell’ambito di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

49

Spetterà al giudice del rinvio, il quale è il solo competente a valutare i fatti, stabilire se il ricorrente nel procedimento principale si trovasse in una situazione comparabile a quella di lavoratori assunti a tempo indeterminato da X nel corso dello stesso periodo (v., per analogia, sentenze del 14 settembre 2016, de Diego Porras, C‑596/14, EU:C:2016:683, punto 42 e giurisprudenza ivi citata, nonché del 17 marzo 2021, Consulmarketing, C‑652/19, EU:C:2021:208 punto 54).

50

Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’esistenza di un trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo determinato rispetto a quello di cui beneficiano i lavoratori a tempo indeterminato, è pacifico che, in caso di recesso con preavviso da un contratto di lavoro a tempo determinato, il datore di lavoro non è tenuto a comunicare immediatamente al lavoratore, per iscritto, il motivo o i motivi che lo giustificano, mentre vi è tenuto nel caso di recesso con preavviso da un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

51

Occorre constatare al riguardo che, da un lato, l’esistenza di un trattamento meno favorevole, ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, va valutata oggettivamente. Orbene, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, un lavoratore a tempo determinato il cui contratto di lavoro sia stato oggetto di recesso con preavviso, qualora non sia informato, contrariamente a un lavoratore a tempo indeterminato il cui contratto di lavoro sia stato oggetto di recesso, del motivo o dei motivi di tale licenziamento, è privato di un’informazione importante per valutare il carattere ingiustificato del licenziamento e per valutare l’opportunità di adire un giudice. Sussiste quindi una differenza di trattamento tra queste due categorie di lavoratori, ai sensi di tale disposizione.

52

Dall’altro lato, tanto il giudice del rinvio quanto il governo polacco suggeriscono che l’assenza di un obbligo di fornire tale informazione non esclude la facoltà che il lavoratore interessato avrebbe di adire il giudice del lavoro competente, affinché quest’ultimo sia in grado di verificare se il licenziamento in questione sia eventualmente discriminatorio o costituisca un abuso di diritto a causa della sua incompatibilità con la finalità socio-economica del diritto di cui trattasi o di una violazione dei principi della vita sociale, ai sensi dell’articolo 8 del codice del lavoro.

53

Orbene, occorre rilevare che una situazione del genere può comportare conseguenze sfavorevoli per un lavoratore a tempo determinato in quanto tale lavoratore, anche supponendo che il controllo giurisdizionale della fondatezza dei motivi di recesso dal suo contratto di lavoro sia garantito e che sia così garantita una tutela giurisdizionale effettiva dell’interessato, non dispone, a monte, di un’informazione che possa essere determinante ai fini della scelta di avviare o meno un’azione giudiziaria contro il recesso dal suo contratto di lavoro.

54

Pertanto, se il lavoratore interessato nutre dubbi circa la legittimità del motivo del suo licenziamento, egli non ha altra scelta, in mancanza di una comunicazione volontaria di tale motivo da parte del datore di lavoro, se non quella di adire il giudice del lavoro competente con un ricorso diretto a contestare tale licenziamento. È solo nell’ambito di tale ricorso che tale lavoratore può ottenere che detto giudice ordini al suo datore di lavoro di comunicare il motivo o i motivi di cui trattasi, senza poter valutare a priori le possibilità di successo di detto ricorso. Orbene, secondo le spiegazioni fornite dalla Repubblica di Polonia in udienza, detto lavoratore è tenuto a suffragare prima facie, in tale ricorso, il suo argomento diretto a dimostrare il carattere discriminatorio o abusivo del licenziamento di cui è stato oggetto, e ciò nonostante il fatto che egli non ne conosca i motivi. A ciò si aggiunge che, quand’anche il deposito di un siffatto ricorso, da parte di un lavoratore a tempo determinato, dinanzi a tale giudice del lavoro fosse gratuito, conformemente a quanto parimenti indicato dalla Repubblica di Polonia in udienza, la preparazione e il seguito del procedimento relativo all’esame di quest’ultimo possono comportare costi per detto lavoratore, o addirittura spese da sopportare in caso di esito negativo di tale ricorso.

55

Infine, occorre ricordare in tale contesto che un contratto a tempo determinato cessa di produrre i suoi effetti per il futuro alla scadenza del termine ad esso assegnato, termine che può consistere, in particolare, come nel caso di specie, nel raggiungimento di una data specifica. Pertanto, le parti di un contratto di lavoro a tempo determinato conoscono, fin dal momento della stipulazione del medesimo, la data che ne determina il termine. Tale termine limita la durata del rapporto di lavoro, senza che le parti debbano manifestare la loro volontà al riguardo dopo la conclusione del contratto di lavoro (sentenza del 5 giugno 2018, Grupo Norte Facility, C‑574/16, EU:C:2018:390, punto 57). Il recesso anticipato da un siffatto contratto di lavoro, su iniziativa del datore di lavoro, risultante dal verificarsi di circostanze che non erano previste alla data della conclusione di quest’ultimo e che vengono così a sconvolgere il normale svolgimento del rapporto di lavoro, è in tal senso, per il suo carattere imprevisto, tale da incidere su un lavoratore a tempo determinato quanto meno allo stesso modo del recesso da un contratto di lavoro a tempo indeterminato per il lavoratore corrispondente.

56

Ne consegue che, fatte salve le verifiche che spetterà al giudice del rinvio effettuare, una normativa nazionale come quella di cui trattasi nel procedimento principale istituisce una differenza di trattamento che implica un trattamento meno favorevole dei lavoratori a tempo determinato rispetto ai lavoratori a tempo indeterminato, derivante dalla circostanza che a questi ultimi non è applicata la limitazione in questione riguardante l’informazione relativa ai motivi che giustificano il licenziamento.

57

In terzo luogo, fatta salva la verifica che il giudice del rinvio è invitato ad effettuare, di cui al punto 49 della presente sentenza, occorre ancora determinare se la differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato comparabili, oggetto dei dubbi del giudice del rinvio, possa essere giustificata da «ragioni oggettive», ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro.

58

Al riguardo, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, la nozione di «ragioni oggettive», ai sensi della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, non può essere intesa nel senso che consente di giustificare una differenza di trattamento tra i lavoratori a tempo determinato e i lavoratori a tempo indeterminato con il fatto che tale differenza è prevista da una norma nazionale generale e astratta, quale una legge o un contratto collettivo (v., in tal senso, sentenza del 19 ottobre 2023, Lufthansa CityLine, C‑660/20, EU:C:2023:789, punto 57 e giurisprudenza ivi citata).

59

Al contrario, detta nozione richiede che la differenza di trattamento constatata sia giustificata dalla sussistenza di elementi precisi e concreti che contraddistinguono la condizione di impiego di cui trattasi nel particolare contesto in cui essa si inserisce e in base a criteri oggettivi e trasparenti, al fine di verificare se tale differenza risponda a una reale necessità, sia idonea a conseguire l’obiettivo perseguito e risulti a tal fine necessaria. Detti elementi possono risultare, segnatamente, dalla natura particolare delle mansioni per l’espletamento delle quali sono stati conclusi contratti a tempo determinato e dalle caratteristiche ad esse inerenti o, eventualmente, dal perseguimento di una legittima finalità di politica sociale di uno Stato membro (sentenza del 19 ottobre 2023, Lufthansa CityLine, C‑660/20, EU:C:2023:789 punto 58 e giurisprudenza ivi citata).

60

Nel caso di specie, il governo polacco, basandosi sul ragionamento seguito dal Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale) nella sentenza menzionata ai punti da 23 a 25 della presente sentenza, invoca la differenza tra la funzione sociale ed economica di un contratto di lavoro a tempo determinato e quella di un contratto a tempo indeterminato.

61

Secondo il governo polacco, la distinzione operata nel diritto polacco per quanto riguarda l’obbligo di motivazione, a seconda che si tratti del recesso da un contratto a tempo indeterminato o di quello da un contratto a tempo determinato, si inserisce nel perseguimento dell’obiettivo legittimo di una «politica sociale nazionale volta alla piena e produttiva occupazione». Il perseguimento di tale obiettivo richiederebbe una grande flessibilità del mercato del lavoro. Orbene, il contratto di lavoro a tempo determinato contribuirebbe a tale flessibilità, da un lato, dando a un maggior numero di persone una possibilità di assunzione pur prevedendo una tutela adeguata dei lavoratori interessati e, dall’altro, consentendo ai datori di lavoro di rispondere alle loro esigenze in caso di aumento della loro attività, senza tuttavia essere legati al lavoratore interessato in modo permanente.

62

Il governo polacco sottolinea quindi che garantire ai lavoratori a tempo determinato lo stesso livello di tutela di cui beneficiano i lavoratori a tempo indeterminato contro il recesso da un contratto di lavoro con preavviso comprometterebbe la realizzazione di detto obiettivo. Ciò sarebbe stato confermato dal Trybunał Konstytucyjny (Corte costituzionale) quando ha dichiarato che una siffatta differenza di regimi era legittima alla luce degli articoli 2 e 32 della Costituzione, i quali sanciscono, rispettivamente, il principio dello Stato di diritto democratico e i principi di uguaglianza dinanzi alla legge nonché di divieto di discriminazione nella vita politica, sociale o economica.

63

Orbene, occorre constatare che gli elementi invocati dal governo polacco al fine di giustificare la normativa di cui trattasi nel procedimento principale non sono elementi precisi e concreti, che caratterizzano la condizione di impiego di cui trattasi, come richiesto dalla giurisprudenza ricordata ai punti 58 e 59 della presente sentenza, ma sono piuttosto assimilabili a un criterio che, in modo generale ed astratto, fa riferimento esclusivamente alla durata stessa dell’impiego. Tali elementi non consentono quindi di assicurarsi che la differenza di trattamento di cui trattasi nel procedimento principale risponda a un’esigenza reale, ai sensi di detta giurisprudenza.

64

A tale riguardo, ammettere che la mera natura temporanea di un rapporto di lavoro sia sufficiente a giustificare una differenza di trattamento tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato svuoterebbe di ogni sostanza gli obiettivi dell’accordo quadro ed equivarrebbe a perpetuare una situazione svantaggiosa per i lavoratori a tempo determinato [v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2020, Governo della Repubblica italiana (Status dei giudici di pace italiani), C‑658/18, EU:C:2020:572, punto 152 e giurisprudenza ivi citata].

65

In ogni caso, in forza della giurisprudenza menzionata ai punti 58 e 59 della presente sentenza, oltre al fatto che una siffatta differenza di trattamento deve rispondere a una reale necessità, essa deve essere tale da consentire di conseguire l’obiettivo perseguito ed essere necessaria a tal fine. Inoltre, siffatto obiettivo deve essere perseguito in modo coerente e sistematico, conformemente ai requisiti della suddetta giurisprudenza (sentenza del 19 ottobre 2023, Lufthansa CityLine, C‑660/20, EU:C:2023:789, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

66

Orbene, la normativa di cui al procedimento principale non risulta necessaria alla luce dell’obiettivo invocato dal governo polacco.

67

Infatti, quand’anche i datori di lavoro si vedessero obbligati a indicare le ragioni del recesso anticipato da un contratto a tempo determinato, essi non sarebbero, per tale motivo, privati della flessibilità inerente a tale forma di contratto di lavoro, che può contribuire alla piena occupazione sul mercato del lavoro. Occorre sottolineare al riguardo che la condizione di impiego di cui trattasi non riguarda la facoltà stessa di un datore di lavoro di risolvere un contratto di lavoro a tempo determinato con preavviso, bensì la comunicazione al lavoratore, per iscritto, del motivo o dei motivi che giustificano il suo licenziamento, cosicché non si può ritenere che tale condizione possa essere tale da alterare sensibilmente tale flessibilità.

68

Per quanto riguarda la questione se il giudice nazionale sia tenuto, nell’ambito di una controversia tra privati, a disapplicare una disposizione nazionale contraria alla clausola 4 dell’accordo quadro, occorre ricordare che, quando i giudici nazionali sono chiamati a dirimere una controversia simile, nella quale la normativa nazionale interessata risulti contraria al diritto dell’Unione, tali giudici devono assicurare ai singoli la tutela giurisdizionale derivante dalle disposizioni del diritto dell’Unione e garantirne la piena efficacia (sentenza del 7 agosto 2018, Smith, C‑122/17, EU:C:2018:631, punto 37, e giurisprudenza ivi citata).

69

Più precisamente, la Corte ha ripetutamente affermato che un giudice nazionale, cui venga sottoposta una controversia intercorrente esclusivamente tra privati, deve, quando applica le norme del diritto interno adottate ai fini della trasposizione degli obblighi previsti da una direttiva, prendere in considerazione l’insieme delle norme di tale diritto nazionale ed interpretarle, per quanto possibile, alla luce del testo e della finalità di tale direttiva per giungere a una soluzione conforme all’obiettivo perseguito da quest’ultima (sentenza del 18 gennaio 2022, Thelen Technopark Berlin, C‑261/20, EU:C:2022:33, punto 27 e giurisprudenza ivi citata).

70

Ciononostante, il principio di interpretazione conforme del diritto nazionale incontra determinati limiti. Infatti, l’obbligo per il giudice nazionale di fare riferimento al contenuto di una direttiva nell’interpretazione e nell’applicazione delle norme pertinenti del proprio diritto interno trova un limite nei principi generali del diritto, e non può servire da fondamento per un’interpretazione contra legem di tale diritto interno (sentenza del 18 gennaio 2022, Thelen Technopark Berlin, C‑261/20, EU:C:2022:33, punto 28 e giurisprudenza ivi citata).

71

Spetterà al giudice del rinvio verificare se la disposizione nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, ossia l’articolo 30, paragrafo 4, del codice del lavoro, si presti a un’interpretazione conforme alla clausola 4 dell’accordo quadro.

72

Qualora non sia possibile procedere a un’interpretazione di una disposizione nazionale che sia conforme alle prescrizioni del diritto dell’Unione, il principio del primato di quest’ultimo esige che il giudice nazionale incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni di tale diritto, disapplichi qualsiasi disposizione del diritto nazionale contraria alle disposizioni del diritto dell’Unione aventi effetto diretto.

73

Tuttavia, risulta da una giurisprudenza costante che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti dinanzi a un giudice nazionale. Infatti, a norma dell’articolo 288, terzo comma, TFUE, il carattere vincolante di una direttiva, sul quale si fonda la possibilità di invocarla, sussiste solo nei confronti dello «Stato membro cui è rivolta», e che l’Unione ha il potere di sancire, in modo generale e astratto, con effetto immediato, obblighi a carico dei singoli solo ove le sia attribuito il potere di adottare regolamenti. Pertanto, anche se chiara, precisa e incondizionata, una disposizione di una direttiva non consente al giudice nazionale di disapplicare una disposizione del suo diritto interno ad essa contraria se, in tal modo, venisse imposto un obbligo aggiuntivo a un singolo (sentenza del 24 giugno 2019, Popławski, C‑573/17, EU:C:2019:530, punti da 65 a 67, nonché del 18 gennaio 2022, Thelen Technopark Berlin, C‑261/20, EU:C:2022:33, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

74

Ne consegue che un giudice nazionale non è tenuto, sulla sola base del diritto dell’Unione, a disapplicare una disposizione del suo diritto interno contraria a una disposizione del diritto dell’Unione, qualora quest’ultima disposizione sia priva di efficacia diretta, ferma restando tuttavia la possibilità, per tale giudice, nonché per qualsiasi autorità amministrativa nazionale competente, di disapplicare, sulla base di tale diritto interno, qualsiasi disposizione di quest’ultimo contraria a una disposizione del diritto dell’Unione priva di tale efficacia (v. sentenza del 18 gennaio 2022, Thelen Technopark Berlin, C‑261/20, EU:C:2022:33, punto 33).

75

È vero che la Corte ha riconosciuto l’effetto diretto della clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, dichiarando che, sotto il profilo del suo contenuto, tale disposizione appare incondizionata e sufficientemente precisa per poter essere invocata da un singolo dinanzi a un giudice nazionale nei confronti dello Stato in senso ampio (v., in tal senso, sentenze del 15 aprile 2008, Impact, C‑268/06, EU:C:2008:223, punto 68, e del 12 dicembre 2013, Carratù, C‑361/12, EU:C:2013:830, punto 28; v. anche sentenza del 10 ottobre 2017, Farrell, C‑413/15, EU:C:2017:745, punti da 33 a 35 e giurisprudenza ivi citata).

76

Tuttavia, nel caso di specie, poiché il procedimento principale contrappone privati, il diritto dell’Unione non può imporre al giudice nazionale di disapplicare l’articolo 30, paragrafo 4, del Codice del lavoro per il solo motivo che tale disposizione è contraria alla clausola 4, paragrafo 1, dell’accordo quadro.

77

Ciò premesso, quando adotta una normativa che precisa e concretizza le condizioni di impiego disciplinate in particolare dalla clausola 4 dell’accordo quadro, uno Stato membro attua il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta, e deve quindi garantire il rispetto, segnatamente, del diritto a un ricorso effettivo, sancito all’articolo 47 di quest’ultima [v., per analogia, sentenza del 6 ottobre 2020, État luxembourgeois (Diritto di ricorso contro una richiesta di informazioni in materia fiscale), C‑245/19 e C‑246/19, EU:C:2020:795, punti 4546 nonché giurisprudenza ivi citata].

78

Orbene, da quanto esposto ai punti da 47 a 56 della presente sentenza risulta che la normativa nazionale di cui al procedimento principale, la quale prevede che un lavoratore a tempo determinato il cui contratto di lavoro sia oggetto di recesso con preavviso, non sia immediatamente informato per iscritto del motivo o dei motivi di tale licenziamento, e ciò contrariamente a un lavoratore a tempo indeterminato, limita l’accesso a un ricorso giurisdizionale per un siffatto lavoratore a tempo determinato, la cui garanzia è segnatamente sancita dall’articolo 47 della Carta. Infatti, tale lavoratore è, in tal modo, privato di un’informazione importante per valutare l’eventuale carattere ingiustificato del suo licenziamento e, eventualmente, per preparare un ricorso giurisdizionale diretto a contestarlo.

79

Alla luce di tali considerazioni, è giocoforza constatare che la differenza di trattamento introdotta dal diritto nazionale applicabile, quale constatata al punto 56 della presente sentenza, lede il diritto fondamentale a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47 della Carta, in quanto il lavoratore a tempo determinato si vede privato della possibilità, di cui beneficia tuttavia il lavoratore a tempo indeterminato, di valutare preliminarmente se sia opportuno agire in giudizio contro la decisione di recesso dal suo contratto di lavoro e, se del caso, di proporre un ricorso che contesti in modo preciso i motivi di tale recesso. Del resto, tenuto conto di quanto esposto ai punti da 60 a 67 della presente sentenza, gli elementi invocati dal governo polacco non sono idonei a giustificare una siffatta limitazione di tale diritto, in applicazione dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

80

Orbene, la Corte ha precisato che l’articolo 47 della Carta è sufficiente di per sé e non deve essere precisato mediante disposizioni del diritto dell’Unione o del diritto nazionale per conferire ai singoli un diritto invocabile in quanto tale (v., in tal senso, sentenza del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257 punto 78).

81

Pertanto, nell’ipotesi di cui al punto 76 della presente sentenza, il giudice nazionale sarebbe tenuto ad assicurare, nell’ambito delle sue competenze, la tutela giurisdizionale derivante per i singoli dall’articolo 47 della Carta, in combinato disposto con la clausola 4, punto 1, dell’accordo quadro, per quanto riguarda il diritto a un ricorso effettivo, che comprende l’accesso alla giustizia, e quindi a disapplicare l’articolo 30, paragrafo 4, del codice del lavoro nella misura necessaria a garantire la piena efficacia di tale disposizione della Carta [v., in tal senso, sentenze del 17 aprile 2018, Egenberger, C‑414/16, EU:C:2018:257, punto 79, nonché dell’8 marzo 2022, Bezirkshauptmannschaft Hartberg-Fürstenfeld (Effetto diretto), C‑205/20, EU:C:2022:168, punto 57].

82

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che la clausola 4 dell’accordo quadro deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale secondo la quale un datore di lavoro non è tenuto a motivare per iscritto il recesso con preavviso da un contratto di lavoro a tempo determinato, mentre è tenuto a tale obbligo in caso di recesso da un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Il giudice nazionale investito di una controversia tra privati è tenuto, qualora non gli sia possibile interpretare il diritto nazionale applicabile in modo conforme a tale clausola, ad assicurare, nell’ambito delle sue competenze, la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza dell’articolo 47 della Carta e a garantire la piena efficacia di tale articolo, disapplicando, per quanto necessario, qualsiasi disposizione nazionale contraria.

Sulle spese

83

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:

 

La clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura nell’allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato,

 

deve essere interpretata nel senso che:

 

essa osta a una normativa nazionale secondo la quale un datore di lavoro non è tenuto a motivare per iscritto il recesso con preavviso da un contratto di lavoro a tempo determinato, mentre è tenuto a tale obbligo in caso di recesso da un contratto di lavoro a tempo indeterminato. Il giudice nazionale investito di una controversia tra privati è tenuto, qualora non gli sia possibile interpretare il diritto nazionale applicabile in modo conforme a tale clausola, ad assicurare, nell’ambito delle sue competenze, la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e a garantire la piena efficacia di tale articolo, disapplicando, per quanto necessario, qualsiasi disposizione nazionale contraria.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il polacco.