SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

16 marzo 2023 ( *1 )

«Impugnazione – Dumping – Importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle loro componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Cina – Regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 che revoca l’accettazione dell’impegno per due produttori esportatori a norma della decisione di esecuzione 2013/707/UE – Ricevibilità del ricorso in primo grado – Articolo 263, quarto comma, TFUE – Criterio dell’incidenza diretta – Articolo 277 TFUE – Eccezione di illegittimità – Ricevibilità – Interesse ad agire contro gli atti che hanno costituito la base giuridica dell’atto impugnato – Regolamento (UE) 2016/1036 – Articolo 8, paragrafo 9 – Regolamento (UE) 2016/1037 – Articolo 13, paragrafo 9 – Conseguenze della revoca da parte della Commissione europea dell’accettazione di un impegno – Regolamento di esecuzione (UE) n. 1238/2013 – Articolo 3 – Regolamento di esecuzione (UE) n. 1239/2013 – Articolo 2 – Perdita del beneficio dell’esenzione dai dazi – Regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 – Articolo 2 – Annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno – Esigibilità dei dazi sull’insieme delle transazioni interessate – Assenza di retroattività»

Nelle cause riunite C‑439/20 P e C‑441/20 P,

aventi ad oggetto due impugnazioni ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposte, rispettivamente, il 18 e il 21 settembre 2020,

Commissione europea, rappresentata da G. Luengo e T. Maxian Rusche, in qualità di agenti,

ricorrente nella causa C‑439/20 P,

procedimento in cui le altre parti sono:

Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd, con sede in Changzhou (Cina), rappresentata inizialmente da P. Heeren, advocaat, Y. Melin e B. Vigneron, avocats, successivamente da P. Heeren, advocaat, e Y. Melin, avocat,

ricorrente in primo grado,

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da H. Marcos Fraile, in qualità di agente, assistita da N. Tuominen, avocată,

interveniente in primo grado,

e

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da H. Marcos Fraile, in qualità di agente, assistita da N. Tuominen, avocată,

ricorrente nella causa C‑441/20 P,

procedimento in cui le altre parti sono:

Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd, con sede in Changzhou, rappresentata inizialmente da P. Heeren, advocaat, Y. Melin e B. Vigneron, avocats, successivamente da P. Heeren, advocaat, e Y. Melin, avocat,

ricorrente in primo grado,

Commissione europea, rappresentata da G. Luengo e T. Maxian Rusche, in qualità di agenti,

convenuta in primo grado,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da C. Lycourgos, presidente di sezione, L.S. Rossi, J.-C. Bonichot, S. Rodin (relatore) e O. Spineanu-Matei, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: M. Longar, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 6 aprile 2022,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 14 luglio 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con le loro rispettive impugnazioni, la Commissione europea e il Consiglio dell’Unione europea (in prosieguo, congiuntamente: le «istituzioni») chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea dell’8 luglio 2020, Jiangsu Seraphim Solar System/Commissione (T‑110/17, EU:T:2020:315; in prosieguo: la «sentenza impugnata»), con la quale quest’ultimo ha annullato l’articolo 2 del regolamento di esecuzione (UE) 2016/2146 della Commissione, del 7 dicembre 2016, che revoca l’accettazione dell’impegno per due produttori esportatori a norma della decisione di esecuzione 2013/707/UE, relativa alla conferma dell’accettazione di un impegno offerto in relazione ai procedimenti antidumping e antisovvenzioni relativi alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese per il periodo di applicazione di misure definitive (GU 2016, L 333, pag. 4; in prosieguo: il «regolamento controverso»), nella parte in cui riguarda la Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd (in prosieguo: la «Jiangsu Seraphim»).

Contesto normativo

Regolamento antidumping di base

2

Alla data dell’istituzione dei dazi antidumping di cui trattasi, le disposizioni che disciplinavano l’adozione delle misure antidumping da parte dell’Unione europea erano contenute nel regolamento (CE) n. 1225/2009 del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51, e rettifiche in GU 2010, L 7, pag. 22, GU 2016, L 44, pag. 20 e GU 2016, L 159, pag. 24).

3

In conformità al suo articolo 23, tale regolamento ha abrogato il regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), il quale era stato modificato, in particolare, dal regolamento (CE) n. 461/2004 del Consiglio, dell’8 marzo 2004 (GU 2004, L 77, pag. 12).

4

I considerando 18 e 19 del regolamento n. 461/2004 erano così formulati:

«(18)

L’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento [n. 384/96] stabilisce, tra l’altro, che qualora una delle parti revochi un impegno, può essere imposto un dazio definitivo, a norma dell’articolo 9, in base ai fatti accertati nel corso dell’inchiesta nel cui ambito è stato accettato l’impegno. Questa disposizione ha determinato una duplice procedura dispendiosa in termini di tempo, consistente in una decisione della Commissione che revoca l’accettazione dell’impegno e un regolamento del Consiglio che istituisce nuovamente il dazio. Considerando che questa procedura non lascia alcuna discrezione al Consiglio riguardo all’istituzione di tale dazio o alla fissazione del suo livello [in caso di violazione o di revoca di un impegno,] si considera opportuno modificare le disposizioni di cui all’articolo 8, paragrafi 1, 5 e 9, per mettere in chiaro la responsabilità della Commissione e per riunire la revoca di un impegno e l’applicazione del dazio in un unico atto giuridico. È inoltre necessario assicurare che la procedura di revoca sia portata a termine entro un periodo pari normalmente a sei mesi e comunque non superiore a nove mesi, per garantire un’adeguata applicazione della misura.

(19)

Il considerando 18 si applica, mutatis mutandis, agli impegni a norma dell’articolo 13 del regolamento [(CE) n. 2026/97 del Consiglio, del 6 ottobre 1997, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri della Comunità europea (GU 1997, L 288, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 1973/2002 del Consiglio, del 5 novembre 2002 (GU 2002, L 305, pag. 4)]».

5

Alla data del regolamento controverso, l’adozione di misure antidumping da parte dell’Unione era disciplinata dal regolamento (UE) 2016/1036 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 21; in prosieguo: il «regolamento antidumping di base»). In conformità al suo articolo 24, primo comma, il regolamento antidumping di base ha abrogato il regolamento n. 1225/2009. In forza del suo articolo 25, il regolamento antidumping di base è entrato in vigore il 20 luglio 2016.

6

L’articolo 8 del regolamento antidumping di base, intitolato «Impegni», prevedeva quanto segue:

«1.   Qualora sia stata accertata in via provvisoria l’esistenza di un dumping e di un pregiudizio, la Commissione può, secondo la procedura consultiva di cui all’articolo 15, paragrafo 2, accettare l’offerta di un esportatore di impegnarsi volontariamente e in modo soddisfacente a modificare i suoi prezzi oppure a cessare le esportazioni a prezzi di dumping, sempreché la Commissione ritenga che il pregiudizio causato dal dumping sia in tal modo eliminato.

In tal caso e per tutto il periodo in cui hanno effetto tali impegni, i dazi provvisori istituiti dalla Commissione a norma dell’articolo 7, paragrafo 1, o, se del caso, i dazi definitivi istituiti a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, non si applicano alle relative importazioni del prodotto interessato fabbricato dalle società indicate nella decisione della Commissione con la quale si accettano gli impegni, come successivamente modificata.

Gli aumenti dei prezzi in conformità a tali impegni non devono essere più elevati di quanto sia necessario per eliminare il margine di dumping e dovrebbero essere inferiori al margine di dumping qualora un importo inferiore sia sufficiente per eliminare il pregiudizio arrecato all’industria dell’Unione.

(...)

9.   In caso di violazione o di revoca di un impegno a opera di una delle parti che lo hanno assunto, o in caso di revoca dell’accettazione dell’impegno da parte della Commissione, l’accettazione dell’impegno è revocata con decisione o, a seconda dei casi, con regolamento della Commissione e si applica automaticamente il dazio provvisorio istituito dalla Commissione a norma dell’articolo 7 o il dazio definitivo istituito a norma dell’articolo 9, paragrafo 4, a condizione che l’esportatore interessato, salvo nei casi in cui abbia revocato lui stesso l’impegno, abbia avuto la possibilità di presentare le sue osservazioni. La Commissione fornisce informazioni agli Stati membri quando decide di revocare un impegno.

Una parte interessata o uno Stato membro può presentare informazioni contenenti elementi di prova prima facie della violazione di un impegno. La successiva valutazione, intesa ad accertare se vi sia stata o meno violazione di un impegno, si conclude di norma entro sei mesi e comunque non oltre nove mesi dopo la presentazione di una richiesta debitamente motivata.

La Commissione può chiedere l’assistenza delle competenti autorità degli Stati membri per controllare il rispetto degli impegni.

10.   A norma dell’articolo 7, può essere imposto un dazio provvisorio sulla base delle migliori informazioni disponibili quando vi sia motivo di ritenere che l’impegno sia stato violato oppure in caso di revoca o di violazione di un impegno qualora l’inchiesta nella quale è stato assunto l’impegno non sia ancora conclusa».

7

L’articolo 10 di tale regolamento, intitolato «Retroattività», al suo paragrafo 5 così disponeva:

«In caso di violazione o di revoca di un impegno, possono essere applicati dazi definitivi a prodotti immessi in consumo non oltre 90 giorni prima della data di applicazione dei dazi provvisori, a condizione che le importazioni siano state registrate a norma dell’articolo 14, paragrafo 5. Detta imposizione retroattiva non si applica tuttavia alle importazioni introdotte nell’Unione prima della violazione o della revoca dell’impegno».

8

L’articolo 14 del citato regolamento, intitolato «Disposizioni generali», al suo paragrafo 1 enunciava quanto segue:

«I dazi antidumping provvisori o definitivi sono imposti con regolamento e sono riscossi dagli Stati membri secondo la forma, l’aliquota e gli altri elementi fissati nel regolamento istitutivo. Tali dazi sono inoltre riscossi indipendentemente dai dazi doganali, dalle tasse e dagli altri oneri normalmente imposti sulle importazioni.

(...)».

Regolamento antisovvenzioni di base

9

Alla data dell’istituzione dei dazi compensativi di cui trattasi, le disposizioni che disciplinavano l’adozione di misure antisovvenzioni da parte dell’Unione erano contenute nel regolamento (CE) n. 597/2009 del Consiglio, dell’11 giugno 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 188, pag. 93).

10

In conformità al suo articolo 34, tale regolamento ha abrogato il regolamento n. 2026/97, il quale era stato modificato, in particolare, dal regolamento n. 461/2004.

11

Alla data del regolamento controverso, l’adozione di misure antisovvenzioni da parte dell’Unione era disciplinata dal regolamento (UE) 2016/1037 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di sovvenzioni provenienti da paesi non membri dell’Unione europea (GU 2016, L 176, pag. 55; in prosieguo: il «regolamento antisovvenzioni di base»). In conformità al suo articolo 35, il regolamento antisovvenzioni di base ha abrogato il regolamento n. 597/2009. In forza del suo articolo 36, il regolamento antisovvenzioni di base è entrato in vigore il 20 luglio 2016.

12

Il regolamento antisovvenzioni di base contiene disposizioni relative agli impegni e alla retroattività redatte in termini sostanzialmente identici alle corrispondenti disposizioni del regolamento antidumping di base.

13

Così, in particolare, l’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, l’articolo 13, paragrafo 9, l’articolo 13, paragrafo 10, l’articolo 16, paragrafo 5, e l’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base corrispondono in sostanza, rispettivamente, all’articolo 8, paragrafo 1, secondo comma, all’articolo 8, paragrafo 9, all’articolo 8, paragrafo 10, all’articolo 10, paragrafo 5, e all’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base.

14

Inoltre, nei limiti in cui le rilevanti disposizioni dei regolamenti antidumping e antisovvenzioni di base (in prosieguo, congiuntamente, i «regolamenti di base») sono, in sostanza, identiche a quelle contenute, rispettivamente, nel regolamento n. 1225/2009 e nel regolamento n. 597/2009, si farà riferimento, ai fini dell’esame delle impugnazioni e analogamente al Tribunale nella sentenza impugnata, ai regolamenti di base, a meno che i regolamenti nn. 1225/2009 e 597/2009 divergano da questi ultimi o qualora lo richieda il contesto.

Regolamento di esecuzione (UE) n. 1238/2013

15

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione (UE) n. 1238/2013 del Consiglio, del 2 dicembre 2013, che istituisce un dazio antidumping definitivo e riscuote definitivamente il dazio provvisorio sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle loro componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 325, pag. 1):

«All’atto dell’accettazione della dichiarazione d’immissione in libera pratica sorge un’obbligazione doganale:

a)

ogniqualvolta sia accertata, relativamente alle importazioni di cui al paragrafo 1, l’inosservanza di una o più delle condizioni elencate in tale paragrafo; oppure

b)

laddove la Commissione ritiri l’accettazione dell’impegno, a norma dell’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento [n. 1225/2009], con un regolamento o una decisione che si riferisca a transazioni particolari e dichiari nulle le pertinenti fatture corrispondenti all’impegno».

Regolamento di esecuzione (UE) n. 1239/2013

16

Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione (UE) n. 1239/2013 del Consiglio, del 2 dicembre 2013, che istituisce un dazio compensativo definitivo sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e dei relativi componenti chiave (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 325, pag. 66):

«All’atto dell’accettazione della dichiarazione d’immissione in libera pratica sorge un’obbligazione doganale:

a)

ogniqualvolta sia accertata, relativamente alle importazioni di cui al paragrafo 1, l’inosservanza di una o più delle condizioni elencate in tale paragrafo; oppure

b)

laddove la Commissione ritiri l’accettazione dell’impegno, a norma dell’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento (CE) n. 597/2009, con un regolamento o una decisione che si riferisca a transazioni particolari e dichiari nulle le pertinenti fatture corrispondenti all’impegno».

Fatti

17

I fatti all’origine della controversia sono stati esposti nei punti da 1 a 12 della sentenza impugnata nei seguenti termini:

«1

[La Jiangsu Seraphim] fabbrica moduli fotovoltaici in silicio cristallino in Cina e li esporta verso l’Unione europea.

2

Il 4 giugno 2013, la Commissione (...) ha adottato il regolamento (UE) n. 513/2013, che istituisce un dazio antidumping provvisorio sulle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle e wafer) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese e che modifica il regolamento n. 182/2013 che dispone la registrazione delle importazioni dei suddetti prodotti originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 152, pag. 5).

3

Mediante la decisione 2013/423/UE, del 2 agosto 2013, che accetta un impegno offerto nell’ambito del procedimento antidumping relativo alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle e wafer) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese (GU 2013, L 209, pag. 26), la Commissione ha accettato un’offerta di impegno sui prezzi (in prosieguo: l’“impegno”) presentata dalla Camera di commercio cinese per l’importazione e l’esportazione di macchinari e di prodotti elettronici (in prosieguo: la “CCCME”) a nome della [Jiangsu Seraphim] e di vari altri produttori esportatori.

4

Il 2 dicembre 2013, il Consiglio (...) ha adottato il regolamento di esecuzione [n. 1238/2013].

5

Il 2 dicembre 2013, il Consiglio ha altresì adottato il regolamento di esecuzione [n. 1239/2013].

6

L’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 prevedono, con la stessa formulazione, che la Commissione possa identificare le operazioni per le quali “[a]ll’atto dell’accettazione della dichiarazione d’immissione in libera pratica sorge un’obbligazione doganale” nei casi in cui essa revochi l’accettazione dell’impegno.

7

Mediante la sua decisione di esecuzione 2013/707/UE, del 4 dicembre 2013, relativa alla conferma dell’accettazione di un impegno offerto in relazione ai procedimenti antidumping e antisovvenzioni relativi alle importazioni di moduli fotovoltaici in silicio cristallino e delle relative componenti essenziali (celle) originari o provenienti dalla Repubblica popolare cinese per il periodo di applicazione di misure definitive (GU 2013, L 325, pag. 214), la Commissione ha confermato l’accettazione dell’impegno – come modificato su richiesta della CCCME – offerto dai produttori esportatori cinesi. Il 10 settembre 2014 la Commissione ha adottato la decisione di esecuzione 2014/657/UE, relativa all’accettazione di una proposta di un gruppo di produttori esportatori, in collaborazione con la [CCCME], per alcuni chiarimenti riguardanti l’attuazione dell’impegno di cui alla decisione di esecuzione 2013/707 (GU 2014, L 270, pag. 6).

8

Il dazio ad valorem totale applicabile alle importazioni di celle e di moduli fotovoltaici originari della Cina per le società non incluse nel campione che hanno collaborato e che sono inserite nell’elenco di cui all’allegato I del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e all’allegato 1 del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 è del 47,7%. Esso corrisponde a un dazio antidumping del 41,3% (articolo 1, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013) al quale si aggiunge un dazio compensativo del 6,4% (articolo 1, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013). Le importazioni coperte dall’impegno e dalla decisione di esecuzione 2013/707 sono esenti da tali dazi in forza dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013.

9

Con lettera dell’11 ottobre 2016, la Commissione ha informato la [Jiangsu Seraphim] che intendeva revocarle l’accettazione dell’impegno, specificando i principali elementi e considerazioni su cui essa si basava. A tale lettera erano allegati una relazione informativa generale e una relazione specifica riguardante la [Jiangsu Seraphim].

10

Nella relazione specifica riguardante la [Jiangsu Seraphim], la Commissione indicava che intendeva revocare l’accettazione dell’impegno e informava la [stessa], al titolo 4, rubricato “Annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno”, che essa intendeva, da un lato, annullare le fatture corrispondenti all’impegno che accompagnavano le vendite effettuate all’importatore e, dall’altro, ordinare alle autorità doganali di recuperare l’obbligazione doganale laddove la [Jiangsu Seraphim] non avesse presentato fatture corrispondenti all’impegno valide al momento dell’accettazione della dichiarazione di immissione in libera pratica delle merci.

11

Con lettera del 28 ottobre 2016, la [Jiangsu Seraphim] ha presentato osservazioni sulla relazione informativa generale e sulla relazione specifica che la riguardava redatte dalla Commissione. Essa spiegava, in sostanza, che la Commissione non aveva il potere di annullare le fatture, né di ordinare alle autorità doganali di riscuotere dazi come se non fosse stata presentata alcuna fattura corrispondente all’impegno. Secondo la [Jiangsu Seraphim], ciò equivaleva in concreto a conferire un effetto retroattivo alla revoca dell’impegno.

(...)».

Regolamento controverso

18

La Commissione ha confermato la sua posizione nel regolamento controverso, da essa adottato in forza dell’articolo 8 del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13 del regolamento antisovvenzioni di base. All’articolo 1 del regolamento controverso la Commissione ha revocato l’accettazione dell’impegno sui prezzi alla quale aveva acconsentito, in particolare, per la Jiangsu Seraphim (in prosieguo: l’«impegno di cui trattasi»).

19

L’articolo 2 del regolamento controverso prevede quanto segue:

«1.   Le fatture relative all’impegno di cui all’allegato I del presente regolamento sono dichiarate nulle.

2.   Sono riscossi i dazi antidumping e compensativi dovuti all’atto dell’accettazione della dichiarazione doganale d’immissione in libera pratica, a norma dell’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione (UE) n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione (UE) n. 1239/2013».

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

20

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 18 febbraio 2017, la Jiangsu Seraphim ha proposto un ricorso diretto all’annullamento dell’articolo 2 del regolamento controverso. Nell’ambito di tale ricorso, essa ha dedotto un motivo unico, secondo il quale, mediante il regolamento controverso, la Commissione aveva violato l’articolo 8, paragrafi 1, 9 e 10, e l’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base, nonché l’articolo 13, paragrafi 1, 9 e 10, e l’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base. La ricorrente in primo grado ha sostenuto che tale istituzione aveva dichiarato nulle talune fatture corrispondenti all’impegno e aveva poi ordinato alle autorità doganali di riscuotere dazi, come se non fosse stata emessa e comunicata a dette autorità doganali alcuna fattura relativa all’impegno al momento in cui le merci erano state immesse in libera pratica.

21

Nell’ambito del citato ricorso la Jiangsu Seraphim ha, inoltre, sollevato un’eccezione di illegittimità rispetto all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e all’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, basata su un’asserita violazione dell’articolo 8 e dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento n. 1225/2009, nonché dell’articolo 13 e dell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento n. 597/2009, nelle versioni di queste ultime disposizioni applicabili alla data di adozione dei regolamenti di esecuzione nn. 1238/2013 e 1239/2013.

22

A tal riguardo, anzitutto, il Tribunale ha precisato, al punto 27 della sentenza impugnata, che l’oggetto del ricorso riguardava la legittimità dell’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno della Jiangsu Seraphim e le conseguenze da trarne, in particolare per quanto riguardava il recupero dei dazi antidumping e dei dazi compensativi dovuti, e non invece la questione se la Commissione avesse legittimamente revocato la sua accettazione dell’impegno di cui trattavasi.

23

Il Tribunale, nel pronunciarsi poi, in primo luogo, ai punti da 28 a 49 della sentenza impugnata, sull’eccezione di irricevibilità sollevata dalla Commissione, sostenuta dal Consiglio, e vertente sull’irricevibilità del ricorso di cui era adito, ha ritenuto che la Jiangsu Seraphim fosse direttamente e individualmente interessata dall’articolo 2 del regolamento controverso, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, e che la stessa avesse, inoltre, un interesse ad agire a tal riguardo.

24

Il Tribunale ha, quindi, concluso nel senso della ricevibilità di tale ricorso.

25

In secondo luogo, il Tribunale ha statuito, ai punti da 50 a 64 della sentenza impugnata, sulla ricevibilità dell’eccezione di illegittimità, sollevata dalla Jiangsu Seraphim, rispetto all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013.

26

A tal riguardo il Tribunale, considerando in particolare che non si potesse ritenere che la Jiangsu Seraphim fosse legittimata, ai sensi della giurisprudenza derivante dalla sentenza del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf (C‑188/92, EU:C:1994:90), a contestare dette disposizioni, sulla base dell’articolo 263 TFUE, direttamente a seguito della loro adozione, ha statuito che nulla ostava a che la ricorrente sollevasse un’eccezione di illegittimità rispetto alle citate disposizioni nell’ambito del ricorso di cui era adito.

27

In terzo luogo, ai punti da 65 a 152 della sentenza impugnata, il Tribunale ha esaminato la fondatezza del motivo unico dedotto nell’ambito di tale ricorso.

28

A tal riguardo, il Tribunale ha anzitutto precisato, al punto 130 della sentenza impugnata, che la questione che si poneva nel caso di specie, ossia quella relativa all’imposizione nel tempo dei dazi antidumping e dei dazi compensativi che sarebbero stati dovuti in assenza di un impegno nel frattempo violato o revocato, doveva essere esaminata alla luce dell’espresso disposto dell’articolo 8, paragrafo 10, e dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base, nonché di quello dell’articolo 13, paragrafo 10, e dell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base.

29

Il Tribunale ha poi respinto, ai punti 137 e 138 della sentenza impugnata, l’interpretazione proposta dalle istituzioni secondo la quale si deduceva da tali disposizioni il potere delle stesse, in quanto incaricate dell’attuazione dei regolamenti di base, di esigere, nell’ambito dell’esercizio di tale potere esecutivo, il pagamento da parte delle imprese interessate di tutti i dazi dovuti per le transazioni coperte da fatture corrispondenti all’impegno nel frattempo dichiarate nulle.

30

Considerando infine, ai punti da 139 a 151 della sentenza impugnata, che nessuno degli altri argomenti dedotti dalle istituzioni era tale da modificare la conclusione in parola, il Tribunale ha constatato, al punto 152 di tale sentenza, che i regolamenti di base non potevano costituire fondamenta giuridiche sufficienti per l’adozione delle disposizioni di cui veniva dedotta l’illegittimità.

31

In quarto luogo, al fine di esaminare se, nonostante tale assenza di basi giuridiche sufficienti nei regolamenti di base, l’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 potessero costituire il fondamento giuridico del regolamento controverso, il Tribunale si è pronunciato, ai punti da 154 a 157 della sentenza impugnata, sull’eccezione di illegittimità che la Jiangsu Seraphim aveva sollevato rispetto a tali disposizioni.

32

Il Tribunale, per ragioni analoghe a quelle esposte nell’ambito dell’esame nel merito del motivo unico dedotto all’interno del ricorso di cui era investito, vertenti sull’impianto sistematico dei regolamenti di base, ha accolto tale eccezione di illegittimità e ha pertanto concluso, al punto 158 della sentenza impugnata, che dette disposizioni non erano applicabili al caso di specie.

33

Conseguentemente, al punto 160 di tale sentenza, il Tribunale ha accolto il motivo unico dedotto nell’ambito del ricorso di cui era investito e ha, quindi, annullato l’articolo 2 del regolamento controverso.

Procedimento dinanzi alla Corte e conclusioni delle parti in sede di impugnazione

34

Con la sua impugnazione nella causa C‑439/20 P, la Commissione, sostenuta dal Consiglio, chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata;

respingere il ricorso in primo grado in quanto irricevibile;

in subordine, respingere il ricorso in primo grado in quanto infondato, e

condannare la Jiangsu Seraphim alle spese.

35

Con la sua impugnazione nella causa C‑441/20 P, il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata;

respingere il ricorso in primo grado, e

condannare la Jiangsu Seraphim alle spese, oppure

in subordine, rinviare la causa dinanzi al Tribunale, e

riservare la decisione in merito alle spese sostenute in primo grado e a quelle relative al procedimento di impugnazione.

36

La Jiangsu Seraphim chiede che la Corte voglia:

respingere le impugnazioni e

condannare le istituzioni alle spese.

37

Con decisione del presidente della Corte del 7 gennaio 2021, le cause C‑439/20 P e C‑441/20 P sono state riunite ai fini della fase orale del procedimento e della sentenza.

Sulle impugnazioni

38

A sostegno della sua impugnazione nella causa C‑439/20 P, la Commissione, sostenuta dal Consiglio, deduce quattro motivi, i quali si sovrappongono ampiamente ai due motivi che il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, deduce a sostegno della sua impugnazione nella causa C‑441/20 P. Pertanto, in tali limiti, occorre esaminare detti motivi di impugnazione congiuntamente.

39

I primi motivi di impugnazione dedotti nell’ambito di tali cause vertono su errori di diritto nella parte in cui il Tribunale ha dichiarato ricevibili, in primo luogo, il ricorso di cui era investito e, in secondo luogo, l’eccezione di illegittimità sollevata dalla Jiangsu Seraphim. I motivi di impugnazione secondo e terzo dedotti nell’ambito della causa C‑439/20 P e la prima parte del secondo motivo di impugnazione dedotto nell’ambito della causa C‑441/20 P vertono su errori di diritto nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che i regolamenti di base non costituissero un fondamento giuridico sufficiente per l’adozione dell’articolo 2 del regolamento controverso. Il quarto motivo di impugnazione dedotto nell’ambito della causa C‑439/20 P e la seconda parte del secondo motivo di impugnazione dedotto nell’ambito della causa C‑441/20 P vertono su un’interpretazione erronea dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 1225/2009 e dell’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento n. 597/2009, nella parte in cui il Tribunale ha dichiarato che tali disposizioni non autorizzavano il Consiglio a istituire un sistema di controllo degli impegni che includesse l’annullamento delle fatture di cui trattasi.

Sui primi motivi delle impugnazioni

Argomenti delle parti

40

Con i primi motivi di impugnazione dedotti nell’ambito delle cause C‑439/20 P e C‑441/20 P, articolati in due parti, le istituzioni contestano al Tribunale di aver commesso errori di diritto nel dichiarare che, in primo luogo, il ricorso di cui era investito e, in secondo luogo, l’eccezione di illegittimità sollevata dalla Jiangsu Seraphim nell’ambito di tale ricorso erano ricevibili.

41

Con la prima parte di questi primi motivi di impugnazione, che comprende due censure, le istituzioni contestano al Tribunale di aver commesso errori di diritto nel ritenere che la Jiangsu Seraphim fosse direttamente interessata, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, dall’articolo 2 del regolamento controverso e che la stessa avesse interesse ad agire per chiedere l’annullamento di tale articolo 2.

42

Per quanto riguarda, in primo luogo, la censura, relativa ai punti 37, 38, 44 e 45 della sentenza impugnata, vertente sul fatto che la Jiangsu Seraphim non era direttamente interessata da detto articolo 2, le istituzioni sottolineano che è non già la Jiangsu Seraphim, in qualità di produttore-esportatore, ma bensì la Seraphim Solar System GmbH, in qualità di importatore collegato, ad aver effettuato le dichiarazioni in dogana riguardanti i prodotti per i quali le fatture emesse dalla Jiangsu Seraphim sono state dichiarate nulle attraverso tale regolamento e ad essere, quindi, debitrice dei dazi antidumping e dei dazi compensativi dovuti in conseguenza dell’annullamento delle fatture in parola. Conseguentemente, la situazione giuridica della Jiangsu Seraphim, in qualità di produttore-esportatore, non sarebbe stata modificata dall’articolo 2 del regolamento controverso. Pertanto, nei limiti in cui si debbano intendere i punti 37, 38 e 44 della sentenza impugnata nel senso che la situazione giuridica di quest’ultima società sarebbe stata modificata o che un tale produttore-esportatore sarebbe ancora direttamente interessato da un regolamento che ha revocato un impegno e che ha annullato le corrispondenti fatture, tale constatazione sarebbe erronea e non potrebbe trovare alcun fondamento nella giurisprudenza citata in tali punti.

43

In secondo luogo, con una censura sollevata in subordine e riguardante i punti 47 e 48 della sentenza impugnata, le istituzioni contestano al Tribunale errori di diritto nella parte in cui ha dichiarato che la Jiangsu Seraphim aveva interesse ad agire avverso l’articolo 2 del regolamento controverso.

44

Sotto un primo profilo, al punto 47 della sentenza impugnata il Tribunale avrebbe confuso le nozioni di «legittimazione ad agire» e di «interesse ad agire». Tale punto della motivazione si fonderebbe, inoltre, su un’interpretazione erronea della condizione secondo cui la parte ricorrente deve essere direttamente interessata, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, e su un’analogia scorretta con la fattispecie di un regolamento della Commissione che revochi l’accettazione di un impegno e che istituisca dazi per il futuro.

45

Orbene, nel caso di specie il Consiglio avrebbe istituito dazi nel momento stesso in cui la Commissione ha accettato l’impegno di cui trattasi. Ne conseguirebbe che la Jiangsu Seraphim, se avesse voluto contestare l’istituzione di tali dazi, avrebbe dovuto proporre ricorso avverso i regolamenti del Consiglio in questione, invece di contestare solamente l’annullamento delle pertinenti fatture corrispondenti all’impegno e la riscossione dei dazi riguardanti un altro operatore economico, benché nessuna di tali fatture avesse modificato la sua situazione giuridica.

46

Sotto un secondo profilo, a parere delle istituzioni, al punto 48 della sentenza impugnata il Tribunale ha implicitamente interpretato la nozione di «interesse ad agire», contrariamente alla giurisprudenza, come se fosse sufficiente dimostrare un mero vantaggio economico risultante dall’accoglimento del ricorso proposto, quando invece il beneficio pertinente dovrebbe poter essere verificato nell’ambito della situazione giuridica della parte ricorrente. In ogni caso, la Jiangsu Seraphim non avrebbe fornito alcuna prova di una qualsivoglia incidenza dell’annullamento dell’articolo 2 del regolamento controverso sul suo rapporto commerciale con la Seraphim Solar System. Inoltre, tale annullamento non avrebbe alcuna incidenza giuridica sulla sussistenza dell’obbligazione doganale di quest’ultima società.

47

Con la seconda parte dei primi motivi di impugnazione in parola, che riguarda i punti da 57 a 64 della sentenza impugnata, le istituzioni contestano al Tribunale, in sostanza, di aver erroneamente ritenuto che l’eccezione di illegittimità, sollevata dalla Jiangsu Seraphim con riferimento all’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 (in prosieguo, congiuntamente: le «disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità»), fosse ricevibile.

48

Le istituzioni sostengono, in primo luogo, che il Tribunale ha erroneamente ritenuto che la Jiangsu Seraphim non fosse legittimata a chiedere l’annullamento di tali disposizioni e che la ricorrente in primo grado non fosse, quindi, «impossibilitata», ai sensi della giurisprudenza derivante dalle sentenze del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf (C‑188/92, EU:C:1994:90), e del 15 febbraio 2001, Nachi Europe (C‑239/99, EU:C:2001:101), a sollevare l’eccezione di illegittimità in parola. Infatti, risulterebbe in particolare dalle sentenze del 9 novembre 2017, SolarWorld/Consiglio (C‑205/16 P, EU:C:2017:840), e del 27 marzo 2019, Canadian Solar Emea e a./Consiglio (C‑236/17 P, EU:C:2019:258), che il Tribunale ha erroneamente dichiarato che la Jiangsu Seraphim non poteva essere considerata direttamente e individualmente interessata da dette disposizioni e che essa non aveva interesse ad agire nell’ambito del ricorso di annullamento di cui era investito.

49

In secondo luogo, le istituzioni evidenziano che le disposizioni oggetto di detta eccezione di illegittimità sono inscindibili dalle altre disposizioni dei regolamenti di esecuzione nn. 1238/2013 e 1239/2013. Orbene, qualora diversi articoli o, come nel caso di specie, l’intero dispositivo di un atto dell’Unione non siano scindibili, tutte le censure che contestano la legittimità di tale atto dovrebbero essere sollevate al momento della contestazione di detto atto nella sua interezza. Pertanto, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto, al punto 57 della sentenza impugnata, pronunciandosi unicamente sulla questione se la ricorrente in primo grado fosse legittimata a contestare le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità da essa sollevata. Infatti, la Jiangsu Seraphim avrebbe potuto impugnare i regolamenti di esecuzione nn. 1238/2013 e 1239/2013 nella loro interezza, il che sarebbe il criterio pertinente in tale contesto, facendo valere, a questo proposito, l’illegittimità di ogni disposizione specifica degli stessi. Pertanto la Jiangsu Seraphim, non avendo impugnato i citati regolamenti di esecuzione entro il termine di ricorso impartitole, sarebbe decaduta dalla facoltà di sollevare un’eccezione di illegittimità a tal riguardo.

50

In terzo luogo e in subordine, il Tribunale avrebbe commesso un errore di diritto nel ritenere che la stessa eccezione di illegittimità fosse ricevibile, in quanto, dal momento che le disposizioni oggetto di quest’ultima non erano scindibili dal resto dei regolamenti di esecuzione nn. 1238/2013 e 1239/2013, la Jiangsu Seraphim non avrebbe potuto sollevare un’eccezione di illegittimità riguardante soltanto le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità, ma avrebbe dovuto sollevare quest’ultima nei confronti dell’integralità di tali regolamenti di esecuzione, «come pacchetto». Inoltre, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale al punto 63 della sentenza impugnata, le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità costituirebbero non già disposizioni di carattere generale, ma bensì decisioni individuali nei confronti della Jiangsu Seraphim.

51

In quarto luogo e in ulteriore subordine, il motivo unico sollevato in primo grado sarebbe inoperante, in quanto sarebbe diretto avverso disposizioni che non costituiscono la base giuridica del regolamento controverso. Infatti, tale regolamento sarebbe stato fondato sull’articolo 8 del regolamento antidumping di base e sull’articolo 13 del regolamento antisovvenzioni di base. Inoltre, secondo le istituzioni, il Tribunale sembra aver concluso che la Jiangsu Seraphim non era decaduta dalla facoltà di sollevare un’eccezione di illegittimità ai sensi dell’articolo 277 TFUE in seguito a un’interpretazione erronea del motivo unico dedotto dalla stessa, nel senso che, con tale motivo, la ricorrente in primo grado avrebbe fatto valere che lo stesso regolamento controverso avrebbe violato le rilevanti disposizioni dei regolamenti di base. Così facendo, il Tribunale avrebbe manifestamente statuito ultra petita.

52

La Jiangsu Seraphim sostiene che i primi motivi di impugnazione dedotti nell’ambito delle cause C‑439/20 P e C‑441/20 P devono essere respinti in quanto infondati.

Giudizio della Corte

53

Occorre ricordare, in limine, che la ricevibilità di un ricorso proposto da una persona fisica o giuridica contro un atto che non è stato adottato nei suoi confronti, a norma dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, è subordinata alla condizione che le sia riconosciuta la legittimazione ad agire, la quale sussiste in due ipotesi. Da un lato, un simile ricorso può essere proposto a condizione che l’atto la riguardi direttamente e individualmente. Dall’altro lato, siffatta persona può proporre un ricorso contro un atto regolamentare che non comporti misure di esecuzione se quest’ultimo la riguarda direttamente (sentenza del 15 luglio 2021, Deutsche Lufthansa/Commissione, C‑453/19 P, EU:C:2021:608, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

54

Con la prima parte dei primi motivi di impugnazione dedotti nell’ambito delle cause C‑439/20 P e C‑441/20 P, le istituzioni mettono in discussione, in primo luogo, l’analisi effettuata dal Tribunale, segnatamente ai punti 37, 38, 44 e 45 della sentenza impugnata, nell’esaminare la prima delle due ipotesi in parola, ossia per quanto riguarda la questione se la ricorrente in primo grado fosse direttamente interessata, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE, dall’articolo 2 del regolamento controverso.

55

Secondo una giurisprudenza costante della Corte, richiamata dal Tribunale al punto 36 della sentenza impugnata, il presupposto secondo cui la decisione oggetto del ricorso deve riguardare direttamente una persona fisica o giuridica, previsto all’articolo 263, quarto comma, TFUE, richiede la compresenza di due criteri cumulativi, ossia che tale decisione, da un lato, produca direttamente effetti sulla situazione giuridica di detta persona e, dall’altro, non lasci alcun potere discrezionale ai destinatari incaricati della sua attuazione, la quale deve avere carattere meramente automatico e derivare dalla sola normativa dell’Unione, senza applicazione di altre norme intermedie (v. in tal senso, in particolare, sentenze del 6 novembre 2018, Scuola Elementare Maria Montessori/Commissione, Commissione/Scuola Elementare Maria Montessori e Commissione/Ferracci, da C‑622/16 P a C‑624/16 P, EU:C:2018:873, punto 42, e del 15 luglio 2021, Deutsche Lufthansa/Commissione, C‑453/19 P, EU:C:2021:608, punto 83).

56

A tal riguardo, le istituzioni affermano, in particolare, che nel caso di specie, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, segnatamente, ai punti 44 e 45 della sentenza impugnata, è non già la Jiangsu Seraphim, in qualità di produttore-esportatore, a essere direttamente interessata, ai sensi della summenzionata giurisprudenza, dall’articolo 2 del regolamento controverso, ma bensì la Seraphim Solar System, in qualità di importatore collegato, in quanto sarebbe quest’ultima ad aver effettuato le dichiarazioni in dogana richieste e ad essere debitrice dei dazi antidumping e dei dazi compensativi dovuti in conseguenza dell’annullamento delle fatture in questione.

57

Da una giurisprudenza costante, derivante dalla sentenza del 21 febbraio 1984, Allied Corporation e a./Commissione (239/82 e 275/82, EU:C:1984:68, punto 12), risulta che i regolamenti che istituiscono un dazio antidumping, pur avendo, per loro natura e portata, carattere normativo, possono riguardare direttamente e individualmente quei produttori ed esportatori del prodotto di cui trattasi ai quali vengono attribuite le pratiche di dumping utilizzando dati emergenti dalla loro attività commerciale. Ciò accade, in generale, per le imprese produttrici ed esportatrici che possano dimostrare di essere state individuate negli atti delle istituzioni o prese in considerazione nelle indagini preparatorie (v., da ultimo, sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association, C‑465/16 P, EU:C:2019:155, punto 73 e giurisprudenza ivi citata).

58

La Corte ha precisato, a tal riguardo, che un’impresa non può essere considerata direttamente interessata da un regolamento che istituisce un dazio antidumping solo per la sua qualità di produttrice del prodotto soggetto a tale dazio, essendo essenziale, al riguardo, la qualità di esportatrice. Infatti, dai termini stessi della giurisprudenza citata nel punto precedente risulta che l’incidenza diretta di un regolamento che istituisce dazi antidumping su alcuni produttori ed esportatori del prodotto di cui trattasi deriva, in particolare, dal fatto che le pratiche di dumping siano loro imputate. Orbene, non può imputarsi una pratica di dumping a un produttore che non esporti la sua produzione nel mercato dell’Unione, ma si limiti a venderla nel proprio mercato nazionale (sentenza del 28 febbraio 2019, Consiglio/Growth Energy e Renewable Fuels Association, C‑465/16 P, EU:C:2019:155, punto 74).

59

In applicazione di tali principi, occorre rilevare, in primo luogo, che la Jiangsu Seraphim è al contempo produttrice ed esportatrice dei prodotti oggetto dei regolamenti di esecuzione nn. 1238/2013 e 1239/2013.

60

In secondo luogo, la Jiangsu Seraphim è stata identificata nell’allegato I dei regolamenti di esecuzione nn. 1238/2013 e 1239/2013, che hanno istituito il dazio antidumping definitivo e il dazio compensativo definitivo che sono l’oggetto della controversia, nell’allegato della decisione n. 2013/423, con la quale la Commissione ha accettato l’impegno sui prezzi di cui alla presente controversia, nell’allegato della decisione n. 2013/707, con la quale la Commissione ha confermato una siffatta accettazione, nonché all’articolo 1 del regolamento controverso, con il quale la Commissione ha revocato detta accettazione per quanto riguarda, in particolare, la Jiangsu Seraphim.

61

In terzo luogo, occorre sottolineare che la revoca dell’accettazione dell’impegno di cui trattasi, attuata dal regolamento controverso, e da cui risulta che la Jiangsu Seraphim non beneficia più delle esenzioni previste all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e all’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, produce, sulla situazione giuridica dei produttori-esportatori interessati, effetti comparabili a quelli prodotti dalle disposizioni normative istitutive dei dazi in questione sulla situazione giuridica dei produttori-esportatori interessati. Orbene, dalla giurisprudenza ricordata al punto 57 della presente sentenza risulta che siffatti produttori-esportatori possono essere considerati direttamente interessati dalle disposizioni regolamentari pertinenti.

62

In particolare, l’articolo 2 del regolamento controverso prevede che le fatture corrispondenti all’impegno emesse dalla Jiangsu Seraphim ed elencate nell’allegato I di tale regolamento sono dichiarate nulle e che, di conseguenza, devono essere riscossi i dazi antidumping e compensativi definitivi rispetto alle transazioni oggetto di tali fatture, come rilevato dal Tribunale al punto 44 della sentenza impugnata.

63

In tali circostanze, si deve considerare che dette disposizioni hanno prodotto direttamente effetti sulla situazione giuridica della Jiangsu Seraphim, in quanto esse hanno necessariamente un’incidenza su operazioni di cui è parte la ricorrente in primo grado e sui rapporti contrattuali che le disciplinano. Peraltro, le istituzioni non hanno rimesso in discussione la constatazione del Tribunale, anch’essa formulata al punto 44 della sentenza impugnata, secondo cui dette disposizioni non lasciavano alcun potere discrezionale alle autorità doganali nazionali relativamente all’annullamento delle fatture in questione e alla riscossione dei dazi dovuti a tale titolo.

64

Da quanto precede risulta che il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto nel dichiarare, al punto 45 della sentenza impugnata, che la Jiangsu Seraphim era direttamente interessata dall’articolo 2 del regolamento controverso.

65

Inoltre, nei limiti in cui le istituzioni contestano al Tribunale di aver commesso un errore di diritto nel ritenere, ai punti 47 e 48 della sentenza impugnata, che la Jiangsu Seraphim avesse interesse ad agire per chiedere l’annullamento dell’articolo 2 in parola, occorre ricordare che, come risulta da una giurisprudenza costante, un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica è ricevibile solo ove quest’ultima abbia un interesse all’annullamento dell’atto impugnato. Un siffatto interesse presuppone che l’annullamento di detto atto possa produrre, di per sé, conseguenze giuridiche e che il ricorso possa pertanto, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che lo ha proposto (sentenze del 17 settembre 2015, Mory e a./Commissione, C‑33/14 P, EU:C:2015:609, punto 55, e del 27 marzo 2019, Canadian Solar Emea e a./Consiglio, C‑236/17 P, EU:C:2019:258, punto 91).

66

A tal riguardo, occorre rilevare, anzitutto, che non è escluso, anche se si tratta di condizioni distinte, che taluni fattori o elementi siano idonei a dimostrare, al contempo, la legittimazione ad agire di un ricorrente avverso un atto dell’Unione e, in particolare, la sussistenza di uno dei criteri di tale legittimazione, come il fatto di essere direttamente interessato da tale atto, e l’esistenza di un interesse ad agire del ricorrente in parola avverso detto atto.

67

Così, nel caso di specie, al punto 47 della sentenza impugnata il Tribunale ha potuto tenere in considerazione, essenzialmente, gli stessi fattori per determinare se sussistesse un interesse ad agire della Jiangsu Seraphim e per quanto riguarda la questione, affrontata ai punti da 57 a 63 della presente sentenza, se l’articolo 2 del regolamento controverso producesse direttamente effetti sulla posizione giuridica della stessa, vale a dire l’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno emesse dalla ricorrente in primo grado e, di conseguenza, la riscossione dei dazi rispetto alle transazioni oggetto di tali fatture, senza che su tale base si possa da ciò desumere, contrariamente a quanto sostenuto dalle istituzioni, l’esistenza di un errore di diritto derivante dal fatto che il Tribunale avrebbe confuso le nozioni di «legittimazione ad agire» e di «interesse ad agire» oppure dalla circostanza che esso si sarebbe fondato, a tal riguardo, su un’interpretazione erronea della condizione secondo la quale il ricorrente deve essere direttamente interessato dall’atto oggetto del ricorso, ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

68

Si deve poi necessariamente constatare che, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 38 delle sue conclusioni, il Tribunale ha potuto legittimamente ritenere che l’annullamento delle fatture emesse dalla Jiangsu Seraphim e l’ingiunzione di riscuotere dazi definitivi dovuti per le transazioni oggetto di tali fatture costituissero fattori giuridici pregiudizievoli per la ricorrente in primo grado, in quanto produttore-esportatore dei prodotti interessati, la cui eliminazione avrebbe quindi procurato un beneficio a quest’ultima, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 65 della presente sentenza.

69

Ne consegue che, a prescindere dalla questione se o in quale misura la giurisprudenza richiamata dal Tribunale al punto 47 della sentenza impugnata sia pertinente nel caso di specie, lo stesso ha potuto legittimamente concludere, al punto 49 di tale sentenza, che la Jiangsu Seraphim aveva interesse ad agire per l’annullamento dell’articolo 2 del regolamento controverso.

70

Tale constatazione non può, inoltre, essere rimessa in discussione dalla censura dedotta dalle istituzioni, vertente sul fatto che i dazi in questione sarebbero, invero, già stati istituiti al momento dell’accettazione dell’impegno di cui trattasi, dato che, per quanto riguarda il presupposto dell’interesse ad agire, occorre determinare se un siffatto interesse, e dunque, più specificamente, la situazione pregiudizievole a cui il ricorso proposto può rimediare, perdurasse ed esistesse ancora, in ogni caso, alla data di presentazione di quest’ultimo (v., in tal senso, sentenze del 6 settembre 2018, Bank Mellat/Consiglio, C‑430/16 P, EU:C:2018:668, punto 50, e del 27 marzo 2019, Canadian Solar Emea e a./Consiglio, C‑236/17 P, EU:C:2019:258, punto 92).

71

Infine, nei limiti in cui le istituzioni mirano a contestare le considerazioni del Tribunale contenute al punto 48 della sentenza impugnata, è sufficiente constatare, come ha peraltro rilevato lo stesso Tribunale, che tale punto si limita a fornire una motivazione sovrabbondante. Tale censura deve, pertanto, essere disattesa perché inoperante (v., in tal senso, sentenza del 17 settembre 2020, Troszczynski/Parlamento, C‑12/19 P, EU:C:2020:725, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

72

Dalle considerazioni che precedono risulta che la prima parte dei primi motivi di impugnazione dedotti nell’ambito delle cause C‑439/20 P e C‑441/20 P deve essere respinta.

73

Con la seconda parte dei primi motivi di impugnazione in parola, le istituzioni contestano al Tribunale di aver commesso errori di diritto nel dichiarare, ai punti da 57 a 64 della sentenza impugnata, che l’eccezione di illegittimità sollevata dalla Jiangsu Seraphim rispetto all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e all’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 era ricevibile.

74

Nella misura in cui le istituzioni sostengono, in primo luogo e in sostanza, che il Tribunale di primo grado ha erroneamente ritenuto, alla luce della giurisprudenza derivante dalle sentenze del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf (C‑188/92, EU:C:1994:90), e del 15 febbraio 2001, Nachi Europe (C‑239/99, EU:C:2001:101), che la Jiangsu Seraphim non potesse proporre, in forza dell’articolo 263 TFUE, un ricorso diretto avverso le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità in seguito alla loro adozione, sicché la ricorrente in primo grado non sarebbe stata «impossibilitata», ai sensi di tale giurisprudenza, a sollevare un’eccezione di illegittimità ai sensi dell’articolo 277 TFUE nell’ambito del ricorso in primo grado, occorre rilevare che, sebbene il Tribunale abbia anche esaminato, segnatamente ai punti 62 e 63 della sentenza impugnata, la questione se la ricorrente in primo grado potesse essere considerata direttamente e, se del caso, individualmente interessata dalle disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità, risulta, in particolare, dal punto 64 della sentenza impugnata che il Tribunale ha dichiarato la ricevibilità di tale eccezione di illegittimità con la motivazione che la Jiangsu Seraphim non aveva interesse ad agire avverso dette disposizioni direttamente a seguito della loro adozione.

75

A tal riguardo, il Tribunale ha sottolineato, al punto 58 della sentenza impugnata, che l’articolo 3 del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2 del regolamento di esecuzione n. 1239/2013 istituivano esenzioni a favore della Jiangsu Seraphim, nel senso che i prodotti di cui trattasi, importati nell’Unione, non erano soggetti al pagamento dei dazi antidumping e compensativi definitivi, purché fossero soddisfatte le condizioni previste negli impegni.

76

Per quanto riguarda, più specificamente, l’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, il Tribunale ha rilevato, ai punti 59 e 60 della sentenza impugnata, che tali disposizioni miravano soltanto a conferire alla Commissione il diritto di revocare l’accettazione degli impegni concreti e di annullare le pertinenti fatture corrispondenti all’impegno, sicché gli effetti sfavorevoli di tali disposizioni potevano manifestarsi solo tramite particolari misure future, vale a dire, segnatamente, la revoca da parte della Commissione dell’accettazione di un impegno assunto, nonché, successivamente, l’annullamento delle relative fatture corrispondenti all’impegno e la riscossione dei dazi dovuti per le transazioni oggetto di queste ultime.

77

Orbene, in tali circostanze il Tribunale ha potuto, senza commettere errori di diritto, ritenere in sostanza, ai punti 61 e 62 della sentenza impugnata, che, alla data di adozione delle disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità o direttamente a seguito di tale adozione, l’applicazione di dette disposizioni alla Jiangsu Seraphim restasse ipotetica e che l’interesse ad agire della ricorrente in primo grado non potesse fondarsi su tale mera eventualità, dal momento che, come ricordato al punto 70 della presente sentenza, un siffatto interesse deve essere concreto e attuale alla data di presentazione del ricorso e non può riguardare una situazione futura ed ipotetica (v., in tal senso, sentenza del 27 marzo 2019, Canadian Solar Emea e a./Consiglio, C‑236/17 P, EU:C:2019:258, punto 92).

78

Inoltre, secondo una giurisprudenza costante, l’articolo 277 TFUE è espressione di un principio generale che garantisce a qualsiasi parte il diritto di contestare, al fine di ottenere l’annullamento di un atto dell’Unione sulla base dell’articolo 263 TFUE, la validità di precedenti atti delle istituzioni, che costituiscono il fondamento giuridico dell’atto impugnato, qualora tale parte non avesse avuto il diritto di proporre, in forza dell’articolo 263 TFUE, un ricorso diretto contro questi ultimi atti, di cui essa subisce così le conseguenze senza averne potuto chiedere l’annullamento (v., in tal senso, sentenze del 6 marzo 1979, Simmenthal/Commissione, 92/78, EU:C:1979:53, punto 39, e dell’8 settembre 2020, Commissione e Consiglio/Carreras Sequeros e a., C‑119/19 P e C‑126/19 P, EU:C:2020:676, punto 67).

79

Da tale giurisprudenza discende che la ricevibilità dell’eccezione di illegittimità di un atto è necessariamente subordinata alla condizione che il ricorrente che la fa valere non abbia avuto il diritto di proporre un ricorso diretto volto all’annullamento di tale atto (sentenza del 17 dicembre 2020, BP/FRA, C‑601/19 P, non pubblicata, EU:C:2020:1048, punto 27).

80

Ne consegue che il Tribunale ha potuto legittimamente concludere, al punto 64 della sentenza impugnata, che la Jiangsu Seraphim, non avendo potuto disporre di un interesse ad agire avverso le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità direttamente a seguito della loro adozione, non poteva essere «impossibilitata» a sollevare tale eccezione di illegittimità nell’ambito del ricorso in primo grado.

81

L’eventuale constatazione di un errore di diritto che vizi il punto 63 della sentenza impugnata, nella parte in cui il Tribunale avrebbe erroneamente dichiarato che le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità avevano natura non già di decisione individuale, ma bensì di disposizioni di carattere generale, non potrebbe inficiare tale conclusione. Pertanto, la prima censura dedotta a sostegno della seconda parte dei primi motivi di impugnazione deve essere respinta.

82

Nella misura in cui le istituzioni sostengono, in secondo luogo e in subordine, in sostanza, che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel dichiarare ricevibile l’eccezione di illegittimità sollevata dalla ricorrente in primo grado, mentre avrebbe dovuto constatare che le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità erano inscindibili dal resto dei regolamenti di esecuzione nn. 1238/2013 e 1239/2013 e che tale eccezione di illegittimità avrebbe dovuto essere sollevata nei confronti dell’integralità dei regolamenti di esecuzione in parola, occorre rilevare che il motivo di irricevibilità basato sulla giurisprudenza derivante dalle sentenze del 9 marzo 1994, TWD Textilwerke Deggendorf (C‑188/92, EU:C:1994:90), e del 15 febbraio 2001, Nachi Europe (C‑239/99, EU:C:2001:101), che la Commissione, sostenuta dal Consiglio, aveva dedotto in primo grado, si fondava sulla scadenza del termine di ricorso previsto all’articolo 263 TFUE, e non già sulla circostanza che tali disposizioni sarebbero inscindibili dalle altre disposizioni di citati regolamenti di esecuzione.

83

Occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 170, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, l’impugnazione non può modificare l’oggetto del giudizio svoltosi dinanzi al Tribunale. Pertanto, secondo una giurisprudenza costante, la competenza della Corte nell’ambito dell’impugnazione è limitata alla valutazione della soluzione giuridica che è stata fornita ai motivi e agli argomenti discussi dinanzi al giudice di primo grado. Una parte non può quindi sollevare per la prima volta dinanzi alla Corte una censura che non ha dedotto dinanzi al Tribunale, dato che ciò equivarrebbe a consentirle di sottoporre alla Corte, la cui competenza in materia d’impugnazione è limitata, una controversia più ampia di quella di cui è stato investito il Tribunale (sentenza del 6 ottobre 2021, Sigma Alimentos Exterior/Commissione, C‑50/19 P, EU:C:2021:792, punti 3738).

84

Pertanto, la censura delle istituzioni relativa alla circostanza che le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità sarebbero inscindibili dalle altre disposizioni dei regolamenti di esecuzione nn. 1238/2013 e 1239/2013 deve essere respinta in quanto irricevibile, poiché tale censura è stata sollevata per la prima volta nell’ambito delle impugnazioni.

85

In terzo luogo, è irricevibile per gli stessi motivi la censura, dedotta anch’essa in subordine, vertente sul fatto che l’eccezione di illegittimità sollevata in primo grado dalla Jiangsu Seraphim è inoperante in quanto sarebbe diretta contro disposizioni che non costituiscono la base giuridica del regolamento controverso.

86

Nei limiti in cui le istituzioni sostengono, in ultimo luogo e in ulteriore subordine, in sostanza, che il Tribunale si sarebbe pronunciato su tale eccezione di illegittimità interpretando erroneamente il motivo unico dedotto in primo grado nel senso che, con tale motivo, la ricorrente avrebbe affermato che il regolamento controverso violava direttamente le pertinenti disposizioni dei regolamenti di base, quando invece il ricorso in primo grado non avrebbe contenuto tale motivo, sicché il Tribunale si sarebbe pronunciato ultra petita, è sufficiente constatare che dalla formulazione letterale del ricorso in parola emerge che tale motivo unico era espressamente fondato sulla violazione dell’articolo 8, paragrafi 1, 9, 10, e dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base, nonché dell’articolo 13, paragrafi 1, 9 e 10, e dell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base, e che detto motivo unico era associato a un’eccezione di illegittimità sollevata rispetto all’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013.

87

Detta censura deve, pertanto, essere respinta in quanto infondata.

88

Dalle considerazioni che precedono risulta che la seconda parte dei primi motivi di impugnazione dedotti nell’ambito delle cause C‑439/20 P e C‑441/20 P deve essere respinta.

89

In considerazione di tutto quanto precede, tali primi motivi di impugnazione devono, quindi, essere respinti nel loro complesso.

Sui motivi di impugnazione secondo e terzo nella causa C‑439/20 P e sulla prima parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑441/20 P

Argomenti delle parti

90

Con i motivi di impugnazione secondo e terzo nella causa C‑439/20 P e con la prima parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑441/20 P, le istituzioni contestano al Tribunale, in sostanza, di aver commesso, ai punti da 115 a 152 della sentenza impugnata, errori di diritto nel ritenere che i regolamenti di base non costituissero fondamenti giuridici sufficienti per l’adozione dell’articolo 2 del regolamento controverso, riguardante l’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno della Jiangsu Seraphim, nonché la riscossione dei dazi antidumping e dei dazi compensativi dovuti all’atto dell’accettazione della dichiarazione doganale d’immissione in libera pratica delle merci oggetto di tali fatture.

91

In particolare, con il secondo motivo di impugnazione nella causa C‑439/20 P e con la prima parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑441/20 P, le istituzioni addebitano al Tribunale di aver commesso errori di diritto, segnatamente ai punti 119, da 129 a 132, 138, da 140 a 147 e 151 della sentenza impugnata, nella parte in cui ha qualificato come «retroattiva» la riscossione dei dazi sulle importazioni in questione.

92

A parere delle istituzioni, sotto un primo profilo, il Tribunale non ha motivato l’ipotesi secondo la quale tali dazi sarebbero stati riscossi «retroattivamente», sebbene detta ipotesi sottenda tali punti della sentenza impugnata e sia «al centro» dell’interpretazione svolta dal Tribunale, ai punti da 128 a 138 della citata sentenza, delle pertinenti disposizioni dei regolamenti di base.

93

Sotto un secondo profilo, il Tribunale, qualificando la riscossione dei dazi in questione come «retroattiva», avrebbe commesso errori di diritto relativi all’interpretazione, in particolare, dell’articolo 8, paragrafo 10, e dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base, nonché dell’articolo 13, paragrafo 10, e dell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base. Infatti, tali disposizioni costituirebbero una base giuridica sufficiente per la riscossione dei dazi su importazioni considerate in violazione dell’impegno di cui trattasi.

94

A questo proposito, le istituzioni sottolineano che non si tratta di sapere quando viene riscosso il dazio sull’importazione in questione, ma di sapere se tale importazione sia stata immessa in libera pratica dopo l’istituzione di tale dazio. Pertanto, il criterio decisivo per determinare se la riscossione di detto dazio sia retroattiva sarebbe la data in cui la misura di cui trattasi è stata istituita. Orbene, nel caso di specie, risulterebbe chiaramente dai regolamenti di esecuzione nn. 1238/2013 e 1239/2013 che i dazi sulle importazioni in questione sono stati istituiti nel 2013, vale a dire prima dell’immissione in libera pratica di tali importazioni, oggetto delle fatture corrispondenti all’impegno nulle. Il regolamento controverso avrebbe solamente avviato la riscossione di tali dazi.

95

Con il terzo motivo di impugnazione nella causa C‑439/20 P, le istituzioni contestano al Tribunale, in sostanza, di avere interpretato erroneamente, ai punti 119, da 129 a 138, da 140 a 147 e 151 della sentenza impugnata, l’articolo 8, paragrafi 1, 9 e 10, e l’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base, nonché l’articolo 13, paragrafi 1, 9 e 10, e l’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base, nella parte in cui lo stesso ha ritenuto che tali disposizioni non fossero applicabili al caso di specie. Il Tribunale avrebbe, a torto, escluso l’interpretazione di dette disposizioni adottate dalle istituzioni.

96

Anzitutto, le medesime disposizioni, come modificate dal regolamento n. 461/2004, costituirebbero, in realtà, una base giuridica sufficiente per la riscossione di dazi sulle importazioni rispetto alle quali sia stato constatato che esse violavano l’impegno di cui trattasi. Il Tribunale avrebbe completamente ignorato, ai punti da 115 a 118 della sentenza impugnata, che, a seguito di una siffatta modifica, il dazio definitivo è istituito sin dall’accettazione dell’impegno di cui trattasi, e non soltanto una volta che tale impegno sia stato revocato. Pertanto, i dazi in parola non sarebbero stati istituiti retroattivamente.

97

Sarebbe, in particolare, viziato da due errori di diritto il punto 119 della sentenza impugnata, nella parte in cui il Tribunale ha ritenuto che la riscossione di dazi su importazioni che hanno violato l’impegno di cui trattasi si limitava alle due ipotesi previste all’articolo 8, paragrafo 10, e all’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base, nonché all’articolo 13, paragrafo 10, e all’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base.

98

Sotto un primo profilo, tali disposizioni riguarderebbero l’applicazione retroattiva dei dazi, vale a dire, contrariamente a quanto sarebbe previsto dal regolamento controverso, la riscossione di dazi su importazioni immesse in libera pratica prima dell’istituzione di dazi definitivi. Sotto un secondo profilo, il Tribunale avrebbe snaturato la modifica legislativa intervenuta nel 2004. Infatti, le due ipotesi previste riguarderebbero solo la situazione in cui un dazio definitivo non fosse stato istituito dal Consiglio al momento dell’accettazione dell’impegno di cui trattasi.

99

Le istituzioni ritengono, poi, che i considerando dei regolamenti di base ai quali il Tribunale fa riferimento ai punti da 132 a 137 della sentenza impugnata siano privi di pertinenza. Contrariamente a quanto constatato dal Tribunale al punto 144 di tale sentenza, dovrebbero essere presi in considerazione i considerando 18 e 19 del regolamento n. 461/2004. Di conseguenza, contrariamente a quanto sarebbe stato indicato dal Tribunale al punto 138 della sentenza impugnata, le disposizioni specifiche relative all’istituzione di dazi provvisori solo dopo la violazione o la revoca di un impegno e all’istituzione retroattiva di tali dazi non limiterebbero la riscossione di dazi precedentemente istituiti sulle importazioni rispetto alle quali sia stato constatato che esse non rispettavano le condizioni formali o sostanziali dell’impegno di cui trattasi.

100

Infine, le constatazioni effettuate dal Tribunale, in particolare, ai punti 141, 145 e 146 della sentenza impugnata sarebbero erronee.

101

La Jiangsu Seraphim sostiene che il Tribunale ha correttamente respinto l’interpretazione fatta valere dalle istituzioni e che i motivi dedotti da queste ultime devono, pertanto, essere respinti in quanto privi di fondamento.

102

A tal riguardo, da un lato, il regolamento controverso imporrebbe dazi retroattivamente, eccedendo quanto consentito dai regolamenti di base. Il Tribunale avrebbe, quindi, legittimamente concluso che tali regolamenti di base non costituivano un fondamento giuridico sufficiente per l’adozione delle disposizioni del regolamento controverso.

103

D’altro lato, in caso di violazione dei termini di un impegno, dall’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e dall’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base risulterebbe che i dazi i quali, in conseguenza dell’accettazione di tale impegno, non trovavano applicazione si applicano automaticamente alle importazioni effettuate a partire dalla data in cui detto impegno è stato revocato, e non a importazioni anteriori.

104

Come avrebbe ritenuto il Tribunale, nel sistema creato dai regolamenti di base, i dazi dovuti a causa della violazione degli impegni di cui trattasi non potrebbero essere imposti retroattivamente al di fuori dei limiti procedurali stabiliti dalle disposizioni dell’articolo 8, paragrafo 10, e dell’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base, nonché dell’articolo 13, paragrafo 10, e dell’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base. Il diritto dell’Unione non autorizzerebbe in alcun modo la Commissione ad annullare le fatture in questione e a ingiungere alle autorità doganali nazionali di riscuotere dazi definitivi retroattivamente sulle precedenti importazioni immesse in libera pratica, in assenza di registrazione e di imposizione di dazi provvisori. A parere della Jiangsu Seraphim, le modifiche apportate nel 2004 avevano esclusivamente lo scopo, da un lato, di consentire la revoca di un impegno e l’applicazione del dazio in questione mediante un unico atto giuridico, ponendo fine al «gravoso doppio procedimento in vigore in precedenza», che prevedeva l’intervento sia della Commissione che del Consiglio, e, dall’altro, di stabilire scadenze obbligatorie per la chiusura delle indagini relative a presunte violazioni degli impegni di cui trattasi.

Giudizio della Corte

105

I motivi di impugnazione secondo e terzo nella causa C‑439/20 P e la prima parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑441/20 P sono diretti contro i punti della motivazione della sentenza impugnata, contenuti nei punti da 115 a 152 della stessa, con cui il Tribunale ha accolto nel merito il motivo unico dedotto dalla Jiangsu Seraphim a sostegno del suo ricorso in primo grado, volto a dimostrare che, con l’articolo 2 del regolamento controverso, annullando le fatture relative all’impegno e ordinando la riscossione dei dazi dovuti all’atto dell’accettazione della dichiarazione doganale d’immissione in libera pratica relativa alle importazioni oggetto di tali fatture, la Commissione ha violato, da un lato, gli articoli 8 e 10 del regolamento antidumping di base e, dall’altro, gli articoli 13 e 16 del regolamento antisovvenzioni di base.

106

Le istituzioni, con le censure da esse dedotte a sostegno di tali motivi e di tale parte di motivo, che occorre esaminare congiuntamente, contestano al Tribunale, in sostanza, di aver effettuato un’interpretazione erronea dei regolamenti di base, e in particolare delle disposizioni in parola, considerate nel loro contesto, dal momento che il Tribunale ha segnatamente dichiarato, qualificando a torto le misure previste all’articolo 2 del regolamento controverso come «retroattive», che essi non autorizzavano le istituzioni ad adottare tali misure in conseguenza della revoca dell’accettazione dell’impegno di cui trattasi.

107

A questo proposito, occorre rilevare che il Tribunale, per giungere alla conclusione contenuta al punto 152 della sentenza impugnata, secondo la quale i regolamenti di base non possono costituire fondamenti giuridici sufficienti per l’adozione dell’articolo 2 del regolamento controverso, ha anzitutto considerato, ai punti da 115 a 119 della sentenza impugnata, che, dal momento che il caso di specie riguardava, a suo avviso, l’imposizione dei dazi antidumping e dei dazi compensativi che sarebbero stati dovuti in assenza di un impegno che nel frattempo era stato violato, tale caso non era disciplinato né dall’articolo 8, paragrafo 10, del regolamento antidumping di base e dall’articolo 13, paragrafo 10, del regolamento antisovvenzioni di base, né dall’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base e dall’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base, sicché tale caso di specie non sarebbe rientrato in nessuna delle ipotesi espressamente previste dai regolamenti di base, e che era necessario esaminare se non vi fosse un’altra base giuridica per l’adozione dell’articolo 2 del regolamento controverso.

108

Il Tribunale ha poi escluso, ai punti da 130 a 138 della sentenza impugnata, che tale potesse essere il caso, poiché dal sistema e dalle finalità dei regolamenti di base, e in particolare dai considerando di questi ultimi, risulterebbe, da un lato, che il legislatore dell’Unione intendeva disciplinare in modo esplicito, nei regolamenti di base, le modalità con le quali, a seguito della revoca dell’accettazione di un impegno, le istituzioni avevano il potere di imporre retroattivamente i dazi dovuti e, dall’altro, che le predette disposizioni di tali regolamenti elencavano in modo tassativo le situazioni in cui una siffatta imposizione retroattiva era autorizzata.

109

Il Tribunale ne ha dedotto in particolare, ai punti 137 e 138 della sentenza impugnata, che tale potere non può fondarsi né sulla lettera dell’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base, in forza dei quali i dazi si applicano automaticamente a seguito della revoca dell’accettazione di impegni, né sulla lettera dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base, nella misura in cui sono ivi indicati gli «altri elementi» di riscossione dei dazi.

110

Infine, il Tribunale ha ritenuto, ai punti da 139 a 151 della sentenza impugnata, che nessuna delle altre censure dedotte dalle istituzioni, come quella vertente sul controllo e sulla sanzione efficaci degli impegni di cui trattasi, fosse tale da modificare la valutazione in parola.

111

Al fine di esaminare se l’interpretazione dei regolamenti di base così adottata dal Tribunale sia viziata da un errore di diritto, occorre ricordare, in via preliminare, che, con il regolamento controverso, la Commissione ha, sotto un primo profilo, all’articolo 1 di quest’ultimo, revocato l’accettazione dell’impegno di cui trattasi, in conformità all’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base e all’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base, e, sotto un secondo profilo, all’articolo 2 del regolamento controverso, tratto le conseguenze di tale revoca, annullando le fatture relative all’impegno di cui trattasi e ordinando la riscossione dei dazi antidumping e dei dazi compensativi dovuti all’atto dell’accettazione della dichiarazione doganale d’immissione in libera pratica relativa alle transazioni oggetto di tali fatture.

112

Poiché l’articolo 2 del regolamento controverso riguarda, quindi, le conseguenze o gli effetti della revoca dell’accettazione di un impegno e tale questione è specificamente contemplata all’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e all’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base, occorre esaminare la legittimità di tale articolo 2, in primo luogo, in considerazione di dette disposizioni, che, peraltro, il regolamento controverso presenta come base giuridica della sua adozione.

113

Come il Tribunale ha correttamente ricordato al punto 131 della sentenza impugnata, ai fini dell’interpretazione di una disposizione del diritto dell’Unione, si deve tenere conto non solo dei suoi termini, ma anche del contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte [sentenza del 2 dicembre 2021, Commissione e GMB Glasmanufaktur Brandenburg/Xinyi PV Products (Anhui) Holdings, C‑884/19 P e C‑888/19 P, EU:C:2021:973, punto 70 e giurisprudenza ivi citata].

114

In tale contesto, occorre anzitutto rilevare che dalla lettera dell’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base risulta che, in caso, segnatamente, di revoca dell’accettazione di un impegno da parte della Commissione, il dazio antidumping o il dazio compensativo definitivi istituiti in conformità, rispettivamente, all’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento antidumping di base e all’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base, come i dazi istituiti nel caso di specie dagli articoli 1 dei regolamenti di esecuzione nn. 1238/2013 e 1239/2013, «si applica[no] automaticamente».

115

Al fine di stabilire se tali disposizioni possano consentire l’adozione di misure come quelle previste all’articolo 2 del regolamento controverso, ossia l’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno e la riscossione dei dazi relativi alle transazioni oggetto di tali fatture, comprese quelle precedenti all’entrata in vigore di tale regolamento, occorre leggerle in combinato disposto con, da un lato, le disposizioni dell’articolo 9, paragrafo 4, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 15, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base, da cui risulta che la Commissione «istituisce» dazi definitivi, nonché, dall’altro, con quelle dell’articolo 8, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento antisovvenzioni di base, in forza dei quali «per tutto il periodo» in cui un impegno ha effetto, i dazi definitivi «non si applicano» alle importazioni interessate.

116

Orbene, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 88 delle sue conclusioni, da una lettura congiunta di tali disposizioni risulta che l’«applicazione automatica» del dazio provvisorio o definitivo, quale prevista all’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e all’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base, in caso, in particolare, di revoca dell’accettazione di un impegno da parte della Commissione, deve essere interpretata non già come l’istituzione di un nuovo dazio, ma bensì come l’applicazione del dazio inizialmente istituito, fermo restando che l’applicazione di tale dazio è stata sospesa «per tutto il periodo» in cui l’impegno ha avuto effetto.

117

In tal senso, più specificamente, la sospensione dell’applicazione dei dazi definitivi prevista all’articolo 8, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento antidumping di base e all’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento antisovvenzioni di base, al momento dell’accettazione di un impegno, e l’applicazione automatica di tali dazi, prevista all’articolo 8, paragrafo 9, primo comma, del regolamento antidumping di base e all’articolo 13, paragrafo 9, primo comma, del regolamento antisovvenzioni di base, in conseguenza della revoca di quest’ultimo, non fanno riferimento all’istituzione stessa di detti dazi, ma ai loro effetti, come, in particolare, la loro riscossione.

118

Da quanto precede risulta che, contrariamente a quanto considerato dal Tribunale, in particolare, al punto 138 della sentenza impugnata, il potere delle istituzioni dell’Unione incaricate dell’esecuzione dei regolamenti di base di esigere il pagamento, a seguito della revoca dell’accettazione di un impegno, dei dazi dovuti in ragione delle transazioni coperte dalle fatture pertinenti all’impegno dichiarate nulle, come previsto dall’articolo 2 del regolamento controverso, può validamente fondarsi sull’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e sull’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base.

119

La stessa conclusione si impone, peraltro, nei limiti in cui l’articolo 2 del regolamento controverso prevede l’annullamento di tali fatture corrispondenti all’impegno.

120

A tal riguardo, occorre rilevare che, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base, i dazi antidumping o i dazi compensativi sono imposti con regolamento e sono riscossi dagli Stati membri secondo la forma, l’aliquota e gli altri elementi fissati nel regolamento istitutivo. Come dichiarato dalla Corte, da tale formulazione letterale risulta che il legislatore dell’Unione non ha inteso determinare in modo tassativo gli elementi relativi alla riscossione dei dazi antidumping che possono essere fissati (v., in tal senso, sentenza del 15 marzo 2018, Deichmann, C‑256/16, EU:C:2018:187, punti 5758).

121

Orbene, l’emissione di fatture corrispondenti all’impegno, come imposta nel caso di specie all’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e all’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, riguarda la riscossione dei dazi antidumping o dei dazi compensativi definitivi istituiti da tali regolamenti di esecuzione, in quanto la produzione delle fatture in parola costituisce un presupposto dell’esenzione prevista in detti articoli. Inoltre, dette fatture servono anche a garantire l’identificazione delle transazioni interessate, qualora la riscossione di tali dazi sia ordinata in conseguenza della revoca dell’accettazione dell’impegno di cui trattasi.

122

Di conseguenza, l’emissione delle fatture corrispondenti all’impegno rientra effettivamente, come sostengono le istituzioni, tra i requisiti che queste ultime possono stabilire, in un regolamento che istituisce dazi antidumping o dazi compensativi, in forza dell’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base.

123

Per quanto riguarda, più specificamente, il potere di procedere all’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno, esso appartiene, conseguentemente, alle istituzioni, sulla base di tali disposizioni.

124

Pertanto, qualora la Commissione, con un atto adottato sulla base dell’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e dell’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base, tragga le conseguenze della revoca dell’accettazione di un impegno, nulla osta, contrariamente a quanto suggerito dal Tribunale ai punti 137 e 138 della sentenza impugnata, a che tale istituzione proceda, con detto atto, all’annullamento delle fatture corrispondenti a tale impegno, quale presupposto formale preliminare alla riscossione dei dazi sulle transazioni oggetto delle fatture in parola.

125

Inoltre, occorre altresì rilevare che il ragionamento esposto ai punti da 130 a 138 della sentenza impugnata è viziato da errori di diritto, in quanto si basa sull’erronea premessa che l’articolo 2 del regolamento controverso si applichi retroattivamente, nella parte in cui prevede, a seguito della revoca dell’accettazione dell’impegno assunto dalla Jiangsu Seraphim, l’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno elencate nell’allegato I di tale regolamento e il pagamento dei dazi antidumping e compensativo sulle transazioni oggetto di tali fatture.

126

Si deve ricordare che, a differenza delle norme procedurali, che sono considerate generalmente applicabili alla data della loro entrata in vigore, per garantire l’osservanza dei principi della certezza del diritto e della tutela del legittimo affidamento le norme dell’Unione di diritto sostanziale devono interpretarsi nel senso che si possono applicare a situazioni acquisite anteriormente alla loro entrata in vigore soltanto in quanto dalla lettera, dallo scopo o dalla sistematica di tali norme risulti chiaramente che dev’essere loro attribuita una tale efficacia (sentenza del 22 giugno 2022, Volvo e DAF Trucks, C‑267/20, EU:C:2022:494, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

127

Dalla giurisprudenza della Corte emerge inoltre che, in linea di principio, una nuova norma giuridica si applica a partire dall’entrata in vigore dell’atto che la istituisce. Sebbene essa non si applichi alle situazioni giuridiche sorte e definitivamente acquisite in vigenza della vecchia legge, si applica agli effetti futuri di una situazione sorta in vigenza della precedente norma, nonché alle situazioni giuridiche nuove. Ciò non avviene, fatto salvo il principio di irretroattività degli atti giuridici, solo qualora la nuova norma sia accompagnata da disposizioni particolari che determinino specificamente le sue condizioni di applicazione nel tempo (sentenza del 22 giugno 2022, Volvo e DAF Trucks, C‑267/20, EU:C:2022:494, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

128

Per quanto riguarda il regolamento controverso, occorre constatare che – come risulta dai punti da 113 a 118 della presente sentenza e come correttamente sottolineato dalle istituzioni – quest’ultimo non ha istituito nuovi dazi rispetto alle operazioni previste all’articolo 2 di tale regolamento, ma ha proceduto all’applicazione dei dazi istituiti dai regolamenti di esecuzione nn. 1238/2013 e 1239/2013, fermo restando che l’applicazione di tali dazi era stata soltanto sospesa per tutto il periodo in cui l’impegno assunto dalla Jiangsu Seraphim ha avuto effetto, in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, e ciò in conformità all’articolo 8, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento antidumping di base e all’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, del regolamento antisovvenzioni di base.

129

L’articolo 2 del regolamento controverso determina, quindi, un’applicazione agli effetti futuri delle situazioni sorte anteriormente alla sua entrata in vigore, piuttosto che un’applicazione retroattiva a una situazione acquisita anteriormente a tale data, ai sensi della giurisprudenza ricordata ai punti 126 e 127 della presente sentenza.

130

È altresì viziato da un errore di diritto l’argomento accolto dal Tribunale al punto 138 della sentenza impugnata, secondo il quale, da un lato, l’articolo 8, paragrafo 10, del regolamento antidumping di base e l’articolo 13, paragrafo 10, del regolamento antisovvenzioni di base, nonché, dall’altro, l’articolo 10, paragrafo 5, del regolamento antidumping di base e l’articolo 16, paragrafo 5, del regolamento antisovvenzioni di base osterebbero all’esistenza del potere della Commissione di annullare fatture corrispondenti all’impegno e di esigere, in modo asseritamente retroattivo, il pagamento dei dazi sulle transazioni di cui trattasi, sulla base del rilievo che tali disposizioni identificherebbero in modo tassativo le situazioni in cui detti dazi possono essere applicati retroattivamente.

131

Infatti, da un lato, è sufficiente rilevare che le misure adottate all’articolo 2 del regolamento controverso non hanno portata retroattiva, come è stato constatato al punto 129 della presente sentenza.

132

Dall’altro, ai punti da 115 a 118 della presente sentenza è stato constatato che un siffatto potere può validamente fondarsi sull’articolo 8, paragrafo 9, del regolamento antidumping di base e sull’articolo 13, paragrafo 9, del regolamento antisovvenzioni di base.

133

Per quanto riguarda, peraltro, l’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013, nemmeno tali regolamenti di esecuzione possono essere considerati retroattivi, in quanto hanno istituito dazi antidumping e dazi compensativi rispetto alle importazioni effettuate, in violazione dell’impegno di cui trattasi, dopo la loro entrata in vigore e hanno previsto, mediante l’annullamento delle fatture corrispondenti all’impegno, la riscossione di tali dazi nel futuro, in conseguenza e nell’ipotesi di una siffatta violazione e della revoca di detto impegno.

134

Ne consegue che la sentenza impugnata è viziata da errori di diritto anche nei limiti in cui il Tribunale si è basato, segnatamente ai punti da 132 a 139 di tale sentenza, sulla retroattività del regolamento controverso o su quella dei regolamenti di esecuzione summenzionati per concludere che dall’intenzione del legislatore dell’Unione e dall’impianto sistematico dei regolamenti di base risultava che questi ultimi non potevano costituire una base giuridica per l’adozione delle misure previste all’articolo 2 del regolamento controverso.

135

Infine, si deve necessariamente constatare che, come sostanzialmente sottolineato dall’avvocato generale ai paragrafi da 100 a 104 delle sue conclusioni, la predetta interpretazione dei regolamenti di base è corroborata dalla circostanza che, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale al punto 151 della sentenza impugnata, in assenza della possibilità di riscuotere, a seguito della revoca dell’accettazione di un impegno, i dazi antidumping e i dazi compensativi con riferimento a tutte le importazioni che siano state effettuate in violazione di tale impegno, una siffatta violazione non determinerebbe conseguenze di gravità sufficiente a garantire il rispetto e la corretta esecuzione degli impegni assunti dai produttori-esportatori, il che pregiudicherebbe, quindi, l’efficacia dei sistemi di difesa che i regolamenti di base intendono istituire.

136

Dall’insieme delle considerazioni che precedono risulta che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel dichiarare che i regolamenti di base non potevano costituire fondamenti giuridici sufficienti per l’adozione dell’articolo 2 del regolamento controverso.

137

Di conseguenza, occorre accogliere i motivi di impugnazione secondo e terzo nella causa C‑439/20 P e la prima parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑441/20 P e pertanto, senza che sia necessario esaminare il quarto motivo di impugnazione nella causa C‑439/20 P e la seconda parte del secondo motivo di impugnazione nella causa C‑441/20 P, annullare la sentenza impugnata.

Sul ricorso dinanzi al Tribunale

138

In conformità all’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quando la Corte annulla la decisione del Tribunale, essa può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta, oppure rinviare la causa al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo.

139

La Corte ritiene che lo stato degli atti consenta di statuire sulla controversia e che sia necessario pronunciarsi sulla domanda di annullamento del regolamento controverso.

140

A tal riguardo, risulta, anzitutto, dalla risposta, da un lato, alla prima parte dei primi motivi di impugnazione dedotti nelle due cause, di cui ai punti da 53 a 72 della presente sentenza, e, dall’altro, alla seconda parte di tali primi motivi, di cui ai punti da 73 a 88 della presente sentenza, che occorre dichiarare ricevibili, sostanzialmente per la motivazione accolta dal Tribunale, sia il ricorso diretto all’annullamento dell’articolo 2 del regolamento controverso che la Jiangsu Seraphim ha proposto dinanzi allo stesso, sia l’eccezione di illegittimità che la ricorrente in primo grado ha sollevato rispetto all’articolo 3, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), del regolamento di esecuzione n. 1239/2013.

141

Per quanto riguarda, poi, il motivo unico di ricorso dedotto dalla Jiangsu Seraphim dinanzi al Tribunale al fine di dimostrare che, con l’articolo 2 del regolamento controverso, la Commissione, annullando le fatture corrispondenti all’impegno e ordinando la riscossione dei dazi dovuti all’atto dell’accettazione della dichiarazione doganale d’immissione in libera pratica relativa alle importazioni oggetto di tali fatture, ha violato, da un lato, gli articoli 8 e 10 del regolamento antidumping di base e, dall’altro, gli articoli 13 e 16 del regolamento antisovvenzioni di base, tale motivo deve essere respinto in quanto infondato sulla base della motivazione esposta ai punti da 111 a 135 della presente sentenza.

142

Infine, sulla base di tali disposizioni dei regolamenti di base, la Jiangsu Seraphim ha sollevato un’eccezione di illegittimità rispetto all’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1238/2013 e all’articolo 2, paragrafo 2, del regolamento di esecuzione n. 1239/2013.

143

La Jiangsu Seraphim sostiene, in sostanza, che il Consiglio, agendo in qualità di autorità di esecuzione, e non in qualità di legislatore, non poteva delegare alla Commissione il potere di annullare le fatture corrispondenti all’impegno dietro semplice revoca dell’accettazione di un impegno, né ordinare alle autorità doganali di riscuotere i dazi su merci già immesse in libera pratica nel territorio doganale dell’Unione.

144

A questo proposito, dalla motivazione esposta ai punti da 111 a 136 della presente sentenza risulta che tale interpretazione non è fondata in diritto.

145

In particolare, per i motivi indicati ai punti da 114 a 118 della presente sentenza, risulta dall’impianto sistematico dei regolamenti di base, e in particolare dall’articolo 8, paragrafi 1 e 9, del regolamento antidumping di base nonché dall’articolo 13, paragrafi 1 e 9, del regolamento antisovvenzioni di base, che il Consiglio poteva autorizzare la Commissione a prevedere che, a seguito della revoca della sua accettazione di un impegno e dell’annullamento delle corrispondenti fatture, un’obbligazione doganale dovesse sorgere all’atto dell’accettazione della dichiarazione doganale d’immissione in libera pratica.

146

Inoltre, come risulta dal ragionamento esposto ai punti da 120 a 124 della presente sentenza, il potere del Consiglio di adottare le disposizioni oggetto dell’eccezione di illegittimità rientra nell’ambito del potere di stabilire, nel regolamento che istituisce i dazi antidumping o compensativi, gli «altri elementi» relativi alla riscossione di tali dazi, come previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento antidumping di base e dall’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento antisovvenzioni di base.

147

In considerazione di quanto precede, l’eccezione di illegittimità sollevata dalla Jiangsu Seraphim deve essere respinta in quanto infondata.

148

Poiché né il motivo unico del ricorso proposto dalla Jiangsu Seraphim dinanzi al Tribunale, né l’eccezione di illegittimità sollevata nell’ambito di tale ricorso sono fondati, detto ricorso deve essere respinto.

Sulle spese

149

Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura, quando l’impugnazione è accolta e la Corte statuisce definitivamente sulla controversia, la Corte statuisce sulle spese.

150

A termini dell’articolo 138, paragrafo 1, di tale regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

151

Poiché la Jiangsu Seraphim è rimasta soccombente, deve essere condannata alle spese sostenute sia in primo grado che nell’ambito dei procedimenti di impugnazione da parte delle istituzioni, conformemente alla domanda di queste ultime.

 

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

La sentenza del Tribunale dell’Unione europea dell’8 luglio 2020, Jiangsu Seraphim Solar System/Commissione (T‑110/17, EU:T:2020:315), è annullata.

 

2)

Il ricorso di annullamento proposto dinanzi al Tribunale dell’Unione europea dalla Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd è respinto.

 

3)

La Jiangsu Seraphim Solar System Co. Ltd è condannata alle spese sostenute in primo grado e nell’ambito dei procedimenti di impugnazione dalla Commissione europea e dal Consiglio dell’Unione europea.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.