SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

17 novembre 2022 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Proprietà intellettuale – Marchi – Direttiva (UE) 2015/2436 – Ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi – Articolo 10, paragrafo 2 – Diritti conferiti dal marchio – Articolo 15 – Esaurimento dei diritti conferiti dal marchio – Importazione parallela di medicinali – Riconfezionamento del prodotto recante il marchio – Nuovo imballaggio esterno – Opposizione del titolare del marchio – Compartimentazione artificiosa dei mercati tra Stati membri – Medicinali per uso umano – Direttiva 2001/83/CE – Articolo 47 bis – Caratteristiche di sicurezza – Sostituzione – Caratteristiche di sicurezza equivalenti – Regolamento delegato (UE) 2016/161 – Articolo 3, paragrafo 2 – Sistema di prevenzione delle manomissioni – Identificativo univoco»

Nella causa C‑204/20,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Landgericht Hamburg (Tribunale del Land di Amburgo, Germania), con decisione del 2 aprile 2020, pervenuta in cancelleria il 13 maggio 2020, nel procedimento

Bayer Intellectual Property GmbH

contro

kohlpharma GmbH,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da E. Regan, presidente di sezione, D. Gratsias, M. Ilešič (relatore), I. Jarukaitis e Z. Csehi, giudici,

avvocato generale: M. Szpunar

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per la Bayer Intellectual Property GmbH, da C. Giesen ed U. Reese, Rechtsanwälte;

per la kohlpharma GmbH, da W. Rehmann e D. Tietjen, Rechtsanwälte;

per il governo danese, da M. Jespersen, J. Nymann‑Lindegren e M. Søndahl Wolff, in qualità di agenti;

per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

per la Commissione europea, da G. Braun, É. Gippini Fournier e L. Haasbeek, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 13 gennaio 2022,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 2, e dell’articolo 15 della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1), nonché dell’articolo 47 bis della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU 2001, L 311, pag. 67), come modificata dalla direttiva 2012/26/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012 (GU 2012, L 299, pag. 1) (in prosieguo: la «direttiva 2001/83»).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che oppone la Bayer Intellectual Property GmbH (in prosieguo: la «Bayer»), titolare del marchio tedesco Androcur, alla kohlpharma GmbH, in merito alla commercializzazione in Germania, da parte di quest’ultima società, di medicinali del marchio Androcur importati parallelamente dai Paesi Bassi.

Contesto giuridico

Diritto dell’Unione

Direttiva 2015/2436

3

Il considerando 28 della direttiva 2015/2436 enuncia quanto segue:

«Discende dal principio della libera circolazione delle merci che il titolare di un marchio d’impresa non dovrebbe poterne vietare l’uso a terzi in relazione a prodotti che sono stati messi in circolazione nell’Unione [europea] con il marchio dal titolare stesso o con il suo consenso, salvo che il titolare abbia motivi legittimi per opporsi all’ulteriore commercializzazione dei prodotti».

4

L’articolo 10 di tale direttiva, intitolato «Diritti conferiti dal marchio d’impresa», recita:

«1.   La registrazione di un marchio d’impresa conferisce al titolare diritti esclusivi.

2.   Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio registrato, il titolare di tale marchio registrato ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno che:

a)

sia identico al marchio d’impresa ed è utilizzato per prodotti o servizi identici a quelli per cui [tale marchio] è stato registrato;

b)

sia identico o simile al marchio d’impresa ed è utilizzato in relazione a prodotti o servizi che sono identici o simili ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio d’impresa è registrato, se può dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, compreso il rischio che si proceda a un’associazione tra il segno e il marchio d’impresa;

c)

sia identico o simile al marchio d’impresa a prescindere dal fatto che sia utilizzato per prodotti o servizi che sono identici, simili o non simili a quelli per cui esso è stato registrato, se il marchio d’impresa gode di notorietà nello Stato membro e se l’uso immotivato del segno consente di trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio d’impresa o reca pregiudizio agli stessi.

3.   Si può in particolare vietare a norma del paragrafo 2:

a)

di apporre il segno sui prodotti o sul loro imballaggio;

b)

di offrire o immettere in commercio o stoccare a tali fini i prodotti ovvero offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c)

di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

(…)».

5

L’articolo 15 di detta direttiva, dal titolo «Esaurimento dei diritti conferiti dal marchio d’impresa», così dispone:

«1.   Un marchio d’impresa non dà diritto al titolare dello stesso di vietarne l’uso per prodotti immessi in commercio nell’Unione con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.   Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

Direttiva 2001/83

6

I considerando da 2 a 5 e 40 della direttiva 2001/83 enunciano quanto segue:

«(2)

Lo scopo principale delle norme relative alla produzione, alla distribuzione e all’uso di medicinali deve essere quello di assicurare la tutela della sanità pubblica.

(3)

Tuttavia questo scopo deve essere raggiunto avvalendosi di mezzi che non ostacolino lo sviluppo dell’industria farmaceutica e gli scambi dei medicinali nella Comunità.

(4)

Le disparità fra talune disposizioni nazionali e, in particolare, fra le disposizioni relative ai medicinali, eccettuate le sostanze o composizioni che sono derrate alimentari, alimenti destinati agli animali o prodotti d’igiene[,] hanno per effetto di ostacolare gli scambi dei medicinali nella Comunità, e esse hanno, pertanto, un’incidenza diretta sul funzionamento del mercato interno.

(5)

Occorre, di conseguenza, eliminare questi ostacoli e per conseguire tale obiettivo si rende necessario un ravvicinamento delle suddette disposizioni.

(…)

(40)

Le disposizioni relative alle informazioni da fornire ai pazienti devono garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, così da permettere un impiego corretto dei medicinali sulla base di informazioni complete e comprensibili».

7

L’articolo 40 di detta direttiva recita:

«1.   Gli Stati membri prendono tutte le opportune disposizioni affinché la fabbricazione dei medicinali sul loro territorio sia subordinata al possesso di un’autorizzazione. L’autorizzazione deve essere richiesta anche se i medicinali fabbricati sono destinati all’esportazione.

2.   L’autorizzazione di cui al paragrafo 1 è richiesta sia per la fabbricazione totale o parziale sia per le operazioni di divisione, di confezionamento o di presentazione.

(…)».

8

L’articolo 47 bis, paragrafo 1, della direttiva suddetta dispone quanto segue:

«Le caratteristiche di sicurezza di cui all’articolo 54, lettera o), non sono rimosse od occultate, completamente o parzialmente, salvo che siano soddisfatte le seguenti condizioni:

a)

il titolare dell’autorizzazione di fabbricazione verifica, prima di rimuovere od occultare completamente o parzialmente tali caratteristiche di sicurezza, che il medicinale in questione sia autentico e non sia stato manomesso;

b)

il titolare dell’autorizzazione di fabbricazione si conforma all’articolo 54, lettera o), sostituendo tali caratteristiche di sicurezza con caratteristiche di sicurezza equivalenti per quanto concerne la possibilità di verificare l’autenticità, l’identificazione e di fornire la prova della manomissione del medicinale. Tale sostituzione è effettuata senza aprire il confezionamento primario quale definito all’articolo 1, punto 23.

Le caratteristiche di sicurezza si considerano equivalenti se:

i)

sono conformi ai requisiti stabiliti negli atti delegati adottati ai sensi dell’articolo 54 bis, paragrafo 2; e

ii)

sono parimenti efficaci per consentire la verifica di autenticità e l’identificazione del medicinale, nonché per fornire la prova della manomissione del medicinale;

c)

la sostituzione delle caratteristiche di sicurezza è effettuata in conformità con le buone prassi di fabbricazione dei medicinali applicabili; e

d)

la sostituzione delle caratteristiche di sicurezza è soggetta alla supervisione dell’autorità competente».

9

L’articolo 54 della medesima direttiva così dispone:

«L’imballaggio esterno o, in mancanza dello stesso, il confezionamento primario dei medicinali reca le indicazioni seguenti:

(…)

o)

per i medicinali diversi dai radiofarmaci di cui all’articolo 54 bis, paragrafo 1, le caratteristiche di sicurezza che consentano ai distributori all’ingrosso e ai soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico di:

verificare l’autenticità del medicinale, e

identificare le singole confezioni,

nonché un dispositivo che consenta di verificare se l’imballaggio esterno sia stato manomesso».

10

L’articolo 54 bis della direttiva 2001/83 prevede quanto segue:

«1.   I medicinali soggetti a prescrizione presentano le caratteristiche di sicurezza di cui all’articolo 54, lettera o), a meno che non figurino nell’elenco compilato secondo la procedura di cui al paragrafo 2, lettera b), del presente articolo.

(…)

2.   La Commissione [europea] adotta, mediante atti delegati ai sensi dell’articolo 121 bis e alle condizioni stabilite agli articoli 121 ter e 121 quater, misure intese a completare l’articolo 54, lettera o), allo scopo di stabilire le norme dettagliate sulle caratteristiche di sicurezza di cui all’articolo 54, lettera o).

(…)».

11

L’articolo 59 della citata direttiva elenca le informazioni che devono figurare sul foglietto illustrativo che accompagna il medicinale.

12

L’articolo 63, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2001/83 è così formulato:

«Le indicazioni di cui agli articoli 54, 59 e 62 relative all’etichettatura sono redatte in una lingua ufficiale o in più lingue ufficiali dello Stato membro in cui il medicinale è immesso in commercio come specificato, ai fini della presente direttiva, da tale Stato membro».

Direttiva 2011/62/UE

13

I considerando 2, 3, 11, 12, 29 e 33 della direttiva 2011/62/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2011, che modifica la direttiva 2001/83 (GU 2011, L 174, pag. 74), enunciano quanto segue:

«(2)

Nell’Unione aumentano in misura allarmante i ritrovamenti di medicinali falsificati sotto i profili dell’identità, della storia o dell’origine. Tali prodotti generalmente contengono componenti di qualità inferiore alla norma o falsificati, o non contengono taluni componenti o contengono componenti, comprese le sostanze attive, in un dosaggio sbagliato, il che rappresenta una grave minaccia per la salute pubblica.

(3)

L’esperienza acquisita dimostra che tali medicinali falsificati arrivano ai pazienti non solo attraverso canali illegali, ma anche attraverso la catena di fornitura legale. Ciò rappresenta una particolare minaccia per la salute umana e può determinare una mancanza di fiducia del paziente anche nella catena di fornitura legale. È opportuno modificare la direttiva [2001/83] per far fronte a questa crescente minaccia.

(…)

(11)

Le caratteristiche di sicurezza dei medicinali dovrebbero essere armonizzate all’interno dell’Unione al fine di tenere conto dei nuovi profili di rischio, garantendo nel contempo il funzionamento del mercato interno dei medicinali. Tali caratteristiche di sicurezza dovrebbero consentire la verifica dell’autenticità e l’identificazione delle singole confezioni e fornire la prova di manomissioni. (…)

(12)

Ogni soggetto della catena di fornitura che confezioni medicinali deve essere titolare di un’autorizzazione di fabbricazione. Per garantire l’efficacia delle caratteristiche di sicurezza, al titolare dell’autorizzazione di fabbricazione che non sia anche il fabbricante iniziale del medicinale dovrebbe essere consentito rimuoverle, sostituirle od occultarle solo nel rispetto di rigorose condizioni. In particolare, le caratteristiche di sicurezza dovrebbero essere sostituite in caso di riconfezionamento con caratteristiche di sicurezza equivalenti. A tal fine, il significato del termine “equivalente” dovrebbe essere chiaramente specificato. Tali condizioni rigorose dovrebbero fornire tutela adeguata contro l’immissione di medicinali falsificati nella catena di fornitura, al fine di proteggere tanto i pazienti quanto gli interessi dei titolari delle autorizzazioni all’immissione in commercio e dei fabbricanti.

(…)

(29)

La presente direttiva fa salve le disposizioni relative ai diritti di proprietà intellettuale. È specificamente volta a evitare l’ingresso di medicinali falsificati nella catena di fornitura legale.

(…)

(33)

Poiché l’obiettivo della presente direttiva, vale a dire garantire il funzionamento del mercato interno dei medicinali assicurando nel contempo un elevato livello di tutela della salute pubblica dai medicinali falsificati, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri e può dunque, a motivo della portata dell’azione, essere conseguito meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 [TUE]. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo, in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo».

Regolamento delegato (UE) 2016/161

14

I considerando 1, 11, 12 e 15 del regolamento delegato (UE) 2016/161 della Commissione, del 2 ottobre 2015, che integra la direttiva 2001/83 (GU 2016, L 32, pag. 1), enunciano quanto segue:

«(1)

La direttiva [2001/83] prevede misure volte a impedire l’introduzione dei medicinali falsificati nella catena di fornitura legale mediante l’apposizione di caratteristiche di sicurezza, costituite da un identificativo univoco e da un sistema di prevenzione delle manomissioni, sull’imballaggio di determinati medicinali per uso umano al fine di consentirne l’identificazione e l’autenticazione.

(…)

(11)

Per agevolare la verifica dell’autenticità e la disattivazione di un identificativo univoco da parte dei grossisti e dei soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico, è necessario provvedere affinché la struttura e la qualità della stampa del codice a barre bidimensionale che codifica l’identificativo univoco consenta una lettura estremamente veloce e riduca al minimo gli errori di lettura.

(12)

È opportuno che i dati dell’identificativo univoco siano stampati sull’imballaggio in un formato leggibile dall’uomo, in modo da consentire la verifica dell’autenticità dell’identificativo univoco e la sua disattivazione qualora il codice a barre bidimensionale sia illeggibile.

(…)

(15)

La verifica delle due caratteristiche di sicurezza è necessaria per garantire l’autenticità di un medicinale in un sistema di verifica a monte e a valle. La verifica dell’autenticità dell’identificativo univoco mira a garantire che il medicinale proviene dal legittimo fabbricante. La verifica dell’integrità del sistema di prevenzione delle manomissioni indica se l’imballaggio è stato aperto o alterato da quando ha lasciato il fabbricante, garantendo in tal modo che il contenuto dell’imballaggio è autentico».

15

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 2, del regolamento delegato 2016/161:

«Si intende per:

a)

“identificativo univoco”: le caratteristiche di sicurezza che consentono la verifica dell’autenticità e l’identificazione di una singola confezione di un medicinale;

b)

“sistema di prevenzione delle manomissioni”: le caratteristiche di sicurezza che consentono di verificare se l’imballaggio di un medicinale è stato oggetto di manomissione;

(…)».

16

L’articolo 4 di tale regolamento delegato, intitolato «Composizione dell’identificativo univoco», così dispone:

«Il fabbricante appone sull’imballaggio di un medicinale un identificativo univoco conforme alle specifiche tecniche che seguono:

a)

l’identificativo univoco è una sequenza di caratteri numerici o alfanumerici unica per ciascuna confezione di medicinale;

(…)».

17

L’articolo 5 del suddetto regolamento delegato, intitolato «Supporto dell’identificativo univoco», dispone, ai paragrafi da 1 a 3 quanto segue:

«1.   I fabbricanti codificano l’identificativo univoco in un codice a barre bidimensionale.

2.   Il codice a barre è un codice Data Matrix a lettura ottica, con un sistema di rilevamento e correzione degli errori equivalente o superiore a quello del Data Matrix ECC200. (…)

3.   I fabbricanti stampano il codice a barre su una superficie dell’imballaggio liscia, uniforme e poco riflettente».

18

L’articolo 6 del medesimo regolamento delegato, intitolato «Qualità della stampa del codice a barre bidimensionale», enuncia:

«1.   I fabbricanti valutano la qualità della stampa del codice Data Matrix esaminando almeno i seguenti parametri:

(…)

2.   I fabbricanti identificano la qualità minima di stampa necessaria a garantire una leggibilità accurata del codice Data Matrix in tutta la catena di fornitura per almeno un anno dopo la data di scadenza della confezione o per cinque anni dalla data in cui la confezione è stata destinata alla vendita o alla distribuzione a norma dell’articolo 51, paragrafo 3, della direttiva [2001/83], qualora questo sia il periodo più lungo.

(…)».

19

L’articolo 10 di detto regolamento delegato, intitolato «Verifica delle caratteristiche di sicurezza», è così formulato:

«Quando procedono alla verifica delle caratteristiche di sicurezza i fabbricanti, i grossisti e i soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico esaminano i seguenti aspetti:

a)

l’autenticità dell’identificativo univoco;

b)

l’integrità del sistema di prevenzione delle manomissioni».

20

L’articolo 16, paragrafo 1, del citato regolamento delegato così dispone:

«Prima di rimuovere o occultare, completamente o parzialmente, le caratteristiche di sicurezza a norma dell’articolo 47 bis della direttiva [2001/83], il fabbricante verifica quanto segue:

a)

l’integrità del sistema di prevenzione delle manomissioni;

b)

l’autenticità dell’identificativo univoco e lo disattiva se è sostituito».

21

L’articolo 17 del suddetto regolamento delegato, intitolato «Identificativo univoco equivalente», così dispone:

«Quando appone un identificativo univoco equivalente al fine di conformarsi all’articolo 47 bis, paragrafo 1, lettera b), della direttiva [2001/83], il fabbricante verifica che la struttura e la composizione dell’identificativo univoco apposto sull’imballaggio sia conforme, per quanto riguarda il codice del prodotto e il numero di rimborso nazionale o un altro numero nazionale che identifica il medicinale, alle prescrizioni dello Stato membro in cui il medicinale è destinato ad essere immesso sul mercato, in modo da permettere la verifica dell’autenticità di tale identificativo univoco e la sua disattivazione».

22

L’articolo 24 del medesimo regolamento delegato, intitolato «Misure da prendere da parte dei grossisti in caso di manomissione o sospetta falsificazione», è redatto nei seguenti termini:

«I grossisti non forniscono né esportano un medicinale se hanno motivo di ritenere che l’imballaggio sia stato manomesso, o se la verifica delle caratteristiche di sicurezza del medicinale indica che il prodotto può non essere autentico. Ne informano immediatamente le autorità competenti».

23

L’articolo 25 del regolamento delegato 2016/161, intitolato «Obblighi dei soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico», dispone, ai paragrafi 1 e 3, quanto segue:

«1.   I soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico verificano le caratteristiche di sicurezza e disattivano l’identificativo univoco dei medicinali da fornire al pubblico che presentano le caratteristiche di sicurezza al momento della fornitura dei prodotti al pubblico.

(…)

3.   Al fine di verificare l’autenticità dell’identificativo univoco di un medicinale e di disattivarlo, i soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico si collegano al sistema di archivi di cui all’articolo 31 attraverso l’archivio nazionale o sovranazionale utilizzato sul territorio dello Stato membro nel quale sono autorizzati o legittimati».

24

L’articolo 30 del medesimo regolamento delegato, intitolato «Misure da prendere da parte dei soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico in caso di sospetta falsificazione», prescrive:

«Qualora i soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico abbiano motivo di ritenere che la confezione del medicinale è stata manomessa, o se la verifica delle caratteristiche di sicurezza del medicinale indica che il prodotto può non essere autentico, tali soggetti non forniscono il prodotto e informano immediatamente le autorità competenti».

25

L’articolo 31, paragrafo 1, del citato regolamento delegato ha il seguente tenore:

«Il sistema di archivi che contiene le informazioni sulle caratteristiche di sicurezza a norma dell’articolo 54 bis, paragrafo 2, lettera e), della direttiva [2001/83] è costituito e gestito da uno o più soggetti giuridici senza scopo di lucro istituiti nell’Unione dai fabbricanti e dai titolari di un’autorizzazione all’immissione in commercio dei medicinali che presentano le caratteristiche di sicurezza».

26

L’articolo 34, paragrafo 4, del medesimo regolamento delegato enuncia quanto segue:

«Quando riceve le informazioni di cui all’articolo 35, paragrafo 4, la piattaforma garantisce la connessione elettronica dei numeri di lotto prima e dopo le operazioni di riconfezionamento o rietichettatura con la serie di identificativi univoci disattivati e con l’insieme degli identificativi univoci equivalenti apposti».

27

L’articolo 35, paragrafo 4, del regolamento delegato 2016/161 recita:

«Per ciascun lotto di confezioni di medicinali riconfezionate o rietichettate sulle quali sono stati apposti identificativi univoci equivalenti al fine di conformarsi all’articolo 47 bis della direttiva [2001/83], il soggetto responsabile dell’immissione del medicinale sul mercato notifica alla piattaforma il numero di lotto o il numero di confezioni da riconfezionare o rietichettare e gli identificativi univoci su tali confezioni. Tale soggetto comunica inoltre alla piattaforma il numero del lotto risultante dalle operazioni di riconfezionamento o rietichettatura e gli identificativi univoci equivalenti contenuti in tale lotto».

28

In virtù del suo articolo 50, secondo comma, il regolamento delegato 2016/161 è divenuto applicabile a partire dal 9 febbraio 2019.

Diritto tedesco

29

L’articolo 10, paragrafo 1c, del Gesetz über den Verkehr mit Arzneimitteln (legge sul commercio dei medicinali), del 24 agosto 1976 (BGBl. 1976 I, pag. 2445), nella versione pubblicata il 12 dicembre 2005 (BGBl. 2005 I, pag. 3394), come modificata dalla legge del 19 ottobre 2012 (BGBl. 2012 I, p. 2192), recita:

«Nel caso dei medicinali ad uso umano, sugli imballaggi esterni devono essere apposte delle caratteristiche di sicurezza nonché un sistema per la prevenzione delle manomissioni illecite di tali imballaggi, qualora ciò sia prescritto dall’articolo 54 bis della [direttiva 2001/83] ovvero sia stabilito ai sensi dell’articolo 54 bis della [direttiva 2001/83]».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

30

La Bayer è titolare del marchio tedesco Androcur, che essa utilizza per dei medicinali.

31

La kohlpharma distribuisce in Germania medicinali importati parallelamente a partire da altri Stati membri dell’Unione europea.

32

In una lettera del 28 gennaio 2019, la kohlpharma ha comunicato alla Bayer la propria intenzione di importare dai Paesi Bassi il medicinale «Androcur 50 mg» nel formato di scatole da 50 compresse rivestite, al fine di commercializzarlo in Germania in scatole da 50 e 100 compresse rivestite. Successivamente, la kohlpharma ha comunicato alla Bayer che, ai fini di tale importazione, il sistema di prevenzione delle manomissioni apposto sull’imballaggio esterno di tale medicinale avrebbe dovuto essere rotto e che, di conseguenza, era necessario sostituire tale imballaggio.

33

La Bayer si è opposta alla prevista sostituzione facendo valere che il ricorso ad un nuovo imballaggio sarebbe andato oltre quanto è necessario affinché il suddetto medicinale possa essere commercializzato in Germania.

34

Essa sostiene che risulta dalla direttiva 2011/62 e dal regolamento delegato 2016/161 che il ricorso ad una nuova etichettatura o ad un nuovo imballaggio costituiscono soluzioni sostitutive a disposizione dell’importatore parallelo, le quali offrono garanzie equivalenti in termini di sicurezza. Orbene, nel caso di specie, la necessità di un nuovo imballaggio non sarebbe dimostrata, dato che una nuova etichettatura sarebbe oggettivamente sufficiente per garantire l’accesso al mercato del prodotto in questione.

35

La kohlpharma sostiene che una rietichettatura della confezione originaria sarebbe inappropriata a causa delle tracce di manomissione che risulterebbero dalla rimozione del sistema di prevenzione delle manomissioni originario e che resterebbero visibili dopo l’apertura del confezionamento d’origine rietichettato.

36

Infatti, dal momento che i grossisti e i farmacisti sono ora tenuti ad individuare le eventuali manomissioni illecite degli imballaggi dei medicinali, soltanto un nuovo imballaggio esterno permetterebbe di evitare che detti soggetti rifiutino di fornire il medicinale in questione. Sebbene una nuova etichettatura sia del 25% meno cara rispetto ad un riconfezionamento in un nuovo imballaggio, la kohlpharma ritiene che quest’ultimo debba essere privilegiato in quanto sarebbe più gradito dai professionisti del settore sanitario e dai consumatori. A suo avviso, l’utilizzazione di imballaggi originari presentanti tracce di deterioramento riduce considerevolmente la possibilità di accedere al mercato tedesco delle farmacie e dei grossisti.

37

Il giudice del rinvio si chiede, in primo luogo, se risulti dalle pertinenti disposizioni della direttiva 2011/62 e del regolamento delegato 2016/161 che un riconfezionamento in nuovo imballaggio sarebbe ormai preferibile rispetto ad una rietichettatura di un medicinale.

38

Detto giudice si chiede, in secondo luogo, se la scelta tra una rietichettatura ed un nuovo imballaggio spetti all’importatore parallelo.

39

In terzo luogo, il giudice del rinvio si interroga in merito alla portata dell’argomento secondo cui i professionisti e gli utenti finali potrebbero essere dissuasi o resi insicuri dalla presenza di tracce di apertura sull’imballaggio di un medicinale.

40

In quarto luogo, detto giudice si interroga in merito alla prassi delle autorità nazionali competenti di alcuni Stati membri, tra i quali figura il Regno di Svezia, consistente nell’interpretare le nuove norme relative alla tutela contro le contraffazioni nel senso che, in caso di importazioni parallele di medicinali, occorre, in via generale, sostituire l’imballaggio dopo la rottura del sistema di prevenzione delle manomissioni apposto sull’imballaggio originale.

41

È alla luce di tali circostanze che il Landgericht Hamburg (Tribunale del Land di Amburgo, Germania) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 47 bis della [direttiva 2001/83] debba essere interpretato nel senso che, con riguardo a prodotti oggetto di importazioni parallele, può presumersi l’equivalenza delle misure in caso di rimozione e di riapposizione delle caratteristiche di sicurezza di cui all’articolo 54, lettera o), della [direttiva 2001/83], che l’importatore parallelo realizza o mediante “relabelling” [rietichettatura] (uso di etichette adesive sull’imballaggio secondario originale), o mediante “reboxing” [riconfezionamento in un nuovo imballaggio] (fabbricazione di un nuovo imballaggio secondario del medicinale), qualora entrambe le misure soddisfino per il resto tutti i requisiti prescritti dalla [direttiva 2011/62] e dal [regolamento delegato 2016/161] e siano parimenti efficaci per consentire la verifica di autenticità e l’identificazione dei medicinali, nonché per fornire la prova di una manomissione dei medicinali.

2)

In caso di risposta affermativa alla prima questione: se, in considerazione delle nuove norme sulla tutela contro la falsificazione, il titolare di un marchio possa opporsi al riconfezionamento del prodotto in un nuovo imballaggio esterno (“reboxing”) da parte di un importatore parallelo, qualora quest’ultimo abbia parimenti la possibilità di realizzare una confezione commerciabile nello Stato membro di importazione con la semplice apposizione di nuove etichette adesive sull’imballaggio secondario originale (“relabelling”).

3)

In caso di risposta affermativa alla seconda questione: se sia irrilevante il fatto che, nel caso di “relabelling”, il pubblico interessato possa vedere che una caratteristica di sicurezza del fornitore originario è stata danneggiata, fintantoché sia garantito che di ciò è responsabile l’importatore parallelo e che quest’ultimo ha apposto una nuova caratteristica di sicurezza sull’imballaggio secondario originale. Se faccia differenza, a tal riguardo, la circostanza che le tracce di apertura siano visibili solo quando l’imballaggio secondario del medicinale viene aperto.

4)

In caso di risposta affermativa alla seconda e/o alla terza questione: se la necessità oggettiva di realizzare un nuovo imballaggio secondario mediante “reboxing”, in conformità delle cinque condizioni di esaurimento del marchio ai fini del reimballaggio (v. sentenze dell’11 luglio 1996, Bristol‑Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punto 79, nonché del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a., C‑348/04, EU:C:2007:249, punto 21), debba nondimeno essere riconosciuta nel caso in cui le autorità nazionali dichiarino, nelle loro attuali linee guida per l’attuazione delle disposizioni della direttiva sui medicinali falsificati o in altre analoghe circolari esplicative, che, di norma, la risigillatura di confezioni aperte non è consentita, o quanto meno è ammessa solo in via eccezionale e a condizioni rigorose».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

42

Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 47 bis della direttiva 2001/83 debba essere interpretato nel senso che, purché sia soddisfatta la totalità delle condizioni contemplate da tale articolo, il riconfezionamento in un nuovo imballaggio e la rietichettatura di medicinali importati parallelamente costituiscono forme di riconfezionamento equivalenti per quanto riguarda l’efficacia delle caratteristiche di sicurezza previste dall’articolo 54, lettera o), di detta direttiva, senza che una di queste forme prevalga sull’altra.

43

In via preliminare, occorre ricordare che, come risulta dai considerando 2 e 3 della direttiva 2011/62, letti in combinato disposto con il considerando 1 del regolamento delegato 2016/161, il legislatore dell’Unione ha adottato tale direttiva al fine di far fronte alla crescente minaccia che i medicinali contraffatti costituiscono per la salute umana, inserendo, nella direttiva 2001/83, misure destinate ad impedire l’introduzione di medicinali falsificati nella catena di approvvigionamento legale.

44

La direttiva 2011/62 ha così inserito, all’articolo 54 della direttiva 2001/83, una disposizione alla lettera o), in virtù della quale l’imballaggio esterno o, in mancanza di questo, il confezionamento primario dei medicinali diversi dai radiofarmaci contemplati dall’articolo 54 bis, paragrafo 1, di tale direttiva devono essere muniti di caratteristiche di sicurezza che consentano ai grossisti e ai soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico di verificare l’autenticità del medicinale in questione, di identificare le singole confezioni di medicinali, nonché di verificare se l’imballaggio esterno del medicinale sia stato manomesso.

45

In applicazione di detto articolo 54 bis, paragrafo 2, il regolamento delegato 2016/161 stabilisce norme dettagliate riguardanti tali caratteristiche di sicurezza. Il considerando 1 di tale regolamento delegato identifica due tipi di caratteristiche di sicurezza, vale a dire, da un lato, un identificativo univoco e, dall’altro, un sistema di prevenzione delle manomissioni. Risulta dall’articolo 3, paragrafo 2, lettere a) e b), del suddetto regolamento delegato, letto alla luce del considerando 15 di quest’ultimo, che la verifica dell’autenticità dell’identificativo univoco mira a garantire che il medicinale provenga dal legittimo fabbricante, mentre la verifica dell’integrità del sistema di prevenzione delle manomissioni permette di stabilire se l’imballaggio sia stato aperto o abbia subito un’alterazione, in modo da garantire l’autenticità del suo contenuto, tenendo presente che la verifica di queste due caratteristiche di sicurezza è necessaria per garantire l’autenticità di un medicinale da un capo all’altro della catena di approvvigionamento.

46

Più in particolare, l’articolo 25, paragrafo 1, del regolamento delegato 2016/161 impone ai soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico di verificare tali caratteristiche di sicurezza. Inoltre, gli articoli 24 e 30 di detto regolamento delegato vietano ai grossisti e ai soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico di fornire un medicinale qualora abbiano motivo di ritenere che la confezione del medicinale sia stata manomessa.

47

Peraltro, l’articolo 47 bis, paragrafo 1, della direttiva 2001/83 prevede che le suddette caratteristiche di sicurezza possano essere rimosse o ricoperte soltanto nel rispetto di condizioni rigorose, destinate a garantire l’autenticità del medicinale e l’assenza di qualsiasi manomissione illecita.

48

In particolare, risulta da detto articolo 47 bis, paragrafo 1, lettera b), che, tra tali condizioni, rientra quella secondo cui le caratteristiche di sicurezza in questione devono essere sostituite con caratteristiche di sicurezza «equivalenti». In virtù di tale disposizione, per poter essere considerate equivalenti le caratteristiche di sicurezza devono, segnatamente, permettere di verificare l’autenticità dei medicinali in questione e di identificarli, con la medesima efficacia, nonché di fornire la prova di una loro manomissione illecita.

49

Discende così dalla disposizione sopra citata, letta alla luce del considerando 12 della direttiva 2011/62, che il legislatore dell’Unione, il quale ha espressamente previsto la possibilità di procedere alla «sostituzione» delle caratteristiche di sicurezza contemplate al punto 44 della presente sentenza, non ha inteso impedire la riutilizzazione degli imballaggi esterni d’origine, quand’anche questi ultimi siano muniti di tali caratteristiche di sicurezza. Questa interpretazione è corroborata dall’articolo 34, paragrafo 4, e dall’articolo 35, paragrafo 4, del regolamento delegato 2016/161, in virtù dei quali un identificativo univoco equivalente può essere apposto tanto su una scatola riconfezionata, quanto su una scatola rietichettata.

50

Ciò premesso, risulta dall’articolo 47 bis, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2001/83 che una tale riutilizzazione è possibile soltanto a condizione che le caratteristiche di sicurezza originarie possano essere sostituite con caratteristiche che permettano, con uguale efficacia, di verificare l’autenticità dei medicinali in questione, di identificarli e di accertare l’esistenza di una manomissione illecita di questi ultimi, conformemente alla finalità della direttiva 2011/62, che, come risulta dal suo considerando 29, consiste nel prevenire l’introduzione di medicinali falsificati nella catena di approvvigionamento legale.

51

Date tali circostanze, e mancando, nella direttiva 2001/83 e nel regolamento delegato 2016/161, una disposizione che stabilisca che una forma di riconfezionamento debba essere privilegiata rispetto all’altra, occorre considerare che, purché siano soddisfatte tutte le condizioni previste dall’articolo 47 bis di detta direttiva, il riconfezionamento in un nuovo imballaggio e la rietichettatura di medicinali importati parallelamente costituiscono forme di riconfezionamento equivalenti per quanto riguarda l’efficacia delle caratteristiche di sicurezza.

52

Alla luce dell’insieme delle considerazioni sopra esposte, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 47 bis della direttiva 2001/83 deve essere interpretato nel senso che, purché sia soddisfatta la totalità delle condizioni contemplate da tale articolo, il riconfezionamento in un nuovo imballaggio e la rietichettatura di medicinali importati parallelamente costituiscono forme di riconfezionamento equivalenti per quanto riguarda l’efficacia delle caratteristiche di sicurezza previste dall’articolo 54, lettera o), di detta direttiva, senza che una di queste forme prevalga sull’altra.

Sulla seconda questione

53

Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 15 della direttiva 2015/2436 debbano essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio è legittimato ad opporsi alla commercializzazione, ad opera di un importatore parallelo, di un medicinale riconfezionato in un nuovo imballaggio esterno sul quale è apposto tale marchio, nel caso in cui una rietichettatura del medicinale in questione, in osservanza delle prescrizioni dettate dall’articolo 47 bis della direttiva 2001/83, permetterebbe parimenti di commercializzare il medicinale in questione nello Stato membro di importazione.

54

A norma dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2015/2436, la registrazione di un marchio conferisce al suo titolare un diritto esclusivo che, in base all’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della medesima direttiva, legittima detto titolare a vietare ai terzi di usare nel commercio, senza il suo consenso, un segno identico a tale marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali quest’ultimo è stato registrato.

55

Questo diritto esclusivo del titolare del marchio è stato concesso al fine di permettere a quest’ultimo di proteggere i propri interessi specifici in quanto titolare del marchio, ossia al fine di garantire che tale marchio possa adempiere le proprie funzioni. Pertanto, l’esercizio del diritto suddetto deve essere riservato ai casi in cui l’uso del segno da parte di un terzo pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio. Tra tali funzioni occorre annoverare non solo la funzione essenziale del marchio, che è di garantire ai consumatori la provenienza del prodotto o del servizio, ma anche le altre funzioni del marchio, come, segnatamente, quella consistente nel garantire la qualità del prodotto o del servizio in questione, o quelle di comunicazione, di investimento o di pubblicità (v., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Mitsubishi Shoji Kaisha e Mitsubishi Caterpillar Forklift Europe, C‑129/17, EU:C:2018:594, punto 34 nonché la giurisprudenza ivi citata).

56

Orbene, risulta da una consolidata giurisprudenza che un riconfezionamento del prodotto provvisto del marchio effettuato da un terzo senza l’autorizzazione del titolare di tale marchio è suscettibile di creare rischi reali per la garanzia di provenienza di tale prodotto (v., in tal senso, sentenza del 17 maggio 2018, Junek Europ‑Vertrieb, C‑642/16, EU:C:2018:322, punto 23 e la giurisprudenza ivi citata), con la precisazione che la nozione di «riconfezionamento», ai sensi di tale giurisprudenza, include la rietichettatura (v., in tal senso, sentenza del 17 maggio 2018, Junek Europ‑Vertrieb, C‑642/16, EU:C:2018:322, punto 30 e la giurisprudenza ivi citata).

57

Tuttavia, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2015/2436, il diritto conferito dal marchio non permette al suo titolare di vietare l’uso di quest’ultimo per prodotti che siano stati immessi in commercio nell’Unione con tale marchio dal titolare o con il suo consenso. Tale disposizione mira a conciliare gli interessi fondamentali della tutela dei diritti di marchio, da un lato, e quelli della libera circolazione delle merci nel mercato interno, dall’altro [v., per analogia, in relazione all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2008, L 299, pag. 25), sentenza del 20 dicembre 2017, Schweppes, C‑291/16, EU:C:2017:990, punto 35].

58

Più in particolare, discende dall’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2015/2436 che l’opposizione del titolare del marchio al riconfezionamento, costituendo una deroga alla libera circolazione delle merci, non può essere ammessa nel caso in cui l’esercizio di tale diritto da parte del titolare costituisca una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri, ai sensi dell’articolo 36, seconda frase, TFUE (v., per analogia, sentenza del 17 maggio 2018, Junek Europ‑Vertrieb, C‑642/16, EU:C:2018:322, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata). Infatti, la finalità della normativa sui marchi non è di permettere ai titolari di compartimentare i mercati nazionali e di favorire così il mantenimento delle differenze di prezzo che possono esistere tra gli Stati membri (sentenza dell’11 luglio 1996, Bristol‑Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punto 46).

59

Costituisce una tale restrizione dissimulata, ai sensi dell’articolo 36, seconda frase, TFUE, l’esercizio, da parte del titolare di un marchio, del proprio diritto di opporsi al riconfezionamento, qualora tale esercizio contribuisca a compartimentare artificiosamente i mercati tra gli Stati membri e qualora, inoltre, il riconfezionamento abbia luogo in modo tale che i legittimi interessi del titolare siano rispettati, il che implica segnatamente che il riconfezionamento non alteri lo stato originario del medicinale o non sia idoneo a nuocere alla reputazione del marchio (v., in tal senso, sentenze del 10 novembre 2016, Ferring Lægemidler, C‑297/15, EU:C:2016:857, punto 16 e la giurisprudenza ivi citata, nonché del 17 maggio 2018, Junek Europ‑Vertrieb, C‑642/16, EU:C:2018:322, punto 26 e la giurisprudenza ivi citata).

60

Tuttavia, l’impossibilità per il titolare di avvalersi del proprio diritto di marchio al fine di opporsi alla commercializzazione, con il suo marchio, dei prodotti riconfezionati da un importatore equivale a riconoscere a quest’ultimo una certa facoltà che, in circostanze normali, è riservata al titolare stesso. Di conseguenza, nell’interesse del titolare in quanto proprietario del marchio e per proteggerlo contro qualsiasi abuso, occorre ammettere tale facoltà soltanto a condizione che l’importatore in questione rispetti certi altri requisiti (v., in tal senso, sentenza del 28 luglio 2011, Orifarm e a., C‑400/09 e C‑207/10, EU:C:2011:519, punto 26 nonché la giurisprudenza ivi citata).

61

Più specificamente, in virtù di una consolidata giurisprudenza, il titolare di un marchio può legittimamente opporsi alla successiva commercializzazione in uno Stato membro di un prodotto farmaceutico recante il suo marchio e importato da un altro Stato membro, qualora l’importatore di tale prodotto lo abbia riconfezionato e vi abbia riapposto il marchio suddetto, a meno che:

sia provato che l’esercizio del diritto di marchio da parte del suo titolare per opporsi alla commercializzazione del prodotto riconfezionato con tale marchio contribuirebbe a compartimentare artificiosamente i mercati tra Stati membri;

sia provato che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto contenuto nella confezione;

siano indicati chiaramente sulla confezione l’autore del riconfezionamento del prodotto e il nome del fabbricante di quest’ultimo;

la presentazione del prodotto riconfezionato non sia tale da poter nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare, e

l’importatore, prima di mettere in vendita il prodotto riconfezionato, ne dia avviso al titolare del marchio e gli fornisca, a sua richiesta, un campione del prodotto riconfezionato (v., in tal senso, sentenza del 17 maggio 2018, Junek Europ‑Vertrieb, C‑642/16, EU:C:2018:322, punto 28 e la giurisprudenza ivi citata).

62

Per quanto riguarda, in particolare, la prima delle condizioni elencate al punto precedente della presente sentenza, la Corte ha statuito che contribuisce ad una compartimentazione artificiosa dei mercati tra gli Stati membri l’opposizione del titolare del marchio al riconfezionamento di medicinali qualora quest’ultimo sia necessario perché il prodotto importato parallelamente possa essere commercializzato nello Stato membro di importazione (sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a., C‑348/04, EU:C:2007:249, punto 18).

63

Tale requisito di necessità è soddisfatto, segnatamente, quando delle normative o delle prassi esistenti nello Stato membro di importazione impediscano la commercializzazione di tale prodotto sul mercato di tale Stato membro nello stesso confezionamento in cui questo prodotto viene commercializzato nello Stato membro di esportazione (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a., C‑348/04, EU:C:2007:249, punto 36).

64

Per contro, la condizione suddetta non è soddisfatta qualora il riconfezionamento del prodotto si spieghi esclusivamente con la ricerca, da parte dell’importatore parallelo, di un vantaggio commerciale (sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a., C‑348/04, EU:C:2007:249, punto 37).

65

Secondo la giurisprudenza della Corte, il requisito di necessità in questione concerne tanto il fatto stesso di procedere al riconfezionamento del prodotto, quanto la scelta tra un nuovo imballaggio ed una rietichettatura (v., in tal senso, sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a., C‑348/04, EU:C:2007:249, punto 38). Infatti, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 118 delle sue conclusioni, poiché il riconoscimento del diritto di un commerciante parallelo di commercializzare in un nuovo imballaggio un prodotto munito di un marchio senza l’autorizzazione del titolare di quest’ultimo equivale a riconoscere a detto commerciante una facoltà normalmente riservata a tale titolare, ossia quella di apporre tale marchio su questo nuovo imballaggio, un siffatto riconfezionamento in un nuovo imballaggio costituisce un’ingerenza nelle prerogative di detto titolare più profonda di quella derivante dalla commercializzazione del prodotto nel suo imballaggio originario rietichettato.

66

La Corte ha così statuito che il titolare di un marchio può opporsi al riconfezionamento mediante sostituzione dell’imballaggio qualora l’importatore parallelo sia in grado di riutilizzare l’imballaggio originario ai fini di una commercializzazione nello Stato membro di importazione apponendo delle etichette su tale imballaggio (sentenza del 23 aprile 2002, Boehringer Ingelheim e a., C‑143/00, EU:C:2002:246, punto 49 nonché la giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, il titolare di un marchio è legittimato ad opporsi a che l’importatore parallelo proceda a tale riconfezionamento soltanto a condizione che il medicinale rietichettato possa effettivamente accedere al mercato in questione (v., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2002, Boehringer Ingelheim e a., C‑143/00, EU:C:2002:246, punto 50).

67

Conformemente alla giurisprudenza della Corte, il requisito di necessità del riconfezionamento deve essere valutato tenendo conto delle circostanze esistenti al momento della commercializzazione nello Stato membro di importazione che rendono il riconfezionamento oggettivamente necessario affinché il medicinale in questione possa essere commercializzato in tale Stato membro dall’importatore parallelo (sentenza del 10 novembre 2016, Ferring Lægemidler, C‑297/15, EU:C:2016:857, punto 20 e la giurisprudenza ivi citata).

68

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 15 della direttiva 2015/2436 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio è legittimato ad opporsi alla commercializzazione, ad opera di un importatore parallelo, di un medicinale riconfezionato in un nuovo imballaggio esterno sul quale è apposto tale marchio, nel caso in cui sia oggettivamente possibile procedere alla rietichettatura del medicinale in questione rispettando le prescrizioni dettate dall’articolo 47 bis della direttiva 2001/83 e il medicinale così rietichettato possa effettivamente accedere al mercato dello Stato membro di importazione.

Sulla terza questione

69

Con la sua terza questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 15 della direttiva 2015/2436 debbano essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio è legittimato ad opporsi alla commercializzazione, ad opera di un importatore parallelo, di un medicinale riconfezionato in un nuovo imballaggio esterno sul quale è apposto tale marchio, qualora la sostituzione del sistema di prevenzione delle manomissioni sull’imballaggio esterno originale effettuata nell’ambito di una rietichettatura di tale medicinale lasci tracce visibili di apertura su quest’ultimo imballaggio e non vi sia alcun dubbio che queste tracce di apertura sono imputabili al riconfezionamento di tale medicinale così effettuato dal suddetto importatore parallelo.

70

Come risulta dai punti da 61 a 63 della presente sentenza, il titolare di un marchio non può opporsi alla commercializzazione, ad opera di un importatore parallelo, di un medicinale riconfezionato in un nuovo imballaggio esterno sul quale è apposto tale marchio, nel caso in cui tale riconfezionamento sia necessario affinché il prodotto importato parallelamente possa essere commercializzato nello Stato membro di importazione.

71

Infatti, come risulta dal punto 58 della presente sentenza, l’esercizio, da parte del titolare di un marchio, del diritto conferito da quest’ultimo per opporsi a tale riconfezionamento costituirebbe una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri, ai sensi dell’articolo 36, seconda frase, TFUE, in quanto esso contribuirebbe, in contrasto con la finalità della normativa sui marchi, a compartimentare artificiosamente i mercati nazionali in seno all’Unione e a favorire così il mantenimento delle differenze di prezzo che possono esistere tra gli Stati membri.

72

In primo luogo, la situazione di cui sopra si verificherebbe, in particolare, qualora il sistema di prevenzione delle manomissioni di cui è provvisto l’imballaggio esterno del medicinale in questione non potesse oggettivamente essere sostituito con un sistema equivalente, ai sensi dell’articolo 47 bis, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2001/83, e fosse in tal modo ostacolata la commercializzazione, nello Stato membro di importazione, di tale medicinale nel suo imballaggio originario rietichettato.

73

Per quanto riguarda, a questo proposito, la presenza di tracce di apertura dell’imballaggio esterno di un medicinale causate dalla sostituzione di un sistema di prevenzione delle manomissioni, occorre ricordare che, a norma dell’articolo 47 bis, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2001/83, il titolare di un’autorizzazione di fabbricazione – autorizzazione che, come risulta dall’articolo 40, paragrafo 2, di detta direttiva, ogni soggetto della catena di approvvigionamento che confeziona medicinali deve possedere – è tenuto a verificare, prima di rimuovere o di ricoprire parzialmente o totalmente le caratteristiche di sicurezza contemplate al punto 44 della presente sentenza, che il medicinale in questione sia autentico e non abbia subito alcuna manomissione illecita.

74

Così, ai sensi dell’articolo 47 bis, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2001/83, un sistema di prevenzione delle manomissioni sostitutivo deve permettere di verificare, con la stessa efficacia di un sistema di prevenzione delle manomissioni originario, che l’imballaggio esterno del medicinale non sia stato aperto illecitamente tra il momento del riconfezionamento di tale medicinale e quello in cui quest’ultimo viene fornito al pubblico.

75

Di conseguenza, la presenza di tracce di apertura dell’imballaggio esterno del medicinale che siano chiaramente imputabili al riconfezionamento di quest’ultimo non può far venir meno il carattere equivalente del sistema di prevenzione delle manomissioni sostitutivo, a condizione che tutti i soggetti che intervengono nella catena di approvvigionamento e il consumatore finale possano stabilire con certezza che tali tracce non sono imputabili ad una manomissione illecita di tale medicinale.

76

A questo proposito, occorre rilevare che, come risulta dalla giurisprudenza ricordata al punto 61 della presente sentenza, l’autore del riconfezionamento del prodotto in questione deve chiaramente figurare sull’imballaggio di quest’ultimo, in modo tale che gli operatori che intervengono successivamente nella catena di approvvigionamento possano imputare l’origine delle tracce di apertura di tale imballaggio al riconfezionamento di tale prodotto effettuato da un importatore parallelo.

77

Del resto, la presenza di tracce del genere è inevitabile, dato che la funzione del sistema di prevenzione delle manomissioni è per l’appunto quella di mettere in evidenza qualsiasi apertura dell’imballaggio sul quale esso è apposto. Date tali circostanze, un’interpretazione diversa da quella adottata al punto 75 della presente sentenza avrebbe come conseguenza di rendere impossibile, in pratica, la rietichettatura di un medicinale, privando così di effetto utile le disposizioni della direttiva 2001/83 e del regolamento delegato 2016/161 che, come si è constatato al punto 49 della presente sentenza, lo permettono.

78

Pertanto, la presenza, sull’imballaggio esterno di un medicinale, di eventuali tracce di apertura non può, di per sé, essere sufficiente per ritenere che il sistema di prevenzione delle manomissioni sostitutivo non sia equivalente, ai sensi dell’articolo 47 bis, paragrafo 1, lettera b), secondo comma, della direttiva 2001/83, qualora per i grossisti e i soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico non vi sia alcun dubbio che tali tracce di apertura sono imputabili al riconfezionamento di questo medicinale da parte di un importatore parallelo.

79

Pertanto, alla luce delle considerazioni esposte ai punti da 70 a 72 della presente sentenza, occorre considerare che, nelle circostanze descritte al punto precedente, la presenza di simili tracce non osta a che il titolare di un marchio si opponga al riconfezionamento in un nuovo imballaggio di un medicinale provvisto di tale marchio.

80

Tale interpretazione è corroborata dalla funzione essenziale del marchio, che è di garantire al consumatore o all’utente finale l’identità di origine del prodotto provvisto di un marchio, permettendo loro di distinguerlo senza possibilità di confusione da quelli aventi una diversa provenienza. Tale garanzia di provenienza implica che il consumatore o l’utente finale possa essere certo del fatto che un prodotto contraddistinto da un marchio non è stato oggetto, in una precedente fase della sua commercializzazione, di un intervento operato da un terzo senza l’autorizzazione del titolare del marchio, che ha alterato il prodotto nel suo stato originario (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 1996, Bristol‑Myers Squibb e a., C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282, punto 47).

81

Orbene, qualora non vi sia alcun dubbio, nella mente dei consumatori, che le tracce di apertura dell’imballaggio esterno di un medicinale sono imputabili al riconfezionamento di quest’ultimo ad opera di un importatore parallelo, la garanzia di provenienza di tale medicinale è assicurata.

82

In secondo luogo, la Corte ha statuito che costituisce del pari un ostacolo all’accesso effettivo al mercato di uno Stato membro, tale da rendere necessario un riconfezionamento mediante sostituzione dell’imballaggio, l’esistenza, su tale mercato o su una parte rilevante di esso, di una resistenza da parte di una percentuale significativa di consumatori nei confronti dei medicinali rietichettati talmente forte che l’accesso effettivo a tale mercato debba ritenersi ostacolato (v., in tal senso, sentenza del 23 aprile 2002, Boehringer Ingelheim e a., C‑143/00, EU:C:2002:246, punto 52).

83

Allo stesso modo, se una percentuale significativa dei consumatori dello Stato membro di importazione è contraria all’idea di acquistare un medicinale il cui imballaggio esterno presenti tracce visibili di apertura causate dalla sostituzione del sistema di prevenzione delle manomissioni esistente con un dispositivo equivalente, effettuata in conformità dell’articolo 47 bis, paragrafo 1, della direttiva 2001/83, l’accesso effettivo di tale medicinale al mercato di questo Stato membro deve ritenersi ostacolato e, pertanto, il suo riconfezionamento in un nuovo imballaggio esterno deve essere considerato necessario ai fini della sua commercializzazione in detto Stato membro.

84

Nelle circostanze descritte al punto precedente, l’opposizione del titolare del marchio a tale riconfezionamento non può essere ammessa in quanto contribuirebbe ad una compartimentazione artificiosa dei mercati tra gli Stati membri.

85

Tuttavia, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 139 delle sue conclusioni, un importatore parallelo non può fondarsi su una presunzione generale di resistenza dei consumatori nei confronti dei medicinali rietichettati il cui sistema di prevenzione delle manomissioni sia stato sostituito. Infatti, risulta dalla giurisprudenza della Corte che l’eventuale esistenza di una tale resistenza nonché la sua entità devono essere valutate in concreto, tenendo conto, segnatamente, delle circostanze esistenti nello Stato membro di importazione al momento della commercializzazione del medicinale in questione (v., in tal senso, sentenza del 10 novembre 2016, Ferring Lægemidler, C‑297/15, EU:C:2016:857, punto 20 e la giurisprudenza ivi citata), nonché del fatto che le tracce di apertura siano visibili o, al contrario, siano individuabili soltanto all’esito di una verifica approfondita da parte di grossisti o di soggetti autorizzati o legittimati a fornire medicinali al pubblico in esecuzione dell’obbligo di verifica che incombe loro in forza degli articoli 10, 24 e 30 del regolamento delegato 2016/161.

86

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, occorre rispondere alla terza questione dichiarando che l’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 15 della direttiva 2015/2436 devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio è legittimato ad opporsi alla commercializzazione, ad opera di un importatore parallelo, di un medicinale riconfezionato in un nuovo imballaggio esterno sul quale è apposto tale marchio, qualora le tracce visibili di apertura dell’imballaggio esterno originario che risultassero, eventualmente, da una rietichettatura di tale medicinale siano chiaramente imputabili al riconfezionamento così effettuato dal suddetto importatore parallelo, a meno che tali tracce non provochino, sul mercato dello Stato membro di importazione o su una parte rilevante di esso, una resistenza di una percentuale significativa di consumatori nei confronti dei medicinali così riconfezionati talmente forte da costituire un ostacolo all’accesso effettivo a tale mercato, circostanza questa che deve essere accertata caso per caso.

Sulla quarta questione

87

Con la sua quarta questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 15 della direttiva 2015/2436 debbano essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio è legittimato ad opporsi alla commercializzazione, ad opera di un importatore parallelo, di un medicinale riconfezionato in un nuovo imballaggio esterno sul quale è apposto tale marchio, qualora delle linee guida nazionali che attuano le disposizioni della direttiva 2001/83 relative alle caratteristiche di sicurezza stabiliscano che una riutilizzazione dell’imballaggio originario non è autorizzata oppure lo è soltanto in via eccezionale e a rigorose condizioni.

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Secondo una consolidata giurisprudenza, la procedura istituita dall’articolo 267 TFUE è uno strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, grazie al quale la prima fornisce ai secondi gli elementi di interpretazione del diritto dell’Unione che sono ad essi necessari per la soluzione delle controversie che sono chiamati a dirimere (sentenza del 12 marzo 1998, Djabali, C‑314/96, EU:C:1998:104, punto 17, e ordinanza del 3 dicembre 2020, Fedasil, da C‑67/20 a C‑69/20, non pubblicata, EU:C:2020:1024, punto 18).

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Secondo una giurisprudenza parimenti consolidata, le questioni relative all’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate dal giudice nazionale nel contesto di diritto e di fatto da esso definito sotto la propria responsabilità, e del quale non spetta alla Corte verificare l’esattezza, beneficiano di una presunzione di rilevanza. Il rifiuto della Corte di statuire su una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta da un giudice nazionale è possibile soltanto qualora consti in modo manifesto che la richiesta interpretazione del diritto dell’Unione non ha alcun rapporto con la realtà effettiva o con l’oggetto del procedimento principale, qualora il problema sia di natura ipotetica, oppure quando la Corte non disponga degli elementi di fatto e di diritto necessari per rispondere utilmente alle questioni che le vengono poste (sentenza del 22 febbraio 2022, Stichting Rookpreventie Jeugd e a., C‑160/20, EU:C:2022:101, punto 82 nonché la giurisprudenza ivi citata).

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La funzione affidata alla Corte nell’ambito del procedimento pregiudiziale consiste, infatti, nel contribuire all’amministrazione della giustizia negli Stati membri, e non nel formulare opinioni a carattere consultivo su questioni generali o ipotetiche (v., segnatamente, sentenze del 12 giugno 2003, Schmidberger, C‑112/00, EU:C:2003:333, punto 32, e del 15 settembre 2011, Unió de Pagesos de Catalunya, C‑197/10, EU:C:2011:590, punto 18).

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Orbene, occorre constatare che le circostanze di causa nel procedimento principale non corrispondono manifestamente alla situazione evocata dal giudice del rinvio dell’ambito della sua quarta questione.

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Da un lato, infatti, si è esposto al punto 40 della presente sentenza che, mediante tale questione, il giudice del rinvio fa riferimento a linee guida adottate dalle autorità di Stati membri diversi dalla Repubblica federale di Germania.

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Dall’altro, non risulta in alcun modo dalla decisione di rinvio che le autorità tedesche abbiano adottato linee guida secondo le quali la riutilizzazione dell’imballaggio originario di medicinali importati parallelamente non è autorizzata oppure lo è soltanto in via eccezionale e a condizioni rigorose.

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Date tali circostanze, è giocoforza constatare che la situazione evocata dal giudice del rinvio nell’ambito della sua quarta questione è di natura ipotetica.

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Pertanto, tale questione è irricevibile.

Sulle spese

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Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 47 bis della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano, come modificata dalla direttiva 2012/26/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012,

deve essere interpretato nel senso che:

purché sia soddisfatta la totalità delle condizioni contemplate da tale articolo, il riconfezionamento in un nuovo imballaggio e la rietichettatura di medicinali importati parallelamente costituiscono forme di riconfezionamento equivalenti per quanto riguarda l’efficacia delle caratteristiche di sicurezza previste dall’articolo 54, lettera o), della direttiva summenzionata, come modificata dalla direttiva 2012/26, senza che una di queste forme prevalga sull’altra.

 

2)

L’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 15 della direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa,

devono essere interpretati nel senso che:

il titolare di un marchio è legittimato ad opporsi alla commercializzazione, ad opera di un importatore parallelo, di un medicinale riconfezionato in un nuovo imballaggio esterno sul quale è apposto tale marchio, nel caso in cui sia oggettivamente possibile procedere alla rietichettatura del medicinale in questione rispettando le prescrizioni dettate dall’articolo 47 bis della direttiva 2001/83, come modificata dalla direttiva 2012/26, e il medicinale così rietichettato possa effettivamente accedere al mercato dello Stato membro di importazione.

 

3)

L’articolo 10, paragrafo 2, e l’articolo 15 della direttiva 2015/2436

devono essere interpretati nel senso che:

il titolare di un marchio è legittimato ad opporsi alla commercializzazione, ad opera di un importatore parallelo, di un medicinale riconfezionato in un nuovo imballaggio esterno sul quale è apposto tale marchio, qualora le tracce visibili di apertura dell’imballaggio esterno originario che risultassero, eventualmente, da una rietichettatura di tale medicinale siano chiaramente imputabili al riconfezionamento così effettuato dal suddetto importatore parallelo, a meno che tali tracce non provochino, sul mercato dello Stato membro di importazione o su una parte rilevante di esso, una resistenza di una percentuale significativa di consumatori nei confronti dei medicinali così riconfezionati talmente forte da costituire un ostacolo all’accesso effettivo a tale mercato, circostanza questa che deve essere accertata caso per caso.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il tedesco.