SENTENZA DELLA CORTE (Ottava Sezione)

10 marzo 2021 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Salute – Articolo 168 TFUE – Direttiva 2002/98/CE – Norme di qualità e di sicurezza del sangue umano e dei suoi componenti – Obiettivo volto ad assicurare un elevato livello di protezione della salute umana – Articolo 4, paragrafo 2, e articolo 9, paragrafo 2 – Servizi trasfusionali – Persona responsabile – Condizioni minime di qualificazione – Facoltà per uno Stato membro di prevedere un regime più restrittivo – Margine di discrezionalità riservato agli Stati membri»

Nella causa C‑96/20,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Corte suprema di cassazione (Italia), con decisione del 7 novembre 2019, pervenuta in cancelleria il 24 febbraio 2020, nel procedimento

Ordine Nazionale dei Biologi,

MX,

NY,

OZ

contro

Presidenza del Consiglio dei Ministri,

con l’intervento di:

Sds Snabi,

Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPA),

LA CORTE (Ottava Sezione),

composta da N. Wahl, presidente di sezione, A. Prechal (relatrice), presidente della Terza Sezione, e L.S. Rossi, giudice,

avvocato generale: H. Saugmandsgaard Øe

cancelliere: A. Calot Escobar

vista la fase scritta del procedimento,

considerate le osservazioni presentate:

per l’Ordine Nazionale dei Biologi, MX, NY e OZ, da G. Sciacca e R. Arbib, avvocati;

per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità d’agente, assistita da C. Colelli, avvocato dello Stato;

per la Commissione europea, da C. Sjödin e A. Szmytkowska, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 gennaio 2003, che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti e che modifica la direttiva 2001/83/CE (GU 2003, L 33, pag. 30 e rettifica, GU 2004, L 371, p. 52).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra l’Ordine Nazionale dei Biologi (Italia) nonché MX, NY e OZ, tre titolari di un diploma di laurea in scienze biologiche, da un lato, e la Presidenza del Consiglio dei Ministri (Italia), dall’altro, in merito alla validità di una disposizione del diritto italiano ai sensi della quale soltanto i titolari di un diploma di laurea in medicina e chirurgia, che soddisfino inoltre determinate condizioni in termini di esperienza post-universitaria, possono essere designati quali persona responsabile di un servizio trasfusionale.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

I considerando 15 e 33 della direttiva 2002/98 enunciano:

«(15)

Il personale che interviene direttamente nella raccolta, nel controllo, nella lavorazione, nella conservazione e nella distribuzione del sangue e di suoi componenti dovrebbe essere in possesso della necessaria qualificazione e ricevere una formazione tempestiva e adeguata, lasciando impregiudicata l’applicazione della normativa comunitaria vigente sul riconoscimento delle qualifiche professionali e sulla protezione dei lavoratori.

(...)

(33)

L’organizzazione dei servizi sanitari e la fornitura dell’assistenza medica dovrebbero continuare a rientrare nell’ambito delle responsabilità di ciascuno Stato membro».

4

L’articolo 1 di tale direttiva, rubricato «Obiettivi», così dispone:

«La presente direttiva stabilisce norme di qualità e sicurezza del sangue umano e dei suoi componenti, al fine di assicurare un elevato livello di protezione della salute umana».

5

L’articolo 2, paragrafo 1, della suddetta direttiva ne definisce l’ambito di applicazione come segue:

«La presente direttiva si applica alla raccolta e al controllo del sangue umano e dei suoi componenti, a qualunque uso siano destinati, nonché alla lavorazione, conservazione e distribuzione degli stessi qualora siano destinati alla trasfusione».

6

L’articolo 3 della medesima direttiva, rubricato «Definizioni», così dispone:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

e)

“servizio trasfusionale”: qualunque struttura o organismo che è responsabile sotto qualunque aspetto della raccolta e del controllo del sangue umano e dei suoi componenti, qualunque ne sia la destinazione, nonché della lavorazione, conservazione e distribuzione quando gli stessi siano destinati alla trasfusione. Sono escluse le unità di medicina trasfusionale;

(...)».

7

Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2002/98:

«La presente direttiva non impedisce ad alcuno Stato membro di mantenere in vigore o introdurre nel proprio territorio misure di protezione più rigorose purché siano conformi al trattato.

In particolare, uno Stato membro può introdurre requisiti per le donazioni volontarie e gratuite, che includono il divieto o la restrizione delle importazioni di sangue e suoi componenti, per assicurare un elevato livello di tutela della salute e per conseguire l’obiettivo di cui all’articolo 20, paragrafo 1, purché siano soddisfatte le condizioni del trattato».

8

L’articolo 5 di tale direttiva, rubricato «Designazione, autorizzazione, accreditamento o concessione di una licenza per i servizi trasfusionali», al suo paragrafo 1 prevede quanto segue:

«Gli Stati membri assicurano che le attività relative alla raccolta e al controllo del sangue umano e dei suoi componenti, a qualunque uso siano destinati, nonché alla lavorazione, alla conservazione e alla distribuzione degli stessi, ove siano destinati alla trasfusione, siano effettuate unicamente da servizi trasfusionali che abbiano ottenuto una designazione, un’autorizzazione, un accreditamento o una licenza a tal fine da parte delle autorità competenti».

9

Ai sensi dell’articolo 9 della medesima direttiva, rubricato «Persona responsabile»:

«1.   Il servizio trasfusionale designa una persona (“persona responsabile”) che ha le seguenti responsabilità:

assicurare che ciascuna unità di sangue o di suoi componenti, a qualunque uso sia destinata, sia raccolta e controllata e, se destinata alla trasfusione, sia lavorata, conservata e distribuita conformemente alle leggi vigenti nello Stato membro,

fornire informazioni alle autorità competenti durante la procedura di designazione, autorizzazione, accreditamento o licenza di cui all’articolo 5,

far sì che il servizio trasfusionale soddisfi i requisiti di cui agli articoli 10, 11, 12, 13, 14 e 15.

2.   La persona responsabile risponde alle seguenti condizioni minime di qualificazione:

a)

possesso di un diploma, certificato o altro titolo che sancisca un ciclo di formazione universitaria, o un ciclo di formazione riconosciuto equivalente dallo Stato interessato, nel settore delle scienze mediche o biologiche;

b)

esperienza pratica post laurea di almeno due anni in settori di pertinenza, in uno o più istituti autorizzati a effettuare attività connesse alla raccolta e/o al controllo del sangue umano e dei suoi componenti o alla loro lavorazione, conservazione e distribuzione.

(...)».

10

L’articolo 10 della medesima direttiva, rubricato «Personale», dispone quanto segue:

«Il personale che interviene nella raccolta, nel controllo, nella lavorazione, nella conservazione e nella distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti possiede qualificazioni appropriate per svolgere tali funzioni e riceve in tempo opportuno una formazione adeguata e periodicamente aggiornata».

11

Ai sensi dell’articolo 20, paragrafo 1, della direttiva 2002/98:

«Gli Stati membri adottano le misure necessarie per incoraggiare le donazioni volontarie e gratuite di sangue per assicurare che il sangue e i suoi componenti siano forniti, per quanto possibile, mediante tali donazioni».

Diritto italiano

12

L’articolo 6 del decreto legislativo del 20 dicembre 2007, n. 261 – Revisione del decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 191, recante attuazione della direttiva 2002/98/CE che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti (GURI n. 19 del 23 gennaio 2008; in prosieguo: il «decreto legislativo n. 261/2007»), prevede quanto segue:

«1.   L’ente cui afferisce il servizio trasfusionale ne designa la persona responsabile, come tale tenuta ad esercitare i seguenti compiti:

a)

garantire che ciascuna unità di sangue o di emocomponenti, a qualunque uso destinata, sia raccolta e controllata e, se destinata alla trasfusione, sia lavorata, conservata, distribuita e assegnata conformemente alle norme vigenti;

b)

fornire le informazioni necessarie per le procedure di autorizzazione e accreditamento;

c)

assicurare che il servizio trasfusionale soddisfi i requisiti di cui agli articoli 7, 8, 9, 10 e 11.

2.   La persona responsabile di cui al comma 1, possiede diploma di laurea in medicina e chirurgia ed i requisiti previsti dalla normativa vigente per l’accesso alla direzione di struttura complessa nella disciplina di medicina trasfusionale».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

13

Il 10 giugno 2008 i ricorrenti nel procedimento principale hanno adito il Tribunale di Roma (Italia) con una domanda giudiziale nella quale hanno fatto valere che l’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 261/2007, nella parte in cui riserva l’accesso alla funzione di persona responsabile di un servizio trasfusionale ai soli laureati in medicina e chirurgia, è contrario all’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2002/98, giacché quest’ultima disposizione, prevedendo come condizione per l’accesso a tale funzione il possesso di un diploma di laurea nel settore delle scienze mediche o biologiche, conferirebbe ai titolari di un diploma di laurea in scienze biologiche un diritto di accesso a detta funzione, e ciò comporterebbe che la suddetta disposizione di diritto nazionale sia contraria al diritto dell’Unione e debba essere disapplicata.

14

Detto giudice ha respinto la domanda in quanto essenzialmente la direttiva 2002/98 non ha carattere «autoesecutivo», poiché detta solo regole di massima relativamente ai servizi trasfusionali, lasciando al diritto nazionale il compito di disciplinarne la creazione ed il funzionamento. L’articolo 9, paragrafo 2, di tale direttiva permetterebbe agli Stati membri di scegliere discrezionalmente se l’accesso alla funzione di persona responsabile di servizi trasfusionali debba essere riservato ai soli laureati in medicina, ai soli laureati in scienze biologiche oppure ad entrambe le categorie di laureati.

15

Avverso la sentenza del Tribunale di Roma è stato interposto appello dai ricorrenti nel procedimento principale dinanzi alla Corte d’appello di Roma (Italia), la quale, con sentenza del 19 giugno 2015, lo ha respinto, confermando integralmente detta sentenza di primo grado.

16

Adito dai ricorrenti nel procedimento principale mediante un ricorso per cassazione, il giudice del rinvio si chiede se l’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2002/98 debba essere interpretato nel senso che conferisce ai laureati in scienze biologiche un diritto ad essere designati quale persona responsabile di servizi trasfusionali, oppure se, tenuto conto del fatto che tale direttiva stabilisce soltanto prescrizioni minime in tale settore, detta disposizione debba piuttosto essere intesa nel senso che lascia agli Stati membri la libera scelta di riservare l’accesso a tale funzione ai soli laureati in scienze mediche, ai soli laureati in scienze biologiche oppure ad entrambe le categorie di laureati.

17

In tale contesto, la Corte suprema di cassazione (Italia) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se la disposizione dell’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2002/98, che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti, vada interpretata nel senso che, nell’indicare, tra le altre condizioni minime di qualificazione per l’accesso al ruolo di persona responsabile del [servizio trasfusionale], il possesso di un titolo accademico “nel settore delle scienze mediche o biologiche” attribuisca direttamente ai laureati in entrambe le discipline il diritto di poter svolgere il ruolo di persona responsabile del [servizio trasfusionale];

2)

se in conseguenza il diritto dell’Unione consenta o impedisca che il diritto nazionale escluda che il predetto ruolo di persona responsabile del [servizio trasfusionale] possa esser svolto dai laureati in scienze biologiche».

Sulle questioni pregiudiziali

18

Con le sue due questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2002/98, letto in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva, debba essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale ai sensi della quale possono essere designate come persona responsabile di un servizio trasfusionale soltanto le persone in possesso di un diploma di laurea in medicina e chirurgia.

19

L’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2002/98 prevede che la persona responsabile designata da un servizio trasfusionale debba rispondere alle «condizioni minime di qualificazione» ivi elencate, tra cui figura, alla lettera a) di tale disposizione, il fatto di essere in «possesso di un diploma, certificato o altro titolo che sancisca un ciclo di formazione universitaria, o un ciclo di formazione riconosciuto equivalente dallo Stato interessato, nel settore delle scienze mediche o biologiche».

20

Il legislatore italiano ha inteso trasporre detta disposizione nell’ordinamento giuridico nazionale adottando l’articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 261/2007, il quale riserva l’accesso alla funzione di responsabile di un servizio trasfusionale alle sole persone in possesso di un «diploma di laurea in medicina e chirurgia».

21

Dinanzi al giudice del rinvio, i ricorrenti nel procedimento principale contestano la validità di tale disposizione nazionale, in sostanza per il motivo che l’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2002/98 conferirebbe ai laureati in scienze biologiche un «diritto» di essere designati quale persona responsabile di un servizio trasfusionale, cosicché detta disposizione nazionale, riservando l’accesso a tale funzione ai laureati in medicina e chirurgia e precludendolo dunque ai laureati in scienze biologiche, costituirebbe una trasposizione di detto articolo 9, paragrafo 2 contraria al diritto dell’Unione e che deve conseguentemente essere disapplicata.

22

A tal riguardo, occorre ricordare che la direttiva 2002/98, avente per obiettivo la tutela della salute, trova il suo fondamento nell’articolo 168 TFUE, il quale prevede, al suo paragrafo 1, che, nella definizione e nell’attuazione di tutte le politiche ed attività dell’Unione europea, sia garantito un livello elevato di protezione della salute umana. L’articolo 1 di tale direttiva afferma che essa stabilisce norme di qualità e sicurezza del sangue umano e dei suoi componenti, al fine di assicurare un elevato livello di protezione della salute umana. Inoltre, l’articolo 168, paragrafo 4, lettera a), TFUE stabilisce che agli Stati membri non possa essere impedito di mantenere o introdurre misure protettive più rigorose; tale disposizione è espressamente ripresa all’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva (v., in tal senso, sentenza del 13 marzo 2014, Octapharma France, C‑512/12, EU:C:2014:149, punto 43).

23

Nel caso di specie, si pone la questione se la disposizione nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, per il fatto che essa consente soltanto ai laureati in medicina e chirurgia di avere accesso alla funzione di persona responsabile di un servizio trasfusionale, possa essere qualificata come «misura di protezione più rigorosa», ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2002/98, rispetto a quella prevista dall’articolo 9, paragrafo 2, della medesima direttiva.

24

A tale questione deve essere data risposta affermativa.

25

Infatti, dalla formulazione stessa dell’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2002/98 risulta che tale disposizione si limita ad imporre talune «condizioni minime di qualificazione», relative tanto al possesso di un diploma di laurea quanto ad un’esperienza pratica post laurea minima, alle quali una persona deve rispondere al fine di poter essere designata come persona responsabile di un servizio trasfusionale.

26

Per quanto riguarda, in particolare, la condizione di qualificazione di cui all’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2002/98, risulta inoltre dalla genesi di tale disposizione che, mentre la proposta iniziale della Commissione europea faceva riferimento alla condizione del possesso di una laurea in un’ampia gamma di discipline scientifiche, siffatta proposta è stata successivamente modificata nel requisito del possesso di una laurea in medicina, preferibilmente con una specializzazione in ematologia, per aggiungervi, nel testo finale di detta disposizione, i laureati in scienze biologiche.

27

Pertanto, la genesi dell’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2002/98 rivela che il legislatore dell’Unione, pur avendo ridotto il numero di diplomi di laurea che possono consentire l’accesso alla funzione di responsabile di un servizio trasfusionale, ha tuttavia inteso riservare agli Stati membri una certa flessibilità nella scelta delle qualificazioni richieste per poter accedere a tale funzione.

28

Peraltro, non si può dedurre dalla misura di protezione più rigorosa richiamata, a titolo meramente illustrativo, all’articolo 4, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2002/98 – relativo alle donazioni di sangue volontarie e gratuite –, né, del resto, da nessun’altra disposizione di tale direttiva, che possano costituire misure di protezione più restrittive soltanto disposizioni nazionali che comportino un regime più rigoroso di quello previsto dalle disposizioni di detta direttiva che disciplinano direttamente la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione o la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti da parte dei servizi trasfusionali e delle quali non farebbe parte l’articolo 9, paragrafo 2, della medesima direttiva.

29

Infatti, le condizioni minime di qualificazione prescritte dall’articolo 9, paragrafo 2, della direttiva 2002/98 mirano a garantire che la persona responsabile di un servizio trasfusionale abbia le competenze teoriche e pratiche sufficienti per svolgere le funzioni ad essa spettanti ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, di tale direttiva.

30

Orbene, tali funzioni – nella misura in cui includono, in particolare, il compito di assicurare che ciascuna unità di sangue o di suoi componenti, a qualunque uso sia destinata, sia raccolta e controllata e, se destinata alla trasfusione, sia lavorata, conservata e distribuita conformemente alle leggi vigenti nello Stato membro interessato, o il compito di far sì che il servizio trasfusionale soddisfi i requisiti di cui agli articoli da 10 a 15 della direttiva 2002/98 – partecipano pienamente all’obiettivo di tale direttiva, mirante ad assicurare un elevato livello di protezione della salute umana per quanto riguarda le norme di qualità e sicurezza del sangue umano e dei suoi componenti da essa stabilite.

31

In tale contesto, il governo italiano spiega che la scelta di esigere il possesso di una laurea in medicina e chirurgia per poter essere designati come persona responsabile di un servizio trasfusionale è stata dettata dal fatto che, in Italia, i servizi trasfusionali costituiscono servizi integrati nel servizio sanitario nazionale, i quali svolgono numerose e delicate attività, anche di natura strettamente medica e diagnostica, le quali non sono limitate alle attività di tali servizi indicate all’articolo 3, lettera e), della direttiva 2002/98 e che, pertanto, il possesso di una tale laurea è indispensabile.

32

A tal riguardo, è vero che i compiti dei servizi trasfusionali, anche quelli di presunta natura «strettamente medica» ad essi imposti in forza del diritto italiano, sono svolti, in quanto tali, non dalla persona responsabile di tali servizi, bensì dal «personale» degli stessi di cui all’articolo 10 della direttiva 2002/98, vale a dire il «personale che interviene nella raccolta, nel controllo, nella lavorazione, nella conservazione e nella distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti», che «possiede qualificazioni appropriate per svolgere tali funzioni e [che] riceve in tempo opportuno una formazione adeguata e periodicamente aggiornata». Secondo il considerando 15 della direttiva, si tratta del personale che interviene «direttamente» nell’espletamento di tali compiti.

33

La distinzione tra il «personale» e la «persona responsabile» operata dalla direttiva 2002/98 si riflette altresì nell’articolo 9, paragrafo 1, ultimo trattino, di tale direttiva, ai sensi del quale la persona responsabile ha l’onere di far sì che il servizio trasfusionale soddisfi i requisiti che appaiono, in particolare, all’articolo 10 della direttiva, il che implica che detta persona debba assicurare, fra l’altro, che il personale possegga le qualificazioni appropriate per svolgere le funzioni incombenti al suddetto servizio, il che potrebbe richiedere, per quanto riguarda le funzioni di carattere medico, che il personale interessato disponga di un diploma di laurea in medicina.

34

Tuttavia, resta il fatto che l’obiettivo perseguito – secondo il governo italiano e fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio – dalla disposizione nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, attinente al fatto che una qualificazione come medico può consentire meglio alla persona responsabile di esercitare pienamente ed efficacemente le sue funzioni per quanto riguarda l’insieme delle attività di un servizio trasfusionale, tra cui quelle di natura strettamente medica, rientra nell’obiettivo della direttiva 2002/98 che consiste, ai sensi del suo articolo 1, nel dettare norme di qualità e sicurezza del sangue umano e dei suoi componenti, al fine di assicurare un elevato livello di protezione della salute umana e che pertanto la misura nazionale di cui trattasi nel procedimento principale è idonea, in quanto misura di protezione più rigorosa, a garantire meglio che siffatto obiettivo venga concretamente realizzato.

35

Si tratta di una valutazione nel settore della sanità pubblica che spetta agli Stati membri in forza delle identiche disposizioni di cui all’articolo 168, paragrafo 4, lettera a), TFUE e dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2002/98.

36

Ebbene, secondo una costante giurisprudenza della Corte, la salute e la vita delle persone occupano una posizione preminente fra i beni e gli interessi tutelati dal Trattato FUE e spetta agli Stati membri stabilire il livello al quale essi intendono garantire la protezione della salute ed il modo in cui tale livello deve essere raggiunto. Poiché tale livello può variare da uno Stato membro all’altro, occorre riconoscere agli Stati membri un margine di discrezionalità (sentenza dell’8 giugno 2017, Medisanus, C‑296/15, EU:C:2017:431, punto 82 e giurisprudenza ivi citata). Di conseguenza, il fatto che uno Stato membro imponga norme meno severe di quelle imposte da un altro Stato membro non significa che queste ultime siano sproporzionate (sentenza del 18 settembre 2019, VIPA, C‑222/18, EU:C:2019:751, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

37

Nel caso di specie, alla luce dei documenti forniti alla Corte e fatta salva la verifica da parte del giudice del rinvio, non appare, tenuto conto anche del margine di discrezionalità riconosciuto agli Stati membri, menzionato al punto precedente, che la disposizione nazionale di cui trattasi nel procedimento principale possa essere considerata una misura inadeguata per raggiungere l’obiettivo di una protezione rafforzata della tutela della salute umana che essa persegue nel settore delle norme di qualità e di sicurezza del sangue umano e dei suoi componenti.

38

La compatibilità della disposizione nazionale di cui trattasi nel procedimento principale con il diritto dell’Unione sembra peraltro essere corroborata dal fatto, rilevato dal governo italiano e che pure compete al giudice del rinvio verificare, che i servizi trasfusionali costituiscono in Italia servizi integrati nel servizio sanitario nazionale, il che comporta che detta disposizione si colloca nell’ambito delle responsabilità incombenti agli Stati membri in forza dell’articolo 168, paragrafo 7, TFUE per quanto riguarda la definizione della loro politica sanitaria e l’organizzazione e la fornitura di servizi sanitari e di assistenza medica, che includono la gestione di tali servizi nonché l’assegnazione delle risorse loro destinate.

39

Ciò è, del resto, ricordato al considerando 33 della direttiva 2002/98, a termini del quale l’organizzazione dei servizi sanitari e la fornitura dell’assistenza medica dovrebbero continuare a rientrare nell’ambito delle responsabilità di ciascuno Stato membro.

40

Ebbene, nell’ambito dell’attuazione di tale responsabilità, deve essere riservato agli Stati membri un margine di discrezionalità anche in merito alla scelta delle misure adeguate, in particolare in materia di qualificazioni delle persone che forniscono servizi sanitari.

41

Di conseguenza, uno Stato membro dispone, in forza dell’articolo 168, paragrafo 4, lettera a), TFUE e dell’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2002/98, della facoltà di assoggettare le condizioni di qualificazione alle quali deve rispondere una persona responsabile di un servizio trasfusionale ad un regime più rigoroso di quello previsto all’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva, qualora tale Stato membro ritenga, senza andare al di là del margine di discrezionalità di cui dispone per decidere in merito al livello elevato al quale intende garantire la tutela della salute pubblica e al modo in cui detto livello debba essere raggiunto, che siffatto regime più rigoroso permetta di garantire in misura ancora maggiore che la persona responsabile di siffatto servizio sarà in grado di esercitare pienamente ed efficacemente le funzioni ad essa incombenti e che, pertanto, sia conseguito l’obiettivo di protezione della salute umana perseguito da detta direttiva.

42

Infine, si deve necessariamente constatare che, sebbene l’articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2002/98 preveda che una misura più rigorosa ai sensi di tale disposizione possa essere mantenuta o introdotta da uno Stato membro solo «purché sia(...) conform[e] al trattato» e sebbene i ricorrenti nel procedimento principale invochino una serie di disposizioni e di principi del diritto dell’Unione che sarebbero violati dalla disposizione nazionale di cui trattasi nel procedimento principale, il giudice del rinvio non interroga la Corte sul rispetto di alcuno di essi.

43

A tal proposito, si può nondimeno osservare, riguardo all’argomento dei ricorrenti nel procedimento principale vertente sull’asserita violazione del requisito del mutuo riconoscimento imposto dalla direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (GU 2005, L 255, pag. 22), come modificata dalla direttiva 2013/55/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 novembre 2013 (GU 2013, L 354, pag. 132), di cui sarebbero vittime i biologi migranti che intendano esercitare la funzione di persona responsabile di un servizio trasfusionale in Italia, che siffatto argomento – il quale potrebbe essere ricevibile pur se sollevato nell’ambito di una domanda di pronuncia pregiudiziale, nonostante il fatto che intervenga in una situazione puramente nazionale (v., per analogia, sentenza del 21 febbraio 2013, Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia e a., C‑111/12, EU:C:2013:100, punti da 33 a 35) – deve in ogni caso essere respinto nel merito.

44

Infatti, compete alla legislazione nazionale dello Stato membro ospitante definire il settore di attività della professione di biologo ed è soltanto nel caso in cui, secondo tale legislazione, un’attività sia considerata da uno Stato membro ricompresa in detto settore, che l’esigenza del mutuo riconoscimento implica che i biologi migranti debbano poter parimenti accedere a tale attività (v., per analogia, sentenza del 21 febbraio 2013, Ordine degli Ingegneri di Verona e Provincia e a., C‑111/12, EU:C:2013:100, punto 48).

45

Ebbene, nel caso di specie, la legislazione italiana non considera appunto che la funzione di persona responsabile di un servizio trasfusionale rientri nell’ambito di attività della professione di biologo.

46

Alla luce di quanto precede, occorre rispondere alle questioni pregiudiziali dichiarando che l’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2002/98, letto in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale ai sensi della quale possono essere designate come persona responsabile di un servizio trasfusionale soltanto le persone in possesso di un diploma di laurea in medicina e chirurgia, purché siffatta normativa rispetti, sotto ogni profilo, il diritto dell’Unione.

Sulle spese

47

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Ottava Sezione) dichiara:

 

L’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2002/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 gennaio 2003, che stabilisce norme di qualità e di sicurezza per la raccolta, il controllo, la lavorazione, la conservazione e la distribuzione del sangue umano e dei suoi componenti e che modifica la direttiva 2001/83/CE, letto in combinato disposto con l’articolo 4, paragrafo 2, di detta direttiva, deve essere interpretato nel senso che esso non osta a una normativa nazionale ai sensi della quale possono essere designate come persona responsabile di un servizio trasfusionale soltanto le persone in possesso di un diploma di laurea in medicina e chirurgia, purché siffatta normativa rispetti, sotto ogni profilo, il diritto dell’Unione.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’italiano.