CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

LAILA MEDINA

presentate il 3 marzo 2022 ( 1 )

Causa C‑659/20

ET

contro

Ministerstvo životního prostředí

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa, Repubblica ceca)]

«Rinvio pregiudiziale – Articolo 267 TFUE – Protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio – Regolamenti (CE) n. 338/97 e (CE) n. 865/2006 – Esenzioni dal divieto di attività commerciali – Esemplari di una specie animale nati e allevati in cattività – Nozione di “riserva riproduttiva” – Determinazione dell’ascendenza della riserva riproduttiva»

Introduzione

1.

«[L]a fauna e la flora selvatiche costituiscono per la loro bellezza e per la loro varietà un elemento insostituibile dei sistemi naturali, che deve essere protetto a beneficio delle generazioni presenti e future». Questa dichiarazione fondamentale figura nel preambolo della Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione (in prosieguo: la «CITES») ( 2 ).

2.

La CITES è un trattato internazionale in materia ambientale che persegue l’obiettivo di proteggere determinate specie di fauna e flora selvatiche dallo sfruttamento eccessivo nel commercio internazionale. I commentatori l’hanno definita come, «probabilmente, il trattato internazionale di maggior successo in materia di conservazione delle specie selvatiche», pur riconoscendo che, «indubbiamente, vi sono ancora problemi» ( 3 ). Più in particolare, il traffico illegale di specie selvatiche «costituisce tuttora una delle principali preoccupazioni» ( 4 ). Il valore del commercio illegale a livello mondiale è stimato, da taluni, tra i 7 e i 23 mila milioni di dollari statunitensi (USD) all’anno ( 5 ). L’ultima relazione dell’ONU sui reati commessi a livello internazionale contro le specie selvatiche dimostra che la criminalità contro le specie selvatiche è un’attività economica «globale; lucrativa, in cui la forte domanda spinge i prezzi verso l’alto; ed estremamente diffusa» ( 6 ). In questa stessa relazione si evidenziano i legami tra la crisi sanitaria globale e lo sfruttamento illecito di specie selvatiche e si afferma che porre fine ai reati contro le specie selvatiche costituisce una «tassello essenziale per una ricostruzione migliore a seguito della crisi di COVID‑19» ( 7 ).

3.

È alla luce di tali considerazioni generali che intendo condurre l’analisi della domanda di pronuncia pregiudiziale presentata dal Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa, Repubblica ceca). Tale domanda verte sull’interpretazione di due regolamenti dell’Unione che perseguono l’obiettivo della protezione e della conservazione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del commercio degli esemplari di tali specie, segnatamente il regolamento (CE) n. 338/97 ( 8 ) del Consiglio e il regolamento (CE) n. 865/2006 della Commissione ( 9 ).

4.

Il regolamento n. 338/97 prevede talune disposizioni derogatorie applicabili agli esemplari nati e allevati in cattività di una specie animale inserita nell’elenco di cui all’allegato A di tale regolamento. La questione principale sollevata dalla presente causa è, essenzialmente, se, al fine di determinare se taluni esemplari possano beneficiare di un’esenzione dal divieto di commercializzazione applicabile agli esemplari di una specie animale allevati in cattività, le autorità competenti possano verificare l’origine della riserva riproduttiva, anche qualora tale esame si estenda al di là degli esemplari legalmente acquisiti dall’allevatore. Come intendo dimostrare nella mia analisi, le autorità dovrebbero disporre di tale potere al fine di determinare se l’esenzione debba o meno essere concessa.

Contesto normativo

Diritto internazionale

CITES

5.

Obiettivo della CITES è la protezione di talune specie della flora e della fauna selvatiche minacciate di estinzione mediante il controllo del commercio internazionale. Essa prevede regimi di protezione diversi a seconda delle specie, suddivise in tre categorie corrispondenti alle tre appendici di detta convenzione e in funzione delle minacce più o meno gravi di estinzione che gravano sulle stesse.

6.

Tale convenzione, della quale l’Unione è divenuta parte l’8 luglio 2015, è stata attuata in seno all’Unione dal 1o gennaio 1984 in forza del regolamento (CEE) n. 3626/82 del Consiglio ( 10 ). Detto regolamento è stato abrogato dal regolamento n. 338/97.

7.

L’appendice I della CITES include tutte le specie maggiormente minacciate, per le quali il regime di protezione è il più rigoroso. Ai sensi dell’articolo II, paragrafo 1, della CITES, il commercio degli esemplari di dette specie può essere autorizzato soltanto in «condizioni eccezionali».

8.

Ai sensi dell’articolo II, paragrafo 2, lettera a), della CITES, l’appendice II di tale convenzione comprende «tutte le specie che, pur non essendo necessariamente minacciate di estinzione al momento attuale, potrebbero esserlo in un futuro se il commercio degli esemplari di dette specie non fosse sottoposto a una regolamentazione rigorosa avente per fine di evitare uno sfruttamento incompatibile con la loro sopravvivenza». I requisiti per l’importazione delle specie di cui all’appendice II sono meno rigorose di quelle che si applicano alle specie di cui all’appendice I.

9.

L’articolo VII, paragrafo 4, della CITES prevede che gli esemplari di una specie animale iscritta nell’appendice I e allevati in cattività per fini commerciali siano considerati esemplari delle specie iscritte nell’appendice II.

Diritto dell’Unione europea

Regolamento n. 338/97

10.

L’articolo 1 del regolamento n. 338/97 stabilisce che il suo obiettivo sia proteggere le specie della fauna e della flora selvatiche nonché assicurare la loro conservazione controllandone il commercio. Esso indica inoltre che tale regolamento si applica nel rispetto degli obiettivi, dei principi e delle disposizioni della CITES.

11.

L’articolo 2 del citato regolamento contiene le seguenti definizioni:

«(…)

g)

“organo di gestione”, un organo di gestione nazionale designato da uno Stato membro secondo l’articolo 13, paragrafo 1, lettera a) (...);

(…)

s)

“specie”, una specie, sottospecie o una loro popolazione;

t)

“esemplare”, qualsiasi pianta o animale, vivo o morto, delle specie elencate negli allegati da A a D (...)

(…)».

12.

L’articolo 8 del regolamento n. 338/97 così dispone:

«1.   Sono vietati l’acquisto, l’offerta di acquisto, l’acquisizione in qualunque forma a fini commerciali, l’esposizione in pubblico per fini commerciali, l’uso a scopo di lucro e l’alienazione, nonché la detenzione, l’offerta o il trasporto a fini di alienazione, di esemplari delle specie elencate nell’allegato A.

(…)

3.   Un’esenzione dai divieti di cui al paragrafo 1 può essere decisa, nel rispetto dei requisiti o altre normative comunitarie sulla conservazione della flora e della fauna selvatiche, con il rilascio di un certificato in tal senso da parte dell’organo di gestione dello Stato membro in cui gli esemplari si trovano, qualora gli esemplari:

(…)

d)

siano esemplari nati e allevati in cattività di una specie animale o esemplari riprodotti artificialmente di una specie vegetale ovvero parti o prodotti derivati da tali esemplari; (…)

(…)».

Regolamento n. 865/2006

13.

L’articolo 1, punto 3), del regolamento n. 865/2006 contiene la seguente definizione:

«“riserva riproduttiva” designa tutti gli animali utilizzati nelle operazioni di allevamento a fini di riproduzione».

14.

L’articolo 54 del regolamento n. 865/2006, rubricato «Esemplari delle specie animali nati e allevati in cattività», così dispone:

«Salvo il disposto dell’articolo 55, un esemplare di una specie animale si considera nato e allevato in cattività soltanto quando un organo di gestione competente, in consultazione con un’autorità scientifica competente dello Stato membro interessato, abbia accertato quanto segue:

(…)

2)

la riserva riproduttiva originaria è stata costituita in osservanza della normativa a essa applicabile alla data della sua acquisizione ed in modo non nocivo per la sopravvivenza delle specie interessate in ambiente naturale;

(…)».

Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

15.

Il ricorrente è un allevatore di pappagalli. Il 21 gennaio 2015 ha chiesto l’esenzione dal divieto di commercializzazione per cinque esemplari di pappagallo ara giacinto (Anodorhynchus hyacinthinus) nati nel 2014 nel suo allevamento. Tale specie è contenuta nell’allegato A del regolamento n. 338/97 e nell’appendice I della CITES. L’organo di gestione competente ha respinto la richiesta di esenzione, sulla base del parere dell’autorità scientifica competente.

16.

Ai fini della sua valutazione, l’organo di gestione competente ha effettuato gli accertamenti di seguito indicati per quanto concerne l’origine dei pappagalli in questione. I nonni dei pappagalli (in prosieguo: gli «esemplari nonni») erano stati importati da un cittadino uruguaiano a Bratislava (Slovacchia) nel giugno 1993, in circostanze sospette. In seguito, gli esemplari nonni erano stati trasportati in auto da FU nella Repubblica ceca. Al confine, il veicolo era stato fermato dalle autorità doganali e gli esemplari nonni erano stati sequestrati a FU con provvedimento amministrativo. Il provvedimento amministrativo venne però annullato nel 1996 dal Vrchní Soud v Praze (Corte superiore di Praga, Repubblica ceca).

17.

Le autorità restituirono gli esemplari nonni a FU, il quale li diede in prestito a GV. GV allevò i genitori dei pappagalli in questione (in prosieguo: gli «esemplari genitori») nel 2000 e, in seguito, restituì gli esemplari nonni a FU, il quale, a sua volta, li consegnò allo zoo di Zlín (Zlín, Repubblica ceca). Il ricorrente ha ottenuto gli esemplari genitori da GV nel 2000. La validità del trasferimento di proprietà degli esemplari genitori al ricorrente non è oggetto di contestazione.

18.

L’autorità scientifica ha esaminato se gli esemplari genitori potessero beneficiare di un’esenzione dal divieto di commercializzazione applicabile agli esemplari di una specie animale allevati in cattività, in conformità alle condizioni previste all’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006. Ai sensi di tale disposizione, la riserva riproduttiva deve essere costituita «in osservanza della normativa a essa applicabile alla data della sua acquisizione ed in modo non nocivo per la sopravvivenza delle specie interessate in ambiente naturale». L’autorità scientifica ha raccomandato di non concedere tale esenzione. A suo avviso, i registri degli esemplari nonni contenevano irregolarità e, inoltre, non erano state fornite informazioni sull’origine degli esemplari genitori.

19.

Sulla base del parere dell’autorità scientifica, l’organo di gestione competente ha rifiutato di concedere l’esenzione ai fini della commercializzazione degli esemplari in questione. Il ricorrente ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Ministerstvo životního prostředí (ministero dell’Ambiente, Repubblica ceca). Nel suo ricorso egli ha sostenuto che la nozione di «riserva riproduttiva» era stata interpretata erroneamente. A suo avviso, tale nozione comprende soltanto gli esemplari genitori e i loro discendenti. Pertanto, le autorità non avevano il potere di verificare l’origine degli esemplari nonni. Il Ministerstvo životního prostředí (ministero dell’Ambiente) ha respinto tale ricorso, ritenendo determinante il metodo di acquisizione della prima coppia riproduttiva al fine di valutare se la riserva riproduttiva fosse stata costituita conformemente alle norme applicabili. Poiché il ricorrente non era stato in grado di provare l’origine degli esemplari nonni, non era possibile concedere l’esenzione ai fini della commercializzazione degli esemplari in questione.

20.

Il ricorrente ha contestato la decisione del Ministerstvo životního prostředí (ministero dell’Ambiente) dinanzi al Krajský soud v Hradci Králové (Corte regionale di Hradec Králové, Repubblica ceca). Tale giudice ha dichiarato, nella sua sentenza, che il commercio di pappagalli della specie Anodorhynchus è vietato e può essere autorizzato, come previsto all’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006, soltanto in circostanze eccezionali, che non ricorrevano nel caso del ricorrente. Tale giudice ha rilevato che, al momento dell’acquisizione degli esemplari nonni, la CITES era già in vigore nella Repubblica ceca ed era stata attuata nel diritto nazionale. Esso ha considerato che, secondo la normativa attuativa della CITES, l’esame dell’origine della riserva riproduttiva è consentito e può estendersi fino agli esemplari nonni. Pertanto, la nozione di «riserva riproduttiva», come definita dal regolamento n. 865/2006, comprende le tre generazioni di pappagalli.

21.

Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Krajský soud v Hradci Králové (Corte regionale di Hradec Králové) dinanzi al Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa), giudice del rinvio. Egli ha sostenuto che la sentenza impugnata conteneva un errore di diritto nella parte in cui si affermava che la «riserva riproduttiva» comprende gli esemplari genitori e gli esemplari nonni. Secondo il ricorrente, una siffatta interpretazione gli imporrebbe un onere della prova irragionevole. Inoltre, egli ne lamenta l’erroneità, tenuto conto della portata della nozione di «riserva riproduttiva». Detta nozione comprenderebbe, secondo il ricorrente, tutti gli animali tenuti in una specifica operazione di allevamento del ricorrente, e non i loro antenati tenuti in altre operazioni o da altri allevatori. Il ricorrente sostiene altresì che la decisione controversa ha violato il suo diritto di proprietà e il suo legittimo affidamento, poiché egli aveva acquisito legalmente gli esemplari genitori.

22.

Rispondendo al ricorso in punto di diritto, il Ministerstvo životního prostředí (ministero dell’Ambiente) ha richiamato la formulazione dell’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006, che impiega il termine «[costituzione]» della riserva riproduttiva. Il termine «costituzione» si riferisce chiaramente al passato e, quindi, pone l’accento sull’inizio della linea di allevamento. Inoltre, il Ministerstvo životního prostředí (ministero dell’Ambiente) ha affermato che, ai fini della concessione di un’esenzione, la definizione di riserva riproduttiva è secondaria, mentre sono decisive le modalità di costituzione della stessa. Per quanto riguarda l’onere della prova, il Ministerstvo životního prostředí (ministero dell’Ambiente) ne ha negato l’irragionevolezza, dato che il proprietario è tenuto a provare l’origine della riserva riproduttiva soltanto qualora intenda commercializzare le generazioni successive. Le autorità esaminano l’origine della riserva riproduttiva conformemente a una prassi consolidata nell’Unione europea. La tesi opposta, sostenuta dal ricorrente, faciliterebbe invece la legalizzazione di riserve riproduttive costituite a partire da esemplari prelevati in natura. Per quanto riguarda il diritto di proprietà, il Ministerstvo životního prostředí (ministero dell’Ambiente) ha osservato che la titolarità legale degli esemplari nonni e dei loro discendenti non è controversa. Pertanto, il diritto di proprietà del ricorrente non è violato, ma soltanto limitato.

23.

Il giudice del rinvio sottolinea che la questione decisiva nella presente causa è se la definizione di «riserva riproduttiva» di cui all’articolo 1, punto 3), del regolamento n. 865/2006 comprenda tutti gli animali utilizzati in una specifica operazione di allevamento a fini di riproduzione. Qualora la Corte interpreti tale nozione in senso ampio, includendovi gli esemplari nonni non detenuti dal ricorrente, la seconda questione diventerebbe priva di oggetto.

24.

Tuttavia, qualora la Corte accolga un’interpretazione restrittiva della nozione di «riserva riproduttiva», limitata agli esemplari nell’ambito di una specifica operazione di allevamento, occorrerebbe rispondere alla seconda questione pregiudiziale. Con tale questione, il giudice del rinvio chiede se nella nozione di «[costituzione]» della riserva riproduttiva, di cui all’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006, rientri soltanto l’acquisizione legale degli esemplari interessati o anche l’inizio della linea di allevamento.

25.

A tale riguardo, il giudice del rinvio ritiene che l’interpretazione secondo cui nella nozione di «costituzione» rientra l’inizio della linea di allevamento degli esemplari interessati impedisce la legalizzazione di allevamenti «dubbi» attraverso trasferimenti «disonesti». Dall’altro lato, il giudice osserva che un trasferimento «disonesto» non è possibile all’interno dell’Unione europea. Infatti, esso ritiene che, in forza del quadro legislativo attualmente in vigore, sia impossibile acquistare legalmente esemplari di animali elencati nell’allegato A del regolamento n. 865/2006 senza ottenere un’esenzione. Inoltre, se fosse consentito l’esame dell’intera linea di allevamento, ciò imporrebbe oneri irrealistici a carico dei proprietari di animali protetti, obbligandoli a provare la legittimità di una lunga e indefinita linea genealogica.

26.

Con la terza questione, il giudice del rinvio chiede se possano essere tenute in considerazione circostanze individuali, quali l’acquisizione legale degli esemplari genitori da parte del ricorrente e la sua legittima aspettativa di poter commercializzare i discendenti, quantomeno nella Repubblica ceca. Il giudice del rinvio osserva, al riguardo, che, sebbene la CITES fosse applicabile nella Repubblica ceca al momento dell’acquisizione, la normativa nazionale di attuazione non esigeva il rilascio di un certificato in caso di trasferimento nazionale. Inoltre, la normativa più restrittiva dell’Unione, che richiede il rilascio di un siffatto certificato in caso di trasferimento all’interno dell’Unione europea o di un singolo Stato membro, non era applicabile al momento in cui la cessione degli esemplari genitori è avvenuta.

27.

In tale contesto, il Nejvyšší správní soud (Corte suprema amministrativa) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se facciano parte di una «riserva riproduttiva», ai sensi del regolamento [n. 865/2006] gli esemplari che sono genitori di esemplari allevati da un allevatore autorizzato, anche se non sono mai stati di proprietà di quest’ultimo né in suo possesso.

2)

Ove la risposta alla prima questione sia che i suddetti esemplari non fanno parte della riserva riproduttiva, se le competenti autorità abbiano il diritto, in sede di valutazione dell’osservanza della condizione stabilita all’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento [n. 865/2006], consistente nella costituzione di una riserva conforme a legge, che non nuoccia alla sopravvivenza delle specie interessate in ambiente naturale, di verificare l’origine di tali esemplari genitoriali e di inferirne se la riserva riproduttiva sia stata costituita a norma dell’articolo 54, paragrafo 2, di detto regolamento.

3)

Se, in sede di valutazione dell’osservanza della condizione stabilita all’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento [n. 865/2006], consistente nella costituzione di una riserva conforme a legge, che non nuoccia alla sopravvivenza delle specie interessate in ambiente naturale, sia possibile prendere in considerazione ulteriori circostanze del caso (in particolare, la buona fede al momento della cessione degli esemplari e la legittima aspettativa di poterne commercializzare i futuri discendenti, nonché, eventualmente, la meno restrittiva disciplina legale in vigore nella Repubblica ceca prima dell’adesione di quest’ultima all’Unione europea)».

Analisi

Sulla prima questione

28.

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la nozione di «riserva riproduttiva», ai sensi dell’articolo 1, punto 3), del regolamento n. 865/2006, comprenda i genitori di esemplari allevati da un determinato allevatore dei quali egli non era proprietario o possessore.

29.

A tale riguardo, rilevo, in via preliminare, che la qualificazione di esemplari di animali come «nati e allevati in cattività» ha conseguenze importanti per quanto attiene al loro status di protezione. Infatti, mentre, in forza dell’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 338/97, è vietato il commercio di esemplari di specie elencate nell’allegato A di tale regolamento, l’articolo 8, paragrafo 3, lettera d), dello stesso regolamento prevede che gli esemplari di una specie animale nati e allevati in cattività possano essere oggetto di un’esenzione dal divieto di commercializzazione (in prosieguo: l’«esenzione relativa all’allevamento in cattività»). L’organo di gestione competente rilascia un certificato in tal senso (in prosieguo: il «certificato di esenzione a fini di vendita»).

30.

L’articolo 54 del regolamento n. 865/2006 enuncia una serie di condizioni che devono essere soddisfatte affinché l’organo di gestione possa stabilire che gli esemplari sono nati e allevati in cattività. Più in particolare, a norma dell’articolo 54, punto 2), di tale regolamento, detto organo deve accertare che «la riserva riproduttiva originaria è stata costituita in osservanza della normativa a essa applicabile alla data della sua acquisizione ed in modo non nocivo per la sopravvivenza delle specie interessate in ambiente naturale».

31.

Nel caso di specie, è pacifico che i genitori degli esemplari acquisiti dal ricorrente (in altri termini, i nonni dell’ultima generazione di pappagalli) non soddisfano le condizioni previste all’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006. Infatti, gli esemplari nonni sono stati catturati in natura e importati nella Repubblica ceca in circostanze sospette. Tuttavia, il ricorrente afferma che la nozione di «riserva riproduttiva» non dovrebbe includere esemplari che non sono mai stati di sua proprietà né tenuti nelle sue operazioni di allevamento. A suo parere, le autorità dovrebbero esaminare i requisiti per la concessione di un’esenzione dal divieto di commercializzazione alla luce dello status giuridico dei soli esemplari tenuti nella sua operazione di allevamento.

32.

È in tale contesto che il giudice del rinvio intende accertare la portata della nozione di «riserva riproduttiva» ai sensi dell’articolo 1, punto 3), del regolamento n. 865/2006. Qualora tale nozione debba essere interpretata nel senso che comprende tutti gli esemplari utilizzati ai fini dell’allevamento di tale linea, indipendentemente dall’operazione nella quale sono tenuti, non occorrerebbe esaminare le altre due questioni. Le autorità devono tener conto, per definizione, dell’ascendenza della riserva riproduttiva all’atto di esame della sua costituzione, ai sensi dell’articolo 54, punto 2), di detto regolamento.

33.

Secondo una giurisprudenza costante della Corte, ai fini dell’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte ( 11 ).

34.

Quanto alla formulazione dell’articolo 1, punto 3), del regolamento n. 865/2006, esso definisce la nozione di «riserva riproduttiva» come «tutti gli animali utilizzati nelle operazioni di allevamento a fini di riproduzione».

35.

Il giudice del rinvio, e la Commissione europea nelle sue osservazioni, ritengono che nella formulazione della definizione di «riserva riproduttiva» rientrino esclusivamente gli animali destinati a una specifica operazione di allevamento. Infatti, tale definizione fa riferimento agli animali tenuti «nelle» operazioni di allevamento e non in qualsiasi operazione di allevamento.

36.

L’esame comparativo di varie versioni linguistiche depone a favore di tale interpretazione. La versione francese fa riferimento a «un établissement d’élévage», la versione spagnola a «un establecimiento», quella tedesca a «einem Zuchtbetrieb» e quella lettone a «dzīvnieki audzētavā» ( 12 ).

37.

Tuttavia, l’interpretazione testuale non è decisiva, poiché talune altre versioni linguistiche dell’articolo 1, punto 3), del regolamento n. 865/2006 suggeriscono che la nozione di «riserva riproduttiva» designa tutti gli animali che si trovano in un «processo» di allevamento ( 13 ). Inoltre, la Repubblica slovacca ritiene che il termine «operation», utilizzato nella versione inglese, designi un «processo di riproduzione», e non una specifica operazione di allevamento.

38.

Tenuto conto dell’apparente difformità delle versioni linguistiche dell’articolo 1, punto 3), del regolamento n. 865/2006, facenti ugualmente fede, è necessario esaminare il contesto in cui tale disposizione è inserita nonché gli obiettivi perseguiti da essa e dalla legislazione di cui fa parte ( 14 ).

39.

Per quanto riguarda il contesto dell’articolo 1, punto 3), del regolamento n. 865/2006, occorre ricordare che, come risulta dal primo considerando di tale regolamento, il suo obiettivo consiste, in particolare, nel garantire il pieno rispetto delle disposizioni della CITES. Pertanto, ai fini dell’interpretazione di tale regolamento occorre tener conto delle disposizioni della CITES, ivi comprese le risoluzioni adottate dalla Conferenza delle Parti della CITES (in prosieguo: le «risoluzioni della COP»), che contribuiscono a chiarire l’interpretazione delle disposizioni di tale convenzione ( 15 ).

40.

A tal riguardo, formulerò le seguenti osservazioni. Da un lato, la definizione della nozione di «riserva riproduttiva» ai sensi del regolamento n. 865/2006 è quasi identica a quella adottata nella risoluzione della COP 10.16. Detta risoluzione specifica che «the “breeding stock” of an operation means the ensemble of the animals in the operation that are used for reproduction» (la riserva riproduttiva di un’operazione designa l’insieme degli animali utilizzati in tale operazione a fini di riproduzione) ( 16 ). L’uso dell’articolo determinativo «the» (gli) prima dei sostantivi «animals» (animali) e «operation» (operazione) sembra suggerire che la nozione di «riserva riproduttiva» debba essere intesa nel senso che designa tutti gli animali utilizzati a fini di riproduzione in una specifica operazione di allevamento, e non da parte di diversi allevatori nell’ambito di un numero indefinito di operazioni.

41.

Dall’altro lato, ai sensi della risoluzione della COP 12.10 ( 17 ), un’«operazione» può essere registrata ai sensi della procedura ivi prevista soltanto se gli esemplari prodotti nell’ambito di tale operazione possono essere considerati come «allevati in cattività» ai sensi delle disposizioni della risoluzione della COP 10.16 ( 18 ). I termini della prima risoluzione e dei suoi allegati forniscono indicazioni sufficientemente chiare del fatto che per operazione di allevamento in cattività non si può intendere un «processo» ( 19 ).

42.

Per completezza, può essere utile osservare che, anche in altri settori del diritto, e più in particolare nel diritto agricolo dell’Unione, la nozione di «operazione di allevamento» è intesa in modo analogo. Il regolamento (UE) 2016/1012 ( 20 ) definisce la nozione di «ente ibridatore» come «qualsiasi associazione di allevatori, organizzazione di allevamento, impresa privata che opera in un sistema di produzione chiuso od organismo pubblico».

43.

Di conseguenza, la considerazione del contesto nel quale si inserisce il regolamento n. 865/2006 conferma l’interpretazione secondo cui la nozione di «riserva riproduttiva» ai sensi dell’articolo 1, punto 3), di tale regolamento comprende tutti gli animali in una specifica operazione di allevamento. In tale nozione non rientrano i genitori di esemplari allevati da un determinato allevatore dei quali egli non era proprietario o possessore.

44.

Per quanto riguarda l’obiettivo perseguito dall’articolo 1, punto 3), del regolamento n. 865/2006 e dalla normativa di cui fa parte, anch’essi depongono a favore di un’interpretazione più restrittiva della nozione di «riserva riproduttiva». La definizione della portata di tale nozione ha ripercussioni sulla determinazione dell’oggetto dell’esame delle autorità quando procedono alla valutazione della conformità o meno della costituzione della riserva riproduttiva alle condizioni enunciate all’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006. L’oggetto della valutazione dovrebbe essere specifico, preciso e concreto.

45.

In tale prospettiva, anche se l’interpretazione proposta dalla Repubblica slovacca, secondo cui l’espressione inglese «breeding operation» (operazione di allevamento) indica un «processo», potesse essere accolta, quod non, mi sembra evidente che detto processo non possa essere illimitato, ma debba essere inteso nel senso che presenta confini definiti all’interno di una determinata operazione.

46.

La Repubblica slovacca sostiene, tuttavia, che la considerazione dell’obiettivo globale perseguito dal regolamento n. 865/2006, consistente nella protezione delle specie minacciate, dovrebbe condurre a una conclusione diversa. A mio avviso, l’obiettivo perseguito da tale regolamento non può condurre a un’interpretazione della nozione di «riserva riproduttiva» incompatibile con il significato di detta nozione nel contesto normativo del quale fa parte. In ogni caso, l’interpretazione della nozione di «riserva riproduttiva» da me proposta non pregiudica la realizzazione dell’obiettivo della protezione delle specie minacciate. Come illustrerò nel contesto della seconda e terza questione pregiudiziale, tale obiettivo è preso in considerazione al fine di riconoscere che l’organo di gestione competente dispone del potere di esaminare l’ascendenza della riserva riproduttiva nel momento in cui stabilisce se un esemplare di una specie animale possa beneficiare o meno dell’esenzione relativa all’allevamento in cattività.

47.

Alla luce di quanto precede, concludo nel senso che la nozione di «riserva riproduttiva», ai sensi dell’articolo 1, punto 3), del regolamento n. 865/2006, comprende tutti gli animali tenuti in una specifica operazione di allevamento. Pertanto, tale nozione non comprende, in quanto tale, i genitori di esemplari allevati da un determinato allevatore dei quali egli non era proprietario o possessore.

Seconda e terza questione

48.

Con la seconda e la terza questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, da un lato, se l’organo di gestione competente abbia il potere di verificare l’origine della riserva riproduttiva al fine di assicurarsi che sia stata costituita legalmente e in modo non nocivo per la sopravvivenza della specie interessata in ambiente naturale, ai sensi dell’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006. Dall’altro lato, esso chiede se, nell’ambito di tale valutazione, siano determinanti le circostanze specifiche del caso, quali la buona fede dell’allevatore e la sua legittima aspettativa di poter commercializzare i futuri discendenti, nonché la disciplina legale meno restrittiva in vigore nella Repubblica ceca prima dell’adesione di quest’ultima all’Unione europea.

49.

Come tenterò di dimostrare nella mia analisi, le autorità dovrebbero avere il potere di verificare l’origine della riserva riproduttiva. Nel caso in cui non siano certe del fatto che siano soddisfatte le condizioni previste all’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006, esse dovrebbero poter rifiutare di concedere un’esenzione dal divieto di commercializzazione. A mio parere, tenuto conto della regola generale che vieta il commercio delle specie minacciate, le autorità dovrebbero poter utilizzare tutti i mezzi a loro disposizione per indagare sull’esistenza di indicatori di rischio e non ignorarli.

a) Sul potere dell’organo di gestione di determinare l’ascendenza della riserva riproduttiva

50.

In via preliminare, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte ( 21 ), ai fini dell’interpretazione di una norma del diritto dell’Unione, si deve tener conto non soltanto della lettera della stessa, ma anche del suo contesto e degli obiettivi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte.

51.

Per quanto riguarda, in primo luogo, il testo dell’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006, occorre rilevare che tale disposizione utilizza la nozione di «[costituzione]» della riserva riproduttiva, che è alquanto ampia. Essa può quindi essere intesa nel senso che implica l’esame di eventi verificatisi nel passato e, più in particolare, l’esame dell’ascendenza degli esemplari.

52.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, il contesto di tale disposizione, è importante ricordare, anzitutto, che l’articolo 8, paragrafo 1, del regolamento n. 338/97 enuncia una regola generale che vieta qualsiasi uso commerciale degli esemplari delle specie elencate nell’allegato A di tale regolamento. Le esenzioni previste all’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento, compresa l’esenzione relativa all’allevamento in cattività di una specie animale, possono essere concesse caso per caso. Il divieto di commercializzare specie minacciate riflette un principio fondamentale della CITES, secondo il quale il commercio degli esemplari di specie minacciate di estinzione deve essere autorizzato soltanto «in condizioni eccezionali» ( 22 ). Dato che il divieto di commercializzare specie minacciate rappresenta la regola, mentre la concessione di un’esenzione da tale regola per quanto riguarda le specie nate in cattività costituisce l’eccezione, detta eccezione deve essere interpretata restrittivamente.

53.

Inoltre, l’articolo 8, paragrafo 3, lettera d), del regolamento n. 338/97 autorizza, ma non impone di concedere esenzioni al divieto ivi sancito ( 23 ). Da tale disposizione risulta chiaramente che la concessione dell’esenzione relativa all’allevamento in cattività rappresenta una mera facoltà degli Stati membri ( 24 ).

54.

A tale riguardo, è importante sottolineare che dalla giurisprudenza della Corte risulta che, per quanto riguarda le specie incluse nell’allegato A del regolamento n. 338/97, gli Stati membri possono imporre un divieto generale, nel loro territorio, di qualsiasi uso commerciale di esemplari nati e allevati in cattività ( 25 ). Stando così le cose si dovrebbe ritenere, a fortiori, che, nel caso in cui siano previste esenzioni dal divieto di commercializzazione delle specie elencate, le autorità dispongano di un ampio margine di discrezionalità per quanto concerne i metodi che impiegano nell’esaminare se gli esemplari possano beneficiare di un’esenzione.

55.

Infine, occorre rilevare che l’articolo 55 del regolamento n. 865/2006 prevede che un’autorità competente debba poter esigere, a sua discrezione, l’analisi di campioni nei casi in cui, ai fini dell’articolo 54, ritenga necessario stabilire l’ascendenza di un esemplare attraverso analisi del sangue o di altri tessuti. Tale disposizione supporta la conclusione secondo cui le autorità hanno il potere di esaminare l’ascendenza della riserva riproduttiva al fine di pervenire alla loro decisione per quanto concerne la soddisfazione delle condizioni enunciate all’articolo 54, punto 2), di tale regolamento.

56.

Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’obiettivo del regolamento n. 865/2006, occorre ricordare che esso attua il regolamento n. 338/97. Il regime istituito da tali regolamenti al fine di tutelare gli esemplari delle specie elencate nell’allegato A del regolamento n. 338/97 mira a garantire la protezione più completa possibile delle specie di flora e fauna selvatiche attraverso il controllo del loro commercio, nel rispetto degli obiettivi, dei principi e delle disposizioni della CITES ( 26 ). L’interpretazione secondo cui le autorità hanno il potere di esaminare l’ascendenza degli esemplari nel contesto di una domanda di certificato di esenzione a fini di vendita contribuisce alla realizzazione dell’obiettivo perseguito da tali regolamenti.

57.

Ritengo inoltre particolarmente opportuno sottolineare che le condizioni per la classificazione di un esemplare di specie animale come nato e allevato in cattività, come previste dall’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006, corrispondono a quelle previste dal paragrafo 2, lettera b), punto ii), lettera A), della risoluzione della COP 10.16. Tale risoluzione è stata adottata tenuto conto della preoccupazione che «il commercio degli esemplari dichiarati come allevati in cattività resta contrario alla [CITES] e alle risoluzioni della Conferenza delle Parti e può nuocere alla sopravvivenza delle popolazioni selvatiche delle specie interessate». L’interpretazione secondo cui le autorità hanno il potere di verificare l’origine della riserva riproduttiva è conforme alle intenzioni della Conferenza delle Parti della CITES di rafforzare la tutela degli esemplari allevati in cattività.

58.

Qualsiasi altra interpretazione potrebbe contrastare con i summenzionati obiettivi. Come sottolineato dal giudice del rinvio, dalla Commissione europea, dalla Repubblica ceca e dalla Repubblica slovacca nelle loro osservazioni scritte, è necessario evitare un rischio di una facile «legittimazione» o di un «riciclaggio» di esemplari illegalmente commercializzati. Infatti, sarebbe sufficiente che un allevatore acquisisse i discendenti di un esemplare catturato in natura per rendere legale la loro successiva commercializzazione ( 27 ). In tale ottica, non ritengo persuasiva l’affermazione del giudice del rinvio secondo cui non sarebbe possibile un trasferimento «disonesto» all’interno dell’Unione europea.

59.

Alla luce di quanto precede, ritengo che le autorità abbiano il potere di esaminare l’ascendenza della riserva riproduttiva ai fini di valutare la sua costituzione ai sensi dell’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006.

b) Sugli aspetti pratici e sull’onere della prova ai fini della determinazione dell’ascendenza della riserva riproduttiva

60.

È importante affrontare, in questa fase, le preoccupazioni espresse dal giudice del rinvio in merito agli aspetti pratici dell’esame, da parte delle autorità, dell’ascendenza della riserva riproduttiva. Tali dubbi corrispondono, in certa misura, agli argomenti addotti dal ricorrente nelle sue osservazioni scritte.

61.

Mi trovo d’accordo con la Repubblica ceca e con la Commissione, le quali sottolineano, nelle loro osservazioni scritte e nella risposta a un quesito posto dalla Corte, che detto esame da parte delle autorità può estendersi fino al momento in cui i primi esemplari sono stati prelevati in natura. Come osservato al paragrafo 51 delle presenti conclusioni, la nozione di «[costituzione]» della riserva riproduttiva di cui all’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006 è molto ampia. La sua portata può quindi includere l’esame dell’intera linea di allevamento fino agli esemplari prelevati in natura. Inoltre, come giustamente rilevato dalla Commissione nella sua risposta a un quesito posto dalla Corte, il termine «ascendenza», impiegato all’articolo 55 del regolamento n. 865/2006 è più ampio del termine «genitori» utilizzato all’articolo 54, punto 1), lettera a), di tale regolamento. Il termine «ascendenza» sembra quindi suggerire che le autorità dovrebbero avere il potere di estendere le loro indagini al momento in cui gli esemplari sono stati prelevati in natura, come nel caso degli esemplari nonni in questione.

62.

A mio avviso, il lasso di tempo eventualmente trascorso dal momento del prelievo della riserva riproduttiva in natura non è decisivo, in quanto tale, in circostanze in cui l’attività prospettata implichi il commercio. Il regolamento n. 338/97 prevede già una situazione specifica in cui le autorità possono decidere di concedere un’esenzione sulla base del decorso del tempo. Tale situazione riguarda «esemplari lavorati e acquisiti da più di cinquant’anni» ( 28 ) ai sensi dell’articolo 2, lettera w), del regolamento n. 338/97. Gli esemplari in questione, tuttavia, non rientrano nell’ambito di applicazione di tale disposizione.

63.

Il ricorrente sostiene che la necessità di provare la legalità dell’intera linea di allevamento determina un onere della prova irragionevole. Non ne sono convinto.

64.

A tale riguardo, è opportuno ricordare che, come affermato al paragrafo 30 delle presenti conclusioni, l’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006 enuncia due condizioni che le autorità amministrative sono tenute ad esaminare per quanto concerne la costituzione della riserva riproduttiva. La prima riguarda la costituzione della riserva riproduttiva «in osservanza della normativa a essa applicabile alla data della sua acquisizione» (in prosieguo: l’«accertamento della legalità dell’acquisizione»). La seconda riguarda la costituzione della riserva riproduttiva «in modo non nocivo per la sopravvivenza delle specie interessate in ambiente naturale» (in prosieguo: l’«accertamento dell’assenza di effetti negativi»). Questi due accertamenti non sono limitati alla questione se gli esemplari debbano essere considerati nati e allevati in cattività; esse rispecchiano un approccio generale alla disciplina del commercio prevista dal regolamento n. 338/97 e dalla CITES ( 29 ).

65.

Nell’ambito delle verifiche effettuate dalle autorità, è importante osservare che, ai sensi dell’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006, un esame dell’ascendenza risulta essere una prassi comune, come sottolineato dalla Repubblica ceca e dalla Commissione europea nelle loro osservazioni scritte.

66.

La Repubblica ceca e la Commissione europea spiegano, in sostanza, che gli allevatori non devono provare sistematicamente la legittimità dell’intera ascendenza della riserva riproduttiva. Le autorità procedono a una valutazione dei rischi a seconda delle circostanze di ciascun caso ( 30 ). Nell’effettuare tale valutazione, «il grado di rischio per le specie (rischio di pregiudizio, di coinvolgimento nel commercio illegale, ecc.)» dovrebbe «determinare il grado di controllo» ( 31 ). La Commissione europea, nella sua risposta scritta a un quesito della Corte, offre alcuni esempi di indicatori di rischio pertinenti ai quali le autorità dovrebbero prestare particolare attenzione. Tali indicatori di rischio comprendono in particolare i seguenti elementi: un aumento improvviso o un notevole volume degli scambi di esemplari dichiarati in cattività; una dichiarazione degli esemplari come allevati in cattività da operazioni il cui livello di produzione annua supera il livello normale, tenuto conto della dimensione della popolazione genitoriale e del potenziale di riproduzione delle specie interessate; esemplari le cui dimensioni e condizioni non sono conformi ai dati di riproduzione comunicati; o l’esistenza di dubbi circa l’origine legale della riserva riproduttiva che potrebbe essere stata acquisita prima che il paese in cui quest’ultima è ubicata sia divenuto parte della CITES. La Commissione europea ha altresì dichiarato che essa collabora attualmente con gli Stati membri all’elaborazione di un documento di orientamento con esempi pertinenti di indicatori di rischio.

67.

La Commissione europea ha altresì sottolineato che, nel valutare l’eventuale rilascio di un certificato di esenzione a fini di vendita, le autorità prendono in considerazione i requisiti in materia di catena di custodia ( 32 ). Tale esame riguarda la documentazione relativa alla legalità dell’acquisizione della riserva riproduttiva. In tale contesto, non sembra irragionevole esigere all’allevatore la prova della legalità dell’acquisizione sulla base dei registri di allevamento. Per di più, la Commissione europea ha precisato, in risposta a un quesito posto dalla Corte, che se la documentazione non esiste, la legalità della catena di custodia può essere provata con altri mezzi.

68.

Occorre altresì ricordare che, per quanto riguarda gli esemplari di specie elencate nell’allegato B del regolamento n. 338/97, la Corte ha dichiarato che il compito di stabilire i mezzi di prova idonei a dimostrare che la condizione della legalità dell’acquisizione sia soddisfatta è lasciato alle competenti autorità degli Stati membri ( 33 ). Ritengo che lo stesso ragionamento debba applicarsi per analogia agli esemplari delle specie elencate nell’allegato A del medesimo regolamento, tenuto conto del fatto che quest’ultimo non precisa quali mezzi di prova consentano di dimostrare la legalità dell’acquisizione di tali esemplari.

69.

Per quanto riguarda il punto di riferimento per l’accertamento della legalità dell’acquisizione, dai termini dell’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006 risulta che le autorità devono tener conto delle disposizioni di legge applicabili alla data di acquisizione di ciascun esemplare, di generazione in generazione. Per quanto riguarda il punto di riferimento per l’accertamento dell’assenza di effetti negativi, si deve osservare che esso non è specificamente indicato in tale disposizione. In assenza di siffatta indicazione, il punto di riferimento potrebbe essere considerato lo stesso dell’accertamento della legalità dell’acquisizione, ossia la data di acquisizione degli esemplari originali. Tuttavia, l’accertamento dell’assenza di effetti negativi è assai ampio e può includere diversi metodi di valutazione ( 34 ). La natura dell’accertamento di cui trattasi risulta più compatibile con l’esame dell’evoluzione delle specie nel corso di un periodo di tempo, anziché in una data specifica. In tale prospettiva, sembra più opportuno evitare la fissazione di limiti. Tendo quindi a condividere l’approccio della Commissione esposto nella risposta a un quesito posto dalla Corte secondo cui, per giungere a un accertamento valido, le autorità dovrebbero poter tener conto dello stato delle specie al momento della valutazione. Siffatta interpretazione garantisce che «alla base dell’accertamento dell’assenza di effetti negativi vi siano le migliori informazioni scientifiche disponibili» ( 35 ).

70.

La mia ultima osservazione in merito alle valutazioni effettuate dalle autorità riguarda il fatto che esse sono tenute, in ogni caso, a conformarsi al principio generale del diritto dell’Unione relativo ad una buona amministrazione, il quale comporta requisiti che gli Stati membri sono tenuti a rispettare quando attuano il diritto dell’Unione. Tra tali requisiti, l’obbligo di motivazione delle decisioni adottate dalle autorità nazionali riveste un’importanza particolare, in quanto consente ai destinatari di tali decisioni di difendere i loro diritti e di decidere con piena cognizione di causa se occorra proporre un ricorso giurisdizionale contro di esse. Tale obbligo è altresì necessario per consentire ai giudici di esercitare il controllo di legittimità di dette decisioni e costituisce quindi una delle condizioni dell’effettività del controllo giurisdizionale garantito dall’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») ( 36 ). Nel caso di specie, non vi è alcun elemento del fascicolo che dimostri una violazione dell’obbligo di motivazione o una qualsiasi altra irregolarità nella procedura seguita dall’organo di gestione competente. Detto organo ha rifiutato la concessione di un’esenzione ai fini della commercializzazione degli esemplari in questione sulla base della raccomandazione dell’autorità scientifica di non concedere l’esenzione.

71.

Tenuto conto di quanto precede, ritengo che riconoscere all’organo di gestione competente il potere di esaminare l’origine degli esemplari all’atto di valutazione dell’eventuale concessione di un certificato di esenzione a fini di vendita non equivale a imporre agli allevatori un onere della prova irragionevole.

c) Rilevanza delle circostanze particolari del caso di specie ai fini della valutazione delle condizioni enunciate all’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006

72.

L’ultimo punto della mia analisi affronterà il problema sollevato dalla terza questione del giudice del rinvio, concernente la rilevanza delle circostanze particolari del caso nell’ambito della valutazione delle condizioni enunciate all’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006. Secondo il giudice del rinvio, dette circostanze particolari includono la (presunta) legittima aspettativa dell’allevatore circa il suo diritto di commercializzare i discendenti degli esemplari nonni, la sua buona fede per quanto riguarda la legalità dell’acquisizione e la normativa meno restrittiva applicabile nella Repubblica ceca prima della sua adesione all’Unione europea.

73.

A mio avviso, nessuna delle summenzionate circostanze giustifica, di per sé, che l’organo di gestione adotti un approccio più benevolo e conceda un’esenzione ai fini della commercializzazione degli esemplari in questione.

74.

Anzitutto, le condizioni enunciate all’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006, ai sensi delle quali le autorità devono valutare la possibilità di classificare gli esemplari come nati e allevati in cattività, non si riferiscono all’allevatore, bensì alla costituzione della riserva riproduttiva. Inoltre, tali condizioni sono cumulative. Anche qualora le autorità concludano che la riserva riproduttiva era legale al momento dell’acquisizione, questa sola constatazione non è sufficiente ai fini della concessione di un’esenzione. Inoltre, come ho indicato in precedenza ( 37 ), affinché l’organo di gestione accerti validamente l’assenza di effetti negativi, esso deve tener conto di elementi aggiornati sullo stato delle specie.

75.

Date tali circostanze, ritengo che l’esistenza di un quadro normativo meno stringente applicabile al momento dell’acquisizione della riserva riproduttiva, prima dell’adesione del paese all’Unione europea ( 38 ), non sia una ragione in base alla quale l’organo di gestione può concedere un’esenzione al divieto di commercializzazione degli esemplari in questione. Occorre altresì rilevare che, al momento dell’acquisizione degli esemplari di cui trattasi, la CITES era già applicabile nella Repubblica ceca. Inoltre, il ricorrente non ha sostenuto che gli esemplari in questione possono beneficiare dell’esenzione applicabile agli «esemplari pre-convenzione», ossia gli esemplari di specie elencate acquisiti prima che la CITES fosse loro applicabile ( 39 ).

76.

Più in particolare, per quanto riguarda l’asserita legittima aspettativa dell’allevatore, la CITES non incide «in alcun modo» sul diritto delle parti di adottare misure interne più rigorose rispetto alle condizioni applicabili al commercio di esemplari delle specie incluse nell’appendice I e «[neppure] misure intese a vietare tali attività» ( 40 ). Pertanto, i commercianti non dovrebbero nutrire aspettative quanto all’immutabilità del quadro legislativo allorché decidano di commercializzare esemplari che rientrano nella regola generale di divieto prevista nella CITES. Gli allevatori devono, invece, dare prova della dovuta diligenza allorché intendano esercitare siffatto commercio ( 41 ).

77.

Il giudice del rinvio chiede se il fatto che il ricorrente non possa commercializzare gli esemplari in questione interferisca con il suo diritto di proprietà ai sensi dell’articolo 17 della Carta. Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante ( 42 ), il diritto di proprietà non si presenta quale prerogativa assoluta, bensì deve essere considerato in rapporto alla sua funzione sociale. Ne consegue che possono essere apportate restrizioni all’esercizio di questo diritto, purché tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile che leda la sostanza stessa del diritto così garantito. Per quanto riguarda gli obiettivi di interesse generale sopra menzionati, la tutela della fauna selvatica è uno di essi ( 43 ), ed è quindi idonea a giustificare una restrizione all’esercizio del diritto di proprietà. Per quanto riguarda il principio di proporzionalità, è sufficiente constatare che il regolamento n. 338/97 e il regolamento n. 865/2006 individuano un equilibrio tra le esigenze di tale diritto e quelle connesse alla protezione della fauna selvatica. Di conseguenza, ritengo che il diritto di proprietà del ricorrente non sia stato violato.

78.

È altresì opportuno osservare che al ricorrente è stato permesso conservare gli esemplari e che egli non è stato sottoposto ad alcuna sanzione amministrativa o penale. La presente causa non sembra quindi esigere un’analisi più approfondita quanto al rispetto del principio di proporzionalità.

79.

Il ricorrente sostiene, tuttavia, che la sua attività di allevamento ha un impatto positivo sull’ambiente. A suo parere, il commercio degli esemplari in questione, allevati in cattività, determina un calo della domanda di acquisizione illegale di esemplari catturati in natura. Si tratta, a mio avviso, di un’affermazione non fondata. L’articolo 8, paragrafo 3, lettera f), del regolamento n. 338/97 prevede, in particolare, che possa essere concessa un’esenzione al divieto di commercializzazione quando gli esemplari «siano destinati a scopi di allevamento o riproduzione, dai quali la conservazione della specie in questione trarrà beneficio». Tuttavia, non risulta dal fascicolo né è stato sostenuto dinanzi alla Corte che l’allevatore abbia chiesto alle autorità un’esenzione fondata su tale disposizione. In ogni caso, come rilevato dalla Repubblica ceca nella sua risposta scritta a un quesito posto dalla Corte, tale disposizione presuppone che l’attività prevista determini benefici concreti per la conservazione, come nel caso della partecipazione a progetti di conservazione gestiti da zoo o nel caso in cui gli esemplari siano rilasciati in natura.

80.

La mia ultima osservazione riguarda la rilevanza della durata del periodo trascorso dal momento del prelievo della riserva riproduttiva in natura. Come ho rilevato al paragrafo 62 delle presenti conclusioni, tale elemento non dovrebbe essere decisivo, in quanto tale, qualora la valutazione dei rischi abbia indotto le autorità a decidere di non concedere un’esenzione. La regola generale che vieta attività commerciali concernenti esemplari protetti non è limitata nel tempo. Per ragioni di completezza, desidero sottolineare nuovamente che la presente causa non riguarda azioni penali, nel qual caso si applicherebbe il principio della prescrizione. Inoltre, sotto il profilo del diritto civile, occorre rilevare che la legalità dell’acquisizione degli esemplari in questione non è oggetto di contestazione.

81.

Tenuto conto di quanto precede, non ritengo che le specifiche circostanze della causa, quali quelle esposte dal giudice del rinvio, siano rilevanti nell’ambito dell’esame, da parte delle autorità, delle condizioni previste all’articolo 54, punto 2), del regolamento n. 865/2006.

Conclusione

82.

Alla luce di quanto precede, propongo di rispondere alle questioni proposte nei seguenti termini:

1)

Nella nozione di «riserva riproduttiva» ai sensi dell’articolo 1, punto 3), del regolamento (CE) n. 865/2006 della Commissione, del 4 maggio 2006, recante modalità di applicazione del regolamento n. 338/97 del Consiglio, come modificato dal regolamento (UE) 2015/870 della Commissione, del 5 giugno 2015, rientrano tutti gli animali utilizzati in una specifica operazione di allevamento. Tale nozione non comprende i genitori di esemplari allevati da un determinato allevatore dei quali egli non era proprietario o possessore.

2)

L’organo di gestione competente ha il potere di verificare l’origine della riserva riproduttiva per assicurarsi che essa sia stata costituita legalmente e in modo non nocivo per la sopravvivenza delle specie interessate in ambiente naturale, ai sensi dell’articolo 54, punto 2), del regolamento (CE) n. 865/2006 della Commissione, del 4 maggio 2006. Ai fini di tale valutazione, non sono decisive le specifiche circostanze del caso, quali la buona fede dell’allevatore e la sua legittima aspettativa di poter commercializzare i futuri discendenti, nonché la disciplina legale meno restrittiva in vigore nella Repubblica ceca prima dell’adesione di quest’ultima all’Unione europea.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Firmata a Washington (Stati Uniti) il 3 marzo 1973 (United Nations Treaty Series, vol. 993, n. I‑14537).

( 3 ) Bowman, M., «A Tale of Two CITES: Divergent Perspectives upon the Effectiveness of the Wildlife Trade Convention», Review of European, Comparative & International Environmental Law, vol. 22, 2013, pag. 228, che cita Davies, P., in Bowman, M., Davies, P. e Redgwell, C., Lyster’s International Wildlife Law, 2 a edizione, Cambridge University Press, Cambridge, 2010, pagg. 484 e 533.

( 4 ) Come riconosciuto nella risoluzione della Conferenza delle Parti 11.3 «Adempimento ed esecuzione».

( 5 ) Nellemann, C. e al. (a cura di), The Rise of Environmental Crime – A Growing Threat to Natural Resources, Peace, Development and Security, A UNEP – Interpol Rapid Response Assessment, UNEP, 2016, pag. 7.

( 6 ) Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine, World Wildlife Crime Report 2020: Trafficking in protected species, Nazioni Unite, New York, 2020, pag. 3.

( 7 ) Ibidem.

( 8 ) Regolamento del Consiglio del 9 dicembre 1996 relativo alla protezione di specie della flora e della fauna selvatiche mediante il controllo del loro commercio (GU 1997, L 61, pag. 1), come modificato dal regolamento (UE) n. 1320/2014 della Commissione, del 1o dicembre 2014 (GU 2014, L 361, pag. 1).

( 9 ) Regolamento della Commissione, del 4 maggio 2006, recante modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 338/97 (GU 2006, L 166, pag. 1), come modificato dal regolamento (UE) 2015/870 della Commissione, del 5 giugno 2015 (GU 2015, L 142, pag. 3).

( 10 ) Regolamento del Consiglio del 3 dicembre 1982 relativo all’applicazione nella Comunità della convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione (GU 1982, L 384, pag. 1).

( 11 ) Sentenza dell’8 dicembre 2020, Staatsanwaltschaft Wien (Falsificazione di ordini di bonifico) (C‑584/19, EU:C:2020:1002, punto 49).

( 12 ) Il corsivo è mio.

( 13 ) Mi riferisco, più in particolare, alle versioni slovena, greca e croata.

( 14 ) V., in tal senso, sentenza del 24 marzo 2021, A (C‑950/19, EU:C:2021:230, punti 3738).

( 15 ) V., per analogia, sentenza del 12 maggio 2021, Hauptzollamt B (Caviale di storione) (C‑87/20, EU:C:2021:382, punti 3031).

( 16 ) Risoluzione della COP 10.16, punto 1, lettera c).

( 17 ) Tale risoluzione è intitolata «Registrazione delle operazioni di allevamento in cattività a fini commerciali di specie di animali di cui all’appendice I». Essa non è stata attuata nell’Unione europea, il che significa che la registrazione delle operazioni commerciali di allevamento in cattività presso il segretariato CITES non è una condizione ai fini della commercializzazione nell’Unione europea. Ciò premesso, tale risoluzione può essere utilizzata come punto di riferimento per quanto concerne l’interpretazione della nozione di «operazione di allevamento».

( 18 ) Risoluzione della COP 12.10, punto 5, lettera c).

( 19 ) Ad esempio, l’allegato 1 della risoluzione della COP 12.10 enuncia le informazioni che l’organo di gestione deve fornire al segretariato sulle operazioni da registrare, tra le quali figurano il nominativo e l’indirizzo del proprietario e del gestore dell’operazione di allevamento in cattività, la data di costituzione e la descrizione degli impianti che ospitano gli esemplari. L’allegato 3 della stessa risoluzione prevede un fac simile di modulo di domanda, che richiede, in particolare, l’indicazione delle informazioni di contatto del proprietario e del gestore dell’operazione di allevamento in cattività.

( 20 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2016 relativo alle condizioni zootecniche e genealogiche applicabili alla riproduzione, agli scambi commerciali e all’ingresso nell’Unione di animali riproduttori di razza pura, di suini ibridi riproduttori e del loro materiale germinale, che modifica il regolamento (UE) n. 652/2014, le direttive 89/608/CEE e 90/425/CEE del Consiglio, e che abroga taluni atti in materia di riproduzione animale («regolamento sulla riproduzione degli animali») (GU 2016, L 171, pag. 66).

( 21 ) V. supra, nota 11.

( 22 ) Articolo II, paragrafo 1, della CITES.

( 23 ) Sentenza del 23 ottobre 2001, Tridon (C‑510/99, EU:C:2001:559, punto 34).

( 24 ) V., in tal senso, sentenza del 23 ottobre 2001, Tridon (C‑510/99, EU:C:2001:559, punto 30).

( 25 ) V., in tal senso, sentenza del 23 ottobre 2001, Tridon (C‑510/99, EU:C:2001:559, punto 41).

( 26 ) V., in tal senso, sentenza del 4 settembre 2014, Sofia Zoo (C‑532/13, EU:C:2014:2140, punto 34).

( 27 ) V. Lieberman, S., «Procedures used by the United States of America in making CITES non-detriment findings» in Rosser, A., Haywood, M., Guidance for CITES Scientific Authorities: Checklist to Assist in Making Non-detriment findings for Appendix II Exports, IUCN – The World Conservation Union, Gland, Switzerland and Cambridge, UK, 2002, pag. 32, la quale, relativamente alle procedure impiegate negli Stati Uniti d’America, osserva quanto segue: «vi sono (...) troppi casi in cui gli animali possono essere allevati in cattività, ma la riserva riproduttiva non è stata ottenuta legalmente e, quindi, anche l’esportazione dei discendenti sarebbe pregiudizievole per la sopravvivenza della specie (determinando un aumento della domanda e agevolando un commercio pregiudizievole)».

( 28 ) Articolo 8, paragrafo 3, lettera b).

( 29 ) V. articolo 5, paragrafo 2, lettere a) e b), del regolamento n. 338/97 e articolo IV, paragrafo 2, lettere a) e b), della CITES per quanto riguarda le condizioni di rilascio di una licenza di esportazione delle specie elencate. V. anche risoluzione della COP 18.7 «Accertamento della legalità dell’acquisizione» e risoluzione della COP 16.7 «Accertamento dell’assenza di effetti negativi».

( 30 ) Nel contesto specifico dell’accertamento della legalità dell’acquisizione ai fini dell’esportazione di specie elencate nella CITES, la risoluzione della COP 18.7 definisce il termine «valutazione del rischio» come la «valutazione della probabilità che un esemplare di una specie elencata nella CITES non sia stato acquisito legalmente».

( 31 ) Lieberman, S., op. cit. pag. 30.

( 32 ) Nel contesto specifico dell’accertamento della legalità dell’acquisto ai fini dell’esportazione di specie elencate nella CITES, la risoluzione della COP 18.7 definisce l’espressione «catena di custodia» nei seguenti termini: «documentazione cronologica, per quanto possibile e conformemente alle leggi e ai registri applicabili, delle operazioni relative al prelievo di un esemplare in natura e alla successiva proprietà di tale esemplare».

( 33 ) Sentenza del 16 luglio 2009, Rubach (C‑344/08, EU:C:2009:482, punto 27).

( 34 ) V. risoluzione della COP 16.7 (Rev. CoP17), «Accertamento dell’assenza di effetti negativi».

( 35 ) Risoluzione della COP 14.2 «CITES Strategic Vision: 2008-2013» (visione strategica della CITES 2008-2013), obiettivo 1.5.

( 36 ) Sentenza del 7 settembre 2021, Klaipėdos regiono atliekų tvarkymo centras (C‑927/19, EU:C:2021:700, punto 120).

( 37 ) Paragrafo 69.

( 38 ) V. le precisazioni del giudice del rinvio al riguardo al paragrafo 26 delle presenti conclusioni.

( 39 ) L’esenzione per gli esemplari pre-convenzione è prevista all’articolo 8, paragrafo 3, lettera a), del regolamento n. 338/97. V. Davies P., op. cit. pag. 510.

( 40 ) Articolo XIV, paragrafo 1, lettera a), della CITES.

( 41 ) Diversa è la questione se le autorità debbano eventualmente prevedere misure transitorie per consentire ai commercianti di adeguarsi. Tuttavia, il ricorrente non ha invocato una violazione della sua legittima aspettativa per tale motivo.

( 42 ) V. sentenza del 15 gennaio 2013, Križan e a. (C‑416/10, EU:C:2013:8, punto 113).

( 43 ) V., in tal senso, sentenza del 19 giugno 2008, Nationale Raad van Dierenkwekers en Liefhebbers e Andibel (C‑219/07, EU:C:2008:353, punto 27).