Edizione provvisoria

CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GIOVANNI PITRUZZELLA

presentate il 14 novembre 2023 (1)

Cause riunite da C541/20 a C555/20

Repubblica di Lituania (C541/20 e C542/20)

Repubblica di Bulgaria (da C543/20 a C545/20)

Romania (da C546/20 a C548/20)

Repubblica di Cipro (C549/20 e C550/20)

Ungheria (C551/20)

Repubblica di Malta (C552/20)

Repubblica di Polonia (da C553/20 a C555/20)

contro

Parlamento europeo

Consiglio dell’Unione europea


 

«Ricorso di annullamento – Pacchetto mobilità – Regolamento (UE) 2020/1054 – Periodi di guida massimi giornalieri e settimanali – Interruzioni minime e periodi di riposo giornalieri e settimanali – Obbligo relativo al ritorno dei conducenti – Divieto di effettuare i periodi di riposo settimanale regolari e superiori a 45 ore a bordo del veicolo – Termine per l’installazione dei tachigrafi intelligenti di seconda generazione (V2) – Data di entrata in vigore – Regolamento (UE) 2020/1055 – Condizioni da rispettare per esercitare la professione di trasportatore su strada – Condizioni relative al requisito di stabilimento – Obbligo relativo al ritorno dei veicoli alla sede di attività nello Stato membro di stabilimento – Obbligo relativo al numero di veicoli e di conducenti che hanno normalmente come base la sede di attività nello Stato membro di stabilimento – Trasporto di cabotaggio – Periodo di attesa di quattro giorni per il cabotaggio – Deroga relativa al cabotaggio nel quadro di operazioni di trasporto combinato – Direttiva (UE) 2020/1057 – Norme specifiche per il distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada – Termine di trasposizione – Mercato interno – Regime giuridico speciale dei trasporti – Libertà fondamentali – Principio di proporzionalità – Valutazione d’impatto – Principio di non discriminazione – Tutela dell’ambiente – Articolo 11 TFUE – Articolo 37 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Principio della certezza del diritto – Articolo 91 TFUE – Presa in considerazione della situazione economica dei vettori – Articolo 94 TFUE»






Indice


I. Contesto normativo

A. Regolamento 2020/1054 (Pacchetto mobilità, parte «durata dell’orario di lavoro»)

B. Regolamento 2020/1055 (Pacchetto mobilità, parte «stabilimento»)

C. Direttiva 2020/1057 (Pacchetto mobilità, parte «distacco dei lavoratori»)

II. Fatti

III. Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

IV. Analisi

A. Osservazioni preliminari

1. Sul regime giuridico speciale dei trasporti nel mercato interno

2. Sul principio di proporzionalità

a) Sul principio di proporzionalità, l’ampio margine di discrezionalità del legislatore e il sindacato giurisdizionale

b) Sui dati che devono essere presi in considerazione nel procedimento legislativo e sulla valutazione d’impatto

3. Sui principi della parità di trattamento e di non discriminazione

4. Sulle disposizioni di diritto dell’Unione riguardanti la politica in materia ambientale

B. Sul regolamento 2020/1054 (cause C541/20, C543/20, C546/20, C551/20 e C553/20)

1. Sui motivi riguardanti l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti

a) Sulla ricevibilità del ricorso nella causa C543/20 per quanto riguarda l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

b) Sulla violazione del principio della certezza del diritto

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

c) Sulla violazione delle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

d) Sulla violazione del principio di proporzionalità

1) Sui motivi vertenti sulla proporzionalità dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti

i) Argomenti delle parti

ii) Analisi

– Sugli obiettivi della normativa in questione

– Sulle ripercussioni negative sui conducenti

– Sulle ripercussioni negative sui trasportatori

– Sulle ripercussioni negative sull’ambiente

– Sull’esistenza di alternative meno onerose

2) Sui motivi vertenti sull’esame, da parte del legislatore dell’Unione, della proporzionalità dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti

i) Argomenti delle parti

ii) Analisi

e) Sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

i) Sulla portata dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE

ii) Sulle asserite violazioni dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE

f) Sulla violazione delle disposizioni di diritto dell’Unione riguardanti la politica in materia di ambiente e di cambiamenti climatici

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

g) Sulla violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

h) Conclusione sui motivi riguardanti l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti

2. Sui motivi riguardanti il divieto di riposo settimanale regolare in cabina

a) Sulla violazione del principio di proporzionalità

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

i) Osservazioni preliminari

ii) Sulla sentenza Vaditrans e sulla sua portata

iii) Sulla proporzionalità dell’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054

b) Sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

c) Sulla violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

d) Sulla violazione delle disposizioni di diritto dell’Unione in materia di libera prestazione dei servizi di trasporto e del mercato unico

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

e) Conclusione sui motivi riguardanti il divieto di riposo settimanale in cabina

3. Sui motivi riguardanti l’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054

a) Sulla violazione del principio di proporzionalità

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

b) Sulla violazione dei principi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

c) Sulla violazione dell’articolo 151, secondo comma, TFUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

4. Sui motivi riguardanti l’articolo 3 del regolamento 2020/1054

a) Sull’operatività dei motivi riguardanti l’articolo 3 del regolamento 2020/1054

b) Sulla violazione del principio di proporzionalità

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

c) Sulla violazione dell’obbligo di motivazione

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

d) Sulla violazione del principio di leale cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

5. Conclusione sui ricorsi riguardanti il regolamento 2020/1054

C. Sul regolamento 2020/1055 (cause C542/20, C545/20, C547/20, C549/20, C551/ 20, C552/20 e C554/20)

1. Sull’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane [articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella misura in cui modifica l’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1071/2009]

a) Sui motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE per mancata consultazione del CESE e del CdR

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

b) Sui motivi vertenti sulla violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente e di cambiamenti climatici

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

i) Sull’asserita violazione dell’articolo 3 TUE, degli articoli 11 e 191 TFUE e dell’articolo 37 della Carta

ii) Sull’asserita violazione degli impegni internazionali dell’Unione e degli Stati membri nel settore della tutela dell’ambiente

iii) Sull’asserita violazione della politica ambientale dell’Unione in ragione della contrarietà dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane al diritto derivato in materia di ambiente, alle conclusioni del Consiglio europeo e al Green Deal europeo

iv) Conclusione dell’analisi

c) Sui motivi vertenti sulla violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

d) Sui motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità

1) Sull’esame, da parte del legislatore dell’Unione, della proporzionalità dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane

i) Argomenti delle parti

ii) Analisi

2) Sull’esame della proporzionalità del provvedimento

e) Sui motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

f) Sui motivi vertenti sulla violazione delle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

g) Conclusione

2. Sull’obbligo di disporre di un numero di veicoli e di conducenti proporzionato al volume delle operazioni di trasporto effettuate dall’impresa [articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 nella parte in cui ha aggiunto la lettera g) all’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 1071/2009]

a) Sul primo motivo, vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

b) Sul motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

c) Sul motivo vertente sulla violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

d) Conclusione

3. Sul periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio [articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055, che ha introdotto un paragrafo 2 bis nell’articolo 8 del regolamento n. 1072/2009]

a) Sui motivi vertenti sulla violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente e di cambiamenti climatici

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

b) Sui motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

i) Sull’esame da parte del legislatore dell’Unione della proporzionalità del periodo di attesa tra due periodi di cabotaggio

ii) Sul carattere proporzionato del periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato

c) Sui motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

d) Sui motivi vertenti sulla violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

e) Sui motivi vertenti sulla violazione degli articoli 26 e da 34 a 36 nonché dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

f) Conclusione

4. Sulla possibilità di assoggettare le operazioni di trasporto combinato a un periodo di attesa [articolo 2, punto 5, lettera b), del regolamento 2020/1055 nella parte in cui aggiunge un paragrafo 7 all’articolo 10 del regolamento n. 1072/2009 o la «clausola di salvaguardia»]

a) Sul motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

b) Sui motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

c) Sul motivo vertente sulla violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

d) Conclusione

5. Conclusione sui ricorsi riguardanti il regolamento 2020/1055

D. Sulla direttiva 2020/1057

1. Osservazioni preliminari

a) Sulla direttiva 2020/1057 e sulla normativa ivi prevista relativa al distacco dei conducenti

b) Sulla portata dei ricorsi della Repubblica di Bulgaria e della Repubblica di Cipro, rispettivamente nelle cause C544/20 e C550/20

2. Sui motivi riguardanti le norme specifiche relative al distacco dei conducenti

a) Osservazioni preliminari

b) Sulla giurisprudenza della Corte in materia di distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada

c) Sul motivo vertente sulla non applicabilità della direttiva 96/71 ai conducenti nel settore del trasporto su strada

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

d) Sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

e) Sulla violazione del principio di proporzionalità

1) Sui motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità

i) Argomenti delle parti

– Sull’inadeguatezza del criterio basato sul tipo di operazioni di trasporto

– Sul carattere inadeguato e non necessario del «modello ibrido» per contribuire agli obiettivi perseguiti

– Sugli effetti negativi sproporzionati

ii) Analisi

– Osservazioni preliminari

– Sugli obiettivi delle norme specifiche relative al distacco dei conducenti, previste dalla direttiva 2020/1057

– Sull’inadeguatezza del criterio basato sul tipo di operazioni di trasporto

– Sul carattere inadeguato e non necessario del «modello ibrido» per contribuire agli obiettivi perseguiti

– Sugli effetti negativi sproporzionati

2) Sui motivi vertenti sull’esame della proporzionalità da parte del legislatore dell’Unione

i) Argomenti delle parti

ii) Analisi

– Osservazioni preliminari

– Sull’assenza di un complemento di valutazione d’impatto per la versione definitiva delle disposizioni relative al distacco dei conducenti della direttiva 2020/1057

f) Sulla violazione dell’articolo 90 TFUE (letto in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, TUE), dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE e dell’articolo 94 TFUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

g) Sulla violazione del principio della parità di trattamento

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

i) Osservazioni preliminari

ii) Sull’asserita violazione del principio della parità di trattamento tra le operazioni di trasporto bilaterale e le operazioni di trasporto crosstrade (Repubblica di Lituania, Repubblica di Bulgaria, Romania e Repubblica di Cipro )

iii) Sull’asserita violazione del principio della parità di trattamento tra le operazioni di trasporto combinato e le operazioni bilaterali (Ungheria)

iv) Conclusione

h) Sulla violazione della libera circolazione delle merci e della libera prestazione di servizi

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

i) Sulla violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

3. Sui motivi riguardanti l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2020/1057

a) Sulla violazione del principio della certezza del diritto

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

b) Sulla violazione del principio di proporzionalità e dell’articolo 94 TFUE

1) Argomenti delle parti

2) Analisi

4. Conclusione sui ricorsi riguardanti la direttiva 2020/1057

V. Sulle spese

VI. Conclusione


1.        Le presenti conclusioni vertono su quindici ricorsi proposti da sette Stati membri – la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Bulgaria, la Romania, la Repubblica di Cipro, l’Ungheria, la Repubblica di Malta e la Repubblica di Polonia – che mirano ad ottenere l’annullamento di talune disposizioni o, in alcuni casi in subordine, della totalità di tre atti legislativi facenti parte di un «pacchetto di misure sulla mobilità», denominato altresì «Pacchetto mobilità» («Mobility Pack»).

2.        Questi tre atti legislativi, che riguardano tutti il regime giuridico del trasporto su strada, sono, in primo luogo, il regolamento (UE) 2020/1054 riguardante, in particolare, i periodi di guida massimi giornalieri e settimanali, le interruzioni minime e i periodi di riposo giornalieri e settimanali nonché il posizionamento per mezzo dei tachigrafi (2), in secondo luogo, il regolamento (UE) 2020/1055, che ha modificato, tra l’altro, le norme comuni sulle condizioni da rispettare per esercitare l’attività di trasportatore su strada e quelle per l’accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada (3), e, in terzo luogo, la direttiva (UE) 2020/1057, che stabilisce norme specifiche per il distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada (4) (in prosieguo, congiuntamente: i «tre atti impugnati»).

3.        Le presenti quindici cause riunite hanno dimensioni realmente eccezionali. Raramente un’iniziativa legislativa ha suscitato, a livello dell’Unione, una reazione contenziosa tanto condivisa quanto intensa. Ci si attendeva una reazione simile, tenuto conto delle discussioni e, in alcuni casi, dell’opposizione espressa da molti Stati membri durante il procedimento legislativo sfociato nell’adozione dei tre atti che compongono il Pacchetto mobilità. Essa cristallizza, su un tema fondamentale per il mercato interno, un rischio di frattura tra due visioni dell’Unione. Al di là delle questioni giuridiche, nei presenti procedimenti è in gioco, per certi versi, anche il perseguimento di una volontà di vivere insieme su fondamenti economici e sociali comuni. Occorre pertanto, a prescindere dal loro esito, prestare loro l’attenzione che meritano. Investito di tale responsabilità, sottopongo alla Corte la presente analisi.

I.      Contesto normativo

A.      Regolamento 2020/1054 (Pacchetto mobilità, parte «durata dell’orario di lavoro»)

4.        L’articolo 1, punto 6, lettere c) e d), nonché punti 8 e 11, del regolamento 2020/1054 enuncia quanto segue:

«Il regolamento (CE) n. 561/2006 è così modificato:

(...)

6)      l’articolo 8 è così modificato:

(…)

c)      il paragrafo 8 è sostituito dal seguente:

“8.      I periodi di riposo settimanale regolari e i periodi di riposo settimanale superiori a 45 ore effettuati a compensazione di precedenti periodi di riposo settimanale ridotti non si effettuano a bordo del veicolo, bensì in un alloggio adeguato, che tenga conto delle specificità di genere e sia dotato di adeguate attrezzature per il riposo e appropriati servizi igienici.

Eventuali spese per l’alloggio fuori dal veicolo sono a carico del datore di lavoro.”;

d)      è inserito il paragrafo seguente:

“8 bis.      Le imprese di trasporto organizzano l’attività dei conducenti in modo tale che questi ultimi possano ritornare alla sede di attività del datore di lavoro da cui essi dipendono e dove inizia il loro periodo di riposo settimanale, nello Stato membro di stabilimento del datore di lavoro, o che possano ritornare al loro luogo di residenza nell’arco di quattro settimane consecutive, al fine di effettuare almeno un periodo di riposo settimanale regolare o un periodo di riposo settimanale superiore a 45 ore effettuato a compensazione di un periodo di riposo settimanale ridotto.

Tuttavia, laddove un conducente abbia effettuato due periodi di riposo settimanale ridotti consecutivi a norma del paragrafo 6, l’impresa di trasporto organizza l’attività del conducente in modo tale che questi possa ritornare prima dell’inizio del periodo di riposo settimanale regolare superiore a 45 ore effettuato a compensazione.

L’impresa documenta in che modo ottempera a tale obbligo e conserva la documentazione presso i suoi locali per presentarla su richiesta delle autorità di controllo.”

(…)

8)      l’articolo 9 è così modificato:

(...)

b)      il paragrafo 2 è sostituito dal seguente:

“2.      Il tempo impiegato dal conducente per rendersi sul luogo ove prende in consegna un veicolo rientrante nell’ambito di applicazione del presente regolamento, o per ritornarne se il veicolo non si trova nel luogo di residenza del conducente né presso la sede di attività del datore di lavoro da cui egli dipende, non è considerato come riposo o interruzione, a meno che il conducente si trovi su una nave traghetto o un convoglio ferroviario e disponga di una cabina letto, branda o cuccetta.”

(...)

11)      all’articolo 12 sono aggiunti i commi seguenti:

“A condizione di non compromettere la sicurezza stradale, in circostanze eccezionali, il conducente può altresì derogare alle disposizioni dell’articolo 6, paragrafi 1 e 2, e dell’articolo 8, paragrafo 2, superando di un’ora al massimo il periodo di guida giornaliero e settimanale al fine di raggiungere la sede di attività del datore di lavoro o il proprio luogo di residenza per effettuare un periodo di riposo settimanale.

Alle stesse condizioni, il conducente può superare di due ore al massimo il periodo di guida giornaliero e settimanale, a condizione di aver osservato un’interruzione di 30 minuti consecutivi subito prima del periodo di guida aggiuntivo al fine di raggiungere la sede di attività del datore di lavoro o il proprio luogo di residenza per effettuare un periodo di riposo settimanale regolare.

(…)”».

5.        L’articolo 2 del regolamento 2020/1054 è formulato come segue:

«Il regolamento (UE) n. 165/2014 è così modificato:

(...)

2)      all’articolo 3, il paragrafo 4 è sostituito dal seguente:

“4.      Entro tre anni dalla fine dell’anno di entrata in vigore delle disposizioni dettagliate di cui all’articolo 11, secondo comma, le categorie di veicoli seguenti operanti in uno Stato membro diverso dal loro Stato membro di immatricolazione sono dotati del tachigrafo intelligente di cui agli articoli 8, 9 e 10 del presente regolamento:

a)      veicoli muniti di tachigrafo analogico;

b)      veicoli muniti di tachigrafo digitale conforme alle specifiche di cui all’allegato I B del regolamento (CEE) n. 3821/85 applicabili fino al 30 settembre 2011;

c)      veicoli muniti di tachigrafo digitale conforme alle specifiche di cui all’allegato I B del regolamento (CEE) n. 3821/85 applicabili a decorrere dal 1º ottobre 2011; e

d)      veicoli muniti di tachigrafo digitale conforme alle specifiche di cui all’allegato I B del regolamento (CEE) n. 3821/85 applicabili a decorrere dal 1º ottobre 2012.

4 bis.      Entro quattro anni dall’entrata in vigore delle disposizioni dettagliate di cui all’articolo 11, secondo comma, i veicoli muniti di tachigrafo intelligente conforme all’allegato IC del regolamento di esecuzione (UE) 2016/799 della Commissione[, del 18 marzo 2006, che applica il regolamento (UE) n. 165/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio recante le prescrizioni per la costruzione, il collaudo, il montaggio, il funzionamento e la riparazione dei tachigrafi e dei loro componenti (GU 2016, L 139, pag. 1)] operanti in uno Stato membro diverso dal loro Stato membro di immatricolazione sono dotati del tachigrafo intelligente di cui agli articoli 8, 9 e 10 del presente regolamento.”

(…)

8)      l’articolo 11 è così modificato:

a)      il primo comma è sostituito dal seguente:

“Al fine di assicurare che i tachigrafi intelligenti rispondano ai principi e ai requisiti stabiliti nel presente regolamento, la Commissione adotta, mediante atti di esecuzione, norme dettagliate necessarie all’uniforme applicazione degli articoli 8, 9 e 10, ad esclusione di eventuali norme che prevedano la registrazione di dati supplementari da parte del tachigrafo.

Entro il 21 agosto 2021 la Commissione adotta atti di esecuzione che stabiliscono norme dettagliate per l’applicazione uniforme dell’obbligo di registrare e conservare i dati relativi a qualsiasi attraversamento di frontiera del veicolo e a qualsiasi attività di cui all’articolo 8, paragrafo 1, primo comma, secondo e terzo trattino, e all’articolo 8, paragrafo 1, secondo comma.

(...)”».

6.        L’articolo 3 del regolamento 2020/1054 dispone quanto segue:

«Il presente regolamento entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea.

Tuttavia, l’articolo 1, punto 15), e l’articolo 2, punto 12), si applicano a decorrere dal 31 dicembre 2024».

B.      Regolamento 2020/1055 (Pacchetto mobilità, parte «stabilimento»)

7.        A termini dei considerando da 6 a 8 e da 20 a 22 del regolamento 2020/1055:

«(6)      Al fine di contrastare il fenomeno delle cosiddette “società di comodo” e garantire una concorrenza leale e condizioni di parità nel mercato interno, occorre assicurare che i trasportatori su strada stabiliti in uno Stato membro siano presenti in modo effettivo e permanente in tale Stato membro e da lì svolgano la loro attività di trasporto. Di conseguenza, e alla luce dell’esperienza maturata, è necessario chiarire e rafforzare le disposizioni relative all’esistenza di una sede effettiva e stabile, evitando nel contempo l’imposizione di un onere amministrativo sproporzionato.

(7)      La presenza effettiva e permanente nello Stato membro di stabilimento dovrebbe in particolare presupporre che l’impresa effettui operazioni di trasporto con l’ausilio delle attrezzature tecniche appropriate situate in tale Stato membro.

(8)      Il regolamento (CE) n. 1071/2009 impone alle imprese di svolgere in modo efficace e continuativo le loro operazioni con attrezzature e strutture tecniche appropriate presso una sede operativa situata nello Stato membro di stabilimento e consente ulteriori requisiti a livello nazionale, il più comune dei quali è disporre di aree di parcheggio nello Stato membro di stabilimento. Tuttavia, tali requisiti, applicati in modo disomogeneo, non sono stati sufficienti a garantire un legame effettivo con tale Stato membro al fine di contrastare in modo efficace le società di comodo e per ridurre il rischio di cabotaggio sistematico e il nomadismo dei conducenti organizzati da un’impresa presso la quale i veicoli non ritornano. Considerando che, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno nel settore dei trasporti, possono essere necessarie norme specifiche in materia di diritto di stabilimento e di prestazione di servizi, è opportuno armonizzare ulteriormente i requisiti in materia di stabilimento e rafforzare quelli relativi alla presenza dei veicoli utilizzati dal trasportatore nello Stato membro di stabilimento. La definizione di un intervallo minimo entro il quale il veicolo deve ritornare contribuisce a garantire che tali veicoli possano essere oggetto di una corretta manutenzione con l’attrezzatura tecnica situata nello Stato membro di stabilimento e rende più facili i controlli.

Il ciclo di tali ritorni dovrebbe essere sincronizzato con l’obbligo, per l’impresa di trasporto di cui al regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio[, del 15 marzo 2006, relativo all’armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che modifica i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 3821/85 e (CE) n. 2135/98 e abroga il regolamento (CEE) n. 3820/85 del Consiglio (GU 2006, L 102, pag. 1)], di organizzare le proprie operazioni in modo da consentire al conducente di tornare a casa almeno ogni quattro settimane, in modo che entrambi gli obblighi possano essere adempiuti con il ritorno del conducente insieme al veicolo almeno ogni due cicli di quattro settimane. La sincronizzazione rafforza il diritto di ritorno del conducente e riduce il rischio che il veicolo debba ritornare solo per soddisfare questo nuovo requisito in materia di stabilimento. L’obbligo di ritorno nello Stato membro di stabilimento non dovrebbe tuttavia richiedere che uno specifico numero di operazioni si svolgano nello Stato membro di stabilimento o limitare altrimenti la possibilità [dei] trasportatori di fornire servizi in tutto il mercato interno.

(...)

(20)      Le norme sui trasporti nazionali effettuati a titolo temporaneo da trasportatori non residenti in uno Stato membro ospitante (“cabotaggio”) dovrebbero essere chiare, semplici e di facile esecuzione, mantenendo nel contempo il livello di liberalizzazione raggiunto finora.

(21)      I trasporti di cabotaggio dovrebbero contribuire ad aumentare il fattore di carico dei veicoli pesanti e a ridurre i percorsi a vuoto e dovrebbero essere consentiti nella misura in cui non sono effettuati in modo da costituire un’attività permanente o continuativa all’interno dello Stato membro interessato. Al fine di garantire che i trasporti di cabotaggio non siano effettuati in modo da costituire un’attività permanente o continuativa, i trasportatori non dovrebbero essere autorizzati a effettuare trasporti di cabotaggio nello stesso Stato membro nell’arco di un certo periodo dal termine di un periodo di trasporti di cabotaggio.

(22)      Se da un lato la maggiore liberalizzazione prevista dall’articolo 4 della direttiva 92/106/CEE del Consiglio[, del 7 dicembre 1992, relativa alla fissazione di norme comuni per taluni trasporti combinati di merci tra Stati membri (5),] rispetto al cabotaggio di cui al regolamento (CE) n. 1072/2009 è stata utile per promuovere il trasporto combinato e dovrebbe, in linea di principio, essere preservata, dall’altro è necessario provvedere affinché non se ne faccia un uso improprio. L’esperienza dimostra che, in talune parti dell’Unione, tale disposizione è stata utilizzata in maniera sistematica per eludere la natura temporanea del cabotaggio nonché come base per la presenza continuativa di veicoli in uno Stato membro diverso da quello di stabilimento dell’impresa. Dette pratiche sleali rischiano di condurre al dumping sociale e compromettono il rispetto del quadro giuridico relativo al cabotaggio. Gli Stati membri dovrebbero pertanto avere la possibilità di derogare all’articolo 4 della direttiva 92/106/CEE e applicare le disposizioni relative al cabotaggio di cui al regolamento (CE) n. 1072/2009 per affrontare tali problemi, introducendo un limite proporzionato alla presenza continuativa di veicoli nel proprio territorio».

8.        L’articolo 1 del regolamento 2020/1055 prevede quanto segue:

«Il regolamento (CE) n. 1071/2009 è così modificato:

(...)

2)      all’articolo 3, il paragrafo 2 è soppresso;

3)      l’articolo 5 è sostituito dal seguente:

“Articolo 5

Condizioni relative al requisito di stabilimento

1.      Per soddisfare il requisito di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), nello Stato membro di stabilimento un’impresa:

a)      dispone di locali in cui può avere accesso agli originali dei suoi documenti principali, in formato elettronico o in qualsiasi altro formato, in particolare i contratti di trasporto, i documenti relativi ai veicoli a disposizione dell’impresa, i documenti contabili, i documenti di gestione del personale, i contratti di lavoro, i documenti della previdenza sociale, i documenti contenenti dati relativi alla distribuzione e al distacco dei conducenti, i documenti contenenti dati relativi al cabotaggio, ai tempi di guida e ai periodi di riposo e qualsiasi altra documentazione cui l’autorità competente deve poter accedere per la verifica del rispetto da parte dell’impresa delle condizioni stabilite dal presente regolamento;

b)      organizza l’attività della sua flotta di veicoli in modo da garantire che i veicoli a disposizione dell’impresa e utilizzati nel trasporto internazionale ritornino a una delle sedi di attività in tale Stato membro al più tardi entro otto settimane dalla partenza;

c)      è iscritta nel registro delle società commerciali di tale Stato membro o in un registro analogo se richiesto dalla legislazione nazionale;

d)      è soggetta all’imposta sui redditi e, se richiesto dalla legislazione nazionale, deve avere un numero di partita IVA valido;

e)      una volta concessa l’autorizzazione, dispone di uno o più veicoli immatricolati o messi in circolazione e di cui sia stato autorizzato l’utilizzo in conformità della normativa dello Stato membro in questione, indipendentemente dal fatto che tali veicoli siano posseduti a titolo di proprietà o detenuti ad altro titolo, per esempio in virtù di un contratto di vendita a rate, di un contratto di noleggio o di un contratto di leasing;

f)      svolge in modo efficace e continuativo, con l’ausilio delle attrezzature e strutture appropriate, le sue attività commerciali e amministrative nei locali di cui alla lettera a) situati in tale Stato membro e gestisce in modo efficace e continuativo le sue operazioni di trasporto utilizzando i veicoli di cui alla lettera g) con le attrezzature tecniche appropriate situate in tale Stato membro;

g)      dispone ordinariamente, su base continuativa, di un numero di veicoli conformi alle condizioni di cui alla lettera e) e di conducenti che hanno normalmente come base una sede di attività in tale Stato membro che sia, in entrambi i casi, proporzionato al volume delle operazioni di trasporto da essa effettuate.

(...)”».

9.        L’articolo 2 del regolamento 2020/1055 dispone quanto segue:

«Il regolamento (CE) n. 1072/2009 è così modificato:

(...)

4)      l’articolo 8 è così modificato:

a)      è inserito il paragrafo seguente:

“2 bis.      Ai trasportatori non è consentito effettuare, con lo stesso veicolo oppure, se si tratta di veicoli combinati, con il veicolo a motore dello stesso veicolo, trasporti di cabotaggio nello stesso Stato membro nell’arco di quattro giorni dal termine del loro trasporto di cabotaggio nello Stato membro in questione.”;

b)      al paragrafo 3, il primo comma è sostituito dal seguente:

“3.      I trasporti nazionali di merci su strada effettuati nello Stato membro ospitante da un trasportatore non residente sono considerati conformi al presente regolamento solo se il trasportatore può produrre prove che attestino chiaramente il precedente trasporto internazionale, nonché ogni trasporto di cabotaggio che abbia effettuato in seguito. Nel caso in cui il veicolo sia stato nel territorio dello Stato membro ospitante nel corso del periodo di quattro giorni precedente il trasporto internazionale, il trasportatore deve inoltre produrre prove che attestino chiaramente tutti i trasporti effettuati nel corso di detto periodo.”;

(…)

5)      l’articolo 10 è modificato come segue:

(...)

b)      è aggiunto il paragrafo seguente:

“7.      In aggiunta ai paragrafi da 1 a 6 del presente articolo e in deroga all’articolo 4 della direttiva 92/106/CEE, se necessario per evitare l’abuso di quest’ultima disposizione attraverso la fornitura illimitata e continuativa di servizi consistenti in tragitti stradali iniziali o finali all’interno di uno Stato membro ospitante che fanno parte di operazioni di trasporto combinato tra Stati membri, gli Stati membri possono prevedere che l’articolo 8 del presente regolamento si applichi ai trasportatori che effettuano tali tragitti stradali iniziali e/o finali in tale Stato membro. Per quanto riguarda tali tragitti stradali, gli Stati membri possono prevedere un periodo più lungo rispetto al periodo di sette giorni di cui all’articolo 8, paragrafo 2, del presente regolamento, e possono prevedere un periodo più breve rispetto al periodo di quattro giorni di cui all’articolo 8, paragrafo 2 bis, del presente regolamento. L’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 4, del presente regolamento, a tali operazioni di trasporto lascia impregiudicati i requisiti derivanti dalla direttiva 92/106/CEE. Gli Stati membri che si avvalgono della deroga prevista nel presente paragrafo ne danno notifica alla Commissione prima di applicare le pertinenti misure nazionali. Essi rivedono dette misure almeno ogni cinque anni e notificano le risultanze di tale revisione alla Commissione. Essi rendono pubbliche le norme in maniera trasparente, inclusa la durata dei rispettivi periodi.”».

C.      Direttiva 2020/1057 (Pacchetto mobilità, parte «distacco dei lavoratori»)

10.      L’articolo 1 della direttiva 2020/1057, intitolato «Norme specifiche relative al distacco dei conducenti» è formulato, per quanto riguarda i paragrafi da 1 a 7, come segue:

«1.      Il presente articolo stabilisce norme specifiche in merito a taluni aspetti della direttiva 96/71/CE per quanto riguarda il distacco di conducenti nel settore del trasporto su strada e della direttiva 2014/67/UE per quanto riguarda gli obblighi amministrativi e le misure di controllo per il distacco dei conducenti.

2.      Tali norme specifiche si applicano ai conducenti che lavorano per imprese stabilite in uno Stato membro, le quali adottano le misure transnazionali di cui all’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 96/71/CE.

3.      Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 96/71/CE, un conducente non è considerato distaccato ai fini della direttiva 96/71/CE quando effettua operazioni di trasporto bilaterale con riguardo alle merci.

Ai fini della presente direttiva, per operazione di trasporto bilaterale con riguardo alle merci si intende la movimentazione di merci, basata su un contratto di trasporto, dallo Stato membro di stabilimento come definito all’articolo 2, punto 8, del regolamento (CE) n. 1071/2009 a un altro Stato membro o a un paese terzo o da un altro Stato membro o paese terzo allo Stato membro di stabilimento.

A decorrere dal 2 febbraio 2022, ossia la data a decorrere dalla quale i conducenti sono tenuti, a norma dell’articolo 34, paragrafo 7, del regolamento (UE) n. 165/2014[, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 febbraio 2014, relativo ai tachigrafi nel settore dei trasporti su strada, che abroga il regolamento (CEE) n. 3821/85 del Consiglio relativo all’apparecchio di controllo nel settore dei trasporti su strada e modifica il regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada, GU 2014, L 60, pag. 1], a registrare manualmente i dati relativi agli attraversamenti di frontiera, gli Stati membri applicano anche l’esenzione per le operazioni di trasporto bilaterale di cui al primo e secondo comma del presente paragrafo, laddove, in aggiunta a un’operazione di trasporto bilaterale, il conducente effettui una sola attività di carico e/o scarico negli Stati membri o paesi terzi che attraversa, a condizione che il conducente non effettui operazioni di carico e scarico di merci nello stesso Stato membro.

Se un’operazione di trasporto bilaterale partita dallo Stato membro di stabilimento durante la quale non è stata effettuata alcuna attività aggiuntiva, è seguita da un’operazione di trasporto bilaterale verso lo Stato membro di stabilimento, l’esenzione per le attività aggiuntive di cui al terzo comma si applica fino a un massimo di due attività aggiuntive di carico e/o scarico, alle condizioni di cui al terzo comma.

Le esenzioni per attività aggiuntive di cui al terzo e quarto comma del presente paragrafo si applicano solo fino alla data a decorrere dalla quale i tachigrafi intelligenti conformi con la registrazione degli attraversamenti di frontiera e delle attività aggiuntive di cui all’articolo 8, paragrafo 1, primo comma, del regolamento (UE) n. 165/2014 debbano essere installati nei veicoli immatricolati in uno Stato membro per la prima volta, come specificato all’articolo 8, paragrafo 1, quarto comma, di detto regolamento. A decorrere da tale data, le esenzioni per attività aggiuntive di cui al terzo e quarto comma del presente paragrafo si applicano unicamente ai conducenti che utilizzano veicoli dotati di tachigrafi intelligenti come previsto agli articoli 8, 9 e 10 di detto regolamento.

4.      Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 96/71/CE, un conducente non è considerato distaccato ai fini di cui alla direttiva 96/71/CE quando effettua operazioni di trasporto bilaterali con riguardo a passeggeri.

Ai fini della presente direttiva, un’operazione di trasporto bilaterale nell’ambito di un trasporto internazionale occasionale o regolare di passeggeri, ai sensi del regolamento (CE) n. 1073/2009, avviene quando un conducente effettua una delle operazioni seguenti:

a)      fa salire passeggeri nello Stato membro di stabilimento e li fa scendere in un altro Stato membro o in un paese terzo;

b)      fa salire passeggeri in uno Stato membro o in un paese terzo e li fa scendere nello Stato membro di stabilimento; o

c)      fa salire e scendere i passeggeri nello Stato membro di stabilimento al fine di effettuare escursioni locali in un altro Stato membro o in un paese terzo, conformemente al regolamento (CE) n. 1073/2009.

A decorrere dal 2 febbraio 2022, ossia la data in cui i conducenti sono tenuti, a norma dell’articolo 34, paragrafo 7, del regolamento (UE) n. 165/2014, a registrare manualmente gli attraversamenti di frontiera, gli Stati membri applicano l’esenzione per operazioni di trasporto bilaterale, con riguardo al trasporto di passeggeri, di cui al primo e secondo comma del presente paragrafo, anche quando, in aggiunta all’effettuazione di un’operazione di trasporto bilaterale, il conducente fa altresì salire passeggeri una volta e/o scendere passeggeri una volta negli Stati membri o paesi terzi che attraversa, a condizione che non offra servizi di trasporto passeggeri tra due luoghi all’interno dello Stato membro attraversato. Lo stesso vale per il viaggio di ritorno.

L’esenzione per le attività aggiuntive di cui al terzo comma del presente paragrafo si applica solo a decorrere dalla data in cui i tachigrafi intelligenti conformi con l’obbligo di registrazione degli attraversamenti di frontiera e delle attività aggiuntive di cui all’articolo 8, paragrafo 1, primo comma, del regolamento (UE) n. 165/2014 debbano essere installati nei veicoli immatricolati in uno Stato membro per la prima volta, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, quarto comma, di detto regolamento. A decorrere da tale data, l’esenzione per le attività aggiuntive di cui al terzo comma del presente paragrafo si applica unicamente ai conducenti che utilizzano veicoli dotati di tachigrafi intelligenti come previsto agli articoli 8, 9 e 10 di detto regolamento.

5.      Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 96/71/CE, un conducente non è considerato distaccato ai fini della direttiva 96/71/CE quando transiti attraverso il territorio di uno Stato membro senza effettuare operazioni di carico o di scarico merci e senza far salire o scendere passeggeri.

6.      Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 96/71/CE, un conducente non è considerato distaccato ai fini della direttiva 96/71/CE quando effettui il tragitto stradale iniziale o terminale di un’operazione di trasporto combinato quale definita nella direttiva 92/106/CEE del Consiglio [del 7 dicembre 1992 relativa alla fissazione di norme comuni per taluni trasporti combinati di merci tra Stati membri, GU 1992, L 368, pag. 38], se il tragitto stradale consiste di per sé in un’operazione di trasporto bilaterale ai sensi del paragrafo 3 del presente articolo.

7.      Un conducente che effettua operazioni di cabotaggio di cui ai regolamenti (CE) n. 1072/2009 e (CE) n. 1073/2009 è considerato distaccato ai sensi della direttiva 96/71/CE».

II.    Fatti

11.      Il 31 maggio 2017 la Commissione europea ha adottato varie proposte facenti parte di un «pacchetto di misure sulla mobilità» volto a modificare taluni aspetti della legislazione dell’Unione applicabile al settore dei trasporti. Fra tali provvedimenti figuravano, in particolare, la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2006/22/CE per quanto riguarda le prescrizioni di applicazione e fissa norme specifiche per quanto riguarda la direttiva 96/71/CE e la direttiva 2014/67/UE sul distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada [COM(2017) 278 final; in prosieguo: la «proposta di direttiva distacco»], la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 561/2006 per quanto riguarda le prescrizioni minime in materia di periodi di guida massimi giornalieri e settimanali, di interruzioni minime e di periodi di riposo giornalieri e settimanali e il regolamento (UE) n. 165/2014 per quanto riguarda il posizionamento per mezzo dei tachigrafi [COM(2017) 277 final; in prosieguo: la «proposta di regolamento orario di lavoro»] e la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica i regolamenti (CE) n. 1071/2009 e (CE) n. 1072/2009 per adeguarli all’evoluzione del settore [COM(2017) 281 final; in prosieguo: la «proposta di regolamento stabilimento»]. Dette proposte erano accompagnate da due valutazioni d’impatto (6).

12.      In esito a lunghe discussioni sia in seno al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea sia tra queste due istituzioni, è stato raggiunto un compromesso sui tre atti impugnati durante i negoziati svoltisi l’11 e il 12 dicembre 2019 nell’ambito del trilogo interistituzionale tra il Consiglio, il Parlamento e la Commissione.

13.      Il 7 aprile 2020, in occasione della votazione in seno al Consiglio relativa all’adozione di tali atti, i medesimi hanno ricevuto il sostegno di una maggioranza qualificata di Stati membri, mentre nove di essi, vale a dire la Repubblica di Bulgaria, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Estonia, l’Ungheria, la Repubblica di Lettonia, la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Malta, la Repubblica di Polonia e la Romania, si sono opposti all’adozione degli stessi.

14.      Il 15 luglio 2020 il Parlamento e il Consiglio hanno adottato il testo finale dei tre atti impugnati.

III. Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte

15.      Nella causa C‑541/20, la Repubblica di Lituania, sostenuta dalla Repubblica di Lettonia e dalla Romania (7), chiede alla Corte, in primo luogo, di annullare, in via principale, l’articolo 1, punto 6, lettera d), e l’articolo 3 del regolamento 2020/1054 o, in subordine, il regolamento nella sua interezza e, in secondo luogo, di annullare, in via principale, l’articolo 1, paragrafi 3 e 7, della direttiva 2020/1057 o, in subordine, tale direttiva nella sua interezza.

16.      Nella causa C‑542/20, la Repubblica di Lituania, sostenuta dalla Repubblica di Estonia, dalla Repubblica di Lettonia e dalla Romania (8), chiede che la Corte voglia annullare l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella misura in cui inserisce un paragrafo 1, lettera b), nell’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009, e annullare l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055.

17.      Nella causa C‑543/20, la Repubblica di Bulgaria, sostenuta dalla Romania e dalla Repubblica di Lettonia (9), chiede alla Corte di annullare, in via principale, l’articolo 1, punto 6, lettere c) e d), del regolamento 2020/1054 o, in subordine, detto regolamento nella sua interezza.

18.      Nella causa C‑544/20, la Repubblica di Bulgaria, sostenuta dalla Repubblica di Estonia, dalla Repubblica di Lettonia e dalla Romania (10), chiede alla Corte di annullare la direttiva 2020/1057.

19.      Nella causa C‑545/20, la Repubblica di Bulgaria, sostenuta dalla Repubblica di Estonia, dalla Repubblica di Lettonia, dalla Repubblica di Lituania e dalla Romania (11), chiede che la Corte voglia annullare l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella misura in cui inserisce un paragrafo 1, lettera b), nell’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009, o, in subordine, annullare integralmente detto articolo 1, punto 3; annullare l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 o, in subordine, annullare integralmente detto articolo 2, punto 4; in ulteriore subordine, annullare integralmente il regolamento 2020/1055.

20.      Nella causa C‑546/20, la Romania, sostenuta dalla Repubblica di Lettonia (12), chiede alla Corte di annullare, in via principale, l’articolo 1, punto 6, lettere c) e d), del regolamento 2020/1054 o, in subordine, detto regolamento nella sua interezza.

21.      Nella causa C‑547/20, la Romania, sostenuta dalla Repubblica di Estonia, dalla Repubblica di Lettonia e dalla Repubblica di Lituania (13), conclude che la Corte voglia annullare l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella misura in cui inserisce un paragrafo 1, lettera b), nell’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009; annullare l’articolo 2, punto 4, lettere a), b) e c), del regolamento 2020/1055; in subordine, annullare integralmente il regolamento 2020/1055.

22.      Nella causa C‑548/20, la Romania, sostenuta dalla Repubblica di Estonia e dalla Repubblica di Lettonia (14), chiede alla Corte di annullare, in via principale, l’articolo 1, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2020/1057 o, in subordine, tale direttiva nella sua interezza, nel caso in cui la Corte dichiari che tali disposizioni sono indissociabili dalle altre disposizioni di detta direttiva.

23.      Nella causa C‑549/20, la Repubblica di Cipro, sostenuta dalla Repubblica di Estonia, dalla Repubblica di Lettonia, dalla Repubblica di Lituania e dalla Romania (15), conclude che la Corte voglia annullare l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella misura in cui inserisce un paragrafo 1, lettera b), nell’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009, o, in subordine, annullare integralmente tale articolo 1, punto 3; in ulteriore subordine, annullare integralmente il regolamento 2020/1055.

24.      Nella causa C‑550/20, la Repubblica di Cipro, sostenuta dalla Repubblica di Estonia, dalla Repubblica di Lettonia e dalla Romania (16), chiede alla Corte di annullare la direttiva 2020/1057.

25.      Nella causa C‑551/20, l’Ungheria, sostenuta dalla Repubblica di Estonia, dalla Repubblica di Lettonia, dalla Repubblica di Lituania e dalla Romania (17), chiede alla Corte, in primo luogo, di annullare l’articolo 1, punto 6, lettera c), e l’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054 nonché, se del caso, le disposizioni di tale regolamento indissociabili dai medesimi; in secondo luogo, di annullare l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella misura in cui inserisce un paragrafo 1, lettera b), nell’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009, nonché, se del caso, le disposizioni di tale regolamento da esso indissociabili, e, in terzo luogo, di annullare, in via principale, l’articolo 1 della direttiva 2020/1057 o, in subordine, l’articolo 1, paragrafo 6, della stessa, nonché, se del caso, le disposizioni di tale direttiva da esso indissociabili.

26.      Nella causa C‑552/20, la Repubblica di Malta, sostenuta dal Regno del Belgio, dalla Repubblica di Estonia, dalla Repubblica di Lettonia, dalla Repubblica di Lituania e dalla Romania (18), conclude che la Corte voglia annullare l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella misura in cui inserisce un paragrafo 1, lettera b), nell’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009 e annullare l’articolo 2, punto 4, del regolamento 2020/1055 (19).

27.      Nella causa C‑553/20, la Repubblica di Polonia, sostenuta dalla Romania e dalla Repubblica di Lettonia (20), chiede alla Corte di annullare, in via principale, l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 o, in subordine, detto regolamento nella sua interezza.

28.      Nella causa C‑554/20, la Repubblica di Polonia, sostenuta dalla Repubblica di Estonia, dalla Repubblica di Lettonia, dalla Repubblica di Lituania e dalla Romania (21), chiede alla Corte di annullare l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella parte in cui aggiunge il paragrafo 1, lettere b) e g), all’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1071/2009; di annullare l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055; di annullare l’articolo 2, punto 5, lettera b), di tale regolamento o, in subordine, di annullare integralmente il regolamento 2020/1055.

29.      Nella causa C‑555/20, la Repubblica di Polonia, sostenuta dalla Repubblica di Estonia, dalla Repubblica di Lettonia e dalla Romania (22), chiede alla Corte di annullare l’articolo 1, paragrafi 3, 4, 6 e 7, nonché l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2020/1057, o, in subordine, tale direttiva nella sua interezza.

30.      In tutte le suddette cause, gli Stati membri ricorrenti chiedono alla Corte di condannare il Parlamento e il Consiglio alle spese.

31.      Il Parlamento e il Consiglio chiedono alla Corte di respingere tutti i ricorsi summenzionati e di condannare gli Stati membri ricorrenti alle spese.

32.      Con decisioni del 13, 21, 22, 26, 27 e 29 aprile 2021 nonché del 12 maggio 2022, il presidente della Corte ha autorizzato, rispettivamente, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica d’Austria, il Regno di Svezia, il Granducato di Lussemburgo, la Repubblica ellenica, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica francese, il Regno di Danimarca e la Repubblica italiana a intervenire a sostegno delle conclusioni del Parlamento e del Consiglio.

33.      La Repubblica di Bulgaria, la Repubblica di Cipro, la Repubblica di Lituania, l’Ungheria, la Repubblica di Malta, la Repubblica di Polonia, la Romania, la Repubblica di Estonia e la Repubblica di Lettonia, da un lato, nonché il Consiglio, il Parlamento, la Repubblica francese, la Repubblica italiana e il Regno di Svezia, dall’altro, hanno svolto osservazioni orali all’udienza tenutasi dinanzi alla Corte il 24 e 25 aprile 2023.

34.      Con decisione del Presidente in data 13 ottobre 2023, le cause da C‑541/20 a C‑555/20 sono state riunite ai sensi dell’articolo 54, paragrafo 2, del regolamento di procedura.

IV.    Analisi

A.      Osservazioni preliminari

35.      I quindici ricorsi proposti dai sette Stati membri ricorrenti nei confronti dei tre atti impugnati toccano trasversalmente una serie di disposizioni e di principi fondamentali del diritto dell’Unione.

36.      In siffatto contesto, ritengo opportuno svolgere, preliminarmente, alcune considerazioni di carattere generale su tali disposizioni e principi, alla luce della giurisprudenza della Corte. Sulla base di queste considerazioni svilupperò poi l’analisi di detti ricorsi in relazione a ciascuno dei tre atti impugnati.

37.      Nei paragrafi seguenti esaminerò, anzitutto, il regime giuridico speciale in cui rientra il settore dei trasporti nell’ambito della normativa dell’Unione in materia di mercato interno. Esaminerò poi, rispettivamente, il principio di proporzionalità e i principi della parità di trattamento e di non discriminazione, come elaborati nella giurisprudenza della Corte. Tali principi sono infatti invocati a più riprese da vari Stati membri nei loro ricorsi. Infine, svolgerò alcune considerazioni riguardo alle disposizioni di diritto dell’Unione in materia di ambiente la cui violazione è stata parimenti invocata trasversalmente da vari Stati membri ricorrenti.

1.      Sul regime giuridico speciale dei trasporti nel mercato interno

38.      Il settore dei trasporti, in particolare quello del trasporto su strada, è un settore cruciale per la società, per l’economia e per l’integrazione europea. Né il diritto dell’Unione né la Corte forniscono una definizione generale e onnicomprensiva del termine «trasporto» (23). Tuttavia, nella sua giurisprudenza, la Corte fa riferimento al servizio di trasporto come l’«atto fisico di trasferimento di persone o di merci da un luogo a un altro tramite un mezzo di trasporto» (24).

39.      Il settore dei trasporti è caratterizzato da talune specificità proprie di tale settore economico, che ne giustificano l’assoggettamento a un regime giuridico speciale nel contesto del mercato interno (25).

40.      Nel diritto primario dell’Unione, la necessità di prendere in considerazione le specificità del settore dei trasporti si riflette, in primo luogo, nell’obbligo imposto espressamente e in generale al legislatore dell’Unione dall’articolo 91, paragrafo 1, TFUE – che costituisce la base giuridica per l’attuazione della politica comune dei trasporti – di tenere conto degli «aspetti peculiari» dei trasporti nell’attuazione di tale politica comune.

41.      Altre disposizioni che rientrano nel titolo VI della parte terza del Trattato FUE (articoli da 90 a 100) relativo alla politica comune dei trasporti – disposizioni la cui violazione è dedotta a più riprese dagli Stati membri ricorrenti – concretizzano, inoltre, alcuni aspetti di cui il legislatore deve specificamente tenere conto nell’ambito dell’attuazione di detta politica. In tal senso, a termini dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, all’atto dell’adozione delle misure rientranti in tale politica comune, si tiene conto del pregiudizio grave al tenore di vita e all’occupazione in talune regioni e, a termini dell’articolo 94 TFUE, nell’adottare misure in materia di prezzi e condizioni di trasporto, si tiene conto della situazione economica dei vettori.

42.      Inoltre, nella sua giurisprudenza costante, la Corte ha riconosciuto che i trattati lasciano al legislatore dell’Unione un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il fine e i mezzi della politica comune dei trasporti (26) e per adottare le misure utili ai fini di tale politica comune (27).

43.      In tale contesto, occorre ancora evidenziare che l’articolo 91, paragrafo 1, TFUE distingue, alle lettere a) e b), da un lato, fra trasporti internazionali e trasporti nazionali e, dall’altro, tra vettori residenti e vettori non residenti. Nello specifico, mentre la lettera a) di tale paragrafo 1 prevede l’adozione di «norme comuni» applicabili ai trasporti internazionali, la disposizione di cui alla lettera b) di detto paragrafo prevede semplicemente la determinazione di «condizioni per l’ammissione di vettori non residenti ai trasporti nazionali in uno Stato membro». Il diritto dell’Unione prevede quindi, a livello del diritto primario, un approccio diversificato, nell’ambito della politica comune dei trasporti, nella disciplina dei trasporti internazionali rispetto a quella dei trasporti nazionali.

44.      In secondo luogo, la necessità di tenere conto delle specificità inerenti al settore dei trasporti ha indotto gli autori del Trattato ad attribuire a tale settore uno status speciale nel contesto della disciplina del mercato interno, in particolare per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi (28).

45.      Pertanto, nel settore dei trasporti, la libera circolazione dei servizi non è disciplinata dalla disposizione di cui all’articolo 56 TFUE, che riguarda la libera prestazione dei servizi in generale, bensì dalla disposizione specifica di cui all’articolo 58, paragrafo 1, TFUE, ai sensi della quale «[l]a libera circolazione dei servizi, in materia di trasporti, è regolata dalle disposizioni del titolo relativo ai trasporti» (29).

46.      Ne consegue che, come la Corte ha riconosciuto a più riprese nella sua giurisprudenza, nel settore dei trasporti, l’attuazione dei principi riguardanti la libera prestazione dei servizi deve avvenire, secondo il Trattato FUE, attraverso l’instaurazione della politica comune dei trasporti (30). La libera prestazione dei servizi come garantita dagli articoli 56 e 57 TFUE è dunque applicabile ai servizi di trasporto solo nella misura in cui il diritto derivato l’ha resa applicabile (31). I servizi di trasporto non liberalizzati devono quindi essere esclusi dall’ambito di applicazione dell’articolo 56 TFUE (32).

47.      Per contro, gli autori dei trattati non hanno assoggettato i trasporti ad alcun regime speciale per quanto riguarda la libertà di stabilimento. Infatti, come la Corte ha avuto modo di sottolineare esplicitamente, le disposizioni del Trattato FUE in materia di libertà di stabilimento si applicano direttamente ai trasporti (33).

48.      Dalle considerazioni che precedono risulta che lo status speciale dei trasporti nell’ambito della disciplina di diritto primario del mercato interno è caratterizzato dalla combinazione di un diritto di stabilimento in qualsiasi Stato membro fondato sul Trattato FUE e di un diritto dei vettori alla libera prestazione di servizi di trasporto garantito esclusivamente in quanto concesso mediante atti di diritto derivato adottati dal legislatore dell’Unione nell’ambito della politica comune dei trasporti.

49.      Orbene, per quanto riguarda specificamente il settore del trasporto su strada, l’azione del legislatore dell’Unione volta a realizzare la politica comune dei trasporti, da un lato, ha inteso liberalizzare il settore e sostenere il completamento del mercato interno del trasporto su strada, la sua efficienza e la sua competitività. Mentre le operazioni di trasporto internazionale sono state completamente liberalizzate, il trasporto nazionale è ancora parzialmente limitato per i trasportatori non residenti da restrizioni sulle operazioni di cabotaggio, in linea con lo status speciale di cui godono i trasporti in virtù del diritto primario stabilito dall’articolo 58, paragrafo 1, TFUE (34).

50.      Tale status speciale limita quindi la possibilità di fornire temporaneamente servizi di trasporto su strada in uno Stato membro diverso dallo Stato membro di stabilimento, lasciando invece nel contempo pienamente aperta la possibilità per i cittadini di tutti gli Stati membri di stabilirsi in modo permanente in un altro Stato membro e di esercitarvi la professione di trasportatore su strada alle stesse condizioni previste per i cittadini di detto Stato membro.

51.      Dall’altro lato, il legislatore dell’Unione ha elaborato un ampio quadro di norme sociali per i vettori stradali e gli operatori di trasporto su strada di passeggeri, volto, in particolare, a migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori mobili nel settore del trasporto su strada (ossia i conducenti), a migliorare la sicurezza stradale per tutti gli utenti della strada e a garantire una concorrenza leale fra i vettori stradali nel mercato unico (35).

2.      Sul principio di proporzionalità

a)      Sul principio di proporzionalità, lampio margine di discrezionalità del legislatore e il sindacato giurisdizionale

52.      Secondo una giurisprudenza costante della Corte, il principio di proporzionalità, che fa parte dei principi generali del diritto dell’Unione, esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione siano idonei a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e non eccedano i limiti di quanto è necessario alla realizzazione di tali obiettivi, fermo restando che, qualora sia possibile una scelta tra più misure appropriate, si deve ricorrere a quella meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto agli scopi perseguiti (36). Tale principio è ricordato all’articolo 5, paragrafo 4, TUE e all’articolo 1 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato ai trattati.

53.      Per quanto riguarda il sindacato giurisdizionale sull’osservanza di tali condizioni, la Corte ha riconosciuto al legislatore dell’Unione, nell’ambito dell’esercizio delle competenze attribuitegli, un ampio potere discrezionale nei settori come la politica comune dei trasporti (37), in cui la sua azione richiede scelte di natura tanto politica quanto economica o sociale e in cui è chiamato a effettuare apprezzamenti e valutazioni complessi. Non si tratta, quindi, di stabilire se una misura emanata in un settore del genere fosse l’unica o la migliore possibile, in quanto solo la manifesta inidoneità della misura rispetto all’obiettivo che le istituzioni competenti intendono perseguire può inficiare la legittimità della misura medesima (38).

54.      Inoltre, l’ampio potere discrezionale del legislatore dell’Unione, che implica un limitato sindacato giurisdizionale sul suo esercizio, non riguarda esclusivamente la natura e la portata delle disposizioni da adottare, ma anche, in una certa misura, l’accertamento dei dati di base (39).

55.      Tuttavia, anche in presenza di un ampio potere discrezionale, il legislatore dell’Unione è tenuto a fondare la sua scelta su criteri obiettivi e a esaminare se gli scopi perseguiti dal provvedimento considerato siano idonei a giustificare conseguenze economiche negative, anche considerevoli, per taluni operatori. Infatti, in forza dell’articolo 5 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, allegato ai trattati, i progetti di atti legislativi devono tener conto della necessità che gli oneri che ricadono sugli operatori economici siano il meno gravosi possibile e commisurati all’obiettivo da conseguire (40).

56.      Per quanto riguarda l’oggetto del sindacato giurisdizionale che deve essere effettuato, la Corte ha precisato che non le spetta sostituire la propria valutazione a quella del legislatore dell’Unione nell’esercizio di una competenza che implica scelte di natura politica, economica e sociale nonché valutazioni complesse (41). Infatti, ai sensi della giurisprudenza menzionata ai paragrafi da 53 a 55 supra, è compito della Corte verificare se il legislatore dell’Unione abbia manifestamente ecceduto l’ampio potere discrezionale di cui dispone per quanto riguarda gli apprezzamenti e le valutazioni complessi che esso era chiamato a effettuare, optando per misure manifestamente inadeguate rispetto all’obiettivo perseguito (42).

57.      Pertanto, la Corte potrebbe tutt’al più censurare la scelta normativa del legislatore soltanto qualora apparisse manifestamente errata, oppure qualora gli inconvenienti che ne derivano per alcuni operatori economici fossero sproporzionati rispetto ai vantaggi che essa presenta per altri (43).

58.      D’altra parte, risulta da una giurisprudenza costante che anche un sindacato giurisdizionale di portata limitata richiede che le istituzioni dell’Unione, da cui promana l’atto di cui trattasi, siano in grado di dimostrare dinanzi alla Corte che l’atto è stato adottato attraverso un esercizio effettivo del loro potere discrezionale, che presuppone che siano presi in considerazione tutti gli elementi e le circostanze rilevanti della situazione che tale atto ha inteso disciplinare. Ne consegue che dette istituzioni devono, per lo meno, poter produrre ed esporre in modo chiaro e non equivoco i dati di base che hanno dovuto essere presi in considerazione per fondare le misure controverse di tale atto e dai quali dipendeva l’esercizio del loro potere discrezionale (44).

59.      Spetta tuttavia al ricorrente dimostrare che gli svantaggi derivanti dalla scelta normativa operata dal legislatore dell’Unione siano sproporzionati rispetto ai vantaggi che essa per altro verso presenta (45).

60.      Inoltre, il legislatore dell’Unione non è tenuto a tenere conto della situazione particolare di uno Stato membro qualora l’atto dell’Unione di cui trattasi abbia un impatto in tutti gli Stati membri e presupponga che sia garantito un equilibrio tra i diversi interessi in gioco, tenuto conto degli obiettivi perseguiti da tale atto. Di conseguenza, la ricerca di un siffatto equilibrio che non prenda in considerazione la situazione particolare di un solo Stato membro, ma quella dell’insieme degli Stati membri dell’Unione, di per sé, non può essere considerata contraria al principio di proporzionalità (46).

b)      Sui dati che devono essere presi in considerazione nel procedimento legislativo e sulla valutazione dimpatto

61.      In vari ricorsi, gli Stati membri ricorrenti contestano l’assenza o l’insufficienza delle valutazioni d’impatto effettuate dalla Commissione (47) in relazione ai tre atti impugnati o ad alcune delle loro disposizioni. La questione se il legislatore abbia preso in considerazione tutti gli elementi e le circostanze rilevanti della situazione che l’atto è inteso a disciplinare e se dovesse effettuare o integrare una valutazione d’impatto ricade nell’ambito del principio di proporzionalità (48).

62.      Le norme relative alle valutazioni d’impatto sono enunciate nell’accordo interistituzionale tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione «Legiferare meglio», del 13 aprile 2016 (49) (in prosieguo: l’«accordo interistituzionale») e specificamente nella parte III di detto accordo.

63.      Da tale accordo risulta che la Commissione effettua valutazioni d’impatto delle proprie iniziative legislative suscettibili di avere un impatto economico, ambientale o sociale significativo (50). L’effettuazione di valutazioni d’impatto costituisce quindi una tappa dell’iter legislativo che deve, in linea generale, aver luogo quando un’iniziativa legislativa può avere un’incidenza del genere (51).

64.      Tuttavia, come risulta dalla giurisprudenza, le disposizioni dell’accordo interistituzionale non si esprimono in termini imperativi (52). Sebbene le valutazioni d’impatto costituiscano uno strumento importante e utile nel processo legislativo, in quanto agevolano l’elaborazione di una normativa adeguatamente motivata e trasparente, l’accordo interistituzionale non le configura come condizione necessaria per proporre o adottare atti legislativi in ogni circostanza (53). A questo proposito, la Corte ha espressamente constatato che dai termini dell’accordo interistituzionale non risulta un obbligo di effettuare una valutazione d’impatto in ogni circostanza (54).

65.      In tale contesto, la Corte ha rilevato che l’omissione di una valutazione d’impatto non può essere qualificata come una violazione del principio di proporzionalità quando il legislatore dell’Unione si trova in una situazione particolare che richiede di farne a meno e dispone di elementi sufficienti per poter valutare la proporzionalità di un provvedimento adottato (55).

66.      Quanto alla portata della valutazione d’impatto, se è vero che dall’accordo interistituzionale e dalla giurisprudenza risulta che il Parlamento e il Consiglio, all’atto dell’esame delle proposte legislative della Commissione, tengono pienamente conto delle valutazioni d’impatto della Commissione (56), la Corte ha tuttavia espressamente chiarito che la valutazione d’impatto non vincola né il Parlamento né il Consiglio (57). A tale proposito, dall’accordo interistituzionale risulta che il Parlamento e il Consiglio possono effettuare essi stessi, se lo ritengono opportuno e necessario, valutazioni d’impatto quando apportino modifiche sostanziali a una proposta della Commissione (58).

67.      Ne consegue che il legislatore dell’Unione può, in linea di principio, agire anche in assenza di una valutazione d’impatto (59) e che l’assenza di una valutazione d’impatto non rende automaticamente invalida la normativa dell’Unione successivamente adottata (60).

68.      Le considerazioni che precedono, svolte con riferimento alla totale assenza di valutazione d’impatto in relazione all’adozione di un atto legislativo, valgono, a fortiori, per l’adozione di una disposizione specifica di un atto che non sia stata, di per sé, oggetto della valutazione d’impatto che accompagna la proposta di atto della Commissione.

69.      Infatti, per quanto concerne le misure adottate dal legislatore dell’Unione che non figuravano tra quelle inizialmente previste dalla Commissione nella sua proposta di atto legislativo, la Corte ha espressamente statuito che detto legislatore è libero di adottare misure diverse da quelle che sono state oggetto della valutazione d’impatto e che, pertanto, il semplice fatto che esso abbia adottato una misura diversa ed eventualmente più restrittiva di quelle proposte dalla Commissione nella valutazione d’impatto non è idoneo a dimostrare che esso abbia manifestamente ecceduto i limiti di quanto era necessario alla realizzazione dell’obiettivo perseguito (61).

70.      Dal momento che, come risulta dai paragrafi 64 e 66 supra, le valutazioni d’impatto sono documenti della Commissione che espongono la soluzione privilegiata sul piano politico da tale istituzione e non vincolano il Parlamento e il Consiglio, questi ultimi, nella loro qualità di colegislatori, sono liberi, conformemente all’articolo 294 TFUE e nei limiti imposti dal rispetto del diritto di iniziativa della Commissione, di giungere a una valutazione diversa della situazione e, pertanto, di adottare una posizione politica diversa. Ne consegue che anche quando il Parlamento e il Consiglio, discostandosi dalla proposta della Commissione e dalla valutazione d’impatto che ne è alla base, modificano elementi sostanziali di tale proposta, il fatto che essi non abbiano aggiornato la valutazione d’impatto non rende automaticamente e necessariamente invalida la normativa di diritto dell’Unione adottata (62).

71.      Ciò premesso, come risulta dai paragrafi 58 e 65 supra, l’effettivo esercizio del potere di valutazione da parte del legislatore dell’Unione presuppone che siano presi in considerazione tutti gli elementi e le circostanze rilevanti della situazione che l’atto di cui trattasi è inteso a disciplinare.

72.      In siffatto contesto, dalla giurisprudenza risulta che la forma in cui sono registrati i dati di base presi in considerazione dal legislatore dell’Unione non è importante e il legislatore dell’Unione può quindi tenere conto non solo della valutazione d’impatto, ma anche di ogni altra fonte d’informazione (63).

73.      Tuttavia, dalla giurisprudenza risulta che, per esercitare effettivamente il loro potere discrezionale, i colegislatori devono prendere in considerazione, nel corso della procedura legislativa, i dati scientifici e altri accertamenti divenuti disponibili, compresi i documenti scientifici utilizzati dagli Stati membri durante le riunioni del Consiglio e che quest’ultimo non detiene esso stesso (64). Il legislatore può inoltre tenere conto di informazioni di dominio pubblico e quindi accessibili a qualsiasi singolo o a qualsiasi impresa che siano interessati dalla materia in questione (65).

74.      Inoltre, dalla costante giurisprudenza della Corte risulta che la validità di un atto dell’Unione deve essere valutata in relazione agli elementi di cui il legislatore dell’Unione disponeva alla data dell’adozione della normativa di cui trattasi (66).

3.      Sui principi della parità di trattamento e di non discriminazione

75.      In diverse cause, alcuni Stati membri sostengono che talune disposizioni dei tre atti impugnati sono state adottate in violazione del principio della parità di trattamento e del principio di non discriminazione.

76.      A tale proposito, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il principio della parità di trattamento configura un principio generale del diritto dell’Unione, sancito ormai all’articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») (67), e il principio di non discriminazione enunciato all’articolo 21, paragrafo 1, della Carta ne costituisce una particolare espressione (68).

77.      Secondo costante giurisprudenza della Corte, detto principio impone che situazioni analoghe non siano trattate in maniera diversa e che situazioni diverse non siano trattate in maniera uguale, salvo che un trattamento del genere non sia obiettivamente giustificato (69).

78.      Una differenza di trattamento è giustificata se si fonda su un criterio obiettivo e ragionevole, vale a dire qualora essa sia rapportata a un legittimo scopo perseguito dalla normativa in questione e tale differenza sia proporzionata allo scopo perseguito dal trattamento di cui trattasi (70).

79.      La comparabilità di situazioni diverse è valutata alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano. Tali elementi devono, in particolare, essere determinati e valutati alla luce dell’oggetto e dello scopo dell’atto dell’Unione che stabilisce la distinzione di cui trattasi. Devono, inoltre, essere presi in considerazione i principi e gli obiettivi del settore cui si riferisce l’atto in parola (71).

80.      Poiché ciò vale – come risulta dal paragrafo 53 supra – per la valutazione della proporzionalità dei provvedimenti adottati in settori nei quali il legislatore dispone di un ampio potere discrezionale, come il settore della politica dei trasporti (72), la Corte ha inoltre riconosciuto, per quanto riguarda il rispetto del principio della parità di trattamento, un sindacato giurisdizionale limitato in relazione a tali provvedimenti, precisando che, in un contesto del genere, il giudice dell’Unione non può sostituire la propria valutazione a quella del legislatore dell’Unione, ma deve limitarsi a verificare che quest’ultima valutazione non sia inficiata da un errore manifesto o da uno sviamento di potere, ovvero che l’autorità in questione non abbia palesemente travalicato i limiti del proprio potere normativo (73).

4.      Sulle disposizioni di diritto dellUnione riguardanti la politica in materia ambientale

81.      Alcuni degli Stati membri ricorrenti hanno affermato, a più riprese nei loro ricorsi, che talune disposizioni dei tre atti impugnati sarebbero state adottate in violazione delle disposizioni di diritto dell’Unione riguardanti la politica in materia di ambiente. Tali Stati membri deducono specificamente la violazione dell’articolo 3, paragrafo 3, TUE, dell’articolo 11 e dell’articolo 191, paragrafo 1, TFUE, nonché dell’articolo 37 della Carta.

82.      Occorre subito rilevare che la giurisprudenza non ha cessato di ricordare l’importanza dell’obiettivo di tutela dell’ambiente definito «essenziale» (74) nonché il suo carattere trasversale e fondamentale (75).

83.      A tale proposito, occorre rammentare che l’articolo 191, paragrafo 1, TFUE, definisce la politica dell’Unione in materia ambientale nel senso che essa deve contribuire a perseguire la salvaguardia, la tutela e il miglioramento della qualità dell’ambiente, la protezione della salute umana, l’utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali, nonché la promozione sul piano internazionale di misure destinate a risolvere i problemi dell’ambiente a livello regionale o mondiale e, in particolare, a combattere i cambiamenti climatici.

84.      L’articolo 191, paragrafo 2, TFUE dispone che la politica dell’Unione in materia ambientale mira a un «elevato livello di tutela», tenendo conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell’Unione. Nello stesso senso, l’articolo 3, paragrafo 3, TUE prevede che l’Unione si adoperi per un «elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente» (76).

85.      Inoltre, a termini dell’articolo 191, paragrafo 3, TFUE, nel predisporre la sua politica in materia ambientale l’Unione tiene conto dei dati scientifici disponibili, del rapporto costi/benefici dell’azione o dell’assenza di azione nonché dello sviluppo socioeconomico dell’Unione nel suo insieme e dello sviluppo equilibrato delle sue singole regioni. L’articolo 192 TFUE precisa le condizioni alle quali l’Unione può agire per conseguire gli obiettivi della politica dell’Unione in materia ambientale.

86.      L’articolo 11 TFUE prevede, dal canto suo, che «[l]e esigenze connesse con la tutela dell’ambiente devono essere integrate nella definizione e nell’attuazione delle politiche e azioni dell’Unione, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile». Per quanto riguarda la portata dell’articolo 11 TFUE, le parti hanno ampiamente citato e commentato le conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed (77), il quale proponeva un’interpretazione dell’articolo 6 TCE, cui è succeduto l’articolo 11 TFUE, sulla quale occorrerà tornare.

87.      Quanto all’articolo 37 della Carta, esso prevede che un «livello elevato di tutela dell’ambiente e il miglioramento della sua qualità devono essere integrati nelle politiche dell’Unione e garantiti conformemente al principio dello sviluppo sostenibile».

88.      L’articolo 52, paragrafo 2, della Carta dispone che i diritti riconosciuti dalla medesima per i quali i trattati prevedono disposizioni si esercitano alle condizioni e nei limiti dagli stessi definiti. Ciò vale per l’articolo 37 della Carta, che si basa, in sostanza, sull’articolo 3, paragrafo 3, TFUE nonché sugli articoli 11 e 191 TFUE. Di conseguenza, gli argomenti degli Stati membri ricorrenti relativi all’articolo 37 della Carta devono essere esaminati alla luce delle condizioni e dei limiti derivanti dall’articolo 191 TFUE (78).

B.      Sul regolamento 2020/1054 (cause C541/20, C543/20, C546/20, C551/20 e C553/20)

89.      Cinque Stati membri, vale a dire la Repubblica di Lituania (causa C‑541/20), la Repubblica di Bulgaria (causa C‑543/20), la Romania (causa C‑546/20), l’Ungheria (causa C‑551/20) e la Repubblica di Polonia (causa C‑553/20) chiedono alla Corte di annullare varie disposizioni del regolamento 2020/1054 o, in subordine, tale regolamento nella sua interezza. I loro ricorsi hanno ad oggetto quattro disposizioni di detto regolamento.

90.      Sotto un primo profilo, i ricorsi della Repubblica di Bulgaria, della Romania e dell’Ungheria riguardano l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, che ha modificato l’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006. Tale disposizione vieta ai conducenti di effettuare i periodi di riposo settimanale regolari e di riposo settimanale superiori a 45 ore a bordo del veicolo (in prosieguo: il «divieto di riposo settimanale regolare in cabina»).

91.      Sotto un secondo profilo, i ricorsi della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Bulgaria, della Romania e della Repubblica di Polonia riguardano l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, che ha introdotto un nuovo paragrafo 8 bis nell’articolo 8 del regolamento n. 561/2006. Detta disposizione prevede l’obbligo per le imprese di trasporto su strada di organizzare l’attività dei conducenti in modo tale che questi ultimi possano ritornare, di norma, ogni quattro settimane, alla sede di attività del datore di lavoro da cui essi dipendono, nello Stato membro di stabilimento del datore di lavoro, e dove inizia il loro periodo di riposo settimanale, o che possano ritornare al loro luogo di residenza (in prosieguo: l’«obbligo relativo al ritorno dei conducenti»).

92.      Sotto un terzo profilo, il ricorso proposto dall’Ungheria riguarda altresì l’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054, che ha anticipato la data di entrata in vigore dell’obbligo di installare tachigrafi intelligenti di seconda generazione (in prosieguo: i «tachigrafi V2»).

93.      Sotto un quarto profilo, il ricorso della Repubblica di Lituania riguarda anche l’articolo 3 del regolamento 2020/1054. Tale disposizione fissa la data di entrata in vigore di tale regolamento al ventesimo giorno successivo alla sua pubblicazione (ossia il 20 agosto 2020), senza prevedere un periodo transitorio per l’entrata in vigore del divieto di riposo settimanale regolare in cabina e per l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti.

94.      Inizierò la mia analisi con l’esame dei motivi sollevati per contestare la disposizione del regolamento 2020/1054 riguardante l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti. Analizzerò poi i motivi sollevati per contestare le altre disposizioni di tale regolamento.

1.      Sui motivi riguardanti lobbligo relativo al ritorno dei conducenti

95.      La Repubblica di Lituania (causa C‑541/20), la Repubblica di Bulgaria (causa C‑543/20), la Romania (causa C‑546/20) e la Repubblica di Polonia (causa C‑553/20) contestano l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, che prevede l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti. Questi quattro Stati membri sollevano vari motivi nei confronti della menzionata disposizione.

96.      Prima di analizzare tali diversi motivi, occorre esaminare l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio nella causa C‑543/20.

a)      Sulla ricevibilità del ricorso nella causa C543/20 per quanto riguarda larticolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054

1)      Argomenti delle parti

97.      Nella causa C‑543/20, il Consiglio solleva un’eccezione di irricevibilità in relazione al ricorso proposto dalla Repubblica di Bulgaria per quanto riguarda l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054. Secondo il Consiglio, infatti, il ricorso di tale Stato membro non sarebbe diretto a mettere in discussione la validità di detta disposizione, bensì tenterebbe di chiarirne l’esatta interpretazione. Inoltre, il suddetto Stato membro affermerebbe che, qualora la disposizione di cui trattasi dovesse essere interpretata in un certo modo, non sarebbe necessario che la Corte esaminasse i motivi che contestano la menzionata disposizione. La Repubblica di Bulgaria utilizzerebbe la sua posizione privilegiata ai sensi dell’articolo 263 TFUE per impugnare alcuni atti al solo scopo di chiarirne il significato, il che sarebbe contrario alla ratio legis di tale disposizione. Al pari di quanto dichiarato dalla Corte in riferimento all’articolo 267 TFUE, nemmeno l’articolo 263 TFUE dovrebbe essere utilizzato per sollevare questioni ipotetiche.

98.      La Repubblica di Bulgaria ritiene che l’eccezione di irricevibilità sollevata dal Consiglio debba essere respinta.

2)      Analisi

99.      Occorre anzitutto rammentare che, secondo una giurisprudenza costante, lo scopo del controllo giurisdizionale previsto dall’articolo 263 TFUE consiste nel garantire il rispetto del diritto nell’interpretazione e nell’applicazione del Trattato (79).

100. Inoltre, ai sensi dell’articolo 21 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e dell’articolo 120, lettera c), del regolamento di procedura, ogni ricorso deve indicare l’oggetto della controversia, i motivi e argomenti dedotti nonché un’esposizione sommaria dei motivi. Dalla giurisprudenza risulta che tale indicazione dev’essere sufficientemente chiara e precisa per consentire alla parte convenuta di preparare la sua difesa e alla Corte di esercitare il suo controllo, che gli elementi essenziali di fatto e di diritto sui quali si fonda un ricorso devono emergere in modo coerente e comprensibile dal testo del ricorso stesso e che le conclusioni di quest’ultimo devono essere formulate in modo inequivoco (80).

101. Nel caso di specie, dalle conclusioni e dal testo dell’atto introduttivo risulta espressamente che, con il suo ricorso nella causa C‑543/20, la Repubblica di Bulgaria chiede, in particolare, l’annullamento dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 o, in subordine, l’annullamento integrale di detto regolamento. Tale Stato membro solleva vari motivi a sostegno della sua domanda di annullamento.

102. Tuttavia, come evidenziato dal Consiglio, la Repubblica di Bulgaria deduce, in una parte preliminare del suo ricorso, due possibili interpretazioni della disposizione di cui trattasi. Infatti, detto Stato membro afferma, da un lato, che, qualora la Corte dichiarasse che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 deve essere interpretato nel senso che i conducenti sono tenuti a ritornare al loro luogo di residenza o alla sede di attività del datore di lavoro da cui essi dipendono, nello Stato membro di stabilimento del datore di lavoro, allora tale disposizione violerebbe le loro libertà fondamentali previste dal Trattato FUE, nonché vari principi di diritto dell’Unione. Dall’altro lato, la Repubblica di Bulgaria afferma che, qualora la Corte dichiarasse, invece, che la menzionata disposizione non stabilisce l’obbligo per i conducenti di ritornare nei due luoghi suddetti e che i medesimi sono quindi liberi di scegliere di effettuare il loro periodo di riposo ovunque desiderino, allora non sarebbe necessario esaminare i motivi vertenti su dette violazioni.

103. In tali circostanze, ritengo che, come risulta espressamente dalle conclusioni presentate dalla Repubblica di Bulgaria, il ricorso proposto da questo Stato membro sia effettivamente diretto a mettere in discussione la legittimità dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 ai sensi dell’articolo 263 TFUE.

104. Inoltre, in base alla lettura del ricorso, non vi è dubbio, a mio parere, che la Repubblica di Bulgaria indichi in modo chiaro e preciso i motivi e gli argomenti da essa dedotti a sostegno di tale domanda di annullamento, nonché un’esposizione sommaria dei motivi dedotti a tal fine. Ne consegue che, a mio avviso, i requisiti di cui all’articolo 21, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 120, lettera c), del regolamento di procedura della Corte sono soddisfatti.

105. La mera circostanza che, in tale contesto, detto Stato membro cerchi di chiarire l’interpretazione dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non può, a mio parere, indurre a dichiarare il ricorso irricevibile. Infatti, conformemente all’obiettivo del ricorso di annullamento menzionato al paragrafo 2 delle presenti conclusioni, il sindacato di legittimità ai sensi dell’articolo 263 TFUE implica necessariamente che il giudice dell’Unione, nell’esercizio del suo potere di interpretazione (81), interpreti le disposizioni di cui si chiede l’annullamento e ne chiarisca eventualmente la portata.

106. Pertanto, contrariamente a quanto presuppone l’argomento del Consiglio, la determinazione dell’esatta portata dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti previsto dall’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non riguarda la ricevibilità del ricorso, ma piuttosto la fondatezza dello stesso.

107. Da tali considerazioni consegue, a mio avviso, che il ricorso proposto dalla Repubblica di Bulgaria nella causa C‑543/20, nella parte in cui riguarda l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, deve essere considerato ricevibile.

108. Tuttavia, dall’affermazione contenuta nel ricorso proposto dal suddetto Stato membro, menzionata al paragrafo 102 supra, risulta che, qualora la Corte adottasse un’interpretazione dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 secondo la quale tale disposizione non istituisce l’obbligo per i conducenti di ritornare al loro luogo di residenza o alla sede di attività del datore di lavoro da cui essi dipendono, nello Stato membro di stabilimento del datore di lavoro, allora non sarebbe più necessario esaminare nel merito i motivi dedotti dalla Repubblica di Bulgaria relativamente alla suddetta disposizione.

109. In siffatte circostanze, ritengo che occorra analizzare anzitutto i motivi dedotti da alcuni Stati membri attinenti al fatto che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 violerebbe il principio della certezza del diritto. Tale analisi consentirà infatti di determinare l’esatta portata dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti previsto dalla menzionata disposizione.

b)      Sulla violazione del principio della certezza del diritto

1)      Argomenti delle parti

110. Nei loro ricorsi, la Repubblica di Lituania (causa C‑541/20), la Repubblica di Bulgaria (causa C‑543/20) e la Repubblica di Polonia (causa C‑553/20) sostengono che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non rispetta i requisiti derivanti dal principio della certezza del diritto.

111. La Repubblica di Lituania (82) afferma che il legislatore non ha precisato in che modo debba essere applicata in pratica la disposizione che prevede l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti. In tal senso, non sarebbero specificate né le modalità del ritorno del conducente, come le spese e la prova del ritorno, né quelle di un rifiuto di ritornare e le sue conseguenze in termini di sanzioni per il datore di lavoro nonché, eventualmente, per il lavoratore. Parimenti, non sarebbe chiaramente definita l’espressione «luogo di residenza» del conducente. In particolare, non sarebbe chiaro se il conducente di un paese terzo debba ritornare in quest’ultimo oppure nel luogo di residenza temporanea nello Stato membro interessato e, più in generale, non sarebbe chiaro se tale espressione si riferisca allo Stato membro interessato o a un indirizzo specifico del luogo di residenza. Tutte queste incertezze renderebbero impossibile l’applicazione uniforme del regolamento 2020/1054.

112. La Repubblica di Bulgaria sostiene che vi è una sostanziale mancanza di chiarezza sull’interpretazione esatta di tale disposizione e degli obblighi posti a carico dei conducenti e dei trasportatori. In tal senso, non sarebbe chiaro: in primo luogo, se l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti rimanga limitato ai due luoghi indicati nella medesima disposizione (vale a dire la sede di attività dell’impresa o il luogo di residenza del conducente) o se i conducenti possano scegliere un altro luogo; in secondo luogo, se detto obbligo incomba ai conducenti o ai trasportatori, e, in terzo luogo, in quest’ultimo caso, se si tratti di un obbligo di mezzi o di risultato. L’interpretazione della disposizione di cui trattasi proposta dal Consiglio e dal Parlamento nelle loro memorie contraddirebbe le posizioni espresse in documenti precedenti, sia da tali istituzioni che dalla Commissione. La mancanza di certezza del diritto sarebbe inoltre dimostrata dall’interpretazione dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 effettuata a livello nazionale. In tal senso, da una relazione della polizia belga risulterebbe che sono state inflitte sanzioni per il solo motivo che un conducente non era rientrato dopo 13 settimane, senza che fosse stato valutato se egli avesse scelto di trascorrere altrove il suo periodo di riposo (83).

113. La Repubblica di Polonia sostiene, in primo luogo, che la natura stessa dell’obbligo a carico del trasportatore previsto all’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non sarebbe chiaramente definita. Non sarebbe chiaro se l’impresa sia soltanto tenuta a fornire al conducente un mezzo di trasporto affinché possa effettuare il periodo di riposo in uno dei luoghi indicati o se – come sembrerebbe suggerire il considerando 14 di detto regolamento – essa debba vigilare affinché il conducente si renda effettivamente in uno di tali luoghi. In quest’ultimo caso, non sarebbe chiaro in che modo il trasportatore debba obbligare il conducente ad avvalersi della possibilità di ritorno che gli offre, né quale veicolo debba essere utilizzato a tal fine. Detta disposizione rischierebbe quindi di imporre ai trasportatori obblighi che essi non potrebbero assolvere senza violare la libertà individuale dei lavoratori.

114. In secondo luogo, secondo la Repubblica di Polonia, susciterebbe dubbi la questione se il ritorno al luogo di residenza non debba essere preceduto dal ritorno alla sede di attività. Non sarebbe chiaro se, consentendo ai conducenti di ritornare direttamente al loro luogo di residenza, l’impresa assolverebbe l’obbligo di garantire loro un periodo di riposo, dato che i conducenti «inizia[no] il loro periodo di riposo settimanale» presso la sede di attività.

115. In terzo luogo, ad avviso della Repubblica di Polonia, susciterebbe dubbi anche il terzo comma della disposizione di cui trattasi. Non sarebbe chiaro se il tachigrafo le cui registrazioni costituiscono gli elementi di prova richiesti da tale disposizione sia quello del veicolo con cui il conducente è ritornato alla sede di attività o al suo luogo di residenza oppure quello del veicolo generalmente utilizzato dal conducente. La disposizione impugnata non preciserebbe il periodo di conservazione dei documenti che, ai sensi del considerando 14 del regolamento 2020/1054, l’impresa può utilizzare per dimostrare l’osservanza dell’obbligo. La Repubblica di Polonia ritiene che la mancanza di precisione della disposizione contenuta nel suddetto comma ne impedisca l’applicazione. I regolamenti dovrebbero determinare con sufficiente precisione il contenuto delle misure nazionali di attuazione. Ciò non avverrebbe nel caso di specie, in quanto la disposizione di cui trattasi introdurrebbe un margine di discrezionalità troppo ampio per le autorità nazionali. Le precisazioni apportate alle disposizioni del regolamento 2020/1054 da tali autorità porterebbero ad applicazioni divergenti, accentuando lo stato di incertezza giuridica, il che sarebbe contrario all’obiettivo di detto regolamento di rafforzare la certezza del diritto riguardo agli obblighi incombenti ai trasportatori al fine di garantire un’applicazione uniforme nel mercato interno.

116. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

2)      Analisi

117. Secondo una giurisprudenza costante, il principio della certezza del diritto esige, da un lato, che le norme di diritto siano chiare e precise e, dall’altro, che la loro applicazione sia prevedibile per i soggetti dell’ordinamento, in particolare quando esse possono avere conseguenze sfavorevoli. Detto principio impone in particolare che una normativa consenta agli interessati di conoscere con esattezza la portata degli obblighi che essa impone loro e che essi possano conoscere senza ambiguità i loro diritti e i loro obblighi e regolarsi di conseguenza (84), in particolare qualora detta normativa possa avere conseguenze sfavorevoli sugli individui e sulle imprese (85).

118. Tuttavia, le esigenze di certezza del diritto non possono essere intese nel senso che ostano a che il legislatore dell’Unione, nell’ambito di una norma che esso adotta, utilizzi una nozione giuridica astratta né nel senso che impongono che una simile norma astratta menzioni le diverse ipotesi concrete in cui essa può essere applicata, in quanto il legislatore non può determinare in anticipo tutte le suddette ipotesi (86).

119. Inoltre, non è necessario che un atto legislativo fornisca esso stesso precisazioni di natura tecnica e il legislatore dell’Unione può ricorrere ad un quadro giuridico generale che deve essere, eventualmente, precisato successivamente (87).

120. Di conseguenza, il fatto che un atto legislativo conferisca un potere discrezionale alle autorità preposte alla sua attuazione non disattende di per sé l’esigenza di prevedibilità, a condizione che l’estensione e le modalità di esercizio di un simile potere vengano definite con sufficiente chiarezza, in considerazione del legittimo obiettivo in gioco, per fornire una protezione adeguata contro l’arbitrio (88).

121. Nel caso di specie, nell’ambito di ricorsi come quelli introduttivi delle presenti cause, non occorre valutare alcuna situazione concreta e vengono considerate solo situazioni ipotetiche. In siffatto contesto, in applicazione della giurisprudenza menzionata nei paragrafi precedenti, per valutare la conformità di una disposizione con il principio della certezza del diritto occorre, a mio avviso, esaminare se detta disposizione sia viziata da un’ambiguità tale da costituire un ostacolo a che i suoi destinatari possano eliminare, con sufficiente certezza, eventuali dubbi quanto alla sua portata o al suo senso, con la conseguenza che essi non siano in grado di stabilire inequivocabilmente i loro diritti e obblighi derivanti dalla suddetta disposizione (89).

122. Occorre anzitutto esaminare gli argomenti relativi al fatto che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non consentirebbe di comprendere, da un lato, se l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti incomba a questi ultimi o ai trasportatori e, dall’altro, se i conducenti siano liberi di scegliere un luogo diverso dalla sede di attività dell’impresa o dal loro luogo di residenza per iniziare i loro periodi di riposo.

123. A questo proposito si deve ricordare che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 prevede, al primo comma, che «[l]e imprese di trasporto organizzano l’attività dei conducenti in modo tale che questi ultimi possano ritornare alla sede di attività del datore di lavoro da cui essi dipendono e dove inizia il loro periodo di riposo settimanale, nello Stato membro di stabilimento del datore di lavoro, o che possano ritornare al loro luogo di residenza nell’arco di quattro settimane consecutive, al fine di effettuare almeno un periodo di riposo settimanale regolare o un periodo di riposo settimanale superiore a 45 ore effettuato a compensazione di un periodo di riposo settimanale ridotto».

124. Inoltre, ai sensi del secondo comma di tale disposizione, letto in combinato disposto con l’articolo 1, punto 6, lettera a), di detto regolamento, laddove un conducente abbia effettuato due periodi di riposo settimanale ridotti consecutivi, deve poter ritornare nella terza settimana al fine di effettuare il periodo di riposo settimanale regolare compensativo superiore a 45 ore.

125. Orbene, a mio avviso, dal testo della suddetta disposizione emerge chiaramente che essa non si rivolge ai conducenti, bensì alle imprese di trasporto imponendo loro di organizzare il lavoro dei conducenti in modo che essi abbiano la possibilità, a seconda dei casi, ogni tre o quattro settimane, di iniziare il loro periodo di riposo settimanale regolare presso la sede di attività del datore di lavoro o presso il proprio luogo di residenza.

126. Ne consegue che l’obbligo derivante dalla disposizione di cui trattasi incombe indubbiamente ai trasportatori. Si tratta di un obbligo di organizzazione, nel senso che il trasportatore è tenuto ad organizzare il ritorno del conducente in uno dei due luoghi indicati, vale a dire la sede di attività dell’impresa o il luogo di residenza del conducente. Inoltre, dal testo di tale disposizione risulta che l’obbligo posto a carico dell’impresa di trasporto è limitato all’organizzazione del ritorno in uno di questi due luoghi e non si estende quindi ad altri luoghi.

127. In siffatte circostanze, l’obbligo posto a carico del trasportatore dalla disposizione di cui trattasi non ha alcuna incidenza sulla libertà del conducente di scegliere il luogo in cui intende iniziare e trascorrere il suo periodo di riposo. Secondo il tenore della menzionata disposizione, il conducente deve avere la possibilità di iniziare il suo periodo di riposo settimanale regolare in uno di questi due luoghi, ma non è certamente tenuto a farlo. I conducenti sono quindi liberi di iniziare e di trascorrere il loro periodo di riposo settimanale regolare dove desiderano, ma ciò non incide sull’obbligo di organizzazione posto a carico dell’impresa di trasporto.

128. Peraltro, la portata della disposizione di cui trattasi, come illustrata nei due paragrafi precedenti, non solo deriva esplicitamente dalla sua formulazione, ma è confermata dal considerando 14 del regolamento 2020/1054. Infatti, da tale considerando risulta espressamente, da un lato, che sono «le imprese di trasporto [a] organizz[are]» il lavoro dei conducenti e ad avere «obblighi in materia di organizzazione del ritorno regolare». Detto considerando conferma quindi che l’obbligo in parola è posto a carico del trasportatore. Dall’altro, dal medesimo considerando risulta che «[l]’organizzazione del ritorno dovrebbe consentire di raggiungere una sede delle attività dell’impresa nel suo Stato membro di stabilimento o il luogo di residenza del conducente e quest’ultimo è libero di scegliere dove trascorrere il suo periodo di riposo» (90). L’impiego del termine «consentire» conferma parimenti che la menzionata disposizione prevede solo una possibilità e non un obbligo per i conducenti.

129. Le considerazioni che precedono consentono anche di rispondere agli argomenti addotti dagli Stati membri in merito alla presunta mancanza di chiarezza circa la natura dell’obbligo. Infatti, da un lato, in risposta ai dubbi espressi dalla Repubblica di Bulgaria, da quanto precede risulta che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti è un obbligo di risultato per quanto attiene all’organizzazione del ritorno del conducente, ma non per quanto attiene al ritorno in quanto tale, giacché il conducente è libero di scegliere di non ritornare in uno dei due luoghi indicati e di iniziare il suo periodo di riposo dove desidera.

130. Dall’altro lato, in risposta alla prima censura della Repubblica di Polonia, da tali considerazioni risulta che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non impone in alcun modo ai trasportatori di obbligare il conducente ad avvalersi della possibilità di ritorno che gli viene offerta e pertanto non impone obblighi che essi non potrebbero assolvere senza violare il diritto fondamentale dei conducenti alla libertà individuale.

131. Dalle suddette considerazioni consegue inoltre che, contrariamente a quanto ipotizzato dalla Repubblica di Lituania, non possono esservi sanzioni a carico del conducente in caso di rifiuto di effettuare il ritorno. Non possono esservi sanzioni nemmeno per il trasportatore in caso di mancato ritorno del conducente, se detto trasportatore ha soddisfatto l’obbligo di organizzazione posto a suo carico.

132. Oltre a ciò, come rilevato sia dalla Repubblica di Lituania che dalla Repubblica di Polonia, l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non specifica né le modalità di ritorno del conducente, né il mezzo di trasporto che il conducente utilizza per il ritorno. Tuttavia, tale scelta del legislatore non crea incertezza giuridica, bensì è intesa a lasciare ai trasportatori la flessibilità necessaria per organizzare il ritorno del conducente nel modo più ragionevole in termini di costi, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e delle sue modalità organizzative.

133. Con la sua seconda censura, la Repubblica di Polonia sostiene poi che non sarebbe chiaro se il ritorno al luogo di residenza debba essere preceduto dal ritorno alla sede di attività. A tale proposito, occorre rilevare che, secondo il tenore dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, il datore di lavoro può assolvere il proprio obbligo di organizzare il ritorno del conducente chiedendo a quest’ultimo di ritornare alla sua sede di attività nello Stato membro di stabilimento. Nell’ambito del contratto di lavoro, l’impresa di trasporto, in quanto datore di lavoro, può sempre imporre al conducente di ritornare alla sede di attività durante l’orario di lavoro (91), prima che egli inizi il suo periodo di riposo.

134. A questo proposito, occorre rilevare, in primo luogo, che il rapporto di subordinazione fra trasportatore e conducente è disciplinato dal diritto del lavoro nazionale applicabile a tale contratto di lavoro. Le modalità di subordinazione devono quindi essere determinate conformemente a detto diritto. In secondo luogo, il regolamento 2020/1054 non vieta che il datore di lavoro imponga al conducente di ritornare alla sede di attività, purché quest’obbligo sia imposto durante l’orario di lavoro e non interferisca con i periodi di riposo del conducente. L’obbligo in parola non lede tuttavia il diritto del conducente di scegliere il luogo in cui desidera trascorrere il suo periodo di riposo. In terzo luogo, l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non impone al trasportatore di obbligare il conducente a ritornare alla sede di attività per poter soddisfare l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti. Detta disposizione utilizza il termine «o» e non la congiunzione «e». Essa lascia al trasportatore la flessibilità di scegliere l’una o l’altra destinazione ivi menzionate.

135. Per quanto riguarda la censura della Repubblica di Lituania secondo cui l’espressione «luogo di residenza» non sarebbe chiaramente definita, è sufficiente rilevare che da una giurisprudenza costante risulta che il luogo di residenza corrisponde al luogo in cui si trova il centro principale degli interessi della persona interessata (92). Da questa definizione deriva che la nozione di «residenza» si riferisce a un luogo preciso e non all’intero territorio di uno Stato membro, come ipotizzato dalla Repubblica di Lituania. Per quanto concerne la situazione specifica dei conducenti di paesi terzi, alla luce della giurisprudenza ricordata al paragrafo 118 supra e delle considerazioni svolte ai paragrafi 142 e 143 infra, non si può sostenere che il fatto che la disposizione di cui trattasi non disciplini tale situazione comporti una violazione del principio della certezza del diritto. Detta situazione può essere disciplinata a livello nazionale. Ad ogni modo, non appare ragionevole estendere l’obbligo di ritorno a carico dei trasportatori fino ad imporre loro di organizzare il ritorno verso luoghi al di fuori dell’Unione europea. A questo proposito rammento che, come ho evidenziato nel paragrafo precedente, l’impresa di trasporto può scegliere tra i due luoghi indicati nella disposizione di cui trattasi, cosicché, qualora il ritorno al luogo di residenza risultasse economicamente svantaggioso, detta impresa potrebbe comunque adempiere l’obbligo organizzando il ritorno alla sede di attività.

136. Con la sua terza censura, la Repubblica di Polonia fa valere la mancanza di chiarezza del terzo comma dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 riguardo al modo in cui i trasportatori devono dimostrare di soddisfare il proprio obbligo relativo al ritorno dei conducenti previsto nei commi precedenti.

137. A questo proposito, ricordo che, ai sensi del terzo comma di detta disposizione, «[l]’impresa documenta in che modo ottempera a tale obbligo e conserva la documentazione presso i suoi locali per presentarla su richiesta delle autorità di controllo».

138. Su questo punto, il considerando 14 del regolamento 2020/1054 precisa che, «[p]er dimostrare che l’impresa di trasporto ottempera agli obblighi in materia di organizzazione del ritorno regolare, essa dovrebbe essere in grado di utilizzare le registrazioni del tachigrafo, il registro di servizio del conducente o altra documentazione. Tali prove dovrebbero essere disponibili presso i locali dell’impresa di trasporto per essere presentate su richiesta delle autorità di controllo».

139. La Repubblica di Polonia sostiene, in sostanza, che la mancanza di precisione della disposizione contenuta nel menzionato terzo comma impedirebbe alle imprese di trasporto di attuarla. Detto Stato membro evidenzia in particolare dubbi relativi alle registrazioni del tachigrafo che possono essere utilizzate per documentare l’osservanza dell’obbligo di ritorno del conducente, nonché la mancata determinazione del periodo di conservazione dei documenti che possono dimostrare tale osservanza.

140. Tuttavia, dalla lettura della disposizione contestata, interpretata alla luce della parte pertinente del considerando 14 del regolamento 2020/1054, emerge che il legislatore dell’Unione ha inteso offrire ai trasportatori un margine di flessibilità dando loro la possibilità di dimostrare l’osservanza dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti utilizzando qualsiasi documentazione pertinente a tal fine. Siffatta flessibilità riguardo al modo di dimostrare l’osservanza del suddetto obbligo è peraltro coerente con la flessibilità che, come risulta dal paragrafo 132 supra, il legislatore dell’Unione ha offerto ai trasportatori per organizzare il ritorno del conducente nel modo più ragionevole in termini economici e organizzativi.

141. A tal riguardo, il fatto che il terzo comma dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non specifichi in che modo i trasportatori devono dimostrare di ottemperare al loro obbligo relativo al ritorno dei conducenti non significa che detta disposizione violi il principio della certezza del diritto.

142. Infatti, in primo luogo, come risulta dalla giurisprudenza citata ai paragrafi da 118 a 120 supra, le esigenze del principio della certezza del diritto non possono essere intese nel senso che impongono che una norma menzioni sempre le diverse ipotesi concrete nelle quali essa può essere applicata, in quanto il legislatore non può determinare in anticipo tutte le suddette ipotesi. Una disposizione come quella del terzo comma dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, che si applica a una molteplicità di situazioni diverse, non può e non deve specificare in dettaglio tutte le situazioni alle quali si applica.

143. In secondo luogo, dalla giurisprudenza risulta che gli Stati membri possono adottare misure di attuazione di un regolamento anche qualora quest’ultimo non li autorizzi espressamente a farlo, se essi non ostacolano la sua applicabilità diretta, se non dissimulano la sua natura di atto di diritto dell’Unione e se precisano l’esercizio del margine discrezionale ad essi conferito da tale regolamento rimanendo nei limiti delle sue disposizioni (93). Ne consegue che, entro questi limiti, gli Stati membri, qualora ritengano necessario integrare la suddetta disposizione e fornire ulteriori indicazioni ai trasportatori, possono farlo, rispettando però nel contempo la flessibilità che essa concede loro riguardo al modo di dimostrare l’osservanza dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti.

144. In terzo luogo, in assenza di una regolamentazione precisa a livello dell’Unione o a livello nazionale riguardo al modo in cui i trasportatori devono dimostrare di ottemperare al loro obbligo relativo al ritorno dei conducenti, spetta ai trasportatori stessi scegliere, nell’ambito della flessibilità offerta dal legislatore dell’Unione, il metodo affidabile idoneo a garantire l’osservanza del requisito probatorio derivante dalla suddetta disposizione (94).

145. Quanto, poi, all’argomento della Repubblica di Bulgaria secondo cui l’interpretazione proposta dal Consiglio e dal Parlamento nelle loro memorie dinanzi alla Corte sarebbe diversa da quella che essi avrebbero proposto in atti precedenti, detto Stato membro fa riferimento ad atti intermedi adottati da tali istituzioni durante il procedimento legislativo, il cui obiettivo è unicamente di preparare l’adozione di un atto finale senza fissare definitivamente la posizione dell’istituzione di cui trattasi (95) e che non possono quindi determinare alcuna incertezza giuridica. Analogamente, i documenti intitolati «Domande e risposte sull’attuazione del pacchetto mobilità», pubblicati dalla Commissione sul sito Internet della DG «Mobilità e trasporti» di tale istituzione, ai quali fanno riferimento sia la Repubblica di Bulgaria che la Repubblica di Polonia, non possiedono un valore giuridico vincolante (96) e non possono quindi dimostrare che la disposizione contestata non rispetta le esigenze della certezza del diritto.

146. Infine, per quanto riguarda le interpretazioni della disposizione di cui trattasi effettuate a livello nazionale e fatte valere dalla Repubblica di Lituania e dalla Repubblica di Bulgaria, nonché la relazione della polizia belga prodotta come prova della mancanza di certezza del diritto dalla Repubblica di Bulgaria, occorre rilevare, da un lato, che, in assenza di altri elementi, le informazioni fornite da detti Stati membri e, in particolare, quest’ultimo documento non consentono di stabilire se nei casi citati le ammende siano state inflitte sulla base di un’interpretazione corretta o errata dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054. Dall’altro, quand’anche nei casi citati le ammende fossero state inflitte sulla base di una lettura errata di tale disposizione, un’eventuale applicazione errata della disposizione di cui trattasi non potrebbe assolutamente dimostrare, di per sé, una mancanza di certezza del diritto. Potrebbe infatti trattarsi di semplici errori commessi dalle autorità nazionali nell’applicazione della suddetta disposizione, che potrebbero essere rettificati utilizzando i mezzi di ricorso disponibili negli ordinamenti giuridici nazionali in questione.

147. Da tutto quanto precede discende che, a mio avviso, i motivi sollevati dalla Repubblica di Lituania, dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Polonia vertenti sulla violazione del principio della certezza del diritto da parte dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 devono essere respinti.

148. Dall’interpretazione dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, previsto all’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, che è stata adottata ai paragrafi da 125 a 129 supra, risulta altresì che, in base a quanto rilevato ai paragrafi 102 e 108 supra, non sarà necessario, a mio avviso, che la Corte esamini nel merito gli altri motivi dedotti dalla Repubblica di Bulgaria riguardo a tale disposizione del regolamento 2020/1054.

149. Analogamente, risulta che la Repubblica di Lituania, sia nella replica (97) sia in udienza, ha limitato la portata del suo ricorso avverso tale disposizione al solo caso in cui la Corte dichiarasse che essa impone un obbligo di ritorno ai conducenti, il che, come si è rilevato nei paragrafi precedenti delle presenti conclusioni, non si verifica. In siffatte circostanze, ritengo che la Corte non debba esaminare nel merito neanche gli altri motivi dedotti dalla Repubblica di Lituania riguardo alla medesima disposizione del regolamento 2020/1054.

150. Di conseguenza, nel prosieguo delle presenti conclusioni esaminerò soltanto in via subordinata i motivi sollevati da questi due Stati membri nei confronti della disposizione di cui trattasi.

c)      Sulla violazione delle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE

1)      Argomenti delle parti

151. Nei loro ricorsi, la Repubblica di Lituania (causa C‑541/20), la Repubblica di Bulgaria (causa C‑543/20) e la Romania (causa C‑546/20), sostenute a tale riguardo dalla Repubblica di Lettonia, affermano che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 viola varie libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE.

152. In primo luogo, la Repubblica di Lituania sostiene che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, nella parte in cui impone il ritorno obbligatorio dei conducenti al loro luogo di residenza o alla sede di attività dell’impresa, senza prevedere la possibilità per i conducenti di scegliere essi stessi dove vogliano trascorrere il loro periodo di riposo, viola la libertà di circolazione dei lavoratori prevista all’articolo 45 TFUE e il diritto dei conducenti di disporre liberamente del loro periodo di riposo. La Repubblica di Lituania deduce inoltre la violazione dell’articolo 26 TFUE. Nello stesso senso, la Repubblica di Bulgaria deduce la violazione dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 45 TFUE, nonché dell’articolo 45, paragrafo 1, della Carta.

153. In secondo luogo, la Romania, sostenuta a tal riguardo dalla Repubblica di Lettonia, afferma che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 restringe ingiustificatamente la libertà di stabilimento e viola quindi l’articolo 49 TFUE.

154. Secondo la Romania, tale disposizione comporta per i trasportatori su strada, da un lato, nuovi obblighi amministrativi riguardo alla prova del ritorno regolare dei conducenti e, dall’altro, un aumento dei costi e una perdita di entrate. Infatti, oltre ai costi aggiuntivi che l’osservanza dei nuovi requisiti di prova comporterebbe, i trasportatori dovrebbero sostenere i costi degli spostamenti effettuati dai conducenti, nonché una riduzione delle entrate relativamente ai periodi nei quali i conducenti non svolgono alcuna attività remunerativa a motivo del loro ritorno, di norma a vuoto. Dal momento che la maggior parte dei trasportatori su strada è costituita da piccole o medie imprese (PMI), la necessità di rispettare detta disposizione avrebbe ripercussioni ancora maggiori.

155. Ne conseguirebbe che la creazione di un’impresa in uno Stato situato alla periferia geografica dell’Unione risulterebbe meno redditizia rispetto alla creazione di un’impresa in uno Stato dell’Europa centrale o occidentale, tenuto conto dei costi degli spostamenti effettuati per migliaia di chilometri supplementari ogni quattro settimane per organizzare il ritorno dai paesi nei quali si concentra la domanda di trasporto, nonché dei summenzionati costi amministrativi aggiuntivi e delle suddette perdite di entrate.

156. Pertanto, l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, in particolare nella parte in cui dà luogo a costi differenziati a seconda degli Stati membri, da un lato, indurrebbe i trasportatori stabiliti in Stati membri alla periferia geografica dell’Unione a creare filiali o succursali, o addirittura a delocalizzare la loro attività, negli Stati membri dell’Europa centrale e occidentale. Orbene, tale delocalizzazione non deriverebbe da una vera scelta delle imprese. Queste ultime sarebbero costrette, in considerazione dei nuovi requisiti, a trasferirsi. Dall’altro, la suddetta disposizione avrebbe l’effetto di dissuadere gli operatori stabiliti negli Stati membri dell’Europa centrale e occidentale dal costituire società negli Stati membri alla periferia geografica dell’Unione. Benché applicabile indistintamente, la menzionata disposizione pregiudicherebbe l’accesso al mercato per le imprese di altri Stati membri.

157. Nell’ambito dei suoi argomenti relativi alla violazione del principio di proporzionalità, la Romania sostiene inoltre che l’obbligo dei trasportatori di organizzare la loro attività in modo che i periodi di riposo siano effettuati conformemente ai requisiti derivanti dall’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 potrebbe comportare restrizioni ingiustificate alla libera prestazione dei servizi.

158. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

2)      Analisi

159. Occorre subito rilevare che la Corte ha dichiarato che il divieto di restrizioni alle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE non vale solo per le misure nazionali, ma anche per quelle adottate dalle istituzioni dell’Unione (98).

160. Ne consegue che la misura in questione, vale a dire l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, previsto all’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, deve essere conforme alle disposizioni del Trattato FUE invocate dagli Stati membri ricorrenti.

161. Per quanto riguarda, anzitutto, i motivi vertenti sulla violazione degli articoli 26 e 45 TFUE sollevati dalla Repubblica di Lituania e i motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, dell’articolo 45 TFUE e dell’articolo 45, paragrafo 1, della Carta sollevati dalla Repubblica di Bulgaria, essi si basano tutti esplicitamente su una lettura dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 secondo cui tale disposizione impone il ritorno obbligatorio dei conducenti al loro luogo di residenza o alla sede di attività dell’impresa, senza prevedere la possibilità per i conducenti di scegliere essi stessi dove vogliano trascorrere il loro periodo di riposo. Orbene, dai paragrafi da 125 a 129 supra risulta che non è questa la portata della menzionata disposizione. Ne consegue che, essendo basati su una lettura errata della disposizione di cui trattasi, i suddetti motivi devono essere tutti respinti in quanto infondati.

162. Per quanto riguarda, poi, il motivo sollevato dalla Romania vertente sulla violazione dell’articolo 49 TFUE, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, devono considerarsi restrizioni alla libertà di stabilimento tutte le misure che vietino, ostacolino o rendano meno interessante l’esercizio della libertà garantita dall’articolo 49 TFUE (99).

163. In particolare, la nozione di «restrizione» (o di ostacolo) è più ampia di quella di discriminazione fondata sulla nazionalità e comprende i provvedimenti che, per quanto indistintamente applicabili, pregiudicano l’accesso al mercato per gli operatori economici degli Stati membri e, perciò, ostacolano il commercio all’interno dell’Unione (100). Una restrizione del genere esiste, segnatamente, se l’accesso al mercato dello Stato membro ospitante viene reso più difficile dal provvedimento di cui trattasi (101) o se gli operatori economici sono privati della possibilità di accedere al mercato di tale Stato membro ospitante in condizioni di concorrenza normali ed efficaci (102).

164. Inoltre, conformemente alla giurisprudenza della Corte, la libertà di stabilimento si distingue dalla libera prestazione dei servizi anzitutto per la stabilità e la continuità dell’attività di cui trattasi, rispetto invece a un’attività di carattere temporaneo (103).

165. La nozione di «stabilimento» ai sensi delle disposizioni del Trattato FUE relative alla libertà di stabilimento implica l’esercizio effettivo di un’attività economica per una durata di tempo indeterminata, per mezzo dell’insediamento in pianta stabile nello Stato membro di accoglienza. Essa presuppone pertanto un insediamento effettivo dell’operatore interessato in tale Stato e l’esercizio, nel medesimo, di un’attività economica reale (104).

166. Infine, secondo una giurisprudenza costante, una restrizione alla libertà di stabilimento può essere ammessa solo a condizione, in primo luogo, di essere giustificata da un motivo imperativo di interesse generale e, in secondo luogo, di rispettare il principio di proporzionalità, il che implica che essa sia idonea a garantire, in modo coerente e sistematico, la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non ecceda quanto necessario per conseguirlo (105).

167. Nel caso di specie, è pacifico che la disposizione che prevede l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti si applica indistintamente a tutte le imprese di trasporto che effettuano trasporti su strada rientranti nell’ambito di applicazione del regolamento n. 561/2006 (106).

168. Tale disposizione, di per sé, non disciplina né limita in alcun modo la libertà degli operatori economici stabiliti in uno Stato membro di stabilirsi in un altro Stato membro, ad esempio creando filiali o altre sedi in tale territorio.

169. Il diritto di stabilirsi, eventualmente, mediante la creazione di filiali, in qualsiasi Stato membro di propria scelta al fine di organizzare in modo ottimale l’attività in conformità con l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti è invece garantito a tutte le imprese di trasporto dall’articolo 49 TFUE, il quale, come risulta dal paragrafo 47 supra, si applica direttamente al settore dei trasporti su strada ed è stato attuato, in tale settore, dal regolamento n. 1071/2009.

170. Peraltro, la stessa Romania conferma che detta disposizione non restringe la possibilità per le imprese di trasporto di uno Stato membro di stabilirsi in un altro Stato membro laddove afferma, nel contesto del suo argomento, che l’obbligo in parola indurrà le imprese di trasporto stabilite in Romania a creare filiali e succursali in altri Stati membri.

171. Tuttavia, tale Stato membro sostiene che detto obbligo può imporre ai trasportatori costi differenziati a seconda dello Stato membro, il che, da un lato, costringerebbe i trasportatori stabiliti negli Stati membri periferici dell’Unione a trasferirsi negli Stati membri dell’Europa centrale e occidentale e, dall’altro, avrebbe l’effetto di dissuadere gli operatori stabiliti in questi ultimi Stati membri dallo stabilirsi negli Stati membri periferici. Ne conseguirebbe che il medesimo obbligo renderebbe più difficile l’accesso al mercato di altri Stati membri mediante tali stabilimenti.

172. A questo proposito, rilevo che, sebbene si applichi indistintamente alle imprese che effettuano trasporti su strada nel senso indicato al paragrafo 167 supra, non vi è dubbio che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti possa avere un impatto maggiore sulle imprese di trasporto i cui conducenti effettuano per lunghi periodi tragitti lontano dal loro luogo di assegnazione o di residenza.

173. Tuttavia, a mio avviso, tale constatazione non implica affatto che la disposizione di cui trattasi violi la loro libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 TFUE privando le suddette imprese della possibilità di accedere ai mercati di altri Stati membri in condizioni di concorrenza normali ed efficaci, come indicato nella giurisprudenza menzionata al paragrafo 163 supra.

174. Infatti, come correttamente rilevato dal Consiglio, gli svantaggi organizzativi, amministrativi ed economici derivanti dall’obbligo relativo al ritorno dei conducenti fatti valere dalla Romania nell’ambito del suo argomento – vale a dire i costi degli spostamenti effettuati dai conducenti per il loro ritorno, le eventuali perdite di entrate nonché gli oneri e i costi amministrativi aggiuntivi – sono piuttosto la conseguenza del fatto che un’impresa di trasporto ha scelto, per proprie ragioni commerciali, di stabilirsi in uno Stato membro alla periferia dell’Unione pur svolgendo, in modo permanente o prevalente, la sua attività in altri Stati membri lontani nei quali essa fornisce la maggior parte dei suoi servizi di trasporto.

175. Tuttavia, la disposizione di cui trattasi non limita affatto la libertà di tale impresa di stabilirsi in detti Stati membri, insediandovisi ed esercitandovi in maniera effettiva l’attività di trasportatore mediante un’organizzazione stabile per un periodo indeterminato. Infatti, nonostante il suddetto obbligo, le imprese in parola rimangono sempre libere, se lo desiderano, di stabilirsi in qualsiasi Stato membro di loro scelta. Tutt’al più, la menzionata disposizione può rendere meno interessante un modello economico come quello indicato nel paragrafo precedente.

176. Orbene, anche supponendo che detta disposizione sia idonea a rendere meno interessante la prestazione di servizi di trasporto rientranti nel modello economico summenzionato, ciò non comporterebbe una violazione delle norme del Trattato FUE in materia di libertà fondamentali. Infatti, come si è rilevato ai paragrafi 44 e seguenti supra, la libera prestazione dei servizi nel settore dei trasporti è soggetta a un regime speciale. I trasportatori dispongono del diritto alla libera prestazione di servizi di trasporto (nel caso di specie, su strada) esclusivamente nella misura in cui tale diritto è stato concesso mediante misure di diritto derivato adottate dal legislatore dell’Unione nell’ambito della politica comune dei trasporti.

177. In tali circostanze, il legislatore dell’Unione è pienamente legittimato, nell’adeguare un atto legislativo al fine di rafforzare la tutela sociale dei lavoratori interessati, a modificare le condizioni di esercizio della libera prestazione dei servizi nel settore del trasporto su strada, in quanto il grado di liberalizzazione, ai sensi dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE, non è determinato direttamente dall’articolo 56 TFUE, bensì dal legislatore dell’Unione medesimo nell’ambito dell’instaurazione della politica comune dei trasporti, come si è esposto ai paragrafi 45 e 46 supra.

178. A questo proposito, rilevo che la Corte ha già messo in rilievo che, in materia di libertà di circolazione, segnatamente, dei servizi, le misure adottate dal legislatore dell’Unione possono non soltanto avere l’obiettivo di facilitare l’esercizio di detta libertà, ma anche mirare a garantire, se del caso, la tutela di altri interessi fondamentali riconosciuti dall’Unione che tale libertà può ledere (107).

179. In tale contesto, sottolineo in particolare l’articolo 9 TFUE, ai sensi del quale, nella definizione e nell’attuazione delle sue politiche e azioni, il legislatore tiene conto della garanzia di un’adeguata protezione sociale.

180. Ne consegue che, nell’ambito delle misure adottate per l’instaurazione della politica comune dei trasporti, il legislatore dell’Unione può effettivamente adottare, al fine di contrastare il deterioramento delle condizioni di lavoro dei conducenti derivante da un modello di organizzazione economica come quello menzionato al paragrafo 174 supra, misure volte a garantire un’adeguata protezione sociale a detti conducenti, dal momento che il legislatore dell’Unione può legittimamente ponderare gli interessi in gioco, nel rispetto del principio di proporzionalità. La questione del rispetto di tale principio è esaminata nella sezione seguente.

181. Da tutte le considerazioni che precedono risulta che, a mio avviso, contrariamente a quanto sostenuto dalla Romania, l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non viola né l’articolo 49 TFUE né le disposizioni del Trattato FUE in materia di libera prestazione dei servizi. Di conseguenza, tutti i motivi sollevati dagli Stati membri ricorrenti relativi alla violazione delle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE devono essere respinti.

d)      Sulla violazione del principio di proporzionalità

182. Nei loro ricorsi, la Repubblica di Lituania (causa C‑541/20), la Repubblica di Bulgaria (causa C‑543/20), la Romania (causa C‑546/20) e la Repubblica di Polonia (causa C‑553/20) sostengono che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non soddisfa i requisiti derivanti dal principio di proporzionalità definiti all’articolo 5, paragrafo 4, TUE.

183. Questi quattro Stati membri, da un lato, contestano la proporzionalità in quanto tale dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, previsto da detta disposizione. Essi affermano, in particolare, che la misura in parola è manifestamente inidonea a realizzare gli obiettivi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e va oltre quanto necessario per conseguire detti obiettivi dichiarati.

184. Dall’altro, la Romania e la Repubblica di Polonia contestano altresì l’esame effettuato dal legislatore dell’Unione della proporzionalità e, in particolare, l’assenza di una valutazione d’impatto della versione finale della suddetta disposizione infine adottata.

185. Occorre esaminare separatamente questi due aspetti.

1)      Sui motivi vertenti sulla proporzionalità dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti

i)      Argomenti delle parti

186. In primo luogo, secondo la Repubblica di Lituania, la Repubblica di Bulgaria, la Romania e la Repubblica di Polonia, l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti non sarebbe conforme al principio di proporzionalità, tenuto conto delle ripercussioni negative che esso avrebbe sui conducenti.

187. Sotto un primo profilo, questi quattro Stati membri affermano che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti violerebbe il principio di proporzionalità in quanto, limitando il loro diritto di scegliere essi stessi dove intendano trascorrere il proprio periodo di riposo e pregiudicando quindi la loro libertà di circolazione, esso sarebbe una misura manifestamente inadeguata, che andrebbe oltre quanto necessario per conseguire l’obiettivo di migliorare le condizioni di riposo dei lavoratori. In tale contesto, la Repubblica di Polonia sostiene che detto obbligo sarebbe quindi contrario all’articolo 4, lettera f), del regolamento n. 561/2006, ai sensi del quale si intende per «“riposo”: ogni periodo ininterrotto durante il quale il conducente può disporre liberamente del suo tempo». La Repubblica di Polonia afferma poi che il legislatore dell’Unione avrebbe determinato arbitrariamente, nella disposizione di cui trattasi, i luoghi in cui i conducenti sono tenuti ad effettuare il loro riposo.

188. Sotto un secondo profilo, i quattro Stati membri suddetti sostengono che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti comporterebbe un maggior numero di spostamenti che provocherebbe l’affaticamento dei conducenti, i quali sarebbero tenuti a ritornare negli Stati membri situati alla periferia geografica dell’Unione. Lo squilibrio per il conducente creato da detto obbligo pregiudicherebbe la sua salute e la sua capacità lavorativa, tenuto conto dello sfinimento che gli causerebbe il ritmo intensivo dei ritorni. Tale situazione avrebbe conseguenze negative anche per la sicurezza stradale. Ne conseguirebbe che la misura in questione non sarebbe idonea a realizzare gli obiettivi del regolamento 2020/1054 di migliorare le condizioni di lavoro dei conducenti nell’Unione e la sicurezza stradale.

189. Sotto un terzo profilo, la Romania afferma che, sebbene uno degli obiettivi del regolamento 2020/1054, come risulta dal suo primo considerando, sia attrarre lavoratori qualificati nel settore dei trasporti su strada, a causa della delocalizzazione forzata delle imprese di trasporto dovuta ai costi connessi al nuovo obbligo, un numero significativo di detti lavoratori rischierebbe in realtà di perdere il lavoro o di dover emigrare in un altro Stato membro al fine di poter continuare a svolgere l’attività per la quale essi sono qualificati. Secondo informazioni di cui dispone la Romania, oltre il 45% delle imprese di trasporto in Romania prevede di costituire società o filiali, o di delocalizzare la propria attività in altri Stati dell’Europa occidentale al fine di attenuare gli effetti negativi delle misure del primo pacchetto sulla mobilità. Tali effetti negativi si verificherebbero in un settore di importanza cruciale per l’economia nazionale, in quanto i servizi di trasporto su strada fanno parte dei settori che generano le principali esportazioni rumene e contribuiscono in misura significativa all’equilibrio della bilancia commerciale nazionale.

190. In secondo luogo, secondo la Repubblica di Bulgaria, la Romania e la Repubblica di Polonia, l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti non sarebbe conforme al principio di proporzionalità in relazione alle ripercussioni negative che esso avrebbe sui trasportatori. Tali Stati membri sostengono che detto obbligo genererebbe notevoli costi finanziari per i trasportatori. Da un lato, l’obbligo in parola comporterebbe spese di gestione relative all’organizzazione del ritorno, nonché perdite di entrate connesse al tempo per ritornare nello Stato membro di stabilimento, durante il quale i conducenti, viaggiando a vuoto, non svolgerebbero alcuna attività redditizia, il che comporterebbe una limitazione dell’attività commerciale e una riduzione delle entrate. Dall’altro, anche l’obbligo imposto ai trasportatori dal terzo comma della disposizione di cui trattasi di documentare in che modo ottemperano all’obbligo relativo al ritorno dei conducenti comporterebbe notevoli oneri aggiuntivi. Orbene, i trasportatori sarebbero per la maggior parte PMI, per le quali tutti i suddetti oneri sarebbero particolarmente gravosi. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) avrebbe sottolineato la necessità di limitare le procedure e il Comitato europeo delle regioni (CdR) avrebbe inoltre segnalato che gli Stati membri situati alla periferia dell’Unione devono affrontare maggiori difficoltà per raggiungere il nucleo centrale del mercato interno. Oltre a ciò, la disposizione impugnata sarebbe stata adottata in un periodo di crisi economica innescata dalla pandemia di COVID‑19, il che ne amplificherebbe gli effetti negativi.

191. In terzo luogo, secondo la Repubblica di Bulgaria, la Romania e la Repubblica di Polonia, l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti non sarebbe conforme al principio di proporzionalità in relazione alle ripercussioni negative che esso avrebbe sull’ambiente. Questi tre Stati membri sostengono che l’obbligo in parola implicherebbe di programmare tragitti supplementari per la partenza e il ritorno di migliaia di conducenti al giorno. I conducenti che provengono da paesi alla periferia geografica dell’Unione sarebbero oggettivamente obbligati a percorrere distanze molto lunghe, ben superiori a quelle percorse dai loro omologhi dell’Europa centrale e occidentale, dove viene effettuata la maggior parte dei trasporti nell’Unione. Inoltre, i ritorni verrebbero probabilmente effettuati con un carico ridotto o addirittura senza carico, costringendo quindi migliaia di veicoli a viaggiare a vuoto. Tale aumento significativo del numero di spostamenti comporterebbe un aumento delle emissioni di CO2 e avrebbe un notevole impatto sull’ambiente.

192. In quarto luogo, la Repubblica di Bulgaria, la Romania e la Repubblica di Polonia affermano che sarebbero esistite alternative meno onerose per i conducenti e i trasportatori. Detti Stati membri sostengono che la libertà dei conducenti avrebbe potuto essere salvaguardata prevedendo l’obbligo dei trasportatori di organizzarne il ritorno solo nei casi in cui i conducenti desiderino ritornare. In questo modo, i trasportatori non sosterrebbero spese supplementari eccessive. Tale alternativa garantirebbe una maggiore flessibilità e, pertanto, un’adeguata tutela dei diritti dei conducenti. La Repubblica di Polonia fa specificamente riferimento ad una misura in tal senso proposta dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento.

193. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

ii)    Analisi

194. Dalla giurisprudenza menzionata ai paragrafi 52 e seguenti supra risulta che, nel caso di specie, per poter rispondere ai motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità da parte dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, la Corte deve verificare se il legislatore dell’Unione, prevedendo un obbligo che impone alle imprese di trasporto di organizzare il lavoro dei conducenti in modo tale che possano ritornare alla sede di attività del datore di lavoro da cui essi dipendono, nello Stato membro di stabilimento del datore di lavoro, o al loro luogo di residenza, abbia manifestamente ecceduto l’ampio potere discrezionale di cui dispone in materia di politica comune dei trasporti (108), optando per una misura manifestamente inadeguata rispetto agli obiettivi che esso intendeva perseguire o che causerebbe inconvenienti sproporzionati rispetto agli scopi previsti.

195. In tali circostanze, occorre, anzitutto, individuare gli obiettivi perseguiti dalla normativa in questione e, in particolare, dall’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 – obiettivi la cui legittimità non è contestata dagli Stati membri ricorrenti – per poter poi procedere all’esame dei motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità.

–       Sugli obiettivi della normativa in questione

196. Il regolamento 2020/1054 è stato adottato nell’ambito del Pacchetto mobilità per adeguare il quadro legislativo del trasporto su strada all’evoluzione del settore (109), tenendo conto della sua specificità e, in particolare, del suo carattere estremamente mobile.

197. In tale contesto, il regolamento 2020/1054 ha apportato modifiche al regolamento n. 561/2006 per conseguire tre obiettivi definiti «strategici». Dai considerando 1, 6 e 36 risulta quindi che detto regolamento mira, in primo luogo, a migliorare le condizioni di lavoro dei conducenti, in secondo luogo, ad assicurare una concorrenza non distorta ed equa e condizioni commerciali eque per le imprese di trasporto su strada e, in terzo luogo, a contribuire alla sicurezza stradale per tutti gli utenti della strada.

198. Tali obiettivi sono strettamente connessi tra loro, essendo le questioni sociali e le questioni di concorrenza chiaramente interdipendenti, giacché le pratiche commerciali che consentono agli operatori di ottenere un vantaggio concorrenziale sleale privano spesso i conducenti dei loro diritti fondamentali alla protezione sociale e a condizioni di lavoro adeguate e le pratiche illegali ostacolano inoltre il corretto funzionamento del mercato interno (110).

199. Come risulta dalla valutazione d’impatto – capitolo sociale, le modifiche legislative che figurano nella proposta di regolamento orario di lavoro erano intese a contribuire ai seguenti obiettivi politici derivanti dal Trattato FUE: lo sviluppo sostenibile del mercato interno, fondato su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva (articolo 3 TUE); la libera prestazione dei servizi transfrontalieri (articolo 56 TFUE); il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (articolo 151 TFUE), e la fissazione di norme comuni, eque e certe applicabili ai trasporti internazionali (articolo 91 TFUE) (111).

200. In tale contesto, la disposizione che prevede l’obbligo a carico dei trasportatori di organizzare il lavoro dei conducenti in modo che possano ritornare regolarmente alla sede di attività del datore di lavoro da cui essi dipendono o al loro luogo di residenza persegue, come risulta dal considerando 14 del regolamento 2020/1054, lo specifico obiettivo di garantire che i periodi di assenza dei conducenti da casa non siano eccessivamente lunghi.

201. Tale disposizione mira specificamente a porre rimedio all’assenza nella normativa precedente di regole relative al ritorno dei conducenti al loro luogo di residenza. Tale assenza, da un lato, era stata individuata come uno dei fattori responsabili del deterioramento delle condizioni sociali dei conducenti. Infatti, nella valutazione d’impatto, la Commissione aveva rilevato che i lunghi periodi di assenza dei conducenti dal loro luogo di residenza contribuivano al loro stress e al loro affaticamento e, in definitiva, al deterioramento del loro stato di salute nonché ad uno squilibrio tra la loro vita professionale e la loro vita privata (112).

202. Dall’altro lato, l’assenza di norme relative al ritorno dei conducenti era inoltre stata individuata come uno degli elementi che erano stati fonte di interpretazioni e pratiche di esecuzione divergenti da uno Stato membro all’altro (113).

203. Pertanto, la previsione dell’obbligo a carico dei trasportatori relativo al ritorno dei conducenti si inscrive nell’obiettivo strategico più generale del regolamento 2020/1054 di garantire buone condizioni di lavoro per i conducenti e di migliorare tali condizioni, obiettivo legato anch’esso all’esigenza di garantire un’adeguata protezione sociale prevista all’articolo 9 TFUE, menzionata al paragrafo 179 supra.

204. In tale contesto, l’obiettivo della misura in questione di migliorare l’equilibrio tra la vita professionale e la vita privata dei conducenti e, quindi, il loro tenore di vita contribuisce del pari all’obiettivo di attrarre lavoratori qualificati (114), in considerazione della penuria generale di conducenti qualificati nell’Unione. Come risulta dalla valutazione d’impatto, detta penuria è causata, almeno in parte, dal deterioramento delle condizioni di lavoro che nuoce all’immagine e all’attrattiva della professione di conducente (115).

205. Infine, tenuto conto del collegamento diretto tra il fatto di assicurare un riposo adeguato ai conducenti e la sicurezza stradale, l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti si inscrive del pari nell’obiettivo strategico del regolamento 2020/1054 di «contribuire a migliorare la sicurezza stradale per tutti gli utenti della strada» (116). Tale obiettivo strategico è in linea con l’obiettivo, menzionato all’articolo 91, paragrafo 1, lettera c), TFUE, di migliorare la sicurezza dei trasporti.

206. È quindi alla luce delle precedenti considerazioni che occorre procedere all’analisi dei motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità sollevati dalla Repubblica di Lituania, dalla Repubblica di Bulgaria, dalla Romania e dalla Repubblica di Polonia. Tali Stati membri sostengono che la disposizione di cui trattasi non è conforme al principio di proporzionalità, tenuto conto delle ripercussioni negative che essa avrebbe, in primo luogo, sui conducenti, in secondo luogo, sui trasportatori, in terzo luogo, sull’ambiente e, in quarto luogo, rispetto all’esistenza di alternative meno onerose.

–       Sulle ripercussioni negative sui conducenti

207. Per quanto riguarda, in primo luogo, la censura secondo cui l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti violerebbe il principio di proporzionalità, in quanto limiterebbe il diritto dei conducenti di scegliere dove intendano trascorrere i loro periodi di riposo, essa si basa sulla premessa errata secondo cui la disposizione di cui trattasi limiterebbe la libertà dei conducenti di trascorrere il loro periodo di riposo nel luogo di loro scelta. Infatti, dai paragrafi da 125 a 129 supra risulta che detta disposizione non ha alcuna incidenza sulla libera scelta dei conducenti quanto al luogo in cui vogliono trascorrere il loro periodo di riposo. Tale censura deve quindi essere respinta in quanto infondata (117).

208. Ritengo inoltre che debba essere parimenti respinta la censura sollevata dalla Repubblica di Polonia relativa al carattere arbitrario dei due luoghi, alternativi, scelti dal legislatore all’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, vale a dire la sede di attività del datore di lavoro da cui essi dipendono, nello Stato membro di stabilimento del datore di lavoro, e il luogo di residenza del conducente.

209. Anzitutto, occorre rilevare che, come evidenziato al Consiglio, questi due luoghi erano già menzionati nel regolamento n. 561/2006, nello specifico all’articolo 9, paragrafi 2 e 3, anche nella versione precedente alle modifiche introdotte dal regolamento 2020/1054, come due luoghi che di norma presentano una connessione con l’inizio o la fine del periodo di riposo del conducente (118). Ne consegue che il riferimento a questi due luoghi nella disposizione di cui trattasi come luoghi nei quali inizia il periodo di riposo non è una novità, ma si basa sulla normativa già esistente.

210. Inoltre, per quanto riguarda specificamente il riferimento alla sede di attività del datore di lavoro da cui i conducenti dipendono, dalla giurisprudenza risulta che essa corrisponde al luogo in cui il conducente si reca regolarmente nel normale esercizio delle sue funzioni per prendere in consegna e condurre un veicolo munito di un apparecchio di controllo (119). La Corte ha chiarito che la concreta sede del conducente è l’infrastruttura dell’impresa di trasporto a partire dalla quale egli effettua di regola il suo servizio e alla quale ritorna al termine dello stesso, nell’ambito del normale espletamento delle sue mansioni e senza seguire particolari istruzioni del suo datore di lavoro (120). Tale luogo corrisponde anche al luogo menzionato all’articolo 5, paragrafo 1, lettere b) e g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, che i conducenti hanno normalmente come base e al quale di regola ritornano i veicoli.

211. Orbene, non sembra affatto arbitrario che il legislatore abbia scelto la sede concreta del conducente alla quale egli ritorna nell’ambito del normale espletamento delle sue mansioni come uno dei luoghi in cui egli dovrebbe avere il diritto di poter ritornare per iniziare il suo periodo di riposo. Infatti, sebbene il lavoro dei conducenti sia caratterizzato da un’estrema mobilità ed essi siano quindi indotti a fornire servizi in luoghi diversi in momenti diversi, ciò nulla toglie al fatto che tali lavoratori sono collegati in modo permanente a una sede di attività alla quale si recano, di norma, per prendere in consegna e restituire il veicolo. Tale luogo costituisce quindi indubbiamente un luogo che presenta un nesso effettivo con l’inizio e la fine dei servizi offerti dal conducente nell’ambito del suo rapporto di lavoro con il datore di lavoro, vale a dire il trasportatore.

212. Per quanto riguarda il riferimento al luogo di residenza del conducente, nemmeno esso sembra il risultato di una scelta arbitraria. Dalla definizione della nozione di «residenza» contenuta nella giurisprudenza menzionata al paragrafo 135 supra risulta che si tratta di un luogo stabile in cui, con tutta probabilità, il conducente si recherà regolarmente per trascorrervi i suoi periodi di riposo. Se il conducente può occasionalmente volersi recare in altri luoghi a scopo di svago o ad altri fini, potrà ben farlo senza che l’impresa sia tenuta a consentirgli di recarsi in simili luoghi, che possono spesso variare. Ciò nulla toglie, tuttavia, alla constatazione che il luogo di residenza costituisce indubbiamente anche un luogo che presenta un nesso effettivo con il periodo di riposo.

213. Ne consegue che la scelta da parte del legislatore della sede di attività e del luogo di residenza del conducente come i luoghi verso i quali il trasportatore deve organizzare il ritorno dei conducenti nell’ambito dell’obbligo organizzativo posto a suo carico non è né arbitraria, né manifestamente inadeguata.

214. Per quanto attiene, in secondo luogo, alla censura vertente sull’inadeguatezza dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti a conseguire gli obiettivi del regolamento 2020/1054, tenuto conto dell’affaticamento e della stanchezza che il maggior numero di spostamenti connessi al ritorno provocherebbe ai conducenti, si deve considerare che, come rilevato al paragrafo 201 supra, la disposizione di cui trattasi è stata adottata proprio al fine di migliorare le condizioni sociali dei conducenti, appunto per evitare che lunghi periodi lontano dal luogo di residenza contribuiscano allo stress, all’affaticamento e, quindi, al deterioramento del loro stato di salute.

215. A questo proposito, occorre subito rilevare che il periodo di riposo inizierà solo dopo che il conducente avrà raggiunto il suo luogo di residenza o la sede di attività del datore di lavoro, il che risulta dal tenore stesso della disposizione di cui trattasi, la quale fa esplicitamente riferimento all’inizio del periodo di riposo. Inoltre, dall’articolo 9, paragrafi 2 e 3, del regolamento n. 561/2006 risulta che il tempo di guida necessario al conducente per rendersi sul luogo ove prende in consegna un veicolo o per ritornarne non è considerato, in linea di principio, come un periodo di riposo. Pertanto, il tempo trascorso alla guida del veicolo, se si tratta del mezzo utilizzato per il ritorno del conducente alla sede di attività o al luogo di residenza, è conteggiato come tempo di guida, e dunque come tempo di lavoro, allo stesso modo di qualsiasi altro periodo trascorso alla guida del veicolo in qualsiasi altro luogo. Ne consegue che l’obbligo di ritorno non comporterà affatto un tempo di guida aggiuntivo e non può quindi determinare un ulteriore affaticamento per i conducenti. Ne consegue altresì che tale misura non avrà nemmeno ripercussioni negative sulla sicurezza stradale.

216. Per quanto riguarda, in terzo luogo, gli argomenti sollevati dalla Romania in merito alle conseguenze negative per i conducenti e l’economia rumena in ragione dell’eventuale perdita di occupazione in detto Stato dovuta all’asserita delocalizzazione forzata delle imprese di trasporto verso gli Stati membri dell’Europa occidentale, ho rilevato ai paragrafi 172 e 174 supra che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, pur essendo applicabile indistintamente, può tuttavia avere un’incidenza maggiore su talune imprese di trasporto il cui modello di organizzazione economica prevede che i conducenti effettuino per lunghi periodi tragitti lontano dal loro luogo di assegnazione o di residenza.

217. Tuttavia, da un lato, dalla valutazione d’impatto risulta che la maggior parte dei conducenti, in particolare dei cosiddetti Stati membri «dell’UE‑13» (121), trascorreva meno di quattro settimane lontano dal proprio luogo di residenza già prima dell’adozione della disposizione di cui trattasi (122) e si può quindi presumere che le imprese che scelgono un modello economico siffatto rappresentino un numero non trascurabile, ma minoritario. Ne consegue che l’eventuale impatto sull’occupazione derivante da un presunto cambiamento forzato di modello di organizzazione economica sembrerebbe di carattere piuttosto limitato.

218. Dall’altro lato, come ho rilevato al paragrafo 201 supra, dalla valutazione d’impatto risulta che è stato ritenuto necessario un intervento normativo al riguardo per contrastare il deterioramento delle condizioni di lavoro per i conducenti che trascorrevano lunghi periodi lontano dal loro luogo di residenza. Si è inoltre già rilevato che la previsione dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti posto a carico dei trasportatori si inscrive nell’obiettivo strategico più generale di garantire buone condizioni di lavoro per i conducenti e di migliorare tali condizioni coerentemente con l’obiettivo generale perseguito dall’articolo 9 TFUE (123).

219. Orbene, dalla giurisprudenza della Corte risulta che il legislatore dell’Unione non può essere privato della possibilità di adeguare un atto legislativo, segnatamente nel settore della politica comune dei trasporti, a qualsiasi cambiamento delle circostanze o a qualsiasi evoluzione delle conoscenze, tenuto conto del compito a esso incombente di vigilare sulla tutela degli interessi generali riconosciuti dal Trattato FUE e di prendere in considerazione gli obiettivi trasversali dell’Unione sanciti dall’articolo 9 TFUE, tra i quali figurano le esigenze connesse alla promozione di un elevato livello di occupazione nonché la garanzia di un’adeguata protezione sociale (124).

220. In particolare, la Corte ha già riconosciuto al riguardo che, tenuto conto delle evoluzioni importanti che hanno interessato il mercato interno, prime fra tutte gli allargamenti dell’Unione che si sono succeduti, il legislatore dell’Unione poteva legittimamente adeguare un atto legislativo per procedere a un riequilibrio degli interessi in gioco al fine di rafforzare la protezione sociale dei conducenti attraverso la modifica delle condizioni di esercizio della libera prestazione dei servizi (125).

221. Ne consegue che, a mio avviso, il legislatore, nell’ambito dell’ampio margine di discrezionalità di cui dispone in materia di politica comune dei trasporti, ponderando i diversi obiettivi e interessi in gioco, può ritenere che occorra adottare una misura specifica volta a migliorare le condizioni di lavoro dei conducenti, nonostante eventuali conseguenze negative in uno o più Stati membri e nonostante i maggiori costi che il provvedimento potrebbe comportare per un numero minoritario, ancorché non trascurabile, di imprese stabilite in tali Stati membri che si avvalgono di conducenti nomadi per fornire servizi in modo più o meno permanente in altri Stati membri e che potrebbero quindi dover cambiare il loro modello di organizzazione economica, con un potenziale impatto limitato sull’occupazione. Tale approccio risulta coerente con le ambizioni sociali dell’Unione enunciate, tra l’altro, all’articolo 9 TFUE e non sembra essere il risultato di un manifesto superamento dell’ampio potere discrezionale di cui dispone il legislatore dell’Unione.

222. Inoltre, dalla giurisprudenza ricordata al paragrafo 60 supra risulta che, se l’atto dell’Unione di cui trattasi ha conseguenze in tutti gli Stati membri e richiede che sia assicurato un equilibrio tra i diversi interessi in gioco, tenuto conto degli obiettivi perseguiti da tale atto, il legislatore dell’Unione non è tenuto a prendere in considerazione la situazione particolare di ciascuno Stato membro. Pertanto, la ricerca di un equilibrio siffatto tenendo conto non già della situazione particolare dei vari Stati membri, bensì di quella dell’insieme degli Stati membri dell’Unione, non può essere considerata, di per sé, contraria al principio di proporzionalità.

223. Dalle precedenti considerazioni consegue, a mio avviso, che devono essere respinte tutte le censure riguardanti l’asserita violazione del principio di proporzionalità con riferimento alle ripercussioni negative che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti avrebbe su questi ultimi.

–       Sulle ripercussioni negative sui trasportatori

224. Tre degli Stati membri ricorrenti sostengono che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 viola il principio di proporzionalità, tenuto conto delle ripercussioni negative che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti ivi previsto avrebbe sui trasportatori in considerazione dell’aumento dei costi e delle perdite di entrate che tale obbligo comporterebbe per questi ultimi.

225. Tali Stati membri menzionano due tipi di costi connessi al rispetto dell’obbligo in parola: da un lato, le spese aggiuntive e le perdite di entrate derivanti dall’organizzazione del ritorno del conducente; dall’altro, i costi derivanti dall’obbligo imposto ai trasportatori dall’articolo 1, punto 6, lettera d), terzo comma, del regolamento 2020/1054 di documentare in che modo ottemperano all’obbligo di ritorno.

226. Per quanto riguarda, in primo luogo, i costi aggiuntivi che i trasportatori devono sostenere per organizzare il ritorno dei conducenti, occorre subito rilevare che il legislatore ha garantito un certo grado di flessibilità ai trasportatori ai fini dell’adempimento dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti. Da un lato, come indicato al paragrafo 134 supra, i trasportatori possono scegliere tra due luoghi per organizzare il ritorno del conducente, uno dei quali è la sede di attività dell’impresa e quindi un luogo che presenta una connessione diretta con il trasportatore stesso. Dall’altro, come ho già rilevato al paragrafo 132 supra, evitando di specificare con precisione le modalità di esecuzione dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, il legislatore ha lasciato all’impresa un margine di manovra consentendole di scegliere il modo in cui ritiene più opportuno soddisfare detto obbligo. Oltre a ciò, rilevo anche che il periodo menzionato dalla disposizione di cui trattasi per il ritorno regolare dei conducenti non appare manifestamente sproporzionato e non è, di fatto, messo in discussione da alcuno Stato membro.

227. Inoltre, il legislatore ha associato l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti a misure che agevolano tale ritorno. Esso ha aggiunto all’articolo 12 del regolamento n. 561/2006, come modificato dal regolamento 2020/1054, quattro nuovi commi che consentono al conducente di superare di un’ora al massimo il periodo di guida giornaliero e settimanale al fine di raggiungere la sede di attività del datore di lavoro o il proprio luogo di residenza per effettuare un periodo di riposo settimanale. Se ricorrono alcune ulteriori condizioni, detto periodo può essere portato a due ore per quanto riguarda il tempo di risposo settimanale regolare. Dalla valutazione d’impatto risulta che la giustificazione della suddetta modifica era di consentire ai conducenti, in particolare a quelli che effettuano lunghi tragitti internazionali, di tornare al loro luogo di residenza o alla loro base per effettuare un periodo di riposo settimanale regolare nel luogo di residenza (o in altro luogo privato di loro scelta) (126).

228. Da tali considerazioni risulta che, lasciando una notevole flessibilità quanto alle modalità di esecuzione in concreto dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, il legislatore ha inteso, coerentemente con la giurisprudenza menzionata al paragrafo 55 supra, fare in modo che tutti gli oneri incombenti agli operatori economici siano i minori possibili e commisurati all’obiettivo da raggiungere.

229. Inoltre, come ho rilevato al paragrafo 217 supra, dalla valutazione d’impatto emerge, da un lato, che la maggior parte dei conducenti, in particolare degli Stati membri dell’UE‑13, trascorreva meno di quattro settimane lontano dal luogo di residenza già prima dell’adozione della disposizione di cui trattasi (127). In tali circostanze, si può ragionevolmente ritenere che l’impatto della misura in parola, in termini di costi aggiuntivi rispetto alla situazione preesistente, sarebbe piuttosto limitato.

230. A questo proposito, rilevo che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica di Polonia, tale constatazione non può mettere in discussione la necessità della misura di cui trattasi. Infatti, da un lato, come indicato ai paragrafi 201 e 203 supra, la misura era necessaria per contrastare il fenomeno del «nomadismo dei conducenti», che riguardava un numero non trascurabile, ancorché minoritario, di conducenti ed era stato individuato come uno dei fattori responsabili del deterioramento delle condizioni sociali dei conducenti, ma altresì come uno degli elementi che avevano portato a interpretazioni e a pratiche di esecuzione divergenti negli Stati membri. Inoltre, dalla valutazione d’impatto era emerso un aumento dei periodi trascorsi lontano dai luoghi di residenza e quindi una tendenza all’aumento del fenomeno del «nomadismo» (128).

231. Dall’altro lato, dalla valutazione d’impatto era inoltre emerso che poteva anche accadere che, a motivo degli incrementi di efficienza nell’organizzazione del lavoro, si verificassero riduzioni dei costi (129). In quest’ottica, per quanto riguarda l’argomento vertente sulle perdite di entrate, rilevo che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti costituisce un obbligo di organizzazione. Orbene, oltre alle considerazioni che svolgerò al paragrafo 234 infra, non è affatto evidente, né tanto meno dimostrato, che gli operatori non possano organizzare il lavoro in modo economicamente redditizio, consentendo nel contempo ai conducenti di esercitare il loro diritto al ritorno.

232. Per quanto riguarda, in secondo luogo, i costi derivanti dall’obbligo, menzionato all’articolo 1, punto 6, lettera d), terzo comma, del regolamento 2020/1054, di documentare in che modo i trasportatori ottemperano all’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, occorre sottolineare che, come si è rilevato al paragrafo 140 supra, anche in questo caso il legislatore dell’Unione ha lasciato un margine di manovra alle imprese. Infatti, esso ha scelto di non specificare esattamente quale sia la documentazione necessaria per soddisfare l’obbligo di dimostrare l’osservanza dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, consentendo così agli Stati membri di adottare anche eventuali misure di attuazione. Il considerando 14 del regolamento 2020/1054 menziona tuttavia due documenti che, unitamente a qualsiasi «altra documentazione», possono essere utilizzati dall’impresa di trasporto per dimostrare che essa soddisfa i propri obblighi riguardo all’organizzazione del ritorno regolare: le registrazioni del tachigrafo e il registro di servizio del conducente.

233. Orbene, ai sensi della normativa vigente anche prima dell’adozione del regolamento 2020/1054 (130), un’impresa di trasporto era già tenuta a conservare nei propri locali le registrazioni dei tachigrafi e i registri di servizio dei loro conducenti. Ne consegue che, in linea di principio, non è necessaria alcuna nuova procedura per conformarsi ai requisiti di prova dell’osservanza dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti. Al contrario, il legislatore ha introdotto un ulteriore grado di flessibilità concedendo alle imprese la possibilità di conformarsi a tali requisiti in qualsiasi altro modo e agli Stati membri la possibilità di prevedere, se necessario, ulteriori modalità di attuazione tenendo conto di eventuali specificità del contesto nazionale. In siffatte circostanze, non si può ritenere che la disposizione di cui trattasi abbia comportato, al riguardo, conseguenze manifestamente sproporzionate per i trasportatori.

234. Infine, e in ogni caso, osservo inoltre, in merito alle due categorie di costi summenzionate, che, come si è già rilevato a più riprese, la disposizione di cui all’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 è stata adottata proprio per tutelare e promuovere i diritti sociali dei conducenti e per garantire che il tempo trascorso lontano dal loro luogo di residenza non sia eccessivamente lungo. Orbene, qualsiasi attribuzione di diritti sociali ha dei costi. Non sembra quindi sorprendente che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti possa eventualmente comportare costi aggiuntivi per le imprese tenute a rispettarlo. Tuttavia, come risulta dalla giurisprudenza menzionata ai paragrafi 57 e 60 supra, la Corte può censurare la scelta normativa del legislatore soltanto qualora appaia manifestamente errata, oppure qualora gli inconvenienti che ne derivano per alcuni operatori economici siano sproporzionati rispetto ai vantaggi che essa presenta per altri, il che deve essere dimostrato dal ricorrente. Orbene, gli Stati membri ricorrenti non hanno fornito alcuna prova che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti causerebbe ai trasportatori simili inconvenienti.

–       Sulle ripercussioni negative sull’ambiente

235. La Repubblica di Bulgaria, la Romania e la Repubblica di Polonia sostengono inoltre che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 viola il principio di proporzionalità, tenuto conto delle ripercussioni negative che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti ivi previsto avrebbe sull’ambiente.

236. Per quanto riguarda l’argomento secondo cui tale obbligo richiederebbe di programmare tragitti supplementari per il ritorno di migliaia di conducenti al giorno, si deve osservare che, come ho rilevato ai paragrafi 217 e 229 supra, dalla valutazione d’impatto era emerso che la maggior parte dei conducenti, in particolare degli Stati membri dell’UE‑13, ritornavano al luogo di residenza entro un periodo inferiore a quattro settimane già prima dell’adozione della disposizione di cui trattasi. Ne consegue che l’impatto della misura sull’ambiente dovuto all’aumento delle emissioni di CO2 sarebbe limitato ai ritorni aggiuntivi derivanti dall’esecuzione della misura in questione.

237. A tale considerazione occorre inoltre aggiungere che, contrariamente a quanto sembrano presumere i suddetti tre Stati membri, non è inevitabile che gli autisti utilizzino veicoli vuoti per esercitare il loro diritto di ritorno, in quanto, nell’ambito della flessibilità che la disposizione di cui trattasi lascia ai trasportatori per organizzare il ritorno del conducente (131), i conducenti possono ben ricorrere ad altri mezzi di trasporto per il ritorno, come i trasporti pubblici, il cui utilizzo non comporta emissioni aggiuntive. Inoltre, non si può escludere che il diritto al ritorno possa essere abbinato al ritorno dei veicoli dell’impresa alla sede operativa nell’ambito delle normali attività commerciali. Pertanto, si tratta piuttosto di una questione di organizzazione del ritorno, con un eventuale aumento delle emissioni solo in funzione delle scelte organizzative effettuate dai trasportatori.

238. Nella stessa ottica, dal fatto che la misura in questione possa incidere maggiormente su alcune imprese di trasporto che hanno scelto un modello di organizzazione economica come quello menzionato ai paragrafi 172 e 174 supra senza esercitare il loro diritto – garantito dal diritto dell’Unione (132) – di stabilirsi negli Stati membri in cui esse offrono la maggior parte dei loro servizi di trasporto, deriva che un eventuale aumento delle emissioni non è direttamente collegato alla misura di cui trattasi, ma è piuttosto il risultato della scelta organizzativa economica delle imprese.

239. In siffatto contesto, ritengo che, alla luce della giurisprudenza (133), il legislatore, nell’ambito dell’ampio margine di discrezionalità di cui dispone in materia di politica comune dei trasporti e dopo aver ponderato i diversi obiettivi e interessi in gioco, possa adottare, senza eccedere manifestamente tale ampio potere discrezionale, una misura specifica volta a migliorare le condizioni di lavoro dei conducenti sulla base della conclusione secondo cui un eventuale aumento relativamente moderato delle emissioni correlato alla disposizione di cui trattasi può essere compensato dai vantaggi offerti dalla misura ai conducenti sul piano sociale.

240. Spetta infatti al legislatore – senza che la Corte possa sostituire la sua valutazione con la propria (134) – trovare un equilibrio tra, in particolare, gli obiettivi sociali e quelli ambientali, tenendo conto nel contempo del fatto che, come si esporrà più dettagliatamente ai paragrafi 317 e 318 infra, il diritto dell’Unione, e in particolare l’articolo 11 TFUE, che ha come obiettivo lo sviluppo sostenibile, non prevede un obbligo sistematico, per l’adozione di ogni singola disposizione, di far sempre prevalere le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente su altre esigenze, di cui il legislatore deve parimenti tenere conto, derivanti dalle disposizioni di diritto primario, come l’esigenza di garantire un’adeguata protezione sociale prevista all’articolo 9 TFUE (135).

–       Sull’esistenza di alternative meno onerose

241. Alcuni Stati membri fanno valere l’esistenza di alternative meno onerose rispetto all’imposizione di un obbligo di ritorno come quello previsto all’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054. Tali Stati membri fanno riferimento in particolare alla possibilità di introdurre l’obbligo per i trasportatori di organizzare il ritorno solo nei casi in cui i conducenti desiderino ritornare.

242. A questo proposito, occorre anzitutto rilevare che, come alcuni dei suddetti Stati membri hanno osservato essi stessi e come risulta dal fascicolo, tale alternativa è stata presa in considerazione durante l’iter legislativo, ma è stata infine scartata. La proposta della commissione per l’occupazione e gli affari sociali del Parlamento, citata dalla Repubblica di Polonia nel suo ricorso, ne è la prova.

243. Inoltre, come giustamente evidenziato dal Consiglio, il conducente è la parte debole del rapporto contrattuale tra il datore di lavoro (trasportatore) e il lavoratore (conducente). Orbene, una soluzione legislativa come quella prospettata dai medesimi Stati membri rischierebbe di far sì che la scelta del lavoratore, in quanto parte debole del rapporto di lavoro con il trasportatore, non sia completamente libera e che il lavoratore possa subire pressioni affinché effettui una scelta conveniente per gli interessi del datore di lavoro. La valutazione d’impatto aveva peraltro evidenziato la difficoltà di dimostrare l’effettivo esercizio della libertà di scelta da parte dei conducenti (136).

244. Ne consegue che l’alternativa prospettata da alcuni Stati membri non appare una misura idonea a raggiungere gli obiettivi specifici perseguiti dall’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054.

245. In conclusione, tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, ritengo che occorra respingere tutti i motivi vertenti sulla manifesta inidoneità dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti a realizzare i legittimi obiettivi perseguiti dalla normativa di cui trattasi e sul fatto che esso andrebbe oltre quanto necessario per raggiungere tali obiettivi.

2)      Sui motivi vertenti sull’esame, da parte del legislatore dell’Unione, della proporzionalità dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti

i)      Argomenti delle parti

246. La Romania e la Repubblica di Polonia sostengono che il legislatore dell’Unione non avrebbe analizzato varie circostanze rilevanti della situazione che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 è inteso a disciplinare, in quanto non ha proceduto a un’adeguata valutazione d’impatto. Infatti, la versione finale della disposizione di cui trattasi non sarebbe stata oggetto di una valutazione d’impatto e pertanto non sarebbero stati presi in considerazione gli effetti di tale versione definitiva, il che configurerebbe una violazione dell’accordo interistituzionale.

247. In primo luogo, la Repubblica di Polonia sostiene che il legislatore non avrebbe proceduto a un’analisi adeguata dell’incidenza dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti sulla sicurezza degli stessi. Il legislatore avrebbe ignorato un parere del CESE, il quale si era rammaricato del fatto che le modifiche proposte non fossero accompagnate da una valutazione approfondita della sicurezza dei passeggeri e del conducente o della sicurezza stradale in relazione all’affaticamento dei conducenti (137). La Romania sostiene che, in occasione dell’adozione dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, non è stata presa in considerazione l’incidenza sui lavoratori dei viaggi di lunga durata ripetuti su brevi periodi.

248. In secondo luogo, la Repubblica di Polonia afferma che il legislatore non ha analizzato la questione se l’esecuzione dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti non avrebbe contribuito a un’intensificazione del traffico. A livello pratico, tale obbligo verrebbe soddisfatto mediante il trasporto su strada, cosicché il rispetto di detto obbligo comporterebbe 8 880 000 viaggi di ritorno in un anno. Inoltre, il legislatore non avrebbe tenuto conto delle notevoli distanze che i conducenti degli Stati periferici dell’Unione dovranno percorrere per adempiere l’obbligo in parola.

249. In terzo luogo, la Repubblica di Polonia sostiene che, a differenza della sua versione iniziale, il testo finale della disposizione di cui trattasi, al terzo comma, obbligherebbe i trasportatori, senza che sia stata effettuata una valutazione d’impatto al riguardo, a documentare in che modo ottemperano all’obbligo ivi previsto e a conservare la documentazione per poterla presentare in caso di controllo. L’imposizione di questo tipo di oneri dovrebbe essere preceduta da un’analisi esaustiva degli effetti che tenga conto del fatto che i trasportatori sono per la maggior parte PMI.

250. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

ii)    Analisi

251. Preliminarmente, occorre rilevare che, nel caso di specie, è pacifico che il legislatore dell’Unione disponeva effettivamente di una valutazione d’impatto allorché ha adottato il regolamento 2020/1054 e che la disposizione che prevede l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti era coperta da detta valutazione d’impatto.

252. Tuttavia, il legislatore dell’Unione ha adottato una versione finale di tale disposizione che era diversa da quella contenuta nella proposta di regolamento orario di lavoro (138) e che non è stata oggetto di una valutazione d’impatto specifica.

253. Tale versione finale conteneva, fondamentalmente, tre differenze rispetto alla disposizione proposta dalla Commissione.

254. In primo luogo, la proposta di regolamento orario di lavoro imponeva alle imprese di trasporto di organizzare l’attività in modo tale da consentire al conducente di ritornare esclusivamente «presso il proprio domicilio». La versione finale della menzionata disposizione adottata nel regolamento 2020/1054 prevede la possibilità per le imprese di trasporto di scegliere tra due luoghi per organizzare il ritorno del conducente, vale a dire il luogo di residenza del conducente e la sede di attività, analizzati in dettaglio nei paragrafi da 210 a 212 supra.

255. In secondo luogo, tale proposta della Commissione imponeva all’impresa di consentire il ritorno del conducente nell’arco di tre settimane consecutive. La versione finale della disposizione di cui trattasi, per contro, consente il ritorno del conducente, di norma (139), nell’arco di quattro settimane consecutive.

256. In terzo luogo, la versione finale della disposizione di cui trattasi ha aggiunto un terzo comma, che non era previsto nella proposta della Commissione, ai sensi del quale l’impresa documenta in che modo ottempera all’obbligo relativo al ritorno dei conducenti e conserva la documentazione presso i suoi locali per presentarla su richiesta delle autorità di controllo.

257. Ne consegue che, a parte l’introduzione del terzo comma, la versione finale di tale disposizione adottata dal legislatore corrispondeva in ampia misura a quella prevista dalla Commissione nella sua proposta elaborata sulla base della valutazione d’impatto. Come evidenziato dal Consiglio, detta versione finale è tuttavia meno stringente per le imprese di trasporto. Infatti, prevedendo un secondo luogo in cui effettuare il ritorno ed un periodo più lungo, la versione finale offre alle suddette imprese un grado più elevato di flessibilità per l’esecuzione dell’obbligo di ritorno posto a loro carico.

258. È in tale contesto che occorre verificare, alla luce delle censure dedotte dagli Stati membri, se il legislatore abbia violato, nel caso di specie, il principio di proporzionalità con riferimento alla circostanza che la versione finale della disposizione di cui trattasi non è stata oggetto di un aggiornamento della valutazione d’impatto e che il terzo comma aggiunto non è stato oggetto di una valutazione d’impatto specifica.

259. Per quanto riguarda, in primo luogo, la censura secondo cui il legislatore non avrebbe proceduto a un’analisi adeguata dell’incidenza dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti sulla sicurezza degli stessi, rispetto all’ulteriore affaticamento che i viaggi di ritorno causerebbero loro, rinvio alle considerazioni che ho svolto ai paragrafi 214 e 215 delle presenti conclusioni. Da tali considerazioni risulta che l’obbligo di ritorno non comporterà in alcun modo tempi di guida aggiuntivi, cosicché non potrebbe determinare un ulteriore affaticamento per i conducenti e, quindi, neppure rischi per la loro sicurezza. Al contrario, come si è già rilevato a più riprese, detta disposizione mira per l’appunto a migliorare la loro condizione sociale.

260. Inoltre, come si è rilevato ai paragrafi 217 e 229 supra, dalla valutazione d’impatto è emerso che la maggior parte dei conducenti, in particolare degli Stati membri dell’UE‑13, trascorreva meno di quattro settimane lontano dal proprio luogo di residenza già prima dell’adozione della disposizione di cui trattasi, cosicché ci si poteva già ragionevolmente attendere, sulla base di tale valutazione d’impatto, che l’adozione dell’obbligo di ritorno dei conducenti avrebbe avuto un impatto su un numero limitato, ancorché non trascurabile, di conducenti.

261. Per quanto riguarda il riferimento operato dalla Repubblica di Polonia al parere del CESE, rilevo che, sebbene tale comitato svolga un ruolo molto importante nel procedimento legislativo, dall’articolo 13, paragrafo 4, TUE e dall’articolo 300, paragrafo 1, TFUE risulta tuttavia che esso esercita funzioni consultive. Ne consegue che il legislatore non è tenuto a seguire in ogni caso le raccomandazioni contenute in un parere di detto comitato, in particolare se ritiene di disporre di informazioni sufficienti per effettuare modifiche non sostanziali di una disposizione rispetto a quella prevista nella proposta della Commissione sulla base di una valutazione d’impatto.

262. Gli Stati membri, in secondo luogo, sollevano una censura relativa al fatto che il legislatore non avrebbe esaminato la questione se l’esecuzione dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti non contribuirà a un’intensificazione del traffico che sarebbe pregiudizievole, in particolare, per l’ambiente (140).

263. A questo proposito, occorre, sotto un primo profilo, rilevare che la valutazione d’impatto aveva espressamente concluso che «non [era] stata rilevata alcuna incidenza sull’ambiente» (141). Orbene, in assenza di altre spiegazioni, tale affermazione non appare sufficiente a giustificare una valutazione dell’impatto della disposizione di cui trattasi sull’ambiente che consenta, nell’ambito della necessaria ponderazione dei diversi obiettivi e interessi in gioco, di concludere per la proporzionalità della suddetta misura relativamente al suo impatto sull’ambiente. Tuttavia, a mio avviso, dal fascicolo risulta che, sulla base di altre informazioni di cui il legislatore disponeva al momento dell’adozione della disposizione di cui trattasi, esso poteva effettuare una simile valutazione.

264. Infatti, e sotto un secondo profilo, come ho rilevato a più riprese (142), dalla valutazione d’impatto emergeva che la maggior parte dei conducenti, sia nei cosiddetti Stati membri «dell’UE‑15» sia in quelli dell’UE‑13, trascorreva meno di quattro settimane lontano dal luogo di residenza già prima dell’adozione della disposizione di cui trattasi, cosicché l’impatto della misura sull’ambiente in ragione dell’aumento delle emissioni di CO2 sarebbe limitato ai ritorni aggiuntivi derivanti dall’attuazione della misura in parola.

265. Sotto un terzo profilo, dalle informazioni di cui disponeva il legislatore risultava inoltre, senza che tali informazioni siano state realmente contestate dagli Stati membri interessati, che l’applicazione della misura in questione poteva far aumentare il traffico di autocarri in misura inferiore allo 0,1% (143).

266. In tali circostanze, ritengo che non si possa addebitare al legislatore di non aver basato la sua analisi sugli elementi e sulle circostanze rilevanti della situazione che la disposizione di cui trattasi era intesa a disciplinare.

267. In terzo luogo, la Repubblica di Polonia fa valere l’assenza di una valutazione d’impatto per quanto riguarda il terzo comma dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, che impone ai trasportatori di documentare in che modo ottemperano all’obbligo relativo al ritorno dei conducenti.

268. A tale proposito, rilevo tuttavia, anzitutto, che la Commissione, nella sua valutazione d’impatto, aveva espressamente evidenziato, fornendo dati precisi, che il mancato rispetto della normativa dell’Unione nei settori sociale, commerciale e dell’occupazione nonché la difficoltà di far rispettare le norme applicabili figuravano tra i principali problemi in materia di trasporto su strada (144). Orbene, la disposizione di cui al suddetto terzo comma è intesa ad imporre alle imprese di dimostrare di avere ottemperato ai loro obblighi derivanti dalla legge. L’introduzione di una disposizione siffatta risponde quindi a un problema chiaramente evidenziato nella valutazione d’impatto.

269. Inoltre, dai paragrafi 232 e 233 supra risulta che la suddetta disposizione non ha introdotto alcuna nuova procedura per conformarsi ai requisiti riguardanti la prova del rispetto dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, ma che, al contrario, il legislatore ha introdotto un notevole grado di flessibilità per le imprese.

270. In tali circostanze, a mio avviso, non si può ritenere che il legislatore dell’Unione abbia violato il principio di proporzionalità omettendo di effettuare una valutazione d’impatto specifica in relazione a una disposizione che si limita ad imporre alle imprese di dimostrare che hanno ottemperato ai loro obblighi derivanti dalla legge, senza introdurre alcuna nuova procedura per conformarsi ai requisiti di prova. Questa conclusione vale a maggior ragione in una situazione nella quale l’introduzione della disposizione risponde a un problema esplicitamente evidenziato nella valutazione d’impatto.

271. In conclusione, da tutte le considerazioni che precedono risulta che, a mio avviso, tutti i motivi diretti a sostenere che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non rispetta i requisiti derivanti dal principio di proporzionalità devono essere respinti.

e)      Sulla violazione dellarticolo 91, paragrafo 2, e dellarticolo 94 TFUE

1)      Argomenti delle parti

272. Nei loro ricorsi, la Repubblica di Polonia (causa C‑553/20) e la Romania (causa C‑546/20) sostengono che, adottando l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, il legislatore dell’Unione non ha rispettato gli obblighi derivanti dall’articolo 91, paragrafo 2, e dall’articolo 94 TFUE.

273. Per quanto riguarda la violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, la Repubblica di Polonia afferma che il carattere superficiale della valutazione d’impatto e l’assenza di una valutazione siffatta riguardo alla disposizione di cui trattasi non consentirebbero di ritenere che si sia tenuto conto dell’incidenza di quest’ultima sul tenore di vita e sull’occupazione in talune regioni come pure sull’uso delle attrezzature relative ai trasporti. Nonostante il margine di discrezionalità del legislatore, l’obbligo di tenere conto degli elementi indicati nell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE non potrebbe essere limitato alla presa di conoscenza di tali elementi, salvo privare di efficacia detta disposizione.

274. Per quanto attiene, in primo luogo, all’effetto sull’uso delle attrezzature relative ai trasporti, la valutazione d’impatto non avrebbe, in particolare, tenuto conto delle conseguenze derivanti dall’aumento del numero di viaggi sulle principali reti di transito dell’Unione derivante dall’obbligo di effettuare 8 880 000 viaggi di ritorno all’anno. Orbene, tali viaggi supplementari aumenterebbero la congestione sulle strade e quindi aggraverebbero ulteriormente il deterioramento dello stato delle infrastrutture stradali che sarebbe già stato constatato dalla Commissione. In siffatto contesto, si dovrebbe tenere conto della «legge della quarta potenza» (145), secondo cui l’effetto di deterioramento delle strade aumenta esponenzialmente con l’aumento del peso del veicolo elevato alla quarta potenza. Sebbene gli automezzi pesanti siano meno numerosi delle autovetture, la loro incidenza sulle infrastrutture sarebbe quindi molto maggiore.

275. Per quanto attiene, in secondo luogo, all’effetto sull’occupazione e sul tenore di vita, l’aumento del traffico stradale nuocerebbe anche alla qualità della vita nelle aree situate in prossimità dei principali nodi di trasporto e alla sicurezza stradale. Non si sarebbe tenuto conto neppure delle pesanti conseguenze per i conducenti e le imprese stabilite negli Stati periferici dell’Unione, per i quali la lunghezza media dei viaggi di ritorno alla sede di attività sarebbe notevolmente superiore, né degli oneri amministrativi e organizzativi supplementari imposti alle imprese di trasporto, più della metà delle quali sono PMI, rischiando così, molto probabilmente, di determinare il fallimento di numerose imprese di trasporto o il loro trasferimento in Stati situati al centro dell’Unione. L’analisi contenuta nella valutazione d’impatto sarebbe limitata, sintetica e troppo superficiale per poterne trarre conclusioni in merito agli effetti della disposizione di cui trattasi sull’occupazione in talune regioni.

276. Per quanto riguarda la violazione dell’articolo 94 TFUE, la Repubblica di Polonia sostiene che, adottando la misura in questione, il legislatore non avrebbe tenuto conto della situazione economica dei vettori e che la valutazione d’impatto avrebbe esaminato in modo troppo superficiale l’incidenza della normativa proposta sulle PMI. L’aumento del numero di chilometri inevitabilmente risultante dall’obbligo relativo al ritorno dei conducenti dovrebbe essere valutato nel contesto dell’intero Pacchetto mobilità, di cui fa parte anche il regolamento 2020/1055. Orbene, secondo la Repubblica di Polonia, l’applicazione delle disposizioni di tale regolamento comporterebbe viaggi di 2 035 200 000 chilometri all’anno soltanto per i veicoli che ritornano alle sedi di attività in Polonia. Supponendo che il 60% di questi percorsi sia effettuato senza carico, detti veicoli percorrerebbero in un anno 1 221 120 000 chilometri a vuoto. La Repubblica di Polonia ritiene che, tra le numerose misure disponibili per garantire che i lavoratori esercitino il loro diritto al riposo, il legislatore dell’Unione abbia scelto quella più onerosa per le imprese.

277. Uno degli effetti di tale situazione sarebbe il ritiro dal mercato di una parte delle imprese di trasporto provenienti dal settore delle PMI stabilite negli Stati periferici dell’Unione, per le quali, a motivo della loro distanza dal centro geografico dell’Unione, sarebbe particolarmente difficile soddisfare i requisiti organizzativi inerenti all’obbligo di ritorno dei conducenti alla sede di attività o al loro luogo di residenza. Una parte delle imprese potrebbe inoltre decidere di trasferire la propria sede di attività negli Stati situati al centro dell’Unione. Non sarebbe condivisibile l’assunto secondo cui la decisione commerciale di delocalizzare l’impresa non potrebbe arrecare loro pregiudizio. Il trasferimento della sede rappresenterebbe un onere molto rilevante per il funzionamento dell’impresa. Oltre a ciò, a differenza delle multinazionali, la specificità delle PMI consisterebbe, tra l’altro, nel fatto che esse sono legate al luogo dal quale forniscono i loro servizi.

278. L’adozione della disposizione impugnata durante la pandemia di COVID‑19 dimostrerebbe del pari che non è stata presa in considerazione la situazione economica dei trasportatori. Orbene, gli effetti economici della pandemia sarebbero particolarmente sentiti nel settore dei trasporti, esposto al calo della domanda e alle restrizioni all’attraversamento delle frontiere interne reintrodotte dagli Stati membri. Tali effetti sarebbero già stati presenti durante il procedimento legislativo, dato che il Pacchetto mobilità è stato adottato nel luglio 2020.

279. Anche la Romania sostiene che la soluzione legislativa adottata è contraria ai requisiti di cui all’articolo 91, paragrafo 2, TFUE e all’articolo 94 TFUE in quanto arreca pregiudizio alla situazione dei trasportatori. Infatti, dal momento che l’organizzazione del ritorno dei conducenti comporterebbe perdite maggiori per le imprese stabilite negli Stati membri situati alla periferia geografica dell’Unione, queste ultime sarebbero costrette, per ridurre i costi, a orientare le loro attività verso gli Stati dell’Europa occidentale costituendovi filiali o succursali, o addirittura trasferendovi la loro attività. Orbene, il settore dei trasporti sarebbe un settore essenziale per l’economia nazionale, in particolare per la Romania e per altri Stati membri alla periferia geografica dell’Unione, in particolare per quanto riguarda le esportazioni.

280. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

2)      Analisi

i)      Sulla portata dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE

281. Sia l’articolo 91, paragrafo 2, che l’articolo 94 TFUE sono contenuti nel titolo VI della parte terza del Trattato FUE, relativo alla politica comune dei trasporti, e prevedono che, nell’ambito dell’adozione di misure rientranti in tale politica, si tenga conto di alcuni elementi ivi indicati.

282. Per quanto riguarda, in primo luogo, l’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, tale disposizione prevede che, all’atto dell’adozione delle misure volte all’instaurazione della politica comune dei trasporti, indicate al paragrafo 1 del medesimo articolo, si tenga conto dei casi in cui la loro applicazione rischi di pregiudicare gravemente il tenore di vita e l’occupazione in talune regioni come pure l’uso delle attrezzature relative ai trasporti.

283. Tale disposizione del Trattato FUE è stata modificata in modo sostanziale dal Trattato di Lisbona. Mentre la disposizione precedente, ossia l’articolo 71, paragrafo 2, CE, prevedeva una procedura legislativa speciale che richiedeva l’unanimità per le misure che pregiudicavano gravemente il tenore di vita e l’occupazione in talune regioni, come pure l’uso delle attrezzature relative ai trasporti, l’articolo 91, paragrafo 2, TFUE prevede ormai solamente che si «tiene conto» dei casi in cui l’applicazione delle misure pregiudica gravemente tali parametri.

284. Né il Trattato FUE né la giurisprudenza definiscono le nozioni di «tenore di vita e [di] occupazione in talune regioni», o di «uso delle attrezzature relative ai trasporti». A tale proposito, si può rilevare tuttavia che le «regioni» in relazione alle quali deve essere preso in considerazione il pregiudizio grave al tenore di vita e all’occupazione possono consistere in uno o più Stati membri. Analogamente, la nozione di «uso delle attrezzature relative ai trasporti» può essere intesa, a mio avviso, nel senso che comprende le infrastrutture di trasporto terrestre, marittimo ed aereo utilizzate come impianti aperti agli utenti.

285. Ad ogni modo, come si evince dall’uso del termine «gravemente», l’effetto dell’applicazione della misura di cui trattasi sui parametri indicati nella disposizione deve essere di livello abbastanza significativo. La semplice incidenza di una misura su tali parametri non è sufficiente a determinare l’applicazione della disposizione citata.

286. Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’articolo 94 TFUE, questa disposizione prevede che qualsiasi misura in materia di prezzi e condizioni di trasporto, adottata nell’ambito dei trattati, debba tener conto della situazione economica dei vettori. Scopo di tale disposizione è che una misura in materia di prezzi e condizioni di trasporto non sia utile soltanto agli interessi degli utenti della strada o ad altri interessi pubblici (146), trascurando quindi completamente la situazione economica delle imprese di trasporto.

287. Per quanto attiene al contenuto dell’obbligo previsto all’articolo 94 TFUE, il Consiglio sostiene che la fissazione dei prezzi nel settore dei trasporti di merci su strada è stata deregolamentata (147) e che la disposizione di cui trattasi, ossia l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, non riguarda i prezzi di trasporto in quanto tali. A questo proposito, ci si può tuttavia chiedere se detto obbligo previsto all’articolo 94 TFUE si riferisca soltanto alle misure che hanno direttamente per oggetto i prezzi e le condizioni di trasporto, oppure anche a quelle misure che, determinando un aumento dei costi, incidono sui profitti dei vettori e quindi influenzano indirettamente i prezzi (148). Se è questa l’interpretazione da seguire, allora anche una misura che avesse un impatto indiretto sui prezzi di trasporto rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’articolo 94 TFUE.

288. Sia l’articolo 91, paragrafo 2, che l’articolo 94 TFUE prevedono meri obblighi di «prendere in considerazione» e non hanno quindi valore assoluto (149).

289. Tali disposizioni impongono al legislatore dell’Unione di tenere conto, nell’ambito dell’adozione di misure nel settore della politica comune dei trasporti, degli specifici parametri e obiettivi ivi indicati. Esse creano lo stesso grado di obbligo giuridico delle clausole trasversali degli articoli 8 e seguenti TFUE, i quali stabiliscono del pari l’obbligo per detto legislatore di «[tenere] conto» di taluni obiettivi politici nella definizione e nell’attuazione dell’insieme delle sue politiche e delle sue azioni (150).

290. Le disposizioni dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE richiedono e presuppongono pertanto una ponderazione da parte del legislatore degli obiettivi perseguiti da una misura e degli interessi in gioco (151).

291. Tuttavia, come hanno giustamente rilevato il Parlamento e la Repubblica di Germania, l’obbligo, previsto da queste due disposizioni, di tenere conto degli elementi ivi menzionati non implica alcuna restrizione del potere discrezionale di cui dispone il legislatore nel quadro delle competenze ad esso attribuite in settori, come la politica comune dei trasporti (152), nei quali la sua azione comporta scelte di natura politica, economica o sociale e in cui esso è chiamato ad effettuare apprezzamenti e valutazioni complessi cercando di trovare un equilibrio tra i diversi interessi in gioco.

292. Pertanto, la necessità di trovare tale equilibrio non esclude affatto che il legislatore possa adottare atti che hanno effetti negativi sui parametri indicati nelle due disposizioni suddette. L’obbligo per il legislatore derivante dalle medesime disposizioni è quello di prendere in considerazione gli effetti negativi su tali parametri – nei casi menzionati all’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, soltanto i casi di pregiudizio «grave» a detti parametri – nella ponderazione degli obiettivi perseguiti da una misura e degli interessi in gioco, la quale rientra, in definitiva, nella valutazione della proporzionalità della misura stessa.

293. In siffatto contesto, in ragione della necessità di ponderare tali diversi obiettivi e principi, nonché della complessità dell’attuazione di detti criteri, il sindacato giurisdizionale deve necessariamente limitarsi a verificare se il legislatore dell’Unione abbia commesso un manifesto errore di valutazione quanto alle condizioni di applicabilità dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE (153).

294. Occorre analizzare alla luce di tali considerazioni i motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE.

ii)    Sulle asserite violazioni dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE

295. Per quanto riguarda, in primo luogo, l’asserita violazione dell’obbligo, previsto all’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, di tenere conto del pregiudizio grave alle attrezzature relative ai trasporti, dedotta dalla Repubblica di Polonia, è giocoforza constatare che detto Stato membro non ha dimostrato né che l’applicazione dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti previsto all’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 darebbe luogo a un simile pregiudizio grave, né che il legislatore abbia commesso un errore manifesto di valutazione, a tale riguardo, adottando la misura in questione.

296. La Repubblica di Polonia fa valere un aumento significativo dei viaggi sulle principali reti di transito dell’Unione, ma non contesta realmente l’affermazione del Consiglio secondo la quale dalle informazioni di cui disponeva il legislatore risultava che l’applicazione della misura in questione avrebbe potuto far aumentare il traffico di autocarri in misura inferiore allo 0,1% (154). Orbene, anche supponendo che questo dato dovesse essere adeguato in applicazione della «legge della quarta potenza» menzionata dalla Repubblica di Polonia, è giocoforza constatare che, in tali circostanze, non si può affermare che la disposizione di cui trattasi potrebbe produrre effetti gravi sulle infrastrutture stradali.

297. Per il resto, la Repubblica di Polonia si limita ad affermare che detto aumento del numero di viaggi aggraverebbe lo stato delle infrastrutture di trasporto, che sarebbe già in condizioni insoddisfacenti. Tuttavia, essa non fornisce alcuna prova del fatto che l’effetto derivante dall’applicazione della misura di cui trattasi su dette infrastrutture sarebbe di entità tale da giustificare la constatazione di un pregiudizio «grave» ai sensi dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE.

298. Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’asserita violazione dell’obbligo previsto all’articolo 91, paragrafo 2, TFUE di tenere conto del pregiudizio grave al tenore di vita e all’occupazione in talune regioni, alla luce delle considerazioni e dei dati menzionati al paragrafo 265 supra, non si può affermare nemmeno che la disposizione di cui trattasi produrrebbe effetti gravi sulla qualità della vita nelle zone situate in prossimità delle grandi reti di trasporto stradale e sulla sicurezza stradale.

299. Per quanto attiene alla censura secondo cui non si sarebbe tenuto conto delle conseguenze alquanto negative per i conducenti, rinvio ai paragrafi 201 e seguenti supra nonché ai paragrafi 214 e 215 supra, dai quali risulta che, al contrario, la disposizione di cui trattasi è stata adottata proprio per migliorare le condizioni sociali dei conducenti. Inoltre, sebbene l’articolo 91, paragrafo 2, TFUE si riferisca all’occupazione e al tenore di vita in talune regioni, che, come ho rilevato (155), possono corrispondere ad uno o più Stati membri, ciò nulla toglie al fatto che il legislatore dell’Unione non possa ignorare altre regioni o la situazione dell’Unione nel suo complesso (156).

300. Per quanto riguarda la censura secondo cui non si sarebbe tenuto conto delle conseguenze per le imprese di trasporto stabilite negli Stati membri situati alla periferia dell’Unione in ragione dell’aumento dei loro costi, rinvio ai paragrafi da 224 a 234 e ai paragrafi 216 e seguenti delle presenti conclusioni, dai quali risulta che, nella ponderazione degli interessi effettuata dal legislatore dell’Unione nell’ambito del suo ampio margine di discrezionalità in materia di politica comune dei trasporti – ponderazione che l’articolo 91, paragrafo 2, TFUE presuppone (157) –, gli eventuali effetti negativi derivanti dalla disposizione di cui trattasi per le imprese che hanno scelto un modello economico come quello descritto al paragrafo 174 supra non possono comportare una violazione del principio di proporzionalità.

301. Inoltre, si deve rilevare che nella valutazione d’impatto è stata esaminata anche la struttura dell’offerta e della domanda di manodopera (158). Anche la struttura del mercato, compresa l’ampia percentuale di PMI, è stata espressamente presa in considerazione nella valutazione d’impatto, da cui emergeva che la misura in questione avrebbe avuto effetti diversi sulle varie parti dell’Unione (159).

302. Per quanto concerne, in terzo luogo, l’asserita violazione dell’articolo 94 TFUE, gli argomenti relativi alla mancata presa in considerazione della situazione economica dei vettori e le critiche alla valutazione d’impatto con riferimento alla presa in considerazione delle PMI sono stati esaminati nei paragrafi precedenti delle presenti conclusioni.

303. Per il resto, rilevo che gli argomenti relativi al regolamento 2020/1055 saranno esaminati nella parte delle presenti conclusioni dedicata ai ricorsi diretti contro tale regolamento. A questo proposito, si deve osservare che, sebbene i regolamenti 2020/1055 e 2020/1054 formino parte di un pacchetto di misure adottate in modo coordinato, essi perseguono obiettivi non del tutto coincidenti. Mentre l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti persegue, nell’ambito degli obiettivi generali del regolamento 2020/1054, gli obiettivi di natura fondamentalmente sociale esposti nel dettaglio ai paragrafi da 196 a 205 supra, il regolamento 2020/1055 persegue gli obiettivi diversi indicati ai paragrafi 578 e 693 infra. Ne consegue che l’analisi relativa alla ponderazione degli interessi effettuata dal legislatore e quella relativa alla proporzionalità delle misure adottate con questi due regolamenti non sono necessariamente le stesse e che pertanto, in linea di principio, non si possono trarre argomenti da un regolamento per mettere in dubbio la legittimità dell’altro.

304. Per quanto attiene alla censura secondo cui il legislatore dell’Unione avrebbe scelto l’alternativa più onerosa per le imprese di trasporto, è giocoforza constatare che, tralasciando l’alternativa esaminata ai paragrafi da 241 a 244 supra, la Repubblica di Polonia non specifica quali altre alternative meno onerose sarebbero state possibili.

305. Per quanto riguarda gli argomenti relativi ai rischi di ritiro dal mercato o di delocalizzazione di una parte delle imprese di trasporto provenienti dal settore delle PMI stabilite negli Stati periferici dell’Unione, rinvio alle considerazioni contenute nei paragrafi da 172 a 180, nei paragrafi 216 e seguenti e nel paragrafo 234 delle presenti conclusioni.

306. Infine, per quanto attiene agli argomenti addotti dalla Repubblica di Polonia in relazione alla pandemia di COVID‑19, rilevo che, se è vero che tale pandemia ha avuto gravi conseguenze su vari settori economici, compreso quello del trasporto su strada, si tratta tuttavia di una situazione eccezionale e temporanea che non può distogliere il legislatore dell’Unione dall’adottare norme sociali adeguate e applicabili a lungo termine. Ne consegue che la pandemia di COVID‑19 non può essere invocata per dedurre una presunta violazione dell’articolo 94 TFUE.

307. Da tutto quanto precede risulta che, a mio avviso, i motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE devono essere respinti.

f)      Sulla violazione delle disposizioni di diritto dellUnione riguardanti la politica in materia di ambiente e di cambiamenti climatici

1)      Argomenti delle parti

308. Nei loro ricorsi, la Repubblica di Lituania (causa C‑541/20) e la Repubblica di Polonia (causa C‑553/20) sostengono che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 violerebbe varie disposizioni del diritto dell’Unione riguardanti la politica in materia di ambiente e di cambiamenti climatici. La Repubblica di Lituania deduce la violazione dell’articolo 3, paragrafo 3, TUE nonché degli articoli 11 e 191 TFUE. La Repubblica di Polonia deduce la violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta.

309. La Repubblica di Lituania afferma che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, imponendo l’obbligo di far ritornare regolarmente i conducenti, viola l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, gli articoli 11 e 191 TFUE nonché la politica dell’Unione in materia di ambiente e di cambiamenti climatici, in quanto sarebbe incompatibile con essa e con l’obbligo di garantire la compatibilità delle misure della politica dei trasporti dell’Unione con le altre politiche dell’Unione. La tutela dell’ambiente costituirebbe uno degli obiettivi essenziali dell’Unione e le esigenze in tale materia dovrebbero essere integrate nell’instaurazione della politica comune dei trasporti. Inoltre, mentre era in corso la procedura di adozione del regolamento 2020/1054, la Commissione aveva già elaborato un Green Deal europeo (160), in cui l’Unione si sarebbe prefissata l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Secondo i dati della Commissione, il settore dei trasporti sarebbe responsabile di un quarto delle emissioni totali di gas a effetto serra dell’Unione e il loro impatto sarebbe in continua crescita. Per conseguire la neutralità climatica sarebbe necessario ridurre le emissioni prodotte dai trasporti del 90% entro il 2050 (161). Il 12 dicembre 2019, il Consiglio europeo avrebbe fatto proprio questo obiettivo e avrebbe espressamente chiesto al Consiglio di far procedere i lavori in tale settore (162). Orbene, adottando l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto dei menzionati obiettivi. Infatti, considerato che la maggior parte della domanda di trasporto di merci su strada proviene, secondo i dati della Commissione, dagli Stati membri situati al centro dell’Unione o in prossimità di tale centro, mentre la maggior parte della domanda di personale di trasporto proviene da Stati membri periferici dell’Unione, detta disposizione imporrebbe un obbligo che farà aumentare artificiosamente la circolazione sulle strade, il numero di autocarri che circolano senza merci o il numero di altri veicoli utilizzati per trasportare i lavoratori, il consumo di carburante e le emissioni di CO2 nell’ambiente, riducendo in tal modo l’efficienza del sistema di trasporto nonché aumentando l’inquinamento e la congestione. I problemi che la disposizione in parola comporterà per l’ambiente e il clima saranno incontestabilmente di vasta portata, in quanto, secondo i dati della Commissione, il settore dei trasporti occupa circa 2,9 milioni di lavoratori.

310. Dal canto suo, la Repubblica di Polonia sostiene, nella causa C‑553/20, che l’articolo 11 TFUE e l’articolo 37 della Carta sarebbero stati violati in quanto non sono state prese in considerazione le esigenze inerenti alla tutela dell’ambiente. Da queste due disposizioni discenderebbe che le istituzioni dell’Unione sono tenute ad astenersi dall’adottare misure che possano compromettere la realizzazione degli obiettivi di tutela dell’ambiente, e ciò al di là delle sole misure connesse agli articoli 191 e 192 TFUE. Il principio dell’integrazione delle esigenze ambientali nelle altre politiche dell’Unione che deriverebbe da dette disposizioni permetterebbe di conciliare gli obiettivi e le esigenze di tutela dell’ambiente con gli altri interessi e obiettivi perseguiti dall’Unione nonché con il perseguimento di uno sviluppo sostenibile. Tale principio costituirebbe, di per sé, un motivo per annullare un atto dell’Unione quando gli interessi ambientali manifestamente non siano stati tenuti presenti o siano stati completamente ignorati. Dato l’ampio carattere orizzontale dell’articolo 11 TFUE, nel valutare se una determinata misura contribuisca sufficientemente alla tutela dell’ambiente, essa non dovrebbe essere giudicata isolatamente rispetto alle altre misure dell’Unione adottate a tal fine e in relazione all’attività presa in esame, ma sarebbe la totalità dei provvedimenti adottati dall’Unione in tale ambito a fornire il contesto corretto per una valutazione siffatta. Il sindacato giurisdizionale relativo alla valutazione della conformità dell’azione del legislatore dell’Unione a detto principio di integrazione dovrebbe essere analogo a quello effettuato dal Tribunale allorché ha dovuto valutare se l’azione della Commissione rispettasse il principio di solidarietà energetica. Un’interpretazione dell’articolo 11 TFUE nel senso che esso riguarderebbe solo settori del diritto e non specifiche misure avrebbe l’effetto di relativizzarne notevolmente l’importanza. Le esigenze di tutela dell’ambiente dovrebbero essere prese in considerazione anche all’atto della determinazione delle varie misure che fanno parte del settore interessato del diritto dell’Unione. In tali circostanze, spettava a detto legislatore tenere conto delle esigenze ambientali prima di adottare l’obbligo di ritorno, il che richiedeva in particolare di procedere a un’analisi dell’impatto delle norme progettate sull’ambiente e di assicurarsi che esse non pregiudicassero la realizzazione degli obiettivi fissati in altri atti di diritto derivato adottati in materia ambientale. Il Parlamento e il Consiglio avrebbero poi dovuto contemperare gli interessi in conflitto e introdurre, se del caso, le opportune modifiche.

311. Sarebbe noto che l’inquinamento dell’aria causato dalle emissioni dei trasporti provoca numerosi problemi di salute di cui il trasporto su strada sarebbe il principale responsabile. L’obbligo di ritorno sancito dall’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 comporterebbe viaggi supplementari che genererebbero un aumento delle emissioni di CO2 e degli inquinanti atmosferici, emissioni che potrebbero avere un’incidenza notevole sulla realizzazione degli obiettivi ambientali dell’Unione derivanti in particolare dal Green Deal europeo, dell’obiettivo di un’Unione climaticamente neutra entro il 2050 attraverso la riduzione del 90% delle emissioni complessive dei trasporti rispetto ai livelli del 1990 e degli obiettivi assegnati agli Stati membri dalla normativa dell’Unione in materia. Le emissioni aggiuntive di ossido di azoto e di polveri generate dall’applicazione di tale disposizione e dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane previsti dal regolamento 2020/1055 potrebbero pregiudicare l’efficacia dell’azione definita dagli Stati membri nei loro piani nazionali per l’ambiente. Tali effetti negativi sarebbero documentati dalle analisi dell’impatto ambientale dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane fornite nel corso del procedimento legislativo in particolare dagli Stati membri, dalla lettera dell’IRU, dalla relazione KPMG commissionata da un’associazione bulgara e dalla nota dello European Centre for Internationl Political Economy (ECIPE). La Commissione, tramite la Commissaria Vălean (163), avrebbe messo in dubbio la coerenza dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane con le ambizioni del Green Deal europeo e delle conclusioni del Consiglio europeo del 2019. Ciononostante, il Parlamento e il Consiglio non avrebbero proceduto a un’analisi adeguata dell’incidenza dell’obbligo di ritorno dei conducenti sulla realizzazione degli obiettivi ambientali dell’Unione e sul rispetto degli obblighi che incombono agli Stati membri in forza degli atti in materia ambientale. Tale mancanza di una valutazione d’impatto costituirebbe una manifesta violazione del loro obbligo di procedere a una valutazione siffatta derivante dall’articolo 11 TFUE (164).

312. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

2)      Analisi

313. La questione relativa alla violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente e di cambiamenti climatici sarà oggetto di un esame esaustivo nell’ambito dei ricorsi diretti contro l’articolo 1, punto 3, lettera b), del regolamento 2020/1055, che impone ai trasportatori di prevedere il ritorno dei veicoli nello Stato di stabilimento ogni otto settimane, esame al quale, data l’analogia degli argomenti dedotti dalla Repubblica di Lituania e dalla Repubblica di Polonia nei rispettivi ricorsi paralleli, mi permetto di rinviare ampiamente (165).

314. Pertanto, mi limiterò a rilevare che, poiché l’articolo 52, paragrafo 2, della Carta dispone che i diritti riconosciuti dalla stessa per i quali i trattati prevedono disposizioni si esercitano alle condizioni e nei limiti da questi ultimi definiti, il diritto a un livello elevato di tutela dell’ambiente sancito dalla Carta deve essere inteso e interpretato alle condizioni e nei limiti eventualmente previsti dall’articolo 3, paragrafo 3, TUE e dagli articoli 11 e 191 TFUE (166). L’articolo 37 della Carta non costituisce quindi una norma giuridica autonoma indipendente da queste altre disposizioni di diritto primario.

315. Per quanto riguarda l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, la sua dimensione programmatica lo esclude dai parametri che consentono di valutare la conformità al diritto primario di una disposizione di diritto derivato. Tale articolo non può, a mio avviso, ricevere un’applicazione autonoma rispetto alle disposizioni specifiche del Trattato che concretizzano gli obiettivi generali in esso elencati (167).

316. Per quanto riguarda l’articolo 11 TFUE, nonostante una formulazione apparentemente tassativa, non sono convinto che questa disposizione sia idonea a far sorgere in capo al legislatore dell’Unione obblighi così specifici come quelli invocati dalle ricorrenti, in quanto esso è soltanto tenuto ad integrare le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente, senza ulteriori precisazioni. Data tale vaghezza, la censura sollevata dalla Repubblica di Polonia e vertente sulla violazione dell’articolo 11 TFUE in ragione dell’asserita mancanza di una valutazione d’impatto – non essendo chiaro peraltro se riguardi l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti in quanto tale o quello, distinto, di ritorno dei veicoli – non può essere accolta (168).

317. Inoltre, sebbene l’articolo 11 TFUE si riferisca effettivamente alle politiche e azioni dell’Unione, tale riferimento non può essere interpretato come un obbligo sistematico, per l’adozione di ogni singola disposizione, di integrare le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente, o di farle prevalere. Tenuto conto del carattere trasversale dell’articolo 11 TFUE, è in definitiva il modo in cui l’Unione integra, tiene conto di tali esigenze nelle sue politiche che consente di stabilire se essa agisca in conformità a quanto prescritto dalla menzionata disposizione e se il suo legislatore abbia esercitato le proprie competenze nel rispetto dell’obiettivo indicatogli dalla medesima disposizione.

318. Mi sembra che questa interpretazione sia corroborata dalla natura stessa dell’azione legislativa, che è quella di dover mediare, in un determinato settore, tra interessi divergenti e nel contemperare obiettivi spesso contraddittori. Pertanto, quand’anche l’obbligo di ritorno dei conducenti, considerato isolatamente, avesse conseguenze negative per l’ambiente (169), quest’unica constatazione non sarebbe sufficiente per concludere nel senso di una violazione dell’articolo 11 TFUE, giacché, per altro verso, il legislatore dell’Unione ha intrapreso varie azioni per tentare di contenere gli effetti negativi del trasporto su strada di merci (170) e tali asserite conseguenze costituirebbero il costo ambientale di un progresso sociale.

319. Rilevo inoltre che i vari studi e le varie analisi citati dalla Repubblica di Polonia, in particolare, descrivono e valutano gli asseriti effetti negativi sull’ambiente che deriverebbero dall’adozione da parte del legislatore dell’Unione dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane nello Stato membro di stabilimento. Si tratta dei medesimi studi e delle medesime analisi ampiamente citati e commentati nell’ambito dei ricorsi diretti contro l’articolo 1, punto 3, lettera a), del regolamento 2020/1055, ai quali rinvio. Tuttavia, l’obbligo di ritorno dei conducenti non coincide con quello dei veicoli (171).

320. Per quanto concerne l’articolo 191 TFUE, rilevo che il regolamento 2020/1054 non è una misura adottata nell’ambito della politica dell’Unione in materia di ambiente e non è stato sostenuto che le istituzioni convenute abbiano commesso un errore riguardo alla base giuridica. Inoltre, una misura non può essere considerata un atto in materia di ambiente per il solo fatto che dovrebbe tenere conto delle esigenze di tutela dell’ambiente (172). In tali circostanze, l’invocazione dell’articolo 191 TFUE appare priva di pertinenza.

321. Infine, riguardo all’affermazione secondo cui l’obbligo di ritorno sarebbe in contrasto con gli obiettivi fissati per altro verso dal Consiglio europeo, dal Green Deal europeo e dagli altri strumenti di diritto derivato, occorre ricordare quanto segue. In primo luogo, la legittimità interna di un atto di diritto derivato non può essere esaminata alla luce di un altro atto dell’Unione dello stesso rango normativo (173), salvo che esso sia stato adottato in applicazione di quest’ultimo atto o che, in uno di questi due atti, sia espressamente previsto che l’uno prevalga sull’altro (174), il che non si verifica nel caso del regolamento 2020/1054.  Inoltre, eventuali tensioni, in capo agli Stati membri, tra gli obiettivi loro assegnati dalle diverse normative dell’Unione ad essi applicabili potrebbero condurre solo alla constatazione di una violazione da parte di uno Stato membro dei suoi obblighi ai sensi di una o dell’altra di tali normative, senza tuttavia che una di esse possa essere dichiarata contraria ad un’altra dello stesso rango normativo (175). In secondo luogo, tenuto conto della natura essenzialmente politica e dell’assenza di funzioni legislative devolute al Consiglio europeo, non si potrebbe trarre alcuna conclusione utile per l’esito dei presenti ricorsi nel caso in cui l’asserito contrasto con le conclusioni di tale organismo fosse confermato (176). In terzo luogo, il Green Deal europeo risulta da una comunicazione della Commissione che non fa parte dei parametri che si imponevano al legislatore dell’Unione al momento dell’adozione dell’obbligo di ritorno dei conducenti.

322. Pertanto, i motivi vertenti sulla violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente e di cambiamenti climatici devono essere respinti.

g)      Sulla violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione

1)      Argomenti delle parti

323. Nei loro ricorsi, la Repubblica di Lituania (causa C‑541/20), la Repubblica di Bulgaria (causa C‑543/20) e la Romania (causa C‑546/20) sostengono che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 non soddisfa i requisiti derivanti dal principio di non discriminazione di cui all’articolo 18 TFUE. La Repubblica di Bulgaria fa inoltre riferimento agli articoli 20 e 21 della Carta, al principio di uguaglianza degli Stati membri, sancito dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE, nonché all’articolo 95, paragrafo 1, TFUE e alla libera prestazione dei servizi.

324. In primo luogo, questi tre Stati membri affermano che l’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 violerebbe il principio di non discriminazione in quanto consentirebbe una discriminazione fra i trasportatori stabiliti negli Stati membri situati alla periferia geografica dell’Unione e quelli stabiliti negli Stati membri situati al centro dell’Unione. Infatti, organizzare il lavoro degli automezzi pesanti in modo che possano ritornare alla loro sede o nello Stato membro di stabilimento almeno ogni quattro settimane sarebbe molto meno oneroso per i trasportatori stabiliti in Stati membri dotati di un vasto mercato nazionale, i cui conducenti effettuano trasporti nello Stato membro di stabilimento del trasportatore, in prossimità del loro luogo di residenza, di quanto non sia per i trasportatori stabiliti in Stati membri periferici, il cui mercato nazionale è limitato e che si concentrano sul trasporto internazionale. In particolare, la Romania sostiene che l’obbligo di garantire il ritorno dei conducenti comporterebbe perdite rilevanti per le imprese stabilite negli Stati membri situati alla periferia geografica dell’Unione, che sarebbero in ogni caso nettamente superiori a quelle delle imprese stabilite nell’Europa centrale o occidentale.

325. La Repubblica di Lituania afferma, inoltre, che la discriminazione creata dalla disposizione di cui trattasi nei confronti delle imprese degli Stati membri situati alla periferia dell’Unione ostacolerebbe l’esercizio delle libertà del mercato interno, in quanto tali imprese sarebbero svantaggiate rispetto alle imprese del centro dell’Unione e delle regioni situate vicine ad esso. L’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 sarebbe quindi una misura protezionistica, con cui le imprese degli Stati periferici vengono escluse dal mercato dei trasporti di una parte del territorio dell’Unione, destinata a ridurre il volume di attività di dette imprese, in quanto esse dovrebbero non solo proporre ai conducenti condizioni di lavoro che ne limitano la libertà di circolazione, ma altresì organizzare la propria attività in modo tale che una parte dei tragitti effettuati dai veicoli non sarebbe redditizia o che i veicoli resterebbero vuoti fino alla sostituzione dei conducenti o fino al loro ritorno dalla sede di attività o dallo Stato di residenza dopo il periodo di riposo.

326. In secondo luogo, la Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Lituania sostengono che la disposizione impugnata comporterebbe una discriminazione tra i conducenti che lavorano per trasportatori stabiliti in Stati membri situati alla periferia geografica dell’Unione e quelli che lavorano per trasportatori di Stati membri situati al centro dell’Unione, in quanto il ritorno allo Stato di residenza richiede un tragitto di lunga distanza su brevi periodi di tempo, il che può non essere desiderabile e aggravare la situazione del conducente. All’interno di uno stesso Stato membro, l’obbligo in parola creerebbe una discriminazione tra i conducenti locali e quelli di altri Stati membri. Inoltre, i lavoratori degli Stati membri situati alla periferia dell’Unione si troverebbero in una situazione oggettivamente più complicata, in quanto, per esercitare il loro diritto al riposo, dovrebbero percorrere distanze maggiori e perdere più tempo rispetto ai lavoratori delle regioni situate vicino al centro dell’Unione.

327. In terzo luogo, la Repubblica di Bulgaria afferma che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti violerebbe anche il principio di uguaglianza degli Stati membri in ragione della posizione nettamente più sfavorevole nella quale si troverebbero gli Stati membri situati alla periferia dell’Unione.

328. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

2)      Analisi

329. La Repubblica di Lituania, la Repubblica di Bulgaria e la Romania sostengono che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti violerebbe i principi della parità di trattamento e di non discriminazione sotto tre profili: in primo luogo, esso creerebbe una discriminazione fra i trasportatori; in secondo luogo, comporterebbe una discriminazione tra i conducenti, e, in terzo luogo, creerebbe una discriminazione tra Stati membri diversi.

330. Preliminarmente, occorre ricordare che, come risulta dalla giurisprudenza menzionata al paragrafo 79 supra, la comparabilità di situazioni diverse deve essere valutata alla luce dell’oggetto e dello scopo dell’atto dell’Unione che stabilisce la distinzione di cui trattasi. Gli obiettivi della disposizione in questione sono stati illustrati ai paragrafi 196 e seguenti supra, ai quali rinvio.

331. Per quanto attiene, in primo luogo, alla discriminazione fra i trasportatori, asseritamente creata dall’obbligo di ritorno dei conducenti, occorre anzitutto rilevare che, come si è osservato al paragrafo 167 supra, l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti si applica indistintamente e allo stesso modo a tutte le imprese di trasporto che effettuano trasporti su strada rientranti nell’ambito di applicazione del regolamento n. 561/2006. Detta disposizione si applica indipendentemente dalla nazionalità del datore di lavoro (e del conducente).

332. Ne consegue che tale obbligo, di per sé, non introduce esplicitamente una distinzione fra imprese di trasporto.

333. Tuttavia, i suddetti tre Stati membri sostengono, in sostanza, che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, sebbene si applichi indistintamente a tutte le imprese di trasporto, inciderebbe maggiormente sulle imprese di trasporto stabilite negli Stati membri situati alla periferia geografica dell’Unione, il che comporterebbe una discriminazione vietata dal diritto dell’Unione.

334. A tale proposito, ho rilevato al paragrafo 174 supra che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti potrebbe incidere maggiormente sulle imprese di trasporto che hanno scelto, per ragioni commerciali ad esse proprie, di stabilirsi in uno Stato membro alla periferia dell’Unione, pur esercitando le loro attività, in modo permanente o prevalente, in altri Stati membri lontani nei quali forniscono la maggior parte dei loro servizi di trasporto, senza tuttavia esercitare il proprio diritto di stabilirsi in tali Stati membri, che il diritto dell’Unione garantisce loro (177).

335. Inoltre, dalla valutazione d’impatto risulta, come si è rilevato al paragrafo 229 supra, che gran parte delle imprese di trasporto, comprese quelle situate alla periferia dell’Unione, svolgeva già le proprie attività in modo compatibile con l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti.

336. In tali circostanze, come si è osservato al paragrafo 230 supra, sono per l’appunto le pratiche di «nomadismo dei conducenti», che riguardavano un numero non trascurabile di conducenti ed erano state individuate come uno dei fattori responsabili del deterioramento delle loro condizioni sociali, che il legislatore dell’Unione ha inteso disciplinare al fine di perseguire gli obiettivi strategici del regolamento 2020/1054, ossia migliorare le condizioni di lavoro dei conducenti, assicurare una concorrenza non distorta ed equa fra i trasportatori e contribuire a migliorare la sicurezza stradale per tutti gli utenti della strada (178).

337. Orbene, come ho rilevato al paragrafo 220 supra, la Corte ha già riconosciuto che il legislatore dell’Unione può legittimamente adeguare un atto legislativo per procedere a un riequilibrio degli interessi in gioco al fine di rafforzare la protezione sociale dei conducenti attraverso la modifica delle condizioni di esercizio della libera prestazione dei servizi.

338. Orbene, una misura di armonizzazione dell’Unione ha inevitabilmente effetti diversi nei vari Stati membri (179). Il legislatore non può essere tenuto a compensare le differenze tra gli operatori economici in termini di costi dovute alle loro scelte di modello economico e alle diverse condizioni in cui essi si trovano (180) per effetto di tale scelta, come quelle derivanti da realtà geografiche (181).

339. Inoltre, nell’ambito del sindacato giurisdizionale limitato che, in un settore come la politica dei trasporti, la Corte ha riconosciuto anche per quanto riguarda il rispetto del principio della parità di trattamento (182), il giudice dell’Unione non può sostituire la propria valutazione a quella del legislatore dell’Unione mettendo in dubbio la scelta del legislatore di contrastare, adottando una disposizione applicabile indistintamente a tutte le imprese di trasporto, talune pratiche individuate come fattori che contribuiscono al deterioramento delle condizioni sociali dei conducenti, anche se tale scelta implica che alcune imprese che hanno scelto un certo tipo di modello economico dovranno sostenere costi più elevati.

340. Quanto agli argomenti della Repubblica di Lituania relativi al fatto che l’asserita discriminazione creata dalla disposizione di cui trattasi nei confronti delle imprese degli Stati membri situati alla periferia dell’Unione ostacolerebbe l’esercizio delle libertà del mercato interno, rinvio alle considerazioni svolte ai paragrafi da 167 a 180 supra, in cui ho illustrato i motivi per i quali l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti non viola le disposizioni del Trattato FUE in materia di libertà fondamentali.

341. Per quel che riguarda, in secondo luogo, la discriminazione tra i conducenti che sarebbe determinata, secondo la Repubblica di Lituania e la Repubblica di Bulgaria, dall’obbligo di ritorno dei conducenti, rilevo, in subordine (183), che la situazione dei conducenti occupati presso imprese di trasporto stabilite in Stati membri situati alla periferia geografica dell’Unione e quella dei conducenti che lavorano per trasportatori stabiliti in Stati membri situati al centro dell’Unione sono comparabili sotto il profilo del diritto di avere la possibilità di ritornare al loro luogo di residenza entro un termine ragionevole.

342. In tali circostanze, è difficile sostenere che il legislatore dell’Unione sia incorso in un errore manifesto o abbia chiaramente ecceduto il suo potere discrezionale astenendosi dallo stabilire una distinzione tra i diversi lavoratori a seconda della maggiore o minore distanza che essi devono percorrere per tornare a casa o alla sede di attività del loro datore di lavoro, e quindi negare o limitare per un gruppo di lavoratori il diritto di ritorno in ragione del modello economico scelto dal loro datore di lavoro.

343. Condivido al riguardo il parere del Consiglio, secondo cui tutti i conducenti del settore del trasporto su strada si trovano in una situazione comparabile per quanto riguarda il loro diritto al ritorno e devono quindi vedersi riconoscere gli stessi diritti nonostante gli oneri diversi che l’esercizio di tale diritto comporta per i rispettivi datori di lavoro a seconda dei modelli economici che essi hanno scelto.

344. Per quanto attiene, in terzo luogo, alla discriminazione tra Stati membri diversi asseritamente creata dall’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, anche supponendo che taluni Stati membri siano indirettamente toccati in misura maggiore rispetto ad altri dalla disposizione di cui trattasi, come ho appena rilevato, la Corte ha già dichiarato che un atto dell’Unione inteso a parificare le norme degli Stati membri, purché esso si applichi allo stesso modo a tutti gli Stati membri, non può essere considerato discriminatorio, in quanto un simile atto di armonizzazione crea inevitabilmente effetti diversi a seconda dello stato precedente delle varie normative nazionali (184).

345. Alla luce di tutto quanto precede, ritengo che i motivi sollevati nei confronti dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054 relativi alla violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione debbano essere tutti respinti.

h)      Conclusione sui motivi riguardanti lobbligo relativo al ritorno dei conducenti

346. Da tutte le considerazioni che precedono risulta che, a mio avviso, occorre respingere tutti i motivi sollevati dalla Repubblica di Lituania nella causa C‑541/20, dalla Repubblica di Bulgaria nella causa C‑543/20, dalla Romania nella causa C‑546/20 e dalla Repubblica di Polonia nella causa C‑553/20 nei confronti dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, che prevede l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti.

2.      Sui motivi riguardanti il divieto di riposo settimanale regolare in cabina

347. La Repubblica di Bulgaria (causa C‑543/20), la Romania (causa C‑546/20) e l’Ungheria (causa C‑551/20) contestano l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, che prevede il divieto di riposo settimanale regolare in cabina (185). Questi tre Stati membri sollevano vari motivi nei confronti di tale disposizione.

a)      Sulla violazione del principio di proporzionalità

1)      Argomenti delle parti

348. La Repubblica di Bulgaria, la Romania e l’Ungheria sostengono che l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 non soddisfa i requisiti derivanti dal principio di proporzionalità.

349. Questi tre Stati membri, da un lato, contestano la proporzionalità in quanto tale del divieto di riposo settimanale regolare in cabina, previsto dalla menzionata disposizione. Essi affermano, in particolare, che la misura in parola è manifestamente inidonea a realizzare gli obiettivi legittimi perseguiti dalla normativa di cui trattasi, non è necessaria per conseguire detti obiettivi e va oltre quanto necessario per realizzare tali obiettivi dichiarati. Dall’altro, la Romania e l’Ungheria contestano anche la l’esame effettuato dal legislatore della proporzionalità.  Questi Stati membri sostengono, in particolare, che il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto di elementi essenziali nell’adozione della disposizione di cui trattasi.

350. Per quanto attiene, in primo luogo, ai motivi vertenti sulla proporzionalità del divieto di riposo settimanale regolare in cabina, la Repubblica di Bulgaria, la Romania e l’Ungheria affermano che l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 viola il principio di proporzionalità in quanto, dato lo stato attuale dell’infrastruttura europea, il divieto ivi previsto costituirebbe un obbligo eccessivamente difficile, se non impossibile, da rispettare. Infatti, tenuto conto del numero insufficiente di aree di parcheggio protette e di alloggi adeguati in prossimità delle stesse, i conducenti e le imprese di trasporto si troverebbero spesso di fronte ad obblighi che non possono rispettare. In tali circostanze, la misura in parola non potrebbe essere attuata in modo da raggiungere gli obiettivi perseguiti, il che ne dimostrerebbe la manifesta inadeguatezza. Inoltre, essa graverebbe in modo manifestamente sproporzionato sui conducenti e sulle imprese di trasporto. Di conseguenza, prevedendo un requisito siffatto, inapplicabile nella pratica, il legislatore dell’Unione avrebbe commesso un errore manifesto di valutazione.

351. La Repubblica di Bulgaria e l’Ungheria rilevano che già nella valutazione d’impatto – capitolo sociale, la Commissione aveva indicato in vari punti che nell’Unione scarseggiano, in generale, le strutture per il riposo adeguate e le aree di parcheggio protette (186). L’insufficienza delle strutture nell’Unione risulterebbe inoltre da uno studio pubblicato dalla Commissione nel febbraio 2019 sulle aree di parcheggio sicure e protette (in prosieguo: lo «studio del 2019») (187), cui fanno riferimento i tre Stati membri summenzionati. Secondo detto studio, su 300 000 aree di parcheggio destinate, nell’Unione, agli automezzi pesanti, solo circa 47 000 sarebbero parzialmente protette e solo 7 000 avrebbero un livello di sicurezza certificato. Dal momento che la domanda media di aree di parcheggio notturno è stimata in circa 400 000 posti, ne risulterebbe una carenza di circa 100 000 aree e pochissime delle aree esistenti garantirebbero, peraltro, un livello adeguato di sicurezza e di protezione. Inoltre, dal medesimo studio emergerebbe una distribuzione disomogenea delle aree di parcheggio sicure e protette rispetto ai corridoi di transito europei, in quanto le 7 000 aree di parcheggio certificate si troverebbero solo in alcuni Stati membri. Peraltro, il CESE e vari Stati membri avrebbero evidenziato tale situazione durante il procedimento legislativo.

352. La questione delle aree di parcheggio e quella degli alloggi adeguati, ancorché diverse, sarebbero strettamente connesse, nel senso che, per l’autista, sarebbe appropriato solo un alloggio situato in prossimità di un’area di parcheggio adeguata e protetta in cui egli sappia che il suo carico sarà al sicuro. Il numero limitato di tali aree di parcheggio restringerebbe ulteriormente il numero di potenziali alloggi che l’autista può utilizzare per effettuare il suo periodo di riposo settimanale.

353. La Repubblica di Bulgaria rileva inoltre che la carenza di infrastrutture sarebbe evidenziata dall’obbligo per la Commissione, in forza dell’articolo 1, punto 7, del regolamento 2020/1054, di riferire al Parlamento e al Consiglio sulla disponibilità di adeguate strutture di riposo per i conducenti entro il 31 dicembre 2024. La Romania aggiunge che il medesimo articolo imporrebbe alla Commissione di pubblicare un elenco di tutte le aree di parcheggio. Tuttavia, non sarebbe ancora stato creato alcun sito Internet a tal fine.

354. La Romania sostiene inoltre che, per conformarsi alla disposizione di cui trattasi, i conducenti che si trovano su tragitti sprovvisti di aree di parcheggio sicure e protette non avrebbero altra scelta che utilizzare aree non protette, nelle quali lascerebbero i veicoli incustoditi durante il loro periodo di riposo in un alloggio adeguato, esponendo così il veicolo alla criminalità. Orbene, in forza della Convenzione sul contratto di trasporto internazionale di merci su strada (CMR), firmata a Ginevra il 19 maggio 1956, il vettore sarebbe responsabile della perdita totale o parziale, o dei danni, che si verifichino tra il momento della presa in carico della merce e quello della consegna, nonché del ritardo nella consegna. Allo stato attuale dell’infrastruttura, la soluzione legislativa adottata non migliorerebbe quindi le condizioni di lavoro dei conducenti, bensì, proprio al contrario, potrebbe avere l’effetto di aumentare l’affaticamento e lo stress degli stessi, nonché i rischi per la loro sicurezza, le loro merci e i loro veicoli. Nello stesso senso, la Repubblica di Bulgaria sostiene che la mancanza di aree di parcheggio protette per gli automezzi pesanti nell’Unione aumenterebbe i rischi di furto e comporterebbe problemi assicurativi per i trasportatori.

355. La Repubblica di Bulgaria aggiunge inoltre che l’impossibilità di rispettare il divieto di riposo settimanale regolare in cabina esporrebbe i conducenti e i trasportatori al rischio di vedersi infliggere sanzioni che potrebbero comportare la perdita dell’onorabilità e, pertanto, dell’accesso al mercato dell’Unione del trasporto di merci su strada. A questo proposito, sarebbe irrilevante che l’elenco delle infrazioni più gravi alle norme dell’Unione non includa la violazione del divieto di effettuare un periodo di riposo settimanale regolare a bordo del veicolo.

356. In tale contesto, la Romania e l’Ungheria si richiamano al regolamento (UE) n. 1315/2013 (188), in particolare all’articolo 38, paragrafo 3, e all’articolo 39, paragrafo 2, lettera c), dello stesso, nonché agli orientamenti riveduti per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti, ivi contenuti e menzionati nel considerando 19 del regolamento 2020/1054. Tali disposizioni dimostrerebbero del pari l’inadeguatezza dello stato attuale dell’infrastruttura europea.

357. L’Ungheria rileva, inoltre, che l’articolo 8 bis, paragrafi 3 e 4, del regolamento 2020/1054 contiene ripetuti richiami alla creazione di aree di parcheggio sicure e protette (189). Oltre a ciò, le misure per la creazione di aree di parcheggio sicure e protette potrebbero produrre i loro effetti solo in futuro, mentre non è stato previsto alcun periodo di transizione adeguato, e il divieto in questione è peraltro assoluto. La Repubblica di Bulgaria contesta del pari l’assenza di un periodo transitorio per l’entrata in vigore della disposizione di cui trattasi.

358. La Repubblica di Bulgaria sostiene poi che gli Stati membri non avrebbero alcun obbligo di garantire, almeno fino a una certa data, alloggi adeguati sufficienti e aree di parcheggio sicure e protette. Uno Stato membro potrebbe quindi essere indotto a non aumentare il numero delle infrastrutture al fine di limitare la prestazione sul suo territorio di servizi di trasporto da parte di trasportatori stranieri.

359. La Repubblica di Bulgaria afferma inoltre che il divieto di riposo settimanale regolare in cabina comporterebbe costi supplementari significativi per i trasportatori, i quali sono per la maggior parte PMI, in quanto il trasportatore sarebbe tenuto a pagare un alloggio adeguato per i riposi settimanali dei conducenti quando essi si trovino lontano dal loro domicilio (190). Ne deriverebbero anche spese per eventuali deviazioni e viaggi a vuoto giustificati esclusivamente dal fine di trovare un alloggio adeguato. Le spese che dovranno sostenere i trasportatori bulgari a causa di tale misura sarebbero stimate in EUR 143 milioni. Nello stesso senso, la Romania afferma che detta misura è manifestamente inadeguata rispetto all’obiettivo di ridurre gli oneri amministrativi e finanziari gravanti sulle imprese di trasporto.

360. La Repubblica di Bulgaria afferma altresì che l’interpretazione della nozione di «alloggio adeguato» sarebbe fonte di incertezza giuridica, il che, come riconosciuto dalla Commissione stessa, darebbe luogo a problemi di applicazione (191). La Romania, dal canto suo, sostiene che le divergenze tra gli Stati membri per quanto riguarda le sanzioni per violazione del divieto di riposo settimanale regolare in cabina, evidenziate nella valutazione d’impatto – capitolo sociale (192), non vengono risolte dal regolamento 2020/1054 e gli Stati membri continueranno pertanto ad applicare sanzioni diverse prolungando in tal modo la situazione di incertezza giuridica per i trasportatori e i conducenti. La soluzione legislativa sarebbe quindi inadeguata anche sotto tale profilo, dato che contrasta con l’obiettivo del regolamento 2020/1054 di uniformare l’interpretazione e l’applicazione delle norme e di facilitare un’applicazione transfrontaliera coerente della legislazione sociale.

361. I tre Stati membri summenzionati mettono poi in dubbio la pertinenza della sentenza Vaditrans (193). In tal senso, secondo l’Ungheria e la Romania, detta sentenza non inciderebbe sui presenti procedimenti. Dalla lettura di tale sentenza si evincerebbe piuttosto che, durante il procedimento giurisdizionale, nessun dato relativo alle strutture di riposo disponibili negli Stati membri era stato prodotto dinanzi alla Corte e, di conseguenza, preso in considerazione dalla stessa. Sarebbe quindi lecito presumere che la Corte non abbia esaminato la questione della proporzionalità, in quanto non ha valutato una circostanza rilevante per l’applicazione della normativa di cui trattasi, ossia che il divieto di riposo settimanale in cabina è spesso inapplicabile nella pratica a causa del numero insufficiente di strutture di riposo disponibili negli Stati membri. La Corte avrebbe risposto a una questione di interpretazione, mentre nel caso di specie occorrerebbe stabilire se, alla luce degli elementi disponibili, il legislatore abbia esercitato correttamente il suo potere discrezionale e soddisfatto il requisito di proporzionalità.

362. La Romania rileva inoltre che, a seguito della medesima sentenza, il regolamento n. 561/2006 deve, in ogni caso, essere interpretato nel senso che vieta di effettuare il periodo di riposo settimanale regolare nella cabina del veicolo. Tuttavia, l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 sancirebbe tale divieto, fornendo nel contempo ulteriori precisazioni. Anche la Repubblica di Bulgaria sostiene che il regolamento 2020/1054 non si limiterebbe a dare attuazione alla sentenza Vaditrans, ma aggiungerebbe il requisito secondo cui i periodi di riposo devono essere effettuati in alloggi adeguati che tengano conto delle specificità di genere e siano dotati di adeguate attrezzature per il riposo e appropriati servizi igienici.

363. Infine, la Repubblica di Bulgaria e la Romania sostengono che esisterebbero misure alternative adeguate e meno onerose. In tal senso, anzitutto, secondo la stessa Commissione, occorrerebbe consentire ai conducenti di effettuare il loro riposo settimanale regolare in cabina, purché si tratti di una libera scelta del conducente o sia giustificato alla luce delle circostanze (194). In secondo luogo, un’altra possibile misura consisterebbe nell’introduzione di una deroga nei casi in cui non vi siano alloggi adeguati entro un determinato raggio dal luogo in cui si trova il conducente. Un altro possibile approccio, proposto dal CdR, consisterebbe, in terzo luogo, nel non applicare il divieto di riposo in cabina se il periodo di riposo settimanale di 45 ore si svolge in un luogo nel quale esiste un livello sufficiente di sicurezza e di servizi igienici adeguati e la cabina del conducente è conforme alle specifiche che saranno fissate dal comitato per i trasporti su strada. In quarto luogo, sarebbe possibile introdurre un periodo transitorio al termine del quale la Commissione constati l’esistenza di un numero sufficiente di alloggi e di aree di parcheggio sicure e protette in tutta l’Unione. Tale periodo transitorio potrebbe essere accompagnato dall’obbligo per gli Stati membri di garantire che essi prendano i provvedimenti necessari per creare infrastrutture adeguate.

364. Per quanto attiene, in secondo luogo, ai motivi vertenti sull’esame da parte del legislatore dell’Unione della proporzionalità del divieto di riposo in cabina, la Romania e l’Ungheria affermano che il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto di elementi essenziali nell’adozione della disposizione di cui trattasi.

365. Questi due Stati membri sostengono che dalle informazioni disponibili al momento dell’adozione dell’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 risulta che il legislatore dell’Unione era a conoscenza dell’attuale stato lacunoso dell’infrastruttura europea. Orbene, la valutazione d’impatto presenterebbe la carenza di aree di parcheggio e di alloggi adeguati come un fattore che favorisce la pratica consistente nell’effettuare i periodi di riposo nella cabina del veicolo. La Commissione avrebbe anche specificato che, a causa di questa situazione, i conducenti trovano migliori condizioni di riposo nella cabina che non avvalendosi delle altre soluzioni disponibili (195). Inoltre, l’entità di tale carenza sarebbe stata rilevata dalla Commissione nello studio del 2019. Per di più, l’articolo 8 bis, paragrafi 3 e 4, del regolamento n. 561/2006, come modificato dal regolamento 2020/1054, contiene ripetuti richiami alla creazione di aree di parcheggio sicure e protette, il che dimostra che il legislatore ha adottato il requisito contestato con la consapevolezza del numero insufficiente di aree di parcheggio di qualità adeguata. Ne conseguirebbe che il legislatore dell’Unione è incorso in un errore manifesto omettendo di tenere conto degli elementi essenziali, vale a dire i dati relativi alla carenza di aree di parcheggio sicure e protette, e non ha valutato le prove pertinenti.

366.  Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

2)      Analisi

i)      Osservazioni preliminari

367. L’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, la cui proporzionalità viene messa in discussione dalla Repubblica di Bulgaria, dalla Romania e dall’Ungheria, ha modificato l’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006.

368. Nella versione precedente, l’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006 prevedeva che, «[i]n trasferta, i periodi di riposo giornaliero [(196)] e quelli settimanali ridotti [(197)] possono essere effettuati nel veicolo, purché questo sia dotato delle opportune attrezzature per il riposo di tutti i conducenti e sia in sosta».

369. Come risulta dalla sua formulazione, la menzionata disposizione disciplinava esclusivamente i periodi di riposo giornaliero e i periodi di riposo settimanale ridotti e consentiva ai conducenti, a determinate condizioni, di effettuare tali periodi di riposo a bordo del veicolo. Per contro, essa non disciplinava esplicitamente il periodo di riposo settimanale regolare.

370. Nella sentenza Vaditrans, tuttavia, la Corte ha statuito che detta disposizione, dal momento che consentiva espressamente, secondo la sua formulazione, soltanto di effettuare i periodi di riposo giornalieri e i tempi di riposo settimanale ridotti nel veicolo (purché questo fosse dotato delle opportune attrezzature per il riposo di tutti i conducenti e fosse in sosta), doveva essere interpretata nel senso che vietava di effettuare i periodi di riposo settimanale regolari a bordo del veicolo (198).

371. A seguito di tale sentenza, l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 – disposizione la cui legittimità è contestata nelle presenti cause – ha modificato l’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006, prevedendo ormai esplicitamente il divieto di riposo settimanale regolare in cabina. La nuova versione di detta disposizione, come modificata, stabilisce quindi che i «periodi di riposo settimanale regolari e i periodi di riposo settimanale superiori a 45 ore effettuati a compensazione di precedenti periodi di riposo settimanale ridotti non si effettuano a bordo del veicolo», bensì devono essere effettuati «in un alloggio adeguato, che tenga conto delle specificità di genere e sia dotato di adeguate attrezzature per il riposo e appropriati servizi igienici». Viene inoltre precisato che «[e]ventuali spese per l’alloggio fuori dal veicolo sono a carico del datore di lavoro».

372. È in tale contesto che la Repubblica di Bulgaria, la Romania e l’Ungheria contestano la proporzionalità della suddetta disposizione. A questo proposito, dalla giurisprudenza menzionata ai paragrafi 52 e seguenti supra risulta che, per esaminare la proporzionalità di una misura, la Corte deve verificare se il legislatore dell’Unione, adottandola, abbia manifestamente ecceduto l’ampio potere discrezionale di cui dispone in materia di politica comune dei trasporti (199), optando per una misura manifestamente inadeguata rispetto agli obiettivi che esso intendeva perseguire o che causerebbe inconvenienti sproporzionati rispetto agli scopi previsti.

373. Per quanto riguarda gli obiettivi della disposizione di cui trattasi, è pacifico che essa è volta a perseguire gli obiettivi strategici del regolamento 2020/1054, che ho già menzionato al paragrafo 197 supra. In particolare, come risulta dal considerando 13 del regolamento 2020/1054 (200), detta disposizione persegue l’obiettivo di promuovere il progresso sociale, migliorando le condizioni di lavoro dei conducenti, il che contribuisce anche al miglioramento della sicurezza stradale e all’armonizzazione delle condizioni di concorrenza nel trasporto stradale.

374. I tre Stati membri summenzionati non mettono in discussione la legittimità di tali obiettivi. Essi contestano invece l’adeguatezza e la necessità della misura e sostengono inoltre che essa va oltre quanto necessario per realizzare gli obiettivi dichiarati.

375. Il Consiglio e il Parlamento ribattono, tuttavia, che l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 non ha realmente introdotto nell’ordinamento giuridico dell’Unione il divieto di riposo settimanale regolare in cabina, giacché detto divieto esisteva già in virtù della precedente versione dell’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006, come interpretata dalla Corte nella sentenza Vaditrans. Il legislatore dell’Unione si sarebbe quindi semplicemente limitato a codificare tale interpretazione.

376. I tre Stati membri suddetti contestano tuttavia la rilevanza della sentenza Vaditrans per il presente procedimento. In tali circostanze, ritengo che, prima di analizzare nel dettaglio gli argomenti relativi alla violazione del principio di proporzionalità sollevati dai medesimi Stati membri, occorra, in via preliminare, analizzare la succitata sentenza e chiarire la sua rilevanza per le presenti cause.

ii)    Sulla sentenza Vaditrans e sulla sua portata

377. Nella causa Vaditrans, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) belga aveva sottoposto alla Corte alcune questioni pregiudiziali nell’ambito di una controversia pendente dinanzi ad esso e avviata da un’impresa di trasporto, la Vaditrans, che chiedeva l’annullamento di un regio decreto in forza del quale poteva essere inflitta un’ammenda se il conducente di un autocarro effettuava il suo riposo settimanale regolare a bordo del veicolo.

378. In tale contesto, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) belga chiedeva alla Corte se l’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006, nella sua precedente versione citata al paragrafo 368 supra, dovesse essere interpretato nel senso che il periodo di riposo settimanale regolare non poteva essere effettuato a bordo del veicolo.

379. Come ho rilevato al paragrafo 370 supra, la Corte, nella sua sentenza, ha dichiarato che detta disposizione doveva essere interpretata nel senso che vietava di effettuare i periodi di riposo settimanali regolari a bordo del veicolo (201). Dopo avere indicato che un’interpretazione siffatta era corroborata dalla genesi della disposizione e dal contesto in cui essa si inseriva, la Corte ha sottolineato che tale interpretazione «è manifestamente volta a conseguire gli obiettivi [del regolamento n. 561/2006], consistenti nel miglioramento delle condizioni di lavoro dei conducenti e della sicurezza stradale» (202). A questo proposito, essa ha poi precisato che, sebbene la progettazione dei veicoli e delle cabine fosse considerevolmente migliorata, restava il fatto che la cabina di un camion «non sembra costituire un luogo di riposo idoneo a periodi di riposo più lunghi dei periodi di riposo giornaliero e dei periodi di riposo settimanali ridotti» e che i conducenti dovrebbero avere la possibilità di trascorrere i loro periodi di riposo settimanali regolari «in un luogo che presenta condizioni di alloggio idonee e adeguate» (203).

380. La Corte ha inoltre rilevato che un’interpretazione in senso contrario avrebbe comportato che un conducente avrebbe potuto effettuare la totalità dei propri periodi di riposo nella cabina del veicolo e che, pertanto, i periodi di riposo di tale conducente fossero effettuati in un luogo che non forniva condizioni di alloggio idonee, il che non sarebbe stato atto a contribuire alla realizzazione dell’obiettivo del miglioramento delle condizioni di lavoro dei conducenti (204).

381. La Corte ha poi aggiunto che l’eventuale deterioramento delle condizioni nelle quali i conducenti avrebbero potuto effettuare i periodi di riposo settimanale o la difficoltà di fornire la prova del rispetto di tale requisito non potevano giustificare il mancato rispetto delle disposizioni imperative del regolamento n. 561/2006 relative ai periodi di riposo dei conducenti (205).

382. I tre Stati membri che contestano la proporzionalità della disposizione di cui trattasi sollevano, tuttavia, vari argomenti volti a mettere in discussione la rilevanza della sentenza Vaditrans nelle presenti cause.

383. In primo luogo, l’Ungheria e la Romania sostengono che la causa Vaditrans non sarebbe rilevante in quanto, in tale causa, che riguardava un rinvio pregiudiziale di interpretazione, la Corte non avrebbe esaminato la questione della proporzionalità dell’obbligo istituito dal regolamento n. 561/2006 rispetto alle concrete possibilità di attuazione della disposizione in parola. La Corte non avrebbe valutato l’impossibilità di applicare il divieto di riposo settimanale regolare in cabina.

384. Ritengo, tuttavia, che un argomento siffatto equivalga, in sostanza, a mettere in discussione la sentenza della Corte e miri perfino a contestare, ex post, la validità della menzionata disposizione del regolamento n. 561/2006, oggetto dell’interpretazione della Corte nella sentenza citata. Infatti, con questo argomento, i suddetti Stati membri sostengono, in definitiva, che la versione precedente dell’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006, come interpretata dalla Corte nella sentenza Vaditrans, sarebbe stata invalida, in quanto contraria al principio di proporzionalità, e che la Corte non avrebbe preso in considerazione, nella sua analisi, l’impossibilità o l’eccessiva difficoltà di rispettare il divieto di effettuare il riposo settimanale regolare a bordo del veicolo risultante dall’interpretazione di tale disposizione da essa fornita nella succitata sentenza.

385. Orbene, un argomento sollevato nell’ambito di un ricorso di annullamento proposto nei confronti di una disposizione e basato sull’invalidità della versione precedente di detta disposizione, come interpretata dalla Corte in una sentenza precedente, è, a mio avviso, indubbiamente irricevibile. Nel caso di specie, l’oggetto dei ricorsi proposti dagli Stati membri in questione è la domanda di annullamento dell’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 e non una domanda di annullamento della versione precedente dell’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006, che è stato sostituito dalla suddetta disposizione.

386. Inoltre, e in una prospettiva analoga, nell’ambito di un ricorso di annullamento proposto nei confronti di una disposizione di un atto di diritto dell’Unione, uno Stato membro non può, a mio parere, nemmeno tentare di mettere in discussione l’interpretazione della versione precedente di tale disposizione adottata dalla Corte in una sentenza pregiudiziale.

387. A questo proposito, occorre sottolineare che, ai sensi dell’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, i governi degli Stati membri possono partecipare al procedimento pregiudiziale e, in particolare, presentare osservazioni in tale procedimento. Se uno Stato membro intende affermare che una disposizione dell’Unione che forma oggetto di un rinvio pregiudiziale è invalida o intende sostenere una determinata interpretazione di detta disposizione, può intervenire nel procedimento pregiudiziale e far valere i propri argomenti. Tuttavia, esso non può farlo nell’ambito di un successivo ricorso avente ad oggetto una domanda di annullamento di una nuova disposizione che ha modificato quella precedente.

388. Ne consegue che, se gli Stati membri summenzionati ritenevano che la versione precedente dell’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006 fosse invalida o dovesse essere interpretata in un certo modo, avrebbero potuto e dovuto sollevare i loro argomenti intervenendo nella causa Vaditrans. Detti Stati membri non possono mettere in discussione né la validità di tale disposizione né l’interpretazione adottata dalla Corte nella succitata sentenza nell’ambito dei presenti ricorsi che hanno per oggetto una domanda di annullamento, tra l’altro, dell’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054.

389. In secondo luogo, la Repubblica di Bulgaria e la Romania affermano inoltre che l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 non si limiterebbe a codificare la sentenza Vaditrans, ma aggiungerebbe ulteriori requisiti.

390. Orbene, a tale proposito, dalla formulazione dell’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 risulta che, rispetto alla precedente versione dell’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006, come interpretato dalla Corte nella sentenza Vaditrans, la nuova disposizione sembra aggiungere tre requisiti supplementari. Anzitutto, la nuova versione della disposizione si riferisce non solo ai «periodi di riposo settimanale regolari», ma altresì ai «periodi di riposo settimanale superiori a 45 ore effettuati a compensazione di precedenti periodi di riposo settimanale ridotti». Inoltre, essa specifica che tali periodi di riposo devono essere effettuati «in un alloggio adeguato, che tenga conto delle specificità di genere e sia dotato di adeguate attrezzature per il riposo e appropriati servizi igienici». Infine, essa precisa che «[e]ventuali spese per l’alloggio fuori dal veicolo sono a carico del datore di lavoro».

391. Per quanto riguarda il primo requisito, è giocoforza constatare che esso è coperto dall’interpretazione della precedente versione dell’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006 adottata dalla Corte nella sentenza Vaditrans. Infatti, come ho rilevato al paragrafo 379 supra, in detta sentenza la Corte ha esplicitamente statuito che la cabina di un camion non costituisce un luogo di riposo idoneo a periodi di riposo più lunghi dei periodi di riposo giornaliero e dei periodi di riposo settimanali ridotti (206). Ne consegue che, anche prima dell’adozione del regolamento 2020/1054, un periodo di riposo settimanale superiore a 45 ore effettuato a compensazione di un precedente periodo di riposo settimanale ridotto non avrebbe potuto essere effettuato a bordo del veicolo.

392. Analogamente, il secondo requisito menzionato al paragrafo 390 supra deriva direttamente dalla sentenza Vaditrans. In detta sentenza, infatti, la Corte ha esplicitamente dichiarato che i conducenti dovrebbero avere la possibilità di trascorrere i loro periodi di riposo settimanali regolari «in un luogo che presenta condizioni di alloggio idonee e adeguate» (207). Ciò comprende, implicitamente ma indubbiamente, il requisito secondo cui tale luogo deve tenere conto delle specificità di genere e, trattandosi di un alloggio idoneo, dev’essere dotato di adeguate attrezzature per il riposo e appropriati servizi igienici.

393. Per quanto riguarda, in terzo luogo, il requisito secondo cui le eventuali spese per l’alloggio fuori dal veicolo devono essere a carico del datore di lavoro, ritengo che esso risulti, del pari implicitamente, dal divieto di riposo settimanale regolare in cabina derivante dalla sentenza Vaditrans, letto alla luce della finalità della disposizione di cui trattasi. Infatti, da un lato, il «luogo di riposo idoneo a periodi di riposo più lunghi» menzionato dalla Corte in detta sentenza dovrebbe sostituire la cabina del camion per i riposi settimanali regolari. Orbene, la cabina, in linea di principio, viene messa a disposizione dal datore di lavoro, ma è considerata dalla Corte come un luogo che non fornisce condizioni di alloggio idonee a tali periodi (208). Logicamente, il «luogo di riposo idoneo», che dovrebbe sostituirlo, andrebbe parimenti messo a disposizione dal datore di lavoro. Dall’altro, porre a carico del conducente le spese di alloggio in un «luogo di riposo idoneo a periodi di riposo più lunghi» sarebbe, a mio avviso, contrario alle finalità di tale disposizione, che consistono, come riconosciuto dalla Corte, nel migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori del settore stradale e nel migliorare la sicurezza stradale in generale (209).

394. Da tutto quanto precede risulta che, adottando l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, il legislatore non ha introdotto nell’ordinamento giuridico dell’Unione il divieto di effettuare il riposo settimanale regolare in cabina previsto da tale disposizione, ma si è limitato a codificare il diritto esistente che risultava dalla precedente versione dell’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006, come interpretato dalla Corte nella sentenza Vaditrans.

395. In tali circostanze, conformemente alla giurisprudenza ricordata ai paragrafi 52 e seguenti e in linea con il paragrafo 372 supra, nel caso di specie, l’esame dei motivi sollevati dalla Repubblica di Bulgaria, dalla Romania e dall’Ungheria relativi alla violazione del principio di proporzionalità dovrà essere volto a verificare se, codificando il diritto esistente, il legislatore dell’Unione abbia manifestamente ecceduto l’ampio potere discrezionale di cui dispone in materia di politica comune dei trasporti optando per una misura manifestamente inadeguata rispetto agli obiettivi che esso intendeva perseguire o che causerebbe inconvenienti sproporzionati rispetto agli scopi previsti. È quindi in tale prospettiva che occorre esaminare i vari argomenti addotti dai tre Stati membri in questione per mettere in discussione la proporzionalità dell’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054.

iii) Sulla proporzionalità dell’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054

396. Questi tre Stati membri sollevano, anzitutto, argomenti relativi al carattere inadeguato e sproporzionato della misura di cui trattasi in ragione dello stato attuale dell’infrastruttura europea e, nello specifico, del numero insufficiente di aree di parcheggio protette e di alloggi adeguati in prossimità delle stesse, che renderebbero eccessivamente difficile, se non impossibile, rispettare il divieto di riposo settimanale regolare in cabina.

397. A questo proposito, per quanto riguarda l’idoneità di tale misura a raggiungere gli obiettivi perseguiti, la cui legittimità non è contestata, essa è già stata confermata al punto 43 della sentenza Vaditrans in cui la Corte ha dichiarato che il divieto di effettuare i periodi di riposo settimanale regolare a bordo del veicolo è manifestamente volto a conseguire gli obiettivi del regolamento n. 561/2006, consistenti nel miglioramento delle condizioni di lavoro dei conducenti e della sicurezza stradale.

398. Per quanto attiene all’eventuale carattere sproporzionato della scelta del legislatore di codificare il diritto esistente, si deve rilevare che qualsiasi altro approccio diverso da quello consistente nel mantenere il divieto di effettuare i periodi di riposo settimanale regolari a bordo del veicolo avrebbe comportato una diminuzione della protezione sociale dei conducenti e, quindi, un peggioramento delle loro condizioni di lavoro rispetto a quelle esistenti, il che sarebbe contrario agli obiettivi della normativa in questione, nonché alla sentenza Vaditrans.

399. A questo proposito, occorre ricordare che la Corte ha espressamente dichiarato che la cabina del veicolo costituisce un luogo che non fornisce condizioni di alloggio idonee a periodi di riposo più lunghi dei periodi di riposo giornaliero e dei periodi di riposo settimanali ridotti (210). Pertanto, qualsiasi soluzione normativa che consentisse di trascorrere detti periodi di riposo in cabina sarebbe incompatibile con tale valutazione.

400. Orbene, l’eventuale carenza attuale di infrastrutture adeguate non può costituire, a mio avviso, una giustificazione per consentire (o addirittura imporre), per via legislativa, ai conducenti di effettuare i loro periodi di riposo settimanale regolari a bordo del veicolo, ossia in un luogo che non è idoneo per trascorrere tali lunghi periodi di riposo. Eventuali problemi di infrastrutture non dovrebbero essere risolti a scapito dei diritti sociali dei conducenti e, in definitiva, della loro salute. Ne consegue che, a mio parere, non si può addebitare al legislatore di avere violato il principio di proporzionalità per non avere modificato il diritto esistente, riducendo i diritti sociali dei conducenti, consentendo loro di effettuare i periodi di riposo settimanali regolari in un luogo non adeguato.

401. Inoltre, si deve anche sottolineare che la disposizione di cui trattasi non vieta ai conducenti di effettuare i riposi, di qualsiasi tipo, nel veicolo, ma si applica esclusivamente ai periodi di riposo settimanale regolari. Tali periodi di riposo vengono effettuati solo ogni due o tre settimane (211). Essi costituiscono inoltre il tipo di riposo che, ai sensi dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, i conducenti devono poter effettuare nel loro luogo di residenza in virtù dell’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, il che riduce l’asserita pressione esercitata dalla misura di cui trattasi sugli spazi di parcheggio.

402. D’altro canto, le soluzioni normative alternative indicate dagli Stati membri in questione non sono idonee a perseguire gli obiettivi di protezione sociale previsti dalla normativa di cui trattasi e comporterebbero tutte una riduzione di tale protezione sociale per i conducenti. Per quanto riguarda, in primo luogo, la possibilità di lasciare alla libera scelta dei conducenti se effettuare in cabina il loro periodo di riposo settimanale regolare, ritengo che essa non sia adeguata per considerazioni analoghe a quelle esposte al paragrafo 243 supra, relativamente al rischio che la scelta del lavoratore, in quanto parte debole del rapporto di lavoro con il trasportatore, non sia completamente libera e al rischio che egli possa subire pressioni affinché effettui una scelta conveniente per gli interessi del datore di lavoro. In secondo luogo, l’introduzione di deroghe, come quelle previste nella seconda e nella terza soluzione alternativa menzionate al paragrafo 363 supra, implicherebbe che sia consentito ai conducenti effettuare il periodo di riposo settimanale regolare in un luogo non idoneo, il che comporterebbe una riduzione dei loro diritti sociali. In terzo luogo, nemmeno la previsione di un periodo transitorio appare adeguata per i motivi esposti dettagliatamente infra ai paragrafi 499 e seguenti delle presenti conclusioni nel contesto dell’analisi dei motivi sollevati nei confronti dell’articolo 3 del regolamento 2020/1054 in relazione alla data della sua entrata in vigore.

403. In tali circostanze, ritengo che non possano essere accolti gli altri argomenti sollevati dai tre Stati membri in questione e volti a mettere in discussione la proporzionalità della misura.

404. Neppure gli argomenti relativi, in primo luogo, ai rischi per la sicurezza delle merci e, quindi, alla responsabilità dei trasportatori per la loro perdita, in secondo luogo, al rischio per i trasportatori e i conducenti di vedersi infliggere sanzioni e, in terzo luogo, agli asseriti costi supplementari derivanti per i trasportatori dalla disposizione di cui trattasi, sono atti a dimostrare una violazione del principio di proporzionalità da parte del legislatore dell’Unione. Infatti, da un lato, poiché l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 si è limitato a codificare il diritto già esistente, la sua adozione non ha potuto in alcun modo comportare un aumento di detti rischi e costi. In tali circostanze, non si può sostenere che l’adozione della disposizione citata avrebbe effetti pregiudizievoli sugli operatori interessati rispetto alla situazione precedente. Dall’altro, gli Stati membri in questione non hanno dimostrato che, conformemente alla giurisprudenza menzionata al paragrafo 57 supra, gli inconvenienti per le imprese di trasporto, derivanti dall’adozione della suddetta disposizione, sarebbero sproporzionati, cosicché la scelta del legislatore di codificare il diritto esistente sarebbe manifestamente errata.

405. Inoltre, per quanto riguarda in particolare le sanzioni, dall’articolo 1, punto 16, del regolamento 2020/1054 risulta che il legislatore ha espressamente previsto che tali sanzioni debbano essere proporzionate (212). A questo proposito, se è vero che, come rilevato dalla Romania, il regolamento 2020/1054 non armonizza le sanzioni, ciò non significa tuttavia che la scelta del legislatore determinerebbe un’incertezza giuridica tale da comportare una violazione del principio di proporzionalità. Infatti, come risulta dalla giurisprudenza menzionata al paragrafo 119 supra, il legislatore dell’Unione può ben ricorrere a un quadro giuridico generale che, se del caso, deve essere precisato successivamente, in particolare dagli Stati membri.

406. Sulla base di un ragionamento analogo occorre, a mio avviso, respingere anche l’argomento della Repubblica di Bulgaria vertente sull’incertezza giuridica riguardo alla nozione di «alloggio adeguato», in quanto il legislatore non è tenuto a definire dettagliatamente ogni nozione di una normativa. Peraltro, evitando di definire esattamente tale nozione, il legislatore dell’Unione ha lasciato un margine di flessibilità nell’applicazione della disposizione per quanto attiene al tipo di alloggio che i conducenti possono utilizzare, il che consente di attenuare le possibili conseguenze di un eventuale stato lacunoso delle infrastrutture europee.

407. Per quanto concerne, anzitutto, l’argomento secondo cui la Commissione non avrebbe pubblicato l’elenco di tutte le aree di parcheggio certificate, che essa sarebbe tenuta a pubblicare ai sensi del nuovo articolo 8 bis, paragrafo 1, del regolamento n. 561/2006, come modificato dall’articolo 1, punto 7, del regolamento 2020/1054, tale argomento, mentre potrebbe servire a far valere un eventuale inadempimento da parte della Commissione, non può in alcun modo dimostrare che il legislatore dell’Unione abbia manifestamente ecceduto il suo ampio potere discrezionale adottando l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054.

408. Quanto all’obbligo speciale di relazione incombente alla Commissione, previsto all’articolo 8 bis, paragrafo 4, del regolamento n. 561/2006, come modificato dal regolamento 2020/1054, in virtù del quale essa presenterà, entro il 31 dicembre 2024, una relazione al Parlamento e al Consiglio circa, tra l’altro, la disponibilità di adeguate strutture per il riposo dei conducenti e di strutture di parcheggio sicure, esso non dimostra affatto che la misura in questione sia sproporzionata. Detto obbligo denota soltanto che il legislatore ha indicato che si tratta di un settore riguardo al quale tiene ad essere informato in merito a qualsiasi situazione che possa richiedere una nuova valutazione.

409. Per quanto concerne, poi, l’argomento della Repubblica di Bulgaria secondo cui uno Stato membro potrebbe essere indotto a non aumentare il numero di infrastrutture al fine di limitare la prestazione sul suo territorio di servizi di trasporto da parte di trasportatori stranieri, rilevo che tale argomento è manifestamente ipotetico e non si basa su alcun elemento che suggerisca che una situazione siffatta potrebbe verificarsi. In ogni caso, detto argomento riguarda eventuali comportamenti degli Stati membri, e non un manifesto superamento da parte del legislatore dell’Unione del suo ampio potere discrezionale.

410. Infine, per quanto concerne i motivi vertenti sull’esame da parte del legislatore dell’Unione della proporzionalità, rilevo che il Consiglio e il Parlamento non negano che, quando ha adottato l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, il legislatore fosse consapevole del problema generale della mancanza di infrastrutture adeguate nell’insieme dell’Unione. Come rilevato dalla Romania e dall’Ungheria, tale problema era infatti stato evidenziato durante il procedimento legislativo sia nella valutazione d’impatto, sia in altri studi, come quello del 2019.

411. Tuttavia, occorre rilevare che, nonostante detto problema, la Commissione, nella sua proposta di regolamento orario di lavoro, basata sui risultati della valutazione d’impatto, aveva previsto una disposizione equivalente a quella infine adottata all’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, che prevedeva del pari il divieto di effettuare il periodo di riposo più lungo, e quindi il periodo di riposo settimanale regolare, a bordo del veicolo (213).

412. Nel frattempo, la Corte ha pronunciato la sentenza Vaditrans, che ha eliminato qualsiasi incertezza quanto alla portata della precedente versione dell’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006 e ha interpretato, ex tunc (214), tale disposizione nel senso indicato al paragrafo 370 supra, chiarendo che un divieto come quello previsto nella suddetta proposta della Commissione – e infine adottato nel regolamento 2020/1054 – esisteva già nel diritto dell’Unione.

413. In siffatte circostanze, ritengo che non si possa sostenere che, adottando l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 e codificando in tal modo il diritto esistente, peraltro conformemente alla proposta di regolamento orario di lavoro, basata su una valutazione d’impatto, il legislatore dell’Unione non abbia tenuto conto di elementi essenziali, vale a dire i dati relativi alla carenza di aree di parcheggio sicure e protette, che erano stati evidenziati durante il procedimento legislativo.

414. Da tutte le considerazioni che precedono risulta che, a mio avviso, devono essere respinti tutti i motivi volti a sostenere che l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 non soddisfa i requisiti derivanti dal principio di proporzionalità.

b)      Sulla violazione dellarticolo 91, paragrafo 2, e dellarticolo 94 TFUE

1)      Argomenti delle parti

415. La Romania sostiene che l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 violerebbe i requisiti derivanti dall’articolo 91, paragrafo 2, e dall’articolo 94 TFUE, in quanto la suddetta disposizione pregiudica gravemente gli interessi dei trasportatori e dei conducenti.

416. Per quanto riguarda, anzitutto, i trasportatori, i loro costi supererebbero ampiamente quello della messa a disposizione di alloggi per i conducenti. Infatti, tali costi dovrebbero includere anche le modifiche degli itinerari in funzione della disponibilità di alloggi e di aree di parcheggio adeguati, l’aumento dei premi assicurativi dovuto ai maggiori rischi per la sicurezza delle merci trasportate, la necessità per i conducenti di percorrere distanze supplementari per trovare un’area adeguata, nonché il costo del trasferimento del conducente dall’area di parcheggio all’alloggio, che potrebbe trovarsi a una distanza considerevole, tenuto conto della situazione descritta nello studio del 2019. Inoltre, i trasportatori subirebbero una riduzione delle entrate, in quanto la carenza di infrastrutture avrebbe ripercussioni sulla possibilità concreta di pianificare tragitti più lunghi e di effettuare trasporti su determinati itinerari in totale sicurezza.

417. Per quanto riguarda, poi, i conducenti, le ripercussioni subite dai trasportatori comporterebbero perdite di posti di lavoro e la necessità di emigrare verso gli Stati dell’Europa occidentale. Oltre a ciò, la disposizione di cui trattasi, a causa della carenza di infrastrutture, aumenterebbe l’affaticamento e lo stress dei conducenti.

418. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tale motivo.

2)      Analisi

419. Per quel che riguarda l’analisi delle disposizioni dell’articolo 91, paragrafo 2 e dell’articolo 94 TFUE, nonché della loro portata, rinvio alle considerazioni svolte ai paragrafi da 281 a 293 supra.

420. Quanto alle censure della Romania, ho rilevato al paragrafo 394 supra che, adottando l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, il legislatore non ha introdotto nell’ordinamento giuridico dell’Unione il divieto di riposo settimanale regolare in cabina, ma si è limitato a codificare il diritto esistente che risultava dalla precedente versione dell’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006, come interpretato dalla Corte nella sentenza Vaditrans.

421. In siffatte circostanze, poiché il divieto di riposo settimanale regolare in cabina era già in vigore prima dell’adozione dell’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, non si può sostenere che l’adozione di tale disposizione comporterebbe un aumento dei costi o una riduzione delle entrate per i trasportatori o conseguenze pregiudizievoli per i conducenti.

422. Ne consegue che deve essere respinto il motivo vertente sul fatto che l’adozione dell’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, pregiudicando gravemente gli interessi dei trasportatori e dei conducenti, violerebbe i requisiti derivanti dall’articolo 91, paragrafo 2, e dall’articolo 94 TFUE.

c)      Sulla violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione

1)      Argomenti delle parti

423. Nei loro ricorsi, la Repubblica di Bulgaria (causa C‑543/20) e la Romania (causa C‑546/20) sostengono che l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 non soddisfa i requisiti derivanti dal principio di non discriminazione, previsto dall’articolo 18 TFUE. La Repubblica di Bulgaria si richiama inoltre agli articoli 20 e 21 della Carta, al principio di uguaglianza degli Stati membri, sancito dall’articolo 4, paragrafo 2, TUE, nonché all’articolo 95, paragrafo 1, TFUE.

424. La Repubblica di Bulgaria e la Romania sostengono che il divieto di riposo settimanale regolare in cabina viola i principi della parità di trattamento e di non discriminazione sia per le imprese di trasporto situate alla periferia geografica dell’Unione sia per i conducenti che lavorano per tali imprese. Infatti, rispettare detto divieto sarebbe molto più facile per le imprese di trasporto stabilite in Stati membri situati al centro dell’Unione e per i loro conducenti di quanto non lo sia per le imprese di trasporto stabilite in Stati membri situati alla periferia dell’Unione e per i loro conducenti. All’interno di uno stesso Stato membro, il divieto creerebbe una discriminazione tra i conducenti locali e quelli di altri Stati membri. I conducenti nazionali non sarebbero interessati dall’assenza di alloggi adeguati e di aree di parcheggio sicure e protette, in quanto possono dormire al loro domicilio e parcheggiare i loro automezzi pesanti nella sede di attività del trasportatore. Ciò non varrebbe per i conducenti occupati da trasportatori stabiliti in Stati situati alla periferia dell’Unione, i quali, a causa dell’assenza di alloggi adeguati e di aree di parcheggio sicure e protette, sarebbero costretti a non rispettare il suddetto divieto, aumentando le spese dei trasportatori, la maggior parte dei quali sono PMI.

425. Inoltre, non si potrebbe effettuare una valutazione degli effetti sul mercato dei trasporti delle disposizioni del regolamento 2020/1054 senza tenere conto del regolamento 2020/1055 e della direttiva 2020/1057, che fanno anch’esse parte del pacchetto di misure sulla mobilità. Una valutazione complessiva del primo pacchetto sulla mobilità evidenzierebbe quindi il carattere discriminatorio della normativa a detrimento dei suddetti trasportatori relativamente alla possibilità concreta di fornire servizi di trasporto nell’Unione.

426. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

2)      Analisi

427. La Repubblica di Bulgaria e la Romania sostengono che, adottando l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 e, pertanto, mantenendo il divieto di riposo settimanale regolare in cabina, il legislatore dell’Unione avrebbe violato i principi della parità di trattamento e di non discriminazione, in quanto tale divieto comporterebbe una discriminazione sia tra i conducenti che fra i trasportatori.

428. A questo proposito, rilevo anzitutto che il divieto di riposo settimanale regolare in cabina si applica indistintamente e allo stesso modo a tutte le imprese di trasporto che effettuano trasporti su strada rientranti nell’ambito di applicazione del regolamento n. 561/2006 e a tutti i conducenti soggetti a detto regolamento (215). Tale disposizione si applica indipendentemente dalla nazionalità del conducente o del datore di lavoro. Ne consegue che l’obbligo in parola, di per sé, non introduce esplicitamente una distinzione, né tra conducenti, né tra imprese di trasporto.

429. Inoltre, a mio avviso, i conducenti che effettuano trasporti internazionali tra Stati membri diversi e i conducenti che effettuano trasporti nazionali nello Stato membro di stabilimento del loro datore di lavoro non si trovano necessariamente in situazioni comparabili, nello specifico per quanto riguarda gli obiettivi della disposizione che prevede il divieto di riposo settimanale regolare in cabina.

430. A questo proposito, ricordo, da un lato, che, come risulta dalla giurisprudenza menzionata al paragrafo 79 supra, la comparabilità di situazioni diverse deve essere valutata alla luce dell’oggetto e dello scopo dell’atto dell’Unione contestato. Dall’altro, dal paragrafo 373 supra si evince che il divieto di riposo settimanale regolare in cabina persegue essenzialmente l’obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro dei conducenti, il che contribuisce anche al miglioramento della sicurezza stradale.

431. Orbene, il divieto di riposo settimanale regolare in cabina è chiaramente inteso a tutelare i conducenti che trascorrono lunghi periodi lontano dal loro domicilio e che, a causa del loro lavoro, devono quindi trascorrere i periodi di riposo settimanale lontano da tale luogo. Se un conducente può trascorrere il suo periodo di riposo settimanale presso il proprio domicilio, detto divieto non è pertinente. In questa prospettiva, le situazioni dei due tipi di conducenti menzionate al paragrafo 429 supra non sono quindi comparabili.

432. Ricordo inoltre che, come si è rilevato al paragrafo 43 supra, la distinzione fra, da un lato, trasporti internazionali e trasporti nazionali e, dall’altro, tra vettori residenti e vettori non residenti è espressamente prevista dall’articolo 91, paragrafo 1, in particolare lettere a) e b), TFUE. Il diritto dell’Unione prevede quindi a livello del diritto primario un approccio diversificato, nell’ambito della politica comune dei trasporti, tra la disciplina dei trasporti internazionali e quella dei trasporti nazionali.

433. Peraltro, seguendo la logica dei due Stati membri summenzionati, consentire ai conducenti che effettuano trasporti internazionali di trascorrere i loro periodi di riposo settimanale regolari a bordo del veicolo comporterebbe una discriminazione ancora maggiore tra i conducenti nazionali, che possono effettuare il loro periodo di riposo settimanale regolare al loro domicilio, e i conducenti di altri Stati membri, che dovrebbero effettuare il loro periodo di riposo settimanale regolare in cabina, ossia in un luogo che non è idoneo per trascorrere siffatti lunghi periodi di riposo (216).

434. Infine, dagli argomenti addotti dai due Stati membri summenzionati emerge che le asserite discriminazioni fatte valere dagli stessi non derivano dal divieto di riposo settimanale regolare in cabina in quanto tale, ma piuttosto dall’eventuale stato attuale dell’infrastruttura europea e, nello specifico, dal numero insufficiente di aree di parcheggio sicure e di alloggi adeguati in prossimità delle stesse.

435. Orbene, nell’ambito del sindacato giurisdizionale limitato che, in un settore come la politica dei trasporti, la Corte ha riconosciuto anche per quanto riguarda il rispetto del principio della parità di trattamento (217), il giudice dell’Unione non può sostituire la propria valutazione a quella del legislatore dell’Unione mettendo in dubbio – a motivo di un’eventuale carenza attuale di infrastrutture adeguate – la scelta del legislatore di non modificare il diritto esistente e di non ridurre i diritti sociali dei conducenti consentendo loro di effettuare i periodi di riposo settimanale regolari in un luogo non idoneo a periodi di riposo così lunghi.

436. Alla luce di tutto quanto precede, ritengo che i motivi sollevati nei confronti dell’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 relativi alla violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione debbano essere respinti.

d)      Sulla violazione delle disposizioni di diritto dellUnione in materia di libera prestazione dei servizi di trasporto e del mercato unico

1)      Argomenti delle parti

437. La Romania afferma che l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 violerebbe le disposizioni di diritto dell’Unione in materia di libera prestazione dei servizi di trasporto e del mercato unico. Detto Stato membro sostiene che, per quanto riguarda la libera prestazione dei servizi nel settore dei trasporti, quale prevista dall’articolo 58, paragrafo 1, TFUE, l’attuazione del divieto di riposo settimanale regolare in cabina porterebbe a una restrizione di tale libertà, in quanto gli itinerari di trasporto saranno limitati, per un periodo indeterminato, ai tragitti che possono essere effettuati entro un termine che non obblighi il conducente ad effettuare un periodo di riposo settimanale o che saranno stabiliti in funzione della presenza di aree di parcheggio sicure e protette. A causa di questa limitazione, la misura comporterebbe de facto la frammentazione del mercato interno. Ne deriverebbe un regresso nella realizzazione dell’obiettivo dello sviluppo sostenibile di detto mercato, quale previsto all’articolo 3 TUE, che costituisce parimenti uno degli obiettivi definiti dalla Commissione nella sua valutazione d’impatto (218).

438. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tale motivo.

2)      Analisi

439. Come risulta dai paragrafi 44 e seguenti supra, nel settore dei trasporti, l’attuazione dei principi della libera prestazione dei servizi deve avvenire, secondo il Trattato FUE, mediante l’instaurazione della politica comune dei trasporti e la libera prestazione dei servizi di trasporto è garantita esclusivamente nella misura in cui tale diritto è stato riconosciuto mediante atti di diritto derivato adottati dal legislatore dell’Unione nell’ambito di detta politica comune.

440. Ne consegue che, anche supponendo che l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 comporti, come sostiene la Romania, una restrizione alla libera prestazione dei servizi, dal momento che il legislatore dell’Unione è libero, nell’ambito del suo ampio margine di discrezionalità, di realizzare mediante l’instaurazione della politica comune dei trasporti il grado di liberalizzazione di detto settore che ritiene opportuno, tale circostanza non comporterebbe affatto una violazione delle disposizioni di diritto dell’Unione in materia di libera prestazione dei servizi di trasporto e del mercato unico. Ne consegue che, a mio avviso, anche questo motivo deve essere respinto.

e)      Conclusione sui motivi riguardanti il divieto di riposo settimanale in cabina

441. Da tutto quanto precede risulta che tutti i motivi sollevati dalla Repubblica di Bulgaria (causa C‑543/20), dalla Romania (causa C‑546/20) e dall’Ungheria (causa C‑551/20) nei confronti dell’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 devono, a mio avviso, essere respinti.

3.      Sui motivi riguardanti larticolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054

442. Nel suo ricorso nella causa C‑551/20, l’Ungheria chiede l’annullamento dell’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054, con il quale è stata anticipata la data di entrata in vigore dell’obbligo di installare i tachigrafi V2, ossia i tachigrafi intelligenti di seconda generazione.

443. Mentre in base alla normativa vigente prima dell’adozione del regolamento 2020/1054 sarebbe stato possibile soddisfare l’obbligo di installare i tachigrafi V2 entro il 15 giugno 2034 (219), dall’articolo 2, punto 2, del menzionato regolamento, letto in combinato disposto con il punto 8 di tale articolo, che fissa i termini per l’adozione da parte della Commissione delle specifiche relative ai tachigrafi V2, risulta che, se detta istituzione adotta e applica nei termini previsti il regolamento di esecuzione contenente le suddette specifiche, i veicoli muniti di tachigrafi digitali o analogici dovranno essere dotati di tachigrafi V2 entro il 31 dicembre 2024 e quelli muniti di tachigrafi intelligenti dovranno esserlo entro il 2025. La Commissione ha adottato le specifiche tecniche relative ai tachigrafi intelligenti il 16 luglio 2021 (220) e le ha modificate il 16 maggio 2023 (221).

444. A sostegno della sua domanda di annullamento dell’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054, l’Ungheria deduce tre motivi, vertenti, il primo, sulla violazione del principio di proporzionalità, il secondo, sulla violazione dei principi di tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto e, il terzo, sulla violazione dell’articolo 151, secondo comma, TFUE.

a)      Sulla violazione del principio di proporzionalità

1)      Argomenti delle parti

445. Con il suo primo motivo, l’Ungheria, sostenuta dalla Romania, dalla Repubblica di Lettonia e dalla Repubblica di Estonia, afferma che, adottando l’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054, il legislatore dell’Unione ha violato il principio di proporzionalità e ha commesso un errore manifesto di valutazione omettendo di valutare le conseguenze economiche del notevole anticipo del termine per l’installazione dei tachigrafi V2. Poiché tale disposizione non figurava nella proposta di regolamento orario di lavoro, non sarebbe stata effettuata alcuna valutazione d’impatto su questo punto. Anche le disposizioni che modificano il termine per l’installazione del tachigrafo sarebbero state introdotte nel progetto di testo sulla base dell’accordo raggiunto dal Parlamento e dal Consiglio senza che tali istituzioni abbiano effettuato una valutazione d’impatto.

446. Orbene, dalla giurisprudenza risulterebbe che è possibile fare a meno della valutazione d’impatto se il legislatore dispone di informazioni oggettive per poter valutare la proporzionalità del provvedimento. Tuttavia, l’Ungheria afferma di non essere a conoscenza dell’esistenza di siffatte informazioni, né di una valutazione effettuata dai legislatori.

447. L’Ungheria sostiene inoltre che le disposizioni proposte dal Parlamento e dal Consiglio costituivano modifiche sostanziali alla suddetta proposta della Commissione ai sensi dell’accordo interistituzionale menzionato ai paragrafi 62 e seguenti supra e che sarebbe quindi stato giustificato effettuare una valutazione d’impatto complementare, o incaricare la Commissione di effettuarla. Due studi realizzati nel febbraio e nel marzo 2018 avrebbero esaminato i costi della messa in conformità, ma non avrebbero espressamente affrontato la questione della proporzionalità, anche se il secondo studio avrebbe evocato il rischio di una sproporzione. Inoltre, l’Ungheria considera particolarmente problematico, a tale proposito, il fatto che la nuova tecnologia (V2) non sia ancora sul mercato, senza che si sappia con certezza quando lo sarà.

448. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tale motivo.

2)      Analisi

449. Con questo motivo, l’Ungheria addebita sostanzialmente al legislatore dell’Unione di avere adottato l’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054 e, così facendo, di avere anticipato notevolmente il termine per l’installazione dei tachigrafi V2, senza richiedere una valutazione d’impatto e senza disporre di elementi sufficienti per valutare la proporzionalità della misura infine adottata.

450. A tale proposito, occorre subito rilevare che è pacifico tra le parti che la valutazione d’impatto – capitolo sociale, effettuata dalla Commissione ai fini della revisione dei regolamenti nn. 561/2006 e 165/2014, non ha riguardato il termine per l’installazione dei tachigrafi V2, in quanto detta istituzione non ha preso in considerazione, nella sua proposta di modifica di quest’ultimo regolamento, l’anticipo della data di entrata in vigore dell’obbligo relativo all’installazione dei tachigrafi V2.

451. Tuttavia, dalla giurisprudenza menzionata ai paragrafi 65 e 72 supra risulta, da un lato, che l’omissione di una valutazione d’impatto non può essere qualificata come violazione del principio di proporzionalità se il legislatore dell’Unione dispone di elementi sufficienti per poter valutare la proporzionalità di un provvedimento adottato e, dall’altro, che, nell’esercizio effettivo del suo potere discrezionale, il legislatore dell’Unione può tenere conto non solo della valutazione d’impatto, ma anche di qualsiasi altra fonte di informazione.

452. Orbene, nel caso di specie, come fatto valere dal Consiglio e dal Parlamento, sebbene la misura in questione non figurasse nella proposta della Commissione né nella valutazione d’impatto – capitolo sociale, nel marzo 2018 la Commissione ha pubblicato la relazione finale di uno studio sulle misure che promuovono l’attuazione del tachigrafo intelligente. L’Ungheria non contesta che lo scopo di tale studio fosse valutare diverse opzioni strategiche per accelerare l’attuazione del tachigrafo intelligente e, in particolare, valutare le incidenze economiche, sociali e in materia di sicurezza stradale che impongono la messa in conformità dei veicoli immatricolati prima del giugno 2019 (222). Detto studio della Commissione conteneva un’analisi costi‑benefici dettagliato che teneva conto degli effetti economici sui trasportatori e sulle autorità nazionali, degli effetti sulla sicurezza stradale, degli effetti sociali e degli effetti sul mercato interno. Inoltre, nel 2018 il Parlamento ha anche realizzato uno studio al fine di valutare i costi e i vantaggi dell’installazione, entro il gennaio 2020, di un tachigrafo intelligente per gli automezzi pesanti nel trasporto internazionale (223). Risulta parimenti dal fascicolo che il legislatore ha esaminato e preso in considerazione tali studi durante il procedimento legislativo sfociato nell’adozione del regolamento 2020/1054.

453. In siffatte circostanze, ritengo che le istituzioni dell’Unione, dalle quali promana l’atto in questione, abbiano dimostrato dinanzi alla Corte che la misura di cui trattasi è stata adottata mediante un esercizio effettivo del loro potere discrezionale e abbiano prodotto ed illustrato in modo chiaro e non equivoco i dati di base che hanno preso in considerazione per fondare la misura contestata.

454. Gli altri argomenti addotti dall’Ungheria non possono mettere in discussione tale valutazione.

455. Infatti, in primo luogo, la circostanza, asserita dall’Ungheria, che i due studi summenzionati non avrebbero esaminato specificamente il rispetto del principio di proporzionalità è irrilevante. Spetta infatti al legislatore effettuare, sulla base dei dati disponibili, il necessario bilanciamento tra i diversi interessi in gioco per garantire un equilibrio tra gli stessi, tenuto conto degli obiettivi perseguiti dalla misura di cui trattasi. Non si può quindi esigere che i dati di base sui quali si fonda l’esercizio del potere discrezionale del legislatore siano presentati nell’ambito di una specifica valutazione della proporzionalità. A questo proposito, ricordo inoltre che, come risulta dalla giurisprudenza menzionata al paragrafo 72 supra, il modo in cui sono registrati i dati di base presi in considerazione dal legislatore dell’Unione non è importante.

456. In secondo luogo, la circostanza asserita dall’Ungheria che la tecnologia (V2) non sia ancora sul mercato, anche supponendo che sia dimostrata – quod non –, non può mettere in discussione la proporzionalità della misura di cui trattasi.

457. Infatti, da un lato, si deve ricordare che, come risulta dalla costante giurisprudenza della Corte menzionata al paragrafo 74 supra, la validità di un atto dell’Unione deve essere valutata in relazione agli elementi di cui il legislatore dell’Unione disponeva al momento dell’adozione della normativa di cui trattasi. Orbene, le istituzioni dell’Unione hanno dimostrato, senza essere contraddette dall’Ungheria, che, secondo le informazioni di cui disponeva il legislatore durante il procedimento legislativo, la tecnologia in questione sarebbe stata pronta nel 2022 e l’installazione dei tachigrafi V2 avrebbe potuto essere completata entro la fine del 2024 (224).

458. Dall’altro, la data limite per l’installazione dei tachigrafi V2 è stata definita nel regolamento 2020/1054 in modo piuttosto atipico, in quanto è stata fissata facendo riferimento non già a una data determinata, bensì a un termine decorrente dall’adozione da parte della Commissione delle necessarie norme tecniche dettagliate, in modo da garantire che vi sia tempo sufficiente per sviluppare tali nuovi tachigrafi. Orbene, come ho rilevato al paragrafo 443 supra, la Commissione ha adottato le specifiche tecniche relative ai tachigrafi intelligenti il 16 luglio 2021 e le ha anche modificate recentemente, al fine di assicurare il funzionamento comune di detti tachigrafi intelligenti di seconda versione nonostante alcuni ritardi dovuti a motivi tecnici. Questi sviluppi dimostrano, a mio avviso, l’adeguatezza della scelta del legislatore riguardo alla modalità di fissazione della data limite per l’installazione dei tachigrafi V2, che mira a garantire una flessibilità nell’attuazione di tale obbligo.

459. Dalle considerazioni che precedono deriva che, a mio avviso, il motivo secondo cui, adottando l’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054, il legislatore dell’Unione avrebbe violato il principio di proporzionalità deve essere respinto.

b)      Sulla violazione dei principi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto

1)      Argomenti delle parti

460. Con il suo secondo motivo, l’Ungheria sostiene che l’anticipo del termine per l’installazione dei tachigrafi V2 viola le legittime aspettative degli operatori economici e, pertanto, i principi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto. Infatti, sulla base della normativa vigente prima dell’adozione del regolamento 2020/1054 (225), gli operatori economici avrebbero potuto legittimamente pensare di avere a disposizione un periodo di quindici anni, dopo l’adozione delle modalità di applicazione, per soddisfare il requisito di installazione di tachigrafi intelligenti. Gli operatori non avrebbero semplicemente riposto la loro fiducia nel mantenimento di una situazione esistente, bensì il legislatore, nell’esercizio del suo potere discrezionale, avrebbe fissato egli stesso un termine sul quale essi potevano basare le loro decisioni economiche. Detto termine potrebbe quindi essere modificato solo per motivi imperativi di interesse generale. In Ungheria, a causa dell’anticipo dei termini, l’obbligo di installare il tachigrafo V2 interesserebbe circa il 60% della flotta, con un costo unitario stimato di circa EUR 2 000.

461. Poiché il legislatore ha adottato il regolamento 2020/1054 il 15 luglio 2020, è a partire da tale momento che si sarebbe potuto conoscere con certezza la nuova data dell’obbligo di messa in conformità. Di conseguenza, soltanto la suddetta data potrebbe segnare il punto di partenza del termine di cui dispongono gli operatori economici per adeguarsi, e non quella della pubblicazione degli studi che hanno esaminato la questione per la prima volta. Gli operatori economici, quand’anche fossero stati a conoscenza di detti studi, non avrebbero potuto sapere con certezza quale soluzione sarebbe stata adottata.

462. Nessuno dei motivi indicati nel considerando 27 del regolamento 2020/1054 per giustificare la modifica dei termini di introduzione dei tachigrafi V2 costituirebbe un motivo imperativo di interesse generale. Per quanto riguarda, in primo luogo, l’efficacia in termini di costi dell’esecuzione delle norme in materia sociale, essa non sarebbe stata realmente esaminata durante l’iter legislativo. In secondo luogo, la rapida evoluzione delle nuove tecnologie e la digitalizzazione in tutta l’economia non costituirebbero motivi imperativi di interesse generale atti a giustificare una violazione del legittimo affidamento degli operatori economici. Inoltre, i tachigrafi V2 non sarebbero ancora stati sviluppati e la data della loro immissione in commercio sarebbe ignota. Per quanto concerne, in terzo luogo, la necessità di condizioni di parità tra le imprese nel settore del trasporto internazionale su strada, sarebbe difficile comprendere perché le imprese internazionali di paesi terzi non siano soggette all’obbligo in parola. Infatti, l’accordo europeo relativo al lavoro degli equipaggi dei veicoli che effettuano trasporti internazionali su strada (in prosieguo: l’«accordo AETR») prevederebbe attualmente l’obbligo di installazione di un tachigrafo digitale.

463. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tale motivo.

2)      Analisi

464. Ho già analizzato ai paragrafi 117 e seguenti delle presenti conclusioni, ai quali rinvio, i principi esposti dalla Corte nella sua giurisprudenza con riferimento al principio della certezza del diritto.

465. Per quanto attiene al principio della tutela del legittimo affidamento, che è un corollario del principio della certezza del diritto, da una giurisprudenza costante risulta che la possibilità di far valere tale principio si estende a qualsiasi operatore economico nel quale un’istituzione abbia fatto sorgere fondate speranze. Ai sensi di detta giurisprudenza, costituiscono un esempio di assicurazioni idonee a far nascere fondate aspettative, a prescindere dalla forma in cui vengono comunicate, informazioni precise, incondizionate e concordanti che promanano da fonti autorizzate ed affidabili (226).

466. Per contro, un operatore economico prudente e avveduto, qualora sia in grado di prevedere l’adozione di una misura dell’Unione idonea a ledere i suoi interessi, non può invocare il principio della tutela del legittimo affidamento nel caso in cui tale misura venga adottata (227).

467. Inoltre, per quanto riguarda l’invocazione del principio della tutela del legittimo affidamento dovuta all’azione del legislatore dell’Unione, occorre rammentare che la Corte ha riconosciuto a detto legislatore un ampio margine di discrezionalità quando la sua azione implica scelte di natura politica, economica e sociale, e quando è chiamato ad effettuare apprezzamenti e valutazioni complessi (228).

468. La Corte ha inoltre dichiarato che un operatore economico non può riporre affidamento nel fatto che non interverrà assolutamente alcuna modifica legislativa, bensì può unicamente mettere in discussione le modalità di applicazione di una modifica siffatta (229).

469. Analogamente, il principio della certezza del diritto non esige l’assenza di modifiche legislative, ma richiede piuttosto che il legislatore tenga conto delle situazioni particolari degli operatori economici e preveda, se del caso, adeguamenti delle nuove norme giuridiche (230).

470. Inoltre, secondo una giurisprudenza costante della Corte, la sfera di applicazione del principio del legittimo affidamento non può essere estesa fino ad impedire, in generale, che una nuova disciplina si applichi agli effetti futuri di situazioni sorte nella vigenza della disciplina anteriore (231), e ciò in particolare in campi il cui scopo implica necessità di continuo adattamento (232).

471. Nel caso di specie, a mio avviso, non si può ritenere che gli operatori economici interessati abbiano ricevuto assicurazioni precise, incondizionate e concordanti, ai sensi della giurisprudenza summenzionata, tali da giustificare che questi ultimi riponessero un legittimo affidamento nel fatto che il contesto normativo sarebbe rimasto invariato e che essi avrebbero quindi avuto a disposizione, in ogni caso, un periodo di quindici anni, dopo l’adozione delle modalità di applicazione, per soddisfare l’obbligo di installare tachigrafi intelligenti.

472. Infatti, non risulta in alcun modo che il legislatore abbia assunto un impegno incondizionato nel senso che il quadro normativo applicabile ai tachigrafi sarebbe rimasto invariato per un periodo di quindici anni. A tale proposito, si deve rilevare che non è affatto insolito che il quadro normativo venga adeguato a più riprese, in particolare nei settori che affrontano questioni tecniche e/o tecnologiche in rapida evoluzione e che sono caratterizzati da un progresso tecnico rapido e continuo.

473. Condivido inoltre il parere delle istituzioni secondo il quale, alla luce dei due documenti menzionati al paragrafo 452 supra, che si basavano sulla consultazione dei rappresentanti del settore economico in questione e delle parti interessate, un operatore del trasporto su strada prudente e avveduto non poteva, quanto meno dopo la pubblicazione di tali studi, ignorare che il legislatore dell’Unione stava valutando possibili modifiche della disciplina relativa ai tachigrafi. Un operatore siffatto era quindi certamente in grado di tenere conto di questa possibilità nell’ambito delle sue decisioni economiche.

474. Oltre a ciò, non si può nemmeno ritenere che la disposizione di cui trattasi abbia abolito con effetto immediato e senza preavviso un vantaggio specifico che la normativa concedeva agli operatori interessati. Al contrario, in virtù del regolamento 2020/1054, gli operatori economici dispongono di un periodo compreso tra quattro e cinque anni per conformarsi alle nuove norme relative ai tachigrafi intelligenti.

475. Alla luce di tutto quanto precede, ritengo che il motivo sollevato dall’Ungheria relativo al fatto che l’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054 sarebbe stato adottato in violazione dei principi della tutela del legittimo affidamento e della certezza del diritto debba parimenti essere respinto.

c)      Sulla violazione dellarticolo 151, secondo comma, TFUE

1)      Argomenti delle parti

476. L’Ungheria sostiene che l’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054 viola l’obbligo di mantenere la competitività economica dell’Unione, quale previsto all’articolo 151, secondo comma, TFUE. Sebbene detto regolamento sia stato adottato nell’ambito della politica dei trasporti e abbia come base giuridica l’articolo 91, paragrafo 1, TFUE, esso rientrerebbe indubbiamente nella politica sociale. Orbene, il miglioramento delle condizioni di lavoro mediante il ravvicinamento delle legislazioni non potrebbe avvenire senza tenere conto, nel contempo, della necessità di salvaguardare la competitività dell’economia dell’Unione. Tuttavia, attualmente, requisiti analoghi relativi al tachigrafo V2 non si applicherebbero ai veicoli delle imprese che non sono stabilite in uno Stato membro, mentre, ai sensi dell’accordo AETR, i veicoli delle imprese stabilite nei paesi ai quali si applica detto accordo devono solo disporre di un tachigrafo digitale, il che conferirebbe quindi a tali imprese un vantaggio concorrenziale. Mentre il legislatore stesso avrebbe riconosciuto la necessità di mantenere la competitività delle imprese dell’Unione al considerando 34 del regolamento 2020/1054, il testo normativo non imporrebbe alla Commissione alcun obbligo concreto né un termine preciso a tale riguardo, cosicché nulla garantirebbe che l’accordo AETR venga modificato di conseguenza o, quanto meno, che i negoziati ad esso relativi possano essere avviati in un prossimo futuro. Orbene, il legislatore, pur non essendo tenuto a un obbligo di risultato, avrebbe un obbligo di diligenza, nel senso che dovrebbe fare tutto il possibile per assicurare che l’Unione non si trovi in una situazione di svantaggio concorrenziale. Per soddisfare l’obbligo in parola non sarebbe sufficiente adottare un considerando, che non ha alcun effetto vincolante.

2)      Analisi

477. L’articolo 151 TFUE, di cui l’Ungheria lamenta la violazione nel presente motivo, è il primo articolo del titolo X della parte terza del Trattato FUE, dedicato alla «Politica sociale». A termini del suo secondo comma, ai fini degli obiettivi di politica sociale indicati nel primo comma di tale articolo, «l’Unione e gli Stati membri mettono in atto misure che tengono conto della diversità delle prassi nazionali, in particolare nelle relazioni contrattuali, e della necessità di mantenere la competitività dell’economia dell’Unione».

478. Dalla formulazione stessa di questa disposizione si evince che essa prevede un mero obbligo «di prendere in considerazione». Come risulta dai paragrafi 288 e seguenti supra – e come avviene peraltro nel caso dell’articolo 91, paragrafo 1, e dell’articolo 94 TFUE –, un obbligo siffatto non ha valore assoluto, ma impone semplicemente al legislatore dell’Unione, per le misure adottate nel contesto del settore della politica sociale, di tenere conto dei parametri e degli obiettivi specifici ivi indicati, e in particolare della necessità di mantenere la competitività dell’economia dell’Unione.

479. Orbene, l’Ungheria ha addebitato al legislatore di non avere tenuto conto di tale necessità in relazione alla circostanza che, in base all’accordo AETR, i veicoli delle imprese stabilite nei paesi terzi ai quali si applica detto accordo non devono disporre di un tachigrafo V2, il che conferirebbe loro un vantaggio concorrenziale.

480. Tuttavia, dal considerando 34 del regolamento 2020/1054 risulta che il legislatore ha esplicitamente considerato che «[è] importante che le imprese di trasporto stabilite in paesi terzi siano soggette a norme equivalenti alle norme dell’Unione quando effettuano operazioni di trasporto su strada nel territorio dell’Unione» e che «[l]a Commissione dovrebbe valutare l’applicazione di questo principio a livello di Unione e proporre soluzioni adeguate da negoziare nel contesto dell’[AETR]».

481. In tali circostanze, non si può sostenere che il legislatore non abbia «preso in considerazione» le differenze esistenti nella normativa, comprese quelle relative ai tachigrafi, applicabili rispettivamente, da un lato, alle imprese di trasporto dell’Unione e, dall’altro, alle imprese di trasporto dei paesi terzi quando effettuano operazioni di trasporto su strada nel territorio dell’Unione.

482. Dalle considerazioni che precedono consegue che, a mio avviso, il terzo motivo sollevato dall’Ungheria nei confronti dell’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054 deve essere parimenti respinto, senza che sia necessario esaminare la questione se l’articolo 151 TFUE, disposizione contenuta nel titolo X relativo alla «Politica sociale», sia applicabile a un atto legislativo adottato nell’ambito della politica comune dei trasporti di cui al titolo IV e avente come base giuridica l’articolo 91, paragrafo 1, TFUE.

483. Alla luce di tutto quanto precede, ritengo che la domanda di annullamento dell’articolo 2, punto 2, del regolamento 2020/1054, proposta dall’Ungheria nella causa C‑551/20, debba essere integralmente respinta.

4.      Sui motivi riguardanti larticolo 3 del regolamento 2020/1054

484. Nel suo ricorso nella causa C‑541/20, la Repubblica di Lituania chiede l’annullamento dell’articolo 3 del regolamento 2020/1054, ai sensi del quale tale regolamento – salvo due eccezioni che non rilevano nel presente contesto (233) – entra in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Detto regolamento è stato pubblicato nella Gazzetta ufficiale il 17 luglio 2020 ed è quindi entrato in vigore il 20 agosto 2020.

485. A sostegno del suo ricorso, la Repubblica di Lituania deduce tre motivi. Prima di analizzare tali motivi, tuttavia, è necessario verificare preliminarmente se essi siano operanti.

a)      Sulloperatività dei motivi riguardanti larticolo 3 del regolamento 2020/1054

486. Con i suoi tre motivi, la Repubblica di Lituania mette in discussione l’articolo 3 del regolamento 2020/1054, che prevede un termine di 20 giorni per l’entrata in vigore di detto regolamento. Il Consiglio e il Parlamento sostengono, tuttavia, che quand’anche tale articolo fosse annullato, in ogni caso, in virtù dell’articolo 297, paragrafo 1, terzo comma, TFUE, la data di entrata in vigore continuerebbe ad applicarsi per il menzionato regolamento (234).

487. A questo proposito ricordo che, ai sensi dell’articolo 297, paragrafo 1, terzo comma, TFUE, gli atti legislativi «entrano in vigore alla data da essi stabilita oppure, in mancanza di data, il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione».

488. Orbene, come rilevato dalla vicepresidente della Corte nel procedimento sommario promosso dalla Repubblica di Lituania, l’articolo 3 del regolamento 2020/1054 costituisce soltanto una mera attuazione all’articolo 297, paragrafo 1, terzo comma, TFUE (235).

489. Tuttavia, questa circostanza non implica automaticamente che l’annullamento di detto articolo 3 comporterebbe, in ogni caso, l’applicazione del termine di entrata in vigore di 20 giorni in forza dell’articolo 297, paragrafo 1, terzo comma, TFUE. Infatti, questa disposizione del TFUE prevede altresì che il legislatore possa decidere, se lo ritiene opportuno, di applicare un termine diverso per l’entrata in vigore di un atto legislativo. Orbene, nei suoi motivi la Repubblica di Lituania mette in discussione proprio la scelta del legislatore dell’Unione di adottare tale termine «standard» di 20 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale per l’entrata in vigore del regolamento 2020/1054, senza prevedere invece un termine di entrata in vigore più lungo, come espressamente consentito dalla menzionata disposizione del TFUE. La Repubblica di Lituania sostiene che sarebbe infatti necessario un periodo transitorio sufficiente per consentire agli Stati membri e agli operatori interessati di adeguarsi alle nuove norme previste dal suddetto regolamento, in particolare a quelle relative alle disposizioni riguardanti il divieto di riposo settimanale regolare in cabina e l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti.

490. Ne consegue che, contrariamente a quanto sostenuto dalle due suddette istituzioni dell’Unione, qualora la Corte accogliesse i motivi della Repubblica di Lituania e annullasse l’articolo 3 del regolamento 2020/1054 in considerazione del fatto che l’applicazione del termine di 20 giorni ivi previsto non è conforme al diritto dell’Unione, tale annullamento non potrebbe in alcun modo comportare l’applicazione di detto termine, ritenuto illegittimo, e quindi della suddetta data di entrata in vigore, in virtù dell’articolo 297, paragrafo 1, terzo comma, TFUE. Al contrario, verrebbe messa in discussione l’intera entrata in vigore del regolamento medesimo.

491. Di conseguenza, a mio avviso, i motivi sollevati dalla Repubblica di Lituania riguardo all’articolo 3 del regolamento 2020/1054 non sono inoperanti.

b)      Sulla violazione del principio di proporzionalità

1)      Argomenti delle parti

492. Con il suo primo motivo, la Repubblica di Lituania sostiene che, prevedendo all’articolo 3 del regolamento 2020/1054 l’obbligo di applicare entro il termine impartito di 20 giorni le disposizioni concernenti il divieto di riposo settimanale regolare in cabina e l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti [previsti all’articolo 1, punto 6, rispettivamente lettere c) e d), del regolamento 2020/1054], il legislatore dell’Unione non ha tenuto conto del fatto che, in mancanza di un periodo transitorio, gli Stati membri e i trasportatori non potrebbero essere in grado di adeguarsi a tali obblighi e non ha presentato alcun argomento che giustifichi una simile urgenza per la loro entrata in vigore. Scegliendo un meccanismo inadeguato per l’attuazione del regolamento 2020/1054 (omettendo di prevedere un posticipo della sua applicazione o un periodo transitorio), le istituzioni dell’Unione avrebbero quindi creato una normativa insostenibile, di cui sarebbe particolarmente complicato garantire l’osservanza per varie ragioni oggettive e avrebbero quindi violato il principio di proporzionalità.

493. In primo luogo, il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto del fatto che attualmente non vi sono sufficienti aree di parcheggio adeguate e sicure nelle quali i conducenti possano fruire di condizioni di riposo adeguate fuori dalla cabina. Ne conseguirebbe che le imprese di trasporto dovranno assumersi rischi ingiustificati e sproporzionati dando istruzioni ai conducenti affinché lascino gli autocarri in aree nelle quali la sicurezza del carico non è garantita. Inoltre, nella valutazione d’impatto, la stessa Commissione avrebbe confermato le difficoltà derivanti dalla carenza di alloggi e di aree di parcheggio sicure. L’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 non sarebbe una mera codificazione della sentenza Vaditrans, in quanto l’obbligo di effettuare i periodi di riposo prescritti in un alloggio adeguato, che tenga conto delle specificità di genere e sia dotato di adeguate attrezzature per il riposo e appropriati servizi igienici, costituisce un obbligo nuovo. In ogni caso, anche per codificare una disposizione, il legislatore dovrebbe seguire la procedura legislativa ordinaria, durante la quale dovrebbe, in particolare, valutare la proporzionalità della misura proposta e verificare se essa sia agevolmente attuabile.

494. In secondo luogo, la Repubblica di Lituania si richiama allo studio del 2019 e ai dati menzionati al paragrafo 351 supra.

495. In terzo luogo, la Repubblica di Lituania sostiene che, pur essendo stato informato delle difficoltà di applicazione del regolamento 2020/1054 dal CESE, dalla commissione per l’occupazione e gli affari sociali e dalla commissione per i trasporti e il turismo del Parlamento, il legislatore dell’Unione avrebbe ignorato tali informazioni.

496. In quarto luogo, la Repubblica di Lituania afferma che il divieto di riposo settimanale regolare in cabina solleverebbe anche altre importanti questioni giuridiche, relative ad esempio alle misure precauzionali e alla copertura assicurativa, in quanto, nella maggior parte dei casi, il conducente dovrà lasciare il carico incustodito in un’area di parcheggio non protetta.

497. In quinto luogo, la Repubblica di Lituania sostiene che il carattere ingiustificato dell’articolo 3 del regolamento 2020/1054 sarebbe dimostrato anche dall’assenza di un documento interpretativo in base al quale le imprese di trasporto possano organizzare il ritorno dei conducenti al loro luogo di residenza o alla sede di attività dell’impresa. In mancanza di tali documenti, l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti sarebbe difficile da attuare, il che comporterebbe prassi diverse da uno Stato membro all’altro e da un’impresa di trasporto all’altra.

498. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tale motivo.

2)      Analisi

499. Conformemente alla giurisprudenza ricordata ai paragrafi 52 e seguenti supra, l’esame del motivo sollevato dalla Repubblica di Lituania relativo alla violazione del principio di proporzionalità deve essere volto a verificare se, prevedendo all’articolo 3 del regolamento 2020/1054 un termine per l’entrata in vigore di tale regolamento di 20 giorni dalla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e omettendo di prevedere specificamente un periodo transitorio per l’entrata in vigore delle disposizioni relative al divieto di riposo settimanale regolare in cabina e per l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, il legislatore dell’Unione abbia manifestamente ecceduto l’ampio potere discrezionale di cui dispone in materia di politica comune dei trasporti, optando per una misura manifestamente inadeguata rispetto agli obiettivi che esso intendeva perseguire o che causerebbe inconvenienti sproporzionati rispetto agli scopi previsti.

500. Per quel che riguarda, anzitutto, gli obiettivi perseguiti dal regolamento 2020/1054 e, nello specifico, dalle disposizioni concernenti il divieto di riposo settimanale regolare in cabina e l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti, rinvio ai paragrafi 196 e seguenti e al paragrafo 373 delle presenti conclusioni.

501. Per quanto attiene poi, in primo luogo, al termine di entrata in vigore dell’obbligo previsto all’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, ho rilevato al paragrafo 394 supra che, adottando tale disposizione, il legislatore dell’Unione non ha introdotto nell’ordinamento giuridico dell’Unione il divieto di effettuare il riposo settimanale regolare in cabina, ma si è limitato a codificare il diritto esistente che risultava dalla precedente versione dell’articolo 8, paragrafo 8, del regolamento n. 561/2006, come interpretato dalla Corte nella sentenza Vaditrans.

502. Ne consegue che la censura della Repubblica di Lituania equivale, in sostanza, ad addebitare a detto legislatore di non avere previsto un periodo transitorio per una norma che era già in vigore nell’ordinamento giuridico dell’Unione e che, pertanto, gli operatori interessati erano già tenuti ad osservare.

503. Orbene, condivido la posizione della Repubblica di Lituania secondo cui, anche quando codifica il diritto esistente, il legislatore non è esonerato dall’obbligo di valutare la proporzionalità della misura proposta. Tuttavia, dalle considerazioni che ho svolto ai paragrafi 398 e seguenti supra risulta, da un lato, che qualsiasi approccio diverso, anche a titolo temporaneo, da quello di mantenere il divieto di effettuare i periodi di riposo settimanale regolari in cabina avrebbe portato a consentire per via legislativa ai conducenti di effettuare tali periodi di riposo in un luogo che, come la Corte ha espressamente riconosciuto (236), non è idoneo per trascorrere siffatti lunghi periodi di riposo. Ciò avrebbe comportato una riduzione della protezione sociale dei conducenti e quindi un peggioramento delle loro condizioni di lavoro, il che è contrario agli obiettivi della normativa di cui trattasi, nonché alla sentenza Vaditrans.

504. Dall’altro, ho già esposto al paragrafo 400 supra che, a mio avviso, l’eventuale carenza attuale di infrastrutture adeguate non può costituire una giustificazione per consentire ai conducenti, per via legislativa, di effettuare i loro periodi di riposo settimanale regolari a bordo del veicolo, ossia in un luogo che non è idoneo per trascorrere lunghi periodi di riposo.

505. Per quanto riguarda gli argomenti relativi alle informazioni fornite dal CESE e dalle commissioni del Parlamento durante il procedimento legislativo riguardo allo stato delle infrastrutture in Europa, rinvio alle considerazioni esposte ai paragrafi 261 e 410 supra. Analogamente, per quanto riguarda gli argomenti relativi alle misure precauzionali e alla copertura assicurativa, come ho esposto al paragrafo 404 supra, poiché l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054 si è limitato a codificare il diritto già esistente, la sua adozione non poteva assolutamente comportare un aumento dei rischi e dei costi per le imprese di trasporto.

506. Per quanto attiene, in secondo luogo, al termine di entrata in vigore dell’obbligo previsto all’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, la Repubblica di Lituania si limita ad affermare che il carattere sproporzionato dell’articolo 3 di tale regolamento sarebbe dimostrato dalla mancanza di un documento interpretativo in base al quale le imprese di trasporto possano organizzare il ritorno dei conducenti. Orbene, dall’analisi effettuata ai paragrafi 125 e seguenti delle presenti conclusioni risulta che la disposizione dell’articolo 1, punto 6, lettera d), di detto regolamento soddisfa le esigenze di certezza del diritto, lasciando nel contempo alle imprese di trasporto una certa flessibilità per la sua esecuzione. In tali circostanze, poiché la suddetta disposizione è sufficientemente chiara per essere attuata dagli operatori interessati, se è vero che documenti interpretativi che possano aiutare gli operatori interessati a rispettare l’obbligo previsto dalla menzionata disposizione sono certamente utili, tuttavia la loro assenza non può in alcun modo comportare una violazione del principio di proporzionalità con riferimento alla data di entrata in vigore della medesima disposizione.

507. Da tutto quanto precede consegue che il motivo vertente sul fatto che l’articolo 3 del regolamento 2020/1054 sarebbe stato adottato in violazione del principio di proporzionalità deve essere respinto.

c)      Sulla violazione dellobbligo di motivazione

1)      Argomenti delle parti

508. Con il suo secondo motivo, la Repubblica di Lituania sostiene che l’articolo 3 del regolamento 2020/1054 è viziato da un difetto di motivazione ai sensi dell’articolo 296 TFUE. Detto Stato membro rileva che, al momento dell’esame della proposta della Commissione, le istituzioni dell’Unione erano consapevoli, grazie alla valutazione d’impatto e ad altre fonti, da un lato, che il divieto di riposo settimanale regolare in cabina avrebbe fatto sorgere problemi pratici di attuazione di tale disposizione e, dall’altro, che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti avrebbe limitato ingiustificatamente la libera circolazione dei lavoratori e che non esistevano norme chiare per l’attuazione di detto obbligo. Dal momento che tali informazioni erano note, le istituzioni dell’Unione avrebbero dovuto addurre argomenti a sostegno dell’assenza di un periodo di transizione o di un posticipo dell’entrata in vigore della normativa. Sebbene gli obiettivi indicati nella proposta della Commissione siano importanti, essi non giustificano l’urgenza dell’entrata in vigore delle nuove norme.

509. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tale motivo.

2)      Analisi

510. L’articolo 296, secondo comma, TFUE dispone che gli atti giuridici delle istituzioni dell’Unione sono motivati. A tale proposito, dalla giurisprudenza della Corte risulta che una siffatta motivazione dev’essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e al contesto nel quale esso è stato adottato (237).

511. Come ho rilevato al paragrafo 487 supra, il termine di 20 giorni dalla pubblicazione dell’atto nella Gazzetta ufficiale costituisce il termine «standard» previsto dall’articolo 297, paragrafo 1, terzo comma, TFUE per l’entrata in vigore degli atti legislativi, fatta salva la possibilità per il legislatore dell’Unione di scegliere un’altra data, se lo ritiene opportuno.

512. Orbene, da tale disposizione risulta, a mio avviso, che detto termine «standard» è destinato, in generale e salvo eccezioni, conformemente alla volontà degli autori del Trattato FUE, ad essere previsto per l’entrata in vigore di qualsiasi atto legislativo.

513. In siffatte circostanze, sono incline a ritenere che, in linea di principio, solo qualora decida eventualmente di non adottare questo termine «standard» il legislatore dell’Unione possa essere tenuto a spiegare per quale motivo abbia deciso di non adottare un termine e di applicarne uno diverso.

514. Nonostante tali considerazioni, sono dell’avviso che, in ogni caso, gli argomenti addotti dalla Repubblica di Lituania non possano dimostrare la violazione, nel caso di specie, dell’obbligo di motivazione da parte del legislatore dell’Unione.

515. Infatti, per quanto concerne il termine di entrata in vigore dell’obbligo previsto all’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, poiché tale disposizione si è limitata a codificare il diritto esistente e il divieto di effettuare il periodo di riposo settimanale regolare in cabina era quindi già in vigore al momento della sua adozione (238), detta disposizione non può «far sorgere» problemi pratici per la sua attuazione, quali invocati dalla Repubblica di Lituania, che giustificherebbero un obbligo di motivazione particolare. Siffatti problemi pratici, infatti, sarebbero eventualmente già esistiti.

516. Per quanto attiene al termine di entrata in vigore dell’obbligo previsto all’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054, l’argomento vertente sul fatto che l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti limiterebbe ingiustificatamente la libera circolazione dei lavoratori si basa su una lettura errata di tale disposizione, come risulta dai paragrafi da 125 a 129 supra. L’argomento secondo cui non esistevano norme chiare per l’attuazione del suddetto obbligo è stato esaminato e respinto al paragrafo 506 supra.

517. Da quanto precede consegue che il motivo vertente sulla violazione dell’obbligo di motivazione per quanto riguarda l’articolo 3 del regolamento 2020/1054 deve essere parimenti respinto.

d)      Sulla violazione del principio di leale cooperazione sancito allarticolo 4, paragrafo 3, TUE

1)      Argomenti delle parti

518. Con il suo terzo motivo, la Repubblica di Lituania addebita al Parlamento e al Consiglio, in quanto co‑legislatori, di avere violato il principio di leale cooperazione sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, adottando l’articolo 3 del regolamento 2020/1054. In primo luogo, nell’esaminare tale regolamento, le istituzioni dell’Unione non solo non avrebbero in alcun modo giustificato la necessità di far entrare subito in vigore il divieto di trascorrere la notte in cabina nei periodi in questione e l’obbligo di far ritornare i conducenti al loro luogo di residenza o alla sede di attività dell’impresa, ma, inoltre, non avrebbero nemmeno esaminato in che modo si potessero creare le condizioni adatte, prevedendo un periodo transitorio, per consentire agli Stati membri e alle imprese di trasporto di adeguarsi ai nuovi obblighi. In particolare, le istituzioni dell’Unione non avrebbero esaminato misure che consentirebbero di attenuare la situazione esistente, autorizzando gli Stati membri ad adeguarsi gradualmente a tali nuovi obblighi, e che garantirebbero che le imprese di trasporto non vengano sanzionate a causa della carenza di alloggi adeguati. In secondo luogo, le suddette istituzioni non avrebbero tenuto conto del fatto che non era chiara quale fosse la corretta attuazione dell’obbligo di far ritornare i conducenti e che, di conseguenza, per garantire l’attuazione coerente di detto obbligo, sarebbe stato necessario adottare misure complementari. In terzo luogo, sarebbe parimenti violato l’obbligo di assistenza reciproca, giacché sarebbe evidente che gli Stati membri non possono oggettivamente garantire un’infrastruttura sufficiente. Inoltre, le istituzioni dell’Unione sarebbero tenute, in linea di principio, a dialogare con gli Stati membri e a motivare il rigetto delle obiezioni formulate dagli stessi.

519. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tale motivo.

2)      Analisi

520. In via preliminare, occorre ricordare che, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 3, TUE, l’Unione e gli Stati membri si rispettano e si assistono reciprocamente nell’adempimento dei compiti derivanti dai trattati.

521. Per quanto riguarda la portata di tale principio nel contesto dell’adozione di atti legislativi, dalla giurisprudenza risulta che, nei settori in cui il legislatore dell’Unione dispone di un ampio potere discrezionale, la Corte verifica esclusivamente se gli autori dell’atto impugnato siano in grado di dimostrare che lo stesso è stato adottato attraverso un effettivo esercizio del loro potere discrezionale e di esporre, a tal fine, in modo chiaro e inequivocabile, i dati di base che hanno dovuto essere presi in considerazione per fondare le misure controverse di tale atto e dai quali dipendeva l’esercizio del loro potere discrezionale. L’obbligo di leale cooperazione non può avere una portata più ampia, nel senso che produrrebbe l’effetto di imporre, in ogni caso, al legislatore dell’Unione di produrre, su richiesta di uno Stato membro, documenti e informazioni di cui è asserita la mancanza o di correggere informazioni in suo possesso prima di poter procedere all’adozione di un atto. Una siffatta interpretazione potrebbe infatti impedire alle istituzioni di esercitare il loro potere discrezionale e bloccare l’iter legislativo. È certo vero che il dovere di leale cooperazione comporta l’obbligo di reciproca assistenza, il quale implica, segnatamente, lo scambio di informazioni pertinenti tra le istituzioni e gli Stati membri nell’ambito dell’iter legislativo. Tuttavia, l’obbligo medesimo non può consentire a uno di tali Stati, in caso di disaccordo sulla sufficienza, la pertinenza o l’esattezza dei dati disponibili, di contestare per quest’unico motivo la legittimità del processo decisionale (239).

522. In tali circostanze, la Corte ha chiarito che, come risulta da una giurisprudenza costante, l’adozione di un atto legislativo nel rispetto delle disposizioni pertinenti del Trattato FUE, nonostante l’opposizione di una minoranza di Stati membri, non può costituire una violazione dell’obbligo di leale cooperazione che incombe al Parlamento e al Consiglio (240).

523. Nel caso di specie, è pacifico che, nell’ambito del Consiglio, la proposta di regolamento orario di lavoro e la valutazione d’impatto – capitolo sociale sono state oggetto di discussione in varie riunioni. È altresì pacifico che la Repubblica di Lituania ha avuto accesso, durante l’iter legislativo, a tutti i documenti sui quali si è basato il legislatore dell’Unione per adottare detto regolamento e ha potuto presentare le proprie osservazioni sui dati contenuti in tali documenti e sulle ipotesi considerate. Ne consegue che, nel caso di specie, lo scambio di informazioni sulle disposizioni che sono successivamente divenute il regolamento 2020/1054, scambio fondato sull’obbligo di assistenza reciproca derivante dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, si è svolto correttamente. Tale constatazione non può essere messa in discussione dagli argomenti sollevati dalla Repubblica di Lituania, i quali, peraltro, riguardano tutti questioni che sono già state respinte nell’ambito dell’analisi nel merito dei motivi riguardanti le disposizioni di cui trattasi. Infatti, l’esistenza del suddetto obbligo di assistenza reciproca non implica assolutamente l’obbligo, per il legislatore, di concordare con tutti gli Stati membri su ogni questione.

524. Alla luce di tutte queste considerazioni, ritengo che il motivo vertente sulla violazione del principio di leale cooperazione, sancito all’articolo 4, paragrafo 3, TUE, in relazione all’adozione dell’articolo 3 del regolamento 2020/1054 debba essere parimenti respinto.

525. Tenuto conto di tutto quanto precede, ritengo che la domanda di annullamento dell’articolo 3 del regolamento 2020/1054, proposta dall’Ungheria nella causa C‑541/20, debba essere integralmente respinta.

5.      Conclusione sui ricorsi riguardanti il regolamento 2020/1054

526. Alla luce dell’analisi che precede, propongo alla Corte di respingere integralmente i ricorsi della Repubblica di Bulgaria nella causa C‑543/20, della Romania nella causa C‑546/20 e della Repubblica di Polonia nella causa C‑553/20, nonché di respingere i ricorsi della Repubblica di Lituania nella causa C‑541/20 e dell’Ungheria nella causa C‑551/20, nella misura in cui questi ultimi due ricorsi riguardano il regolamento 2020/1054.

C.      Sul regolamento 2020/1055 (cause C542/20, C545/20, C547/20, C549/20, C551/20, C552/20 e C554/20)

527. Questi sette ricorsi sono incentrati essenzialmente su due disposizioni del regolamento 2020/1055, vale a dire l’articolo 1, punto 3, lettera a), nella parte in cui introduce l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane [articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055], e l’articolo 2, punto 4, lettera a), che introduce un periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato (articolo 8, paragrafo 2 bis, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055). Inoltre, la Repubblica di Polonia è l’unica a contestare la validità di altre due disposizioni, ossia l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella parte in cui introduce l’obbligo di disporre di un numero di veicoli e di conducenti proporzionato al volume delle operazioni di trasporto effettuate [articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato], e l’articolo 2, punto 5, lettera b), del regolamento 2020/1055 relativo alla possibilità di assoggettare le operazioni di trasporto combinato a un periodo di attesa (articolo 10, paragrafo 7, del regolamento n. 1072/2009, come modificato).

528. Esaminerò, in primo luogo, i motivi diretti contro le nuove condizioni relative al requisito di stabilimento (articolo 5 del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055), vale a dire l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane e l’obbligo di disporre di un numero di veicoli e di conducenti proporzionato al volume delle operazioni di trasporto effettuate, prima di analizzare, in secondo luogo, i motivi vertenti sul regime del trasporto di cabotaggio diretti contro il periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato e contro l’introduzione della possibilità di assoggettare le operazioni di trasporto combinato a un periodo di attesa.

1.      Sullobbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane [articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella misura in cui modifica larticolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1071/2009]

529. La Repubblica di Lituania, la Repubblica di Bulgaria, la Romania, la Repubblica di Cipro, l’Ungheria, la Repubblica di Malta e la Repubblica di Polonia contestano la legittimità dell’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 nella misura in cui modifica l’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1071/2009.

530. L’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1071/2009 è dedicato alle condizioni relative al requisito di stabilimento. Esso prevede attualmente, a seguito dell’entrata in vigore del regolamento 2020/1055, che, «[p]er soddisfare il requisito di cui all’articolo 3, paragrafo 1, lettera a) [(241)], nello Stato membro di stabilimento un’impresa: (...) organizza l’attività della sua flotta di veicoli in modo da garantire che i veicoli a disposizione dell’impresa e utilizzati nel trasporto internazionale ritornino a una delle sedi di attività in tale Stato membro al più tardi entro otto settimane dalla partenza». L’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 ha quindi introdotto nel regolamento n. 1071/2009 l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane.

531. In sostanza, i motivi sollevati dagli Stati membri ricorrenti possono essere raggruppati intorno a sei tematiche principali, vale a dire il rispetto delle forme sostanziali, la politica dell’Unione in materia di ambiente, i principi della parità di trattamento e di non discriminazione, il principio di proporzionalità, gli obblighi specifici che incombono al legislatore dell’Unione a titolo dell’articolo 91, paragrafo 1, e dell’articolo 94 TFUE nonché le libertà economiche fondamentali.

a)      Sui motivi vertenti sulla violazione dellarticolo 91, paragrafo 1, TFUE per mancata consultazione del CESE e del CdR

1)      Argomenti delle parti

532. La Repubblica di Bulgaria (242) sostiene che l’articolo 91, paragrafo 1, TFUE, che costituisce la base giuridica del regolamento 2020/1055, imponeva al legislatore dell’Unione di deliberare secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del CESE e del CdR. Essa sostiene che, non avendo consultato questi due comitati sulle modifiche introdotte durante il procedimento legislativo, il Consiglio e il Parlamento hanno violato l’articolo 91, paragrafo 1, TFUE e ignorato una formalità sostanziale. Tale obbligo di consultazione deriverebbe dalla giurisprudenza della Corte relativa al ruolo consultivo del Parlamento (243) quando esso non era ancora colegislatore, che si applicherebbe mutatis mutandis in relazione al CESE e al CdR, nonché dai documenti di lavoro riguardanti il funzionamento del CdR. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane costituirebbe una modifica sostanziale e la mancata consultazione di questi due comitati avrebbe influito sul merito e sulla sostanza della nuova normativa. In fase di replica, la Repubblica di Bulgaria afferma che le conclusioni della sentenza nella causa C‑65/90 (244) sono trasponibili alle modalità di consultazione del CdR e del CESE, e che la disposizione interpretata all’epoca dalla Corte sarebbe formulata in termini identici all’articolo 91, paragrafo 1, TFUE. L’obbligo di consultare i due comitati suddetti risulterebbe da un requisito procedurale sostanziale, univoco e chiaro. Una modifica sostanziale introdotta nella proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla valutazione delle tecnologie sanitarie, che modifica la direttiva 2011/24/UE (245), avrebbe indotto il co‑legislatore a decidere di consultare nuovamente il CESE. L’assenza di incidenza significativa dell’omessa consultazione sul contenuto della disposizione infine adottata, ancorché, contrariamente a quanto affermato dal Parlamento, non dimostrata, non potrebbe in ogni caso influire sul carattere obbligatorio della consultazione. Il Consiglio avrebbe sostenuto erroneamente che l’obbligo di consultazione dei comitati non riguardasse la misura impugnata, in quanto l’articolo 91, paragrafo 1, TFUE non introduce una distinzione di questo tipo.

533. La Repubblica di Cipro deduce un argomento analogo in tutto e per tutto a quello svolto dalla Repubblica di Bulgaria (246).

534. Il Parlamento e il Consiglio nonché le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tali motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE per mancata consultazione del CESE e del CdR.

2)      Analisi

535. Dall’articolo 91, paragrafo 1, TFUE risulta che il Parlamento e il Consiglio, quando deliberano su tale base, devono consultare il CESE e il CdR. I pareri del CESE e del CdR sulla proposta della Commissione (247) sono stati raccolti rispettivamente il 18 gennaio 2018 (248) e il 1º febbraio 2018 (249).

536. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono, in sostanza, che il parere di questi due comitati avrebbe dovuto essere nuovamente raccolto dopo le modifiche sostanziali che sarebbero costituite dall’introduzione, durante il procedimento legislativo, dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane e, solo per quanto riguarda la Repubblica di Bulgaria, di un periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato.

537. Anzitutto, rilevo che tale obbligo di consultare nuovamente questi due comitati nel caso in cui venga apportata una modifica sostanziale ad una proposta legislativa non deriva né dall’articolo 91 TFUE né da altre disposizioni di diritto primario.

538. Per quanto attiene, in primo luogo, ai documenti di lavoro fatti valere dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro, la guida pratica sulla violazione del principio di sussidiarietà pubblicata dal CdR si limita ad indicare che quest’ultimo dovrebbe essere consultato, di norma, anche in caso di modifiche sostanziali di una proposta legislativa sulla quale detto comitato si sia già espresso (250), senza ulteriori precisazioni riguardo, in particolare, alla base giuridica di tale consultazione. Il regolamento interno del CdR, parimenti invocato, si limita, dal canto suo, a prevedere le condizioni della presa in considerazione del parere del comitato e la possibilità per lo stesso di seguire lo svolgimento dei lavori legislativi successivi al suo parere e di adottare, eventualmente, un progetto di parere riveduto (251). Aggiungo che il menzionato regolamento prevede altresì la possibilità per il CdR, qualora ritenga di non essere stato consultato nei casi previsti dal Trattato FUE, di presentare un ricorso dinanzi alla Corte (252). Orbene, è giocoforza constatare che manifestamente il CdR non ha ritenuto utile adottare un parere riveduto in seguito all’introduzione delle due misure ricordate in precedenza, come rilevato dal Parlamento, né presentare un ricorso dinanzi alla Corte per far dichiarare la violazione dei propri diritti durante il procedimento legislativo sfociato nell’adozione del regolamento 2020/1055.

539. In secondo luogo, le parti hanno ampiamente discusso la questione se gli insegnamenti della sentenza Parlamento/Consiglio (253) fossero trasponibili alle condizioni di consultazione del CESE e del CdR in quanto l’articolo 75 CEE, interpretato dalla Corte in tale sentenza, sarebbe formulato allo stesso modo dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE.

540. Al pari del Parlamento e del Consiglio, confesso di non essere convinto della trasponibilità di tale sentenza.

541. Infatti, non si può ignorare che le condizioni alle quali il Consiglio era tenuto a consultare nuovamente il Parlamento, in un’epoca in cui esso era soltanto consultato, sono state ulteriormente precisate in un’altra sentenza Parlamento/Consiglio (254) successiva, dalla quale deriva che «la regolare consultazione del Parlamento nei casi previsti dal Trattato costituisce una formalità sostanziale, la cui inosservanza implica la nullità dell’atto considerato (...). La partecipazione effettiva del Parlamento al processo legislativo della Comunità, in conformità alle procedure previste dal Trattato, rappresenta infatti un elemento essenziale dell’equilibrio istituzionale voluto dal Trattato stesso. Questo potere riflette un fondamentale principio della democrazia, secondo cui i popoli partecipano all’esercizio del potere per il tramite di un’assemblea rappresentativa (...). Orbene, l’obbligo di consultare il Parlamento europeo durante il procedimento legislativo (...) comporta l’obbligo di una nuova consultazione ogni volta che l’atto infine adottato, considerato complessivamente, sia diverso quanto alla sua sostanza da quello sul quale il Parlamento sia stato già consultato, eccetto i casi in cui gli emendamenti corrispondano essenzialmente al desiderio espresso dallo stesso Parlamento» (255).

542. Non è un’offesa al CESE e al CdR ricordare che essi non sono istituzioni dell’Unione (256), nel senso dell’articolo 13, paragrafo 2, TUE, e non incarnano la partecipazione dei popoli all’esercizio del potere, come già avveniva nel caso del Parlamento nel 1995. Di conseguenza, l’obbligo di consultare nuovamente questi due comitati non può basarsi su tale giurisprudenza della Corte.

543. Il CESE e il CdR hanno potuto manifestare, a mio avviso in misura sufficiente, il loro parere sui progetti legislativi considerati.

544. Come correttamente affermato dal Consiglio, il CESE ha espresso, nel suo parere del 18 gennaio 2018, il proprio sostegno all’obiettivo esposto e, più in generale, all’intero Pacchetto mobilità (257). Esso ha inoltre sostenuto gli obiettivi della proposta volta ad introdurre requisiti in materia di stabilimento che impediscano il ricorso a società di comodo per il trasporto di cabotaggio su strada (258) e ha accolto con favore lo spirito che anima le modifiche proposte al regolamento n. 1072/2009, vale a dire semplificare e chiarire le norme sul cabotaggio (259). Esso ha potuto esprimersi e, se del caso, sollevare riserve sulle misure che contenevano la proposta della Commissione, sia riguardo alla revisione dell’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009, sia riguardo alla modifica del regolamento n. 1072/2009 relativamente al cabotaggio. Per quanto attiene a quest’ultimo, il CESE si è in particolare rammaricato del fatto che «nella proposta non venga affatto affrontata la questione di stabilire quando un’attività di cabotaggio cessa di essere temporanea, diventando continua e permanente, e decade quindi il diritto alla prestazione di servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui è stabilita l’impresa» (260) e ha richiesto «una disposizione chiara che definisca le attività temporanee» (261) che potrebbe consistere nella fissazione di «un periodo di pausa tra le diverse “sequenze” di operazioni di cabotaggio» (262), il che avrebbe costituito proprio l’opzione scelta in definitiva dal legislatore dell’Unione nel testo finale del regolamento 2020/1055.

545. Per quanto riguarda il CdR, esso ha scelto di concentrarsi, nel suo parere in data 1º febbraio 2018, sulle questioni relative al lavoro nel trasporto su strada, sottolineando nel contempo le principali caratteristiche del mercato del trasporto su strada di merci all’interno dell’Unione (263) e accogliendo con favore le disposizioni più chiare in materia di cabotaggio (264).

546. In ogni caso, dal contenuto di questi due pareri emerge chiaramente, a mio avviso, che l’introduzione di un obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane e di un periodo di attesa di quattro giorni tra le diverse sequenze di cabotaggio autorizzato si pone in continuità con quanto annunciava la proposta della Commissione sulla quale i due comitati hanno potuto esprimersi e da cui essa non si discosta in un modo che avrebbe richiesto di raccogliere nuovamente i pareri dei due comitati. In altre parole, il sistema della proposta nel suo complesso non è stato toccato (265).

547. Di conseguenza, propongo di respingere i motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE per mancata consultazione del CESE e del CdR.

b)      Sui motivi vertenti sulla violazione della politica dellUnione in materia di ambiente e di cambiamenti climatici

1)      Argomenti delle parti

548. Con il suo primo motivo, la Repubblica di Lituania afferma che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, introdotto dall’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, viola l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, gli articoli 11 e 191 TFUE, l’articolo 37 della Carta nonché, più in generale, la politica dell’Unione in materia di ambiente e di lotta contro i cambiamenti climatici. La Repubblica di Lituania sostiene che la tutela dell’ambiente costituirebbe uno degli obiettivi essenziali dell’Unione e che le esigenze relative a tale tutela dovrebbero essere integrate nell’attuazione della politica comune dei trasporti. Le disposizioni dei trattati invocate e il Green Deal europeo dovrebbero essere presi in considerazione in quanto, dal momento che la tutela dell’ambiente è un’esigenza imperativa, le misure adottate dal legislatore dell’Unione, anche se perseguono altri obiettivi, non possono essere manifestamente in contrasto con essa.

549. Il Green Deal europeo, presentato mentre era in corso la procedura di adozione del regolamento 2020/155, avrebbe fissato, per l’Unione, l’obiettivo di raggiungere la neutralità climatica entro il 2050, obiettivo che sarebbe stato riaffermato dal Consiglio europeo (266). La realizzazione di un obiettivo siffatto richiederebbe una riduzione del 90% delle emissioni prodotte dai trasporti entro tale data (267). Inoltre, l’obiettivo della neutralità climatica sarebbe parimenti enunciato all’articolo 2, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2021/1119 (268). Il paragrafo 2 di detto articolo imporrebbe alle istituzioni dell’Unione e agli Stati membri di adottare le misure necessarie, rispettivamente, a livello dell’Unione e nazionale, per consentire il conseguimento collettivo del menzionato obiettivo, tenendo conto dell’importanza di promuovere sia l’equità che la solidarietà tra gli Stati membri nonché l’efficienza in termini di costi nel conseguimento di tale obiettivo. La stessa Commissione si sarebbe peraltro rammaricata (269) del fatto che l’accordo politico raggiunto dal Consiglio e dal Parlamento includa elementi, tra cui l’obbligo relativo al ritorno dei veicoli, che non sarebbero in linea con le ambizioni del Green Deal europeo e con l’obiettivo di realizzare un’Unione a impatto climatico zero entro il 2050. Inoltre, la Commissione si sarebbe impegnata, dopo l’adozione del Pacchetto mobilità, ad analizzare le ripercussioni di detto obbligo sul clima e sull’ambiente nonché a presentare una proposta legislativa mirata prima dell’entrata in vigore dell’obbligo relativo al ritorno dei veicoli (270). Tale valutazione d’impatto avrebbe confermato le notevoli ripercussioni del suddetto obbligo sull’ambiente, sicché le affermazioni del Parlamento europeo e del Consiglio, secondo le quali la disposizione impugnata comporterebbe soltanto un aumento moderato delle emissioni, sarebbero manifestamente infondate (271).

550. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane andrebbe in una direzione opposta al Green Deal europeo e all’obiettivo di neutralità, in quanto un obbligo siffatto comporterebbe un aumento considerevole del numero di percorsi effettuati, la maggior parte dei quali sarebbe effettuata a vuoto. Ne risulterebbe un forte aumento dei quantitativi di CO2 emessi dai trasporti, ossia un settore nel quale due terzi dell’intero fabbisogno di manodopera si concentrerebbero nella regione geografica centrale dell’Unione, mentre la maggior parte degli autisti proverrebbe dagli Stati membri periferici dell’Unione (272).

551. Nella sua replica, la Repubblica di Lituania sostiene che l’articolo 3, paragrafo 3, TUE e gli articoli 11 e 191 TFUE non potrebbero essere interpretati così restrittivamente come propongono il Consiglio e il Parlamento nella loro difesa e afferma che la legittimità dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane dovrebbe essere valutata alla luce delle menzionate disposizioni. Inoltre, la posizione di dette istituzioni riguardo al Green Deal europeo sarebbe incoerente. La Repubblica di Lituania ricorda che la tutela dell’ambiente costituisce, secondo la giurisprudenza della Corte, un’esigenza imperativa. Sebbene il legislatore possa adottare misure che si discostino dagli obiettivi di tutela dell’ambiente, tali misure non potrebbero, come nel caso di specie, essere manifestamente incompatibili o contrarie a questi obiettivi. L’effetto sull’ambiente dell’obbligo controverso sarebbe stato manifestamente sottostimato.

552. Dal canto suo, la Repubblica di Bulgaria sostiene, nell’ambito del suo primo motivo suddiviso in due parti, che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane violerebbe, da un lato, il combinato disposto dell’articolo 90 TFUE, dell’articolo 3, paragrafo 3, TUE, dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta e, dall’altro, l’articolo 3, paragrafo 5, TUE, l’articolo 208, paragrafo 2, e l’articolo 216, paragrafo 2, TFUE nonché l’accordo di Parigi «adottato alla Conferenza delle parti della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (COP 21) del dicembre 2015 e firmata il 22 aprile 2016». Mentre la politica comune dei trasporti rivestirebbe un’importanza particolare dal punto di vista ambientale, l’obbligo relativo al ritorno dei veicoli ogni otto settimane, comportando un aumento considerevole delle emissioni di CO2 e un incremento dei viaggi a vuoto nonché del traffico stradale, ostacolerebbe il conseguimento dell’obiettivo del Green Deal europeo, come avrebbe sottolineato la Commissione. Sarebbe inoltre difficile per gli Stati membri conformarsi agli obblighi derivanti dal regolamento (UE) 2018/842 (273).

553. Per quanto riguarda la prima parte del primo motivo, la Repubblica di Bulgaria sostiene che le disposizioni invocate imporrebbero alle istituzioni di perseguire gli obiettivi fissati dai trattati nell’ambito di una politica comune dei trasporti. L’articolo 11 TFUE costituirebbe una clausola orizzontale, che evidenzierebbe il carattere trasversale e fondamentale dell’obiettivo di tutela dell’ambiente. L’integrazione delle considerazioni relative a un livello elevato di tutela dell’ambiente nelle politiche dell’Unione sarebbe inoltre confermata dall’articolo 37 della Carta, sottolineando così il ruolo fondamentale che tale tutela riveste all’interno dell’ordinamento giuridico dell’Unione. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, a causa dei danni ambientali che provocherebbe e dell’aumento delle emissioni di gas a effetto serra che comporterebbe, comprometterebbe manifestamente la realizzazione degli obiettivi perseguiti dai trattati in materia ambientale e renderebbe vane molte altre misure volte a tutelare l’ambiente e a ridurre le emissioni inquinanti. Il Consiglio e il Parlamento avrebbero quindi violato le disposizioni summenzionate adottando una disposizione che non promuoverebbe affatto un livello elevato di tutela dell’ambiente e non integrerebbe le esigenze connesse con detta tutela.

554. Per quanto riguarda la seconda parte, il Parlamento e il Consiglio avrebbero riconosciuto essi stessi che, per contribuire agli obiettivi dell’accordo di Parigi, occorrerebbe accelerare la transizione dell’intero settore dei trasporti a un livello di emissioni pari a zero e si dovrebbero ridurre drasticamente e rapidamente le emissioni di inquinanti atmosferici provenienti dai trasporti, come richiederebbero gli articoli 2 e 4 dell’accordo di Parigi. L’obbligo controverso sarebbe quindi contrario agli obiettivi dell’accordo di Parigi e costituirebbe pertanto una violazione dell’articolo 208, paragrafo 2, TFUE. Allo stesso modo, tale obbligo violerebbe l’articolo 216, paragrafo 2, TFUE e la Commissione avrebbe peraltro affermato che detto obbligo non rispettava l’obiettivo di un’Unione a impatto climatico zero entro il 2050 (274). Dal momento che, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, TUE, l’Unione deve contribuire all’osservanza e allo sviluppo del diritto internazionale e deve rispettare il diritto internazionale nel suo complesso quando adotta un atto, l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane sarebbe contrario alle menzionate disposizioni. La valutazione d’impatto realizzata nel 2021, ossia dopo l’adozione del regolamento 2020/1055, avrebbe confermato la tragedia ecologica provocata da tale regolamento. Oggetto di critica non è la mera assenza di effetti positivi sull’ambiente dell’obbligo controverso, bensì il fatto che detto obbligo sia chiaramente in contrasto con gli obiettivi ecologici che devono essere perseguiti.

555. Il primo motivo del ricorso proposto dalla Repubblica di Cipro verte sulla violazione degli obiettivi ambientali e degli impegni internazionali. La Repubblica di Cipro svolge un argomento identico a quello sviluppato dalla Repubblica di Bulgaria.

556. Nella causa C‑551/20, per quanto riguarda il primo motivo vertente su un errore manifesto di valutazione e sulla violazione dei principi di proporzionalità e di precauzione, l’Ungheria sviluppa alcuni argomenti relativi alla tematica della tutela dell’ambiente e della politica ambientale dell’Unione che esaminerò qui. Essa sostiene in particolare che l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 sarebbe in contrasto con il principio di precauzione, il quale sarebbe un principio generale del diritto dell’Unione, derivante dall’articolo 11 TFUE, dall’articolo 168, paragrafo 1, TFUE, dall’articolo 169, paragrafi 1 e 2, TFUE e dall’articolo 191, paragrafi 1 e 2, TFUE. Da detto principio deriverebbe che le autorità interessate sono tenute ad adottare, nell’esercizio delle competenze loro attribuite, misure idonee a prevenire taluni rischi potenziali per la salute pubblica, la sicurezza e l’ambiente, facendo prevalere le esigenze connesse con la tutela di tali interessi sugli interessi economici. A causa del livello molto elevato di emissioni aggiuntive di CO2 che comporterebbe, l’obbligo relativo al ritorno dei veicoli sarebbe chiaramente in contrasto con l’impegno dell’Unione a favore della riduzione dei gas a effetto serra e, in particolare, con il Green Deal europeo, il quale, conformemente agli impegni internazionali assunti dall’Unione nel quadro dell’accordo di Parigi, avrebbe tuttavia come obiettivo la neutralità climatica dell’Unione entro il 2050. Si dovrebbe inoltre tenere conto dell’articolo 11 TFUE, il quale sottolineerebbe la natura trasversale e fondamentale dell’obiettivo di tutela dell’ambiente e che dovrebbe quindi fungere da criterio per il controllo della validità della legislazione dell’Unione quando gli interessi ecologici manifestamente non siano stati tenuti presenti o siano stati completamente ignorati. Un provvedimento che, sotto molti profili, abbia effetti negativi sull’ambiente a causa della circolazione superflua di automezzi pesanti da esso provocata – in termini di inquinamento atmosferico, di scarico incontrollato di rifiuti o di usura delle infrastrutture – non potrebbe essere giustificato da meri obiettivi di controllo. I dati che risulterebbero dalla valutazione d’impatto del 2021 illustrerebbero ripercussioni significative dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane che contraddirebbero gli effetti trascurabili, rispetto alle emissioni totali, asseriti dal Consiglio e dal Parlamento. Le misure adottate, per altro verso, in materia di riduzione dei gas a effetto serra non modificherebbero questa conclusione, ma l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane comprometterebbe in modo significativo la realizzazione degli obiettivi perseguiti da dette misure. Queste ultime dimostrerebbero, al contrario, che la riduzione del quantitativo di tali gas nell’atmosfera è un obiettivo prioritario dell’Unione dal quale sarebbe possibile discostarsi solo in casi particolarmente giustificati, in ragione di un obiettivo che sia almeno dello stesso rango dell’interesse ambientale e a condizione che non siano possibili altre soluzioni adeguate, il che non si verificherebbe nel caso dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane.

557. Nell’ambito della causa C‑552/20, la Repubblica di Malta sostiene che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane viola l’articolo 11 TFUE e l’articolo 37 della Carta. Secondo tale Stato membro, l’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, che costituirebbe la base giuridica del regolamento 2020/1055, dovrebbe essere interpretato in combinato disposto con altre disposizioni del diritto dell’Unione che impongono al legislatore dell’Unione di prendere in considerazione altre circostanze rilevanti, tra cui quelle connesse con la tutela dell’ambiente, che occuperebbe un posto fondamentale tra gli obiettivi e le politiche dell’Unione e sarebbe inoltre un’esigenza imperativa. L’articolo 11 TFUE sancirebbe un obbligo specifico di integrare la tutela dell’ambiente nelle politiche dell’Unione e un dovere delle istituzioni di fare in modo che la prospettiva ambientale sia presa in considerazione in tutte le politiche e azioni dell’Unione, indipendentemente dal settore interessato e a prescindere dalla questione se esse presentino o meno un collegamento immediato con l’ambiente. L’articolo 11 TFUE sarebbe stato completato e rafforzato dall’articolo 37 della Carta. Detto articolo 11 comporterebbe sia un obbligo formale di tenere conto degli aspetti ambientali prima di adottare qualsiasi decisione, sia un obbligo sostanziale di garantire che le azioni dell’Unione siano coerenti con il raggiungimento degli obiettivi ambientali. Nessuno di tali obblighi sarebbe stato rispettato dal Consiglio e dal Parlamento.

558. L’obbligo formale derivante dall’articolo 11 TFUE, letto in combinato disposto con l’articolo 37 della Carta, richiederebbe che siano elaborate valutazioni d’impatto al fine di garantire la qualità e la coerenza dei progetti di atti legislativi dell’Unione con gli obiettivi ambientali perseguiti dal Trattato nonché la conformità di tali progetti con il principio di proporzionalità. Orbene, l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane non sarebbe stato oggetto di una valutazione siffatta e sarebbe stato adottato senza alcuna previa considerazione del suo potenziale impatto sull’ambiente.

559. L’obbligo sostanziale derivante dall’articolo 11 TFUE implicherebbe che tutte le decisioni politiche dell’Unione che possono pregiudicare gli obiettivi ambientali debbano essere necessarie, proporzionate e debitamente giustificate. Decisioni politiche che ostacolino il conseguimento degli obiettivi ambientali dell’Unione, quando esistano misure alternative o quando il danno ambientale appaia sproporzionato, sarebbero contrarie all’articolo 11 TFUE. Le incidenze negative per l’ambiente dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, causate dal ritorno a vuoto inutile dei veicoli, metterebbe a rischio la realizzazione di obiettivi ambientali per altro verso perseguiti dall’Unione sia nell’ambito dello stesso accordo di Parigi, sia nel regolamento 2018/842, che fissa obiettivi annuali vincolanti di riduzione delle emissioni nel settore dei trasporti per ciascuno Stato membro. Detto obbligo sarebbe inoltre in contrasto con l’obiettivo di ridurre del 60% le emissioni di gas a effetto serra legate ai trasporti (275) nonché con gli obiettivi di miglioramento della qualità dell’aria fissati dalla normativa dell’Unione e con gli obiettivi in termini di prevenzione e riduzione della produzione di rifiuti fissati dalla direttiva 2008/98/CE (276). La mancata presa in considerazione di tutti questi obiettivi nella definizione dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane e il grave pregiudizio che un obbligo siffatto arrecherebbe a detti obiettivi violerebbe l’articolo 11 TFUE e l’articolo 37 della Carta.

560. La Repubblica di Malta sostiene inoltre, in sostanza, che il Parlamento e il Consiglio non hanno dimostrato né spiegato in che modo le esigenze di tutela dell’ambiente fossero state integrate nella definizione e nell’attuazione dell’obbligo di ritorno. La valutazione ex post degli effetti di tale obbligo da parte della Commissione dimostrerebbe che la norma relativa al ritorno dei veicoli allo Stato di stabilimento ha un impatto molto negativo e pesante sul cambiamento climatico e sulla qualità dell’aria. Un simile impatto comprometterebbe le politiche e normative dell’Unione in materia di cambiamenti climatici e di tutela dell’ambiente.

561. Infine, la Repubblica di Polonia deduce, nella causa C‑554/20, un motivo, comune a tutte le disposizioni da essa impugnate, vertente sulla violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta, in quanto non sarebbero state prese in considerazione le esigenze derivanti dalla tutela dell’ambiente. Da queste due disposizioni risulterebbe che le istituzioni dell’Unione sono tenute ad astenersi dall’adottare misure che possano compromettere la realizzazione degli obiettivi di tutela dell’ambiente, e ciò al di là delle sole misure connesse agli articoli 191 e 192 TFUE. Il principio di integrazione delle esigenze ambientali nelle altre politiche dell’Unione che deriverebbe dalle menzionate disposizioni consentirebbe di conciliare gli obiettivi e le esigenze di tutela dell’ambiente con gli altri interessi e scopi perseguiti dall’Unione nonché con il perseguimento di uno sviluppo sostenibile. Tale principio costituirebbe, di per sé, un motivo di annullamento di un atto dell’Unione quando gli interessi ecologici manifestamente non siano stati tenuti presenti o siano stati completamente ignorati. Tenuto conto dell’ampio carattere orizzontale dell’articolo 11 TFUE, nel valutare se una determinata misura contribuisca sufficientemente alla tutela dell’ambiente essa non dovrebbe essere giudicata isolatamente rispetto alle altre misure dell’Unione adottate a tal fine e connesse all’attività presa in esame, bensì in relazione alla totalità dei provvedimenti adottati dall’Unione in tale settore che fornirebbe il contesto corretto per una valutazione siffatta. Il sindacato giurisdizionale sulla valutazione della conformità dell’azione del legislatore dell’Unione al menzionato principio di integrazione dovrebbe essere analogo a quello effettuato dal Tribunale quando ha dovuto valutare se l’azione della Commissione rispettasse il principio di solidarietà energetica (277). In tali circostanze, spettava a detto legislatore prendere in considerazione le esigenze ambientali prima di adottare l’obbligo di ritorno, il che implicava, in particolare, di procedere a un’analisi dell’incidenza delle norme progettate sull’ambiente e di assicurarsi che queste ultime non fossero pregiudizievoli per la realizzazione degli obiettivi fissati in altri atti di diritto derivato adottati in materia ambientale. Tale assenza di analisi costituirebbe una violazione manifesta dell’obbligo di procedere a una valutazione siffatta, derivante dall’articolo 11 TFUE (278).

562. Il Parlamento e il Consiglio avrebbero inoltre dovuto contemperare gli interessi in conflitto e apportare, se del caso, le opportune modifiche. Un’interpretazione dell’articolo 11 TFUE nel senso che esso si riferirebbe solo a settori del diritto e non a specifiche misure avrebbe l’effetto di relativizzarne notevolmente l’importanza. Le esigenze di tutela dell’ambiente dovrebbero essere prese in considerazione anche nella determinazione delle varie misure che fanno parte del settore interessato del diritto dell’Unione. L’argomento secondo cui gli altri atti di diritto derivato in materia di inquinamento atmosferico non potrebbero costituire il quadro di riferimento per la valutazione del regolamento 2020/1055 dovrebbe essere respinto, per evitare, nuovamente, di mettere in discussione l’efficacia dell’articolo 11 TFUE, dato che le istituzioni potrebbero allora adottare un atto che ostacola o impedisce il conseguimento degli obiettivi fissati negli atti adottati in materia ambientale, mentre la crisi climatica sarebbe la principale sfida della politica ambientale dell’Unione e le istituzioni dovrebbero adoperarsi per perseguire in modo coerente la realizzazione degli obiettivi climatici adottati dall’Unione. Sarebbe noto che l’inquinamento dell’aria causato dalle emissioni dei trasporti provoca molti problemi di salute, di cui il trasporto su strada sarebbe il principale responsabile. Imponendo ai veicoli di ritornare nello Stato membro di stabilimento ogni otto settimane, l’obbligo di ritorno comporterebbe viaggi supplementari che provocherebbero un aumento delle emissioni di CO2 e degli inquinanti atmosferici, emissioni che potrebbero avere un’incidenza notevole sul conseguimento degli obiettivi ambientali dell’Unione derivanti in particolare dal Green Deal europeo, dell’obiettivo di un’Unione climaticamente neutra entro il 2050 mediante una riduzione del 90% delle emissioni globali dei trasporti rispetto ai livelli del 1990 e degli obiettivi assegnati agli Stati membri dalla legislazione dell’Unione in materia. Le emissioni aggiuntive di ossido di azoto e di polveri prodotte dall’applicazione delle disposizioni impugnate potrebbero pregiudicare l’efficacia dell’azione definita dagli Stati membri nei piani di tutela dell’aria, in particolare dei piani adottati per le zone e gli agglomerati in prossimità delle vie di comunicazione utilizzate nel trasporto internazionale. Pertanto, l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane violerebbe il principio di integrazione espresso all’articolo 11 TFUE e all’articolo 37 della Carta. La valutazione d’impatto del 2021 sarebbe sufficiente per constatare che il legislatore dell’Unione ha violato queste due disposizioni, in quanto confermerebbe l’impatto negativo sull’ambiente dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, in contrasto, segnatamente, con il Green Deal europeo.

563. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi vertenti sulla violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente e di cambiamenti climatici.

2)      Analisi

564. Gli argomenti sviluppati dalle ricorrenti possono, in sostanza, essere suddivisi in tre categorie (279). Anzitutto, l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane violerebbe le disposizioni di diritto primario che sanciscono l’esigenza di protezione dell’ambiente. Inoltre, tale obbligo sarebbe anche in contrasto con gli impegni internazionali che vincolano l’Unione e gli Stati membri in materia di tutela dell’ambiente. Infine, l’obbligo di ritorno sarebbe contrario alla politica dell’Unione in materia ambientale in quanto metterebbe a rischio la realizzazione degli obiettivi perseguiti in materia di ambiente da una serie di atti di diritto derivato.

i)      Sull’asserita violazione dell’articolo 3 TUE, degli articoli 11 e 191 TFUE e dell’articolo 37 della Carta

565. Per quanto riguarda l’articolo 37 della Carta, dalle spiegazioni ad esso relative risulta che il principio contenuto in questo articolo è stato basato sugli articoli 2, 6 e 174 CE, attualmente articolo 3, paragrafo 3, TUE e articoli 11 e 191 TFUE. La Corte ha già dichiarato che, poiché l’articolo 52, paragrafo 2, della Carta stabilisce che i diritti riconosciuti dalla stessa per i quali i trattati prevedono disposizioni si esercitino alle condizioni e nei limiti da questi ultimi definiti, il diritto a un livello di tutela dell’ambiente elevato, come sancito dalla Carta, deve essere inteso e interpretato alle condizioni e nei limiti eventualmente previsti dall’articolo 3, paragrafo 3, TUE e dagli articoli 11 e 191 FUE (280). Alla stregua di quanto rilevato dal Parlamento (281) e come ho già ricordato (282), l’articolo 37 della Carta non costituisce quindi una norma giuridica autonoma, indipendente da queste altre disposizioni di diritto primario.

566. Per quanto riguarda l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, si tratta di una disposizione essenzialmente programmatica, che non stabilisce una gerarchia tra gli obiettivi da essa assegnati all’Unione. Pertanto, quand’anche ci si dovesse interrogare sulla conformità dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane all’obiettivo di un livello elevato di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente, occorrerebbe constatare nel contempo che un obbligo siffatto persegue, per altro verso, l’obiettivo di una crescita economica equilibrata nell’ambito di un’economia sociale di mercato. La dimensione programmatica dell’articolo 3, paragrafo 3, TUE lo esclude, a mio avviso, dai parametri di legittimità al fine di valutare se l’obbligo controverso sia pienamente conforme al diritto primario dell’Unione. L’attuazione dell’obiettivo ambientale deve essere il risultato delle politiche e azioni dell’Unione e degli Stati membri (283), e l’articolo 3, paragrafo 3, TUE non può ricevere un’applicazione autonoma rispetto alle disposizioni specifiche del Trattato che concretizzano gli obiettivi generali ivi contenuti (284).

567. Per quanto attiene all’articolo 11 TFUE, mi sembra che l’analisi dell’avvocato generale Geelhoed, ampiamente citata dalle parti, mantenga tutta la sua rilevanza e attualità, pur riguardando la disposizione anteriore equivalente di tale articolo 11. L’avvocato generale ha rilevato che, «[s]ebbene questa disposizione sia redatta in termini categorici, (...) essa non può essere considerata istitutiva di un criterio in base al quale, nel definire le politiche comunitarie, alla tutela dell’ambiente debba sempre essere riconosciuto un interesse prevalente. Una simile interpretazione limiterebbe in maniera inaccettabile i poteri discrezionali delle istituzioni comunitarie e del legislatore comunitario. Al massimo, può essere considerato un obbligo da parte delle istituzioni comunitarie il fatto di tenere nel debito conto gli interessi ecologici in campi di azione diversi da quello della tutela dell’ambiente, intesa stricto sensu. È solo quando gli interessi ecologici manifestamente non siano stati tenuti presenti o quando essi siano stati completamente ignorati che l’art. 6 CE può servire come criterio per un riesame della validità della normativa comunitaria. In più, dato l’ampio carattere orizzontale dell’art. 6 CE, nel valutare se una determinata misura contribuisca sufficientemente alla tutela dell’ambiente essa non deve essere giudicata isolatamente rispetto alle altre misure comunitarie adottate a tal fine in relazione all’attività presa in esame. È la totalità dei provvedimenti adottati dalla Comunità in tale ambito che fornisce il contesto corretto per un giudizio» (285).

568. Sebbene le parti concordino su tale interpretazione, che la Corte non ha avuto modo di confermare (286), esse sono in disaccordo per quanto riguarda le conseguenze da trarne nel contesto dei presenti ricorsi.

569. Tengo a ricordare l’importanza dell’obiettivo di tutela dell’ambiente, come risulta peraltro dalla giurisprudenza della Corte che ne rammenta il carattere essenziale (287) e ne sottolinea il carattere trasversale e fondamentale (288). Non si tratta di rimettere qui in discussione tale importanza.

570. Tuttavia, la questione dell’importanza dell’obiettivo è diversa da quella dell’intensità della sua invocabilità. A questo proposito, constato, concordemente con l’avvocato generale Geelhoed, che, nonostante una formulazione apparentemente tassativa, l’articolo 11 TFUE è una disposizione trasversale, il cui effetto consiste, certamente, nell’irradiare le disposizioni più precise relative ad altre politiche e azioni dell’Unione, come la Corte ha già avuto occasione di dichiarare, ad esempio, nell’ambito della politica agricola comune (289), della politica comune della pesca (290) o nel settore dell’energia nucleare (291), ma senza tuttavia specificare le condizioni, le forme e l’intensità di tale irradiazione. Pertanto, il legislatore, a prescindere dal settore di intervento, deve integrare le esigenze connesse con la tutela dell’ambiente senza che l’articolo 11 TFUE precisi ulteriormente gli obblighi a carico del legislatore stesso (292). Senza che sia necessario, in questa fase, pronunciarsi sull’esistenza di una valutazione, da parte del legislatore dell’Unione, dell’impatto ambientale dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane e in assenza di precisazioni sulla portata dell’esigenza di cui all’articolo 11 TFUE, le censure dedotte dalla Repubblica di Polonia e dalla Repubblica di Malta relative alla violazione dell’articolo 11 TFUE a motivo dell’assenza di una valutazione d’impatto devono già essere respinte.

571. È vero che, come hanno potuto rilevare alcune delle ricorrenti, l’articolo 11 TFUE si riferisce alle politiche e azioni dell’Unione. Tuttavia, tale riferimento non può essere interpretato come un obbligo sistematico, per l’adozione di ogni singolo provvedimento normativo, di tenere conto delle esigenze connesse con la tutela dell’ambiente, o di farle prevalere. Anzitutto, le politiche e azioni menzionate all’articolo 11 TFUE devono essere intese come quelle di cui alla parte terza del Trattato FUE, di cui costituiscono per l’appunto il titolo (293), e l’articolo 11 TFUE non può essere utilizzato come parametro per valutare la conformità di ogni singola disposizione di un atto legislativo dell’Unione. Inoltre, detta disposizione riveste un carattere trasversale, in quanto le esigenze in materia di tutela dell’ambiente sono multidimensionali. È in definitiva il modo in cui l’Unione integra tali esigenze nelle sue politiche a permettere di accertare se essa agisca in conformità con quanto prescritto dall’articolo 11 TFUE e se il suo legislatore abbia esercitato le proprie competenze nel rispetto dell’obiettivo indicatogli dalla disposizione in parola.

572. A questo proposito, le istituzioni convenute hanno sostenuto che, se ogni disposizione che può avere un impatto negativo sull’ambiente dovesse essere dichiarata contraria all’articolo 11 TFUE, senza tener conto del più ampio contesto normativo della disposizione di cui trattasi, qualsiasi misura che autorizzi il trasporto di merci su strada, in ragione del suo carattere al momento altamente inquinante, rischierebbe di essere censurata su tale base.

573. L’argomento vuole certamente essere un po’ provocatorio. Ciò non toglie che esso evidenzi, a mio avviso, una verità: come rilevato dall’avvocato generale Geelhoed, gli autori dei trattati non intendevano guidare in tal modo la mano del legislatore dell’Unione a rischio di rendere l’obiettivo di tutela dell’ambiente un sovra‑obiettivo sebbene, come ho già ricordato, una tale gerarchia tra gli obiettivi assegnati all’Unione non risulti, peraltro, dai trattati.

574. Come ho già ricordato (294), è inoltre nella natura stessa dell’azione legislativa dover mediare, in un determinato settore, tra interessi divergenti e contemperare obiettivi che possono essere contraddittori. Si tratta di un esercizio di cui la giurisprudenza riconosce la complessità lasciando ampio spazio al potere discrezionale del legislatore; ciò spiega perché il sindacato del giudice dell’Unione sarà limitato al controllo dell’errore manifesto di valutazione e dello sviamento di potere nonché alla verifica che il legislatore non abbia ecceduto i limiti del suo potere discrezionale (295).

575. Pertanto, quand’anche l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane allo Stato membro di stabilimento avesse conseguenze negative per l’ambiente (296), quest’unica constatazione non sarebbe sufficiente per concludere nel senso di una violazione dell’articolo 11 TFUE in quanto, per altro verso, il legislatore dell’Unione ha intrapreso varie azioni per tentare di contenere gli effetti negativi del trasporto di merci su strada. L’obbligo di ritorno ogni otto settimane deve quindi essere ricollocato nel più ampio contesto normativo in cui si inscrive. Al momento dell’adozione del regolamento 2020/1055, il regolamento 2018/842 imponeva agli Stati membri di ridurre le loro emissioni di gas a effetto serra entro il 2030 di una percentuale fissata dallo stesso. Detto regolamento ricordava che tale obiettivo era stato sancito dal Consiglio europeo in tutti i settori economici (297). Lo scopo generale della direttiva 2004/107/CE (298) consiste nel preservare e migliorare la qualità dell’aria ambiente fissando in particolare valori obiettivo per i quali gli Stati membri devono adottare le misure necessarie a conseguirli senza che ciò comporti costi sproporzionati (299). La direttiva 2008/50/CE (300) ha definito e fissato obiettivi di qualità dell’aria ambiente, qualità che deve essere oggetto di una valutazione sulla base di metodi e criteri comuni e dell’informazione del pubblico (301). La direttiva 2008/98 (302) ha per obiettivo di organizzare la prevenzione o la riduzione degli impatti negativi della produzione e della gestione dei rifiuti, la riduzione degli impatti complessivi dell’uso delle risorse e il miglioramento dell’efficacia di tale utilizzo (303). Per quanto attiene più in particolare al settore dei trasporti, la direttiva 1999/62/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 1999, relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l’uso di alcune infrastrutture (304), è stata modificata nel 2011 dalla direttiva 2011/76/UE (305) per integrarvi considerazioni relative alla promozione dei trasporti sostenibili, presentata come elemento chiave della politica comune dei trasporti; il legislatore dell’Unione ha ritenuto che sia opportuno ridurre il contributo del settore dei trasporti ai cambiamenti climatici (306) senza che, tuttavia, tale obiettivo possa essere conseguito mediante la creazione di ostacoli sproporzionati, giacché occorre preservare del pari il funzionamento del mercato interno (307). La direttiva 2011/76 inserisce, nella direttiva 1999/62 e relativamente al settore dei trasporti, il principio «chi inquina paga» (308), in quanto il legislatore dell’Unione ha ritenuto in quel momento che i pedaggi costituiscano uno strumento economico equo ed efficace per una politica sostenibile in materia di trasporti, poiché possono rispecchiare il costo dell’inquinamento e della congestione causato dall’uso di veicoli (309). Inoltre, le emissioni di CO2 erano disciplinate, per quanto riguarda le autovetture nuove e i veicoli commerciali leggeri nuovi, dal regolamento (UE) 2019/631 (310) e, per quanto concerne i veicoli pesanti nuovi, dal regolamento (UE) 2019/1242 (311). Il legislatore dell’Unione aveva peraltro adottato una direttiva il cui scopo era imporre agli Stati membri di tenere conto dell’impatto energetico e dell’impatto ambientale dei veicoli a motore nelle procedure di appalto pubblico (312). L’etichettatura dei pneumatici, disciplinata dal regolamento (UE) 2020/740 (313), mira a contenere il consumo di carburante dei veicoli e, quindi le emissioni di gas a effetto serra, e contribuisce alla decarbonizzazione del settore dei trasporti (314).

576. Pertanto, al momento dell’adozione del regolamento 2020/1055 e quindi dell’adozione dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, il legislatore dell’Unione poteva, a mio avviso, legittimamente ritenere, nel pieno esercizio del suo ampio potere discrezionale, che le eventuali conseguenze negative per l’ambiente di tale obbligo potessero essere contenute applicando la normativa esistente che riguarda più specificamente gli aspetti ambientali dell’attività in questione e deve accompagnare i trasportatori nella transizione tecnologica verso una mobilità meno inquinante.

577. Inoltre, dal considerando 8 del regolamento 2020/1055 risulta che il legislatore dell’Unione ha evocato la questione della riduzione del rischio che il veicolo ritorni esclusivamente per soddisfare questo nuovo requisito in materia di stabilimento.

578. Si pone la questione se si debba piuttosto addebitare al legislatore dell’Unione di non avere fatto figurare più esplicitamente le sue preoccupazioni di ordine ambientale nel regolamento 2020/1055. Ritengo di no. L’articolo 11 TFUE non stabilisce quale forma debba assumere l’integrazione delle esigenze di tutela dell’ambiente e, in ogni caso, detta integrazione deve avvenire a livello di attuazione delle politiche dell’Unione, che ho già proposto di intendere in senso ampio. Inoltre, ricordo che la base giuridica del regolamento 2020/1055 è l’articolo 91, paragrafo 1, TFUE e che chiaramente l’obiettivo perseguito dall’introduzione dell’obbligo di ritorno in tale regolamento non presenta un collegamento immediato con le preoccupazioni espresse all’articolo 11 TFUE, in quanto detto obbligo costituisce un chiarimento delle disposizioni del regolamento n. 1071/2009 riguardanti l’esistenza di una sede effettiva e stabile (315) e l’effetto perseguito è quello del rafforzamento del legame fra il trasportatore e il suo Stato membro di stabilimento al fine di garantire una «presen[za] (...) effettiv[a] e permanente» (316) in un contesto nel quale l’indebolimento di tale legame minaccia, secondo la valutazione del legislatore, la concorrenza leale e condizioni di parità nel mercato interno (317). Si deve riconoscere che le disposizioni del Trattato che conferiscono all’Unione una competenza in materia ambientale lasciano peraltro impregiudicate le competenze di cui dispone l’Unione in virtù di altre disposizioni (318).

579. Pertanto, tenuto conto della necessità di contemperare taluni obiettivi e principi enunciati agli articoli 3 TUE e 11 TFUE, nonché della complessità dell’attuazione dei criteri (319), non risulta che il Consiglio e il Parlamento siano incorsi in un errore manifesto di valutazione, con riferimento alle due disposizioni sopra citate, nell’adottare l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane.

580. Tale conclusione non può essere messa in discussione dal richiamo operato dalle ricorrenti allo studio Ricardo del 2021, il cui scopo era valutare l’impatto dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, giacché, in effetti, quand’anche da detto studio emergesse un aumento significativo, in particolare, delle emissioni di CO2, resta il fatto che la validità di un atto dell’Unione deve essere valutata in base agli elementi di fatto e di diritto esistenti al momento della sua adozione (320) e detta validità non può dipendere da valutazioni retrospettive riguardanti il suo grado di efficacia (321). Ad ogni modo, come ho già rilevato, un aumento siffatto dovrebbe, in ogni caso, essere messo in relazione con l’intera normativa concernente il settore di cui trattasi prima di poter concludere per la manifesta assenza di presa in considerazione da parte del legislatore dell’Unione delle esigenze relative alla tutela dell’ambiente.

581. La rilevanza per le presenti cause degli argomenti basati sulla violazione degli articoli 191 e 192 TFUE va esclusa anche perché la base giuridica del regolamento 2020/1055 è l’articolo 91, paragrafo 1, TFUE. Detto regolamento non è una misura adottata nell’ambito della politica dell’Unione in materia di ambiente e non è stato sostenuto che le istituzioni convenute siano incorse in un errore riguardo alla base giuridica. Dal momento che il regolamento 2020/1055 non è un’azione intrapresa dall’Unione ai sensi dell’articolo 191 TFUE (322), l’invocazione di un’asserita violazione dell’articolo 192, paragrafo 2, lettera c), TFUE è priva di pertinenza (323). Una misura non può essere considerata un atto in materia di ambiente per il solo fatto che tiene conto delle esigenze di tutela dell’ambiente (324).

582. Quand’anche la Corte volesse pronunciarsi sulla questione della violazione del principio di precauzione asserita dall’Ungheria (325), dalla giurisprudenza della Corte risulta che, sebbene l’articolo 191, paragrafo 2, TFUE preveda che la politica in materia ambientale è fondata, in particolare, su detto principio, quest’ultimo è certamente applicabile anche nel contesto di altre politiche dell’Unione, segnatamente della politica di protezione della salute pubblica nonché quando le istituzioni dell’Unione europea adottano, nell’ambito della politica agricola comune o della politica del mercato interno, misure di protezione per la salute umana (326). Tale principio implica che, quando sussistono incertezze riguardo all’esistenza o alla portata di rischi per la salute delle persone, possano essere adottate misure protettive senza dover attendere che siano esaurientemente dimostrate la concretezza e la gravità di detti rischi. Qualora risulti impossibile determinare con certezza l’esistenza o la portata del rischio asserito a causa della natura non concludente dei risultati degli studi condotti, ma persista la probabilità di un danno reale per la salute pubblica nell’ipotesi in cui il rischio si realizzasse, il principio di precauzione giustifica l’adozione di misure restrittive (327). Anche per quanto riguarda le condizioni alle quali dev’essere attuato il principio di precauzione, la Corte ha riconosciuto che, in ragione della necessità di contemperare più obiettivi e principi, nonché della complessità dell’attuazione dei criteri rilevanti, il sindacato giurisdizionale deve necessariamente limitarsi a verificare se il legislatore dell’Unione sia incorso in un errore manifesto di valutazione (328). Ciò vale a maggior ragione quando il legislatore dell’Unione è chiamato a valutare gli effetti futuri di una normativa da adottare, sebbene questi effetti non possano essere previsti con certezza (329).

583. Confesso che la tesi secondo cui il principio di precauzione sarebbe stato violato, a causa dell’introduzione dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, mi lascia perplesso, in quanto, di fatto, ciò equivarrebbe a ritenere che solo la parte delle asserite emissioni aggiuntive risultanti dall’attuazione di tale obbligo costituisca un rischio reale per la salute delle persone che avrebbe richiesto l’adozione di misure restrittive. Ad ogni modo, se è vero che il legislatore è tenuto a rispettare il principio di precauzione all’atto di adottare, nell’ambito del mercato interno, provvedimenti intesi a proteggere la salute umana (330), mi sembra che il rapporto tra le emissioni aggiuntive eventualmente risultanti dall’obbligo di ritorno e i rischi comprovati per la salute derivanti dall’inquinamento in generale sia qui troppo tenue per incorrere in una censura. Soprattutto, l’articolo 1, punto 3, lettera a), del regolamento 2020/1055 non è una misura intesa a proteggere la salute umana ai sensi della giurisprudenza della Corte. Per tutti questi motivi, l’argomento relativo alla violazione del principio di precauzione non dovrebbe essere accolto.

ii)    Sull’asserita violazione degli impegni internazionali dell’Unione e degli Stati membri nel settore della tutela dell’ambiente

584. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro hanno entrambe sviluppato un argomento secondo cui l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane sarebbe contrario all’accordo di Parigi e, in ogni caso, il Consiglio e il Parlamento non avrebbero tenuto conto degli obiettivi di tale accordo nell’adottare detto obbligo, il che costituirebbe una violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente.

585. Per quanto riguarda la censura relativa al fatto che il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto degli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi (331), rilevo, concordemente con il Parlamento, che, come indicato al considerando 7 della decisione (UE) 2016/1841 del Consiglio, del 5 ottobre 2016, relativa alla conclusione, a nome dell’Unione europea, dell’accordo di Parigi adottato nell’ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (332), l’obiettivo vincolante di riduzione di almeno il 40% delle emissioni di gas a effetto serra nell’Unione entro il 2030, rispetto al 1990, è stato fissato dalle conclusioni del Consiglio europeo del 23 e 24 ottobre 2014 in tutti i settori economici. L’obiettivo fissato dall’articolo 2 dell’accordo di Parigi consistente nel mantenere l’aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto di 2°C rispetto ai livelli preindustriali e di proseguire l’azione già intrapresa per limitare tale aumento a 1,5°C rispetto ai livelli preindustriali (333) deve quindi essere valutato alla luce dell’azione complessiva attuata dall’Unione a tal fine. Pertanto, non si può sostenere che la sola introduzione di un obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, a causa delle eventuali emissioni aggiuntive che comporterebbe, sia di per sé contraria a tale obiettivo e quindi alla politica dell’Unione in materia di ambiente.

586. Per quanto attiene alla censura relativa alla violazione, da parte del legislatore dell’Unione, dell’accordo di Parigi, dall’articolo 216, paragrafo 2, TFUE risulta che, allorché l’Unione conclude accordi internazionali, questi ultimi vincolano le sue istituzioni e, di conseguenza, prevalgono sugli atti dell’Unione stessa (334). La validità di un atto dell’Unione può quindi essere inficiata dall’incompatibilità dello stesso con tali norme di diritto internazionale, purché ricorrano determinate condizioni. L’Unione deve anzitutto essere vincolata da dette norme, il che, per quanto riguarda l’accordo di Parigi, è indubbio (335). Inoltre, le disposizioni di un accordo internazionale di cui l’Unione sia parte possono essere invocate a sostegno di un ricorso di annullamento di un atto di diritto derivato dell’Unione solo qualora, da una parte, la natura e l’economia generale dell’accordo in questione non vi ostino e, dall’altra, tali disposizioni appaiano, dal punto di vista del loro contenuto, incondizionate e sufficientemente precise (336), il che si verifica se la disposizione fatta valere comporta un obbligo chiaro e preciso che non è subordinato, nella sua esecuzione o nei suoi effetti, all’intervento di un atto ulteriore (337).

587. Se è vero che l’accordo di Parigi sostituisce l’approccio adottato nell’ambito del protocollo di Kyoto (338), tuttavia non ne modifica sostanzialmente la logica. L’accordo di Parigi mira a «rafforzare la risposta mondiale alla minaccia posta dai cambiamenti climatici, nel contesto dello sviluppo sostenibile e degli sforzi volti a eliminare la povertà» (339). Esso fissa un obiettivo numerico (340) su scala planetaria ma prevede altresì di aumentare la capacità di adattamento agli effetti negativi dei cambiamenti climatici e di promuovere la resilienza climatica, il che mi sembra costituire una nozione la cui giuridicità non si impone affatto con la forza dell’evidenza. Esso prevede inoltre di rendere i flussi finanziari coerenti con un percorso che conduca a uno sviluppo a basse emissioni di gas a effetto serra e, di nuovo, resiliente al clima (341). Esso sarà attuato in modo da riflettere l’equità ed il principio delle responsabilità comuni ma differenziate e delle rispettive capacità, alla luce delle diverse circostanze nazionali (342). Detto accordo impone agli Stati parti di intraprendere e comunicare sforzi ambiziosi (343) e tali Stati devono mirare a raggiungere il picco mondiale di emissioni al più presto possibile e ad intraprendere rapide riduzioni al fine di raggiungere un equilibrio tra le fonti di emissioni e gli assorbimenti antropogenici di gas a effetto serra nella seconda metà del corrente secolo e sempre tenendo conto della situazione dei paesi in via di sviluppo (344). A tal fine, ogni Stato parte deve preparare, comunicare e mantenere i contributi determinati a livello nazionale (345).

588. Senza che sia necessario, per esaminare la presente censura, proseguire ulteriormente l’analisi dell’accordo in parola e senza che occorra nemmeno pronunciarsi qui sulla natura incondizionata e sufficientemente precisa di queste due disposizioni dell’accordo di Parigi specificamente invocate dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro, mi sembra che dagli elementi che ho appena evidenziato emerga già che, alla luce di quanto dichiarato dalla Corte con riferimento al protocollo di Kyoto, la natura e l’economia dell’accordo di Parigi ostino del pari alla sua integrazione nel sistema di legalità del diritto dell’Unione (346). L’accordo di Parigi non può quindi essere fatto valere per contestare la legittimità dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane.

589. Ne consegue che l’invocazione dell’articolo 3, paragrafo 5, TUE, dell’articolo 208, paragrafo 2, TFUE e dell’articolo 216, paragrafo 2, TFUE è priva di pertinenza.

590. Pertanto, le censure relative alla violazione dell’accordo di Parigi e alla mancata presa in considerazione degli obiettivi indicati all’Unione da tale accordo devono essere respinte.

iii) Sull’asserita violazione della politica ambientale dell’Unione in ragione della contrarietà dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane al diritto derivato in materia di ambiente, alle conclusioni del Consiglio europeo e al Green Deal europeo

591. Le ricorrenti hanno inoltre fatto valere la possibile contrarietà dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane a una serie di obiettivi climatici e ambientali fissati dal diritto derivato, quali, in particolare, i regolamenti 2018/842 e 2021/1119 nonché le direttive 2004/107, 2008/50 e 2008/98, e hanno sostenuto che detta contrarietà costituirebbe una violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente, in quanto le asserite emissioni aggiuntive causate da tale obbligo metterebbero a rischio il conseguimento degli obiettivi ambientali assegnati dall’Unione, individualmente o collettivamente, agli Stati membri.

592. Come hanno fatto valere in particolare il Consiglio e il Parlamento nelle loro memorie, mi limiterò a constatare, come ho già fatto, che la legittimità interna di un atto di diritto derivato non può essere esaminata alla luce di un altro atto dell’Unione dello stesso rango normativo (347), salvo che esso sia stato adottato in applicazione di quest’ultimo atto o che sia espressamente previsto, da uno dei due atti, che l’uno prevalga sull’altro (348). Orbene, ciò non si verifica nel caso del regolamento 2020/1055.  Inoltre, eventuali tensioni, in capo agli Stati membri, tra gli obiettivi ad essi assegnati dalle diverse normative dell’Unione loro applicabili potrebbero solo portare alla constatazione di una violazione da parte di uno Stato membro dei suoi obblighi a titolo di una di dette normative, senza tuttavia che una di esse possa essere dichiarata contraria ad un’altra dello stesso rango normativo (349).

593. Per quanto attiene alla censura relativa alla violazione delle conclusioni del Consiglio europeo, le ricorrenti sostengono che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane sarebbe in contrasto con gli obiettivi fissati dal Consiglio europeo nelle sue conclusioni del 12 dicembre 2019. Tuttavia, dal momento che l’articolo 15, paragrafo 1, TUE, precisa che il Consiglio europeo non esercita funzioni legislative e le suddette conclusioni hanno una portata esclusivamente politica, non si potrebbe trarre alcuna conclusione utile per l’esito dei presenti ricorsi di annullamento nel caso in cui l’asserita contrarietà fosse confermata (350). Lo stesso vale per la dichiarazione della Commissaria Vălean fatta valere dalle ricorrenti, la quale, peraltro, si è limitata ad esprimere dubbi quanto alla conformità di taluni elementi del Pacchetto mobilità con l’obiettivo fissato dal Consiglio europeo e con le ambizioni del Green Deal europeo (351).

594. Tale constatazione si impone anche riguardo all’argomento secondo cui l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane violerebbe la politica dell’Unione in materia di ambiente in ragione del fatto che ostacolerebbe il conseguimento degli obiettivi fissati nel Green Deal europeo, giacché quest’ultimo risulta da una comunicazione della Commissione che non vincola il legislatore dell’Unione e che pertanto non rientra tra i parametri il cui rispetto si imponeva al Parlamento e al Consiglio al momento dell’adozione dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane.

iv)    Conclusione dell’analisi

595. Alla luce dell’insieme delle considerazioni che precedono, tutti i motivi vertenti sulla violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente e di cambiamenti climatici devono essere respinti in quanto infondati.

c)      Sui motivi vertenti sulla violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione

1)      Argomenti delle parti

596. La Repubblica di Lituania sostiene che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane è in contrasto con l’articolo 26 TFUE e con il principio generale di non discriminazione. A suo avviso, l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane costituirebbe una misura protezionistica che comporterebbe una frammentazione del mercato, restringerebbe la concorrenza e instaurerebbe un regime discriminatorio nei confronti dei trasportatori degli Stati membri situati ai confini geografici dell’Unione. Il settore del trasporto internazionale su strada sarebbe discriminato rispetto ad altri settori del trasporto.

597. Il ruolo particolare del settore dei trasporti per il funzionamento del mercato interno è stato sottolineato dalla Commissione e il principio di non discriminazione sarebbe stato attuato nel settore del diritto di stabilimento dall’articolo 49 TFUE, che si applica anche alle persone giuridiche. Anziché una disciplina equilibrata e un compromesso che porti al corretto funzionamento del mercato interno, l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane costituirebbe una misura restrittiva, sproporzionata e protezionistica che determinerebbe una discriminazione indiretta nei confronti dei trasportatori degli Stati membri periferici.

598. In primo luogo, il Consiglio e il Parlamento non avrebbero tenuto conto delle specificità geografiche dell’Unione e del suo mercato dei trasporti e l’obbligo di ritorno avrebbe limitato la competitività dei trasportatori della periferia dell’Unione nonché il loro diritto alla libera prestazione di servizi, conferendo un vantaggio ingiustificato e illegittimo ai trasportatori stabiliti nella parte centrale dell’Unione. La maggioranza dei trasporti sarebbe effettuata negli Stati membri della parte occidentale o centrale dell’Unione e la maggior parte della domanda di trasporto di merci riguarderebbe sette Stati membri (352). Pertanto, l’obbligo di ritorno inciderebbe in misura minore sui trasportatori di tali Stati membri e i trasportatori degli Stati membri periferici si troverebbero in una situazione meno favorevole, dovendo coprire distanze nettamente superiori e attraversare ostacoli naturali più rilevanti, in particolare per quanto riguarda gli Stati membri insulari. L’obbligo di ritorno farebbe gravare su detti trasportatori un onere sproporzionato che potrebbe arrivare, tenuto conto della distanza, dei periodi di riposo e degli imprevisti, fino al ritiro dei veicoli dalla circolazione per un periodo significativo compreso tra 8 e 14 giorni. Siffatto ritiro sarebbe incompatibile con l’obiettivo fondamentale di creare un mercato interno efficiente e competitivo. Sebbene si applichi a tutti i trasportatori, l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane avrebbe un impatto diverso sugli operatori a seconda del loro luogo di stabilimento. L’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 imporrebbe quindi requisiti identici ad operatori che si trovano in situazioni diverse e per tale motivo sarebbe discriminatorio. Il trasporto su strada sarebbe parimenti discriminato, in quanto gli altri tipi di trasporto non sarebbero soggetti a un analogo obbligo di ritorno dei mezzi di trasporto.

599. In secondo luogo, la Repubblica di Lituania deduce l’argomento secondo cui l’asserito obiettivo di contrastare le società di comodo non giustificherebbe la misura scelta, mentre la vera conseguenza dell’obbligo di ritorno sarebbe la discriminazione dei trasportatori stabiliti negli Stati membri periferici. L’ostilità degli Stati membri delle parti occidentale e centrale dell’Unione nei confronti dei trasportatori degli Stati membri periferici sarebbe nota. Peraltro, il settore dei trasporti sarebbe caratterizzato da margini di utile modesti; l’obbligo di ritorno avrebbe l’effetto di restringere il territorio geografico in cui possono operare le imprese di trasporto degli Stati membri periferici e quindi di riorganizzare artificiosamente il mercato del trasporto di merci su strada e di frammentarlo, dissuadendo gli operatori della periferia ad operare negli altri Stati membri.

600. In terzo luogo, la Repubblica di Lituania sostiene che l’obbligo di ritorno avrà conseguenze negative particolarmente pesanti per le PMI, le quali costituiscono la maggior parte del settore, in quanto le imprese che occupano solo pochi dipendenti non potranno funzionare in modo efficiente e offrire i loro servizi continuativamente, mentre sarebbe nel complesso privo di incidenza sulle grandi imprese di trasporto, le quali rappresenterebbero appena l’1% di tutte le imprese stabilite e operanti nell’Unione. Verrebbe inoltre ridotta la competitività delle imprese stabilite negli Stati membri dell’Unione rispetto ai trasportatori di paesi terzi.

601. In quarto luogo, la Repubblica di Lituania afferma che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane avrebbe l’effetto di chiudere di fatto il mercato, il che sarebbe contrario al Trattato relativo all’adesione della Repubblica di Lituania all’Unione, ai sensi del quale tutte le restrizioni alla prestazione di servizi da parte dei trasportatori lituani nel settore del trasporto di merci dovevano essere abolite entro cinque anni a decorrere dall’adesione della Repubblica di Lituania all’Unione. Tale chiusura del mercato sarebbe inoltre incompatibile con la tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti (353).

602. In fase di replica, la Repubblica di Lituania aggiunge che la discriminazione di fatto che verrebbe introdotta dall’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 sarebbe contraria non solo all’articolo 18 TFUE, ma anche al principio di uguaglianza degli Stati membri sancito all’articolo 4, paragrafo 2, TUE.

603. La Repubblica di Bulgaria, dal canto suo, deduce la violazione dell’articolo 18 TFUE, degli articoli 20 e 21 della Carta, dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE ed eventualmente, qualora la Corte lo ritenesse pertinente, dell’articolo 95, paragrafo 1, TFUE o della libera prestazione dei servizi. L’onere imposto dall’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane dipenderebbe dalla situazione geografica dello Stato membro di stabilimento e il ritorno implicherebbe una distanza e una durata molto superiori nonché maggiori spese per i trasportatori stabiliti in uno Stato membro periferico o insulare, in quanto la maggior parte dei trasporti internazionali viene effettuata negli Stati membri centrali e non in quelli periferici. La posizione geografica sarebbe irrilevante per quanto riguarda l’obiettivo consistente nel garantire un legame effettivo fra i trasportatori e lo Stato membro di stabilimento o la corretta manutenzione dei veicoli, ma se la posizione geografica dovesse essere considerata rilevante, allora la situazione degli Stati membri centrali e quella degli Stati membri periferici e insulari risulterebbero sostanzialmente diverse e non potrebbero essere trattate allo stesso modo.

604. In fase di replica, la Repubblica di Bulgaria precisa che sarebbero problematiche anche le forme dissimulate di discriminazione. Sarebbe pacifico che la domanda di servizi di trasporto si concentri essenzialmente nella parte centrale dell’Unione. L’esigenza artificiosa di un ritorno dei veicoli sarebbe una forma dissimulata di discriminazione fondata sulla nazionalità e non presenterebbe alcun nesso con la questione se i trasportatori abbiano una sede effettiva e stabile nel loro Stato membro di stabilimento, ma creerebbe una distinzione in base al paese di stabilimento fra i trasportatori che intendono fornire servizi di trasporto nel mercato unico. La differenza in termini di oneri economici deriverebbe direttamente dalla differenza di Stato membro di stabilimento e costituirebbe un esempio da manuale di disparità di trattamento.

605. La Romania afferma che l’obbligo di ritorno violerebbe il principio di non discriminazione in base alla nazionalità, enunciato dall’articolo 18 TFUE. Essa sostiene che l’obbligo di ritorno, sebbene apparentemente non discriminatorio, avrebbe di fatto un impatto diverso a seconda degli Stati membri interessati e inciderebbe in modo considerevole, diseguale e sproporzionato sull’attività economica dei trasportatori stabiliti negli Stati membri situati alla periferia dell’Unione, contribuendo ad ampliare ulteriormente il divario economico tra Stati membri. La Romania menziona i dati relativi al settore che illustrano la quota più elevata di veicoli immatricolati nell’UE‑13 per le operazioni di trasporto internazionale. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane renderebbe difficile e onerosa l’esecuzione dei trasporti internazionali di merci a destinazione dell’Europea occidentale da parte delle imprese stabilite alla periferia dell’Unione, come la Romania. I trasportatori dell’UE‑15 beneficerebbero invece di condizioni più favorevoli per effettuare operazioni di trasporto internazionale anche se effettuano essenzialmente operazioni di trasporto nazionale. L’attività di detti trasportatori non sarebbe quindi toccata allo stesso modo di quella dei trasportatori dell’[UE‑13]. L’obbligo di ritorno rientrerebbe nell’ambito di una normativa contraria agli obiettivi di convergenza dell’Unione, protezionistica, restrittiva e che creerebbe ostacoli all’ingresso sui mercati esterni per i trasportatori non residenti, che provengono essenzialmente da Stati situati alla periferia dell’Unione. Gli effetti dell’obbligo di ritorno dovrebbero essere considerati unitamente a quelli delle altre disposizioni del Pacchetto mobilità, il che evidenzierebbe ulteriormente il carattere discriminatorio di tale normativa. In siffatto contesto, la Romania si chiede inoltre se il Pacchetto mobilità rispetti le prescrizioni dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE.

606. La Repubblica di Cipro sviluppa un argomento identico a quello della Repubblica di Bulgaria. Essa aggiunge che, per un’impresa di trasporto cipriota, la durata media di un percorso di andata e ritorno da Cipro verso l’Europa centrale è di almeno otto giorni, esclusi gli eventuali ritardi dovuti in particolare alle condizioni climatiche, e che la proposta che i trasportatori ciprioti non partecipino ai trasporti internazionali o si stabiliscano in un luogo diverso da Cipro dimostrerebbe di per sé il carattere discriminatorio dell’obbligo di ritorno.

607. L’Ungheria sostiene che l’obbligo di ritorno sarebbe contrario agli articoli 18 e 49 TFUE. Essa ricorda le differenze geografiche già evocate che caratterizzerebbero il mercato del trasporto su strada di merci e la distinzione tra gli Stati membri dell’UE‑13 e quelli dell’UE‑15 e afferma che l’obbligo di ritorno svantaggerebbe le imprese stabilite negli Stati membri periferici, tenuto conto dei tempi di percorrenza più lunghi e dell’aumento dei costi che ne deriverebbero. Gli Stati membri dell’UE‑13, nei quali il trasporto internazionale di merci su strada rappresenta, sul mercato del lavoro, una percentuale superiore alla media dell’Unione, verrebbero automaticamente svantaggiati rispetto agli Stati membri più centrali. L’Ungheria ritiene che circa due terzi dei tragitti stradali di oltre 1 000 km siano effettuati da Stati periferici generalmente verso le regioni centrali e occidentali più industrializzate dell’Unione. L’aumento dei costi legati all’obbligo di ritorno toccherebbe tali Stati membri in misura molto maggiore rispetto agli altri Stati membri dell’Unione. Detto obbligo costituirebbe quindi una discriminazione indiretta nei confronti dei primi che li collocherebbe in una posizione molto più sfavorevole. L’Ungheria nega, in fase di replica, la pertinenza della sentenza Fedesa (354) fatta valere dal Consiglio e dal Parlamento nelle loro difese, la quale avrebbe riguardato una differenza tra le norme degli Stati membri e non un criterio oggettivo quale la lontananza di alcuni Stati membri rispetto alle regioni centrali. Creando condizioni di accesso diseguali al mercato del trasporto di merci su strada, l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane non riuscirebbe a realizzare l’asserito obiettivo perseguito dal regolamento 2020/1055 di garantire una concorrenza equa. Incidentalmente, l’Ungheria ricorda inoltre gli obblighi, che incomberebbero al legislatore, di tenere conto dei rischi di grave pregiudizio al tenore di vita e all’occupazione in talune regioni, ai sensi dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE, e della situazione economica dei vettori all’atto dell’adozione di qualsiasi misura in materia di prezzi e condizioni di trasporto, ai sensi dell’articolo 94 TFUE.

608. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

2)      Analisi

609. L’analisi che segue sarà guidata dai principi ricordati ai paragrafi 76 e seguenti delle presenti conclusioni e dai limiti del sindacato giurisdizionale riconosciuti dalla Corte e ricordati al paragrafo 80 delle presenti conclusioni.

610. Per quanto riguarda le censure relative alla violazione degli articoli 26 e 49 TFUE e, più in generale, ad un ostacolo al corretto funzionamento del mercato interno, sviluppate dalla Repubblica di Lituania, dalla Repubblica di Bulgaria, dalla Repubblica di Cipro e dall’Ungheria, rinvio alla parte della mia analisi dedicata ai motivi vertenti sulla violazione delle libertà economiche (355).

611. Per quanto riguarda le censure sollevate dall’Ungheria nell’ambito del motivo vertente sulla violazione del principio di non discriminazione e relative alla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE, esse non costituiscono un motivo distinto da quello vertente sulla violazione del principio di non discriminazione. Tuttavia, al termine della sua analisi relativa a tale principio, l’Ungheria conclude, al punto 106 del suo ricorso, che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane dovrebbe essere annullato per violazione delle «disposizioni summenzionate del Trattato FUE», che comprendono gli articoli 91, paragrafo 1, e 94 TFUE. Benché sollevati sinteticamente (356), tali argomenti saranno analizzati, se del caso, nella parte dedicata a queste due disposizioni. Lo stesso vale per l’invocazione di questi due articoli da parte della Romania nel suo motivo vertente sulla violazione del principio di non discriminazione (357).

612. Per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’articolo 95, paragrafo 1, TFUE dedotta dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro, rilevo, concordemente con il Consiglio, che essa non può essere accolta in quanto detto articolo vieta le discriminazioni consistenti nell’applicazione, da parte di un vettore, di prezzi e condizioni di trasporto differenti per le stesse merci e per le stesse relazioni di traffico e fondate sul paese di origine o di destinazione dei prodotti trasportati, che né la Repubblica di Bulgaria né la Repubblica di Cipro hanno dimostrato che sarebbe questo l’effetto dell’attuazione dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane e che, quand’anche lo fosse, l’articolo 95, paragrafo 1, TFUE lascia impregiudicata la possibilità riconosciuta al Parlamento e al Consiglio dal paragrafo 2 del medesimo articolo di adottare misure in deroga a tale specifico divieto di discriminazione, sul fondamento dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE, che costituisce per l’appunto – lo ricordo – la base giuridica del regolamento 2020/1055.

613. Per il resto, le ricorrenti sostengono che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane configurerebbe una discriminazione tra Stati membri (Romania e Ungheria), una discriminazione tra Stati membri insulari e Stati membri continentali (Repubblica di Cipro), una discriminazione tra grandi e piccoli Stati membri (Repubblica di Lituania), una discriminazione indiretta nei confronti dei trasportatori degli Stati membri periferici (Repubblica di Lituania, Romania), una discriminazione tra modalità di trasporto (Repubblica di Lituania), una discriminazione tra PMI e le altre forme in cui sarebbero costituiti gli operatori di trasporto (Repubblica di Lituania) e una discriminazione in base alla nazionalità (Repubblica di Bulgaria, Romania, Repubblica di Cipro, Ungheria).

614. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, come formulato all’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, specifica la condizione, necessaria, ma non sufficiente per l’esercizio della professione di trasportatore su strada, consistente nell’avere «una sede effettiva e stabile in uno Stato membro» quale risulta dall’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1071/2009. Pertanto, tutte le imprese – piccole, medie o grandi –, indipendentemente dal loro Stato membro di stabilimento, che esercitano questa professione devono avere una sede effettiva e stabile in uno Stato membro, il che implica, in particolare, per scelta del legislatore dell’Unione, il ritorno dei loro veicoli in detto Stato membro ogni otto settimane. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane mira quindi ad assicurare il carattere stabile ed effettivo nello Stato membro di stabilimento delle imprese di trasporto che rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento n. 1071/2009, le quali, sotto tale profilo, appaiono trattate allo stesso modo. Aggiungo che il menzionato regolamento adotta una definizione particolarmente ampia della nozione di «impresa» (358), idonea ad includere tutte le forme nelle quali può essere costituito un trasportatore. L’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 impone quindi in modo generale e indifferenziato a tali trasportatori un obbligo di ritorno.

615. Resta ancora da verificare se l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane non abbia l’effetto di trattare allo stesso modo situazioni diverse, il che impone di interrogarsi sulla comparabilità o meno delle diverse situazioni invocate nelle condizioni ricordate al paragrafo 79 delle presenti conclusioni. Occorre quindi prestare particolare attenzione all’oggetto e allo scopo perseguito dall’obbligo controverso nonché ai principi e agli obiettivi della politica dei trasporti.

616. Come hanno ricordato il Parlamento e il Consiglio nelle loro memorie, l’obiettivo perseguito dall’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane deriva dai considerando 6 e 8 del regolamento 2020/1055. Sulla base dell’«esperienza maturata», che era stata messa in luce anche nella valutazione d’impatto, era necessario, secondo la valutazione del legislatore dell’Unione, chiarire e rafforzare le disposizioni relative all’esistenza di una sede effettiva e stabile per garantire che i trasportatori fossero presenti in modo effettivo nel loro Stato membro di stabilimento, il che doveva contribuire a contrastare il fenomeno delle «società di comodo» nonché a garantire una concorrenza leale e condizioni di parità nel mercato interno. Il considerando 8 del regolamento 2020/1055 aggiunge che l’esistenza di un legame effettivo con lo Stato membro di stabilimento contribuisce a ridurre il rischio di cabotaggio sistematico e il nomadismo dei conducenti organizzati da un’impresa presso la quale i veicoli non ritornano. L’obbligo di ritorno deve inoltre contribuire, secondo la valutazione del legislatore, alla corretta manutenzione dei veicoli e a rendere più facili i controlli (359).

617. Sebbene sia probabile che l’osservanza dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane avrà un costo, ciò che determinerà l’intensità di tale costo non è tanto la distanza geografica percorsa, quanto il previo rispetto dell’effettività della sede. Infatti, un’impresa che non faccia mai ritornare i suoi veicoli sosterrà maggiori oneri derivanti dall’obbligo di ritorno rispetto ad una che faceva già ritornare regolarmente i propri.

618. Quand’anche il ritorno fosse più costoso quando la distanza da percorrere per il ritorno è più lunga, è giocoforza constatare che la normativa dell’Unione non impone ai trasportatori di operare su un mercato lontano dal loro luogo di stabilimento né impedisce loro di trasferire la propria sede più vicino al mercato sul quale intendono operare. Deve quindi essere respinto l’argomento dedotto dalla Repubblica di Lituania secondo cui l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane avrebbe la conseguenza di chiudere de facto il mercato (360), al pari di quello relativo all’asserita incompatibilità tra l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane e il Libro bianco della Commissione invocato, tenuto conto dell’assenza, già ricordata, di carattere normativo di un documento siffatto (361). Come si è rilevato in precedenza, la scelta del luogo di stabilimento dipende esclusivamente dalla decisione commerciale dei trasportatori. L’obbligo di ritorno inciderà quindi maggiormente su alcuni operatori che, per ragioni commerciali, hanno deciso di stabilirsi alla periferia dell’Unione pur operando in modo permanente o prevalente, contrariamente a quanto raccomandato dalla normativa dell’Unione in materia, sul territorio di Stati membri lontani nei quali forniscono la maggior parte dei servizi di trasporto. Orbene, è proprio questo l’effetto perseguito.

619. L’argomento relativo a una discriminazione fondata sulla modalità di trasporto deve essere respinta, in quanto la Corte ha giù dichiarato che non tutti i settori del trasporto si trovano in situazioni analoghe (362) e che, di conseguenza, la situazione delle imprese che operano nel settore di attività delle diverse modalità di trasporto non è comparabile (363).

620. Le ricorrenti sostengono poi che i trasportatori dell’Europa periferica non potrebbero essere trattati allo stesso modo degli operatori dell’Europa «occidentale». Un argomento siffatto, se fosse accolto, dovrebbe portare a concedere un trattamento differenziato, per quanto riguarda il requisito della sede effettiva e stabile, ai trasportatori che hanno scelto di stabilirsi lontano dal mercato in cui intendono fornire servizi di trasporto e in cui intendono fissare in modo permanente la base dei loro veicoli.

621. Orbene, in primo luogo, ciò metterebbe in discussione l’obiettivo perseguito dal legislatore, che non spetta alla Corte porre in questione. In secondo luogo, gli effetti diseguali prodotti o l’asimmetria degli oneri (364) derivanti per i trasportatori dall’applicazione indifferenziata dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane non sono, di per sé, contrari al principio della parità di trattamento (365), bensì rappresentano il risultato di condizioni operative diverse. In terzo luogo, i vantaggi tratti da una situazione di elusione della normativa dell’Unione non sono tutelati da tale principio. In quarto luogo, non può spettare al legislatore dell’Unione garantire la neutralità economica della scelta dello Stato membro di stabilimento. In quinto luogo, i costi che secondo le ricorrenti sarebbero causati dall’obbligo di ritorno non tengono conto evidentemente della perdita di entrate per gli Stati membri nel cui territorio gli operatori non sono stabiliti pur avendo una presenza quasi permanente negli stessi, di cui tuttavia il legislatore deve, evidentemente, tenere parimenti conto (366), sicché quest’ultimo non ha inteso favorire alcuni Stati membri rispetto ad altri, ma ha proceduto a un «riequilibrio dei fattori in relazione ai quali le imprese stabilite nei diversi Stati membri possono entrare in concorrenza» (367). In sesto luogo, esigendo un legame effettivo con lo Stato membro di stabilimento, che, secondo il legislatore, si manifesta in particolare con un ritorno regolare dei veicoli in tale Stato, l’obbligo di ritorno dei veicoli è inteso, come correttamente affermato dal Parlamento, a garantire la temporaneità della libera prestazione di servizi dei trasportatori non residenti nel territorio di altri Stati membri e a raggiungere un equilibrio con l’esercizio del diritto di stabilimento, che è permanente.

622. Per quanto riguarda le censure relative a una discriminazione il cui motivo sarebbe geografico, esse sollevano sostanzialmente un problema di definizione, giacché la periferia dell’Unione non è limitata, in particolare, alla sua parte orientale. Si pongono quindi le questioni di come definire il centro, di cosa sia un piccolo Stato se il criterio diviene non più quello della situazione geografica, ma quello delle dimensioni, e di se il piccolo Stato insulare sia in una situazione ancora diversa da quella di un piccolo Stato continentale o di un grande Stato insulare. Non si può esigere dal legislatore dell’Unione un trattamento differenziato degli Stati membri in funzione di tali presunte particolarità. La contrapposizione che la maggior parte delle ricorrenti adduce a sostegno della loro dimostrazione e che vedrebbe affrontarsi due Europe «geografiche» deriva, a mio avviso, da un tentativo di far coincidere artificialmente dati geografici con una realtà economica. Ciò che caratterizza gli Stati membri della «periferia» dell’Unione, come intesa dalle ricorrenti, non è il fatto che essi sono periferici, bensì il fatto che essi hanno costi operativi molto meno elevati rispetto al «resto» dell’Unione. Deve essere intesa in questo modo la categorizzazione ripresa nella valutazione d’impatto tra l’UE‑15 e l’UE‑13 (368).

623. Infine, per quanto riguarda lo studio Ricardo del 2021, il quale confermerebbe che i trasportatori stabiliti negli Stati membri dell’UE‑13 subirebbero maggiormente le conseguenze negative legate all’obbligo di ritorno, è giocoforza constatare, concordemente con il Parlamento, che tale analisi, da un lato, riconosce che la natura e l’entità dei costi di attuazione dipendono ampiamente dalla risposta del mercato (369) e, dall’altro, che la valutazione dell’impatto della misura in parola suggerisce che i trasportatori «dell’Est» manterranno il loro vantaggio competitivo in termini di costi rispetto ai trasportatori dell’Ovest (370). Questa categorizzazione non si basa su un criterio geografico, bensì sul livello dei costi operativi sostenuti dai trasportatori (371). In tali circostanze, si deve concludere per l’insussistenza di una discriminazione fondata sulla nazionalità.

624. Per quanto riguarda l’argomento relativo alla violazione dell’uguaglianza fra Stati membri e alla violazione dell’articolo 4, paragrafo 2, TUE (372), ho già rilevato che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane si applica allo stesso modo in tutti gli Stati membri dell’Unione e che gli eventuali effetti divergenti che derivano dall’attuazione del regolamento 2020/1055 non possono costituire una discriminazione (373).

625. Per tutte le ragioni che precedono, i motivi vertenti sulla violazione, da parte dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione devono essere respinti in quanto infondati.

d)      Sui motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità

626. Tutte le ricorrenti hanno sviluppato, nei rispettivi ricorsi, un motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità derivante dall’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane. Mi soffermerò anzitutto sull’addebito mosso al Parlamento e al Consiglio di non avere proceduto a una valutazione dell’impatto di detto obbligo, prima di passare, se del caso, all’esame della proporzionalità di tale misura.

1)      Sull’esame, da parte del legislatore dell’Unione, della proporzionalità dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane

i)      Argomenti delle parti

627. La Repubblica di Lituania fa valere, ancorché nell’ambito di un motivo diverso da quello vertente sulla violazione del principio di proporzionalità, argomenti relativi alla violazione di detto principio a causa dell’assenza di una valutazione d’impatto (374), che occorre esaminare qui. La Repubblica di Lituania sostiene che la proposta iniziale di regolamento della Commissione non conteneva norme relative al ritorno degli automezzi pesanti a una sede di attività dell’impresa, sicché tale obbligo non sarebbe stato esaminato dalla Commissione nella sua valutazione d’impatto (375). Il Consiglio e il Parlamento avrebbero introdotto l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane nel corso del procedimento legislativo e avrebbero dovuto procedere, conformemente a quanto raccomanderebbe l’accordo interistituzionale, a una nuova valutazione d’impatto. L’obbligo in parola deriverebbe del pari dall’articolo 11 TUE, dagli articoli 2 e 5 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità e dalla giurisprudenza della Corte. La Repubblica di Lituania sostiene che l’introduzione di detto obbligo costituirebbe una modifica sostanziale rispetto alla proposta iniziale di regolamento della Commissione e che pertanto sarebbe stato necessario procedere a una valutazione d’impatto. Il carattere sostanziale della modifica apportata risulterebbe dall’importanza economica e ambientale dell’obbligo di ritorno. Il Consiglio e il Parlamento non avrebbero menzionato alcuna ragione oggettiva per la quale non sarebbe stato né utile né necessario procedere a una valutazione d’impatto di tale modifica sostanziale. La necessità di una valutazione siffatta sarebbe dimostrata sia dalla posizione costantemente sostenuta dalla Commissione riguardo alla disposizione impugnata, sia dallo studio Ricardo del 2021 realizzato su iniziativa della Commissione. Il Parlamento e il Consiglio non avrebbero motivato la loro scelta di derogare alla norma in base alla quale avrebbero dovuto procedere a una valutazione dell’impatto dell’obbligo di ritorno dei veicoli e non avrebbero prodotto alcuna prova attestante una situazione particolare che consenta di omettere tale fase, né fornito informazioni sufficienti sulla proporzionalità della nuova proposta. Gli Stati membri e le altre parti interessate, al contrario, avrebbero fornito pubblicamente al Parlamento e al Consiglio, durante il procedimento legislativo, informazioni che avrebbero dimostrato la necessità di procedere a una valutazione d’impatto. In tal senso, mentre era ancora dibattuta la frequenza esatta del ritorno obbligatorio degli automezzi pesanti, l’IRU avrebbe inviato una lettera aperta (376) ai decisori nazionali e dell’Unione chiedendo loro di esaminare le conseguenze del ritorno obbligatorio degli automezzi pesanti e avrebbe fornito i risultati dei suoi calcoli relativi agli effetti negativi sull’ambiente. Il Parlamento e il Consiglio non avrebbero tenuto conto di tali informazioni. Gli elementi che figurano nei loro controricorsi, come dichiarazioni riguardanti l’asserita limitata incidenza sull’ambiente, il rinvio reiterato alla valutazione d’impatto realizzata dalla Commissione che non contiene alcuna valutazione delle disposizioni impugnate, supposizioni infondate relative ad altre misure proposte dalla Commissione che non sono state riprese nel regolamento 2020/1055, speculazioni ipotetiche, se non errate, sui costi di attuazione delle disposizioni impugnate nonché la totale mancanza di considerazione degli effetti negativi sull’economia degli Stati membri periferici confermerebbero invece una manifesta violazione dell’obbligo di procedere a una valutazione d’impatto.

628. La Repubblica di Bulgaria sostiene che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane viola il principio di proporzionalità sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE e all’articolo 1 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. A suo avviso, il Parlamento e il Consiglio non avrebbero avuto a disposizione analisi economiche né altri dati che potessero confermare la proporzionalità di tale obbligo, il quale non faceva parte della proposta iniziale della Commissione. Esso non sarebbe quindi stato oggetto di una valutazione d’impatto, nonostante le ripetute richieste di alcuni Stati membri e gli elementi portati a conoscenza del Parlamento e del Consiglio riguardo all’impatto sproporzionato di tale misura. Non sarebbe stata effettuata alcuna consultazione con il CdR o il CESE. I convenuti non sarebbero quindi in grado di dimostrare di aver effettivamente esercitato il loro potere discrezionale in occasione dell’adozione di un atto o di aver potuto prendere in considerazione tutti gli elementi e le circostanze rilevanti della situazione che detto atto è inteso a disciplinare. Essi non avrebbero né prodotto né esposto in modo chiaro e inequivoco i dati di base che dovevano essere presi in considerazione per fondare le misure controverse e dai quali dipendeva l’esercizio del loro potere discrezionale. Lo studio Ricardo del 2021 avrebbe confermato che il legislatore dell’Unione non disponeva di informazioni sufficienti ai fini dell’adozione dell’obbligo relativo al ritorno dei veicoli, come dimostrerebbe la notevole discrepanza tra le sue conclusioni e le cifre addotte dal Consiglio.

629. La Romania sostiene, nell’ambito della prima parte del primo motivo del ricorso nella causa C‑547/20, che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane viola il principio di proporzionalità. Dopo avere definito detto principio e le esigenze che ne derivano, la Romania sostiene che il suddetto obbligo non faceva parte delle misure previste nella proposta iniziale della Commissione e che esso non sarebbe stato oggetto di una valutazione d’impatto né in tale proposta né successivamente, allorché il Consiglio e il Parlamento hanno modificato la menzionata proposta per inserirvi l’obbligo di ritorno. Orbene, secondo la giurisprudenza della Corte, l’omissione di una valutazione d’impatto configurerebbe una violazione del principio di proporzionalità quando il legislatore non si trova in una situazione particolare che giustifichi il fatto di farne a meno e quando esso non dispone di elementi sufficienti per poter valutare la proporzionalità di un provvedimento adottato. Il punto 15 dell’accordo interistituzionale prevederebbe inoltre che tali istituzioni ricorrano a una valutazione d’impatto se lo ritengono opportuno e necessario per l’iter legislativo e quando introducono modifiche sostanziali rispetto alla proposta della Commissione. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane costituirebbe una modifica siffatta. La valutazione d’impatto sarebbe stata necessaria a maggior ragione tenuto conto della specificità del settore dei trasporti e delle conseguenze amministrative e finanziarie subite dai trasportatori a causa dell’adozione del regolamento 2020/1055. Il legislatore dell’Unione non solo non avrebbe proceduto, come avrebbe dovuto fare, a una valutazione d’impatto, ma non avrebbe nemmeno preso in considerazione i documenti scientifici utilizzati dagli Stati membri durante il procedimento per poter esercitare effettivamente il suo potere discrezionale. L’adozione dell’obbligo di ritorno nonostante l’assenza di una valutazione d’impatto, di dati scientifici o di relazioni a sostegno dell’introduzione di un obbligo siffatto violerebbe il principio di proporzionalità, in quanto il legislatore dell’Unione avrebbe ecceduto i limiti del suo potere discrezionale.

630. La Repubblica di Cipro sviluppa un argomento identico a quello della Repubblica di Bulgaria.

631. L’Ungheria sostiene che, adottando l’obbligo di ritorno, il legislatore non ha esercitato correttamente il suo potere discrezionale. Essa addebita al legislatore dell’Unione di avere omesso di esaminare l’impatto dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane sui costi sostenuti dalle imprese e sull’attività di trasporto, sul settore nel suo complesso nonché sull’ambiente e il clima. L’Ungheria non è a conoscenza di alcuno studio elaborato dal Parlamento o dal Consiglio che consentisse loro di valutare tutti questi elementi. Il legislatore dell’Unione non sarebbe quindi stato in grado né di valutare la proporzionalità dell’obbligo di ritorno né di garantire che esso non fosse manifestamente sproporzionato. L’assenza di una valutazione d’impatto sarebbe corroborata dalla dichiarazione della Commissione in cui essa avrebbe espresso riserve su tale obbligo (377).

632. Dopo avere ricordato la giurisprudenza della Corte e l’articolo 5 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità, la Repubblica di Malta sostiene che, non essendo stata realizzata alcuna valutazione d’impatto, il legislatore dell’Unione non disponeva di elementi sufficienti, ai sensi della giurisprudenza della Corte, per poter valutare la proporzionalità del provvedimento previsto. Il Consiglio e il Parlamento non avrebbero valutato l’impatto economico e ambientale dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, impatto che tuttavia avrebbe preoccupato la Commissione (378).

633. La Repubblica di Polonia sostiene che l’articolo 1, punto 3, lettera a), del regolamento 2020/1055 viola il principio di proporzionalità. Dopo avere ricordato i criteri di valutazione della proporzionalità derivanti dalla giurisprudenza della Corte, la Repubblica di Polonia afferma che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane non è stato oggetto di una valutazione d’impatto della Commissione. L’accordo interistituzionale imporrebbe di effettuare una valutazione dell’impatto economico, sociale e ambientale in modo integrato ed equilibrato, sulla base di analisi sia qualitative che quantitative. Tenuto conto dell’influenza significativa del regolamento 2020/1055 sull’attività del settore del trasporto su strada, avrebbero dovuto essere analizzati gli effetti degli obblighi ivi contenuti, ciò che il Consiglio e il Parlamento erano tenuti a fare se intendevano discostarsi dalla proposta iniziale della Commissione, come prevederebbe il punto 15 dell’accordo interistituzionale. Non avendo proceduto a un’analisi siffatta, fondamentale per valutare la proporzionalità dell’obbligo di ritorno, il legislatore dell’Unione avrebbe violato il principio di proporzionalità, in quanto non si trovava in una situazione particolare che richiedesse di farne a meno e non disponeva di elementi sufficienti per poter valutare la proporzionalità del provvedimento adottato (379). Contrariamente a quanto sosterrebbe il Consiglio, le censure riguarderebbero la mancata presa in considerazione della situazione non già di un unico Stato membro, bensì di vari Stati membri, ossia di quelli situati alla periferia dell’Unione. Inoltre, qualora si dovesse ritenere che la normativa impugnata sia intesa ad ovviare alla prassi concretamente seguita dai conducenti che tornano raramente a casa, gli spostamenti supplementari che ne deriverebbero, in particolare le conseguenze ambientali, avrebbero richiesto un’analisi approfondita.

634. Il Consiglio e il Parlamento nonché le parti intervenute a loro sostegno concludono per l’assenza di una violazione del principio di proporzionalità. Le istituzioni convenute sostengono che la nozione di «situazione particolare», cui fa riferimento il punto 85 della sentenza Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (380), dovrebbe essere letta come un riferimento alla situazione specifica allora in discussione e che detta sentenza riguarderebbe una situazione del tutto diversa da quella dei presenti procedimenti, giacché in quel caso non sarebbe stata effettuata alcuna valutazione d’impatto. Il Consiglio rammenta la giurisprudenza secondo cui la valutazione d’impatto non vincolerebbe il Parlamento e il Consiglio, i quali resterebbero liberi di adottare misure diverse da quelle che sono state oggetto di una simile valutazione, e che il solo fatto che abbiano adottato una misura diversa ed eventualmente più onerosa di quelle previste dalla Commissione nella valutazione d’impatto non sarebbe idoneo a dimostrare che esso abbia manifestamente ecceduto i limiti di quanto era necessario per raggiungere l’obiettivo perseguito. L’accordo interistituzionale non conterrebbe un obbligo di procedere a una nuova valutazione d’impatto, in quanto si limiterebbe a prevedere la facoltà per il legislatore di procedere a una tale valutazione se il Parlamento e il Consiglio lo ritengono opportuno e necessario per l’iter legislativo e il legislatore sarebbe libero di tenere conto non solo della valutazione d’impatto ma anche di qualsiasi altra fonte di informazione. L’ampio potere discrezionale del legislatore varrebbe quindi sia per la natura e la portata delle disposizioni da adottare sia per l’accertamento dei dati di base. Nessun fondamento giuridico sarebbe atto a sostenere la posizione della Repubblica di Lituania secondo cui il legislatore potrebbe esentarsi da una valutazione d’impatto solo qualora ciò fosse esplicitamente giustificato. L’ampio margine di discrezionalità del legislatore dell’Unione dovrebbe essere interpretato nel senso che esso non sarebbe tenuto a basarsi soltanto su dati che riguardano individualmente la modifica in questione né a trarre le stesse conclusioni delle relazioni e degli studi di cui dispone. Il legislatore dell’Unione avrebbe quindi potuto basarsi sulle informazioni della valutazione d’impatto relative allo stato del mercato e decidere di adottare provvedimenti parzialmente diversi. La giurisprudenza della Corte riconoscerebbe che esso possa basarsi su accertamenti globali. In caso contrario, se dovesse essere richiesta una valutazione d’impatto quando i negoziati interistituzionali sfocino in un accordo su misure che perseguono lo stesso obiettivo in modo un po’ diverso rispetto a quelle previste dalla Commissione, si rischierebbe di ritardare l’adozione degli atti legislativi e di stravolgere l’equilibrio istituzionale, in quanto vi sarebbe un forte incentivo ad adottare esclusivamente le soluzioni analizzate dalla Commissione, sebbene la valutazione d’impatto non vincoli il Parlamento o il Consiglio. Secondo il Consiglio, lo scopo della valutazione d’impatto non consisterebbe nel presentare la giustificazione della proposta della Commissione, bensì nell’illustrare diverse soluzioni e, secondo il punto 12 dell’accordo interistituzionale, detta valutazione non sostituirebbe le decisioni politiche nell’ambito del processo decisionale democratico. Il Parlamento sostiene che il fatto di non procedere a una valutazione d’impatto non costituirebbe una violazione dei trattati salvo che sia dimostrato che il provvedimento adottato dal legislatore è manifestamente [inadeguato] e ritiene che le disposizioni invocate non possano essere interpretate nel senso che creano un obbligo procedurale autonomo che imponga al legislatore dell’Unione di effettuare valutazioni d’impatto.

635. L’opportunità e la necessità di realizzare un’ulteriore valutazione d’impatto dovrebbero essere valutate nel contesto del controllo di proporzionalità e dipenderebbero quindi dalle informazioni disponibili altrove. La valutazione d’impatto della Commissione conterrebbe informazioni sui problemi che richiedono un rafforzamento dei criteri di stabilimento enunciati all’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009 e sulla necessità di evitare un vantaggio competitivo ingiustificato rispetto ai trasportatori degli Stati membri nei quali le norme sono più stringenti. Detta valutazione avrebbe esaminato sette diversi criteri di stabilimento, alcuni dei quali richiedevano già la presenza dei veicoli nello Stato membro di stabilimento. L’obbligo di ritorno costituirebbe, a questo proposito, un mezzo diverso per raggiungere lo stesso risultato.

636. La valutazione d’impatto della Commissione fornirebbe anche un’analisi dei vari requisiti nuovi proposti da tale istituzione, tra cui quello, più restrittivo, di avere un’attività significativa di trasporto o di gestione nel paese di stabilimento o di avere almeno un contratto commerciale nel paese di stabilimento, nonché dei relativi costi e della loro ripartizione. Ne discenderebbe che i trasportatori la cui presenza nel paese di stabilimento sia già attualmente effettiva e costante non dovrebbero sostenere molti costi supplementari legati all’attuazione dei nuovi obblighi previsti dal regolamento 2020/1055, o addirittura non dovrebbero sostenerne affatto (381) Il Parlamento afferma che una delle conclusioni della valutazione d’impatto avrebbe deposto a favore di una soluzione di politica pubblica, comprendente le sette misure individuate dalla Commissione in detta valutazione, volta a garantire un’attività di trasporto o di gestione significativa nello Stato membro che può comportare costi aggiuntivi del 15‑18% per i trasportatori dell’UE‑15 e del 33‑36% per i trasportatori dell’UE‑13, ossia EUR 1,09 miliardi di costi all’anno per il settore nel periodo 2020‑2035, vale a dire meno dello 0,03% dei costi operativi totali (382).

637. Per quanto riguarda l’esistenza di una base oggettiva solida, il legislatore dell’Unione avrebbe avuto a disposizione documenti e informazioni sufficienti. La valutazione d’impatto – capitolo sociale conterrebbe una valutazione della durata dei cicli di trasporto, il che avrebbe indotto il legislatore dell’Unione a considerare la sincronizzazione dell’obbligo di ritorno dei veicoli con quello dei conducenti, al fine di contenerne gli effetti negativi. Detta valutazione d’impatto avrebbe inoltre concluso per l’assenza di incidenza negativa sull’ambiente legata al ritorno più frequente dei conducenti, in quanto, secondo il Consiglio, i conducenti rientrerebbero già regolarmente (più di una volta ogni quattro settimane) e la struttura del mercato eserciterebbe una pressione a favore della riduzione degli spostamenti a vuoto (383). Pur ammettendo di non essere stato in possesso di tutti i documenti utilizzati dagli Stati membri per valutare esattamente l’impatto dell’obbligo di ritorno, il Consiglio sostiene che i documenti di pubblico dominio gli avrebbero consentito di effettuare tale valutazione. Il legislatore dell’Unione disponeva inoltre di vari studi e avrebbe organizzato diverse consultazioni, riunioni e audizioni (384). I regolamenti nn. 1071/2009 e 1072/2009 sarebbero peraltro stati oggetto di una valutazione ex post REFIT che avrebbe richiesto una definizione più precisa della nozione di «sede operativa». Gli Stati membri avrebbero proceduto alle proprie valutazioni, come altre parti interessate.

638. L’IRU avrebbe fornito la sua analisi (385) dell’impatto specifico dell’obbligo di ritorno ogni quattro settimane (386), secondo la quale detto ritorno comporterebbe tra 80 e 135 milioni di veicoli per chilometro all’anno (ossia un aumento compreso tra il 45 e il 75%) e fino a 100 000 tonnellate di emissioni di CO2 all’anno. Queste cifre andrebbero ancora divise per due ai fini della valutazione dell’impatto dell’obbligo di ritorno ogni quattro settimane e le istituzioni convenute ritengono che il costo supplementare generato sarebbe dell’ordine di EUR 50 milioni Tale risultato non modificherebbe radicalmente l’ordine delle cose rispetto all’impatto dei sette requisiti esaminati dalla Commissione. Dal punto di vista ambientale, le suddette 100 000 tonnellate rappresenterebbero meno dello 0,014% del quantitativo totale di tonnellate equivalente CO2 emesse dal trasporto su strada nel 2015 e una percentuale ancora minore delle riduzioni rispetto ai livelli del 2005 richieste dal regolamento 2018/842.

639. Non sarebbe quindi manifestamente inadeguato per il legislatore dell’Unione presumere che l’impatto economico sarebbe dello stesso ordine del costo dei requisiti connessi esaminati dalla Commissione e che la ripartizione di tali costi sarebbe analoga. Il legislatore avrebbe inoltre avuto a disposizione un’analisi critica redatta da un’organizzazione di datori lavoro polacchi (in prosieguo: la «relazione Klaus») (387) e una reazione positiva della Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (ETF) (388), che sarebbe la partner sociale dell’IRU a livello europeo, le quali renderebbero evidente la necessità di cercare una soluzione di compromesso, cosa che il legislatore avrebbe fatto mantenendo l’obbligo di ritorno dei veicoli, ma riducendo la frequenza di tale ritorno.

640. L’evoluzione della proposta nel corso del procedimento legislativo (da un obbligo di ritorno ogni tre o quattro settimane con l’obbligo di effettuare un’operazione nello Stato membro di stabilimento a un ritorno ogni otto settimane senza obbligo corollario) dimostrerebbe che il legislatore ha effettivamente tenuto conto degli effetti negativi del rafforzamento e li ha contemperati con le conseguenze per gli Stati membri nei quali molti trasportatori dell’UE‑13 esercitano un’attività permanente e con la necessità di garantire una concorrenza leale.

641. Le conseguenze economiche invocate dagli Stati ricorrenti e tratte dallo studio Ricardo del 2021 si baserebbero sullo scenario di una profonda ristrutturazione del mercato, mentre le conseguenze ambientali invocate si fonderebbero invece sullo scenario di un mancato adattamento del mercato. Orbene, questi due scenari, e i loro effetti, si escluderebbero a vicenda. Il Consiglio e il Parlamento osservano inoltre che gli Stati membri dell’Europa orientale, presagendo che sarebbero stati toccati più duramente dalla futura riforma, sarebbero stati più inclini a partecipare a tale studio, il quale non terrebbe conto, peraltro, delle sinergie con l’obbligo di ritorno dei conducenti e si concentrerebbe esclusivamente su alcuni costi operativi. Il Parlamento sostiene che la discussione tra le parti non riguarderebbe realmente la disponibilità dei fatti essenziali, ma piuttosto la questione se le scelte effettuate dal legislatore dell’Unione sulla base di tali fatti siano manifestamente inadeguate; tuttavia, il semplice disaccordo sul contenuto finale dell’atto non sarebbe sufficiente per concludere che la misura era manifestamente inadeguata.

ii)    Analisi

642. Dalla giurisprudenza ricordata ai paragrafi 62 e seguenti delle presenti conclusioni risulta che, sebbene l’accordo interistituzionale raccomandi una valutazione d’impatto quando le conseguenze del provvedimento previsto, sotto il profilo economico, ambientale o sociale, siano significative (389), detto accordo non contiene l’obbligo, per il legislatore dell’Unione, di procedere a una valutazione d’impatto in ogni circostanza (390). Di conseguenza, l’assenza di una valutazione d’impatto non comporta ipso facto l’invalidità della legislazione dell’Unione adottata successivamente (391) e, come sottolineato dalle istituzioni convenute, quando un’analisi siffatta è disponibile, essa non vincola il legislatore (392), il quale mantiene tutta la discrezionalità necessaria per adottare una misura diversa, eventualmente più onerosa, da quelle previste nella valutazione d’impatto della Commissione senza che si possa automaticamente concludere che esso ha manifestamente ecceduto i limiti di quanto era necessario alla realizzazione dell’obiettivo perseguito (393), anche qualora la modifica in tal modo apportata risulti sostanziale rispetto alla proposta iniziale, poiché il punto 15 dell’accordo interistituzionale, privo di efficacia vincolante, prevede, peraltro, solo una mera facoltà del Parlamento e del Consiglio di procedere a un aggiornamento della valutazione d’impatto se lo ritengono opportuno e necessario per l’iter legislativo (394). Pertanto, le censure relative alla violazione dell’accordo interistituzionale devono essere respinte.

643. L’assenza di una valutazione d’impatto potrà, tuttavia, essere qualificata come violazione del principio di proporzionalità se il legislatore dell’Unione non dispone di elementi sufficienti per poter valutare la proporzionalità di un provvedimento adottato (395), in altre parole, per esercitare effettivamente il suo potere discrezionale (396) sulla base di tutti gli elementi e le circostanze rilevanti della situazione che l’atto adottato è inteso a disciplinare, e non si trova in una situazione particolare che richieda di farne a meno. La forma in cui sono registrati i dati non è importante (397) e non è necessario che il legislatore dell’Unione detenga esso stesso i documenti che contengono i dati rilevanti (398).

644. Per quanto riguarda l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, è pacifico che tale misura non faceva parte della proposta di regolamento stabilimento (399). In sostanza, la Commissione proponeva di modificare l’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009 ampliando l’elenco dei documenti da conservare presso la sede di attività dei trasportatori [proposta di articolo 5, lettera a)], richiedendo lo svolgimento in modo efficace e continuativo, con l’ausilio delle attrezzature e strutture amministrative appropriate, delle attività commerciali e amministrative nei locali situati nello Stato membro di stabilimento [proposta di articolo 5, lettera c)], nonché la gestione delle operazioni di trasporto con i veicoli e le attrezzature appropriati dallo Stato membro di stabilimento [proposta di articolo 5, lettera d)] e la detenzione di attivi nonché l’impiego di personale in proporzione all’attività della sede [proposta di articolo 5, lettera e)].

645. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane non faceva parte delle misure coperte dalla valutazione d’impatto della Commissione nella sua proposta iniziale (400). Si tratta di una differenza fondamentale rispetto alla situazione esaminata sopra in relazione all’obbligo di ritorno dei conducenti (401).

646. Tra le misure elencate in tale valutazione d’impatto, la misura n. 18, intitolata «Review reference points for effective and stable establishment», prevedeva, al fine di assicurare l’effettività e la stabilità della sede, che fosse richiesto ai trasportatori di svolgere un’attività operativa o di trasporto significativa nello Stato membro di stabilimento o di avere almeno un contratto commerciale nello Stato membro di stabilimento (402). Siffatte misure non sembrano comparabili in alcun modo a quella infine adottata al termine dell’iter legislativo. Ne consegue, a mio avviso, che, contrariamente a quanto affermato dal Parlamento e dal Consiglio, nessuna conclusione tratta dall’analisi dell’impatto delle misure analizzate nella valutazione d’impatto (403) può essere «trasposta» al nuovo obbligo, dopo che esso è stato introdotto dal Parlamento durante il procedimento legislativo (404), con una formulazione che, peraltro, sarebbe stata ulteriormente modificata nella versione finale.

647. Rilevo inoltre che nessuna parte della valutazione d’impatto è stata dedicata all’analisi dell’incidenza ambientale delle misure previste.

648. Se è vero che il legislatore dell’Unione ha potuto utilmente basarsi sulla valutazione d’impatto – capitolo stabilimento per quanto riguarda lo stato del mercato nonché l’individuazione delle difficoltà e delle disfunzioni che il suo intervento avrebbe dovuto risolvere, è giocoforza constatare che la modifica del regolamento 2020/1055 nel senso di un obbligo di effettuare viaggi transnazionali a intervalli regolari che richiedono l’utilizzo di un veicolo stradale non era stata proposta dalla Commissione né era coperta in alcun modo dalla valutazione d’impatto.

649. Il Consiglio e il Parlamento sostengono che il legislatore dell’Unione avrebbe potuto utilmente basarsi sulla conclusione contenuta nella valutazione d’impatto – capitolo sociale (405) secondo cui dall’adozione dell’obbligo di ritorno dei conducenti non deriverebbe alcuna incidenza ambientale.

650. Oltre al fatto che tale argomento copre solo uno degli aspetti della potenziale incidenza dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, l’obbligo di ritorno dei conducenti non impone, a differenza di quello riguardante i veicoli, l’utilizzo di un mezzo di trasporto in particolare. Per di più, alla luce di quanto ho già rilevato a proposito di detto obbligo (406), la mera affermazione, nella valutazione d’impatto – capitolo sociale, della mancanza di incidenza ambientale dell’obbligo di ritorno dei conducenti non può essere sufficiente a giustificare la valutazione dell’impatto dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane conformemente a quanto ci si attende dal legislatore dell’Unione in termini di esame della proporzionalità.

651. Mi sembra che dall’intensità delle discussioni dinanzi alla Corte emerga un vero interrogativo riguardo all’intensità dell’impatto dell’obbligo di ritorno dei veicoli. Rimangono ancora in sospeso alcune questioni, come, in primo luogo, la questione della determinazione effettivamente attesa dei veicoli aggiuntivi per chilometro all’anno e delle relative emissioni, dal momento che, come ha rilevato il Parlamento nel contesto di altri motivi, i veicoli, se non devono soddisfare l’obbligo di ritorno, non resteranno immobili; in secondo luogo, la questione dell’impatto sulla valutazione dell’obbligo di ritorno delle evoluzioni attese a seguito dell’attuazione della normativa europea che tocca più in generale il settore dei trasporti; in terzo luogo, la questione della determinazione delle conseguenze economiche globali attese sul mercato e delle conseguenze più specifiche rispetto agli obiettivi invocati; in quarto luogo, la questione degli effetti potenziali dell’obbligo previsto sulla situazione economica degli Stati che offrono servizi di trasporto da un luogo distante dal centro della domanda e, in quinto luogo, la questione di sapere perché il legislatore abbia infine optato per una frequenza di ritorno nello Stato membro di stabilimento ogni otto settimane.

652. Sebbene, come ho ricordato, il legislatore dell’Unione disponga di un’ampia discrezionalità per quanto riguarda la forma e la natura dei dati sui quali basa la propria azione, tenuto conto dell’importanza della politica in questione, della natura profondamente frammentata del mercato e della radicale contrapposizione degli interessi in gioco, non mi sembra sufficiente che il legislatore affermi di avere preso in considerazione le conseguenze, in particolare ambientali, della misura di cui trattasi adducendo essenzialmente una lettera dell’IRU in cui quest’ultima fornisce una propria stima del numero di veicoli supplementari per chilometro all’anno e del quantitativo supplementare annuo di CO2 emesso che sarebbero legati all’attuazione di un obbligo di ritorno dei veicoli ogni tre o quattro settimane, senza fornire alcuna metodologia quanto ai calcoli così ottenuti e senza che detta lettera possa realmente costituire un dato oggettivo. La stessa conclusione s’impone riguardo all’asserita reazione positiva dell’ETF all’obbligo di effettuare un carico o uno scarico nello Stato membro di stabilimento ogni quattro settimane (407). Inoltre, non si può estrarre alcun dato economico oggettivo e sostanziale da detta lettera e da tale reazione. Quanto alla relazione Klaus, si tratta di un documento elaborato su richiesta di un gruppo di interesse e in reazione alla modifica del progetto di regolamento durante il procedimento legislativo. Esso non chiarisce le ragioni della scelta del legislatore.

653. Mentre mi accingo a constatare la violazione del principio di proporzionalità derivante dall’assenza di una valutazione d’impatto dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, occorre ancora rispondere all’obiezione basata sul pregiudizio che verrebbe in tal modo arrecato all’equilibrio istituzionale dell’Unione e su un’ingerenza nella politica.

654. Ritengo quindi importante precisare che il legislatore dell’Unione, nella sua funzione, rimane ovviamente libero di adottare le decisioni che vuole, ma occorre che lo faccia in modo chiaro e chiarificatore, cosa che esso deve essere in grado di dimostrare. Ne va della capacità del futuro provvedimento di essere compreso e accettato da tutti i portatori di interessi, a fortiori in un settore che, come nel caso del regolamento 2020/1055, cristallizza le tensioni tra interessi divergenti.

655. Per tutte le ragioni che precedono, invito la Corte a dichiarare che il Parlamento e il Consiglio, non avendo proceduto alla valutazione dell’impatto economico, sociale e ambientale dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, hanno violato il principio di proporzionalità in quanto non hanno dimostrato che disponevano, al momento dell’adozione di tale obbligo, di elementi sufficienti per poter valutare la proporzionalità di detto obbligo rispetto agli obiettivi che intendevano perseguire e in quanto non hanno affermato di trovarsi in una situazione particolare che richiedeva di farne a meno.

656. Di conseguenza, occorre accogliere il quarto motivo nella causa C‑542/20 (408), il secondo motivo nella causa C‑545/20, il primo motivo nella causa C‑547/20, il secondo motivo nella causa C‑549/20, il primo motivo diretto contro l’articolo 1, punto 3, lettera c), del regolamento 2020/1055 nella causa C‑551/20, il secondo motivo nella causa C‑552/20 e il primo motivo nella causa C‑554/20 in quanto fondati.

2)      Sull’esame della proporzionalità del provvedimento

657. Dal momento che è stata appena constatata la violazione del principio di proporzionalità in ragione del mancato esame da parte del legislatore dell’Unione della proporzionalità dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, non occorre procedere all’esame delle censure relative al carattere sproporzionato di tale obbligo.

e)      Sui motivi vertenti sulla violazione dellarticolo 91, paragrafo 2, e dellarticolo 94 TFUE

1)      Argomenti delle parti

658. La Repubblica di Lituania sostiene che, poiché il regolamento 2020/1055 è stato adottato sulla base dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE, il legislatore sarebbe anche tenuto a rispettare gli obblighi di cui al paragrafo 2 di detta disposizione e a tenere conto dei casi nei quali l’applicazione della misura adottata «rischi di pregiudicare gravemente il tenore di vita e l’occupazione in talune regioni come pure l’uso delle attrezzature relative ai trasporti». Lo stesso varrebbe per quanto riguarda l’articolo 94 TFUE, dal quale deriverebbe l’obbligo per il legislatore dell’Unione di tenere conto della situazione economica dei vettori nell’adottare, nell’ambito dei trattati, qualsiasi misura in materia di prezzi e condizioni di trasporto. La Repubblica di Lituania deduce che il legislatore dell’Unione avrebbe adottato l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 senza esaminarne gli effetti sui trasportatori situati alla periferia dell’Unione, sulla loro situazione economica, sulla loro redditività e, quindi, sull’occupazione in tale settore, mentre quest’ultimo occuperebbe una parte sensibilmente più elevata nell’economia di tali Stati rispetto a quella che occuperebbe negli Stati dell’Europa centrale e occidentale (409). In tal senso, le ripercussioni attese del regolamento 2020/1055 sulle economie di detti Stati membri periferici, segnatamente in termini di chiusura di imprese, di delocalizzazione e di perdita di occupazione, sarebbero più rilevanti e tuttavia non sarebbero state prese in considerazione. Esse sarebbero state confermate dallo studio Ricardo del 2021, secondo cui l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane interesserebbe il 29% dei conducenti dell’Europa orientale e determinerebbe costi particolarmente rilevanti, stimati in EUR 3 miliardi all’anno (410). Poiché il mercato del lavoro dei suddetti Stati membri è molto più sensibile all’evoluzione della politica dei trasporti, il legislatore avrebbe dovuto tenerne conto. Il legislatore dell’Unione avrebbe quindi manifestamente violato gli obblighi derivanti dall’articolo 91, paragrafo 2, e dall’articolo 94 TFUE. In quanto disposizione inserita nel titolo del Trattato dedicato ai trasporti, il legislatore dell’Unione avrebbe dovuto rispettare l’articolo 94 TFUE all’atto di adottare il regolamento 2020/1055 e, in particolare, l’articolo 1, punto 3, di tale regolamento.

659. La Repubblica di Bulgaria (411) sostiene che il Consiglio e il Parlamento avrebbero dovuto prendere in considerazione le gravi ripercussioni sull’economia degli Stati periferici determinate dall’adozione del regolamento 2020/1055 e che, non avendolo fatto, tali istituzioni avrebbero violato l’articolo 91, paragrafo 2, TFUE. Detta disposizione consentirebbe di riconoscere e di prendere in considerazione il carattere sensibile di talune misure adottate nell’ambito della politica dei trasporti che hanno un’incidenza considerevole e che, fino all’entrata in vigore del Trattato FUE, erano adottate all’unanimità prestando loro un’attenzione particolare. La Repubblica di Bulgaria rinvia al suo argomento sviluppato nell’ambito del motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità per dimostrare tali effetti pregiudizievoli sul tenore di vita e sull’occupazione dei trasportatori bulgari e, più in generale, sulla situazione economica dei trasportatori degli Stati membri dell’Europa periferica. Essa sostiene inoltre che l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 sarebbe una «misura in materia di prezzi e condizioni di trasporto» ai sensi dell’articolo 94 TFUE la cui adozione richiederebbe che si tenga conto della situazione economica dei vettori. Inoltre, dal momento che l’articolo 90 TFUE rinvia agli obiettivi menzionati dall’articolo 3, paragrafo 3, TUE, si dovrebbe prestare particolare attenzione alla coesione economica, sociale e territoriale e alla solidarietà tra gli Stati membri all’atto di adottare misure rientranti nella politica dei trasporti, il che non sarebbe avvenuto in occasione dell’adozione dell’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055. Non sarebbero state effettuate alcuna valutazione d’impatto né alcuna consultazione o valutazione complementare al fine di comprendere in che misura il provvedimento in via di adozione avrebbe pregiudicato il tenore di vita e l’occupazione in talune regioni.

660. La Repubblica di Cipro sviluppa un argomento in tutto e per tutto simile a quello svolto dalla Repubblica di Bulgaria, ponendo inoltre l’accento sulla situazione particolare degli Stati insulari e sulle notevoli conseguenze per l’economia e l’occupazione cipriote.

661. L’Ungheria sostiene che l’asimmetria delle conseguenze negative per i trasportatori degli Stati membri situati alla periferia dell’Unione rispetto a quelle subite dai trasportatori dell’Europa centrale e occidentale dimostrerebbe che l’obbligo di ritorno viola l’articolo 91, paragrafo 2, e l’articolo 94 TFUE (412), in quanto il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto della situazione particolare dei primi.

662. La Repubblica di Malta sostiene che la mancata presa in considerazione dell’incidenza sull’ambiente dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane violerebbe l’articolo 91, paragrafo 2, letto in combinato disposto con l’articolo 11 TFUE e l’articolo 37 della Carta, in quanto tale obbligo pregiudicherebbe gravemente il tenore di vita e l’occupazione segnatamente in uno Stato insulare come Malta. Il fatto che l’incidenza dell’obbligo relativo al ritorno dei veicoli non abbia ricevuto l’attenzione che richiedeva costituirebbe una mancanza le cui implicazioni sostanziali (413) dovrebbero essere valutate anche alla luce dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE. Le ripercussioni di tale obbligo sull’uso delle attrezzature relative ai trasporti sarebbero chiaramente evidenziate, segnatamente in uno Stato membro insulare i cui itinerari di trasporto comporterebbero sezioni marittime e distanze considerevoli rispetto al continente europeo. A causa della grande distanza tra Malta e il continente, l’intero sistema di trasporto maltese si baserebbe sui vincoli imposti dalla geografia e dalle attrezzature di trasporto marittimo esistenti e non su decisioni commerciali. Tali operazioni sarebbero rivoluzionate dall’obbligo relativo al ritorno dei veicoli, che obbligherebbe i trasportatori maltesi a riorganizzare radicalmente la logistica dei veicoli e a sostenere spese considerevoli. L’obbligo in parola pregiudicherebbe quindi gravemente l’uso delle attrezzature relative ai trasporti a Malta. Orbene, nonostante le preoccupazioni che il governo maltese avrebbe espresso al Consiglio a più riprese, non sarebbero state minimamente prese in considerazione le ripercussioni di detto obbligo sull’uso delle attrezzature relative ai trasporti a Malta. La sua adozione senza alcun argomento tecnico che consenta di giustificarne l’impatto confermerebbe che il Parlamento e il Consiglio non hanno assolto il loro obbligo a titolo dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE.

663. La Repubblica di Polonia sostiene che le limitazioni della fornitura di servizi di cabotaggio e delle operazioni tra paesi terzi derivanti dall’applicazione dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane modificherebbero in modo sostanziale il modello di prestazione dei servizi di trasporto su strada, il che avrebbe ripercussioni negative sul tenore di vita e sull’occupazione in talune regioni nonché sull’uso delle attrezzature relative ai trasporti, ripercussioni che non sarebbero state prese in considerazione, contrariamente a quanto previsto dall’articolo 91, paragrafo 2, TFUE. L’obbligo di ritorno costringerebbe gli operatori ad effettuare un ritorno a vuoto anziché un’operazione di cabotaggio o di trasporto cross‑trade, compromettendo in tal modo la redditività dell’attività dei trasportatori. Il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto del fatto che le restrizioni relative al cabotaggio e al traffico cross‑trade possono comportare il ritiro dei trasportatori dal mercato e avrebbero un impatto significativo sull’occupazione in questo settore. Esso non avrebbe tenuto conto nemmeno del fatto che tali conseguenze sarebbero particolarmente sentite dai trasportatori degli Stati membri situati alla periferia dell’Unione. Il 90% delle imprese di trasporto sarebbero PMI che impiegano il 55% delle persone occupate nel settore dei trasporti. Dette imprese sarebbero particolarmente esposte alle conseguenze negative dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane. La riduzione dell’occupazione nel settore dei trasporti destinata a verificarsi per effetto dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane colpirebbe e fragilizzerebbe in modo particolare questi Stati membri, cosa di cui il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto. L’obbligo in parola comporterebbe inoltre spostamenti supplementari inutili che sarebbero pregiudizievoli per l’uso delle attrezzature relative ai trasporti esistenti, il cui deterioramento dovuto a tali spostamenti non è stato valutato. Lo stesso varrebbe per l’aumento dei comportamenti a rischio dei conducenti. Infine, la Repubblica di Polonia addebita al legislatore di avere adottato un provvedimento che rende più difficile l’esercizio dell’attività dei trasportatori in un momento in cui la pandemia di COVID‑19 aveva già fatto precipitare questi ultimi in un periodo di crisi.

664. Per quanto riguarda l’asserita violazione dell’articolo 94 TFUE, la Repubblica di Polonia ribadisce che l’ambito di attività delle imprese di trasporto provenienti dalle diverse regioni dell’Unione non sarebbe omogeneo e che i trasporti internazionali occuperebbero un posto più importante nella struttura dei trasporti su strada degli Stati membri situati alla periferia dell’Unione, mentre i trasportatori stabiliti negli Stati membri del centro dell’Unione effettuerebbero più operazioni di trasporto nazionale o bilaterale. Per conformarsi all’obbligo di ritorno ogni otto settimane dovranno quindi essere sostenuti costi elevati essenzialmente dai trasportatori stabiliti negli Stati membri della periferia dell’Unione, principalmente sotto forma di PMI, il che renderà tali operatori particolarmente fragili. Il legislatore dell’Unione avrebbe dovuto tenere conto della natura particolare del mercato, a fortiori in un periodo già segnato dalla particolare vulnerabilità dei trasportatori provocata dalla crisi legata al COVID‑19. Omettendo di tenere conto della situazione economica dei vettori, esso avrebbe violato l’articolo 94 TFUE.

665. Il Parlamento e il Consiglio nonché le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto dei motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE.

2)      Analisi

666. Le censure sollevate dalle ricorrenti rinviano spesso a quelle esposte nei motivi di ricorso vertenti sulla violazione, a causa dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, del principio di proporzionalità. È stato peraltro addebitato più volte al Parlamento e al Consiglio di non avere proceduto a una valutazione dell’impatto di tale obbligo sui criteri menzionati all’articolo 91, paragrafo 2, e all’articolo 94 TFUE.

667. Ciò conferma il rapporto di proporzionalità inerente agli obblighi derivanti da questi due articoli come da me interpretati al paragrafo 292 delle presenti conclusioni. In tali circostanze, dal momento che si è già concluso per la violazione del principio di proporzionalità derivante dall’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane (414), non è necessario esaminare i motivi vertenti sulla violazione dei suddetti articoli.

f)      Sui motivi vertenti sulla violazione delle libertà fondamentali garantite dal Trattato FUE

1)      Argomenti delle parti

668. La Repubblica di Lituania sostiene che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane è contrario all’articolo 26 TFUE. A suo avviso, tale obbligo costituirebbe una misura protezionistica che comporterebbe una frammentazione del mercato, restringerebbe la concorrenza e instaurerebbe un regime discriminatorio nei confronti dei trasportatori degli Stati membri situati ai confini geografici dell’Unione.

669. L’obbligo di ritorno costituirebbe una restrizione ingiustificata all’esercizio delle libertà del mercato interno. Tale obbligo sarebbe stato adottato senza esaminare se gli scopi perseguiti siano idonei a giustificare conseguenze negative rilevanti per taluni operatori e senza assicurarsi che l’onere incombente agli operatori sia il minore possibile. Il ruolo particolare del settore dei trasporti per il funzionamento del mercato interno è stato sottolineato dalla Commissione (415) e il principio di non discriminazione sarebbe stato attuato nel settore del diritto di stabilimento dall’articolo 49 TFUE, applicabile anche alle persone giuridiche. Il fatto che l’aspirazione a un mercato interno, enunciata all’articolo 26 TFUE, venga realizzata mediante altre disposizioni del Trattato non priverebbe tale disposizione di rilevanza, e misure che violano nella sostanza gli obiettivi indicati all’articolo 26 TFUE non potrebbero essere considerate compatibili con detto articolo. Gli effetti deleteri sull’aspirazione a un mercato interno sarebbero confermati dalla valutazione d’impatto – capitolo stabilimento e dallo studio Ricardo del 2021.

670. La Repubblica di Bulgaria afferma che l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 costituisce, sotto un primo profilo, una violazione della libertà di esercitare un’attività professionale, della libertà di stabilimento prevista all’articolo 49 TFUE nonché degli articoli 15 e 16 della Carta (sesto motivo del ricorso nella causa C‑545/20), sotto un secondo profilo, una violazione della libera circolazione dei servizi di trasporto sulla base del combinato disposto dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 91 TFUE nonché, in subordine, dell’articolo 56 TFUE (settimo motivo, prima parte, del ricorso nella causa C‑545/20), e, sotto un terzo profilo, della libera circolazione delle merci ai sensi degli articoli 34 e 35 TFUE (settimo motivo, seconda parte, del ricorso nella causa C‑545/20).

671. In primo luogo, sottoponendo i trasportatori a vincoli aggiuntivi, l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane costituirebbe un’ingerenza nella libertà d’impresa e nel diritto di stabilimento, quali riconosciuti dall’articolo 49 TFUE, nonché dall’articolo 15, paragrafo 1, e dall’articolo 16 della Carta, dei trasportatori degli Stati membri insulari e periferici, in quanto alcuni di essi sarebbero costretti a cessare la loro attività, mentre altri sarebbero costretti a stabilirsi in uno Stato membro più centrale. Escludendo dall’attività economica diversi trasportatori situati in Stati membri periferici o insulari, il regolamento 2020/1055 minaccerebbe l’esistenza stessa della libertà di esercitare un’attività professionale. Un’ingerenza siffatta non sarebbe giustificata, in quanto sproporzionata. Le misure che rendono difficile o meno attraente l’esercizio della libertà di stabilimento devono essere considerate un ostacolo a tale libertà. Orbene, l’obbligo di ritorno renderebbe meno attraente per i trasportatori internazionali stabilirsi negli Stati membri periferici o insulari, sebbene il settore dei trasporti internazionali sia completamente liberalizzato.

672. In secondo luogo, la Repubblica di Bulgaria sostiene che l’obbligo di ritorno restringerebbe notevolmente la libera prestazione di servizi di trasporto, in quanto il ritorno impedirebbe ai trasportatori di continuare ad offrire servizi di trasporto nonostante la libera prestazione di tali servizi sia loro garantita dal diritto primario. Le attività dei prestatori di servizi di trasporto perderanno gran parte della loro attrattiva e della loro redditività. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane senza tenere conto della presenza di carico in un determinato momento metterebbe sostanzialmente in discussione il modello economico complessivo di taluni trasportatori. Sarebbe quindi violato l’articolo 58, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 91 TFUE. L’imposizione dell’obbligo di rientro reintrodurrebbe una forma di discriminazione e costituirebbe un regresso nell’instaurazione di una politica comune dei trasporti che garantisca la libera prestazione dei servizi. Qualora la Corte considerasse applicabile l’articolo 56 TFUE, detta disposizione dovrebbe del pari essere considerata violata. In fase di replica, la Repubblica di Bulgaria rileva che la Corte ha già dichiarato che il requisito dello stabilimento in quanto condizione necessaria della prestazione dei servizi di trasporto costituisce una restrizione contraria al diritto di stabilimento.

673. In terzo luogo, la Repubblica di Bulgaria sostiene che l’obbligo di ritorno avrà gravi conseguenze, che pregiudicheranno la libera circolazione delle merci, ed effetti equivalenti a restrizioni quantitative, vietate tuttavia ai sensi degli articoli 34 e 35 TFUE.

674. La Repubblica di Cipro sviluppa gli stessi argomenti della Repubblica di Bulgaria.

675. La Romania sostiene che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane ostacola in modo significativo la costituzione di imprese in Romania da parte di cittadini di altri Stati membri dell’Unione, in quanto genererebbe notevoli costi operativi e una riduzione delle entrate per un’impresa stabilita in uno Stato membro periferico dell’Unione, come la Romania. Un obbligo siffatto violerebbe pertanto l’articolo 49 TFUE rendendo più difficile e meno attraente l’esercizio della libertà di stabilimento. La redditività e quindi l’attrattiva della creazione di un’impresa di trasporti in detto Stato membro ne risulterebbero compromesse. Oltre il 45% delle imprese di trasporto stabilite in Romania prenderebbe in considerazione la creazione di una società o di una succursale oppure la delocalizzazione dell’attività in altri Stati membri dell’Europa occidentale al fine di contenere gli effetti negativi del Pacchetto mobilità. Pertanto, quand’anche l’obbligo di ritorno non avesse l’effetto di impedire alle persone che non risiedono in Romania di creare imprese di trasporto, resta il fatto che tale misura rende più onerosa e meno attraente la creazione di imprese in Romania e costituisce una restrizione ingiustificata e sproporzionata alla libertà di stabilimento.

676. In fase di replica, la Romania sottolinea la divergenza di opinioni tra il Consiglio, secondo cui il regolamento n. 1071/2009 è una misura importante per garantire la libertà di stabilimento, e il Parlamento, secondo cui tale regolamento non disciplinerebbe la libertà di stabilimento, in quanto l’articolo 5 di detto regolamento prevede soltanto una condizione per l’esercizio della libera prestazione dei servizi. La Romania contesta l’affermazione del Parlamento secondo cui solo le misure nazionali potrebbero costituire restrizioni alla libertà di stabilimento, mentre la Corte avrebbe già dichiarato che il divieto di restrizioni alla libera circolazione delle merci e alla libera prestazione dei servizi vale non soltanto per le misure nazionali ma anche per le misure che promanano dalle istituzioni dell’Unione.

2)      Analisi

677. Ho già rammentato la specificità e la collocazione particolare del settore dei trasporti nei trattati (416), settore che è soggetto a un regime giuridico speciale nell’ambito del mercato interno. Ricordo in particolare che lo status speciale dei trasporti nell’organizzazione normativa del mercato interno è caratterizzato dalla combinazione di un diritto di stabilimento in qualsiasi Stato membro fondato sul Trattato e di un diritto dei vettori alla libera prestazione dei servizi garantito esclusivamente nella misura in cui tale diritto è stato concesso mediante atti di diritto derivato adottati dal legislatore dell’Unione nell’ambito della politica comune dei trasporti. Il trasporto internazionale è quindi completamente liberalizzato. Non può dirsi lo stesso per le operazioni di trasporto nazionale, che sono ancora soggette a restrizioni se effettuate da trasportatori non residenti.

678. Per quanto riguarda l’articolo 26 TFUE, i principi generali da esso enunciati ai paragrafi 1 e 2 si riferiscono in ogni caso alle altre disposizioni pertinenti dei trattati, sicché, come sostenuto dal Parlamento, un atto dell’Unione che disciplina il settore dei trasporti, come nel caso del regolamento 2020/1055, non può essere esaminato alla luce di quest’unica disposizione senza ignorarne l’esatta portata e senza far passare in secondo piano le altre disposizioni pertinenti del Trattato, in particolare l’articolo 58, paragrafo 1, TFUE.

679. I servizi di trasporto sono liberalizzati solo nella misura in cui il legislatore dell’Unione basa la sua azione sull’articolo 91 TFUE, che opera come una lex specialis. Il Trattato incarica il legislatore di stabilire «norme comuni applicabili ai trasporti internazionali in partenza dal territorio di uno Stato membro o a destinazione di questo, o in transito sul territorio di uno o più Stati membri». L’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009, prima della sua modifica mediante il regolamento 2020/1055, è una di tali norme comuni, o condizioni, che ogni trasportatore deve rispettare per essere autorizzato a fornire i propri servizi di trasporto nell’Unione. Ricordo che lo scopo del regolamento n. 1071/2009, quale precisato al suo articolo 1, paragrafo 1, consiste nel disciplinare «l’accesso alla professione di trasportatore su strada e l’esercizio della stessa» (417). Il fatto che l’esercizio della professione di trasportatore sia soggetto al rispetto di regole e condizioni non comporta, ipso facto, una violazione della libera prestazione dei servizi. Ritengo che tali regole e condizioni riguardino eventualmente più la questione delle modalità di liberalizzazione del mercato dei servizi di trasporto, in relazione alle quali il legislatore dispone di un ampio potere discrezionale, come fatto valere dal Parlamento.

680. Per quanto riguarda l’argomento relativo alla violazione dell’articolo 49 TFUE, ribadisco che, come sostenuto dalla Romania, il divieto di restrizioni alle libertà fondamentali garantite dal Trattato non vale soltanto per le misure nazionali, ma anche per le misure che promanano dalle istituzioni dell’Unione (418) e che la libertà di stabilimento non fa eccezione a tale riguardo. L’analisi sarà inoltre guidata dai paragrafi 159 e seguenti delle presenti conclusioni, e si può svolgere un ragionamento analogo a quello sviluppato in merito all’obbligo di ritorno dei conducenti. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane è imposto indistintamente ad ogni impresa di trasporto che intenda effettuare trasporti su strada all’interno dell’Unione. Esso è volto a garantire la stabilità e l’effettività della sede dei trasportatori su strada. Di per sé, l’obbligo in parola non disciplina, né limita in alcun modo, la libertà – che rimane completa – degli operatori economici di uno Stato membro di stabilirsi nello Stato membro ospitante, di accedere in tale Stato alle attività non subordinate e di costituirvi aziende secondo quanto stabiliscono le leggi del paese di stabilimento per i suoi cittadini (419). Come ricordato dal Consiglio, l’obbligo di ritorno non è destinato ad essere preso in considerazione durante il processo di autorizzazione delle imprese di trasporto, in quanto tali imprese sono tenute a conformarsi a detto obbligo dopo essersi stabilite e a partire dal momento in cui iniziano a fornire i loro servizi. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane non ha quindi alcun effetto restrittivo sulla libertà di stabilimento.

681. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane non impedisce ai trasportatori di esercitare la loro libertà di stabilimento in quanto è pacifico che essi sono liberi di trasferire, se lo desiderano, la sede della loro attività. L’affermazione secondo cui lo stabilimento di imprese negli Stati membri periferici sarebbe scoraggiato a causa dell’aumento significativo dei costi legati all’obbligo di ritorno deve essere respinta in quanto si basa sulla perpetuazione di un modello commerciale che rientra nell’esclusiva responsabilità di tali trasportatori. Infatti, l’aumento dei costi è particolarmente significativo se un trasportatore sceglie di operare sul territorio di uno Stato membro lontano da quello in cui è stabilito. Non spetta al legislatore dell’Unione compensare le eventuali complicazioni legate alla distanza geografica tra la sede dell’operatore e il luogo effettivo delle sue attività.

682. Per quanto riguarda l’invocazione della Carta, l’articolo 15, paragrafo 1, e l’articolo 16 tutelano rispettivamente il diritto di lavorare e di esercitare una professione liberamente scelta o accettata e la libertà d’impresa, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono, in relazione all’asserita violazione dell’articolo 49 TFUE, che l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane metterebbe a rischio l’esistenza stessa della libertà di esercitare un’attività professionale.

683. In primo luogo, l’esercizio di qualsiasi attività professionale implica necessariamente l’accettazione delle relative norme e condizioni di esercizio. In secondo luogo, quand’anche si ritenesse che l’obbligo di ritorno costituisca una restrizione all’attività professionale degli operatori economici interessati, l’articolo 52, paragrafo 1, della Carta prevede che possano essere previste limitazioni dalla legge nel rispetto del contenuto essenziale dei diritti e delle libertà sanciti dalla Carta stessa. Si deve constatare, nella fattispecie, che l’obbligo di ritorno non lede affatto la sostanza del diritto al libero esercizio della professione di trasportatore su strada (420). In terzo luogo, dalla medesima disposizione discende che eventuali limitazioni previste devono essere necessarie e rispondere effettivamente a obiettivi di interesse generale riconosciuti dall’Unione. Poiché il legislatore, nell’esercizio dell’ampio potere discrezionale riconosciutogli, ha ritenuto necessario intervenire al fine, in particolare, di garantire una concorrenza leale e condizioni di parità che devono assicurare il corretto funzionamento del mercato interno dei trasporti, si deve concludere per l’insussistenza di una violazione degli articoli 15 e 16 della Carta.

684. Per quanto riguarda l’asserita violazione della libera prestazione dei servizi, ricordo che l’articolo 58, paragrafo 1, e l’articolo 91 TFUE prevedono che la libera circolazione dei servizi nel settore dei trasporti sia attuata dal legislatore dell’Unione. L’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane non può quindi essere esaminato separatamente a titolo dell’articolo 56 TFUE, salvo, di nuovo, ignorare la specificità dei trasporti in relazione alla libera prestazione dei servizi. Come ho già detto (421), il legislatore dell’Unione può quindi legittimamente modificare le condizioni di esercizio della libera prestazione dei servizi nel settore dei trasporti su strada al fine, in particolare, di garantire il corretto funzionamento del mercato interno, in quanto il grado di liberalizzazione di tali servizi è definito dal legislatore stesso nell’ambito dell’attuazione della politica comune dei trasporti. Ricordo che la Corte ha già dichiarato legittima un’azione del legislatore dell’Unione volta ad assicurare la libera prestazione dei servizi su base equa, vale a dire in un quadro normativo che garantisca una concorrenza che non sia fondata sull’applicazione, in uno stesso Stato membro, di condizioni di lavoro e di occupazione di livello sostanzialmente diverso (422). L’imposizione di un obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane ha lo scopo di garantire la stabilità ed effettività della sede del trasportatore al fine di garantire un collegamento reale con lo Stato membro di stabilimento, ossia quello che definirà, in particolare, le norme fiscali e sociali applicabili a detto trasportatore. Il legislatore dell’Unione ha chiaramente indicato, al considerando 8 del regolamento 2020/1055, che l’obiettivo era contrastare le società di comodo, ridurre il rischio di cabotaggio sistematico e il nomadismo dei conducenti al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno nel settore dei trasporti. In tali circostanze, le censure relative alla violazione dell’articolo 56 e dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE devono essere respinte in quanto infondate.

685. Per quanto riguarda l’invocazione di una violazione della libera circolazione delle merci, la Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro non hanno sufficientemente dimostrato, a mio avviso, gli effetti dell’obbligo di ritorno sulla libera circolazione delle merci, limitandosi ad affermazioni generiche. Infatti, una dimostrazione del genere è ancor più difficile in quanto gli asseriti effetti restrittivi dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane appaiono chiaramente troppo aleatori e indiretti perché l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 possa essere considerato atto ad ostacolare il commercio tra gli Stati membri e, quindi, costitutivo di una restrizione ai sensi degli articoli 34 e 35 TFUE (423).

686. Pertanto, i motivi vertenti sulla violazione degli articoli 15 e 16 della Carta nonché degli articoli 26, 34, 35, 49, 56 e dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE devono essere respinti in quanto infondati.

g)      Conclusione

687. Per le ragioni esposte ai paragrafi 642 e seguenti delle presenti conclusioni, occorre accogliere i ricorsi della Repubblica di Lituania (C‑542/20), della Repubblica di Bulgaria (C‑545/20), della Romania (C‑547/20), della Repubblica di Cipro (C‑549/20), dell’Ungheria (C‑551/20), della Repubblica di Malta (C‑552/20) e della Repubblica di Polonia (C‑554/20) nella misura in cui sono diretti avverso l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella parte in cui tale disposizione modifica l’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1071/2009 inserendovi l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, e annullare detta disposizione.

2.      Sullobbligo di disporre di un numero di veicoli e di conducenti proporzionato al volume delle operazioni di trasporto effettuate dallimpresa [articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 nella parte in cui ha aggiunto la lettera g) allarticolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 1071/2009]

688. La Repubblica di Polonia è l’unica a contestare la legittimità dell’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella parte in cui ha aggiunto la lettera g) all’articolo 5, paragrafo 1, del regolamento n. 1071/2009, e solleva due motivi a tale riguardo, vertenti, il primo, sulla violazione del principio di proporzionalità e, il secondo, sulla violazione del principio della certezza del diritto. Inoltre, con il motivo comune sviluppato trasversalmente nei confronti di tutte le disposizioni del regolamento 2020/1055 impugnate nell’ambito del suo ricorso nella causa C‑554/20, la Repubblica di Polonia conclude per la violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta.

a)      Sul primo motivo, vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

1)      Argomenti delle parti

689. Per quanto riguarda il motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità, la Repubblica di Polonia sostiene che l’obbligo di disporre ordinariamente, su base continuativa, nello Stato membro di stabilimento, di un numero di veicoli conformi alle condizioni richieste (424) e di conducenti che hanno normalmente come base una sede di attività in tale Stato membro che sia proporzionato al volume delle operazioni di trasporto effettuate dall’impresa si baserebbe su criteri arbitrari, che detto obbligo non sarebbe idoneo a raggiungere gli obiettivi del regolamento 2020/1055, i quali non sarebbero peraltro specificati, e che esso avrebbe conseguenze economiche negative per gli operatori sproporzionate rispetto ai suoi eventuali effetti positivi. La necessità di ricorrere a una misura siffatta non sarebbe stata valutata sufficientemente nella valutazione d’impatto e le ragioni sottese alla sua introduzione resterebbero poco chiare, al pari degli obiettivi perseguiti. Il regolamento 2020/1055 prevederebbe già un obbligo di ritorno dei veicoli e un obbligo di ritorno dei conducenti, cosicché il nuovo articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009 costituirebbe una misura aggiuntiva che limiterebbe ancora di più la mobilità dei veicoli di cui dispongono le imprese. Si tratterebbe di un requisito del tutto arbitrario, che non terrebbe conto della specificità delle attività di trasporto internazionale su strada, e di un ostacolo irragionevole all’esercizio di tali attività. La Repubblica di Polonia deplora l’assenza di un nesso oggettivo tra il requisito introdotto all’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009 e la questione della sede effettiva e stabile, e sostiene che un requisito siffatto non riguarderebbe, in realtà, le regole per determinare il luogo di stabilimento, bensì disciplinerebbe le modalità dell’organizzazione stessa dell’attività di trasporto. Inoltre, la Repubblica di Polonia afferma che tale requisito obbligherebbe i trasportatori ad organizzare viaggi supplementari a vuoto, pur riconoscendo che sarebbe difficile stimare il numero di tragitti supplementari a causa della formulazione imprecisa della menzionata disposizione. Il rispetto di un requisito siffatto esporrebbe le imprese a dei costi, legati vuoi ai tragitti a vuoto supplementari, vuoi all’aumento della loro flotta di veicoli o del numero di conducenti. Detti costi supplementari sarebbero difficili da sostenere per le PMI, che costituirebbero la componente maggioritaria del settore, e comporterebbero fallimenti e delocalizzazioni. La valutazione d’impatto non avrebbe tenuto conto di questi elementi. Dal momento che la legittimità di un atto dell’Unione deve essere valutata al momento della sua adozione, la Repubblica di Polonia afferma che il nuovo articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, sarebbe stato adottato in un periodo di fragilizzazione delle imprese operanti nel settore dei trasporti causato dalla pandemia di COVID‑19. Non sarebbe quindi stato opportuno che il legislatore dell’Unione, pur disponendo dei dati relativi all’incidenza della pandemia sul settore dei trasporti, assoggettasse le imprese a spese supplementari ingiustificate.

690. Il Consiglio e il Parlamento concludono per il rigetto del presente motivo.

2)      Analisi

691. Ricordo che il nuovo articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, enuncia una nuova condizione relativa al requisito dello stabilimento prevedendo che, affinché si possa considerare che un’impresa ha una sede effettiva e stabile nello Stato membro di stabilimento, ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 1071/2009, detta impresa deve disporre ordinariamente, su base continuativa, di un numero di veicoli e di conducenti che hanno normalmente come base una sede di attività in tale Stato membro che sia, in entrambi i casi, proporzionato al volume delle operazioni di trasporto da essa effettuate.

692. Anzitutto, rilevo che l’articolo 1, punto 3, lettera d), della proposta di modifica del regolamento n. 1071/2009 della Commissione prevedeva di aggiungere all’articolo 5 di quest’ultimo l’obbligo di detenere attivi e di avvalersi di personale in proporzione all’attività della sede. Detto obbligo era oggetto di un’analisi complessiva del suo impatto, unitamente alle altre sei misure elencate dalla Commissione, nella valutazione d’impatto che accompagnava la proposta iniziale della Commissione (425). Sebbene la formulazione infine adottata dal legislatore dell’Unione si discosti leggermente da tale proposta (426), è evidente che esso disponeva di dati sufficienti per valutare l’impatto dell’adozione dell’obbligo attualmente previsto dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055. Come rilevato dal Consiglio, detta disposizione non fa parte delle disposizioni del Pacchetto mobilità sulle quali la Commissione ha espresso riserve (427).

693. Questo nuovo articolo 5, paragrafo 1, lettera g), contribuisce chiaramente, a mio avviso, a perseguire gli obiettivi enunciati nel considerando 6 del regolamento 2020/1055, vale a dire contrastare il fenomeno delle cosiddette società di comodo e garantire una concorrenza leale e condizioni di parità nel mercato interno, i quali richiedono di assicurare che i trasportatori siano presenti in modo effettivo e permanente nello Stato membro di stabilimento e da lì svolgano la loro attività. A tal fine, il legislatore dell’Unione ha inteso «chiarire e rafforzare le disposizioni relative all’esistenza di una sede effettiva e stabile, evitando nel contempo l’imposizione di un onere amministrativo sproporzionato». Mi sembra che, come sostenuto dal Parlamento e dal Consiglio, gli obiettivi perseguiti siano facilmente identificabili.

694. Tale chiarimento e tale rafforzamento richiedevano l’adozione di varie misure chiave, tra cui quella relativa all’obbligo di ritorno dei veicoli e quella relativa all’obbligo di ritorno dei conducenti. A questo proposito, non è corretto sostenere che l’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, duplichi questi due obblighi precedenti. Come hanno sottolineato il Consiglio e il Parlamento, detto articolo stabilisce un requisito quantitativo in termini di materiale e di risorse umane disponibili, ma non riguarda né il grado di mobilità dei veicoli e dei conducenti né la frequenza dei ritorni, che, dal canto suo, rimane disciplinata dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, per quanto attiene ai veicoli, e dall’articolo 8, paragrafo 8 bis, del regolamento n. 561/2006, come modificato dal regolamento 2020/1054, per quanto attiene ai conducenti. Dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009 così modificato non risulta neppure che sia necessaria la presenza permanente nello Stato membro di stabilimento dei veicoli o dei conducenti.

695. I requisiti connessi al suddetto obbligo non appaiono eccessivi. Anzitutto, il numero di veicoli e di conducenti deve essere proporzionato al volume delle operazioni di trasporto effettuate dall’impresa. Sembra difficile, a prima vista, concludere per la mancanza di proporzionalità di una disposizione che contiene un riferimento esplicito al rapporto proporzionato da essa stabilito. Inoltre, l’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, si limita a richiedere l’utilizzo di beni materiali e umani senza imporre, ad esempio, il tipo di rapporti giuridici che devono legare l’impresa ai suoi conducenti. La censura formulata dalla Repubblica di Polonia riguardo alle conseguenze economiche ingiustificate connesse all’acquisto di veicoli o all’assunzione di conducenti appare infondata, in quanto ci si può ragionevolmente attendere che l’attività dell’ampia maggioranza dei trasportatori si basi già su mezzi materiali e umani proporzionalmente sufficienti. Infine, l’argomento secondo cui il menzionato articolo 5, paragrafo 1, lettera g), disciplinerebbe arbitrariamente le modalità di organizzazione dell’attività di trasporto si basa su una lettura errata di tale articolo, giacché, come sostenuto dal Consiglio, detto articolo non disciplina in alcun modo il luogo in cui sarà effettuato il servizio di trasporto, bensì mira semplicemente a rafforzare, per i motivi esposti in particolare nei considerando 6 e 8 del regolamento 2020/1055, il legame tra l’impresa e lo Stato membro di stabilimento dal quale essa opera. Risulta, in particolare, dal considerando 8 di detto regolamento che il legislatore dell’Unione ha espressamente respinto qualsiasi modifica che andasse nel senso di obbligare i trasportatori ad effettuare un numero specifico di operazioni nello Stato membro di stabilimento o di limitare la possibilità per detti trasportatori di fornire servizi in tutto il mercato interno. Da ciò emerge chiaramente che l’obbligo previsto all’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, ai sensi del quale, affinché si possa considerare che un’impresa ha una sede effettiva e stabile nello Stato membro di stabilimento, detta impresa deve disporre ordinariamente, su base continuativa, di un numero di veicoli e di conducenti che hanno normalmente come base una sede di attività in tale Stato membro che sia, in entrambi i casi, proporzionato al volume delle operazioni di trasporto da essa effettuate, è il risultato dell’esercizio da parte del legislatore del suo ampio potere discrezionale in un settore nel quale occorre contemperare interessi divergenti.

696. Infine, non si può addebitare al legislatore dell’Unione di avere scelto di costringere i trasportatori a sostenere spese supplementari mentre erano già fragilizzati dalle conseguenze economiche legate alla pandemia di COVID‑19. Infatti, da un lato, il regolamento 2020/1055 prevedeva la sua applicazione a decorrere dal 21 febbraio 2022, ossia oltre 18 mesi dopo l’adozione al termine della prima ondata della pandemia e, dall’altro, la condizione prevista all’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, si limita in definitiva ad esplicitare una condizione che normalmente ci si attende da tutte le imprese operanti sul mercato del trasporto su strada, alla quale la maggior parte di esse si conformava già.

697. Di conseguenza, il motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità deve essere respinto in quanto infondato.

b)      Sul motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

1)      Argomenti delle parti

698. Dopo avere ricordato la giurisprudenza della Corte, la Repubblica di Polonia sostiene che l’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, non soddisferebbe, a causa della sua imprecisione, i requisiti del principio di certezza del diritto. I termini in esso contenuti sarebbero troppo vaghi e ciò inciderebbe quindi sulla portata dell’obbligo che detta disposizione comporta. Le imprese sarebbero poste in una situazione di incertezza giuridica quanto alla conformità delle loro azioni con l’obbligo di disporre ordinariamente, su base continuativa, di un numero di veicoli e di conducenti che hanno normalmente come base una sede di attività in tale Stato membro che sia, in entrambi i casi, proporzionato al volume delle operazioni di trasporto da esse effettuate. Infatti, l’impossibilità per le imprese di sapere se soddisfino una delle condizioni per l’esercizio della loro attività le esporrebbe a gravi conseguenze giuridiche.

699. Da un lato, il criterio relativo al fatto che i conducenti e i veicoli devono avere normalmente come base una sede di attività nello Stato membro di stabilimento sarebbe molto vago e suscettibile di interpretazione. Poiché il ritorno dei veicoli e dei conducenti è già disciplinato da altre disposizioni, tale criterio costituirebbe un requisito distinto di cui sarebbe impossibile determinare la portata. Dall’altro, il criterio relativo alla proporzionalità sarebbe del pari molto vago e sarebbe impossibile determinare in concreto il numero di veicoli e di conducenti al quale si riferisce la disposizione.

700. Infine, vi sarebbe una differenza sostanziale tra l’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, e l’articolo 5, lettera c), del regolamento n. 1071/2009, il quale prevedeva che il trasportatore dovesse svolgere le sue attività dalla sede operativa situata nello Stato membro di stabilimento con l’ausilio delle «attrezzature amministrative necessarie» e «delle attrezzature e strutture tecniche appropriate», in quanto tali attrezzature e strutture sarebbero, secondo la Repubblica di Polonia, secondarie per l’attività di trasporto, mentre la questione del numero di veicoli e di conducenti sarebbe cruciale dal punto di vista della gestione dell’impresa. Sarebbe quindi particolarmente essenziale che l’obbligo sia formulato in modo preciso.

701. Il Parlamento e il Consiglio concludono per il rigetto del presente motivo.

2)      Analisi

702. Dalla giurisprudenza ricordata ai paragrafi 117 e seguenti delle presenti conclusioni risulta che il controllo del rispetto del principio della certezza del diritto impone di verificare se la disposizione esaminata sia viziata da un’ambiguità tale da costituire un ostacolo a che i suoi destinatari possano risolvere, con sufficiente certezza, eventuali dubbi quanto alla sua portata o al suo significato, con la conseguenza che essi non siano in grado di stabilire inequivocabilmente i loro diritti e obblighi.

703. A tale proposito, ricordo che l’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, enuncia una delle condizioni per l’accesso alla professione di trasportatore rafforzando il requisito di una sede effettiva e stabile nello Stato membro di stabilimento.

704. Da un lato, le imprese di trasporto devono disporre ordinariamente e su base continuativa di veicoli e conducenti. Non rilevo, in questa fase, alcuna difficoltà tale da impedire a dette imprese di comprendere che devono disporre – e non detenere – delle risorse materiali e umane necessarie per la loro attività (ossia dei veicoli e dei conducenti). Il senso del riferimento alla base normale delle risorse umane nella sede di attività può, se necessario, essere utilmente chiarita dalla lettura della giurisprudenza della Corte (428).

705. Dall’altro, tali imprese devono disporre di dette risorse materiali e umane «proporzionat[e] al volume delle operazioni di trasporto da ess[e] effettuate». Si esige dalle imprese in parola che la loro flotta di veicoli, nonché la loro manodopera, siano proporzionate al livello delle loro attività, e si tratta qui, come sottolineato dalla Repubblica di Polonia, di due elementi inerenti all’attività di trasportatore su strada. La Repubblica di Polonia sostiene che il riferimento alla proporzionalità renderebbe impossibile determinare il numero di veicoli e di conducenti di cui le imprese devono disporre in concreto. Ritengo al contrario che, in quanto professionisti, i trasportatori su strada gestiscano costantemente il flusso dei veicoli in funzione della disponibilità di conducenti e abbiano un’idea abbastanza precisa del numero di veicoli e di conducenti necessari per le loro attività. Se il legislatore dell’Unione avesse delimitato in modo più preciso l’obbligo previsto dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, ad esempio fissando un numero di veicoli e di conducenti di cui le imprese dovrebbero disporre in funzione, ad esempio, del loro fatturato, queste ultime, nonché le autorità incaricate di controllare il rispetto dei requisiti di cui all’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, non avrebbero avuto il margine di discrezionalità necessario, e quindi la flessibilità, per tenere eventualmente conto di circostanze diverse dal fatturato. In ogni caso, ricordo che dalla giurisprudenza della Corte risulta che le esigenze del principio di certezza del diritto non possono essere intese nel senso che impongono che una norma menzioni sempre le diverse ipotesi concrete nelle quali esso può essere applicato, in quanto il legislatore non può determinare in anticipo tutte le suddette ipotesi (429).

706. Dall’analisi risulta quindi che l’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, appare sufficientemente chiaro, preciso e prevedibile nei suoi effetti affinché gli interessati possano orientarsi nelle situazioni e nei rapporti giuridici rientranti nell’ordinamento giuridico dell’Unione (430). Il motivo vertente sulla violazione del principio della certezza del diritto deve essere respinto in quanto infondato.

c)      Sul motivo vertente sulla violazione dellarticolo 11 TFUE e dellarticolo 37 della Carta

1)      Argomenti delle parti

707. Per quanto riguarda l’ultimo motivo, e poiché si tratta di un motivo comune a tutte le disposizioni impugnate che è già stato riassunto (431), mi limiterò qui a rilevare, in sostanza, che la Repubblica di Polonia deduce una violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta in quanto il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto delle esigenze relative alla tutela dell’ambiente e sostiene che il nuovo obbligo contribuirebbe all’aumento significativo dei percorsi a vuoto, non giustificati dal punto di vista economico. La Repubblica di Polonia afferma che l’incidenza dell’attuazione delle disposizioni impugnate non è stata analizzata dal legislatore dell’Unione, il quale non avrebbe quindi potuto contemperare gli obiettivi perseguiti dal regolamento 2020/1055 con quelli relativi alla tutela dell’ambiente.

708. Il Consiglio e il Parlamento concludono per il rigetto di tale motivo.

2)      Analisi

709. Per quanto riguarda il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta, mi limiterò a rilevare che la Repubblica di Polonia non ha dimostrato perché, al di là della mera affermazione di principio, il rispetto dell’obbligo di disporre ordinariamente, su base continuativa, di un numero di veicoli conformi alle condizioni di cui alla lettera e) dell’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009 e di conducenti che hanno normalmente come base una sede di attività in tale Stato membro che sia proporzionato al volume delle operazioni di trasporto effettuate dall’impresa, richiederebbe spostamenti aggiuntivi, eventualmente a vuoto.

710. La posizione sviluppata dalla Repubblica di Polonia appare, peraltro, alquanto contraddittoria sotto due profili. Da un lato, dopo avere sostenuto che un obbligo siffatto comporterebbe un numero rilevante di percorsi a vuoto, il che avrebbe un impatto negativo significativo sull’ambiente, essa afferma, nel contempo, che lo scopo di un tale obbligo consisterebbe nel far rimanere i veicoli e i loro conducenti nella loro sede di attività e costituirebbe un «ostacolo irragionevole all’esercizio delle attività di trasporto, tenuto conto della logica sottesa a quest’ultima» (432). Dall’altro lato, sembra abbastanza paradossale sostenere una tesi secondo cui, se detti tragitti a vuoto fossero giustificati economicamente, la compatibilità della disposizione da cui derivano con l’articolo 11 TFUE e l’articolo 37 della Carta non sarebbe più messa in discussione.

711. Inoltre, per quanto riguarda l’asserita mancanza di una valutazione dell’impatto dell’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, il quale inserisce una lettera g) nell’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009 che sarebbe costitutiva di una violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta, rinvio al paragrafo 570 delle presenti conclusioni. Rilevo inoltre, ad abundantiam, che i dati forniti dalla Repubblica di Polonia per dimostrare l’impatto negativo sull’ambiente risultante da tale nuova disposizione riguardano, in realtà, quasi esclusivamente una stima delle ripercussioni sull’ambiente in ragione dell’attuazione dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane.

712. In definitiva, mi sembra che l’argomento della Repubblica di Polonia si fondi, come hanno sottolineato il Consiglio e il Parlamento, su una lettura errata del nuovo articolo 5, paragrafo 1, lettera g), del regolamento n. 1071/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, in quanto tale disposizione non disciplina la frequenza della presenza nelle sedi di attività, bensì esclusivamente il numero di veicoli e di conducenti che hanno come base dette sedi. In siffatte circostanze, il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta (433) deve essere respinto.

d)      Conclusione

713. Il ricorso della Repubblica di Polonia nella causa C‑554/20, nella parte in cui è diretto contro l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella misura in cui ha introdotto l’articolo 5, paragrafo 1, lettera g), nel regolamento n. 1071/2009, è respinto.

3.      Sul periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio [articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055, che ha introdotto un paragrafo 2 bis nellarticolo 8 del regolamento n. 1072/2009]

714. La Repubblica di Lituania, la Repubblica di Bulgaria, la Romania (434), la Repubblica di Malta e la Repubblica di Polonia contestano la legittimità dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055, che, introducendo un paragrafo 2 bis nell’articolo 8 del regolamento n. 1072/2009, prevede attualmente l’obbligo per i trasportatori di osservare un periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato.

a)      Sui motivi vertenti sulla violazione della politica dellUnione in materia di ambiente e di cambiamenti climatici

1)      Argomenti delle parti

715. La Repubblica di Lituania svolge un argomento analogo a quello sviluppato rispetto all’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane. L’imposizione di un periodo di attesa di quattro giorni violerebbe infatti l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, gli articoli 11 e 191 TFUE, l’articolo 37 della Carta e, più in generale, la politica dell’Unione in materia di ambiente e di lotta ai cambiamenti climatici. L’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 sarebbe stato adottato in violazione dei principi che disciplinano la politica dell’Unione in materia di ambiente, senza che sia stata effettuata alcuna valutazione d’impatto e senza che siano state analizzate le conseguenze negative per la tutela dell’ambiente. Orbene, l’obbligo di far uscire il veicolo dal paese in cui è avvenuto il trasporto di cabotaggio comporterebbe un aumento del numero di automezzi pesanti circolanti a vuoto e pertanto delle emissioni di CO2, come sarebbe confermato da studi che stimerebbero tali emissioni aggiuntive in 4 milioni di tonnellate (435).

716. L’articolo 3, paragrafo 3, TUE e gli articoli 11 e 191 TFUE non potrebbero essere interpretati così restrittivamente come propongono il Consiglio e il Parlamento nella loro difesa. Se è vero che il legislatore può adottare misure che si discostano dagli obiettivi di tutela dell’ambiente, tuttavia tali misure non potrebbero, come nel caso di specie, essere manifestamente incompatibili o in contrasto con detti obiettivi, essendo la tutela dell’ambiente un’esigenza imperativa. L’effetto sull’ambiente dell’obbligo controverso sarebbe stato manifestamente sottostimato, come dimostrerebbero le conclusioni della valutazione d’impatto effettuata su iniziativa della Commissione dopo l’entrata in vigore del regolamento 2020/1055. Avendo omesso di valutare l’impatto della disposizione controversa, il legislatore dell’Unione non ha tenuto conto del fatto che, poiché l’obbligo di attesa avrebbe comportato una riduzione dell’efficienza della catena logistica, ne sarebbe derivato un aumento del numero di automezzi pesanti circolanti a vuoto, del consumo di carburante e del quantitativo di CO2 emesso. La messa in attesa dei veicoli costituirebbe quindi manifestamente un utilizzo non razionale delle risorse e contribuirebbe alle ripercussioni negative del ritorno dei veicoli individuate nella valutazione d’impatto effettuata dalla Commissione. Il Consiglio, pur negando qualsiasi effetto del periodo di attesa sull’ambiente, non fornirebbe alcuna cifra, il che dimostrerebbe che le istituzioni convenute non disponevano di dati sufficienti al momento dell’adozione dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055.

717. La Repubblica di Bulgaria ha sviluppato un argomento comune alle due disposizioni da essa impugnate su questo tema (436). Tale ricorrente sostiene che ciò che essa definisce il periodo di riposo fra trasporti di cabotaggio aumenterebbe il numero di spostamenti a vuoto e limiterebbe i trasporti di cabotaggio, noti tuttavia per contribuire alla riduzione di questo tipo di spostamenti, come avrebbe sottolineato la Commissione nel suo Libro bianco intitolato «Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti – Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile» (437) invitando ad eliminare le restrizioni al cabotaggio. Il periodo di attesa non contribuirebbe affatto a un livello elevato di tutela e di miglioramento della qualità dell’ambiente, né integrerebbe le esigenze connesse con la sua tutela. L’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 sarebbe quindi contrario, da un lato, all’articolo 90 TFUE, letto in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, TUE e l’articolo 11 TFUE, nonché all’articolo 37 della Carta e, dall’altro, all’articolo 3, paragrafo 5, TUE, all’articolo 208, paragrafo 2, TFUE e all’articolo 216, paragrafo 1, TFUE, nonché all’accordo di Parigi.

718. La Repubblica di Polonia ha sviluppato un argomento comune alle quattro disposizioni da essa impugnate relativamente alla violazione degli articoli 11 e 37 della Carta. Dopo avere ricordato il ruolo considerevole del trasporto su strada nelle emissioni di CO2, nell’emissione di inquinanti atmosferici e nel contesto preoccupante della crisi climatica, la Repubblica di Polonia evidenzia i rischi dell’inquinamento per la salute umana. Essa sostiene che le istituzioni convenute avrebbero dovuto procedere a una valutazione dell’impatto della disposizione che introduce un periodo di attesa dopo la fine del trasporto di cabotaggio effettuato in uno Stato membro e avrebbero dovuto assicurarsi che la misura prevista non pregiudicasse la realizzazione degli obiettivi fissati in altri atti di diritto derivato in materia di ambiente. Dal momento che un’azione potrebbe avere conseguenze ambientali negative, le istituzioni convenute avrebbero dovuto contemperare gli interessi in conflitto e apportare le opportune modifiche o, quanto meno, assicurarsi che tale normativa non avrebbe pregiudicato la realizzazione degli obiettivi fissati negli altri atti di diritto derivato adottati in materia ambientale. Orbene, a suo avviso, l’ulteriore restrizione al cabotaggio introdotta dall’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 comporterebbe un aumento dei viaggi a vuoto, e quindi un aumento delle emissioni di CO2, che deriverebbe inevitabilmente dalla limitazione dei vantaggi in termini di ottimizzazione delle operazioni di trasporto procurati dalle operazioni di cabotaggio. Il nesso fra il trasporto di cabotaggio e la riduzione dei percorsi a vuoto sarebbe peraltro riconosciuto dal legislatore medesimo.

719. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tali motivi.

2)      Analisi

720. L’argomento secondo cui il periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato sarebbe contrario alla politica ambientale per il solo motivo che tale periodo ridurrebbe la possibilità di ricorrere al cabotaggio, sebbene quest’ultimo consenta di ottimizzare le operazioni di trasporto, come il legislatore avrebbe riconosciuto al considerando 21 del regolamento 2020/1055, e quindi di limitarne l’impatto sull’ambiente, non può essere accolto, salvo ritenere che le esigenze relative alla tutela dell’ambiente debbano sempre prevalere sugli altri obiettivi dell’Unione, il che non risulta né dall’articolo 3, paragrafo 3, TUE né dell’articolo 11 TFUE, e salvo negare la possibilità per il legislatore di disciplinare, nell’esercizio del suo ampio margine di discrezionalità, un’attività che esso, con piena consapevolezza, ha rifiutato di liberalizzare totalmente (438), come dimostra, in effetti, il suddetto considerando, ai sensi del quale i trasporti di cabotaggio «dovrebbero essere consentiti nella misura in cui non sono effettuati in modo da costituire un’attività permanente o continuativa all’interno dello Stato membro interessato». Aggiungo che la definizione stessa del cabotaggio contiene un riferimento al suo carattere temporaneo (439) e che, come rilevato dal Consiglio, gli incrementi di efficienza ambientale connessi al cabotaggio quale previsto dal regolamento n. 1072/2009 hanno senso solo fintanto che l’attività di cabotaggio non sia pienamente liberalizzata e continui ad essere connessa a un trasporto internazionale, che comporta invece un ritorno: il cabotaggio non connesso a un trasporto siffatto – vale a dire la possibilità per un trasportatore stabilito in uno Stato A di prestare liberamente trasporti nazionali in uno Stato B – non contribuisce quindi all’efficienza logistica dei trasporti né allo sforzo di razionalizzare i tragitti di ritorno.

721. Inoltre, tale periodo di attesa, di per sé, non può essere interpretato, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica di Lituania, come un obbligo di far rientrare il veicolo nello Stato membro in cui esso ha la propria base. Se i trasportatori intendono conformarsi al loro obbligo di osservare un periodo di attesa di quattro giorni facendo rientrare il veicolo nel loro Stato membro di stabilimento, questa scelta si basa su considerazioni relative all’efficienza economica della loro attività, ma non è, in quanto tale, dettata dal regolamento 2020/1055 (440).

722. Infine, rilevo un certo paradosso nell’argomento della Repubblica di Polonia che lamenta i costi di applicazione della disposizione derivanti dai percorsi a vuoto imposti agli automezzi pesanti, i quali peraltro, secondo quanto da essa affermato, effettuerebbero, se non fossero assoggettati a un periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato, trasporti di cabotaggio e tra paesi terzi (441). Da un punto di vista strettamente ambientale, mi risulta difficile comprendere perché una situazione del genere avrebbe un impatto minore sull’ambiente (442).

723. Ad ogni modo, come ho già rilevato, per quanto riguarda l’asserita violazione dell’articolo 11 TFUE, le disposizioni impugnate del regolamento 2020/1055 non possono essere analizzate isolatamente, bensì deve risultare da un’analisi della politica dei trasporti nel suo complesso che gli interessi ambientali sono stati debitamente presi in considerazione. A tale proposito rinvio alle mie considerazioni su questo punto, che si applicano, mutatis mutandis, all’analisi relativa al periodo di attesa (443).

724. Per il resto, per quanto riguarda la portata dell’articolo 37 della Carta, rinvio al paragrafo 565 delle presenti conclusioni; per quanto riguarda la censura relativa all’assenza di una valutazione d’impatto, rinvio al paragrafo 570 delle presenti conclusioni; per quanto riguarda il carattere non pertinente del richiamo dell’articolo 191 TFUE, rinvio al paragrafo 581 delle presenti conclusioni; per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’accordo di Parigi, dell’articolo 3, paragrafo 5, TUE nonché dell’articolo 208 e dell’articolo 216, paragrafo 2, TFUE, rinvio ai paragrafi 586 e seguenti della mia analisi; infine, per quanto riguarda la questione del rapporto con gli altri atti di diritto derivato, rinvio al paragrafo 594 delle presenti conclusioni.

725. Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, si deve concludere che i motivi vertenti sulla violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente devono essere respinti in quanto infondati.

b)      Sui motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità

1)      Argomenti delle parti

726. La Repubblica di Lituania sostiene che l’articolo 8, paragrafo 2 bis, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, violerebbe il principio di proporzionalità in quanto il legislatore dell’Unione avrebbe adottato tale disposizione senza disporre di informazioni sufficienti sul suo impatto e senza accertare in che misura gli effetti negativi per gli operatori economici provocati da tale disposizione potrebbero apparire giustificati.

727. La Repubblica di Lituania fa anzitutto valere, ancorché nell’ambito di un motivo diverso da quello vertente sulla violazione del principio di proporzionalità, argomenti relativi alla violazione di tale principio a causa dell’assenza di una valutazione d’impatto (444), che devono essere esaminati qui. Essa afferma che né la Commissione, né il Consiglio, né il Parlamento avrebbero proceduto a una valutazione d’impatto della modifica introdotta dall’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055. Una misura siffatta non sarebbe stata inclusa nella proposta iniziale della Commissione, in quanto il periodo di attesa sarebbe stato aggiunto soltanto durante il procedimento legislativo, il che avrebbe costituito una modifica sostanziale della proposta della Commissione che imponeva di procedere a una nuova valutazione d’impatto (445).

728. Per quanto riguarda la proporzionalità della misura stessa, in primo luogo, la Repubblica di Lituania sostiene di nuovo che la disposizione sarebbe contraria alla politica dell’Unione in materia di tutela dell’ambiente e al Green Deal europeo, tenuto conto dell’aumento del numero di tragitti a vuoto che deriverebbe dall’obbligo di osservare un periodo di attesa di quattro giorni. In secondo luogo, l’articolo 8, paragrafo 2 bis, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, sarebbe incompatibile con il mercato unico e con il mercato dei servizi di trasporto in quanto comporterebbe una frammentazione del mercato, discriminerebbe indirettamente gli Stati membri periferici e di piccole dimensioni e non avrebbe tenuto conto del significativo deterioramento della loro situazione economica. In terzo luogo, la Commissione aveva individuato nella sua valutazione d’impatto una difficoltà legata alla formulazione imprecisa e alla mancanza di chiarezza delle disposizioni relative al cabotaggio vigenti prima dell’adozione del regolamento 2020/1055. Tuttavia, dopo avere respinto la disposizione proposta dalla Commissione, il Consiglio e il Parlamento non avrebbero fornito alcun elemento complementare atto a giustificare la scelta di tale misura piuttosto che di quella proposta dalla Commissione. L’obiettivo di adeguare le norme relative al cabotaggio e di migliorare il controllo della loro applicazione dovrebbe essere raggiunto mediante misure che non comportino né la creazione di ostacoli artificiali alla prestazione di servizi di trasporto, né un aumento ingiustificato dell’onere amministrativo e finanziario gravante sulle imprese.

729. Sebbene si debba riconoscere l’esistenza di un ampio potere discrezionale del legislatore, la libertà del legislatore dell’Unione non sarebbe né assoluta né illimitata. Se è vero che il legislatore può, ai sensi del punto 15 dell’accordo interistituzionale, decidere di effettuare una valutazione d’impatto qualora lo ritenga opportuno e necessario, tuttavia tale valutazione dovrebbe essere motivata da dati oggettivamente esistenti, per garantire che il legislatore non abusi del suo potere discrezionale adottando misure infondate, cosa che il Consiglio e il Parlamento non sarebbero riusciti a dimostrare.

730. La Repubblica di Bulgaria sostiene che l’obbligo enunciato all’articolo 8, paragrafo 2 bis, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, violerebbe il principio di proporzionalità sancito all’articolo 5, paragrafo 4, TUE e all’articolo 1 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. A suo avviso, il Parlamento e il Consiglio non avrebbero avuto a disposizione analisi economiche o altri dati che potessero confermare la proporzionalità del suddetto obbligo, il quale non faceva parte della proposta iniziale della Commissione. Esso non sarebbe quindi stato oggetto di una valutazione d’impatto, nonostante le ripetute richieste di alcuni Stati membri e gli elementi portati a conoscenza del Parlamento e del Consiglio quanto all’impatto sproporzionato di tale misura. Non sarebbe stata effettuata alcuna consultazione con il CdR o il CESE. I convenuti non sarebbero quindi in grado di dimostrare di avere effettivamente esercitato il loro potere discrezionale nell’adozione di un atto o di aver potuto prendere in considerazione tutti gli elementi e le circostanze rilevanti della situazione che detto atto è inteso a disciplinare. La valutazione d’impatto della Commissione del 2017 (446) fatta valere dalle istituzioni convenute non sarebbe idonea a dimostrare il carattere proporzionato del periodo di attesa, in quanto da tale valutazione risulterebbe che una misura siffatta è stata esclusa non per ragioni inerenti alla sua fattibilità tecnica, ma perché non sarebbe stato riconosciuto che essa contribuisse direttamente a risolvere le disfunzioni individuate allora.

731. Inoltre, secondo il considerando 20 del regolamento 2020/1055, il periodo di attesa dovrebbe mantenere il livello di liberalizzazione raggiunto finora, il che non avverrebbe in quanto vengono imposti nuovi limiti al cabotaggio, contrariamente a quanto raccomandava la Commissione. Secondo il considerando 21 di detto regolamento, i trasporti di cabotaggio contribuirebbero ad aumentare il fattore di carico dei veicoli e a ridurre il numero di percorsi a vuoto. Tuttavia, il periodo di attesa introdotto all’articolo 8, paragrafo 2 bis, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, avrebbe l’effetto opposto. Il suddetto considerando sottolineerebbe inoltre l’obiettivo di garantire l’effettività della sede in quanto il regolamento 2020/1055 è volto a contrastare le società di comodo. Tuttavia, l’organizzazione di un sistema di conducenti nomadi a partire da un’impresa presso la quale i veicoli non ritornano potrebbe essere tenuta distinta da tali pratiche fraudolente o abusive, giacché la realtà economica dei servizi di trasporto è caratterizzata da un livello elevato di mobilità. La restrizione di tale attività che deriverebbe dall’attuazione dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane non contribuirebbe affatto a un obiettivo legittimo, ma metterebbe in discussione l’essenza stessa della realtà economica e del mercato comune dei trasporti. Un obbligo siffatto costringerebbe addirittura alcune imprese di trasporto stabilite in Stati membri periferici o insulari a trasferirsi in uno Stato membro più centrale o in un paese terzo. I requisiti di cui all’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009 sarebbero già sufficienti a garantire il carattere stabile ed effettivo della sede e la limitazione del numero di trasporti di cabotaggio a tre nell’arco di sette giorni avrebbe consentito di evitare che il trasportatore esercitasse un’attività permanente e continuativa nel territorio dello Stato membro in cui si svolge il cabotaggio. Il periodo di attesa non sarebbe né pertinente né necessario, tenuto conto della natura intrinsecamente transitoria del cabotaggio e dell’obiettivo di liberalizzazione. La Repubblica di Bulgaria sostiene che le restrizioni in materia di cabotaggio sono state abolite nel 1993 per quanto riguarda il trasporto aereo, il che avrebbe comportato un aumento delle retribuzioni percepite dai piloti. L’evoluzione normativa dovrebbe essere orientata verso una maggiore liberalizzazione. Secondo la Repubblica di Bulgaria, il periodo di attesa costituirebbe una misura protezionistica e il suo effetto sul mercato sarebbe negativo (447). I conducenti che effettuano trasporti di cabotaggio sarebbero considerati distaccati, cosicché una maggiore liberalizzazione non dovrebbe destare timori in termini di coesione sociale. I trasporti di cabotaggio rappresenterebbero peraltro una percentuale molto modesta del trasporto nazionale e nessun elemento oggettivo indicherebbe quindi un impatto considerevole sull’occupazione degli autisti nel caso in cui fossero applicate meno restrizioni (448). Infine, le conseguenze negative per l’ambiente derivanti dal periodo di attesa supererebbero gli attesi effetti positivi della misura.

732. La Romania sostiene che l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 (449) non soddisfa i requisiti del principio di proporzionalità. In primo luogo, essa svolge riguardo a detta disposizione un argomento analogo a quello sviluppato riguardo all’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane con riferimento all’assenza di una valutazione d’impatto (450).

733. In secondo luogo, la Romania sostiene che la restrizione aggiuntiva introdotta dall’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 non sarebbe né adeguata né necessaria alla realizzazione dell’obiettivo perseguito e non sarebbe la misura meno restrittiva che potesse essere scelta. La sua applicazione causerebbe un pregiudizio sproporzionato rispetto agli obiettivi perseguiti.

734. Per quanto riguarda l’obiettivo perseguito, esso risulterebbe dai considerando 20 e 21 del regolamento 2020/1055. Tuttavia, l’articolo 2, punto 4, lettera a), di tale regolamento costituirebbe un regresso rispetto all’attuale livello di liberalizzazione del mercato e potrebbe determinare grossi squilibri nell’organizzazione delle catene logistiche delle imprese di trasporto, aumentare i periodi di inattività e il numero di tragitti a vuoto nonché ridurre l’efficienza della catena di approvvigionamento, come avrebbe constatato la relazione della Commissione sullo stato del mercato del trasporto stradale. I trasporti di cabotaggio verrebbero ridotti del 30%, secondo un’analisi citata da una relazione dell’Istituto Transport & Mobility Leuven (451). Per quanto attiene al settore dei trasporti rumeno, sarebbe previsto un aumento del 5% dei tragitti a vuoto a causa della restrizione supplementare (452). In tali circostanze, l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 non contribuirebbe all’obiettivo di aumentare il fattore di carico dei veicoli e di ridurre i percorsi a vuoto.

735. Per quanto riguarda l’obiettivo di garantire che i trasporti di cabotaggio non siano effettuati in modo tale da costituire un’attività permanente o continuativa, da varie analisi risulterebbe che il cabotaggio illegale rappresenta lo 0,56% dell’attività complessiva di cabotaggio a livello dell’Unione ma continuerebbe a interessare maggiormente taluni paesi, in percentuali comprese tra quasi 0 e il 6,4% (453). Il cabotaggio illegale non deriverebbe dall’apertura del mercato, bensì dalle divergenze nell’applicazione e nel controllo del rispetto della normativa esistente da parte degli Stati membri. Un’azione legislativa diretta a conseguire questo obiettivo avrebbe potuto consistere nel chiarire e facilitare l’applicazione delle norme esistenti eliminando le restrizioni o migliorando l’efficacia del controllo. L’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 sarebbe manifestamente inadeguato e la scelta normativa manifestamente errata.

736. Detta disposizione non costituirebbe nemmeno una misura necessaria e sarebbe ingiustificata a motivo del suo impatto negativo in particolare sulle imprese degli Stati membri situati alla periferia dell’Unione (454), dell’aumento dei costi operativi, dell’accesso limitato al mercato dei trasporti, della riduzione del numero di trasportatori e della delocalizzazione delle imprese verso gli Stati occidentali. Questi effetti sarebbero amplificati dalla coesistenza dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 con l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane. Per quanto riguarda più in particolare il settore dei trasporti rumeno, che rappresenta un terzo di tutte le esportazioni rumene di servizi, il 46% del surplus totale del commercio estero di servizi e il 77% di tutte le esportazioni di servizi di trasporto provenienti dal settore del trasporto di merci su strada, la Romania si richiama alle stime dell’analisi effettuata dall’UNTRR per concludere che vi saranno un aumento dei costi operativi e una riduzione delle entrate, un’intensificazione della crisi dei conducenti professionisti, un rischio di cessazione dell’attività per l’8% delle imprese, il rischio che il 5% delle imprese si ritirino dal mercato del trasporto internazionale, un aumento delle emissioni di CO2, una riduzione del numero di occupati e inutili oneri amministrativi supplementari. Tali conseguenze sarebbero ancora più gravi in quanto l’analisi dell’UNTRR è precedente alla pandemia di COVID‑19. La nuova restrizione in materia di trasporti di cabotaggio inciderebbe indirettamente su una parte molto più rilevante delle economie degli Stati membri dell’Europa centrale e orientale rispetto alle economie degli Stati membri dell’Europa occidentale e colpirebbe maggiormente, nell’ambito dei primi, le PMI. Tali conseguenze supererebbero di gran lunga gli attesi effetti positivi della menzionata disposizione e contrasterebbero con gli obiettivi del Libro bianco del 2011 «Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti – Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile» (455). La Romania sostiene inoltre che l’adozione dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 sarebbe sproporzionata rispetto al numero considerevole di Stati membri pregiudicati dalle misure in parola e rispetto all’intensità degli effetti negativi sulla situazione dei cittadini e dei trasportatori stabiliti nei suddetti Stati.

737. Peraltro, il Consiglio e il Parlamento non avrebbero descritto il cabotaggio sistematico in termini simili e il carattere illecito di tale comportamento non sarebbe dimostrato. Il cabotaggio sistematico sarebbe una conseguenza connessa al gran numero di operazioni di cabotaggio effettuate dai trasportatori dell’UE‑13 in ragione della struttura stessa del mercato, ma tali operazioni non costituirebbero un fattore negativo che imponga l’adozione di misure restrittive. Le operazioni di cabotaggio sarebbero state inizialmente concepite come tipi di operazioni che contribuiscono allo sviluppo del settore, alla crescita economica e all’efficienza dei trasporti. Le operazioni di cabotaggio che comportano una presenza più prolungata del veicolo nel territorio dello Stato membro ospitante soddisferebbero una domanda effettiva. In ogni caso, un numero elevato di operazioni di cabotaggio non potrebbe essere equiparato alla perdita del carattere temporaneo in quanto tali operazioni vengono effettuate nel rispetto delle restrizioni, sufficienti, esistenti (un’operazione ogni tre giorni o tre operazioni ogni sette giorni). Senza un’analisi della reale incidenza del cabotaggio sistematico e senza averne accertato la natura sistemica, non si potrebbe sostenere che il periodo di attesa soddisfi l’esigenza di una regolamentazione equilibrata a livello dell’Unione, i cui vantaggi superino gli inconvenienti causati. L’esiguo livello di cabotaggio illegale (0,56%) non giustificherebbe né la necessità di una regolamentazione in eccesso, né l’adozione di ulteriori restrizioni. Contrariamente all’obiettivo di facilitare e chiarire l’attuazione delle norme, la misura creerebbe difficoltà ai trasportatori in termini di messa in conformità e di prova.

738. La Repubblica di Malta sostiene che l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 violerebbe il principio di proporzionalità in quanto non sarebbe la misura meno restrittiva per raggiungere l’obiettivo perseguito. Tale disposizione, inoltre, pregiudicherebbe gravemente i trasportatori maltesi. Il periodo di attesa non sarebbe la misura meno restrittiva disponibile in relazione all’obiettivo individuato al considerando 21 del suddetto regolamento. La Repubblica di Malta suggerisce che l’articolo 2, paragrafo 5, della proposta della Commissione non avrebbe comportato la grave limitazione della capacità dei trasportatori di organizzare la loro logistica e di garantire il corretto funzionamento della loro flotta sul continente che comporterebbe l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055. Essa sottolinea che i trasportatori internazionali maltesi opererebbero sul continente in quanto non sono costretti a trasportare i veicoli via mare a Malta. Sul continente, essi si avvarrebbero della loro libertà di circolazione senza avere alcuno specifico legame permanente o duraturo con altri Stati membri, come ad esempio l’Italia. L’assenza fisica da Malta dei veicoli dei trasportatori maltesi sarebbe dovuta esclusivamente alla situazione insulare di tale Stato membro. L’alternativa proposta dalla Commissione, secondo cui l’ultimo scarico nel corso di un trasporto di cabotaggio avviene entro cinque giorni dall’ultimo scarico effettuato nello Stato membro ospitante nell’ambito di un trasporto internazionale a destinazione di detto Stato, consentirebbe di raggiungere gli stessi obiettivi perseguiti dal regolamento 2020/1055 senza tuttavia obbligare i trasportatori maltesi ad interrompere artificialmente e regolarmente tutte le loro operazioni, senza un obiettivo chiaro e ragionevole, durante il periodo di attesa di quattro giorni. Le particolarità geografiche dei territori insulari non sarebbero state prese in considerazione. La valutazione ex post del regolamento n. 1072/2009 non potrebbe sostituire una valutazione d’impatto del periodo di attesa, tanto più in quanto alcune affermazioni in essa contenute sarebbero state successivamente contraddette, in particolare per quanto riguarda la limitazione dei costi supplementari determinati da un chiarimento delle disposizioni relative al cabotaggio. In assenza di una valutazione d’impatto, il legislatore dell’Unione non avrebbe dimostrato perché il periodo di attesa sarebbe più adeguato, sebbene sia manifestamente più restrittivo, rispetto alla misura inizialmente proposta dalla Commissione che, secondo la valutazione d’impatto, avrebbe consentito di ridurre del 20% l’attività di cabotaggio. La Repubblica di Malta non sa ancora in quale misura sarebbe stato garantito l’equilibrio tra i diversi interessi in gioco. Il periodo di attesa sarebbe stato introdotto tardivamente durante il procedimento legislativo, malgrado l’assenza di una valutazione d’impatto, nonostante il fatto che gli Stati membri si siano regolarmente opposti all’adozione di tale misura e senza che le istituzioni convenute abbiano mai consultato o dialogato con la Repubblica di Malta.

739. La Repubblica di Polonia sostiene che l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 introdurrebbe un’ulteriore limitazione in materia di fornitura di servizi di cabotaggio che si baserebbe su criteri arbitrari, non sarebbe giustificata dagli obiettivi perseguiti da tale regolamento e avrebbe conseguenze negative che prevarrebbero ampiamente sugli attesi effetti positivi.

740. Secondo la Repubblica di Polonia, esisterebbe già una base giuridica sufficiente, costituita dall’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1072/2009 prima della sua modifica, per evitare che l’attività di trasporto di cabotaggio venga svolta in modo permanente e continuativo, sicché l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 andrebbe oltre l’obiettivo menzionato al considerando 21 di detto regolamento. Dall’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1072/2009 risulterebbe già che la fornitura di cabotaggio è esclusa se il veicolo entra nel territorio dello Stato membro ospitante durante un’operazione di trasporto internazionale a vuoto. Tale disposizione sarebbe sufficiente ad evitare che i trasporti di cabotaggio siano effettuati in modo tale da costituire un’attività permanente e continuativa nello Stato membro interessato. Senza una giustificazione in relazione all’obiettivo di cui trattasi, l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 inasprirebbe in modo sproporzionato i requisiti del cabotaggio e deriverebbe dalla volontà del legislatore dell’Unione di limitare i trasporti di cabotaggio in quanto tali, più che il loro abuso. Detta limitazione non sarebbe giustificata nemmeno rispetto ai vantaggi del cabotaggio e al suo contributo al miglioramento dell’efficienza dei trasporti ricordato al considerando 21 del regolamento 2020/1055. La restrizione al cabotaggio non sarebbe giustificata neppure rispetto alle notevoli conseguenze negative che essa avrebbe sull’occupazione, sulle infrastrutture e sull’ambiente, segnatamente a causa dell’aumento del numero di trasporti a vuoto che comporterebbe. Non si potrebbe precisare l’effettiva entità di detto aumento in quanto la valutazione d’impatto non avrebbe preso in considerazione un’analisi siffatta. Il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto neanche della struttura particolare del mercato dei trasportatori, costituito essenzialmente da PMI situate alla periferia dell’Unione, le quali subirebbero interamente l’aumento dei costi determinato dalla limitazione del trasporto di cabotaggio operata dall’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 e sarebbero quindi più esposte al rischio di fallimento. L’aumento dei costi operativi avrebbe inoltre l’effetto di aumentare il prezzo delle merci.

741. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tali motivi.

2)      Analisi

i)      Sull’esame da parte del legislatore dell’Unione della proporzionalità del periodo di attesa tra due periodi di cabotaggio

742. Come già ricordato, l’esercizio effettivo del potere discrezionale del legislatore dell’Unione presuppone che siano presi considerazione tutti gli elementi e le circostanze rilevanti della situazione che l’atto adottato è inteso a disciplinare. Per quanto riguarda l’esame da parte del legislatore dell’Unione della proporzionalità del periodo di attesa tra due periodi di cabotaggio, si impone un richiamo storico.

743. A termini dell’articolo 91, paragrafo 1, lettera b), TFUE, il legislatore dell’Unione, nell’attuazione della politica comune dei trasporti, deve stabilire «le condizioni per l’ammissione di vettori non residenti ai trasporti nazionali in uno Stato membro». Tali condizioni, fino ad allora definite dal regolamento (CEE) n. 3118/93 (456), sono state modificate dal regolamento n. 1072/2009, il cui considerando 15 definisce i trasporti di cabotaggio come la «fornitura di servizi da parte di trasportatori all’interno di uno Stato membro in cui questi non sono stabiliti» e li autorizza, in linea di principio, «a condizione che non siano effettuati in modo da costituire un’attività permanente o continua all’interno di tale Stato membro» (457). A tal fine, la frequenza dei trasporti di cabotaggio e il periodo per il quale essi possono essere effettuati sono stati definiti più chiaramente dal regolamento n. 1072/2009; il legislatore sottolineava già allora la difficoltà di determinare e garantire il carattere temporaneo della fornitura di tali servizi (458). Infatti, come ricordato dal Consiglio, questa difficoltà aveva già richiesto, sotto la vigenza del regolamento n. 3118/93, l’adozione da parte della Commissione di una comunicazione interpretativa sul carattere temporaneo del cabotaggio stradale nel trasporto di merci (459). L’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1072/2009 ha quindi limitato i trasporti di cabotaggio a un periodo di sette giorni successivo al trasporto internazionale e a tre prestazioni di servizio «nazionale» in detto periodo.

744. Il regolamento n. 1072/2009 è stato oggetto di una valutazione ex post (460) che ha consentito di identificare il cabotaggio sistematico, consistente nel fatto che l’attività di un’impresa straniera è svolta per la maggior parte del tempo in un altro paese dell’Unione, sempre che il trasportatore effettui un trasporto internazionale ogni settimana, come conseguenza inattesa e non voluta del regolamento n. 1072/2009 (461). Detta analisi ha rilevato che la definizione del cabotaggio temporaneo fornita dal regolamento n. 1072/2009 non consentiva di escludere il cabotaggio sistematico (462).

745. Come ricordato dalle istituzioni convenute, da tali elementi ben noti al legislatore dell’Unione al momento dell’adozione del regolamento 2020/1055 risulta che il regime istituito dal regolamento n. 1072/2009 per il cabotaggio non aveva consentito di garantire sufficientemente il carattere temporaneo dei servizi di cabotaggio.

746. Tali elementi sono stati debitamente presi in considerazione dalla Commissione nell’ambito della sua valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, che forniva anche un’analisi dell’evoluzione dei trasporti di cabotaggio dal punto di vista quantitativo e geografico. In detta analisi, la Commissione ha peraltro stabilito un nesso tra l’aumento dei trasporti di cabotaggio e il carattere sistematico, o illecito, di questi trasporti e i rischi per la concorrenza leale tra vettori residenti e vettori non residenti (463). Sebbene la Commissione abbia infine optato, nella sua proposta, per una riduzione del periodo durante il quale i trasporti di cabotaggio, successivi a un trasporto internazionale, erano consentiti e per la soppressione dell’indicazione del numero massimo di trasporti di cabotaggio che potevano essere effettuati durante detto periodo (464), rilevo, concordemente con il Consiglio e con il Parlamento, che la Commissione aveva anche preso in considerazione la possibilità di modificare l’articolo 8 del regolamento n. 1072/2009 introducendo un periodo di attesa tra due periodi di cabotaggio, prima di escludere tale possibilità in ragione dei dubbi che essa nutriva in ordine alla sua fattibilità politica e tecnica (465), dubbi che il legislatore dell’Unione poteva non condividere. Inoltre, la Commissione affermava di non avere individuato particolari problemi che una misura siffatta avrebbe posto in termini di proporzionalità (466) e, successivamente, ha infine riconosciuto che l’articolo 8, paragrafo 2 bis, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, «dovrebbe migliorare l’applicabilità delle norme sul cabotaggio rispetto alla situazione attuale» (467).

747. Da quanto precede risulta quindi che, al momento dell’adozione dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055, il legislatore dell’Unione disponeva di elementi sufficienti per poter valutare la proporzionalità di tale obbligo rispetto all’obiettivo che intendeva perseguire, circostanza che il Consiglio e il Parlamento hanno sufficientemente dimostrato dinanzi alla Corte. Le censure relative alla violazione del principio di proporzionalità per mancanza di una valutazione d’impatto o per insufficienza della base documentale di cui disponeva il legislatore al momento dell’esercizio del suo potere discrezionale devono quindi essere respinte in quanto infondate.

ii)    Sul carattere proporzionato del periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato

748. Il rispetto del principio di proporzionalità richiede che l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 sia idoneo a realizzare l’obiettivo perseguito da tale regolamento e non ecceda i limiti di quanto necessario per il raggiungimento di detto obiettivo, fermo restando che il legislatore dell’Unione è tenuto a ricorrere alla misura adeguata meno restrittiva e che gli inconvenienti causati non devono essere sproporzionati rispetto allo scopo previsto. In virtù dell’ampio potere discrezionale riconosciuto al legislatore dell’Unione nei settori in cui esso è chiamato ad effettuare operazioni e valutazioni complesse, potrà essere censurata soltanto la manifesta inadeguatezza della menzionata disposizione.

749. Per quanto riguarda l’obiettivo perseguito, ricordo che l’articolo 2, punto 4, lettera c), del regolamento 2020/1055 ha precisato le condizioni del regime di cabotaggio preesistenti che risultavano dal regolamento n. 1072/2009 in ragione dei suoi limiti e delle conseguenze inattese e indesiderate che ne derivavano. A termini del considerando 20 del regolamento 2020/1055, il legislatore dell’Unione ha inteso chiarire, semplificare e rendere di facile esecuzione l’osservanza delle norme sui trasporti nazionali effettuati a titolo temporaneo da trasportatori non residenti in uno Stato membro ospitante, «mantenendo nel contempo il livello di liberalizzazione raggiunto finora». Il considerando 21 di detto regolamento, dal canto suo, ricorda che i trasporti di cabotaggio «dovrebbero essere consentiti nella misura in cui non sono effettuati in modo da costituire un’attività permanente o continuativa all’interno dello Stato membro interessato» e che, per garantire che ciò non avvenga, «i trasportatori non dovrebbero essere autorizzati a effettuare trasporti di cabotaggio nello stesso Stato membro nell’arco di un certo periodo dal termine di un periodo di trasporti di cabotaggio». Da un lato, i trasporti di cabotaggio non sono pienamente liberalizzati. Dall’altro, occorre definire condizioni precise affinché la fornitura di tali trasporti rimanga temporanea, il che è esattamente quanto l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 ha inteso garantire. Al pari del Consiglio e del Parlamento, ricordo che la Corte ha già avuto occasione di sottolineare il carattere necessariamente temporaneo delle attività di cabotaggio (468).

750. Il Parlamento ha illustrato i motivi per i quali, secondo il legislatore, nell’esercizio del suo ampio potere discrezionale, i trasporti di cabotaggio dovevano ancora essere soggetti a restrizioni. Basandosi sulla valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, detta istituzione ha affermato nelle sue memorie che il mercato del cabotaggio è caratterizzato da un aumento significativo delle operazioni di cabotaggio effettuate dai trasportatori dell’UE‑13 essenzialmente negli Stati membri dell’UE‑15. Tale aumento risulta legato al fatto che i trasportatori degli Stati membri con bassi costi operativi dispongono di un vantaggio competitivo rispetto ai trasportatori cittadini dell’UE‑15, i quali devono rispettare una legislazione più stringente e sostenere costi operativi più elevati. Il carattere temporaneo del cabotaggio deve quindi essere mantenuto e garantito al fine di proteggere i trasportatori dell’UE‑15 da una concorrenza iniqua. Pertanto, il legislatore dell’Unione ha operato la scelta politica di rafforzare i requisiti del cabotaggio temporaneo, perseguendo il giusto equilibrio tra l’accesso al mercato nazionale dei trasporti nazionali per i trasportatori non residenti e la protezione dei trasportatori nazionali esposti a costi operativi più elevati.

751. Per quanto riguarda il carattere necessario e adeguato del periodo di attesa tra due periodi di cabotaggio, si deve tenere conto, come hanno fatto valere il Consiglio e il Parlamento, del fatto che dai dati di cui disponeva il legislatore dell’Unione emergeva che l’articolo 8 del regolamento n. 1072/2009 aveva potuto in definitiva consentire ai trasportatori non residenti di organizzare le loro operazioni in modo tale da garantire una presenza permanente o continuativa nello Stato membro ospitante (469). Un’applicazione siffatta di detta disposizione collocava tali trasporti in una «zona grigia», come la definisce il Parlamento, ed era manifestamente in contrasto con l’obiettivo perseguito già sottolineato dai considerando 13 e 15 del regolamento n. 1072/2009.

752. A questo proposito, il Consiglio ricorda che, nella comunicazione interpretativa della Commissione sul carattere temporaneo del cabotaggio stradale nel trasporto di merci (470), la Commissione indicava quattro criteri per garantire tale carattere, vale a dire la durata, la frequenza, la periodicità e la continuità. Il Consiglio spiega che il regolamento n. 1072/2009 disciplinava la durata del servizio, in quanto il cabotaggio poteva essere effettuato per una durata di sette giorni. Era determinata anche la frequenza dei trasporti di cabotaggio durante detto periodo, ma non la frequenza di tali periodi di sette giorni. Il legislatore, nell’esercizio del suo ampio potere discrezionale, ha quindi ritenuto, senza incorrere in un errore manifesto di valutazione, che consentire a un trasportatore di iniziare un nuovo periodo di sette giorni durante il quale sarebbero stati consentiti tre trasporti di cabotaggio subito dopo la fine di un periodo del genere limitasse l’efficacia del regime di cabotaggio e fosse in contrasto con il carattere temporaneo dei trasporti di cabotaggio che esso intendeva continuare a garantire. L’obbligo di osservare un periodo di «cool‑off» durante il quale non può essere svolta alcuna attività di cabotaggio appare idoneo a realizzare l’obiettivo perseguito, ossia garantire il carattere temporaneo dei trasporti di cabotaggio.

753. Per quanto riguarda il carattere necessario, sia la valutazione ex post del regolamento n. 1072/2009 sia la valutazione d’impatto – capitolo stabilimento sono state fatte valere dal Consiglio e dal Parlamento per mettere in luce le principali caratteristiche del mercato dei trasporti di cabotaggio e individuare i problemi relativi al cabotaggio sistematico, in quanto i trasporti di cabotaggio non sono oggetto di una liberalizzazione totale, bensì devono essere organizzati alle condizioni definite dal legislatore dell’Unione, come previsto dall’articolo 91, paragrafo 1, lettera b), TFUE. Rientra quindi nell’ampio potere discrezionale del legislatore considerare il suo intervento necessario per contenere le pratiche abusive di alcuni trasportatori, basate sul carattere impreciso o incompleto della normativa esistente e che minacciano la concorrenza leale, dato che i trasportatori residenti si trovano ad affrontare la presenza non più temporanea ma permanente dei vettori non residenti sul mercato dei trasporti nazionali.

754. La durata del periodo di attesa imposta attualmente (quattro giorni) non risulta eccessiva, in quanto il Consiglio spiega che esso deve essere dedicato all’organizzazione di trasporti internazionali che costituiscono il presupposto necessario di qualsiasi operazione di cabotaggio, essendo quest’ultima autorizzata solo perché collegata ai primi. Nella valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, la Commissione aveva ritenuto che i trasportatori potessero ancora effettuare 3,33 periodi di sette giorni durante i quali i trasporti di cabotaggio sono autorizzati, ma limitati, per ogni periodo di 30 giorni (471). Il Consiglio ritiene che l’obbligo di osservare un periodo di attesa di quattro giorni dovrebbe ridurre tale cifra a tre periodi di sette giorni per ogni periodo di 29 giorni (472). Le attività di trasporto di cabotaggio rimangono quindi possibili.

755. Inoltre, dalla formulazione dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 emerge chiaramente che durante il periodo di attesa di quattro giorni sono vietati solo i trasporti di cabotaggio, il che è coerente con l’obiettivo perseguito. I trasportatori non sono tenuti a immobilizzare i loro veicoli durante tale periodo né a fermare le loro attività. Essi devono solo dedicare i suddetti quattro giorni a tipi di trasporto diversi dal trasporto di cabotaggio, sicché l’ingerenza del legislatore dell’Unione nell’organizzazione da parte dei trasportatori delle loro attività non appare, contrariamente a quanto sostenuto dalle ricorrenti, di entità tale che l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 risulterebbe sproporzionato.

756. Per quanto riguarda l’esistenza di misure alternative meno restrittive, il suggerimento della Repubblica di Bulgaria relativo all’articolo 5 del regolamento n. 1071/2009 non può essere accolto, in quanto l’obiettivo perseguito è quello di garantire il carattere stabile ed effettivo della sede. La Repubblica di Bulgaria suggerisce inoltre una liberalizzazione totale dei servizi di trasporto di cabotaggio alla luce di quanto è già stato fatto nel settore aereo. In primo luogo, le normative che disciplinano un settore nel quale opera una specifica modalità di trasporto non sono trasponibili, per il solo fatto che si tratta di un settore relativo ai trasporti, alle altre modalità di trasporto, in quanto ogni mercato è caratterizzato da elementi ad esso propri (473). In secondo luogo, alla luce delle informazioni contenute in particolare nella valutazione d’impatto, è difficile comprendere perché la liberalizzazione totale sarebbe idonea a garantire che gli interessi dei trasportatori dell’UE‑15 siano presi in considerazione allo stesso modo di quelli dell’UE‑13 (474). In terzo luogo, il grado di liberalizzazione dei trasporti di cabotaggio è espressione di una scelta politica, che rientra nell’ampio potere discrezionale del legislatore. Infine, in quarto luogo, suggerire la liberalizzazione totale del settore come misura alternativa al periodo di attesa tra due periodi di cabotaggio equivale, di fatto, a mettere in discussione l’essenza stessa del regime di cabotaggio definito dal regolamento n. 1072/2009 e a contestare il carattere temporaneo del cabotaggio.

757. La Romania suggerisce di migliorare l’efficacia dei controlli dei limiti esistenti alla prestazione dei servizi di cabotaggio. Tuttavia, come rilevato dal Consiglio e dal Parlamento, poiché il cabotaggio sistematico rientra in una zona grigia nata dall’insufficiente precisione del regolamento n. 1072/2009, un rafforzamento dei controlli non sarebbe idoneo a conseguire con la medesima efficacia l’obiettivo di un chiarimento, anche per le autorità preposte al controllo, del carattere temporaneo del cabotaggio.

758. La Repubblica di Malta sostiene che si sarebbe dovuto seguire la proposta della Commissione. Tuttavia, detta proposta consisteva nel ridurre a cinque giorni il periodo durante il quale i trasporti di cabotaggio sono consentiti e nel sopprimere la precisazione relativa al numero di trasporti di cabotaggio che possono essere effettuati durante tale periodo. Una modifica siffatta non avrebbe impedito ai trasportatori di concatenare i periodi di cabotaggio e non avrebbe permesso di contrastare il cabotaggio sistematico, e non sarebbe quindi stata idonea a perseguire l’obiettivo previsto.

759. Infine, l’argomento della Repubblica di Polonia secondo cui l’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1072/2009 sarebbe sufficiente allo stato deve essere respinto in quanto manifestamente non tiene conto delle difficoltà relative al cabotaggio sistematico individuate in particolare nella valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, e in quanto rientra nell’ampio potere discrezionale del legislatore dell’Unione decidere quando sia necessario il suo intervento.

760. Pertanto, le ricorrenti non hanno dimostrato l’esistenza di misure alternative meno restrittive.

761. Per quanto riguarda gli inconvenienti causati dall’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055, ricordo, al pari delle istituzioni convenute, che l’unico aspetto del regime di cabotaggio esaminato finora è quello relativo all’obbligo di osservare un periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio, sicché qualsiasi argomento inteso ad estendere la discussione alle restrizioni al cabotaggio previste dall’articolo 8 del regolamento n. 1072/2009 prima della sua modifica da parte del regolamento 2020/1055 deve essere considerato irricevibile. Occorre quindi interrogarsi qui esclusivamente sull’impatto ambientale, economico e sociale del solo periodo di attesa.

762. Dal punto di vista ambientale, come ricordato sopra, l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 impone ai trasportatori di non organizzare trasporti di cabotaggio durante detto periodo, ma non disciplina in altro modo l’utilizzo o il non utilizzo dei veicoli durante tale periodo. Dal testo della menzionata disposizione non emerge un obbligo di ritorno allo Stato membro di stabilimento. L’obbligo di uscire dal territorio dello Stato membro ospitante prima dell’inizio di un nuovo periodo di cabotaggio successivo a un trasporto internazionale deriva, dal canto suo, dal regime esistente istituito dal regolamento n. 1072/2009.

763. Alcune ricorrenti hanno sostenuto che un’ulteriore restrizione ai trasporti di cabotaggio limiterebbe l’efficacia ambientale di detti trasporti riconosciuta dal considerando 21 del regolamento 2020/1055. La limitazione dei servizi di cabotaggio comporterebbe, a loro avviso, un aumento dei tragitti a vuoto e quindi un aumento ingiustificato, in particolare, delle emissioni di CO2. Tuttavia, tale efficacia non può prevalere su qualsiasi altra considerazione, come esprime bene il considerando 21 affermando esso stesso che i trasporti in parola devono essere consentiti nella misura in cui non costituiscono un’attività permanente o continuativa all’interno dello Stato membro interessato. Inoltre, i trasporti di cabotaggio contribuiscono ad aumentare il fattore di carico dei veicoli e a ridurre i percorsi a vuoto solo nella misura in cui seguono un trasporto internazionale. Come sottolineato dal Consiglio, gli incrementi di efficienza derivanti dal cabotaggio sono generati solo perché detti trasporti sono associati a un tragitto di ritorno. Non è quindi corretto sostenere che il regime istituito dall’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 mette in discussione tali incrementi, giacché esso mantiene, pur precisandolo, l’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1072/2009 e non impone null’altro che un’astensione dal fornire trasporti di cabotaggio per un periodo di quattro giorni dopo il periodo di sette giorni durante il quale detti trasporti sono consentiti. È quindi evidente che l’obbligo di osservare un periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi durante i quali i trasporti di cabotaggio sono consentiti non provoca danni sproporzionati in materia ambientale.

764. La medesima constatazione s’impone per quanto riguarda l’esame delle conseguenze economiche dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055. Dette conseguenze saranno evidentemente più rilevanti per i trasportatori che non si conformavano già alle prescrizioni del regolamento n. 1072/2009 in materia di cabotaggio, come sembra accadere, ad esempio, nel caso dei trasportatori maltesi, quale illustrato nelle memorie della Repubblica di Malta. Esse non traggono quindi origine dal nuovo obbligo sancito dal regolamento 2020/1055, bensì derivano dalla scelta economica degli operatori di effettuare operazioni di cabotaggio sistematico nonostante il chiaro riferimento al carattere temporaneo di tali attività già contenuto nell’articolo 2, punto 6, del regolamento n. 1072/2009 e dalla necessità, sottolineata dal Parlamento, di mettere le loro operazioni in conformità con la normativa dell’Unione. Nemo auditur propriam turpitudinem allegans (nessuno può trarre vantaggio dal proprio comportamento illecito).

765. Inoltre, poiché il periodo di attesa obbliga i trasportatori soltanto a non organizzare trasporti di cabotaggio, detti trasportatori potranno prevedere altri tipi di trasporto in modo da non sospendere l’attività economica per i quattro giorni di durata di tale periodo. Inoltre, la valutazione d’impatto ha stimato che l’eventuale impatto delle misure previste verrebbe trasferito sugli utenti dei servizi di trasporto senza che questo trasferimento incida sul prezzo finale delle merci, di cui il trasporto costituisce, sempre secondo la valutazione d’impatto, solo una minima parte (475).

766. Dal punto di vista sociale, la valutazione d’impatto ha stimato che la riduzione a quattro giorni del periodo durante il quale i trasporti di cabotaggio sono consentiti e l’abolizione del limite massimo di trasporti di cabotaggio consentiti durante tale periodo, proposte dalla Commissione quali misure idonee a comportare una riduzione del 20% delle attività di cabotaggio (476), non avrebbero un impatto rilevante sul livello complessivo dell’attività di trasporto, in quanto detta riduzione delle attività di cabotaggio consentirebbe un riequilibrio a favore dei trasportatori nazionali, mentre i trasportatori che fino ad allora hanno praticato il cabotaggio sistematico riorienterebbero le loro operazioni verso i trasporti nazionali nel loro Stato membro di stabilimento o verso i trasporti internazionali (477). Dalla valutazione d’impatto risulta che nessuna delle misure previste dovrebbe incidere sul numero di posti di lavoro disponibili nel settore del trasporto di merci su strada (478). Tale conclusione può essere trasposta per quanto riguarda l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 in quanto detta disposizione non costituisce una misura più restrittiva rispetto a quella proposta e valutata dalla Commissione.

767. Infine, se l’argomento sviluppato da alcune ricorrenti deve essere interpretato come una critica rivolta al legislatore dell’Unione per non avere tenuto conto della loro situazione particolare, vorrei svolgere tre serie di osservazioni. In primo luogo, secondo costante giurisprudenza, il legislatore dell’Unione non è tenuto a tenere conto della situazione particolare di uno Stato membro allorché l’atto dell’Unione di cui trattasi ha un impatto in tutti gli Stati membri e presuppone che sia garantito un equilibrio tra i diversi interessi in gioco, tenuto conto degli obiettivi perseguiti, e la ricerca di un siffatto equilibrio che non prenda in considerazione la situazione particolare di un solo Stato membro, ma quella dell’insieme degli Stati membri dell’Unione, di per sé, non può essere considerata contraria al principio di proporzionalità (479). In secondo luogo, il legislatore è ancor meno tenuto a tenere conto della situazione particolare di uno Stato membro allorché essa si basa su una flagrante violazione della normativa dell’Unione, come risulta dalla descrizione da parte della Repubblica di Malta delle attività della maggior parte dei suoi trasportatori. In terzo luogo, il regolamento 2020/1055 non ha modificato la condizione secondo cui il periodo di cabotaggio autorizzato inizia solo se vi è prima stato un trasporto internazionale che giustifichi la presenza del veicolo nel territorio dello Stato membro ospitante e termina con una partenza da tale territorio, sicché la questione relativa alla presa in considerazione dell’insularità di Malta è irrilevante nel contesto di un ricorso diretto contro una disposizione introdotta dal regolamento 2020/1055.

768. Da tutte le considerazioni che precedono risulta che le ricorrenti non sono riuscite a dimostrare che l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 sia manifestamente sproporzionato. I motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità devono quindi essere respinti in quanto infondati.

c)      Sui motivi vertenti sulla violazione dellarticolo 91, paragrafo 2, e dellarticolo 94 TFUE

1)      Argomenti delle parti

769. La Repubblica di Lituania sostiene, in primo luogo, che le istituzioni non avrebbero debitamente valutato la situazione del mercato dei trasporti nell’Unione nonché le particolarità geografiche degli Stati membri rilevanti per tale mercato e non avrebbero tenuto in debito conto il deterioramento della situazione economica dei trasportatori che operano dal centro e dalla periferia dell’Unione. Sarebbe dimostrato che l’introduzione del periodo di attesa non avrebbe, ad esempio, alcun effetto sui trasportatori francesi, in quanto la loro quota di trasporto di cabotaggio in tutta l’Unione rappresenta meno dell’1%, a differenza di quanto avviene nel caso dei trasportatori polacchi (che effettuano il 40% dei trasporti di cabotaggio in tutta l’Unione), rumeni (8,8%) o lituani (9,2%). La valutazione d’impatto stima la riduzione del numero di trasporti di cabotaggio al 31% entro il 2035 (480). Ogni giorno di divieto di cabotaggio avrebbe un costo, stimato, ad esempio, in EUR 679 per un trasportatore belga, o in EUR 96 milioni all’anno per il settore belga nel suo complesso. L’introduzione del periodo di attesa avrebbe per effetto l’esclusione dal mercato dei trasportatori degli Stati membri periferici e di piccole dimensioni, la frammentazione del mercato dei trasporti e la chiusura ai trasportatori stabiliti in tali Stati membri.

770. In secondo luogo, la Repubblica di Lituania addebita al Consiglio e al Parlamento di non avere tenuto conto del fatto che l’osservanza di un periodo di attesa tra due periodi di cabotaggio comprometterebbe il tenore di vita e l’occupazione, mettendo a rischio 35 000 posti di lavoro lituani e ampliando il divario tra gli Stati membri economicamente meno sviluppati e quelli più sviluppati situati nell’Europa occidentale, in quanto i primi impiegherebbero più persone nel settore dei trasporti rispetto ai secondi, il che non sarebbe stato contraddetto dal Consiglio e dal Parlamento. Infatti, tali istituzioni avrebbero confermato che l’obiettivo perseguito era proprio quello di ridurre l’attuale volume delle operazioni dei trasportatori stabiliti al centro o alla periferia dell’Unione.

771. La Repubblica di Bulgaria solleva un motivo vertente sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, dell’articolo 90 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, e dell’articolo 94 TFUE, comune all’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane e al periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato. A tale proposito rinvio quindi al paragrafo 659 delle presenti conclusioni per una sintesi degli argomenti sviluppati da detta ricorrente.

772. La Repubblica di Malta, dal canto suo, addebita al Parlamento e al Consiglio di non avere avviato un dibattito in occasione dell’introduzione dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 che potesse esporre il concreto impatto di tale nuovo obbligo sugli Stati insulari come Malta, che dipendono fortemente dalle comunicazioni marittime e da itinerari di trasporto combinato. L’osservanza di detto obbligo avrebbe tuttavia un grave impatto sui trasportatori maltesi, in quanto essi sarebbero obbligati a fermare arbitrariamente le loro attività. Le pesanti conseguenze sarebbero illustrate dalla relazione KPMG (481): appesantimento delle misure logistiche, aumento delle risorse inutilizzate e/o dei tragitti a vuoto e quindi dei costi, pregiudizio all’efficienza delle operazioni e maggiore pressione economica sugli operatori maltesi. Minacciando l’attività del settore dei trasporti internazionali maltese, l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 viola le prescrizioni dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE.

773. La Repubblica di Polonia ritiene che, limitando le operazioni di cabotaggio sulla base di elementi arbitrari senza tenere conto della situazione dei trasportatori stabiliti negli Stati membri periferici dell’Unione, il legislatore dell’Unione abbia violato l’articolo 91, paragrafo 2, TFUE. Essa rinvia agli argomenti sviluppati nell’ambito del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE derivante dall’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane e opera un analogo rinvio per quanto riguarda il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 94 TFUE, al quale rimando.

774. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

2)      Analisi

775. Ricordo che dai paragrafi 281 e seguenti delle presenti conclusioni deriva che l’articolo 91, paragrafo 2, e l’articolo 94 TFUE imponevano al legislatore dell’Unione di tenere conto dei parametri e degli obiettivi specifici da esso perseguiti e presupponevano una ponderazione di tali obiettivi nonché degli interessi in gioco all’atto di adottare l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055. Pertanto, esso doveva tenere conto degli effetti pregiudizievoli sui parametri enunciati da queste due disposizioni (vale a dire, da un lato, il rischio di pregiudicare gravemente il tenore di vita e l’occupazione in talune regioni come pure l’uso delle attrezzature relative ai trasporti e, dall’altro, la situazione economica dei vettori) dell’obbligo di osservare un periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi durante i quali i trasporti di cabotaggio sono consentiti.

776. Dai paragrafi 742 e seguenti delle presenti conclusioni risulta che il legislatore dell’Unione disponeva di dati sufficienti per conoscere la struttura del mercato dei trasporti e dei servizi di cabotaggio e per valutare l’impatto della misura prevista. Come sostenuto in particolare dal Consiglio, il carattere profondamente squilibrato del mercato dei trasporti risulta già chiaramente dalla lettura della prima pagina della valutazione d’impatto. Detta valutazione evidenzia anche gli effetti asimmetrici delle misure proposte (482). Ricordo inoltre che la presenza permanente di un trasportatore non residente sul territorio di uno Stato membro ospitante per fornirvi servizi di trasporto nazionale non è mai stata consentita dal legislatore dell’Unione, il quale, almeno fin dal regolamento n. 1072/2009, ha insistito sul carattere non permanente di tale attività. La censura della Repubblica di Lituania relativa all’assenza di un’adeguata valutazione della situazione del mercato e delle sue particolarità geografiche, la censura della Repubblica di Malta relativa all’assenza di un dibattito e la censura della Repubblica di Polonia relativa al carattere arbitrario degli elementi sui quali si sarebbe basato il legislatore dell’Unione devono essere respinte in quanto infondate.

777. Peraltro, proprio perché la presenza permanente di un trasportatore non residente sul territorio di uno Stato membro ospitante per fornirvi servizi di trasporto nazionale non è mai stata consentita dal legislatore dell’Unione, le gravi conseguenze economiche asserite riguarderanno, di fatto, soltanto i trasportatori che svolgevano un’attività che andava chiaramente oltre le finalità perseguite dal regolamento n. 1072/2009. Inoltre, come osservato dal Consiglio riguardo all’argomento addotto dalla Repubblica di Lituania relativo ai costi supplementari che dovrebbero sopportare i trasportatori belgi, la maggior parte delle gravi conseguenze asserite deriva da una lettura errata dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 secondo la quale durante il periodo di attesa di quattro giorni non sarebbe consentita alcuna attività di trasporto, cosa non vera (483). Analogamente, la stima fornita dalla Commissione, parimenti fatta valere dalla Repubblica di Lituania, di una riduzione del 31% entro il 2035 delle attività di cabotaggio non riguarda l’aggiunta di un periodo di attesa al regime esistente definito dal regolamento n. 1072/2009, bensì, al contrario, l’ipotesi secondo cui il periodo per il quale i trasporti di cabotaggio sono consentiti sarebbe ridotto a quattro giorni (in luogo dei sette giorni sotto la vigenza del regolamento n. 1072/2009) (484).

778. Per quanto riguarda l’asserito pregiudizio al tenore di vita e all’occupazione in talune regioni, le ricorrenti hanno spesso fatto valere la loro situazioni individuale, come nel caso, in particolare, della Repubblica di Malta. Orbene, secondo una giurisprudenza già ampiamente ricordata, il legislatore dell’Unione non è tenuto a prendere in considerazione la situazione particolare di uno Stato membro in quanto deve essere perseguito un equilibrio tra i diversi interessi in gioco (485). Le conseguenze negative connesse all’obbligo di osservare un periodo di attesa di quattro giorni non presentano peraltro alcun nesso con l’insularità di Malta, come ricorda il Parlamento e come ho già rilevato (486).

779. Inoltre, dalle informazioni di cui disponevano il Consiglio e il Parlamento al momento di legiferare risulta che essi hanno potuto considerare, nell’esercizio del loro ampio potere discrezionale in quanto colegislatori, che i costi relativi all’attuazione dell’obbligo di osservare un periodo di attesa di quattro giorni, quand’anche fossero più elevati per i trasportatori situati alla periferia dell’Unione, sarebbero compensati dai vantaggi socioeconomici che ne deriverebbero per l’intera Unione. La modifica sostanziale del modello di prestazione dei servizi di trasporto su strada fatta valere dalla Repubblica di Polonia è precisamente l’effetto perseguito dal legislatore dell’Unione non già per favorire i trasportatori dell’UE‑15, ma per correggere la tendenza del mercato ad operare sulla base di strutture profondamente squilibrate. La valutazione d’impatto ha evidenziato che l’effetto atteso dell’obbligo di modificare il regime di cabotaggio non consiste in una riduzione della domanda di servizi di cabotaggio, bensì in una riorganizzazione dei servizi di trasporto. L’argomento della Repubblica di Polonia relativo a un qualsiasi incitamento all’emigrazione economica forzata deve essere respinto con forza: la delocalizzazione non è altro che l’espressione di una scelta commerciale di un’impresa e l’obbligo di osservare un periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi durante i quali i trasporti di cabotaggio sono consentiti non costituisce in alcun modo un incentivo alla delocalizzazione.

780. Per quanto riguarda la censura della Repubblica di Polonia vertente sulla mancata presa in considerazione del rischio di grave pregiudizio all’uso delle attrezzature relative ai trasporti derivante da un aumento dei tragitti a vuoto che deteriorano le infrastrutture e contribuiscono ad aumentare i comportamenti a rischio, è giocoforza constatare che l’esistenza di un rischio siffatto non è stata dimostrata. Infatti, il nesso di causalità tra l’obbligo di osservare un periodo di attesa di quattro giorni e gli elementi invocati dalla Repubblica di Polonia appare particolarmente tenue e piuttosto ipotetico, dato che spetterà a ciascun trasportatore organizzare le sue attività come desidera (escluse le attività di cabotaggio) durante tale periodo.

781. Infine, per quanto riguarda la censura della Repubblica di Polonia relativa alla mancata presa in considerazione da parte del legislatore dell’Unione della pandemia di COVID‑19, le istituzioni convenute hanno utilmente ricordato, in primo luogo, che l’accordo politico sul contenuto del regolamento 2020/1055 è stato raggiunto il 12 dicembre 2019, ossia prima della crisi legata a detta pandemia; in secondo luogo, che lo scopo del menzionato regolamento non era e non poteva quindi essere la gestione di tale crisi, che è stata oggetto di specifici interventi del legislatore dell’Unione (487), e, in terzo luogo, che il regolamento 2020/1055 prevedeva la sua applicazione solo a decorrere dal 21 febbraio 2022 (488). In tali circostanze, la censura relativa alla mancata presa in considerazione della situazione particolare dei trasportatori in ragione della pandemia di COVID‑19 non può essere accolta.

782. Pertanto, per tutte le ragioni precedentemente addotte, i motivi vertenti sulla violazione, da parte dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055, dell’articolo 91, paragrafo 2, e/o dell’articolo 94 TFUE devono essere respinti in quanto infondati.

d)      Sui motivi vertenti sulla violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione

1)      Argomenti delle parti

783. La Repubblica di Lituania deduce la violazione dell’articolo 26 TFUE e del principio generale di non discriminazione in relazione al periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi durante i quali i trasporti di cabotaggio sono consentiti, in quanto esso ostacolerebbe il funzionamento del mercato interno e limiterebbe l’efficienza delle catene logistiche. Ne deriverebbe una riorganizzazione del mercato del trasporto su strada che discrimina indirettamente i piccoli Stati membri periferici dell’Unione e conferisce nel contempo ai grandi Stati membri centrali dell’Unione un vantaggio illecito e ingiustificato unicamente in ragione della loro posizione geografica.

784. Sotto un primo profilo, il periodo di attesa non contribuirebbe alla realizzazione dell’obiettivo di prevenire le distorsioni della concorrenza e sarebbe fondamentalmente contrario ai principi del libero mercato. La Repubblica di Lituania si sarebbe aspettata dalla sua appartenenza all’Unione, e come convenuto nel Trattato di adesione della Repubblica di Lituania all’Unione, l’apertura del mercato del trasporto di merci su strada ai trasportatori stabiliti in Lituania. Il periodo di attesa sarebbe inoltre incompatibile con gli obiettivi fissati dalla Commissione nella sua «Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti» (489) di procedere all’eliminazione delle restrizioni in materia di cabotaggio e ostacolerebbe in modo sostanziale il corretto funzionamento del mercato unico nonché la libera prestazione dei servizi nel settore dei trasporti, costituendo nel contempo una discriminazione indiretta nei confronti degli Stati membri periferici e di piccole dimensioni.

785. Sotto un secondo profilo, nel settore aereo sarebbero state eliminate tutte le restrizioni al cabotaggio al fine di stimolare lo sviluppo del settore comunitario dei trasporti aerei e di migliorare i servizi offerti agli utenti. Nel settore del trasporto su strada, al contrario, l’introduzione di un periodo di attesa contribuirebbe a un regresso e alla chiusura del mercato ai vettori non residenti.

786. Sotto un terzo profilo, non sarebbero stati presi in considerazione i fattori naturali, dai quali deriverebbe una concentrazione della domanda di trasporto nella parte centrale e occidentale dell’Unione. La restrizione imposta dal periodo di attesa dissuaderebbe dal fornire servizi là dove esistono oggettivamente un mercato più ampio e una maggiore domanda di tali servizi. La ridistribuzione artificiosa alla quale porterebbe il periodo di attesa e la limitazione degli sbocchi commerciali per i trasportatori in altri Stati membri comporterebbero una discriminazione indiretta nei confronti degli Stati membri periferici e di piccole dimensioni.

787. In fase di replica, la Repubblica di Lituania precisa che il periodo di attesa sarebbe, a suo avviso, contrario all’articolo 26 TFUE in quanto abbasserebbe il livello di liberalizzazione già raggiunto, sebbene la Commissione avesse sottolineato nella valutazione d’impatto – capitolo stabilimento che l’obiettivo perseguito era quello di un semplice miglioramento dell’attuazione delle norme e avesse escluso la possibilità di introdurre un periodo di attesa in quanto un periodo siffatto sarebbe stato inidoneo a risolvere i problemi esistenti. Il periodo di attesa sarebbe inoltre contrario all’articolo 4, paragrafo 2, TUE.

788. La Romania ha sviluppato un argomento comune all’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane e al periodo di attesa di quattro giorni per quanto riguarda l’asserita violazione del principio di non discriminazione in base alla nazionalità previsto dall’articolo 18 TFUE. Rinvio quindi, per una sintesi di tali argomenti, ai paragrafi 605 e seguenti delle presenti conclusioni.

789. La Repubblica di Malta deduce la violazione degli articoli 20 e 21 della Carta e del principio di non discriminazione, in quanto il periodo di attesa tratta allo stesso modo situazioni diverse in ragione dell’insularità e della posizione geografica di Malta. I trasportatori maltesi non avrebbero alcuna necessità di far ritornare i loro veicoli a Malta dopo avere effettuato tre operazioni di trasporto di cabotaggio e il periodo di attesa li costringerebbe a recarsi in un altro Stato membro o a sospendere le loro attività. Il periodo di attesa imporrebbe a tali trasportatori una sospensione de facto delle loro attività economiche. Le peculiarità di Malta sarebbero state ignorate. La Repubblica di Malta sostiene inoltre che il periodo di attesa non dovrebbe essere considerato come una misura tecnica soggetta a prove scientifiche complesse e a scelte politiche controverse che giustifichino il riconoscimento di un ampio potere discrezionale, bensì costituirebbe una regola generale applicabile a tutti gli Stati membri, che tende a ignorare le caratteristiche geografiche specifiche di un determinato Stato membro e del suo settore dei trasporti, imponendo restrizioni irragionevoli alla prestazione di un servizio essenziale e determinando iniquità, in quanto viene imposta a uno Stato membro che, per ragioni oggettive, notoriamente non è in grado di conformarvisi. La Repubblica di Malta sarebbe quindi stata trattata dal Parlamento e dal Consiglio, senza motivo né proporzionalità, in modo discriminatorio. Ignorando gli effetti potenzialmente discriminatori del periodo di attesa, il Parlamento e il Consiglio avrebbero violato gli articoli 20 e 21 della Carta e il principio di non discriminazione. In fase di replica, la Repubblica di Malta aggiunge che sarebbe manifestamente errato applicare ai trasportatori stabiliti in uno Stato membro insulare lo stesso trattamento applicato ai trasportatori che non dipendono da una tratta marittima per svolgere le loro operazioni, giacché la situazione dei trasportatori insulari non è comparabile a quella dei trasportatori continentali.

790. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

2)      Analisi

791. Per quanto riguarda gli argomenti relativi alla violazione dell’articolo 26 TFUE addotti dalla Repubblica di Lituania, rinvio ai paragrafi 678 e seguenti delle presenti conclusioni.

792. Per quanto riguarda l’argomento sviluppato dalla Romania, dal momento che è esso comune a quello sviluppato dalla medesima ricorrente nell’ambito del motivo vertente sulla violazione, da parte dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, dei principi di uguaglianza e di non discriminazione, rinvio ai paragrafi 609 e seguenti delle presenti conclusioni.

793. Per quanto riguarda gli argomenti della Repubblica di Lituania relativi, da un lato, ad una chiusura del mercato che sarebbe contraria alle disposizioni dell’accordo di adesione e, dall’altro, all’incompatibilità del periodo di attesa con le prescrizioni del Libro bianco della Commissione fatto valere da tale ricorrente (490), rinvio al paragrafo 618 delle presenti conclusioni. Quanto all’argomento vertente su un trattamento diverso rispetto a quello accordato al settore del trasporto aereo e sull’articolo 4, paragrafo 2, TUE, rinvio ai paragrafi 619 e 624 delle presenti conclusioni.

794. Per quanto riguarda il livello di controllo giurisdizionale applicabile, dal momento che la Repubblica di Malta contesta il riconoscimento di un ampio potere discrezionale del legislatore dell’Unione in materia, tale argomento deve essere respinto rinviando alla giurisprudenza già ricordata al paragrafo 80 delle presenti conclusioni.

795. Per il resto, rammento che l’introduzione di un periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato persegue l’obiettivo di rafforzare il carattere temporaneo del cabotaggio cercando il giusto equilibrio tra l’accesso al mercato dei trasporti nazionali per i vettori non residenti, che è ancora condizionato in virtù dell’articolo 91, paragrafo 1, lettera b), TFUE, e la protezione dei vettori nazionali esposti a costi operativi più elevati. Si tratta di una misura che colpisce indistintamente tutti i trasportatori dell’Unione. Resta quindi da verificare se il legislatore dell’Unione non abbia trattato allo stesso modo situazioni diverse.

796. La Repubblica di Malta sostiene che la sua situazione particolare di Stato insulare non sarebbe stata presa in considerazione dal legislatore dell’Unione. Tuttavia, si deve rammentare che quest’ultimo non era tenuto a farlo, in quanto deve essere presa in considerazione la situazione dell’insieme degli Stati membri che compongono l’Unione (491). Tale ricorrente sostiene inoltre che il periodo di attesa pregiudicherà più gravemente gli Stati insulari e che i trasportatori stabiliti nel territorio di detti Stati, dal momento che dipendono da una tratta marittima per svolgere le loro operazioni, non potrebbero essere trattati allo stesso modo dei trasportatori stabiliti nel territorio di uno Stato membro dell’Unione «continentale». A questo proposito, poiché il periodo di attesa si limita a rafforzare il carattere temporaneo delle operazioni di cabotaggio da parte dei trasportatori non residenti, imponendo loro di sospendere la sola attività di cabotaggio per quattro giorni, è difficile comprendere in che modo l’insularità di uno Stato membro penalizzerebbe necessariamente i trasportatori stabiliti sul suo territorio. Per le ragioni esposte al paragrafo 618 delle presenti conclusioni, non si può addebitare al legislatore dell’Unione di non avere tenuto conto delle particolarità geografiche specifiche di alcuni Stati membri, in quanto i trasportatori più colpiti saranno, di fatto, quelli che eludevano già l’obbligo di rispettare il carattere temporaneo delle operazioni di cabotaggio. Inoltre, una parte dell’argomento della Repubblica di Malta si basa su una lettura errata dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055, in quanto detta disposizione non implica un obbligo di ritorno del veicolo a Malta.

797. L’argomento della Repubblica di Lituania relativo alla mancata presa in considerazione dei fattori naturali del mercato e della distribuzione della domanda e dell’offerta su quest’ultimo deve essere parimenti respinto per motivi analoghi. Dal momento che i trasporti nazionali non sono completamente liberalizzati, è difficile comprendere perché i trasportatori stabiliti in uno Stato membro «lontano» dal mercato nazionale in cui essi intendono operare non dovrebbero essere soggetti, a loro volta, a una condizione il cui scopo è garantire il carattere temporaneo dei trasporti di cabotaggio. Allo stesso modo, l’argomento relativo a un’asserita ridistribuzione artificiosa del mercato e ad un’asserita limitazione degli sbocchi commerciali per i trasportatori stabiliti in uno Stato membro «periferico» o «piccolo» non è convincente. Da un lato, si pone nuovamente la questione della definizione di tali Stati (492). Dall’altro, il carattere temporaneo delle operazioni di cabotaggio era già implicato dal regolamento n. 1072/2009, il che evidentemente non ha impedito a detti Stati di accedere al mercato «centrale». Infine, per evitare il trattamento differenziato nei confronti dei trasportatori non residenti che è conforme al diritto primario, i trasportatori possono sempre avvalersi pienamente della loro libertà di stabilimento per insediarsi in modo stabile ed effettivo nel territorio di un altro Stato membro.

798. Per tutti le ragioni che precedono, i motivi vertenti sulla violazione dei principi della parità di trattamento e di non discriminazione devono essere respinti in quanto infondati.

e)      Sui motivi vertenti sulla violazione degli articoli 26 e da 34 a 36 nonché dellarticolo 58, paragrafo 1, TFUE

1)      Argomenti delle parti

799. La Repubblica di Lituania deduce la violazione dell’articolo 26 TFUE in relazione al periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi durante i quali i trasporti di cabotaggio sono consentiti, in quanto esso ostacolerebbe il funzionamento del mercato interno e limiterebbe l’efficienza delle catene logistiche. Il periodo di attesa sarebbe fondamentalmente contrario ai principi del libero mercato e ostacolerebbe in modo sostanziale il corretto funzionamento del mercato unico nonché la libera prestazione dei servizi nel settore dei trasporti.

800. La Repubblica di Bulgaria sostiene che il periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato restringe notevolmente la libertà dei trasportatori di fornire servizi di trasporto loro garantita dalla politica comune dei trasporti, il che sarebbe fonte di preoccupazione, tenuto conto della natura intrinsecamente transitoria delle restrizioni imposte al trasporto di cabotaggio. Detto periodo violerebbe l’articolo 58, paragrafo 1, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 91 TFUE. Il Consiglio e il Parlamento sarebbero venuti meno al loro obbligo di garantire l’applicazione dei principi della libera prestazione dei servizi attraverso la politica comune dei trasporti. Qualora la Corte lo ritenesse pertinente, la Repubblica di Bulgaria conclude inoltre per la violazione dell’articolo 56 TFUE. La restrizione alla libera prestazione dei servizi di trasporto costituita dal periodo di attesa di quattro giorni non sarebbe giustificata. Dal momento che il Parlamento ha ammesso che il trasporto internazionale è completamente liberalizzato, andrebbe respinta la posizione di detta istituzione consistente nel sostenere che i regolamenti che disciplinano le condizioni della liberalizzazione di tale settore non possano violare la libera prestazione dei servizi.

801. Inoltre, la Repubblica di Bulgaria sostiene che l’introduzione di un periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato avrebbe gravi conseguenze che pregiudicherebbero la libera circolazione delle merci e quindi effetti equivalenti a restrizioni quantitative vietate ai sensi degli articoli da 34 a 36 TFUE.

802. Il Parlamento e il Consiglio nonché le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tali motivi.

2)      Analisi

803. Per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’articolo 26 TFUE, ricordo che l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 non può essere esaminato sulla base di quest’unica disposizione (493). La Repubblica di Lituania sostiene che l’introduzione di un periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato tratterebbe in modo meno favorevole i piccoli Stati membri della periferia dell’Unione. A questo proposito rinvio alla mia analisi di tali argomenti nell’ambito della parte dedicata ai principi della parità di trattamento e di non discriminazione (494). Quanto all’argomento della medesima ricorrente secondo cui il periodo di attesa costituirebbe un ostacolo al mercato interno e sarebbe contrario ai suddetti principi, e ostacolerebbe il corretto funzionamento del mercato unico nonché la libera prestazione di servizi di trasporto, esso ignora manifestamente la portata dell’articolo 91, paragrafo 1, lettera b), TFUE.

804. Per quanto attiene ai trasporti di cabotaggio, vale a dire l’accesso al mercato dei trasporti nazionali, il Trattato medesimo ammette un trattamento differenziato fra vettori residenti e vettori non residenti. Orbene, l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 ha per l’appunto lo scopo di assoggettare i vettori non residenti a un nuovo requisito al fine di garantire il carattere temporaneo delle attività di cabotaggio (495), conformemente alla definizione datane all’articolo 2, punto 6, del regolamento n. 1072/2009, che il regolamento 2020/1055 non ha modificato.

805. La restrizione alla libertà dei trasportatori di fornire servizi di trasporto lamentata dalla Repubblica di Bulgaria deriva, di fatto, dal regolamento n. 1072/2009 e, ancora più a monte, dal diritto primario, che autorizza il legislatore dell’Unione a prevedere un regime differenziato.

806. Rilevo che l’argomento della Repubblica di Bulgaria relativo alla posizione del Parlamento ignora la differenza fondamentale fra trasporti internazionali e trasporti nazionali. Pertanto, sebbene il Parlamento affermi che i trasporti internazionali sono completamente liberalizzati, è evidente che tale constatazione non vale per i trasporti nazionali, che sono al centro delle attività di cabotaggio.

807. Per quanto attiene alla censura basata sulla violazione degli articoli da 34 a 36 TFUE, la Repubblica di Bulgaria si limita nuovamente (496) ad affermazioni generiche e poco precise. Ad ogni modo, gli asseriti effetti restrittivi del periodo di attesa di quattro giorni tra due periodi di cabotaggio autorizzato appaiono chiaramente troppo aleatori e indiretti (497) per poter concludere nel senso di una violazione di tali disposizioni.

808. Per tutte le ragioni che precedono, i motivi vertenti sulla violazione degli articoli 26 e da 34 a 36 nonché dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE devono essere respinti in quanto infondati.

f)      Conclusione

809. I ricorsi della Repubblica di Lituania (C‑542/20), della Repubblica di Bulgaria (C‑545/20), della Romania (C‑547/20) (498), della Repubblica di Malta (C‑552/20) e della Repubblica di Polonia (C‑554/20), nella misura in cui sono diretti contro l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055, sono respinti.

4.      Sulla possibilità di assoggettare le operazioni di trasporto combinato a un periodo di attesa [articolo 2, punto 5, lettera b), del regolamento 2020/1055 nella parte in cui aggiunge un paragrafo 7 allarticolo 10 del regolamento n. 1072/2009 o la «clausola di salvaguardia»]

810. La Repubblica di Polonia è l’unica a contestare la legittimità dell’articolo 2, paragrafo 5, lettera b), del regolamento 2020/1055, che aggiunge un paragrafo 7 all’articolo 10 del regolamento n. 1072/2009. Essa solleva, a tale riguardo, tre motivi: il primo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità, il secondo vertente sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE e il terzo vertente sulla violazione dell’articolo 94 TFUE. Inoltre, con il motivo comune sviluppato trasversalmente nei confronti di tutte le disposizioni del regolamento 2020/1055 impugnate nell’ambito del suo ricorso nella causa C‑554/20, la Repubblica di Polonia conclude per la violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta.

811. L’articolo 10, paragrafo 7, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, prevede che, in deroga all’articolo 4 della direttiva 92/106 (499), se necessario per evitare l’abuso di quest’ultima disposizione attraverso la fornitura illimitata e continuativa di servizi consistenti in tragitti stradali iniziali o finali all’interno di uno Stato membro ospitante che fanno parte di operazioni di trasporto combinato tra Stati membri, gli Stati membri possono prevedere che l’articolo 8 del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, si applichi ai trasportatori che effettuano tali tragitti stradali iniziali e/o finali in tale Stato membro, fermo restando che gli Stati membri possono prevedere un periodo durante il quale il cabotaggio è consentito più lungo rispetto al periodo di sette giorni previsto da detta disposizione e un periodo di attesa più breve rispetto al periodo di quattro giorni di cui al suddetto articolo 8.

a)      Sul motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità

1)      Argomenti delle parti

812. Per quanto riguarda il primo motivo, vertente sulla violazione del principio di proporzionalità, la Repubblica di Polonia sostiene che la limitazione delle operazioni di cabotaggio nel trasporto combinato costituirebbe un’inversione degli acquis della liberalizzazione in materia di prestazione di servizi che avrebbe consentito, fino ad allora, di effettuare illimitatamente, a condizione che fossero rispettate le condizioni di accesso alla professione e al mercato, tragitti stradali iniziali e/o finali che costituivano parte integrante del trasporto combinato ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 92/106. Una limitazione siffatta si baserebbe su criteri arbitrari, non sarebbe giustificata dagli obiettivi asseritamente perseguiti dal regolamento 2020/1055 e avrebbe conseguenze negative sproporzionate rispetto agli eventuali effetti positivi previsti.

813. Il considerando 22 del regolamento 2020/1055 fa riferimento al dumping sociale ma non vi sarebbe alcun elemento oggettivo che possa giustificare l’assimilazione delle differenze di sviluppo economico tra gli Stati membri e delle differenze salariali che ne derivano al dumping sociale, vale a dire un’attività praticata sottocosto. Il notevole margine di manovra lasciato agli Stati membri consentirebbe agli Stati membri in cui la domanda di servizi di trasporto è più concentrata di generalizzare il ricorso alla clausola di salvaguardia e quindi di inasprire le condizioni di cabotaggio previste all’articolo 8, paragrafo 2 bis, del regolamento n. 1072/2009, il quale, secondo la Repubblica di Polonia, avrebbe già carattere sproporzionato, esponendo così i trasportatori degli Stati membri con un livello di sviluppo economico inferiore, costituiti per lo più sotto forma di PMI, a conseguenze negative radicali, come il fallimento, derivanti dalla limitazione delle operazioni di cabotaggio. La valutazione d’impatto non avrebbe tenuto conto della disposizione che sancisce la clausola di salvaguardia e la Commissione avrebbe espresso dubbi al riguardo (500). Lo scopo della direttiva 92/106 sarebbe, secondo il suo terzo considerando, la lotta alla congestione del traffico stradale e all’inquinamento. L’introduzione di una deroga quale la clausola di salvaguardia nuocerebbe alle infrastrutture stradali e all’ambiente in quanto sarebbe noto che il cabotaggio contribuisce a ridurre il numero di tragitti a vuoto e ottimizza la gestione della flotta di veicoli dei trasportatori. Il legislatore non avrebbe tenuto conto di tali effetti negativi e la lotta al dumping sociale non potrebbe giustificare una restrizione siffatta alla libera prestazione dei servizi di cabotaggio. Il legislatore non avrebbe preso in considerazione la situazione dei trasportatori stabiliti alla periferia dell’Unione. La Commissione avrebbe elaborato uno studio sull’incidenza della restrizione al cabotaggio sul trasporto combinato (501) da cui risulterebbe che l’8% delle operazioni strada/ferrovia potrebbe essere trasferito su strada e che ci si potrebbe attendere una riduzione del 5% dell’occupazione in tale settore. Infine, la Repubblica di Polonia sostiene che il ricorso al cabotaggio fosse già limitato nella legislazione preesistente e precisa di opporsi non già non alla lotta contro gli eventuali abusi, bensì all’imposizione di nuove restrizioni all’esercizio di operazioni legittime di cabotaggio, anche nel trasporto combinato.

814. Il Parlamento e il Consiglio concludono per il rigetto di tale motivo.

2)      Analisi

815. Rilevo che la misura in parola non forma oggetto, in quanto tale, della valutazione d’impatto dedicata alla proposta di modifica del regolamento n. 1072/2009 contenuta nel regolamento 2020/1055 e non faceva parte delle misure che figurano nella proposta di regolamento della Commissione. Tuttavia, come sostenuto dal Consiglio, la Commissione aveva proposto una modifica della direttiva 92/106 nel 2017 (502), ossia pochi mesi dopo avere presentato la sua proposta di modifica dei regolamenti nn. 1071/2009 e 1072/2009. Sebbene il considerando 16 del regolamento n. 1072/2009 precisi che «[g]li spostamenti nazionali su strada all’interno di uno Stato membro ospitante non facenti parte di un trasporto combinato ai sensi della direttiva [92/106] rientrano nella definizione di trasporti di cabotaggio e, di conseguenza, dovrebbero essere soggetti alle prescrizioni del [regolamento n. 1072/2009]», la Commissione ha ritenuto che la definizione dei trasporti combinati di merci fosse «ambigu[a e poco] chiar[a]» (503) e ne ha proposto un chiarimento. La Commissione ha inoltre affermato di tenere conto del fatto che alcuni portatori di interessi sostenevano che la direttiva 92/106 rendesse possibile eludere le norme sul cabotaggio, a causa della difficoltà di dimostrare che l’operazione formi parte di un trasporto combinato internazionale. Alcune difficoltà relative alla trasposizione dell’articolo 4 della direttiva 92/106 e della non applicazione delle norme sul cabotaggio alle operazioni di trasporto combinato erano già state evocate in occasione della valutazione ex post REFIT della direttiva 92/106 (504). All’epoca, 22 Stati membri esentavano totalmente dette operazioni dall’osservanza delle norme sul cabotaggio, mentre cinque Stati membri applicavano le restrizioni riguardanti il cabotaggio alle operazioni di trasporto combinato (505).

816. Da tali elementi risulta che, al momento di adottare la clausola di salvaguardia costituita dall’articolo 10, paragrafo 7, del regolamento n. 1072/2009, era già stata richiamata l’attenzione del legislatore dell’Unione sulle difficoltà di collegamento tra le norme previste da detto regolamento e l’articolo 4 della direttiva 92/106, come dimostra anche il considerando 22 del regolamento 2020/1055. Quest’ultimo esprime chiaramente la preoccupazione del legislatore dell’Unione che non si abusi dell’ulteriore liberalizzazione prevista dall’articolo 4 della direttiva 92/106, in quanto, in talune parti dell’Unione, tale disposizione è stata utilizzata per «eludere la natura temporanea del cabotaggio nonché come base per la presenza continuativa di veicoli in uno Stato membro diverso da quello di stabilimento dell’impresa». Dalla lettura del suddetto considerando emerge che la lotta al dumping sociale non è l’obiettivo perseguito, giacché il considerando in parola non qualifica la concorrenza derivante dal menzionato abuso dell’articolo 4 della direttiva 92/106 come dumping sociale, ma si limita ad evocare il rischio di condurre a tale dumping. Pertanto, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica di Polonia, il legislatore dell’Unione non ha ritenuto che le differenze di sviluppo economico tra gli Stati membri dell’Unione e le differenze salariali che ne derivano costituiscano dumping sociale. Per contro, il legislatore dell’Unione ha constatato l’esistenza di pratiche sleali che, inoltre, hanno l’effetto di eludere la normativa in materia di cabotaggio e ha ritenuto che fosse necessaria un’azione per chiarire questo punto e rendere coerente detta normativa.

817. L’articolo 10, paragrafo 7, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, persegue un obiettivo legittimo. Rimane da verificare se tale disposizione sia idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non vada oltre quanto necessario per raggiungerlo. A questo proposito, è giocoforza constatare che tale articolo 10, paragrafo 7, del regolamento n. 1072/2009 introduce la facoltà per gli Stati membri di avvalersi di una clausola di salvaguardia a condizioni ben determinate. Tale facoltà sarà esercitata solo in presenza di un rischio identificato di ricorso improprio all’articolo 4 della direttiva 92/106. La misura di salvaguardia consisterà nell’assoggettare i trasporti combinati al regime previsto dall’articolo 8, paragrafo 2 bis, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, fermo restando che il legislatore offre agli Stati membri la possibilità di prevedere un regime più favorevole: il periodo durante il quale il cabotaggio è consentito può essere più lungo e il periodo di attesa durante il quale il cabotaggio non è più possibile può essere più breve di quello previsto al succitato articolo 8, paragrafo 2 bis. Ogni Stato membro può quindi adeguare la propria risposta di fronte all’intensità del problema riscontrato, a condizioni, se del caso, tutt’al più altrettanto restrittive di quelle previste per i trasporti non combinati.

818. In udienza, le istituzioni convenute hanno informato la Corte che tre Stati membri avevano comunicato alla Commissione la loro intenzione di attuare la clausola di salvaguardia prevista dall’articolo 10, paragrafo 7, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055. Trattandosi di una misura facoltativa, i suoi effetti reali sono quindi particolarmente difficili da stimare (506) ma, quand’anche tutti gli Stati membri volessero avvalersene, l’attuazione di tale clausola presuppone che sia rispettata una serie di condizioni che fungono da garanzie contro eventuali tentazioni protezionistiche degli Stati membri. La clausola di salvaguardia formulata dal suddetto articolo 10, paragrafo 7, risulta quindi idonea a realizzare l’obiettivo perseguito senza andare oltre quanto necessario per raggiungerlo.

819. Pertanto, e per tutte le ragioni che precedono, il motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità deve essere respinto in quanto infondato.

b)      Sui motivi vertenti sulla violazione dellarticolo 91, paragrafo 2, e dellarticolo 94 TFUE

1)      Argomenti delle parti

820. Per quanto attiene al secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, e il terzo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 94 TFUE, che occorre esaminare congiuntamente, la Repubblica di Polonia reitera il suo argomento sviluppato nell’ambito dei motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE derivante dall’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, in particolare per quanto riguarda l’impatto negativo della clausola di salvaguardia sull’uso delle strutture relative ai trasporti. Per quanto attiene all’asserita violazione dell’articolo 94 TFUE, la Repubblica di Polonia sostiene che l’espressione «dumping sociale» alla base della disposizione impugnata dimostrerebbe parimenti la mancata presa in considerazione della situazione dei trasportatori situati negli Stati membri alla periferia dell’Unione e afferma che la volontà di garantire l’assoluta parità tra le condizioni di concorrenza sarebbe logicamente contraria alla nozione stessa di concorrenza. Gli sforzi del legislatore dell’Unione per limitare la partecipazione delle imprese stabilite negli Stati membri meno sviluppati alla fornitura dei servizi di cabotaggio dimostrerebbe la mancata presa in considerazione, con riferimento al diritto della concorrenza, della situazione economica delle imprese.

821. Il Parlamento e il Consiglio concludono per il rigetto di tali motivi.

2)      Analisi

822. Limitandosi a reiterare il suo argomento sviluppato nell’ambito dei motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE derivante dall’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, la Repubblica di Polonia non ha dimostrato in che modo, considerata isolatamente, la mera possibilità concessa agli Stati membri di assoggettare i trasporti combinati all’obbligo di osservare un periodo di attesa sarebbe tale da pregiudicare gravemente il tenore di vita e l’occupazione in talune regioni o l’uso delle attrezzature relative ai trasporti (articolo 91, paragrafo 2, TFUE), o costituirebbe una «misura in materia di prezzi e condizioni di trasporto» la cui adozione avrebbe richiesto di tenere conto della situazione dei vettori (articolo 94 TFUE).

823. Per quanto riguarda il grave pregiudizio al tenore di vita, all’occupazione e all’uso delle attrezzature relative ai trasporti, tali censure devono essere respinte in quanto si è già dimostrato che l’articolo 2, punto 5, lettera b), del regolamento 2020/1055 ha sancito solo una mera facoltà per gli Stati membri il cui esercizio è corredato di condizioni chiare e precise. Alla data dell’udienza, secondo quanto dichiarato dalle istituzioni convenute, solo tre Stati membri avevano manifestato l’intenzione di attuare detta facoltà. L’aumento del numero di percorsi a vuoto, il sovraccarico e il deterioramento delle infrastrutture stradali, fatti valere dalla Repubblica di Polonia, sono solo speculazioni prive di fondamento, se si considera l’effettiva portata della menzionata disposizione.

824. Per quanto riguarda la presa in considerazione della situazione dei vettori, se è vero che l’articolo 2, punto 5, lettera b), del regolamento 2020/1055 ha sancito una misura relativa alle condizioni di trasporto, tuttavia si deve constatare che dai paragrafi 815 e 816 delle presenti conclusioni risulta che il legislatore dell’Unione era sufficientemente informato in merito a tutti i dettagli di un chiarimento delle norme applicabili ai trasporti combinati al fine di garantire che essi non siano utilizzati per eludere il carattere temporaneo attribuito alle operazioni di cabotaggio dal regolamento n. 1072/2009 e che esso ha tenuto conto, proprio nell’esercizio dell’ampio potere discrezionale che gli è riconosciuto, della situazione di tutti i trasportatori.

825. Infine, per quanto riguarda l’argomento vertente sul riferimento al dumping sociale contenuto nel considerando 22 del regolamento 2020/1055, rinvio al paragrafo 816 delle presenti conclusioni. Quanto all’argomento secondo cui il legislatore dell’Unione si sforzerebbe di limitare la partecipazione delle imprese stabilite negli Stati membri meno sviluppati alla fornitura di servizi di cabotaggio, occorre ricordare, di nuovo, che le uniche imprese alle quali si riferisce l’articolo 2, punto 5, lettera b), del regolamento 2020/1055 sono quelle che, ricorrendo ai trasporti combinati, ne approfittavano per eludere il divieto di cabotaggio sistematico e che l’unico intento del legislatore dell’Unione è fornire al mercato gli strumenti necessari per correggerne le eventuali disfunzioni.

826. I motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, e dell’articolo 94 TFUE devono essere respinti in quanto infondati.

c)      Sul motivo vertente sulla violazione dellarticolo 11 TFUE e dellarticolo 37 della Carta

1)      Argomenti delle parti

827. Con il motivo comune sviluppato trasversalmente per tutte le disposizioni del regolamento 2020/1055 impugnate nell’ambito del suo ricorso nella causa C‑554/20, la Repubblica di Polonia sostiene che l’articolo 2, punto 5, lettera b), di detto regolamento viola l’articolo 11 TFUE e l’articolo 37 della Carta e sarebbe in contrasto con il Green Deal europeo. A suo avviso, dallo studio Ricardo del 2021 e dallo studio relativo alla disposizione che introduce una restrizione alla fornitura di servizi di cabotaggio nell’ambito delle operazioni di trasporto combinato (507) emergerebbe una conferma sia del fatto che l’impatto sull’ambiente di detta disposizione non è stato analizzato al momento della sua adozione, sia del carattere negativo di tale impatto.

828. Il Consiglio e il Parlamento concludono, dal canto loro, per il rigetto di tutti questi motivi in quanto infondati.

2)      Analisi

829. Ricordo che il nuovo paragrafo 7 introdotto dal regolamento 2020/1055 nell’articolo 10 del regolamento n. 1072/2009 prevede la possibilità per gli Stati membri, se necessario per evitare l’abuso dell’articolo 4 della direttiva 92/196 attraverso la fornitura illimitata e continuativa di servizi consistenti in tragitti stradali iniziali o finali all’interno di uno Stato membro ospitante che fanno parte di operazioni di trasporto combinato tra Stati membri, di prevedere che l’articolo 8 del regolamento n. 1072/2009, che definisce i principi generali del cabotaggio, si applichi anche alle operazioni di trasporto combinato, fermo restando che gli Stati membri possono prevedere un periodo più lungo rispetto al periodo di sette giorni durante il quale il cabotaggio è consentito in seguito a un trasporto internazionale e un periodo più breve rispetto al periodo di attesa di quattro giorni durante il quale le operazioni di cabotaggio sono vietate (508). Gli Stati membri che scelgono di attuare in relazione ai trasporti combinati la procedura di salvaguardia prevista dall’articolo 10, paragrafo 1, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055, devono prima darne notifica alla Commissione e sono tenuti a riesaminare le misure adottate a tal fine almeno ogni cinque anni. Essi sono inoltre tenuti a pubblicare tali misure.

830. Il nuovo paragrafo 7 dell’articolo 10 del regolamento n. 1072/2009 ha quindi per effetto immediato di consentire agli Stati membri, a loro discrezione ma al fine di raggiungere un obiettivo ben determinato, di estendere l’applicazione del periodo di attesa durante il quale i trasportatori devono astenersi dalle operazioni di trasporto interne allo Stato membro nel cui territorio sono arrivati (509). All’udienza tenutasi dinanzi alla Corte, le istituzioni convenute hanno affermato che, alla data dell’udienza, solo tre Stati membri avevano informato la Commissione che intendevano avvalersi di tale possibilità. Il fatto che il suddetto paragrafo 7 sancisca una simile facoltà, riguardo alla quale non si può sapere in anticipo in che misura sarà attuata, e lasci agli Stati membri una certa discrezionalità quanto alla definizione delle condizioni di tale limitazione al cabotaggio, rende piuttosto incerto l’esame alla luce dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 27 della Carta (510). Tuttavia, la nuova disposizione in parola illustra, tenuto conto dei problemi individuati e della soluzione legislativa proposta, il bilanciamento degli interessi divergenti da parte del legislatore dell’Unione consentendo di dare una risposta differenziata a un problema che non si pone con la medesima intensità in tutta l’Unione.

831. Ad ogni modo, rinvio ai seguenti paragrafi delle presenti conclusioni per quanto riguarda: la questione della portata dell’articolo 37 della Carta, paragrafo 565; la portata dell’esame in base all’articolo 11 TFUE, paragrafi 567 e seguenti; la censura relativa all’assenza di una valutazione d’impatto, paragrafo 570; la censura relativa a un contrasto con gli obiettivi perseguiti dal Green Deal europeo, paragrafo 594 e, la censura relativa al carattere probante degli studi effettuati dopo l’adozione dell’articolo 2, punto 5, lettera b), del regolamento 2020/1055, paragrafo 580.

832. Pertanto, il motivo vertente sulla violazione, da parte dell’articolo 2, punto 5, lettera b), del regolamento 2020/1055, dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta, e su un contrasto con gli obiettivi del Green Deal europeo deve essere respinto in quanto infondato.

d)      Conclusione

833. Il ricorso della Repubblica di Polonia nella causa C‑554/20, nella parte in cui è diretto contro l’articolo 2, punto 5, lettera b), del regolamento 2020/1055, è respinto.

5.      Conclusione sui ricorsi riguardanti il regolamento 2020/1055

834. Alla luce dell’analisi che precede, propongo alla Corte di accogliere, nella misura in cui sono diretti all’annullamento dell’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, nella parte in cui modifica l’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1071/2009, il ricorso della Repubblica di Lituania nella causa C‑542/20, il ricorso della Repubblica di Bulgaria nella causa C‑545/20, il ricorso della Romania nella causa C‑547/20, il ricorso dell’Ungheria nella causa C‑551/20, il ricorso della Repubblica di Malta nella causa C‑552/20 e il ricorso della Repubblica di Polonia nella causa C‑554/20. Occorre accogliere integralmente il ricorso della Repubblica di Cipro nella causa C‑549/20.

D.      Sulla direttiva 2020/1057

1.      Osservazioni preliminari

835. I ricorsi di sei Stati membri, vale a dire la Repubblica di Lituania (causa C‑541/20), la Repubblica di Bulgaria (causa C‑544/20), la Romania (causa C‑548/20), la Repubblica di Cipro (causa C‑550/20), l’Ungheria (causa C‑551/20) e la Repubblica di Polonia (causa C‑553/20), riguardano la direttiva 2020/1057. Tali Stati membri chiedono alla Corte di annullare la direttiva nella sua interezza (in via principale o in subordine) o alcune sue disposizioni.

836. In tal senso, in primo luogo, con i loro ricorsi, la Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro chiedono alla Corte di annullare integralmente la direttiva 2020/1057.

837. In secondo luogo, i ricorsi della Repubblica di Lituania, della Romania, dell’Ungheria e della Repubblica di Polonia sono diretti all’annullamento dell’articolo 1 della direttiva 2020/1057, riguardante le norme specifiche relative al distacco dei conducenti. Più precisamente, l’Ungheria chiede in via principale l’annullamento integrale di tale articolo; la Repubblica di Lituania, la Romania e la Repubblica di Polonia, nonché l’Ungheria in subordine, chiedono – come sarà specificato più dettagliatamente al paragrafo 869 infra – l’annullamento di alcuni paragrafi di detto articolo. In subordine, la Repubblica di Lituania, la Romania e la Repubblica di Polonia chiedono l’annullamento integrale della direttiva 2020/1057.

838. Infine, in terzo luogo, la Repubblica di Polonia chiede l’annullamento dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2020/1057, relativo al termine di trasposizione di tale direttiva.

839. Prima di esaminare i vari motivi sollevati dai suddetti sei Stati membri a sostegno dei loro ricorsi, occorre anzitutto, in via preliminare, presentare le disposizioni della direttiva 2020/1057 e, in particolare, quelle riguardanti le norme specifiche relative al distacco dei conducenti, enunciate all’articolo 1 della stessa. Successivamente, sarà anche necessario, sempre in via preliminare, chiarire la portata dei ricorsi della Repubblica di Bulgaria e della Repubblica di Cipro, rispettivamente nelle cause C‑544/20 e C‑550/20.

a)      Sulla direttiva 2020/1057 e sulla normativa ivi prevista relativa al distacco dei conducenti

840. Come risulta dal suo titolo, la direttiva 2020/1057 è intesa, in sostanza, a disciplinare due aspetti principali: in primo luogo, essa stabilisce norme specifiche per quanto riguarda la direttiva 96/71/CE (511) e la direttiva 2014/67/UE (512) sul distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada; in secondo luogo, essa modifica, per quanto riguarda gli obblighi di applicazione, la direttiva 2006/22/CE (513) sulle norme minime per l’applicazione delle disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada, nonché il regolamento 1024/2012 (514) relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno. Dal momento che i ricorsi in esame dei sei Stati membri non riguardano il secondo aspetto disciplinato dalla direttiva 2020/1057, occorre concentrare l’analisi sul primo.

841. Come risulta dal suo paragrafo 1, l’articolo 1 della direttiva 2020/1057 stabilisce norme specifiche in merito al distacco di conducenti nel settore del trasporto su strada e a taluni aspetti relativi agli obblighi amministrativi e alle misure di controllo per il distacco dei conducenti.

842. Il considerando 1 di detta direttiva enuncia che l’introduzione di tali norme specifiche mira ad «assicurare, da un lato, condizioni di lavoro adeguate e protezione sociale per i conducenti e, dall’altro, condizioni eque per le imprese e di concorrenza leale per i trasportatori su strada» al fine di «creare un settore del trasporto su strada sicuro, efficiente e socialmente responsabile». Tali norme settoriali sono quindi finalizzate a «garantire l’equilibrio tra la libertà dei trasportatori di fornire servizi transfrontalieri, la libera circolazione delle merci, condizioni di lavoro adeguate e la protezione sociale dei conducenti», considerando l’«elevato grado di mobilità della forza lavoro nel settore del trasporto su strada».

843. Come ho rilevato nei precedenti paragrafi da 38 a 51, il settore dei trasporti è caratterizzato da aspetti speciali, uno dei quali, tra i più importanti, è l’estrema mobilità della manodopera Pertanto, in tale settore, a differenza di quanto accade talvolta in altri settori, i lavoratori, vale a dire i conducenti, non sono generalmente distaccati in un altro Stato membro nell’ambito di contratti di servizio per lunghi periodi (515), ma esercitano una professione caratterizzata da una mobilità pressoché continua.

844. In tale contesto, come indicato nel considerando 8 della direttiva 2020/1057, tenuto conto delle particolarità del settore del trasporto su strada, le norme settoriali previste da detta direttiva mirano a definire le circostanze in cui non si applicano ai conducenti le norme generali sul distacco dei lavoratori effettuato nell’ambito di una prestazione di servizi, stabilite dalla direttiva 96/71, le quali si applicano, in linea di principio, in tutti i settori economici (516).

845. Dal considerando 9 della direttiva 2020/1057 risulta che il legislatore dell’Unione ha deciso di basare tali norme settoriali in materia di distacco sul criterio dell’esistenza di un «legame sufficiente» che colleghi il conducente e il servizio prestato al territorio dello Stato membro ospitante. A tal fine, «[p]er agevolare l’esecuzione di dette norme» settoriali, il legislatore ha operato una distinzione tra i «diversi tipi di operazioni di trasporto in funzione del grado di connessione con il territorio dello Stato membro ospitante».

846. L’articolo 1 della direttiva 2020/1057, ai paragrafi da 3 a 7, letti alla luce dei considerando da 7 a 13 di tale direttiva, stabilisce quindi una distinzione, ai fini della determinazione di un distacco di conducenti, tra cinque tipi di operazioni di trasporto internazionale su strada, e specificamente tra: le operazioni di trasporto bilaterale, il transito, il trasporto combinato, il cabotaggio e le operazioni di trasporto internazionale non bilaterale (denominate altresì «trasporto cross‑trade»).

847. Per quanto riguarda, in primo luogo, le operazioni di «trasporto bilaterale», si tratta di operazioni di trasporto dallo Stato membro in cui è stabilita l’impresa di trasporto al territorio di un altro Stato membro o di un paese terzo, o, all’inverso, di operazioni di trasporto da uno Stato membro o un paese terzo allo Stato membro di stabilimento dell’impresa di trasporto (517).

848. A termini dell’articolo 1, paragrafi [3], primo comma, e [4], primo comma, della direttiva 2020/1057, quando effettua operazioni di trasporto bilaterale, rispettivamente, con riguardo alle merci o con riguardo a passeggeri, un conducente non è considerato distaccato ai fini della direttiva 96/71.

849. Il considerando 10 della direttiva 2020/1057 spiega infatti che, «[q]uando un conducente effettua operazioni di trasporto bilaterale (...), la natura del servizio è strettamente legata allo Stato membro di stabilimento. È possibile che un conducente intraprenda varie operazioni di trasporto bilaterale durante un unico viaggio. Un’eventuale applicazione delle norme sul distacco, e quindi delle condizioni di lavoro e di occupazione garantite nello Stato membro ospitante, a tali operazioni bilaterali costituirebbe una restrizione sproporzionata alla libertà di fornire servizi transfrontalieri di trasporto su strada».

850. In commi successivi dei suddetti paragrafi [3] e [4] dell’articolo 1, la direttiva 2020/1057 prevede poi esenzioni per attività aggiuntive, tanto per le operazioni di trasporto bilaterale con riguardo alle merci quanto per le operazioni di trasporto bilaterale con riguardo a passeggeri (518).

851. Per quanto riguarda, in secondo luogo, il transito, si tratta di operazioni di trasporto nelle quali il conducente attraversa il territorio di uno Stato membro senza effettuare operazioni di carico o di scarico merci e senza far salire o scendere passeggeri (519). Data l’assenza di un legame rilevante tra le attività del conducente e lo Stato membro di transito (520), l’articolo 1, paragrafo 5, della direttiva 2020/1057 dispone che, quando transiti attraverso il territorio di uno Stato membro senza effettuare operazioni di carico o di scarico merci e senza far salire o scendere passeggeri, un conducente non è considerato distaccato ai fini della direttiva 96/71.

852. Per quanto riguarda, in terzo luogo, il trasporto combinato, questo tipo di trasporto è definito all’articolo 1, secondo comma, della direttiva 92/106/CEE (521), alla quale la direttiva 2020/1057 fa espressamente riferimento. Si tratta, in sostanza, di operazioni di trasporto di merci fra Stati membri nei quali l’autocarro o altro mezzo di trasporto delle merci collegato all’autocarro effettua la parte iniziale o terminale del tragitto su strada e l’altra parte per ferrovia, per via navigabile o per mare (522).

853. Per questo tipo di operazione di trasporto, come risulta dal considerando 12 della direttiva 2020/1057, il legislatore ha ritenuto che, «[n]el caso in cui il conducente effettui un’operazione di trasporto combinato, la natura del servizio prestato durante il tragitto stradale iniziale o terminale è strettamente legata allo Stato membro di stabilimento se il tragitto stradale costituisce di per sé un’operazione di trasporto bilaterale. D’altro canto, quando l’operazione di trasporto durante il tragitto stradale è effettuata all’interno dello Stato membro ospitante o come operazione di trasporto internazionale non bilaterale, vi è un legame sufficiente con il territorio di uno Stato membro ospitante e quindi si dovrebbero applicare le norme sul distacco».

854. L’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 dispone quindi che un conducente non è considerato distaccato quando effettui il tragitto stradale iniziale o terminale di un’operazione di trasporto combinato, se il tragitto stradale consiste di per sé in un’operazione di trasporto bilaterale.

855. Per quanto riguarda, in quarto luogo, il cabotaggio, come risulta dai paragrafi 742 e seguenti delle presenti conclusioni, il regolamento n. 1072/2009 definisce, al considerando 15, i trasporti di cabotaggio come la «fornitura di servizi da parte di trasportatori all’interno di uno Stato membro in cui questi non sono stabiliti» (523) e li autorizza in linea di principio «a condizione che non siano effettuati in modo da costituire un’attività permanente o continua all’interno di tale Stato membro» (524). A tal fine, la frequenza dei trasporti di cabotaggio e il periodo per il quale essi possono essere effettuati sono stati definiti più chiaramente all’articolo 8, paragrafo 2, del regolamento n. 1072/2009 prima della sua modifica, alle condizioni esaminate sopra (525), dal regolamento 2020/1055.

856. Dal considerando 13 della direttiva 2020/1057 risulta che il legislatore ha ritenuto che, quando il conducente effettua trasporti di cabotaggio, vi sia un legame sufficiente con il territorio dello Stato membro ospitante, dal momento che l’intera operazione di trasporto ha luogo in tale Stato membro e il servizio è quindi strettamente legato al suo territorio.

857. L’articolo 1, paragrafo 7, della direttiva 2020/1057 dispone pertanto che un conducente che effettua operazioni di cabotaggio è considerato distaccato ai sensi della direttiva 96/71.

858. In quinto luogo, per quanto riguarda le operazioni di trasporto internazionale «non bilaterale» (denominate altresì «trasporto crosstrade»), dal considerando 13 della direttiva 2020/1057 risulta che esse sono caratterizzate dal fatto che il conducente effettua il trasporto internazionale al di fuori dello Stato membro di stabilimento dell’impresa che dispone il distacco. Si tratta quindi di trasporti da uno Stato membro diverso dallo Stato membro di stabilimento dell’impresa di trasporto o da un paese terzo verso il territorio di un altro Stato membro a sua volta diverso da detto Stato membro di stabilimento o verso il territorio di un paese terzo.

859. Nel suddetto considerando 13, il legislatore ha esposto che quando il conducente effettua un’operazione di trasporto internazionale non bilaterale, dal momento che questo tipo di operazioni è caratterizzato dal fatto che il conducente effettua il trasporto internazionale al di fuori dello Stato membro di stabilimento dell’impresa che dispone il distacco, i servizi prestati sono legati allo Stato membro ospitante interessato anziché allo Stato membro di stabilimento. Il legislatore ha quindi ritenuto che, in tali casi, norme settoriali siano necessarie solo per quanto riguarda gli obblighi amministrativi e le misure di controllo. Di conseguenza, a differenza di quanto previsto per gli altri tipi di operazioni di trasporto summenzionati, per quanto riguarda il trasporto cross‑trade, la direttiva 2020/1057 non prevede all’articolo 1 alcun paragrafo che disciplini normativamente il distacco dei conducenti per questo tipo di operazione di trasporto.

b)      Sulla portata dei ricorsi della Repubblica di Bulgaria e della Repubblica di Cipro, rispettivamente nelle cause C544/20 e C550/20

860. Preliminarmente, occorre ancora chiarire la portata dei ricorsi nelle cause C‑544/20 e C‑550/20 – che sono quasi identici – proposti dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro. In tali ricorsi, questi due Stati membri chiedono alla Corte di annullare integralmente la direttiva 2020/1057.

861. Il Parlamento e il Consiglio sostengono, tuttavia, che i ricorsi di questi due Stati membri sollevano argomenti che riguardano esclusivamente l’articolo 1 di detta direttiva e non il resto della stessa.

862. A tale proposito, occorre rammentare che dalla giurisprudenza risulta che l’annullamento integrale di un atto contestato non può essere disposto quando risulta del tutto evidente che un motivo, avendo ad oggetto unicamente un aspetto specifico dell’atto medesimo, è tale da fondare solo un annullamento parziale. Infatti, il solo fatto che ritenga fondato un motivo invocato dal ricorrente a sostegno del proprio ricorso di annullamento non consente al giudice dell’Unione di annullare automaticamente l’atto impugnato in toto (526).

863. Tuttavia, l’annullamento parziale di un atto di diritto dell’Unione è possibile solo se gli elementi di cui si chiede l’annullamento sono separabili dal resto dell’atto. Tale requisito non è soddisfatto quando l’annullamento parziale dell’atto produrrebbe l’effetto di modificare la sostanza dello stesso, circostanza che deve essere valutata sul fondamento di un criterio oggettivo e non di un criterio soggettivo legato alla volontà politica dell’autorità che ha adottato l’atto di cui trattasi (527).

864. Orbene, nel caso di specie, con i loro due ricorsi nelle cause C‑544/20 e C‑550/20, la Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro contestano quello che esse definiscono il «modello ibrido», che sarebbe stato introdotto dalla direttiva 2020/1057. Come risulta dai loro ricorsi, tale modello ibrido consiste «nel fatto di applicare al trasporto cross‑trade, senza una soglia temporale, le norme sul distacco, esentando nel contempo da tali norme il trasporto bilaterale» (528).

865. A sostegno dei loro ricorsi, questi due Stati membri sollevano cinque motivi, vertenti, in primo luogo, sulla violazione del principio di proporzionalità, in secondo luogo, sulla violazione del principio della parità di trattamento, in terzo luogo, sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE, in quarto luogo, sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, dell’articolo 90 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, e dell’articolo 94 TFUE, nonché, in quinto luogo, sulla violazione delle disposizioni dei trattati in materia di libera circolazione delle merci e dei servizi e della politica comune dei trasporti.

866. Come si è esposto al paragrafo 840 supra, la direttiva 2020/1057 è intesa, in sostanza, a disciplinare due aspetti principali. In particolare, nell’ambito del primo di questi due aspetti, come ho rilevato ai paragrafi 845 e seguenti supra, la direttiva 2020/1057, nello specifico all’articolo 1, paragrafi da 3 a 7, letti alla luce dei considerando da 10 a 13, è volta ad introdurre norme specifiche per quanto riguarda il distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada, distinguendo tra diversi tipi di operazioni di trasporto in base al grado di connessione con il territorio dello Stato membro ospitante.

867. In tale contesto, è giocoforza constatare che i ricorsi della Repubblica di Bulgaria e della Repubblica di Cipro hanno ad oggetto esclusivamente il primo aspetto disciplinato dalla direttiva 2020/1057 e solo due dei cinque tipi di operazione di trasporto di cui all’articolo 1 della stessa. Ne consegue che, quand’anche la Corte accogliesse uno o tutti i motivi addotti nei loro ricorsi da questi due Stati membri, ne conseguirebbe, tutt’al più, l’annullamento della direttiva 2020/1057 nella misura in cui disciplina il distacco per i due tipi di trasporto cui si riferiscono gli argomenti addotti dai due Stati membri summenzionati, vale a dire il trasporto bilaterale e il trasporto cross‑trade. Alla luce della giurisprudenza menzionata ai paragrafi 862 e 863 supra, tale annullamento non potrebbe estendersi alla normativa prevista dalla direttiva 2020/1057 per gli altri tipi di trasporto, né tanto meno alle altre disposizioni di detta direttiva (529). Ne consegue che, per quanto riguarda questi ultimi aspetti, i ricorsi della Repubblica di Bulgaria e della Repubblica di Cipro devono essere respinti.

2.      Sui motivi riguardanti le norme specifiche relative al distacco dei conducenti

a)      Osservazioni preliminari

868. Tutti e sei gli Stati membri che hanno impugnato la direttiva 2020/1057 ne contestano le disposizioni riguardanti le norme specifiche, contenute in particolare nel suo articolo 1, relative al distacco dei conducenti.

869. Più precisamente, nella causa C‑541/20, la Repubblica di Lituania chiede l’annullamento dell’articolo 1, paragrafi 3 e 7, della direttiva 2020/1057, che riguardano rispettivamente le operazioni di trasporto bilaterale di merci e il cabotaggio. Nella causa C‑548/20, la Romania chiede l’annullamento dell’articolo 1, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2020/1057, riguardanti rispettivamente le operazioni di trasporto bilaterale di merci e di passeggeri, il transito e il trasporto combinato. Nella causa C‑551/20, l’Ungheria chiede in via principale l’annullamento integrale di tale articolo e, in subordine, l’annullamento dell’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 relativo al trasporto combinato. Nella causa C‑555/20, la Repubblica di Polonia chiede l’annullamento dell’articolo 1, paragrafi 3, 4, 6 e 7, della direttiva 2020/1057, che riguardano, rispettivamente, le operazioni di trasporto bilaterale di merci e di passeggeri, il trasporto combinato e il cabotaggio. Per quanto attiene ai ricorsi della Repubblica di Bulgaria e della Repubblica di Cipro, rispettivamente nelle cause C‑544/20 e C‑550/20, come è stato chiarito nei paragrafi da 860 a 867 supra, essi hanno ad oggetto le norme della direttiva 2020/1057 relative alle operazioni di trasporto bilaterale e al trasporto cross‑trade.

870. Per poter analizzare i vari motivi sollevati dai suddetti Stati membri avverso tali norme specifiche, occorre illustrare il contesto giurisprudenziale in cui si collocano le norme in parola.

b)      Sulla giurisprudenza della Corte in materia di distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada

871. Come ho rilevato al paragrafo 845 supra, nell’ambito della direttiva 2020/1057, il legislatore dell’Unione ha basato le norme settoriali in materia di distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada sul criterio dell’esistenza di un «legame sufficiente» che colleghi il conducente e il servizio prestato al territorio di uno Stato membro ospitante.

872. Così facendo, il legislatore ha applicato il criterio elaborato dalla Corte nella sua giurisprudenza relativa all’applicabilità della direttiva 96/71.  Infatti, nella sentenza del 19 dicembre 2019, Dobersberger (C‑16/18, EU:C:2019:1110). la Corte ha dichiarato che, ai sensi della direttiva 96/71, un lavoratore può essere considerato distaccato nel territorio di uno Stato membro solo se l’esecuzione del suo lavoro presenta un «legame sufficiente» con tale territorio (530). Per contro, non può essere considerato «distaccato», ai sensi della direttiva 96/71, un lavoratore che svolga prestazioni di carattere molto limitato nel territorio dello Stato membro nel quale è inviato (531).

873. La Corte ha poi fornito alcune indicazioni riguardo all’analisi volta ad accertare l’esistenza di detto «legame sufficiente». Tale analisi presuppone una valutazione globale di tutti gli elementi che caratterizzano l’attività del lavoratore interessato. Inoltre, l’esistenza di un simile legame con il territorio interessato può risultare, in particolare, da caratteristiche della prestazione di servizi alla cui fornitura è assegnato il lavoratore di cui trattasi. La natura delle attività svolte da tale lavoratore nel territorio dello Stato membro interessato costituisce altresì un elemento pertinente ai fini di valutare l’esistenza di un simile legame (532).

874. Nella successiva sentenza del 1º dicembre 2020, Federatie Nederlandse Vakbeweging – pronunciata dopo l’adozione della direttiva 2020/1057 e mentre era in corso la fase scritta dei procedimenti oggetto delle presenti conclusioni –, la Corte ha inoltre fornito una serie di importanti chiarimenti riguardo al regime giuridico relativo al distacco dei lavoratori mobili quali gli autisti del trasporto internazionale su strada sotto la vigenza della direttiva 96/71.

875. In detta sentenza la Corte ha, in primo luogo, chiarito che la direttiva 96/71 si applica alle prestazioni di servizi transnazionali nel settore del trasporto su strada, ad eccezione delle prestazioni di servizi che coinvolgono il personale navigante della marina mercantile – espressamente escluso dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 96/71 –, e che tale direttiva si applica, in linea di principio, a qualsiasi prestazione di servizi transnazionale che implichi un distacco di lavoratori, indipendentemente dal settore economico al quale una simile prestazione si ricollega, ivi compreso pertanto il settore del trasporto su strada (533).

876. In secondo luogo, in detta sentenza la Corte ha fornito chiarimenti riguardo ai criteri per accertare l’esistenza di un «legame sufficiente» con il territorio di uno Stato membro per i lavoratori mobili, quali gli autisti del trasporto internazionale su strada (534). Per quanto riguarda tali lavoratori, la Corte ha dichiarato che il grado di intensità del legame delle attività svolte da un simile lavoratore, nell’ambito della fornitura del servizio di trasporto al quale è stato assegnato, con il territorio di ciascuno Stato membro interessato assume rilievo ai fini dell’esistenza di un «legame sufficiente» con il territorio. La Corte ha poi dichiarato che lo stesso vale per la parte di tali attività nel complesso della prestazione di servizi di cui trattasi e che, al riguardo, operazioni di carico o scarico di merci, di manutenzione o di pulizia dei veicoli di trasporto sono pertinenti, purché siano effettivamente compiute dall’autista interessato, e non da terzi.

877. In terzo luogo, nella citata sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, la Corte ha elaborato anche criteri precisi riguardo all’esistenza di un «legame sufficiente» per alcuni tipi specifici di operazioni di trasporto internazionale su strada. Sotto un primo profilo, la Corte ha dichiarato che non può essere considerato «distaccato», ai sensi della direttiva 96/71, un autista che, nell’ambito di un trasporto su strada di merci, si limita a transitare nel territorio di uno Stato membro, in quanto egli svolge prestazioni di carattere molto limitato nel territorio dello Stato membro nel quale è inviato (535). La Corte ha quindi escluso l’esistenza di un «legame sufficiente» con il territorio dello Stato membro ospitante per il transito, quale menzionato al paragrafo 851 supra.

878. Sotto un secondo profilo, la Corte ha dichiarato che lo stesso vale nel caso di un autista che effettui unicamente un trasporto transfrontaliero dallo Stato membro in cui ha sede l’impresa di trasporti fino al territorio di un altro Stato membro o viceversa (536). La Corte ha quindi statuito che non può essere considerato «distaccato», ai sensi della direttiva 96/71, un autista che effettui operazioni di «trasporto bilaterale», quali menzionate al paragrafo 847 supra.

879. Sotto un terzo profilo, la Corte ha inoltre dichiarato che la circostanza che i trasporti di cabotaggio si svolgano interamente nel territorio dello Stato membro ospitante consente di ritenere che l’esecuzione del lavoro da parte dell’autista nell’ambito di simili operazioni presenti un legame sufficiente con tale territorio (537). La Corte ha quindi statuito che un autista che effettua operazioni di cabotaggio, quali menzionate al paragrafo 855 supra, deve, in linea di principio, essere considerato distaccato nel territorio dello Stato membro ospitante ai sensi della direttiva 96/71.

880. Nel medesimo contesto, la Corte ha inoltre dichiarato che la durata dei trasporti di cabotaggio non è idonea, in quanto tale, a mettere in discussione l’esistenza di un legame sufficiente tra l’esecuzione del lavoro dell’autista che li effettua e il territorio dello Stato membro ospitante (538).

881. È quindi in tale contesto giurisprudenziale che occorre esaminare i motivi volti a contestare le norme specifiche della direttiva 2020/1057 relative al distacco dei conducenti.

c)      Sul motivo vertente sulla non applicabilità della direttiva 96/71 ai conducenti nel settore del trasporto su strada

1)      Argomenti delle parti

882. Nell’ambito delle sue conclusioni in via principale nella causa C‑551/20, volte all’annullamento integrale dell’articolo 1 della direttiva 2020/1057, l’Ungheria, sostenuta dalla Repubblica di Estonia, dalla Repubblica di Lettonia e dalla Romania, afferma che le «norme specifiche» menzionate in tale articolo sono illegittime, in quanto i conducenti che effettuano trasporti internazionali su strada non rientrerebbero generalmente nell’ambito di applicazione della direttiva 96/71 sul distacco dei lavoratori, tenuto conto delle caratteristiche particolari dell’attività che svolgono.

883. In primo luogo, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 96/71 – al quale la direttiva 2020/1057 fa riferimento nel suo articolo 1, paragrafo 2 –, l’applicabilità del regime di distacco ai conducenti che esercitano un’attività di trasporto internazionale su strada sarebbe ipotizzabile solo nel caso in cui esista un rapporto contrattuale tra l’impresa di trasporto che li occupa e il destinatario dell’invio. Orbene, un rapporto contrattuale siffatto sarebbe insolito nel contesto dei contratti di trasporto. In base alla direttiva 2020/1057, non sarebbe affatto necessario che venga stipulato un contratto tra l’impresa mittente e l’impresa destinataria affinché vi sia un distacco. Sarebbe infatti sufficiente che il conducente attraversi una frontiera nazionale. Ne conseguirebbe che le norme in materia di distacco si basano su una logica totalmente estranea a quella delle attività di trasporto internazionale, cosicché, secondo il governo ungherese, dette norme sarebbero inapplicabili a tali attività.

884. In secondo luogo, il distacco, ai sensi della direttiva 96/71, sarebbe strettamente connesso a una prestazione di servizi effettuata dal datore di lavoro nello Stato membro ospitante. Tuttavia, nell’ambito dell’attività di trasporto, l’enfasi non sarebbe posta sul servizio fornito dal conducente, bensì sulla circolazione delle merci tra gli Stati membri. Non si tratterebbe quindi di un’attività tale da giustificare l’applicazione delle norme in materia di distacco previste dalla direttiva 96/71. Tale argomento sarebbe suffragato dalla risposta dell’Unione europea alla crisi provocata dalla pandemia di COVID‑19. In seguito all’introduzione di restrizioni agli spostamenti da parte di vari Stati membri, la Commissione sarebbe intervenuta quasi immediatamente per garantire un funzionamento il più fluido possibile del trasporto di merci.

885. In terzo luogo, in considerazione dell’elevata mobilità dei lavoratori dei trasporti internazionali di merci su strada, l’Ungheria, richiamandosi alla summenzionata sentenza Dobersberger, sostiene che non si può ritenere che tali conducenti svolgano temporaneamente il loro lavoro in un altro Stato membro, e che essi sono semmai in costante movimento tra più Stati membri. Una permanenza di breve durata – perfino di poche ore – in un altro Stato membro non potrebbe creare un legame sufficiente con il territorio di detto Stato membro.

886. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tale motivo.

2)      Analisi

887. Con il suo motivo unico dedotto a sostegno delle sue conclusioni in via principale dirette all’annullamento dell’articolo 1 della direttiva 2020/1057, l’Ungheria afferma in sostanza che, poiché il regime di distacco istituito dalla direttiva 96/71 non sarebbe applicabile al settore del trasporto su strada, le disposizioni di cui all’articolo 1 della direttiva 2020/1057, che fanno esplicitamente riferimento alla direttiva 96/71 per la definizione del loro ambito di applicazione, sarebbero illegittime.

888. A questo proposito, tuttavia, ho rilevato al paragrafo 875 supra che, nella sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging (539), pronunciata dopo il deposito del ricorso da parte dell’Ungheria nella causa C‑551/20 (540), la Corte ha dichiarato che la direttiva 96/71 è applicabile alle prestazioni di servizi transnazionali nel settore del trasporto su strada. Da tale constatazione consegue che manca il presupposto stesso del motivo sollevato dall’Ungheria, giacché il motivo in parola si basa sull’asserita inapplicabilità della direttiva 96/71 al settore del trasporto su strada. In siffatte circostanze, detto motivo deve, a mio avviso, essere respinto.

889. Inoltre, nella sua replica, che è stata depositata dopo la pronuncia della menzionata sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging (541), l’Ungheria ha rilevato essa stessa che in tale sentenza la Corte aveva dichiarato che la direttiva 96/71 è applicabile nel settore del trasporto su strada. Orbene, a mio avviso sono inoperanti gli argomenti, già sollevati nel ricorso e ulteriormente sviluppati in detta replica, secondo i quali, in ragione della natura insolita della conclusione di un contratto tra l’impresa di trasporto che occupa gli autisti di trasporto internazionale e il destinatario dell’invio, in molti casi i servizi di trasporto non soddisferebbero le condizioni di una situazione di distacco rientrante nell’ambito di applicazione della direttiva 96/71, cosicché i conducenti che effettuano trasporti internazionali generalmente non potrebbero essere considerati persone che attuano una delle misure transnazionali di cui alla direttiva 96/71.

890. Infatti, quand’anche si ritenesse che le circostanze addotte siano comprovate, in ogni caso esse non potrebbero dimostrare l’illegittimità della disposizione di cui trattasi. L’eventuale circostanza che una normativa abbia un ambito di applicazione limitato (542), cosicché varie fattispecie non sarebbero coperte dalla stessa, non è idonea a dimostrare in alcun modo l’illegittimità di detta normativa.

891. Da tutto quanto precede consegue che, a mio avviso, il motivo unico dedotto a sostegno delle conclusioni presentate in via principale dall’Ungheria nella causa C‑551/20 dirette all’annullamento dell’articolo 1 della direttiva 2020/1057 deve essere respinto.

d)      Sulla violazione dellarticolo 91, paragrafo 1, TFUE

1)      Argomenti delle parti

892. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono che l’articolo 91, paragrafo 1, TFUE, che costituisce la base giuridica della direttiva 2020/1057, imponeva al legislatore dell’Unione di deliberare secondo la procedura legislativa ordinaria e previa consultazione del CESE e del CdR. Queste due ricorrenti affermano che, omettendo di consultare i due comitati suddetti sebbene il modello ibrido (543) sia stato introdotto durante il procedimento legislativo e non facesse parte della proposta iniziale della Commissione, il Consiglio e il Parlamento hanno violato l’articolo 91, paragrafo 1, TFUE. Tale obbligo di consultazione dopo una modifica sostanziale del progetto iniziale deriverebbe dalla giurisprudenza della Corte relativa al ruolo consultivo del Parlamento europeo (544) quando quest’ultimo non era ancora colegislatore, che si applicherebbe mutatis mutandis al CESE e al CdR, nonché dai documenti di lavoro relativi al funzionamento del CdR. Le conclusioni della sentenza nella causa C‑65/90 (545) sarebbero trasponibili alle modalità di consultazione del CdR e del CESE e la disposizione interpretata all’epoca dalla Corte sarebbe redatta in termini identici all’articolo 91, paragrafo 1, TFUE. Il modello ibrido toccherebbe il nucleo stesso della direttiva. La piena applicazione delle norme sul distacco dei lavoratori, indipendentemente dal tempo trascorso in uno Stato membro, al traffico cross‑trade imporrebbe ai trasportatori interessati un obbligo modificato in modo sostanziale. I trasporti cross‑trade non sarebbero più su un piano di parità con i trasporti bilaterali, il che falserebbe la concorrenza e darebbe luogo a differenze ingiustificate tra i conducenti. Il modello ibrido introdotto durante il procedimento legislativo comprometterebbe quindi la struttura della proposta iniziale. La mancata consultazione dei Comitati potrebbe influire sul merito e sulla sostanza del provvedimento e avrebbe comportato una mancanza di diligenza nella sua elaborazione. Orbene, l’obbligo di consultare i due comitati suddetti deriverebbe da un requisito procedurale sostanziale, univoco e chiaro, che sarebbe menzionato anche dai documenti di lavoro del CdR. Una modifica sostanziale introdotta nella proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla valutazione delle tecnologie sanitarie, che modifica la direttiva 2011/24/UE (546), avrebbe indotto il colegislatore a decidere di consultare nuovamente il CESE. L’assenza di un impatto significativo dell’omessa consultazione sul contenuto delle misure infine adottate, ancorché, contrariamente a quanto sostenuto dal Parlamento, non comprovata, non potrebbe, in ogni caso, incidere sul carattere obbligatorio della consultazione. Il Consiglio avrebbe riconosciuto il ruolo fondamentale della direttiva 2020/1057 nel proprio comunicato stampa (547).

893. Il Consiglio e il Parlamento, nonché le parti intervenute a loro sostegno, concludono per il rigetto del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE per mancata consultazione del CESE e del CdR.

2)      Analisi

894. Come già ricordato al paragrafo 535 delle presenti conclusioni, dall’articolo 91, paragrafo 1, TFUE risulta che il Parlamento e il Consiglio, quando agiscono su tale base, devono consultare il CESE e il CdR. I pareri del CESE e del CdR sulla proposta di direttiva della Commissione sono stati raccolti rispettivamente il 18 gennaio 2018 (548) e il 1º febbraio 2018 (549).

895. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro deducono, in sostanza, un argomento analogo a quello dedotto nel contesto dell’articolo 1, punto 3, lettera a), del regolamento 2020/1055 (550). Inoltre, queste due ricorrenti addebitano al Consiglio e al Parlamento di non avere raccolto nuovamente il parere del CESE e del CdR dopo le modifiche apportate durante il procedimento legislativo alla proposta di direttiva sulla quale i medesimi si erano espressi. Esse sostengono che, mentre la proposta della Commissione si basava sul criterio del periodo trascorso nel territorio di uno Stato membro per determinare l’applicazione delle norme sul distacco, il Consiglio e il Parlamento avrebbero optato per un criterio diverso e né il CESE né il CdR sarebbero quindi stati consultati in merito alla modifica sostanziale che sarebbe rappresentata dal modello ibrido.

896. Ho già rilevato che l’obbligo di consultare nuovamente tali comitati nel caso in cui venga apportata una modifica sostanziale al testo durante il procedimento legislativo non deriva né dall’articolo 91 TFUE né da alcuna altra disposizione di diritto primario (551). Ho inoltre respinto l’argomento secondo cui i principi derivanti dalla sentenza Parlamento/Consiglio si applicherebbero alla consultazione del CESE e del CdR (552). Per quanto riguarda il contenuto dei documenti di lavoro del CdR menzionati dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro, rinvio al paragrafo 538 delle presenti conclusioni.

897. Ciò mi induce a concludere che il CESE e il CdR hanno potuto, a mio avviso, esprimere sufficientemente il loro parere sul progetto legislativo considerato.

898. In particolare, rilevo che il CdR ha già espresso le sue riserve «per quanto riguarda[va] l’ampia inclusione dei servizi di trasporto internazionale nell’ambito di applicazione della direttiva sul distacco dei lavoratori» (553). Osservo inoltre che il modello ibrido, come definito dalle ricorrenti medesime, consiste nell’esenzione del trasporto bilaterale dall’applicazione delle norme sul distacco (554) e si può quindi ritenere che esso risponda, almeno in parte, alle preoccupazioni espresse dal CdR.

899. Per quanto riguarda il CESE, esso ha avuto modo di manifestare il suo parere secondo cui la proposta di modifica della normativa sul distacco dei conducenti non affrontava efficacemente i problemi individuati, omettendo di accrescere la semplicità, la chiarezza e l’applicabilità delle norme (555). Nondimeno, il CESE si compiaceva dell’applicazione nell’intera Unione delle norme sul distacco dei lavoratori del settore del trasporto su strada (556), che gli sembrava fondamentale per mantenere parità di condizioni sia per la manodopera che per le imprese (557), e ha potuto esprimersi sulla questione relativa all’applicazione di tali norme a seconda del tipo di operazioni considerate (558). Il CESE ha affermato di «concorda[re] pienamente in merito all’applicazione sin dal primo giorno, come avviene ora, della direttiva sul distacco dei lavoratori al cabotaggio» (559).

900. Mi sembra quindi che, per quanto riguarda il principio dell’applicazione delle norme in materia di distacco alle operazioni di trasporto, la direttiva 2020/1057 si ponga in continuità con la proposta della Commissione. Sia il CESE che il CdR hanno potuto far valere utilmente il loro punto di vista al riguardo. La questione relativa alla determinazione dell’elemento che innesca l’applicazione di tali norme, ossia la qualificazione ritenuta pertinente dal legislatore dell’Unione del «legame sufficiente» con lo Stato membro di stabilimento (una permanenza di durata superiore a tre giorni secondo la proposta di direttiva della Commissione o la presa in considerazione del tipo di operazioni) rientra, peraltro, nell’ampio potere discrezionale del legislatore dell’Unione, senza che si possa considerare che fosse nuovamente necessario il parere del CESE e del CdR dopo che il Consiglio e il Parlamento avevano modificato detta proposta.

901. Quanto all’asserito valore di precedente di quanto accaduto durante il procedimento legislativo sfociato nell’adozione del regolamento 2021/2282, rinvio alla nota 265 delle presenti conclusioni e ribadisco che l’aggiunta di una base giuridica all’atto in corso di adozione di cui si trattava in quel caso, che comportava eventualmente a sua volta l’obbligo di consultare un comitato, non è paragonabile all’adeguamento delle condizioni di applicazione delle norme relative al distacco dei lavoratori nel settore dei trasporti, in discussione qui.

902. Di conseguenza, propongo di respingere i motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE per mancata consultazione del CESE e del CdR.

e)      Sulla violazione del principio di proporzionalità

903. Nei loro ricorsi, tutti e sei gli Stati membri che hanno impugnato la direttiva 2020/1057, sostenuti dalla Repubblica di Lettonia e dalla Repubblica di Estonia, affermano che le disposizioni di detta direttiva riguardanti le norme specifiche, contenute in particolare nell’articolo 1, della stessa, relative al distacco dei conducenti non soddisfano i requisiti derivanti dal principio di proporzionalità definiti all’articolo 5, paragrafo 4, TUE.

904. Da un lato, cinque di questi Stati membri contestano la proporzionalità in quanto tale di dette norme. Essi sostengono, in particolare, che le disposizioni impugnate della menzionata direttiva non sarebbero idonee a conseguire gli obiettivi dichiarati, che esse andrebbero oltre quanto necessario per raggiungere tali obiettivi e che i loro effetti negativi sarebbero sproporzionati rispetto ai vantaggi previsti.

905. Dall’altro, tutti e sei gli Stati membri suddetti contestano altresì l’esame effettuato dal legislatore dell’Unione della proporzionalità e, in particolare, l’assenza di una valutazione d’impatto sulla versione finale della disposizione infine adottata.

906. Occorre analizzare separatamente questi due aspetti.

1)      Sui motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità

i)      Argomenti delle parti

907. Nei loro motivi, cinque dei sei Stati membri ricorrenti sostengono che le varie disposizioni riguardanti le norme specifiche relative al distacco dei conducenti da essi contestate (560) non soddisfano i requisiti risultanti dal principio di proporzionalità, da un lato, in ragione dell’inadeguatezza di tali norme e, dall’altro, in ragione degli effetti negativi sproporzionati che deriverebbero dalla loro applicazione.

–       Sull’inadeguatezza del criterio basato sul tipo di operazioni di trasporto

908. Vari Stati membri ricorrenti affermano, sostenuti a tale proposito dalla Repubblica di Lettonia e dalla Repubblica di Estonia, che il criterio scelto dal legislatore, basato sul tipo di operazioni di trasporto, sarebbe inadeguato per l’applicazione delle norme sul distacco ai conducenti nel trasporto internazionale su strada.

909. In primo luogo, l’inadeguatezza del criterio basato sul tipo di operazioni di trasporto deriverebbe dalla circostanza che il legislatore dell’Unione non avrebbe tenuto conto, allorché ha scelto di utilizzare detto criterio, dell’esistenza di un legame effettivo tra il conducente e il territorio dello Stato membro interessato in relazione alle caratteristiche specifiche dei servizi di trasporto.

910. In tal senso, la Repubblica di Lituania sostiene che l’applicazione delle norme relative al distacco in base alla natura delle operazioni di trasporto costituisce una misura inadeguata che non riflette la nozione di distacco. In particolare, i paragrafi 3 e 7 dell’articolo 1 della direttiva 2020/1057 – che tale Stato membro contesta – sarebbero stati adottati senza un esame adeguato della natura delle operazioni di trasporto internazionale. In linea di principio, le norme relative al distacco sarebbero destinate a compensare le spese supplementari sostenute dal lavoratore a causa del fatto che egli adempie i suoi obblighi di lavoro in uno Stato diverso da quello della sua residenza abituale. Tuttavia, la specificità del lavoro dei conducenti di autocarri sarebbe un’altra: nei casi di cabotaggio di breve durata e di trasporto transfrontaliero, di norma i conducenti non avrebbero alcun legame con lo Stato membro ospitante, trascorrerebbero generalmente solo un periodo di tempo molto breve in tale Stato e sosterrebbero quindi, in detto Stato, solo spese minime.

911. Secondo la Romania, occorrerebbe stabilire i criteri di attuazione del regime di distacco nel settore dei trasporti con particolare attenzione, al fine di garantire il giusto equilibrio tra il miglioramento delle condizioni sociali e di lavoro dei conducenti e la tutela della libera prestazione di servizi di trasporto su strada. Sarebbe quindi necessario individuare gli elementi dai quali emerge l’esistenza di un legame sufficiente tra il conducente e lo Stato membro ospitante. Il legame sufficiente, in quanto elemento chiave per stabilire le ipotesi di attuazione del regime di distacco, dovrebbe basarsi su criteri oggettivi, invariabili e di facile applicazione, che siano adeguati alle caratteristiche specifiche del settore del trasporto su strada. Pertanto, nel settore dei trasporti, caratterizzato da un elevato grado di mobilità, il legame sufficiente con il territorio dello Stato membro ospitante non potrebbe essere determinato con precisione dall’operazione di trasporto, definita essa stessa dal medesimo grado di mobilità. La valutazione d’impatto e vari altri documenti (561) non avrebbero evidenziato il contributo del criterio dell’operazione di trasporto alla determinazione del legame sufficiente.

912. La Repubblica di Polonia sostiene che il criterio basato sul tipo di operazioni di trasporto sarebbe inadeguato per l’applicazione delle norme sul distacco ai conducenti per quanto riguarda le operazioni bilaterali, il cabotaggio e il traffico cross‑trade, in quanto non terrebbe sufficientemente conto della natura specifica dei servizi di trasporto, né del legame effettivo tra il conducente e lo Stato membro ospitante.

913. Sotto un primo profilo, in generale, nel contesto del trasporto internazionale, i conducenti effettuerebbero operazioni di vario tipo, combinando le operazioni bilaterali, il traffico cross‑trade, le operazioni di transito e il cabotaggio. I nuovi incarichi verrebbero spesso accettati mentre il trasporto è già in corso, in modo da sfruttare al massimo lo spazio di carico dei mezzi di trasporto utilizzati, consentendo alle imprese di trasporto di ottimizzare le risorse disponibili, il che aumenterebbe l’efficienza complessiva del trasporto. La decisione sulle condizioni di lavoro e di occupazione applicabili dovrebbe quindi tenere conto sia del legame tra il conducente e lo Stato di cui egli attraversa il territorio, sia delle difficoltà pratiche e degli oneri amministrativi e finanziari connessi all’applicazione di un numero considerevole di normative e di requisiti formali diversi in un breve periodo di tempo. Tali elementi sarebbero stati ignorati dal legislatore dell’Unione.

914. Sotto un secondo profilo, secondo la Repubblica di Polonia, il criterio basato sul tipo di operazioni di trasporto sarebbe inadeguato in quanto non terrebbe sufficientemente conto del legame effettivo tra il conducente e il territorio dello Stato interessato. Da un lato, per quanto attiene allo «stretto legame» con lo Stato di stabilimento – sul quale si basa il considerando 10 della direttiva 2020/1057 ai fini di escludere l’applicazione delle norme sul distacco alle operazioni di trasporto bilaterale –, la Repubblica di Polonia rileva che esso non è stato definito e non è stato neppure preso in considerazione nel caso del trasporto di cabotaggio e del traffico cross‑trade, per i quali il legislatore dell’Unione si è concentrato sul legame con lo Stato ospitante (considerando 9 e 13). Dall’altro lato, per quanto attiene all’altro elemento considerato da detto considerando – vale a dire la possibilità che un conducente intraprenda varie operazioni di trasporto bilaterale durante un unico viaggio – la Repubblica di Polonia rileva che potrebbero essere intraprese varie operazioni durante un unico viaggio anche nel contesto del cabotaggio e del traffico cross‑trade.

915. Inoltre, i considerando della direttiva 2020/1057 non giustificherebbero le esenzioni per le operazioni isolate di traffico cross‑trade, previste all’articolo 1, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2020/1057, la cui introduzione costituirebbe una breccia nella logica, così definita, sottesa all’applicazione delle norme sul distacco.

916. Nelle loro memorie di intervento, la Repubblica di Lettonia e la Repubblica di Estonia reiterano, in sostanza, questi stessi argomenti. In particolare, la Repubblica di Lettonia addebita alle istituzioni dell’Unione di non avere tenuto conto, nell’adottare le disposizioni in questione, delle specificità delle operazioni di trasporto internazionale e della mobilità eccezionalmente elevata dei lavoratori nel settore del trasporto internazionale. La Repubblica di Estonia ritiene che una classificazione basata sul criterio dell’operazione di trasporto non consenta alcun margine di manovra quando si tratti di valutare l’esistenza di un legame effettivo tra il conducente e il territorio dello Stato membro ospitante nel contesto di un’operazione di trasporto internazionale. Salvo che per il transito e il cabotaggio, per tutti gli altri tipi di operazioni di trasporto occorrerebbe procedere a una valutazione caso per caso dell’esistenza di un collegamento, oppure esaminare congiuntamente la condizione della durata del servizio fornito e gli indicatori quantitativi, quali la natura e il numero di operazioni di trasporto, che sono manifestamente collegati al lavoro svolto nello Stato membro ospitante.

917. In secondo luogo, vari Stati membri sostengono che esisterebbero altri criteri o parametri più adeguati di quello basato sul tipo di operazioni di trasporto per determinare le norme relative al distacco dei conducenti. In particolare, uno di tali criteri sarebbe quello basato sulla durata della permanenza dei conducenti nello Stato ospitante, criterio che era stato inizialmente adottato dalla Commissione nella proposta di direttiva distacco.

918. In tal senso, la Repubblica di Lituania sostiene che il criterio della durata della permanenza del conducente nello Stato ospitante costituirebbe un esempio di criterio oggettivo che stabilirebbe un legame fattuale con lo Stato in cui viene effettivamente prestato il lavoro, anche se si potrebbero applicare altri criteri qualora siano oggettivamente giustificati, garantiscano un legame sufficiente con lo Stato membro in cui viene prestato il lavoro e siano conformi al principio di proporzionalità. Detto Stato membro sottolinea che la Corte, allorché ha valutato il criterio temporale nella sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, si sarebbe pronunciata soltanto sulle operazioni di cabotaggio, ma non avrebbe valutato le operazioni di trasporto bilaterale e di trasporto cross‑trade alla luce di tale criterio.

919. Secondo la Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro, una misura adeguata e meno restrittiva rispetto all’utilizzo del criterio basato sul tipo di operazione di trasporto consisterebbe nell’esentare completamente il trasporto internazionale. Tale esenzione sarebbe giustificata in considerazione della situazione particolare del trasporto internazionale e della sua natura estremamente mobile, la quale comporta che esso non presenti un legame sufficiente con il territorio degli Stati membri diversi da quello di stabilimento. Un’esenzione totale realizzerebbe tutti gli obiettivi perseguiti. L’applicazione all’intero settore del trasporto internazionale delle norme sul distacco, corredate da una soglia temporale, sarebbe più adeguata rispetto al modello ibrido, ma porrebbe gravi problemi, in quanto il suo impatto sarebbe comunque sproporzionato in termini di costi, di onere amministrativo imposto alle PMI e di difficoltà inerenti all’interpretazione e all’applicazione delle norme. Un’altra alternativa che fornirebbe chiarezza e garantirebbe un legame sufficiente sarebbe l’esecuzione, nel contesto di operazioni di traffico cross‑trade, di un minimo di compiti determinati ed elencati, in uno specifico Stato membro e durante un dato mese, ad esempio lavori di carico o di scarico merci, di manutenzione o di pulizia dei veicoli di trasporto.

920. La Romania sostiene che la rilevanza dell’applicazione dell’elemento temporale (la durata minima dell’attività) ai fini dell’individuazione del legame sufficiente con il territorio dello Stato membro ospitante risulta sia dal quadro giuridico generale applicabile al distacco sia dalla valutazione d’impatto.

921. Da un lato, il fatto di disciplinare il distacco nel settore dei trasporti senza prendere in considerazione il criterio temporale produrrebbe, in primo luogo, effetti contrari all’obiettivo perseguito, ossia trovare un equilibrio tra il miglioramento delle condizioni sociali e di lavoro dei conducenti e il fatto di agevolare l’esercizio della libertà di prestazione di servizi di trasporto su strada sulla base di una concorrenza leale, e, in secondo luogo, costituirebbe una violazione dell’articolo 5 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità (562), secondo cui gli oneri devono essere il meno gravosi possibile e commisurati all’obiettivo da conseguire.

922. Dall’altro lato, la valutazione d’impatto – capitolo sociale menzionerebbe specificamente i costi eccessivi per i trasportatori rispetto ai vantaggi per i conducenti, quando il regime di distacco è applicato a operazioni di trasporto che non vengono effettuate frequentemente o quando il lavoro non è sostanziale o significativo. La valutazione d’impatto – capitolo sociale concluderebbe che il giusto equilibrio tra i costi amministrativi e il miglioramento delle condizioni sociali e di lavoro dei conducenti può essere raggiunto solo se un conducente lavora nello Stato membro ospitante per un periodo più lungo.

923. La Romania si richiama alla sentenza della Corte del 15 marzo 2011, Koelzsch (C‑29/10, EU:C:2011:151; in prosieguo: la «sentenza Koelzsch»), in cui la Corte avrebbe stabilito i criteri per individuare «lo Stato con il quale il lavoro presenta un collegamento significativo», quando vengono svolte attività di trasporto in più Stati membri, ai fini dell’applicazione della Convenzione sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980 (563). La Corte avrebbe rilevato che, data la natura del lavoro nel settore del trasporto internazionale, occorre, quando si tratti di determinare lo Stato con il quale il lavoro presenta un collegamento significativo, tener conto di tutti gli elementi che caratterizzano l’attività del lavoratore e in particolare del luogo a partire dal quale il lavoratore effettua le sue missioni di trasporto, riceve le istruzioni sulle sue missioni e organizza il suo lavoro, nonché del luogo in cui si trovano gli strumenti lavorativi. Occorre inoltre verificare quali sono i luoghi in cui il trasporto è principalmente effettuato, i luoghi di scarico della merce nonché il luogo in cui il lavoratore ritorna dopo le sue missioni.

924. La Repubblica di Polonia sostiene che il legislatore dell’Unione ha omesso gli altri elementi che attestano il legame tra il conducente e lo Stato ospitante, in particolare la durata della permanenza del conducente nel territorio dello Stato ospitante. Secondo tale Stato membro, il criterio temporale dovrebbe essere preso in considerazione al fine di garantire la proporzionalità delle misure relative all’applicazione delle norme sul distacco dei lavoratori. La proposta di direttiva distacco si basava per l’appunto su tale criterio temporale e la valutazione d’impatto elaborata dalla Commissione affermava che detto criterio corrisponde meglio alla natura mobile dei servizi di trasporto, tenuto conto sia della situazione dei conducenti sia di quella dei trasportatori, nonché delle misure giuridiche esistenti e di quelle proposte.

925. La Repubblica di Polonia sottolinea che la durata della permanenza nello Stato ospitante può essere parimenti comparabile nel contesto di tutte le operazioni di trasporto da essa considerate, ossia le operazioni di trasporto bilaterale, il traffico cross‑trade e il trasporto di cabotaggio. In tal senso, la durata della permanenza del conducente nello Stato ospitante può essere molto breve tanto nel caso del traffico cross‑trade quanto in quello del trasporto di cabotaggio. Effettuando tali operazioni, il conducente può ben trascorrere meno tempo nello Stato ospitante di quanto non faccia nel contesto delle operazioni di trasporto bilaterale o di transito. Pertanto, sarebbe difficile evocare un legame sufficiente tale da giustificare l’applicazione delle norme sul distacco. La sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging non sarebbe vincolante per il legislatore dell’Unione, in quanto detta sentenza non osterebbe né a una deroga più ampia in relazione al cabotaggio, né all’adozione di un criterio temporale come criterio che determina l’ambito di applicazione delle norme sul distacco alle operazioni di trasporto internazionale.

926. In tale contesto, la Repubblica di Polonia si richiama alla sentenza della Corte del 15 marzo 2001, Mazzoleni e ISA (C‑165/98, EU:C:2001:162, in prosieguo: la «sentenza Mazzoleni»). Tenuto conto del fatto che l’obbligo di garantire ai conducenti una retribuzione corrispondente a quella dello Stato ospitante sarà una delle conseguenze più importanti dell’applicazione delle norme sul distacco ai conducenti, detta sentenza sarebbe rilevante al fine di valutare la proporzionalità delle disposizioni contestate della direttiva 2020/1057. In detta sentenza, la Corte avrebbe statuito che spetta alle competenti autorità dello Stato membro ospitante, allo scopo di stabilire se sia necessaria e proporzionata l’applicazione della propria normativa che impone una retribuzione minima, valutare tutti gli elementi pertinenti. Tale valutazione implicherebbe, da un lato, che le autorità tengano conto, in particolare, della durata delle prestazioni di servizi, dalla loro prevedibilità, del fatto che i dipendenti siano stati effettivamente trasferiti nello Stato membro ospitante o che essi continuino ad essere collegati alla base di operazioni del loro datore di lavoro nel suo Stato membro di stabilimento. Dall’altro, occorrerebbe accertarsi se la tutela di cui fruiscono i dipendenti nello Stato membro di stabilimento sia equivalente a quella dello Stato membro ospitante.

927. La Repubblica di Polonia sostiene che l’articolo 3, paragrafi da 2 a 5, della direttiva 96/71 avrebbe parzialmente tenuto conto di tali criteri, prevedendo possibili deroghe all’applicazione delle condizioni di lavoro e di occupazione dello Stato ospitante in ragione della breve durata del distacco, della natura dei servizi forniti o della natura del lavoro svolto. Nessuna di tali deroghe sarebbe però applicabile ai conducenti. Tuttavia, la formulazione delle disposizioni in questione, che è stata mantenuta, ignora sia il criterio temporale sia altri elementi di collegamento tra il conducente e lo Stato di stabilimento, come i criteri indicati nella sentenza Koelzsch summenzionata.

928. Oltre a ciò, il collegamento tra l’operazione e il carico e/o lo scarico sul territorio dello Stato di stabilimento del trasportatore sarebbe parimenti decisivo per determinare l’applicabilità delle norme sul distacco. Infatti, il carico e/o lo scarico nello Stato ospitante ha luogo nell’ambito di tutte le operazioni di trasporto menzionate. Infine, il viaggio del conducente dovrebbe essere considerato nella sua totalità. Infatti, sebbene il trasporto di cabotaggio sia interamente effettuato sul territorio dello Stato ospitante, esso sarebbe possibile solo a seguito di un trasporto internazionale su strada.

929. In terzo luogo, l’inadeguatezza del criterio basato sul tipo di operazioni di trasporto deriverebbe dalle incertezze e dalle difficoltà relative all’attuazione di tale criterio.

930. In tal senso, la Repubblica di Lituania afferma che dalla valutazione d’impatto risulterebbe che, a motivo della mobilità molto elevata nel settore del trasporto internazionale su strada, l’attuazione della direttiva sul distacco dei lavoratori comporterebbe particolari difficoltà giuridiche.

931. La Romania sostiene che l’applicazione del criterio della tipologia dell’operazione di trasporto determina incertezze in termini di individuazione dello Stato membro ospitante e, pertanto, della normativa applicabile. Tali incertezze sarebbero la diretta conseguenza della regolamentazione di un criterio che non consente di stabilire se sussista un legame sufficiente con lo Stato membro ospitante. In tal senso, risulterebbe difficile in primo luogo applicare il criterio della tipologia dell’operazione di trasporto e delle variabili relative al carico/allo scarico delle merci e al carico/allo scarico di passeggeri. L’operatore dello Stato membro di stabilimento dovrebbe essere in grado di qualificare la situazione del proprio dipendente prima dell’inizio di qualsiasi operazione di trasporto. Infatti, l’articolo 1, paragrafo 11, lettera a), della direttiva 2020/1057 impone a detto operatore di trasmettere una dichiarazione di distacco alle autorità nazionali competenti di uno Stato membro in cui il conducente è distaccato, al più tardi all’inizio del distacco. Pertanto, la certezza del diritto e la chiarezza nell’individuazione delle ipotesi di distacco e della legislazione sociale applicabile costituirebbero una condizione preliminare del rispetto, da parte degli operatori, degli obblighi previsti dal diritto dell’Unione.

932. Tuttavia, l’applicazione del criterio della tipologia dell’operazione di trasporto non offrirebbe una soluzione chiara in termini di individuazione dello Stato membro ospitante e della legge applicabile. In tal senso, non sarebbe chiaramente stabilito se l’applicazione del criterio dell’operazione di trasporto presupponga l’individuazione di un unico Stato membro ospitante con cui il conducente abbia un legame sufficiente nel contesto generale dell’operazione di trasporto di cui trattasi, o se saranno applicabili cumulativamente le norme giuridiche in vigore in tutti gli Stati membri nei quali viene effettuato il carico/lo scarico, purché esse non rientrino tra le eccezioni previste all’articolo 1, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2020/1057. L’applicazione del solo criterio dell’operazione di trasporto non consentirebbe di risolvere la questione dell’individuazione della legge applicabile, in quanto le condizioni del legame sufficiente tra il conducente e uno o tutti gli Stati membri coinvolti nelle operazioni di trasporto non sono stabilite in diritto.

933. Inoltre, secondo la Romania, l’utilizzo nella direttiva 2020/1057 dell’elemento carico/scarico, al fine di determinare il legame sufficiente tra il conducente e il territorio di uno Stato membro ospitante, non è ottimale. I conducenti non avrebbero competenze in materia di carico/scarico delle merci e, nella maggior parte dei casi, non viene loro richiesto di svolgere simili attività. Solo occasionalmente i conducenti effettuano operazioni di carico/scarico delle merci. Secondo la Romania, l’applicazione del criterio dell’operazione di trasporto è tale da compromettere la flessibilità e la celerità specifiche di questo settore, il che, come risulterebbe dalla valutazione d’impatto – capitolo sociale, determinerebbe situazioni di mancato rispetto della normativa. Così, in caso di modifica, durante l’attività di trasporto, del numero di attività aggiuntive associate a un’operazione di trasporto bilaterale di merci o di persone, tale da rendere applicabile il regime di distacco, sembrerebbe che il trasportatore si trovi nell’impossibilità di presentare una dichiarazione di distacco alle autorità nazionali competenti dello Stato membro in cui il conducente è distaccato al più tardi all’inizio del distacco, come richiesto dall’articolo 1, paragrafo 11, lettera a), della direttiva 2020/1057.

934. La Repubblica di Polonia sostiene che le esenzioni previste all’articolo 1, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2020/1057 suscitano dubbi interpretativi, i quali dimostrano che esse sono fondate su criteri strutturati in modo inadeguato. Per quanto riguarda l’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2020/1057, tenuto conto del fatto che il carico/lo scarico può avere luogo, in linea di principio, solo nello Stato attraversato dal conducente, sembrerebbe che si tratti unicamente degli Stati situati sul tragitto dell’operazione di trasporto bilaterale. Inoltre, in caso di esenzione, non sarebbe chiaro in quale momento debba iniziare l’applicazione delle norme dello Stato ospitante qualora il conducente effettui un’attività aggiuntiva di carico/scarico, non rientrante nell’ambito dell’esenzione. Dubbi analoghi sussisterebbero riguardo all’interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 2020/1057 per quanto attiene alla presa in carico di passeggeri. Inoltre, sarebbe difficile comprendere per quale motivo sono state consentite due esenzioni per il trasporto di merci, mentre ne esiste una sola per il trasporto di persone. Non vi sarebbe alcuna giustificazione oggettiva nemmeno a tale riguardo.

935. In quarto luogo, la Romania sostiene che la regolamentazione del distacco nel settore dei trasporti in base al criterio dell’operazione di trasporto avrebbe conseguenze dirette sul mercato. Verrebbero scoraggiate sia le operazioni di trasporto non bilaterale (effettuate come attività a sé stanti o come attività aggiuntive), sia le operazioni di trasporto combinato. In tale contesto, la Romania richiama l’attenzione sulle caratteristiche specifiche del mercato dei trasporti dell’Unione, che sarebbe costituito principalmente da PMI.

–       Sul carattere inadeguato e non necessario del «modello ibrido» per contribuire agli obiettivi perseguiti

936. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono che, avendo scelto il «modello ibrido», menzionato al paragrafo 864 supra, le misure previste dalla direttiva 2020/1057 non sarebbero adeguate in quanto non riuscirebbero a mantenere un equilibrio tra gli obiettivi che perseguono e non consentirebbero di realizzare nessuno di essi.

937. Per quanto riguarda, in primo luogo, l’obiettivo di conseguire condizioni di lavoro adeguate e una protezione sociale per i conducenti, la retribuzione più elevata di cui potrebbero beneficiare i conducenti riguarderebbe, nella maggior parte dei casi, solo brevi periodi trascorsi nel paese di carico o di scarico, cosicché le condizioni di lavoro e la protezione sociale dei conducenti risulterebbero migliorate solo in misura molto limitata.

938. Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’obiettivo di creare condizioni eque per le imprese e di concorrenza leale per i trasportatori su strada che effettuano traffico cross‑trade, il modello ibrido sarebbe sinonimo di concorrenza sleale. Il vantaggio comparativo dei trasportatori stabiliti negli Stati membri periferici risiederebbe nei loro costi inferiori, che deriverebbero in particolare da un costo della vita meno elevato e, pertanto, da salari più bassi. A causa dell’applicazione del modello ibrido, i trasportatori che effettuano traffico cross‑trade vengono collocati in una posizione meno competitiva rispetto ai trasportatori che effettuano trasporto bilaterale. Ciò falserebbe la concorrenza tra il centro dell’Unione, dove i trasportatori praticano principalmente il trasporto bilaterale, e gli Stati membri, come la Bulgaria, dove i trasportatori effettuano principalmente operazioni di trasporto cross‑trade. Per quanto riguarda, in terzo luogo, l’obiettivo di agevolare l’esercizio della libertà di fornire servizi transfrontalieri, il modello ibrido restringerebbe tale libertà in quanto comporterebbe un aumento dei costi.

939. Il modello ibrido non sarebbe quindi né adeguato né necessario. Non esisterebbe un collegamento sufficiente forte con nessuno dei paesi attraversati dal conducente. Indipendentemente dallo Stato membro di partenza o di destinazione, i lavoratori che effettuano un trasporto bilaterale svolgerebbero lo stesso lavoro dei lavoratori che effettuano un trasporto cross‑trade. Lo Stato membro di partenza o di destinazione non avrebbe alcuna incidenza sul legame tra il conducente e lo Stato ospitante. Per contro, esisterebbe un collegamento evidente con un territorio nell’ambito delle operazioni di cabotaggio.

940. Non vi sarebbe alcun motivo valido per cui il lavoratore assegnato a un’operazione di trasporto cross‑trade goda di migliori condizioni di lavoro e di una migliore protezione sociale, mentre quello assegnato a un’operazione di trasporto bilaterale non ne godrebbe. Il paese di partenza o di destinazione del carico non sarebbe un criterio pertinente per applicare ai conducenti livelli diversi di protezione sociale.

–       Sugli effetti negativi sproporzionati

941. Vari Stati membri ricorrenti sostengono che le disposizioni in materia di distacco dei conducenti della direttiva 2020/1057 sono contrarie al principio di proporzionalità in quanto comporterebbero effetti negativi sproporzionati rispetto ai vantaggi che presentano.

942. In tal senso, la Repubblica di Lituania afferma che le norme relative al distacco imporrebbero ai trasportatori un onere amministrativo particolarmente gravoso e ingiustificato, che scoraggerebbe la prestazione di servizi in altri Stati membri. Infatti, quando effettua operazioni di cabotaggio o di trasporto cross‑trade di breve durata, il prestatore di servizi è tenuto ad adeguarsi ai requisiti dello Stato membro del luogo della prestazione. Applicare ogni volta le norme relative al distacco, solo a motivo della natura dell’operazione, comporterebbe una discriminazione indiretta per le imprese di trasporto stabilite negli Stati periferici, scoraggerebbe la prestazione di servizi a breve termine e, in sostanza, restringerebbe la concorrenza. Ciò riguarderebbe soprattutto le PMI, che rappresenterebbero il 99% dell’intero mercato dei trasporti dell’Unione. Peraltro, sarebbe probabile che le PMI cesseranno di effettuare operazioni di cabotaggio e di trasporto transfrontaliero o decideranno di trasferire la loro attività negli Stati membri situati al centro dell’Unione o vicino ad esso. Fino all’adozione della direttiva 2020/1057 non esistevano oneri amministrativi in materia. Non si potrebbe quindi ritenere che la direttiva 96/71 comportasse un onere amministrativo, in quanto non vi sarebbe stata unanimità per far rientrare i conducenti nel suo ambito di applicazione.

943. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono che l’applicazione al trasporto cross‑trade delle norme relative al distacco avrà un impatto significativo ed effetti negativi sui trasportatori interessati. Infatti, le norme sul distacco comporteranno costi aggiuntivi di manodopera e soprattutto costi amministrativi molto significativi relativamente ad almeno due aspetti. In primo luogo, essi comprendono i costi di messa in conformità con i requisiti amministrativi e con le misure di controllo dei vari Stati membri (che sono più elevati rispetto ai costi di un distacco tradizionale). In secondo luogo, essi comprendono i costi relativi alla documentazione di ciascun distacco e all’applicazione delle norme dello Stato ospitante. Tenuto conto della molteplicità di paesi e di operazioni di trasporto, nonché delle divergenze tra le legislazioni nazionali, sarà molto complicato per il trasportatore valutare quando vi sia distacco e quando non vi sia.

944. Tale valutazione sarebbe resa ancora più complessa dal fatto che la direttiva 2020/1057 difetta di chiarezza riguardo alle norme sul distacco che devono essere applicate al trasporto cross‑trade. Il calcolo per determinare in quali giorni e per quale periodo un conducente sia stato distaccato, che i trasportatori dovranno effettuare distinguendo tra trasporto cross‑trade e trasporto bilaterale, comprendendo e successivamente applicando le diverse norme nazionali di ciascuno Stato membro, costituirebbe un onere gravoso per tali trasportatori, la maggior parte dei quali sono PMI. Detta mancanza di chiarezza darebbe inoltre adito a interpretazioni divergenti da uno Stato membro all’altro, il che gonfierà ulteriormente gli oneri amministrativi e i costi. Il CdR (564) e alcuni studi avrebbero segnalato che le norme sul distacco comporteranno un aumento dei costi amministrativi per gli operatori (565).

945. L’onere imposto ai trasportatori che effettuano traffico cross‑trade sarebbe così difficile da sostenere che potrebbe comportare un riorientamento verso altri tipi di attività, la delocalizzazione in paesi terzi, la riduzione del fatturato o addirittura il fallimento. Sarebbe inoltre probabile che tale onere determini inefficienze e aggravi l’impatto ambientale. Inoltre, esso rischierebbe di falsare la concorrenza, in quanto la direttiva impugnata non impone alcun obbligo e non si applica ai trasportatori di Stati non membri dell’Unione.

946. La Romania afferma inoltre che, tenuto conto dei problemi menzionati ai paragrafi da 931 a 933 supra, relativi al rispetto del principio della certezza del diritto (difficoltà in termini di individuazione dello Stato membro ospitante, di celerità e di flessibilità), la normativa in questione è tale da perturbare la prestazione di servizi di trasporto da parte delle PMI e da porre a loro carico obblighi sproporzionati rispetto ai vantaggi per i conducenti.

947. La Repubblica di Polonia sostiene che, a causa dell’attuazione delle disposizioni in materia di distacco dei conducenti della direttiva 2020/1057, i trasportatori dovranno sostenere costi elevati. Tali costi derivano, in primo luogo, dalla necessità di adeguare la retribuzione dei conducenti alle tariffe in vigore negli Stati attraversati e, in secondo luogo, dagli oneri amministrativi.

948. Per quanto attiene, in primo luogo, alla retribuzione dei conducenti, secondo le informazioni contenute nella valutazione d’impatto – capitolo sociale, esisterebbero differenze fondamentali tra gli Stati membri per quanto riguarda i livelli retributivi dei conducenti. Tenuto conto del fatto che i costi salariali rappresentano circa il 30% dei costi operativi dei trasportatori, una modifica così significativa delle retribuzioni costituirebbe un onere enorme per le imprese e sarebbe determinante per la loro competitività. Infatti, come indicherebbe la Commissione, la concorrenza in tale settore si basa principalmente sui prezzi. Occorre inoltre sottolineare che il mercato dei servizi di trasporto è dominato dalle PMI, che hanno un capitale limitato. Spese così elevate potrebbero quindi eccedere le capacità finanziarie di tali imprese, il che porterebbe, di conseguenza, al loro fallimento nonché all’aumento delle pratiche illecite e del falso lavoro autonomo.

949. Rapportando tali costi ai vantaggi per i conducenti, la Repubblica di Polonia afferma che, come avrebbe rilevato la Commissione, per quanto riguarda la lotta al lavoro illegale e alla sottovalutazione delle retribuzioni, soltanto i conducenti che trascorrono più tempo nello Stato che attraversano vedranno migliorare la loro situazione. Infatti, la breve durata della permanenza degli altri conducenti impedirà un controllo efficace. Pertanto, l’applicazione della normativa dello Stato di transito nei loro confronti dovrebbe essere considerata un requisito irragionevole.

950. Per quanto riguarda, in secondo luogo, gli oneri amministrativi, essi genereranno costi supplementari. Nonostante l’applicazione limitata ai conducenti dei requisiti fissati dalla direttiva 2014/67/UE, sarebbe necessario produrre e tradurre documenti supplementari per ogni conducente che rientri nell’ambito di applicazione delle norme sul distacco. Cosa ancora più importante, i trasportatori sarebbero costretti ad analizzare costantemente le operazioni di trasporto effettuate al fine di determinare la normativa applicabile. Se la normativa applicabile è quella dello Stato di transito, occorrerà tradurla e modificare le condizioni di occupazione e di lavoro. Dai calcoli presentati dal settore risulterebbe che i costi amministrativi connessi all’applicazione della normativa dello Stato ospitante relativa alla retribuzione dei conducenti possono raggiungere EUR 14 000 all’anno per un singolo trasportatore. Tali costi non comprenderebbero neanche le spese relative ai controlli e alle eventuali ammende.

951. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

ii)    Analisi

–       Osservazioni preliminari

952. Dalla giurisprudenza menzionata ai paragrafi 52 e seguenti supra risulta che, nel caso di specie, per poter rispondere ai motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità, la Corte deve verificare se il legislatore dell’Unione, prevedendo, all’articolo 1, paragrafi da 3 a 7, della direttiva 2020/1057, letti alla luce dei considerando da 7 a 13 di tale direttiva, le norme specifiche relative al distacco dei conducenti nel settore del trasporto internazionale su strada, abbia manifestamente ecceduto l’ampio potere discrezionale di cui dispone in materia di politica comune dei trasporti (566), optando per misure manifestamente inadeguate rispetto agli obiettivi che esso intendeva perseguire o che causerebbero inconvenienti sproporzionati rispetto agli scopi previsti.

953. A tale proposito, rilevo che la Corte ha inoltre riconosciuto che la normativa, a livello dell’Unione, relativa al distacco di lavoratori effettuato nell’ambito di una prestazione di servizi rientra in un settore nel quale l’azione del legislatore dell’Unione richiede scelte di natura tanto politica quanto economica o sociale e nel quale esso è chiamato a effettuare apprezzamenti e valutazioni complessi e che, pertanto, in un settore del genere detto legislatore dispone di un ampio potere discrezionale (567).

954. Prima di procedere all’analisi della proporzionalità, devo ancora osservare, sempre in via preliminare, che, come risulta dal considerando 8 della direttiva 2020/1057, menzionato al paragrafo 844 supra, le disposizioni di tale direttiva riguardano le norme specifiche relative al distacco dei conducenti che completano le norme generali relative al distacco dei lavoratori, previste dalla direttiva 96/71. Escludendo l’esistenza di un distacco nel caso di alcuni tipi di operazioni di trasporto e riconoscendo l’applicabilità di tale direttiva in alcuni altri casi, le norme della direttiva 2020/1057, da un lato, limitano e, dall’altro, precisano l’ambito in cui si applica la direttiva 96/71. Rispetto alle norme contenute in quest’ultima direttiva, le norme della direttiva 2020/1057 costituiscono quindi una lex specialis.  In siffatte circostanze, dette norme devono essere esaminate nel contesto giuridico e giurisprudenziale relativo alla direttiva 96/71 nel quale si inseriscono.

955. In tale contesto, occorre, in primo luogo, rilevare che, come esposto ai paragrafi 874 e seguenti supra, nella sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging la Corte ha, in sostanza, implicitamente confermato un approccio in materia di distacco dei conducenti nel settore stradale basato su una distinzione in funzione del tipo di operazione di trasporto, in quanto essa stessa, in detta sentenza, ha considerato la disciplina sul distacco risultante dalla direttiva 96/71 applicabile in modo differente a tipi diversi di operazioni di trasporto in applicazione del criterio del «legame sufficiente», sviluppato nella sua giurisprudenza precedente e, in particolare, nella succitata sentenza Dobersberger.

956. In secondo luogo, nella sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, la Corte ha già elaborato criteri specifici riguardo all’esistenza di un «legame sufficiente», ai sensi della giurisprudenza, per alcuni tipi di operazione di trasporto. Così, come ho rilevato ai paragrafi da 877 a 880 supra, la Corte ha statuito, da un lato, che non può essere considerato «distaccato», ai sensi della direttiva 96/71, un autista che, nell’ambito di un trasporto su strada di merci, transiti sul territorio di uno Stato membro o effettui soltanto un’operazione di trasporto bilaterale e, dall’altro, che un autista che effettui operazioni di cabotaggio deve, in linea di principio, essere considerato distaccato nel territorio dello Stato membro ospitante ai sensi della direttiva 96/71.

957. Per contro, la Corte non ha elaborato alcun criterio specifico riguardo all’esistenza di un «legame sufficiente» per gli altri due tipi di operazioni di trasporto che formano oggetto della disciplina prevista dalla direttiva 2020/1057, vale a dire il trasporto combinato e il trasporto cross‑trade.

958. Orbene, benché la sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging sia stata pronunciata dopo l’adozione della direttiva 2020/1057, dall’effetto ex tunc delle sentenze della Corte (568) deriva che la normativa sul distacco degli autisti del trasporto internazionale nelle fattispecie di transito, di trasporto bilaterale e di cabotaggio ai sensi della direttiva 96/71, come interpretate da tale sentenza, costituisce la normativa vigente prima dell’adozione della direttiva 2020/1057.

959. Ne consegue, da un lato, che, salvo alcuni aspetti – quali le esenzioni di cui all’articolo 1, paragrafo 3, terzo e quarto comma, e paragrafo 4, terzo comma, della direttiva 2020/1057 – per questi tre tipi di trasporto la direttiva 2020/1057 non ha modificato la disciplina del distacco dei conducenti rispetto alla situazione esistente sotto la vigenza della direttiva 96/71.

960. Dall’altro lato, e di conseguenza, l’annullamento delle disposizioni della direttiva 2020/1057 relative a questi tre tipi di trasporto non comporterebbe, in sostanza – salvo per alcuni aspetti –, alcun cambiamento per quanto riguarda la disciplina del distacco dei conducenti.

961. Orbene, in ragione dell’anteriorità dell’adozione della direttiva 2020/1057 rispetto alla pronuncia della sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, non è possibile, nel caso di specie, ritenere – come per l’articolo 1, punto 6, lettera c), del regolamento 2020/1054, come ho rilevato al paragrafo 394 supra – che, adottando detta direttiva, il legislatore dell’Unione abbia realmente «codificato» il diritto esistente per quanto riguarda questi tre tipi operazioni di trasporto internazionale (569). Tuttavia, la Corte deve tenere conto, nell’analisi della proporzionalità delle misure di cui trattasi, del fatto che la normativa precedente e quella successiva all’adozione della direttiva in questione sono identiche, almeno per questi tre tipi di operazione di trasporto internazionale.

962. In tali circostanze, conformemente alla giurisprudenza ricordata ai paragrafi 52 e seguenti e coerentemente con il paragrafo 952 supra, nel caso di specie, l’esame dei motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità in relazione all’articolo 1, paragrafi 3, 4, 5 e 7, della direttiva 2020/1057 dovrà essere diretto a verificare se, adottando un atto normativo che non modifica, rispetto al diritto esistente, la disciplina del distacco dei conducenti relativamente alle operazioni di trasporto bilaterale, al transito e al cabotaggio, il legislatore dell’Unione abbia manifestamente ecceduto l’ampio potere discrezionale di cui dispone in materia di politica comune dei trasporti optando per una misura manifestamente inadeguata rispetto agli obiettivi che esso intendeva perseguire o che causerebbe inconvenienti sproporzionati rispetto agli scopi previsti.

963. È quindi in tale prospettiva che occorre esaminare i diversi motivi dedotti dagli Stati membri ricorrenti per mettere in discussione la proporzionalità dell’articolo 1, paragrafi da 3 a 7, della direttiva 2020/1057.

–       Sugli obiettivi delle norme specifiche relative al distacco dei conducenti, previste dalla direttiva 2020/1057

964. Per poter procedere all’esame dei motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità, occorre anzitutto individuare gli obiettivi perseguiti dalla normativa in questione, obiettivi la cui legittimità non è contestata dagli Stati membri ricorrenti.

965. Come risulta dai paragrafi da 841 a 844 supra, e dai considerando della direttiva 2020/1057 ivi menzionati, l’obiettivo generale delle norme in materia di distacco dei conducenti consiste nell’agevolare l’esercizio della libertà di prestazione dei servizi stabilendo in modo coordinato quale sia lo Stato membro le cui condizioni di lavoro e di occupazione devono essere applicate a un lavoratore che si trovi in una situazione transfrontaliera. L’obiettivo specifico della direttiva 2020/1057 è tenere conto delle particolarità del settore del trasporto su strada, esentando talune categorie di operazioni dalle norme in materia di distacco e mantenendo nel contempo un’adeguata protezione dei lavoratori. Tali obiettivi devono essere valutati alla luce degli aspetti peculiari del settore dei trasporti descritti in precedenza.

966. Dai suddetti considerando risulta inoltre che il quadro giuridico del distacco si basa sull’equilibrio tra due interessi, ossia, da un lato, garantire alle imprese la possibilità di fornire prestazioni di servizi nell’ambito del mercato interno distaccando lavoratori dello Stato membro in cui esse sono stabilite verso lo Stato membro in cui esse effettuano le loro prestazioni e, dall’altro, tutelare i diritti dei lavoratori distaccati. Adottando la direttiva 2020/1057, il legislatore dell’Unione ha quindi cercato di assicurare la libera prestazione dei servizi su una base equa, vale a dire in un quadro normativo tale da garantire una concorrenza che non si basi sull’applicazione, nello stesso Stato membro, di condizioni di lavoro e di occupazione sostanzialmente diverse a seconda che il datore di lavoro sia stabilito o meno in tale Stato membro.

–       Sull’inadeguatezza del criterio basato sul tipo di operazioni di trasporto

967. Per quanto riguarda, anzitutto, gli argomenti sollevati dagli Stati membri ricorrenti relativi all’inadeguatezza del criterio basato sul tipo di operazioni di trasporto, rilevo che l’ampio potere discrezionale di cui dispone il legislatore dell’Unione, sia in materia di politica comune dei trasporti (570), sia in materia di normativa, a livello dell’Unione, relativa al distacco dei lavoratori effettuato nell’ambito di una prestazione di servizi (571), riguarda indubbiamente anche la scelta del criterio con cui si determina l’esistenza un «legame sufficiente» con il territorio di uno Stato membro, nel rispetto dei criteri indicati dalla Corte nella sua giurisprudenza.

968. Orbene, ciascuna tipologia di trasporto presa in considerazione dall’articolo 1, paragrafi da 3 a 7, della direttiva 2020/1057 presenta un legame diverso con il territorio dello Stato membro di stabilimento del trasportatore, o con il territorio di uno o più Stati membri ospitanti. Così, ad esempio nel caso del cabotaggio, dal momento che l’operazione di trasporto si svolge esclusivamente nel territorio di uno Stato membro ospitante diverso dallo Stato di stabilimento, si può ritenere che l’esecuzione del lavoro da parte dell’autista nell’ambito di simili operazioni presenti un legame sufficiente con tale territorio (572). Nel caso delle operazioni di trasporto bilaterale, l’operazione di trasporto ha come punto di partenza o di arrivo lo Stato membro di stabilimento, mentre nel caso del transito l’operazione di trasporto si svolge nello Stato membro ospitante, senza tuttavia che il punto di partenza o di arrivo del trasporto si trovi in tale Stato, il che consente di ritenere che il conducente svolga prestazioni di carattere limitato nel territorio dello Stato membro nel quale è inviato (573). Nel caso delle operazioni di trasporto non bilaterale (trasporto cross‑trade) l’operazione di trasporto si svolge invece tra due Stati ospitanti, il che consente di ritenere che la prestazione del conducente non abbia alcun rapporto con il territorio dello Stato membro di stabilimento del trasportatore.

969. Da tali considerazioni emerge, a mio avviso, che, poiché ciascuna delle diverse tipologie di operazione di trasporto presenta un legame diverso con il territorio dello Stato membro di stabilimento o degli Stati membri ospitanti, un criterio che si basi sulla tipologia di trasporto per determinare l’esistenza di un «legame sufficiente» tra la prestazione di tale servizio e il territorio dello Stato membro non sembra manifestamente inadeguato. Inoltre, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni degli Stati membri ricorrenti, un criterio siffatto, differenziando la normativa a seconda del legame tra la prestazione e il territorio dello Stato membro interessato, tiene effettivamente conto delle caratteristiche specifiche di ognuno di tali tipi di servizio di trasporto. Anziché concentrarsi esclusivamente sul territorio in cui si trova il lavoratore, il legislatore dell’Unione ha confrontato il legame fra il tipo di servizio fornito e lo Stato membro ospitante con il legame fra il tipo di servizio fornito e lo Stato membro di stabilimento, al fine di agevolare la prestazione di tali servizi da parte delle imprese senza compromettere gravemente la tutela dei diritti dei lavoratori di cui beneficiano i conducenti.

970. Ne consegue, a mio avviso, che, nell’ambito dell’ampio margine di discrezionalità di cui dispone in tale settore, il legislatore dell’Unione poteva senz’altro optare per un criterio siffatto.

971. Inoltre, come ho rilevato al paragrafo 955 supra, nella sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging la Corte ha, in sostanza, implicitamente confermato un approccio in materia di distacco dei conducenti nel settore stradale basato su una distinzione in funzione del tipo di operazione di trasporto. In detta sentenza, infatti, la Corte ha interpretato essa stessa la disciplina del distacco risultante dalla direttiva 96/71 nel senso che si applica in modo differente a tipi diversi di operazioni di trasporto in applicazione del criterio del «legame sufficiente».

972. Inoltre, come ho rilevato al paragrafo 956 supra, la Corte, nella sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, ha già elaborato criteri specifici riguardo all’esistenza di un «legame sufficiente» per le operazioni di trasporto bilaterale, il transito e il cabotaggio. In tali circostanze, gli Stati membri ricorrenti non possono sostenere che, per questi tipi di operazioni di trasporto, il criterio basato sul tipo di operazioni di trasporto sarebbe inadeguato in quanto non terrebbe sufficientemente conto del legame effettivo tra il conducente e il territorio dello Stato interessato.

973. Per quanto attiene al trasporto combinato, sebbene la Corte non abbia fornito indicazioni specifiche riguardo a tale tipologia di operazione di trasporto, nella succitata sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging la Corte ha chiaramente indicato che un trasporto transfrontaliero dallo Stato membro in cui ha sede l’impresa di trasporti fino al territorio di un altro Stato membro o viceversa non rientra nell’ambito di applicazione della direttiva sul distacco dei lavoratori (574). Orbene, questo ragionamento copre e quindi ben si applica, a mio avviso, alle operazioni menzionate all’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057, che esclude ormai completamente l’esistenza di un distacco per i tragitti stradali iniziali o terminali di un’operazione di trasporto combinato consistenti di per sé in operazioni di trasporto bilaterale.

974. Per quanto riguarda le operazioni di trasporto non bilaterale, ho rilevato ai paragrafi 858 e 859 supra che, a differenza di quanto avviene per gli altri tipi di operazioni di trasporto summenzionati, la direttiva 2020/1057 non contiene all’articolo 1 un paragrafo che disciplini normativamente il distacco dei conducenti per questo tipo di operazione di trasporto. Essa si limita ad enunciare nel considerando 13 che, poiché questo tipo di operazioni è caratterizzato dal fatto che il conducente effettua il trasporto internazionale al di fuori dello Stato membro di stabilimento dell’impresa che dispone il distacco, i servizi prestati sono legati agli Stati membri ospitanti interessati anziché allo Stato membro di stabilimento.

975. Di conseguenza, la direttiva 2020/1057 chiarisce soltanto che nel caso delle operazioni di trasporto cross‑trade vi è sempre un distacco del conducente, in quanto, essendo la prestazione fornita al di fuori dello Stato membro di stabilimento, non vi è un legame sufficiente con tale Stato. Essa non chiarisce tuttavia con precisione quale sarà la normativa applicabile al distacco, o più precisamente con quale degli Stati membri ospitanti interessati la prestazione avrà un legame sufficiente.

976. A tale proposito, rammento che dalla giurisprudenza risulta che un considerando non costituisce, in sé, una norma giuridica e, pertanto, non ha valore giuridico proprio, ma permette di chiarire l’interpretazione che deve darsi ad una norma o ad una nozione giuridica prevista nell’atto in cui esso è contenuto (575). Ne consegue che lo Stato membro ospitante con cui esiste un legame sufficiente tra la prestazione e il suo territorio e la cui legislazione sarà quindi applicabile deve essere individuato applicando i criteri indicati dalla giurisprudenza, illustrati al paragrafo 876 supra (576).

977. Per quanto riguarda il trasporto cross‑trade, occorre tuttavia anche rilevare che il legislatore ha deciso di facilitare l’effettuazione di operazioni di trasporto efficienti da parte delle imprese escludendo dall’ambito di applicazione del regime di distacco talune operazioni di trasporto cross‑trade, collegate a operazioni di trasporto bilaterale, come previsto dalle esenzioni ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 3, terzo e quarto comma, e paragrafo 4, terzo comma, della direttiva 2020/1057. Per tutte queste operazioni di trasporto cross‑trade non vi è distacco e si applicano quindi le norme dello Stato membro di stabilimento del trasportatore.

978. Da tutte le considerazioni che precedono risulta che, adottando norme settoriali sul distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada basate sull’esistenza di un legame sufficiente che colleghi il conducente e il servizio prestato al territorio di uno Stato membro, e che si fondano su un criterio che distingue i diversi tipi di operazioni di trasporto in funzione del grado di connessione con il territorio di tale Stato membro, il legislatore dell’Unione, nell’ambito dell’ampio margine di discrezionalità di cui dispone in tale settore, non ha applicato un criterio manifestamente inadeguato rispetto agli obiettivi che intendeva perseguire mediante la normativa di cui trattasi.

979. Tale valutazione non può essere messa in discussione dagli argomenti addotti dagli Stati membri ricorrenti.

980. In primo luogo, gli Stati membri ricorrenti sostengono che esistono altri criteri o parametri più adeguati rispetto a quello basato sul tipo di operazioni di trasporto per determinare le norme relative al distacco dei conducenti.

981. A tale proposito, per quanto riguarda, anzitutto, l’argomento della Repubblica di Bulgaria e della Repubblica di Cipro secondo cui una misura adeguata e meno restrittiva rispetto all’utilizzo del criterio basato sul tipo di operazione di trasporto consisterebbe nell’esentare completamente il trasporto internazionale dalle norme in materia di distacco e di condizioni di lavoro e di occupazione dello Stato membro ospitante, essa non consentirebbe di trovare un equilibrio tra i diversi interessi in gioco, in quanto manifestamente una soluzione siffatta non risponderebbe all’obiettivo primario della direttiva 2020/1057 di protezione sociale dei lavoratori, né contribuirebbe a rendere la concorrenza più leale e a garantire la libera prestazione dei servizi su una base di parità, ossia in un quadro normativo che garantisca una concorrenza. Una soluzione del genere era peraltro già stata presa in considerazione e scartata dalla Commissione nel corso dell’iter legislativo (577).

982. Per quanto riguarda, poi, l’utilizzo di un criterio basato sulla durata della permanenza dei conducenti nello Stato ospitante, esso potrebbe, in teoria, essere un criterio che il legislatore dell’Unione avrebbe potuto prendere in considerazione per stabilire le norme sul distacco dei conducenti. In effetti, come si vedrà più nel dettaglio ai paragrafi 1024 e seguenti infra, la Commissione aveva adottato tale criterio nella proposta di direttiva distacco.

983. Tuttavia, come risulta dai paragrafi 53 e 56 supra e dalla giurisprudenza ivi menzionata, non spetta alla Corte sostituire la propria valutazione a quella del legislatore dell’Unione nell’esercizio di una competenza che implica scelte di natura politica, economica e sociale nonché valutazioni complesse. Infatti, è compito della Corte verificare se il legislatore dell’Unione abbia manifestamente ecceduto l’ampio potere discrezionale di cui dispone per quanto riguarda gli apprezzamenti e le valutazioni complessi che esso era chiamato a effettuare, optando per misure manifestamente inadeguate rispetto all’obiettivo perseguito. Non si tratta, quindi, di stabilire se una misura emanata in un settore del genere fosse l’unica o la migliore possibile, in quanto solo la manifesta inadeguatezza della misura rispetto all’obiettivo che le istituzioni competenti intendono perseguire può inficiare la legittimità della misura medesima.

984. Orbene, dall’analisi che ho svolto ai paragrafi da 967 a 978 supra risulta che il criterio basato sulla tipologia di operazione di trasporto utilizzato dal legislatore dell’Unione nella direttiva 2020/1057 non è manifestamente inadeguato rispetto agli obiettivi che esso intendeva perseguire con la normativa in questione.

985. Inoltre, come si è rilevato nell’analisi degli altri atti del Pacchetto mobilità (578), spetta al legislatore, nell’ambito dell’ampio margine di discrezionalità di cui dispone in materia di politica comune dei trasporti, ponderare i diversi obiettivi e interessi in gioco, scegliendo la misura specifica volta a migliorare le condizioni di lavoro dei conducenti che ritiene opportuna, purché tale misura sia idonea a raggiungere gli obiettivi che detto legislatore intende perseguire. La ricerca di tale equilibrio rientra essenzialmente in una decisione politica, per la quale il legislatore deve disporre, come già dichiarato dalla Corte, di un ampio margine di discrezionalità (579).

986. In tali circostanze, anche se si sarebbero potute considerare altre misure per stabilire le norme sul distacco dei conducenti, come ad esempio misure che applichino un criterio basato sulla durata della permanenza dei conducenti negli Stati ospitanti, ciò non comporta una violazione del principio di proporzionalità da parte del legislatore dell’Unione, in quanto la misura scelta dal legislatore non è manifestamente inadeguata.

987. Da tali considerazioni consegue che tutti gli altri argomenti sollevati dagli Stati membri, compresi quelli basati su precedenti nella giurisprudenza della Corte (580), volti a dimostrare che il criterio basato sulla durata sarebbe più adeguato rispetto al criterio infine adottato nella direttiva 2020/1057 sono inoperanti e devono pertanto essere respinti.

988. In secondo luogo, alcuni Stati membri sostengono che il criterio basato sul tipo di operazione di trasporto sarebbe inadeguato in quanto creerebbe incertezza quanto all’individuazione dello Stato membro ospitante e, pertanto, della legge applicabile.

989. A questo proposito rilevo tuttavia, in generale, che, come risulta espressamente dal considerando 9 della direttiva 2020/1057, l’approccio adottato dal legislatore era inteso ad agevolare l’esecuzione delle norme settoriali sul distacco dei conducenti. In tale prospettiva, applicando detto criterio basato sul tipo di operazione di trasporto, la direttiva 2020/1057 esenta talune operazioni di trasporto dall’applicazione della direttiva 96/71 e, a contrario, le operazioni non esentate rimangono soggette a detta direttiva relativamente al distacco dei lavoratori.

990. Pertanto, per quanto riguarda le operazioni di trasporto bilaterale, il transito e le parti delle operazioni di trasporto combinato determinate sulla base del suo articolo 1, paragrafo 6, la direttiva 2020/1057 stabilisce chiaramente che non vi è distacco del conducente e che si applica quindi la legge dello Stato membro di stabilimento dell’impresa di trasporto. Per quanto attiene al cabotaggio, invece, la direttiva stabilisce chiaramente che vi è distacco nello Stato membro ospitante nel cui territorio avviene il trasporto. Di conseguenza, al distacco si applica la legislazione di tale Stato membro. Infine, per quanto riguarda le operazioni di trasporto non bilaterale (trasporto cross‑trade), come ho rilevato ai paragrafi 858, 859 e 974 supra, la direttiva 2020/1057 chiarisce che vi è distacco, ma non specifica in quale Stato membro ospitante esso abbia luogo. Tale Stato deve essere individuato caso per caso sulla base di un’analisi fondata sui criteri sviluppati dalla giurisprudenza, il che è compito dell’impresa.

991. In tale contesto, non rilevo alcuna incertezza che la direttiva 2020/1057 creerebbe quanto all’individuazione dello Stato membro interessato e, pertanto, della legge applicabile in relazione alle operazioni di trasporto menzionate nel paragrafo precedente. Al contrario, la direttiva 2020/1057 ha eliminato l’incertezza dovuta ad applicazioni diverse nei vari Stati membri delle disposizioni della direttiva 96/71 prima dell’adozione della nuova disciplina.

992. La Romania e, soprattutto, la Repubblica di Polonia fanno tuttavia riferimento alle esenzioni previste al paragrafo 3, terzo e quarto comma, e al paragrafo 4, terzo comma, dell’articolo 1 della direttiva 2020/1057.

993. A questo proposito, per quanto riguarda la questione di sapere da quale momento si applichino le norme sul distacco, condivido il parere del Consiglio secondo cui dal testo stesso dell’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2020/1057 emerge chiaramente che, se durante il viaggio di andata di una determinata operazione bilaterale viene effettuata più di un’operazione aggiuntiva, l’esenzione per le operazioni bilaterali non può assolutamente essere applicata dallo Stato membro interessato. Per quanto attiene ai dubbi relativi all’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva 2020/1057, è giocoforza constatare che la Repubblica di Polonia non spiega quali dubbi abbia. Per quanto concerne la ragione per la quale è consentita una sola operazione aggiuntiva e non oltre, si tratta di una scelta politica operata dal legislatore per trovare il giusto equilibrio tra gli interessi in gioco, nell’ambito della quale detto legislatore dispone di un ampio potere discrezionale, come indicato, inter alia, al paragrafo 985 supra. Infine, per quanto riguarda la ragione per la quale è consentita un’operazione aggiuntiva nell’ambito di un viaggio bilaterale con partenza dallo Stato membro di stabilimento, ma sono consentite due operazioni sul tragitto di ritorno se non è stata effettuata alcuna operazione aggiuntiva durante il viaggio con partenza dallo Stato membro di stabilimento, il Consiglio ha spiegato che ciò è dovuto alla possibilità di applicare le norme menzionate al considerando 9. Nel momento in cui il conducente lascia lo Stato membro di stabilimento, è impossibile per le autorità di controllo sapere quante operazioni aggiuntive il conducente effettuerà successivamente nel tragitto di ritorno. Durante il viaggio di ritorno, invece, le autorità di controllo possono sapere cosa abbia fatto il conducente in precedenza.

994. In terzo luogo, la Romania sostiene che la direttiva 2020/1057 avrebbe conseguenze dirette sul mercato e potrebbe scoraggiare talune attività di trasporto.

995. A questo proposito, come ho rilevato ai paragrafi da 841 a 844 e da 964 a 966 supra, l’obiettivo dichiarato della direttiva 2020/1057 è quello di trovare il giusto equilibrio al fine di assicurare, da un lato, condizioni di lavoro adeguate e protezione sociale per i conducenti e, dall’altro, condizioni eque per le imprese e di concorrenza leale per i trasportatori su strada. Ne consegue che la direttiva 2020/1057, garantendo una protezione rafforzata dei lavoratori distaccati, mira a garantire la realizzazione della libera prestazione dei servizi all’interno dell’Unione nell’ambito di una concorrenza che non dipenda da differenze eccessive tra le condizioni di lavoro e di occupazione applicate, in uno stesso Stato membro, alle imprese di Stati membri diversi.

996. In un contesto siffatto, la validità della direttiva 2020/1057 non può essere messa in discussione per il motivo che il legislatore dell’Unione non ha favorito talune attività sul mercato a scapito della riduzione della protezione sociale dei lavoratori. Infatti, come ho appena rilevato al paragrafo 985 supra, un simile bilanciamento rientra interamente nell’ambito del potere discrezionale di cui il legislatore dell’Unione dispone nel caso di specie.

–       Sul carattere inadeguato e non necessario del «modello ibrido» per contribuire agli obiettivi perseguiti

997. Per quanto riguarda i motivi e gli argomenti addotti dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro in merito al carattere inadeguato e non necessario del «modello ibrido» per contribuire agli obiettivi perseguiti dalla direttiva, mi richiamo anzitutto alle considerazioni esposte, inter alia, al paragrafo 985 supra, dalle quali risulta, da un lato, che spetta al legislatore dell’Unione ponderare i diversi obiettivi e interessi in gioco, scegliendo la misura specifica adeguata per trovare il giusto equilibrio fra tali obiettivi e interessi e, dall’altro, che la ricerca di detto equilibrio rientra in una scelta politica per la quale il legislatore dispone di un ampio margine di discrezionalità.

998. A questo proposito, ho già rilevato al paragrafo 60 supra che il legislatore deve trovare un equilibrio tra i diversi interessi basandosi sulla situazione esistente nell’insieme dell’Unione, e non sulla situazione particolare di un solo Stato membro. Inoltre, ho parimenti rilevato ai paragrafi 219 e 220 supra che dalla giurisprudenza della Corte risulta che il legislatore dell’Unione non può essere privato della possibilità di adeguare un atto legislativo, segnatamente nel settore della politica comune dei trasporti, a qualsiasi cambiamento delle circostanze o a qualsiasi evoluzione delle conoscenze, tenuto conto del compito a esso incombente di vigilare sulla tutela degli interessi generali riconosciuti dal Trattato FUE e di prendere in considerazione gli obiettivi trasversali dell’Unione sanciti dall’articolo 9 TFUE, tra i quali figurano le esigenze connesse alla promozione di un elevato livello di occupazione e la garanzia di un’adeguata protezione sociale (581).

999. In particolare, la Corte ha già riconosciuto a tale proposito che, tenuto conto delle evoluzioni importanti che hanno interessato il mercato interno, prime fra tutte gli allargamenti dell’Unione che si sono succeduti, il legislatore dell’Unione poteva legittimamente adeguare un atto legislativo per procedere a un riequilibrio degli interessi in gioco al fine di rafforzare la protezione sociale dei conducenti attraverso la modifica delle condizioni di esercizio della libera prestazione dei servizi (582).

1000.  In tale prospettiva, per quanto riguarda l’affermazione secondo cui i trasportatori su strada degli Stati membri situati alla periferia dell’Unione sarebbero più colpiti dalle norme in materia di distacco dei conducenti adottate nella direttiva 2020/1057, il regime di distacco si applicherà più frequentemente alle imprese che distaccano più spesso lavoratori per fornire servizi che non presentano alcun collegamento con il territorio dello Stato membro di stabilimento. Le misure dell’Unione hanno inevitabilmente effetti disparati nei vari Stati membri e sui vari operatori economici, a seconda delle scelte operate da questi ultimi quanto all’orientamento delle loro attività commerciali e al loro luogo di stabilimento. Le norme in questione si applicano tuttavia allo stesso modo a tutti gli Stati membri.

–       Sugli effetti negativi sproporzionati

1001. Vari Stati membri ricorrenti sostengono che le disposizioni in materia di distacco dei conducenti della direttiva 2020/1057 sono contrarie al principio di proporzionalità in quanto determinano effetti negativi sproporzionati rispetto ai vantaggi che presentano. Tali Stati membri prendono in considerazione, da un lato, i costi derivanti dalla messa in conformità con la nuova normativa (come la necessità di adeguare la retribuzione dei conducenti alle tariffe in vigore negli Stati attraversati) e, dall’altro, i costi legati agli oneri amministrativi.

1002. A tale proposito, rilevo tuttavia che, per quanto riguarda le operazioni di trasporto bilaterale, il transito e il cabotaggio, la direttiva 2020/1057 non può essere qualificata come fonte di un quadro normativo nuovo e più gravoso. Infatti, come risulta dal paragrafo 959 supra, la disciplina del distacco corrisponde a quella che vigeva già prima dell’adozione della direttiva 2020/1057. In tali circostanze, riguardo a questi tipi di trasporto non si può affermare che gli oneri gravanti sugli operatori siano aumentati in qualche modo, dato che, tutt’al più, essi risultavano già dalla direttiva 96/71 medesima, ben prima dell’adozione della direttiva 2020/1057.

1003. Per quanto riguarda poi la disciplina prevista all’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057, relativa al trasporto combinato, si tratta di un’esenzione dall’applicazione delle norme della direttiva 96/71 per i tragitti ivi menzionati, che di norma ricadrebbero nell’ambito di applicazione della direttiva 96/71. Ne consegue che nemmeno tale disposizione può comportare costi aggiuntivi in relazione al distacco dei conducenti rispetto alla disciplina precedente.

1004. Per quanto attiene alle operazioni di trasporto non bilaterale, rilevo che anche se, come risulta dal paragrafo 975 supra, la direttiva 2020/1057 chiarisce che vi sarà, in linea di principio, un distacco del conducente, la medesima direttiva prevede, al paragrafo 3, terzo e quarto comma, e al paragrafo 4, terzo comma, dell’articolo 1, alcune esenzioni per una serie di operazioni di trasporto cross‑trade connesse a un’operazione di trasporto bilaterale.

1005. Inoltre, occorre rilevare che l’eliminazione dell’incertezza dovuta alla diversa applicazione nei vari Stati membri è atta a ridurre in generale i costi per le imprese. Peraltro, il legislatore ha anche adottato norme amministrative speciali, meno gravose, per tutti i tipi di operazioni di trasporto, che contribuiscono a ridurre gli oneri gravanti sui trasportatori su strada che distaccano conducenti rispetto al quadro giuridico applicabile prima dell’adozione della direttiva 2020/1057.

1006. Ad ogni modo, gli Stati membri in questione non hanno dimostrato che, conformemente alla giurisprudenza menzionata al paragrafo 59 supra, gli svantaggi per le imprese di trasporto, derivanti dalla disciplina prevista dalla direttiva 2020/1057 per il trasporto cross‑trade, sarebbero sproporzionati rispetto ai vantaggi che essa per altro verso presenta.

1007. In conclusione, alla luce di tutte le considerazioni che precedono, ritengo che occorra respingere tutti i motivi vertenti sul fatto che, adottando l’articolo 1, paragrafi da 3 a 7, della direttiva 2020/1057, letto alla luce dei considerando da 7 a 13 di tale direttiva, che prevede norme specifiche relative al distacco dei conducenti nel settore del trasporto internazionale su strada, il legislatore dell’Unione avrebbe manifestamente ecceduto il suo ampio potere discrezionale.

2)      Sui motivi vertenti sull’esame della proporzionalità da parte del legislatore dell’Unione

i)      Argomenti delle parti

1008. Tutti e sei gli Stati membri che hanno impugnato la direttiva 2020/1057 contestano l’esame effettuato dal legislatore dell’Unione della proporzionalità e, in particolare, l’assenza di una valutazione d’impatto riguardante la versione finale delle disposizioni che stabiliscono norme specifiche relative al distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada contenute nell’articolo 1, paragrafi da 3 a 7, di detta direttiva.

1009. La Repubblica di Lituania sostiene che l’adozione dell’articolo 1, paragrafi 3 e 7, della direttiva 2020/1057 è viziata da una violazione di forme sostanziali in quanto gli effetti di tali disposizioni non sarebbero stati debitamente valutati. A questo proposito, tale Stato membro si richiama all’articolo 11, paragrafo 3, TUE, agli articoli 2 e 5 del protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità e all’accordo interistituzionale.

1010. Nella sua proposta di direttiva distacco, la Commissione avrebbe suggerito, tra i criteri più rilevanti per quanto riguarda il distacco dei lavoratori, la durata della permanenza in un altro Stato membro. Tuttavia, il Parlamento e il Consiglio avrebbero dato priorità alla natura dell’operazione di trasporto, proponendo quindi criteri sostanzialmente nuovi e, di conseguenza, modificando sostanzialmente l’essenza stessa delle disposizioni in questione. Dette istituzioni avrebbero quindi dovuto effettuare una valutazione d’impatto ed illustrare i motivi per i quali i nuovi criteri proposti costituivano una misura più adeguata rispetto a quella che figurava nella proposta di direttiva.

1011. Nel caso di specie, non vi sarebbero state ragioni oggettive per non realizzare una valutazione d’impatto e le istituzioni dell’Unione non avrebbero motivato la loro decisione di non effettuare una valutazione siffatta. A questo proposito, la Repubblica di Lituania sottolinea che essa contesta le disposizioni in questione non perché il legislatore dell’Unione non ha effettuato una valutazione d’impatto supplementare, ma perché l’impatto di tali disposizioni non è stato analizzato affatto.

1012. Secondo la Repubblica di Lituania, l’adeguatezza e la necessità delle valutazioni d’impatto non possono essere interpretate nel senso che rientrano in un apprezzamento del tutto soggettivo, che dipende esclusivamente dalla volontà del legislatore dell’Unione. Al contrario, tale apprezzamento dovrebbe basarsi su dati oggettivi esistenti, giacché sarebbe questo l’unico modo per garantire che il legislatore dell’Unione non abusi del suo potere discrezionale.

1013. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono che, adottando il modello ibrido in assenza di qualsiasi valutazione d’impatto, il Parlamento e il Consiglio hanno violato il principio di proporzionalità. Infatti, le due istituzioni suddette non avrebbero avuto a disposizione alcuna valutazione d’impatto, sebbene essa fosse stata richiesta a più riprese da alcuni Stati membri, né alcuna altra informazione che potesse confermare la proporzionalità della misura. La proposta iniziale di direttiva distacco della Commissione avrebbe previsto un approccio sostanzialmente diverso in materia di distacco dei lavoratori.

1014. La Romania sostiene che, nel caso di specie, la soluzione consistente nel fare riferimento al criterio della tipologia dell’operazione di trasporto al fine di individuare le ipotesi nelle quali si applica il regime di distacco nel settore dei trasporti su strada non sarebbe stata oggetto della valutazione d’impatto effettuata dalla Commissione e non sarebbe basata su una relazione, un’analisi o dati scientifici. Nessuna relazione o alcuna analisi di questo tipo sarebbero state invocate, comunicate o discusse durante i negoziati.

1015. Secondo la Romania, al fine di rispettare il principio di proporzionalità, il legislatore dell’Unione avrebbe dovuto basare la sua scelta legislativa su analisi, relazioni e valutazioni riguardanti specificamente la determinazione delle condizioni alle quali il regime di distacco può essere applicato ai conducenti nel settore del trasporto su strada, compreso il criterio dell’operazione di trasporto che è stata scelta, in quanto documenti di tal genere che analizzino esclusivamente la necessità di un intervento legislativo in materia di distacco sarebbero insufficienti. Infatti, l’individuazione delle soluzioni necessarie e adeguate per contrastare le carenze riscontrate non potrebbe basarsi unicamente su una valutazione della situazione preesistente del mercato dei trasporti. Si dovrebbe anche procedere a una valutazione effettiva ed esaustiva delle conseguenze attese delle misure previste.

1016. In tale contesto, le valutazioni e i dati scientifici sarebbero ancora più importanti, tenuto conto delle specificità della materia e delle difficoltà in termini di determinazione di un legame sufficiente con lo Stato membro ospitante. Inoltre, i colegislatori avrebbero potuto, conformemente al punto 15 dell’accordo interistituzionale, effettuare valutazioni d’impatto delle modifiche sostanziali che hanno apportato alla proposta della Commissione, con riguardo in particolare al nuovo criterio di individuazione dei casi di distacco nel settore dei trasporti. A tale proposito, il mero fatto che l’approccio del legislatore garantirebbe, secondo la Commissione, il medesimo obiettivo della sua proposta non compenserebbe l’assenza della valutazione d’impatto che avrebbe dovuto essere effettuata. L’obiettivo perseguito da un atto legislativo dell’Unione sarebbe una questione distinta dalla ricerca delle misure idonee a garantire la realizzazione di tale obiettivo, nonché dalla valutazione degli effetti che dette misure possono produrre.

1017. L’Ungheria sostiene che l’assenza di una valutazione d’impatto per quanto riguarda il distacco nel contesto delle operazioni di trasporto combinato disciplinato dall’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 costituisce un errore manifesto di valutazione da parte del legislatore dell’Unione e una violazione del principio di proporzionalità. La proposta di direttiva distacco della Commissione non avrebbe riguardato le operazioni di trasporto combinato e le norme relative a tali operazioni sarebbero state introdotte a seguito dell’accordo del Consiglio e del Parlamento, senza che i loro effetti sul trasporto intermodale di merci siano stati esaminati da tali istituzioni. Inoltre, la Commissione avrebbe ritenuto, in una comunicazione del 15 aprile 2020 (583), che le restrizioni applicabili alle operazioni di trasporto combinato causerebbero problemi, in particolare perché tali restrizioni potrebbero ridurre l’efficacia del sostegno alle operazioni di trasporto multimodale di merci.

1018. La Repubblica di Polonia osserva inoltre che, per quanto riguarda gli effetti delle disposizioni contenute nell’articolo 1, paragrafi 3, 4, 6 e 7, della direttiva 2020/1057 che essa contesta, la valutazione d’impatto – capitolo sociale riguardava misure basate su un criterio temporale. Non sarebbero invece stati valutati gli effetti delle misure infine adottate. Pertanto, secondo tale Stato membro, non si potrebbe sostenere che le decisioni del legislatore dell’Unione si basino su dati oggettivi e che quest’ultimo fosse in grado di analizzarne le conseguenze in modo razionale.

1019. Secondo la Repubblica di Polonia, nel caso di specie, il legislatore dell’Unione non si trovava in una situazione particolare che richiedesse di fare a meno di una valutazione d’impatto complementare e non disponeva di elementi sufficienti per poter valutare la proporzionalità delle misure infine adottate. Nulla indicherebbe che il Consiglio e il Parlamento disponessero dei dati necessari per valutare gli effetti che le disposizioni impugnate avrebbero prodotto sull’ambiente, sulla situazione economica dei vari trasportatori e sul settore del trasporto su strada nel suo complesso.

1020. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

ii)    Analisi

–       Osservazioni preliminari

1021. Preliminarmente, devo rilevare che, come ho ricordato al paragrafo 61 delle presenti conclusioni, dalla giurisprudenza risulta che la questione se il legislatore abbia preso in considerazione tutti gli elementi e le circostanze rilevanti della situazione che l’atto è inteso a disciplinare e se dovesse effettuare o integrare una valutazione d’impatto ricade nell’ambito del principio di proporzionalità. Ne consegue che il motivo sollevato dalla Repubblica di Lituania vertente sulla violazione delle forme sostanziali mira, in realtà, a far valere una violazione del principio di proporzionalità e deve quindi essere esaminato nel contesto dell’analisi dei motivi attinenti alla violazione di tale principio.

1022. Inoltre, si deve rilevare che, nel caso di specie, è pacifico che il legislatore dell’Unione disponeva effettivamente di una valutazione d’impatto allorché ha adottato la direttiva 2020/1057 e che detta valutazione d’impatto copriva l’introduzione di disposizioni che stabilivano norme specifiche sul distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada (584). In tal senso, la proposta di direttiva distacco adottata dalla Commissione conteneva nell’articolo 2 disposizioni che introducevano norme speciali per il distacco dei conducenti in questo settore.

1023. Tuttavia, nella versione finale delle suddette disposizioni – in particolare nei paragrafi da 3 a 7 dell’articolo 1 della direttiva 2020/1057 che formano oggetto dei presenti ricorsi – il legislatore dell’Unione ha adottato norme diverse rispetto a quelle contenute nella proposta di direttiva distacco della Commissione. A questo proposito, è inoltre pacifico che la versione finale di tali disposizioni non è stata oggetto di alcuno specifico complemento di valutazione d’impatto.

1024. Più precisamente, nella proposta di direttiva distacco e nello specifico all’articolo 2, paragrafo 2, della stessa (585), la Commissione aveva proposto un sistema nel cui ambito, partendo dal presupposto che la direttiva 96/71 si applicava al settore del trasporto su strada, due dei nove elementi delle condizioni di lavoro e di occupazione dello Stato membro ospitante elencati all’articolo 3, paragrafo 1, di detta direttiva 96/71 (586) – ossia la durata minima dei congedi annuali retribuiti e la retribuzione – non si sarebbero applicati ai distacchi inferiori a tre giorni al mese qualora i conducenti effettuassero operazioni di trasporto internazionale ai sensi dei regolamenti nn. 1072/2009 e 1073/2009.

1025. Secondo detta proposta, i periodi inferiori a tre giorni avrebbero continuato, tuttavia, a costituire un distacco al quale si sarebbero applicati gli altri sette elementi elencati all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71 e, in particolare, gli obblighi amministrativi, segnatamente la presentazione di una dichiarazione di distacco prima dello stesso.

1026. Dal momento che le operazioni di cabotaggio erano escluse dalla nozione di «operazioni di trasporto internazionale», in quanto l’intera operazione di trasporto si svolge in uno Stato membro ospitante, tali operazioni avrebbero dovuto, secondo la proposta della Commissione, essere disciplinate integralmente dalle norme sul distacco previste nella direttiva 96/71. Di conseguenza, secondo detta proposta, la tariffa minima salariale e le ferie annuali retribuite minime dello Stato membro ospitante avrebbero dovuto applicarsi al cabotaggio a prescindere dalla frequenza e dalla durata delle operazioni effettuate dal conducente.

1027. Dall’analisi della normativa specifica relativa al distacco dei conducenti contenuta nella proposta della Commissione emerge, in primo luogo, che tale proposta raccomandava un criterio diverso rispetto alla direttiva 2020/1057 per determinare l’applicabilità delle norme in materia di distacco ai conducenti nel settore del trasporto su strada. Infatti, mentre la proposta di direttiva utilizzava un criterio temporale basato sulla durata del distacco, la direttiva 2020/1057 non fa riferimento alla durata, bensì applica un criterio basato esclusivamente sul tipo di operazioni di trasporto.

1028. In secondo luogo, mentre la direttiva 2020/1057, come risulta dai paragrafi da 846 a 859 supra, esclude l’esistenza stessa di un distacco e quindi l’applicazione delle norme in materia di distacco per alcuni tipi di operazioni di trasporto (ossia le operazioni di trasporto bilaterale, le operazioni di transito e alcune operazioni di trasporto cross‑trade connesse a un’operazione di trasporto bilaterale, nonché il tragitto stradale nell’ambito di un’operazione di trasporto combinato ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, di detta direttiva), secondo la proposta di direttiva distacco della Commissione, ogni operazione di trasporto internazionale avrebbe dato luogo a un distacco. In applicazione del suddetto criterio temporale, la normativa dello Stato membro ospitante in materia di durata minima dei congedi annuali retribuiti e di retribuzione – i due elementi sopra menzionati dei nove elencati all’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71 – non si sarebbe applicata soltanto qualora il periodo di distacco fosse stato inferiore o pari a tre giorni (587). Tutti gli altri sette elementi elencati in detto paragrafo si sarebbero applicati a tutte le operazioni di trasporto internazionale.

1029. In terzo luogo, per quanto riguarda il trasporto di cabotaggio, tanto la proposta di direttiva distacco della Commissione quanto la versione finale della direttiva 2020/1057 prevedono l’integrale applicabilità della normativa in materia di distacco prevista dalla direttiva 96/71. Per questo tipo di operazione di trasporto, relativamente al distacco, non vi è quindi alcuna differenza tra la disciplina contenuta nella proposta di direttiva distacco e quella adottata nella versione finale della direttiva 2020/1057.

–       Sull’assenza di un complemento di valutazione d’impatto per la versione definitiva delle disposizioni relative al distacco dei conducenti della direttiva 2020/1057

1030. È nel contesto illustrato nei paragrafi precedenti che occorre verificare, alla luce delle censure dedotte nei motivi sollevati dagli Stati membri ricorrenti, nonché della giurisprudenza menzionata ai paragrafi da 71 a 74 delle presenti conclusioni, se il legislatore dell’Unione abbia violato, nel caso di specie, il principio di proporzionalità a causa dell’assenza di un complemento di valutazione d’impatto sulla versione finale delle disposizioni che stabiliscono norme specifiche relative al distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada, infine adottata nella direttiva 2020/1057.

1031. A questo proposito, anzitutto, devono a mio avviso essere respinte le censure sollevate dalla Repubblica di Lituania e dalla Repubblica di Polonia – gli unici Stati membri che contestino l’articolo 1, paragrafo 7, della direttiva 2020/1057 – relative al fatto che, per quanto riguarda il trasporto di cabotaggio, il legislatore dell’Unione non avrebbe effettuato una valutazione d’impatto e non avrebbe avuto a disposizione i dati necessari per valutare gli effetti di detta disposizione. Infatti, come ho rilevato al paragrafo 1029 supra, non vi è alcuna differenza, riguardo a questo tipo di trasporto, tra la disciplina del distacco dei conducenti contenuta nella proposta di direttiva distacco della Commissione, che si basava sulla valutazione d’impatto – capitolo sociale, e quella infine adottata nella direttiva 2020/1057. In tali circostanze, i due Stati membri suddetti non possono far valere l’omissione di un complemento di valutazione d’impatto per quanto riguarda il cabotaggio.

1032. Si pone poi la questione di verificare se il legislatore dell’Unione fosse tenuto ad effettuare un complemento di valutazione d’impatto a motivo del fatto che, come ho rilevato al paragrafo 1027 supra, la versione definitiva della direttiva 2020/1057 ha infine adottato un criterio diverso rispetto alla proposta di direttiva distacco per determinare l’applicabilità delle norme in materia di distacco ai conducenti nel settore del trasporto su strada. In tal caso, avendo adottato tale direttiva in assenza di un siffatto complemento di valutazione d’impatto, detto legislatore avrebbe violato il principio di proporzionalità.

1033. A questo proposito, rilevo preliminarmente che, come ho ricordato ai paragrafi 66 e 70 supra, dalla giurisprudenza risulta che una valutazione d’impatto effettuata dalla Commissione non vincola né il Parlamento né il Consiglio. Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte emerge che il Parlamento e il Consiglio, nella loro qualità di colegislatori, sono liberi, ai sensi dell’articolo 294 TFUE e nei limiti imposti dal rispetto del diritto di iniziativa della Commissione, di giungere a una valutazione della situazione diversa da quella effettuata da quest’ultima istituzione e, pertanto, di assumere una posizione politica diversa nell’ambito del procedimento di adozione di un atto legislativo dell’Unione. Ne consegue che, anche quando il Parlamento e il Consiglio, discostandosi dalla proposta della Commissione e dalla valutazione d’impatto che ne è alla base, modificano elementi sostanziali di tale proposta, il fatto che essi non procedano a un aggiornamento della valutazione d’impatto non rende automaticamente e necessariamente invalida la normativa di diritto dell’Unione adottata. Ciò è confermato peraltro dal punto 15 dell’accordo interistituzionale, dal quale risulta, come ho rilevato al paragrafo 66 supra, che il Parlamento e il Consiglio possono effettuare essi stessi, se lo ritengono opportuno e necessario, valutazioni d’impatto delle modifiche sostanziali che apportano ad una proposta della Commissione (588).

1034. Tuttavia, come ho ricordato al paragrafo 71 supra, l’effettivo esercizio del potere di valutazione da parte del legislatore dell’Unione presuppone che siano presi in considerazione tutti gli elementi e le circostanze rilevanti della situazione che l’atto di cui trattasi è inteso a disciplinare.

1035. Orbene, gli Stati membri ricorrenti sostengono, in sostanza, che il legislatore avrebbe dovuto effettuare un complemento di valutazione d’impatto, da un lato, per valutare l’adeguatezza del nuovo criterio, infine adottato, basato sul tipo di operazione di trasporto e, dall’altro, per valutare gli effetti attesi delle misure previste in applicazione di tale nuovo criterio.

1036. Per quanto riguarda, in primo luogo, l’eventuale necessità di un complemento di valutazione d’impatto per valutare l’adeguatezza del nuovo criterio, non credo che, nel caso di specie, il legislatore dell’Unione fosse tenuto ad effettuare un simile complemento a tale riguardo.

1037. Infatti, da un lato, come risulta dai paragrafi 42 e 953 delle presenti conclusioni, ai fini dell’adozione di norme specifiche sul distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada, il legislatore dell’Unione disponeva di un ampio margine di discrezionalità per operare la scelta politica che consentisse di ponderare i diversi obiettivi e interessi in gioco, segnatamente allo scopo di trovare un equilibrio tra la protezione sociale dei conducenti e la libera prestazione di servizi di trasporto transfrontaliero per le imprese di trasporto. In tale contesto, esso disponeva altresì di un ampio margine di discrezionalità nella scelta del criterio che riteneva più adeguato a tal fine e sulla base del quale, conformemente alla giurisprudenza menzionata ai paragrafi 872 e seguenti delle presenti conclusioni, fosse possibile determinare la sussistenza di un «legame sufficiente» con il territorio dello Stato membro interessato per accertare l’esistenza di un distacco del conducente.

1038. Orbene, dai paragrafi da 967 a 996 supra risulta che il criterio basato sul tipo di operazione di trasporto non è manifestamente inadeguato per determinare l’esistenza di un «legame sufficiente» siffatto e per raggiungere gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2020/1057.

1039. Inoltre, rilevo che, escludendo esplicitamente il cabotaggio dall’applicazione delle norme settoriali specifiche sul distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada, la proposta di direttiva distacco della Commissione operava essa stessa una distinzione fra tipi di operazione di trasporto ai fini dell’applicabilità di tali norme. Il criterio basato sul tipo di operazione di trasporto adottato nella direttiva 2020/1057 non sembra quindi così nuovo rispetto alla proposta di direttiva come sostengono gli Stati membri ricorrenti.

1040. Per quanto riguarda, in secondo luogo, l’eventuale necessità di un complemento di valutazione d’impatto per valutare gli effetti attesi delle misure previste in applicazione di tale criterio nuovo, occorre anzitutto rilevare che la valutazione d’impatto – capitolo sociale conteneva un’analisi che, contrariamente a quanto sostenuto da alcuni Stati membri, non si limitava a spiegare perché l’iniziativa legislativa della Commissione fosse necessaria. Essa conteneva anzi anche calcoli e stime dell’impatto quantitativo in termini di costi della proposta della Commissione basata sul criterio temporale e, nello specifico, sulla durata di tre giorni del distacco menzionata nei precedenti paragrafi 1024, 1025 e 1027 (589). In particolare, detta valutazione d’impatto operava una distinzione tra «costi amministrativi», come quelli relativi alla notifica del distacco, e «costi di messa in conformità», come quelli derivanti dalla necessità di pagare la retribuzione applicabile nello Stato membro ospitante (590).

1041. Orbene, tali calcoli e stime che figurano nella valutazione d’impatto si basavano su uno scenario economico di riferimento nel quale, in applicazione della normativa prevista nella proposta di direttiva distacco, tutte le operazioni di trasporto transfrontaliero (comprese le operazioni di trasporto bilaterale, il transito e tutte le operazioni di trasporto cross‑trade) sarebbero state trattate allo stesso modo dal punto di vista giuridico e sarebbero rientrate nell’ambito di applicazione della direttiva 96/71. Pertanto, come si è osservato al paragrafo 1028 supra, la proposta di direttiva distacco raccomandava un sistema nel quale ogni operazione di trasporto internazionale avrebbe dato luogo a un distacco.

1042. Rispetto a tale scenario di riferimento preso in considerazione nella valutazione d’impatto, da un lato, la riduzione dei costi amministrativi sembra essere legata fondamentalmente alle misure che, in deroga alla direttiva 2014/67, riducono gli obblighi amministrativi in relazione al distacco dei conducenti e facilitano le notifiche di distacco (591). Orbene, tali misure erano contenute nella proposta di direttiva (592) e sono state, in sostanza, riprese nella direttiva 2020/1057 (593). Per di più, come sostenuto dal Consiglio, l’utilizzo del sistema di informazione del mercato interno, previsto in detta direttiva, consentirebbe anche di ridurre ulteriormente i costi amministrativi rispetto al sistema previsto nella proposta di direttiva distacco della Commissione (594).

1043. Dall’altro lato, come ho rilevato al paragrafo 1028 supra, nel sistema previsto dalla direttiva 2020/1057 il legislatore dell’Unione, applicando il criterio basato sul tipo di trasporto, ha completamente escluso varie operazioni di trasporto internazionale dall’applicazione del regime di distacco previsto dalla direttiva 96/71 e dagli obblighi amministrativi previsti dalla direttiva 2014/67. Tali esclusioni comportano che i costi, tanto amministrativi quanto di messa in conformità, derivanti dall’applicazione del regime di distacco non esisterebbero più per questi tipi di operazione di trasporto internazionale. In particolare, non sarebbe più affatto necessaria una notifica di distacco per questi tipi di operazione di trasporto internazionale e non esisterebbero altri costi di messa in conformità, in quanto la legislazione dello Stato ospitante non si applicherebbe in nessun caso per tali operazioni di trasporto internazionale.

1044. Pertanto, per quanto riguarda questi tipi di operazioni di trasporto (menzionate al paragrafo 1028 supra), la direttiva 2020/1057 comporta indubbiamente una riduzione integrale dei costi di distacco rispetto alla proposta di direttiva distacco della Commissione, la quale prevedeva che ogni operazione di trasporto internazionale, e quindi tutte le suddette operazioni di trasporto ormai escluse nell’ambito dalla direttiva 2020/1057, avrebbero dato luogo a un distacco e che esentava le operazioni di trasporto di durata inferiore a una certa soglia solo da alcuni elementi delle norme applicabili ai lavoratori distaccati.

1045. Certo, per quanto riguarda le operazioni di trasporto cross‑trade non collegate a un’operazione bilaterale, il fatto che la direttiva 2020/1057 non preveda più, a differenza della proposta di direttiva della Commissione in caso di durata del distacco inferiore o pari a tre giorni, un’esenzione dall’applicazione della normativa dello Stato membro ospitante in materia di durata minima dei congedi annuali retribuiti e di retribuzione, comporterà in alcuni casi un aumento dei costi, in particolare di messa in conformità, rispetto al sistema previsto dalla proposta di direttiva distacco della Commissione (595).

1046. Tuttavia, gli Stati membri ricorrenti non hanno fornito alcun elemento – né, a dire il vero, alcun argomento – idoneo a dimostrare in qualche modo che un eventuale aumento dei costi per questo tipo di operazioni di trasporto avrebbe potuto controbilanciare o compensare le riduzioni dei costi, menzionate al paragrafo 1044 supra, derivanti dall’applicazione della direttiva 2020/1057 agli altri tipi di trasporto e che vi sarebbe quindi stato il rischio che gli inconvenienti risultanti dalla scelta normativa operata dal legislatore dell’Unione fossero sproporzionati rispetto ai relativi vantaggi (596), cosicché si sarebbe imposto a tale riguardo un complemento di valutazione d’impatto.

1047. Peraltro, le istituzioni dell’Unione si richiamano a una serie di documenti e informazioni di dominio pubblico, come i dati per Stato membro pubblicati da Eurostat che, ad integrazione della valutazione d’impatto, consentivano di stimare gli effetti e i costi derivanti dall’applicazione della disciplina riveduta nella direttiva 2020/1057, come le stime della percentuale di merci che formano oggetto di operazioni bilaterali o di operazioni di trasporto cross‑trade, o che consentivano di stimare le differenze salariali tra diversi Stati membri (597).

1048. Per quanto riguarda specificamente l’asserita assenza di una valutazione d’impatto in relazione alle norme sul distacco nelle operazioni di trasporto combinato contenute nell’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 e alle quali si riferiscono il ricorso dell’Ungheria, nonché la Romania e la Repubblica di Polonia, occorre anzitutto rilevare che la normativa contenuta nella proposta di direttiva distacco della Commissione non comprendeva norme specifiche sul trasporto combinato.

1049. Tuttavia, dal fascicolo risulta che, nel corso dell’iter legislativo, a seguito di quesiti posti dalle delegazioni in seno al Consiglio, la Commissione ha precisato che «il tragitto stradale iniziale o terminale che costituisce parte integrante di un’operazione di trasporto combinato può essere considerato un’operazione di trasporto internazionale ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, della proposta [di direttiva distacco]. Tuttavia, al fine di garantire una sufficiente chiarezza giuridica, occorre precisare ulteriormente come debba essere considerato il tragitto stradale di un’operazione di trasporto combinato nel contesto della lex specialis sul distacco nel settore del trasporto su strada» (598).

1050. Da tale chiarimento della Commissione consegue, da un lato, che tali tragitti rientravano nell’ambito di applicazione delle norme sul distacco previste dalla proposta di direttiva distacco. Dall’altro, ne consegue che, nel sistema della proposta di direttiva distacco, i suddetti tragitti stradali iniziali o terminali di un’operazione di trasporto combinato, consistenti di per sé in operazioni di trasporto bilaterale, sarebbero quindi stati considerati come tutte le altre operazioni di trasporto che, come risulta dai paragrafi 1024, 1025 e 1028 supra, avrebbero dato luogo a un distacco, nel cui ambito solo la normativa dello Stato membro ospitante in materia di durata minima dei congedi annuali retribuiti e di retribuzione non si sarebbe applicata in caso di distacco di durata inferiore o pari a tre giorni al mese.

1051. Orbene, dal momento che l’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 esclude ormai completamente l’esistenza di un distacco per i tragitti stradali iniziali o terminali di un’operazione di trasporto combinato consistenti di per sé in operazioni di trasporto bilaterale, come per gli altri tipi di operazioni di trasporto (menzionati al paragrafo 1028 supra), la direttiva 2020/1057 dà parimenti luogo a una riduzione integrale dei costi di distacco rispetto alla normativa contenuta nella proposta di direttiva distacco della Commissione. Poiché per tali operazioni di trasporto non vi è più distacco, non vi saranno nemmeno costi inerenti ad esso. In tale prospettiva, non si può sostenere che il legislatore dell’Unione abbia violato il principio di proporzionalità omettendo di effettuare un complemento di valutazione d’impatto specifico per questo tipo di operazione di trasporto.

1052. Inoltre, il Parlamento e il Consiglio fanno valere che disponevano di un numero rilevante di informazioni sul trasporto combinato provenienti dai lavori preparatori relativi alle proposte di modifica della direttiva 92/106/CEE, tra cui in particolare la valutazione d’impatto riguardante la revisione di detta direttiva(599), nonché da altri documenti pertinenti (600).

1053. Da tutte le considerazioni che precedono risulta che, omettendo di effettuare un complemento di valutazione d’impatto per la versione definitiva delle disposizioni relative al distacco di conducenti della direttiva 2020/1057, il Parlamento e il Consiglio non hanno violato il principio di proporzionalità, in quanto il legislatore disponeva di informazioni sufficienti sia per valutare le modifiche apportate alla direttiva impugnata rispetto alla valutazione d’impatto iniziale della Commissione, sia per valutare il probabile impatto delle misure.

1054. Ne consegue che anche i motivi vertenti sull’esame da parte del legislatore dell’Unione della proporzionalità e quindi tutti i motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità devono, a mio avviso, essere respinti.

f)      Sulla violazione dellarticolo 90 TFUE (letto in combinato disposto con larticolo 3, paragrafo 3, TUE), dellarticolo 91, paragrafo 2, TFUE e dellarticolo 94 TFUE

1)      Argomenti delle parti

1055. La Repubblica di Bulgaria, la Romania, la Repubblica di Cipro e la Repubblica di Polonia sollevano vari motivi con i quali deducono la violazione dell’articolo 90 TFUE (letto in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, TUE), dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE e dell’articolo 94 TFUE.

1056. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono che la direttiva impugnata viola l’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, l’articolo 90 TFUE, letto in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, e l’articolo 94 TFUE, a causa degli effetti pregiudizievoli derivanti da tale direttiva sul tenore di vita e l’occupazione in Bulgaria e a Cipro nonché, in generale, negli Stati membri periferici dell’Unione, e sulla situazione economica dei vettori. In particolare, l’applicazione delle norme sul distacco renderebbe impraticabile il trasporto cross‑trade. Vi sarebbe inoltre un impatto negativo sull’ambiente, nonché un aumento della congestione del traffico. Tuttavia, non sarebbe stata realizzata alcuna valutazione d’impatto in relazione al modello ibrido e non sarebbe avvenuta alcuna consultazione al riguardo, né del CdR, né del CESE.

1057. La Romania esprime inoltre dubbi quanto alla compatibilità del primo pacchetto di misure sulla mobilità con l’articolo 94 TFUE e con gli obiettivi fissati all’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, in quanto tali misure comprometterebbero la competitività degli operatori situati alla periferia dell’Unione. La Romania ritiene che non possa esservi una vera protezione sociale se tali operatori si vedono esclusi dal mercato. La protezione sociale dovrebbe essere accompagnata da misure adeguate per sostenere la libera prestazione di servizi.

1058. La Repubblica di Polonia afferma, in primo luogo, che, adottando un criterio arbitrario per l’applicazione delle norme sul distacco alle operazioni di trasporto, il legislatore dell’Unione ha violato l’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, in quanto non ha tenuto conto del fatto che tale criterio può pregiudicare gravemente il tenore di vita e l’occupazione in talune regioni, come pure l’uso delle attrezzature relative ai trasporti. Sebbene il legislatore dell’Unione disponga di un ampio potere discrezionale, ciò non significherebbe che l’obbligo di tenere conto di determinati effetti sia limitato a una presa di conoscenza dei medesimi. Secondo la sua interpretazione, il legislatore dell’Unione avrebbe il diritto di adottare assolutamente qualsiasi normativa, il che sarebbe in contrasto con la costante giurisprudenza della Corte. In particolare, esso non avrebbe tenuto conto, al momento dell’adozione delle disposizioni impugnate, dell’effetto consistente nell’aumento del numero di percorsi a vuoto dei veicoli che, altrimenti, parteciperebbero al trasporto di cabotaggio e al traffico cross‑trade. La giustificazione economica dell’utilizzo dei veicoli nel traffico cross‑trade risiederebbe peraltro nel fatto che i trasportatori possono rispondere in modo flessibile, tenendo conto della prospettiva geografica, all’evoluzione delle esigenze in materia di trasporto, riducendo al minimo il numero di viaggi a vuoto ed evitando l’attesa inefficiente di un ordine di trasporto di merci nuovamente verso lo Stato di stabilimento. Il trasporto di cabotaggio presenterebbe qualità analoghe in termini di efficienza delle operazioni di trasporto.

1059. Le restrizioni relative all’esercizio del cabotaggio e del traffico cross‑trade, determinate dalle suddette disposizioni della direttiva 2020/1057 impugnate dalla Repubblica di Polonia, potrebbero comportare il ritiro dal mercato dei trasportatori, i quali non sarebbero in grado di esercitare un’attività redditizia nell’ambito di un modello di servizi di trasporto che implica operazioni di trasporto meno efficienti. Tali conseguenze sarebbero particolarmente sentite dai trasportatori degli Stati membri periferici le cui attività si baserebbero principalmente sul trasporto di cabotaggio e sul traffico cross‑trade.

1060. La valutazione d’impatto si limiterebbe a una valutazione superficiale dell’incidenza delle disposizioni impugnate sul livello di occupazione in alcune regioni e riguarderebbe, in ogni caso, l’applicazione di un criterio temporale ai fini dell’applicazione delle norme sul distacco, diverso dal criterio infine adottato nella direttiva impugnata, che non comporta i medesimi effetti sui mercati degli Stati periferici. L’aumento del traffico stradale avrebbe inoltre conseguenze negative sul tenore di vita nelle aree situate in prossimità dei principali nodi di trasporto. In tale contesto, sarebbe utile segnalare, in particolare, il rischio che le modifiche introdotte presenterebbero per la sicurezza stradale.

1061. In secondo luogo, la Repubblica di Polonia sostiene che, nell’adottare le disposizioni impugnate, il legislatore dell’Unione non ha tenuto conto della situazione economica dei vettori, violando in tal modo l’articolo 94 TFUE. Nel caso di specie, contrariamente a quanto previsto da detta disposizione, la valutazione d’impatto non avrebbe tenuto conto della situazione economica dei trasportatori provenienti dagli Stati membri periferici che presentano un livello di sviluppo economico più modesto, la cui attività in materia di trasporto internazionale su strada si concentra maggiormente sul cabotaggio e sul traffico cross‑trade. I costi aggiuntivi gravanti sui trasportatori che provengono dagli Stati membri periferici, provocati dall’applicazione delle norme sul distacco, svantaggerebbero tali operatori rispetto alle imprese concorrenti situate al centro geografico dell’Unione.

1062. L’adozione delle disposizioni impugnate durante un periodo di gravi perturbazioni economiche dovute alla pandemia di COVID‑19 dimostrerebbe del pari che la situazione economica dei vettori non è stata presa in considerazione. Gli effetti economici della pandemia sarebbero avvertiti in modo particolare nel settore dei trasporti, particolarmente esposto non solo al calo della domanda nel commercio internazionale, ma anche alle restrizioni all’attraversamento delle frontiere interne che erano state introdotte dai vari Stati membri. Tali effetti sarebbero già stati presenti durante i lavori sulla direttiva 2020/1057.

1063. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tutti questi motivi.

2)      Analisi

1064. Per quanto riguarda la portata degli articoli 91, paragrafo 2, e 94 TFUE, rinvio alle considerazioni svolte ai paragrafi da 281 a 293 supra, dalle quali emerge che queste due disposizioni prevedono meri obblighi di «presa in considerazione» e non hanno quindi valore assoluto.

1065. Ritengo che gli argomenti addotti in tali motivi dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro, dalla Romania e dalla Repubblica di Polonia siano coperti dalle considerazioni che ho svolto nell’ambito dell’analisi dei motivi vertenti sulla violazione del principio di proporzionalità, comprese le considerazioni relative alla presunta omissione di un complemento di valutazione d’impatto, nonché dalle considerazioni svolte nell’ambito dell’esame dei motivi vertenti sulla violazione delle disposizioni dell’Unione in materia ambientale.

1066. Infine, per quanto attiene agli argomenti addotti dalla Repubblica di Polonia riguardo alla pandemia di COVID‑19, rinvio alle considerazioni svolte al paragrafo 306 supra.

1067. In tale contesto, ritengo che i motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 90 TFUE (letto in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, TUE), dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE e dell’articolo 94 TFUE debbano essere respinti.

g)      Sulla violazione del principio della parità di trattamento

1)      Argomenti delle parti

1068. La Repubblica di Lituania sostiene che l’articolo 1, paragrafi 3 e 7, della direttiva 2020/1057 viola il principio della parità di trattamento quale risulta dalla giurisprudenza della Corte e dall’articolo 20 della Carta, in quanto tali disposizioni istituirebbero per i lavoratori norme e garanzie sociali diverse, determinate esclusivamente in base della natura dell’operazione di trasporto internazionale (bilaterale o non bilaterale), sebbene il lavoro in sé sia della stessa natura. La distinzione fra tali operazioni di trasporto darebbe luogo a standard retributivi diversi per i lavoratori occupati da una medesima impresa e che svolgono lo stesso lavoro. Pertanto, situazioni uguali sarebbero trattate in modo diverso senza una giustificazione oggettiva.

1069. Secondo la Repubblica di Lituania, se un conducente trasporta merci da Vilnius a Parigi, passando per Varsavia e Berlino, le norme relative al distacco dei lavoratori non si applicherebbero. Invece, un altro conducente (in viaggio verso la medesima destinazione, ossia Parigi, ma che effettui operazioni di trasporto distinte, prima consegnando merci a Varsavia, poi consegnando merci a Berlino, quindi proseguendo il suo percorso fino a Parigi) sarebbe già considerato un lavoratore distaccato per la parte del viaggio compresa tra Varsavia e Berlino e per quella compresa tra Berlino e Parigi.

1070. La Repubblica di Lituania giudica irrazionale la posizione del Consiglio e del Parlamento secondo cui le operazioni di trasporto bilaterale e cross‑trade non sarebbero simili e farebbero sorgere un legame diverso tra il lavoratore, da un lato, e il territorio dello Stato membro in cui viene effettuato il trasporto, dall’altro. La Repubblica di Lituania sostiene che, sebbene i criteri sui quali si basa l’articolo 1, paragrafi 3 e 7, della direttiva 2020/1057 siano fondati, a prima vista, su giustificazioni oggettive, essi sarebbero concepiti in modo totalmente artificioso, in quanto tali criteri non presenterebbero alcun nesso con la realtà delle operazioni di trasporto, e sarebbero quindi ingiustificati. In pratica, i conducenti svolgeranno un lavoro identico ma saranno trattati in modo sostanzialmente diverso. I criteri di distinzione adottati dal legislatore dell’Unione in particolare all’articolo 1, paragrafi 3 e 7, della direttiva 2020/1057 creerebbero condizioni artificiose per i conducenti soggetti a retribuzioni diverse anche se le operazioni di trasporto alle quali partecipano sono di natura analoga. Il principio della parità di trattamento ne risulterebbe violato.

1071. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono che il modello ibrido che deriverebbe dalla direttiva 2020/1057 sarebbe contrario all’articolo 18 TFUE, agli articoli 20 e 21 della Carta, all’articolo 4, paragrafo 2, TUE e, qualora la Corte lo ritenesse pertinente, all’articolo 95, paragrafo 1, TFUE. Tale modello comporterebbe un trattamento diverso di situazioni tuttavia simili. In primo luogo, esso distinguerebbe tra i conducenti che effettuano operazioni di trasporto internazionale a seconda che si tratti di traffico cross‑trade o bilaterale e offrirebbe una migliore protezione sociale in funzione della nazionalità del loro datore di lavoro e del luogo in cui si svolgono le operazioni, o addirittura determinerebbe una discriminazione tra i conducenti occupati da un medesimo trasportatore. In secondo luogo, il modello ibrido opererebbe una distinzione fra il traffico cross‑trade e il trasporto bilaterale nonché fra i trasportatori che esercitano ciascuna di tali attività. I trasportatori che effettuano traffico cross‑trade si troverebbero in una situazione meno favorevole rispetto a quelli che effettuano operazioni di trasporto bilaterale, sebbene queste due attività siano due componenti dell’attività di trasporto internazionale nonché due attività estremamente mobili, cosicché il legame con lo Stato membro ospitante sarebbe, nei due casi, del tutto analogo. In terzo luogo, il modello ibrido avrebbe l’effetto di colpire negativamente in modo più significativo alcuni Stati membri, e quindi i trasportatori ivi stabiliti, giacché i trasportatori dell’UE‑13 effettuerebbero quasi esclusivamente il traffico cross‑trade, mentre i trasportatori dell’UE‑15 sarebbero principalmente attivi nel trasporto bilaterale. La valutazione d’impatto avrebbe già confermato che l’applicazione delle norme relative al distacco avrebbe incidenze economiche molto più pronunciate per gli Stati membri come la Bulgaria. Tale conclusione varrebbe ancor più nel caso del modello ibrido in quanto detto modello, a differenza di quello esaminato nella valutazione d’impatto, verrebbe applicato senza alcuna soglia temporale. Infine, assoggettando i trasportatori a costi salariali e amministrativi diversi a seconda del paese di carico o scarico, il modello ibrido sarebbe contrario all’articolo 95, paragrafo 1, TFUE in quanto indurrebbe i vettori ad applicare prezzi differenti per le stesse merci e per le stesse relazioni di traffico e fondate sul paese di origine o di destinazione dei prodotti trasportati.

1072. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono inoltre che la direttiva 2020/1057 opererebbe una distinzione artificiosa tra le operazioni di trasporto cross‑trade prive di un legame sufficiente con il territorio dello Stato membro ospitante e le operazioni di trasporto bilaterale. Esse respingono le giustificazioni addotte in particolare dal Parlamento nel suo controricorso dopo che il medesimo aveva ammesso che poteva verificarsi una differenza di trattamento fra taluni casi analoghi e affermano che la differenza tra gli oneri finanziari gravanti sui trasportatori deriverebbe direttamente della differenza di Stato membro di stabilimento, il che costituirebbe chiaramente una discriminazione vietata. L’impatto diseguale del modello ibrido sarebbe illustrato anche dal fatto che i trasportatori attivi principalmente nel trasporto bilaterale potrebbero effettuare talune operazioni di traffico cross‑trade senza rispettare le norme sul distacco.

1073. La Romania conclude nel senso della violazione dell’articolo 18 TFUE ad opera dell’articolo 1, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2020/1057 sostenendo che, tenuto conto della struttura del mercato dei trasporti, gli operatori stabiliti alla periferia dell’Unione sarebbero maggiormente colpiti dai costi amministrativi e finanziari derivanti dagli obblighi previsti dalle succitate disposizioni e verrebbero quindi dissuasi dall’effettuare operazioni disciplinate dall’articolo 1, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2020/1057. La loro competitività verrebbe azzerata. Tali effetti dovrebbero peraltro essere considerati nel loro insieme, vale a dire unitamente a quelli prodotti dalle altre misure del Pacchetto mobilità, segnatamente quelle riguardanti il cabotaggio, il ritorno dei veicoli ogni otto settimane, il ritorno dei conducenti ogni quattro settimane e il divieto di effettuare il periodo di riposo settimanale regolare in cabina. La Romania ricorda di avere già rilevato nei suoi ricorsi diretti contro i regolamenti 2020/1054 e 2020/1055 che tali misure creerebbero barriere commerciali e pregiudicherebbero in particolare i trasportatori stabiliti alla periferia dell’Unione nonché, di riflesso, la manodopera occupata dagli stessi. La Romania sostiene che la situazione dei trasportatori situati alla periferia dell’Unione non sarebbe assimilabile alla «situazione particolare di un solo Stato membro» ai sensi della giurisprudenza della Corte e che, di conseguenza, il legislatore dell’Unione avrebbe effettivamente dovuto tenere conto della situazione di tali trasportatori all’atto di adottare il Pacchetto mobilità. La normativa dell’Unione dovrebbe tenere conto delle differenze in termini geografici nonché di grado di sviluppo delle economie, dei mercati e delle infrastrutture e sforzarsi di ridurre gli squilibri nonché di perseguire una distribuzione più omogenea dei vantaggi e dei costi dell’appartenenza all’Unione.

1074. La Romania esprime inoltre dubbi quanto alla compatibilità del primo pacchetto di misure sulla mobilità con l’articolo 94 TFUE e con gli obiettivi fissati all’articolo 91, paragrafo 2, TFUE in quanto dette misure pregiudicherebbero la competitività degli operatori situati alla periferia dell’Unione. La Romania ritiene che non possa esservi una vera protezione sociale se tali operatori si vedono esclusi dal mercato. La protezione sociale dovrebbe essere accompagnata da misure adeguate per sostenere la libera prestazione di servizi.

1075. Per quanto riguarda in particolare l’articolo 1 della direttiva 2020/1057, il Consiglio avrebbe ammesso che esso agevola le operazioni bilaterali ma non quelle di trasporto cross‑trade, ossia quelle che sarebbero effettuate dalle imprese dell’Europa orientale, in quanto esse sono situate fuori dalla zona in cui si concentra il trasporto internazionale su strada nell’Unione. L’impatto sproporzionato prodotto sui trasportatori di una sola parte degli Stati membri andrebbe ben oltre il solo effetto inerente alla differenza di trattamento tra residenti e non residenti.

1076. L’Ungheria sostiene che l’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 violerebbe il principio della parità di trattamento. Essa considera che, per quanto riguarda il trasporto combinato, esistono due tipi di operazioni di trasporto: le operazioni accompagnate (il conducente accompagna il veicolo per tutta la durata del trasporto) e le operazioni non accompagnate (il conducente accompagna il veicolo soltanto per il segmento stradale del trasporto).

1077. Per quanto riguarda le operazioni accompagnate, l’Ungheria afferma che, se il conducente è presente durante l’intera operazione e per l’intera durata del trasporto, l’operazione di trasporto combinato sarebbe del tutto analoga a un’operazione di trasporto bilaterale. La comparabilità di tali situazioni dovrebbe imporre, in virtù del principio della parità di trattamento, che l’esenzione prevista all’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2020/1057 copra l’intera operazione, vale a dire i due tragitti stradali. Ad avviso dell’Ungheria, il cambiamento di modalità di trasporto non giustificherebbe una differenza di trattamento e non dovrebbe incidere sull’applicabilità delle norme in materia di distacco. Il fatto che il legislatore dell’Unione non abbia previsto di estendere, a vantaggio delle operazioni di trasporto combinato accompagnate, l’esenzione prevista per le operazioni di trasporto bilaterale di merci costituirebbe una violazione del principio della parità di trattamento. L’Ungheria sostiene che il legislatore dell’Unione avrebbe artificiosamente scisso le operazioni di trasporto combinato in due tragitti stradali (il tragitto iniziale e il tragitto terminale), uno dei quali non soddisferebbe la condizione relativa alle operazioni di trasporto bilaterale. Se l’operazione combinata inizia nel paese di stabilimento, il tragitto stradale non sarebbe un’operazione di trasporto bilaterale e, se si tratta di un ritorno, il tragitto iniziale non sarebbe un’operazione siffatta. Inoltre, il legislatore dell’Unione non avrebbe proceduto alla valutazione d’impatto dell’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057.

1078. L’Ungheria aggiunge che la portata dell’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 sarebbe più ampia di quella strettamente necessaria per conseguire l’obiettivo invocato dal Consiglio, in quanto tale articolo farebbe rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva sul distacco i conducenti che effettuano un’operazione bilaterale accompagnando i veicoli nel tragitto non stradale. L’articolo 1 della direttiva 92/106 potrebbe essere interpretato nel senso che le due parti dell’alternativa da esso enunciata non si escludono necessariamente a vicenda e che la nozione di operazione combinata può includere la situazione nella quale il conducente effettua il tragitto stradale iniziale e terminale. Se così non fosse, l’Ungheria sostiene che il legislatore avrebbe dovuto prevedere nella direttiva un’eccezione per tali fattispecie e l’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 sarebbe illegittimo in quanto avrebbe una portata troppo ristretta che violerebbe il principio della parità di trattamento.

1079. Il Consiglio e il Parlamento nonché le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto dei motivi vertenti sulla violazione del principio della parità di trattamento e del principio di non discriminazione, in quanto infondati.

2)      Analisi

1080. L’analisi che segue sarà guidata dai principi ricordati ai paragrafi 75 e seguenti delle presenti conclusioni e dai limiti del sindacato giurisdizionale riconosciuti dalla Corte e ricordati al paragrafo 80 delle presenti conclusioni.

i)      Osservazioni preliminari

1081. Per quanto attiene agli argomenti della Romania relativi all’articolo 91, paragrafo 2, e all’articolo 94 TFUE, dal momento che riguardano, almeno parzialmente, le altre misure del Pacchetto mobilità, essi devono essere dichiarati inoperanti, dato che il ricorso della Romania nella causa C‑542/20 è diretto all’annullamento dell’articolo 1, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2020/1057. Per il resto, rinvio alla parte dell’analisi della direttiva 2020/1057 dedicata all’esame dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE e dell’articolo 94 TFUE (601).

1082. Per quanto riguarda la censura relativa alla violazione dell’articolo 95, paragrafo 1, TFUE, dedotta dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro, rilevo fin d’ora, concordemente con il Consiglio, che essa non può essere accolta, in quanto tale articolo vieta la discriminazione consistente nell’applicazione, da parte di un vettore, di prezzi e condizioni di trasporto differenti per le stesse merci e per le stesse relazioni di traffico e fondate sul paese di origine o di destinazione dei prodotti trasportati e né la Repubblica di Bulgaria né la Repubblica di Cipro hanno dimostrato che sarebbe questo l’effetto dell’attuazione dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, e, quand’anche lo fosse, l’articolo 95, paragrafo 1, TFUE lascia impregiudicata la possibilità, riconosciuta al Parlamento e al Consiglio dal paragrafo 2 di tale articolo, di adottare misure in deroga al divieto di discriminazione specifica, sul fondamento dell’articolo 91, paragrafo 1, TFUE, il quale costituisce per l’appunto – lo ricordo – la base giuridica della direttiva 2020/1057.

ii)    Sull’asserita violazione del principio della parità di trattamento tra le operazioni di trasporto bilaterale e le operazioni di trasporto crosstrade (Repubblica di Lituania, Repubblica di Bulgaria, Romania e Repubblica di Cipro (602))

1083. Per quanto riguarda l’asserita violazione del principio della parità di trattamento tra operazioni di trasporto bilaterale e operazioni di trasporto crosstrade, in particolare il motivo addotto dalla Repubblica di Lituania (603), dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro, è utile ricordare, al pari del Consiglio, che le norme sul distacco hanno per obiettivo generale di agevolare l’esercizio della libertà di prestazione di servizi determinando in modo coordinato la legislazione nazionale che disciplina le condizioni di lavoro e di occupazione che devono essere applicate a un lavoratore in una situazione transfrontaliera. L’obiettivo specifico della direttiva 2020/1057 consiste nello stabilire norme specifiche per tenere conto delle peculiarità del settore dei trasporti. Il criterio scelto dal legislatore dell’Unione è quello del tipo di operazioni.

1084. L’argomento secondo cui l’applicazione di norme diverse a situazioni nelle quali la natura del lavoro è identica costituirebbe una violazione del principio di non discriminazione, come quello addotto dalla Repubblica di Lituania, non tiene conto della realtà della situazione di un distacco che, per definizione, comporta l’esecuzione di uno stesso lavoro ma sul territorio di un altro Stato membro. È evidente che, di per sé e in linea di principio, ciò che fa il conducente durante un trasporto bilaterale non è effettivamente diverso da ciò che il medesimo fa nel contesto di un trasporto cross‑trade. Come sostenuto dal Consiglio, il criterio utile per decidere in merito alla comparabilità delle situazioni non può quindi, ovviamente, essere quello della sola natura del lavoro, salvo cancellare, con una generalizzazione eccessiva, le oggettive differenze intrinseche tra i diversi tipi di operazioni di trasporto.

1085. Pertanto, la differenza di trattamento tra operazioni di trasporto bilaterale e operazioni di trasporto cross‑trade si basa sul fatto che, in quest’ultimo caso, il lavoratore effettua operazioni da uno Stato membro a un altro e nessuno di tali Stati è lo Stato membro di stabilimento. In base al criterio del legame tra lo Stato membro di stabilimento e i servizi (604), queste due situazioni non sono quindi comparabili. Tale differenza è già stata confermata dalla Corte nel contesto della direttiva 96/71 (605). La premessa sulla quale si sono basate la Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro è quindi fondamentalmente errata, giacché il criterio scelto dal legislatore dell’Unione, nell’esercizio del suo ampio margine di discrezionalità, deriva da un confronto tra i legami che collegano il tipo di servizi forniti allo Stato membro ospitante o allo Stato membro di stabilimento, e le operazioni di trasporto bilaterale e le operazioni di trasporto cross‑trade non sono comparabili con riferimento all’obiettivo perseguito da tale legislatore e ricordato ai paragrafi 952 e seguenti delle presenti conclusioni.

1086. Naturalmente ciò significa che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro, i conducenti stessi non sono collocati in una situazione comparabile a seconda che siano collegati a un’operazione di trasporto bilaterale o a un’operazione di trasporto cross‑trade. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro non possono nemmeno affermare che la situazione dei trasportatori che praticano il trasporto cross‑trade sia meno favorevole di quella dei trasportatori che praticano il trasporto bilaterale, sebbene si tratti di due sottocategorie del trasporto internazionale, in quanto la comparabilità delle situazioni, come ho appena ricordato e tenuto conto dell’obiettivo perseguito dalla direttiva 2020/1057, deve essere considerata dal punto di vista del tipo di operazioni in funzione del legame che ne deriva con lo Stato membro di stabilimento.

1087. In risposta agli argomenti relativi alla violazione della parità di trattamento degli Stati membri, si deve tenere presente che questi ultimi appaiono trattati esattamente allo stesso modo.

1088. A questo proposito, al pari del Parlamento, rilevo subito che la direttiva impugnata non opera alcuna distinzione formale tra gli Stati membri o gli operatori in ragione della loro nazionalità.

1089. La Romania sostiene tuttavia che, poiché il centro di tale mercato si troverebbe nella parte occidentale dell’Unione, la quota di operazioni di trasporto cross‑trade nell’attività delle imprese della periferia dell’Unione sarebbe necessariamente molto più rilevante. Orbene, tali operazioni sarebbero più costose per detti operatori a causa del regime derivante dalla direttiva 2020/1057 in termini di distacco dei lavoratori. La Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro deducono argomenti analoghi.

1090. In primo luogo, alla luce di quanto illustrato dal Consiglio (606), mi sembra ancora difficile definire con precisione ciò che si trova al centro dell’Unione e ciò che ne costituisce la periferia (607). Orbene, per determinare la comparabilità delle situazioni occorre stabilire un criterio preciso.

1091. In secondo luogo, al momento dell’adozione della direttiva 2020/1057, l’obiettivo del legislatore, come hanno ricordato il Consiglio e il Parlamento, era quello di coordinare le normative che potevano ostacolare la libera prestazione di servizi. L’iniziativa legislativa è stata guidata dalla costante preoccupazione di trovare un equilibrio tra il miglioramento delle condizioni sociali e di lavoro dei conducenti e l’agevolazione della libera prestazione di servizi basata su una concorrenza leale. Pertanto, la direttiva mira a realizzare la libera prestazione di servizi nel quadro di una concorrenza che non venga esercitata a costo di differenze eccessive in termini di condizioni di occupazione e di lavoro. L’obiettivo perseguito è quello di un mercato interno realmente integrato e concorrenziale che sia inteso anche come strumento di una vera convergenza sociale. Mi sembra importante ricordare, al pari del Parlamento, che l’eliminazione della concorrenza sui costi non è l’obiettivo della direttiva 2020/1057. Detta direttiva non determina nemmeno una distorsione della concorrenza (608). Peraltro, la ricerca del suddetto equilibrio impone di prendere in considerazione non la situazione particolare di un solo Stato membro, ma quella dell’insieme degli Stati membri dell’Unione (609).

1092. Si deve anche ricordare, come ho già rilevato a più riprese nelle presenti conclusioni, che la Corte ha già riconosciuto che il legislatore dell’Unione può legittimamente adeguare un atto legislativo per procedere a un riequilibrio degli interessi in gioco al fine di rafforzare la protezione sociale dei conducenti attraverso la modifica delle condizioni di esercizio della libera prestazione dei servizi. Inoltre, un atto di armonizzazione dell’Unione ha inevitabilmente effetti diversi nei vari Stati membri (610). Il legislatore non può essere tenuto a compensare le differenze tra gli operatori economici in termini di costi dovute alle loro scelte di modello economico e alle diverse condizioni in cui essi si trovano (611) per effetto di tale scelta. La scelta di insediarsi o di rimanere stabiliti lontano dal presunto nucleo del mercato per approfittare di costi, anche sociali, minori pur inviando i conducenti, talvolta per lunghi periodi, in Stati membri nei quali i costi sono elevati è una scelta commerciale che non si può pretendere venga favorita dal legislatore dell’Unione, più di qualsiasi altra scelta commerciale.

1093. In particolare, la Corte ha già riconosciuto al riguardo che, tenuto conto delle evoluzioni importanti che hanno interessato il mercato interno, prime fra tutte gli allargamenti dell’Unione che si sono succeduti, il legislatore dell’Unione poteva legittimamente adeguare un atto legislativo per procedere a un riequilibrio degli interessi in gioco al fine di rafforzare la protezione sociale dei conducenti attraverso la modifica delle condizioni di esercizio della libera prestazione dei servizi. Infatti, allorché un atto legislativo ha già coordinato le legislazioni degli Stati membri in un determinato settore di azione dell’Unione, il legislatore dell’Unione non può essere privato della possibilità di adeguare tale atto a qualsiasi cambiamento delle circostanze, tenuto conto del compito a esso incombente di vigilare sulla tutela degli interessi generali riconosciuti dal Trattato FUE e di prendere in considerazione gli obiettivi trasversali dell’Unione sanciti dall’articolo 9 di tale trattato, tra i quali figurano le esigenze connesse alla promozione di un elevato livello di occupazione nonché la garanzia di un’adeguata protezione sociale (612).

1094. Le conseguenze sociali dell’attuazione della direttiva 2020/1057 non sono state dimostrate dalla Romania, ma dovrebbero in ogni caso essere valutate comparativamente con i progressi sociali che la direttiva 2020/1057 realizza per i conducenti. Inoltre, sembra evidentemente inevitabile che le norme fissate dalla direttiva 2020/1057 colpiranno più frequentemente le imprese che distaccano più spesso i lavoratori. Tali effetti disparati appaiono inevitabili, senza tuttavia che possa essere messa in discussione la pari applicazione delle norme in parola (613).

1095. Infine, al pari del Parlamento, rilevo che l’esempio utilizzato dalla Repubblica di Lituania per illustrare una differenza di trattamento che deriverebbe dall’applicazione delle norme della direttiva 2020/1057 a operazioni della stessa natura (614) non è convincente. Per quanto mi è dato comprendere, la prima componente dell’ipotesi potrebbe rientrare in una situazione di transito, disciplinata dall’articolo 1, paragrafo 5, della direttiva 2020/1057, che non forma oggetto del ricorso della Repubblica di Lituania. Inoltre, per le ragioni esposte dal Consiglio, alle quali rinvio (615), le differenze in termini di retribuzione fatte valere dalla Repubblica di Lituania non costituiscono un elemento probante per affermare l’esistenza di una discriminazione.

iii) Sull’asserita violazione del principio della parità di trattamento tra le operazioni di trasporto combinato e le operazioni bilaterali (Ungheria)

1096. Per quanto riguarda i trasporti combinati, dall’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 risulta che, fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 96/71, un conducente non è considerato distaccato ai fini di quest’ultima quando effettui «il tragitto stradale iniziale o terminale» di un’operazione di trasporto combinato, ai sensi della direttiva 92/106, se il tragitto stradale consiste di per sé in un’operazione di trasporto bilaterale ai sensi del paragrafo 3 di tale articolo 1.

1097. L’Ungheria sostiene, in sostanza, che l’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 violerebbe il principio della parità di trattamento in quanto talune operazioni di trasporto combinato sarebbero analoghe a operazioni di trasporto bilaterale e tuttavia soggette a un regime giuridico diverso per quanto riguarda l’applicazione delle norme sul distacco, e quindi trattate diversamente senza una giustificazione oggettiva.

1098. Per quanto attiene alle censure sollevate dall’Ungheria relative, da un lato, all’assenza di una valutazione d’impatto e, dall’altro, alla portata dell’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 più ampia di quanto richiederebbe l’obiettivo perseguito, manifestamente esse non riguardano il rispetto del principio della parità di trattamento e non saranno quindi esaminate qui.

1099. L’Ungheria concentra il suo argomento, in sostanza, sul fatto che l’operazione di trasporto combinato accompagnata sarebbe assimilabile a un’operazione di trasporto bilaterale, cosicché l’esenzione prevista all’articolo 1, paragrafo 3, della direttiva 2020/1057 dovrebbe, in effetti, applicarsi all’intera operazione, vale a dire ad entrambi i tragitti stradali. L’Ungheria muove quindi dal presupposto che la situazione del conducente in questi due casi sia analoga, presupposto che occorre ora verificare.

1100. Dalla mia analisi della proporzionalità delle disposizioni impugnate della direttiva 2020/1057 emerge che il criterio basato sul tipo di operazioni ai fini dell’applicazione delle norme sul distacco ai conducenti nel trasporto internazionale è adeguato e che ciascuna delle diverse tipologie di operazioni di trasporto presenta un legame differente con il territorio dello Stato membro di stabilimento o con quello dello Stato ospitante. Lo stesso vale, a mio avviso, per il caso dei trasporti combinati. Mi sembra importante anche ricordare che i trasporti disciplinati dalla direttiva 2020/1057 comportano l’attraversamento di frontiere.

1101. Prendiamo il caso di un trasporto combinato con partenza dallo Stato A. La prima tratta è stradale, fino a una stazione di tale Stato A. Il camion viene caricato e il conducente lo accompagna. Esso viene scaricato nello Stato B, dove il conducente riprende il suo percorso verso la destinazione nello Stato B. La prima tratta stradale non è un’operazione bilaterale, né lo è la tratta terminale. Se si considerano soltanto i punti di partenza e di arrivo dell’operazione (movimento di merci dallo Stato A allo Stato B), l’operazione nel suo complesso sembra comparabile a un’operazione bilaterale. Tuttavia, trattandosi di una prestazione di servizi in linea di principio transfrontaliera, dal punto di vista del servizio, la situazione non appare più comparabile.

1102. Infatti, nel caso di un’operazione bilaterale monomodale, il conducente effettua l’intera prestazione, anche nella sua dimensione di trasporto internazionale. Riprendendo l’ipotesi di lavoro appena evocata, il tempo trascorso dal conducente e dall’autista non è necessariamente tempo da accreditare al trasportatore: il camion e l’autista sono «passivi» e il servizio di trasporto è (generalmente) fornito da un altro soggetto che interviene nella catena modale (vettore ferroviario, marittimo ecc.). Peraltro, il tempo stesso non è il criterio adottato dal legislatore nella direttiva 2020/1057. Pertanto, la situazione di un conducente che effettui un’operazione di trasporto combinato nella sua interezza non mi sembra analoga a quella di un conducente che effettui un’operazione di trasporto bilaterale. Non posso quindi condividere l’affermazione dell’Ungheria secondo cui le operazioni di trasporto combinato accompagnate sarebbero «un insieme ininterrotto». Contrariamente a quanto sostiene l’Ungheria, il trattamento differenziato non è dovuto al cambiamento di modalità di trasporto, bensì alle differenze oggettive fra i tipi di trasporto sotto il profilo delle modalità della prestazione stessa di servizi. Sono pertanto incline a ritenere, con il Parlamento, che la scelta del legislatore si spieghi con la necessità di tenere conto delle particolarità di un’operazione di trasporto di questo tipo nonché della natura specifica del problema che detto legislatore ha affrontato adottando la direttiva 2020/1057.

1103. Considerata la natura profondamente polimorfa delle operazioni di trasporto combinato, mi sembra assolutamente inevitabile che l’applicazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 possa avvenire essenzialmente solo caso per caso secondo i criteri ivi enunciati. Inoltre, dalla giurisprudenza ricordata al paragrafo 80 delle presenti conclusioni risulta che, anche per quanto riguarda il principio della parità di trattamento, il giudice dell’Unione non può sostituire la propria valutazione a quella del legislatore.

1104. Infine, aggiungo che, al pari del Parlamento, rilevo che l’Ungheria non contesta che sia legittimo scindere le operazioni di trasporto combinato in tragitti stradali iniziali o terminali quando l’operazione di trasporto combinato non è accompagnata. Tale distinzione fra tragitti stradali iniziali o terminali non è stata creata ex nihilo dal legislatore dell’Unione in occasione dell’adozione della direttiva 2020/1057, bensì riprende i termini della definizione (che l’Ungheria non può tentare di mettere in discussione nella parte del suo ricorso diretta contro la direttiva 2020/1057) fornita dalla direttiva 92/106 nel suo articolo 1, al quale il suddetto articolo 1, paragrafo 6, fa quindi espressamente riferimento.

1105. Pertanto, il motivo della Repubblica di Ungheria non può essere accolto.

iv)    Conclusione

1106. Occorre respingere integralmente i motivi vertenti sulla violazione della parità di trattamento e del principio di non discriminazione ad opera dell’articolo 1, paragrafi 1, 3, 4, 5, 6 e 7, della direttiva 2020/1057.

h)      Sulla violazione della libera circolazione delle merci e della libera prestazione di servizi

1)      Argomenti delle parti

1107. In primo luogo, per quanto riguarda la libera circolazione delle merci, la Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro, con un argomento identico, sostengono che l’applicazione del modello ibrido avrebbe gravi conseguenze economiche che pregiudicherebbero la libera circolazione delle merci. Un modello siffatto costituirebbe una misura con effetti equivalenti a restrizioni quantitative vietate dagli articoli 34 e 35 TFUE e inidonea a essere giustificata sulla base dell’articolo 36 TFUE. La Commissione avrebbe riconosciuto che l’applicazione della legge nazionale a tutte le operazioni di trasporto internazionale che comportano un carico e/o uno scarico effettuato sul territorio nazionale, senza tenere conto del legame sufficiente con lo Stato membro interessato, costituirebbe una restrizione sproporzionata alla libera prestazione di servizi nonché alla libera circolazione delle merci e non sarebbe giustificata in quanto creerebbe vincoli amministrativi sproporzionati che impedirebbero il corretto funzionamento del mercato interno (616).

1108. In secondo luogo, per quanto riguarda la libera circolazione dei servizi e la politica comune dei trasporti, la Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono che il modello ibrido restringerebbe la libertà di prestazione dei servizi di trasporto, in violazione dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE, letto in combinato disposto con l’articolo 91 TFUE. Dalla giurisprudenza della Corte deriverebbe che l’applicazione del principio della libera prestazione dei servizi dovrebbe essere realizzata attraverso l’attuazione della politica comune dei trasporti. Il modello ibrido reintrodurrebbe una forma di discriminazione in base della nazionalità del prestatore di servizi o del luogo in cui esso è stabilito e costituirebbe un regresso nell’instaurazione di una politica comune dei trasporti che garantisca la libera prestazione dei servizi. Poiché dalla giurisprudenza emergerebbe inoltre che il legislatore dell’Unione non dispone, in tale materia, del potere discrezionale di cui potrebbe avvalersi in altri settori della politica comune dei trasporti, il Parlamento e il Consiglio sarebbero venuti meno al loro obbligo di assicurare l’applicazione dei principi di libera prestazione dei servizi attraverso la politica comune dei trasporti.

1109. Qualora la Corte lo ritenesse pertinente, la Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono che, per queste stesse ragioni, sarebbe stato violato l’articolo 56 TFUE. Esse ricordano, infine, che respingono l’idea secondo cui la direttiva 2020/1057 introdurrebbe deroghe al regime giuridico più rigoroso della direttiva 96/71.

1110. Il Consiglio e il Parlamento nonché le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tali motivi.

2)      Analisi

1111. Per quanto riguarda la prima parte di questo motivo, la Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro sostengono che il «modello ibrido» sarebbe una misura di effetto equivalente alle restrizioni quantitative vietate ai sensi degli articoli 34 e 35 TFUE che non potrebbe essere giustificata sulla base dell’articolo 36 TFUE.

1112. Tali ricorrenti non hanno sufficientemente dimostrato, a mio avviso, che sarebbe questo l’effetto dell’attuazione del modello ibrido a livello dell’intera Unione e si sono limitate ad affermazioni generiche e non suffragate. Tale dimostrazione è tanto più difficile in quanto gli asseriti effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci dell’applicazione delle norme sul distacco alle operazioni di trasporto internazionale su strada alle condizioni previste dalla direttiva 2020/1057 appaiono chiaramente troppo aleatori e indiretti perché il «modello ibrido» possa essere considerato atto ad ostacolare il commercio tra gli Stati membri e, quindi, costitutivo di una restrizione ai sensi degli articoli 34 e 35 TFUE (617).

1113. Il richiamo al comunicato stampa della Commissione del 27 aprile 2017 (618) non ha consentito alle ricorrenti di consolidare la loro posizione. Infatti, da un lato, la Commissione non si esprimeva sulla direttiva 2020/1057, bensì sul caso dell’applicazione di una normativa nazionale a operazioni di trasporto internazionale alle condizioni decise unilateralmente dallo Stato membro interessato. Dall’altro, se è vero che, in quell’occasione, la Commissione si è rammaricata del fatto che l’unico elemento che determinava l’applicazione della normativa nazionale fosse il fatto che il trasporto internazionale in questione comportava uno scarico o un carico sul territorio nazionale, è giocoforza constatare che non è esattamente questo il criterio adottato dal legislatore dell’Unione nella direttiva 2020/1057 per stabilire se sussista o meno una situazione di distacco. Peraltro, la Commissione ha dichiarato nel medesimo comunicato stampa che considerava ingiustificata l’applicazione della normativa nazionale a operazioni di trasporto internazionale che non presentavano un collegamento sufficiente con lo Stato membro interessato.

1114. La prima parte del presente motivo deve quindi essere respinta in quanto infondata.

1115. Per quanto riguarda la seconda parte del presente motivo, ho già ricordato la specificità e la collocazione particolare del settore dei trasporti nei trattati (619), settore che è soggetto a un regime giuridico speciale nell’ambito del mercato interno. Ricordo in particolare che lo status speciale dei trasporti nell’organizzazione normativa del mercato interno è caratterizzato dalla combinazione di un diritto di stabilimento in qualsiasi Stato membro fondato sul Trattato e di un diritto dei vettori alla libera prestazione di servizi garantito esclusivamente nella misura in cui tale diritto è stato riconosciuto mediante atti di diritto derivato adottati dal legislatore dell’Unione nell’ambito della politica comune dei trasporti.

1116. Per quanto riguarda l’asserita violazione della libera prestazione di servizi, rilevo subito che né la Repubblica di Bulgaria né la Repubblica di Cipro hanno suffragato, in alcun modo, l’affermazione secondo cui il «modello ibrido» restringerebbe la libertà di prestazione dei servizi di trasporto.

1117. Qualora la Corte procedesse tuttavia all’esame di questa parte del presente motivo, ricordo che l’articolo 58, paragrafo 1, TFUE e l’articolo 91 TFUE prevedono che la libera circolazione dei servizi nel settore dei trasporti è attuata dal legislatore dell’Unione.

1118. Come ho già detto, il legislatore dell’Unione è pienamente legittimato, nell’adeguare un atto legislativo al fine di rafforzare la protezione sociale dei lavoratori interessati, a modificare le condizioni di esercizio della libera prestazione dei servizi nel settore dei trasporti su strada, in quanto il grado di liberalizzazione, ai sensi dell’articolo 58, paragrafo 1, TFUE, non è determinato direttamente dall’articolo 56 TFUE, bensì dal legislatore dell’Unione medesimo nel contesto dell’instaurazione della politica comune dei trasporti.

1119. In tali circostanze, la seconda parte del presente motivo deve, in ogni caso, essere respinta in quanto infondata.

i)      Sulla violazione dellarticolo 11 TFUE e dellarticolo 37 della Carta

1)      Argomenti delle parti

1120. Secondo la Repubblica di Polonia, l’articolo 11 TFUE e l’articolo 37 della Carta sarebbero stati violati dalle disposizioni contenute nell’articolo 1, paragrafi 3, 4, 6 e 7, della direttiva 2020/1057 in quanto non sarebbero state prese sufficientemente in considerazione le esigenze derivanti dalla tutela dell’ambiente.

1121. Da queste due disposizioni discenderebbe che le istituzioni dell’Unione sono tenute ad astenersi dall’adottare misure che possano compromettere la realizzazione degli obiettivi di tutela dell’ambiente, e ciò al di là delle sole misure connesse agli articoli 191 e 192 TFUE. Il principio dell’integrazione delle esigenze ambientali nelle altre politiche dell’Unione che deriverebbe da dette disposizioni permetterebbe di conciliare gli obiettivi e le esigenze di tutela dell’ambiente con gli altri interessi e obiettivi perseguiti dall’Unione nonché con il perseguimento di uno sviluppo sostenibile. Tale principio costituirebbe, di per sé, un motivo per annullare un atto dell’Unione quando gli interessi ambientali manifestamente non siano stati tenuti presenti o siano stati completamente ignorati, come deriverebbe dall’interpretazione dell’articolo 6 CE adottata dall’avvocato generale Geelhoed (620).

1122. Dato l’ampio carattere orizzontale dell’articolo 11 TFUE, nel valutare se una determinata misura contribuisca sufficientemente alla tutela dell’ambiente, essa non dovrebbe essere giudicata isolatamente rispetto alle altre misure dell’Unione adottate a tal fine in relazione all’attività presa in esame, ma sarebbe la totalità dei provvedimenti adottati dall’Unione in tale ambito a fornire il contesto corretto per una valutazione siffatta. Il sindacato giurisdizionale relativo alla valutazione della conformità dell’azione del legislatore dell’Unione a detto principio di integrazione dovrebbe essere analogo a quello effettuato dal Tribunale allorché ha dovuto valutare se l’azione della Commissione rispettasse il principio di solidarietà energetica (621). In tali circostanze, spettava a detto legislatore tenere conto delle esigenze ecologiche prima di adottare le misure contestate, il che richiedeva in particolare di procedere a un’analisi dell’impatto delle norme progettate sull’ambiente e di assicurarsi che esse non pregiudicassero la realizzazione degli obiettivi fissati in altri atti di diritto derivato adottati in materia ambientale.

1123. Il Parlamento e il Consiglio avrebbero dovuto contemperare gli interessi in conflitto e apportare, se del caso, le opportune modifiche. Un’interpretazione dell’articolo 11 TFUE nel senso che esso riguarderebbe solo settori del diritto e non specifiche misure avrebbe l’effetto di relativizzarne notevolmente l’importanza. Le esigenze di tutela dell’ambiente dovrebbero essere prese in considerazione anche all’atto della determinazione delle varie misure che fanno parte del settore interessato del diritto dell’Unione. L’argomento secondo cui gli altri atti di diritto derivato in materia di lotta all’inquinamento atmosferico non potrebbero essere presi in considerazione dovrebbe essere respinto, a pena, nuovamente, di mettere in discussione l’efficacia dell’articolo 11 TFUE, dato che le istituzioni potrebbero allora adottare un atto che ostacola o impedisce il conseguimento degli obiettivi fissati negli atti adottati in materia ambientale, mentre la crisi climatica sarebbe la principale sfida della politica ambientale dell’Unione e le istituzioni dovrebbero adoperarsi per perseguire in modo coerente la realizzazione degli obiettivi climatici adottati dall’Unione. Sarebbe noto che l’inquinamento dell’aria causato dalle emissioni dei trasporti provoca molti problemi di salute di cui il trasporto su strada sarebbe il principale responsabile. Applicando le norme sul distacco ai conducenti che effettuano operazioni di cabotaggio e tra paesi terzi, l’applicazione della direttiva 2020/1057 comporterebbe, secondo la Repubblica di Polonia, viaggi supplementari, in particolare a vuoto, e pertanto un aumento delle emissioni di CO2 e degli inquinanti atmosferici, mentre le istituzioni dell’Unione sarebbero tenute, al contrario, ad astenersi da azioni che pregiudichino l’efficacia delle norme già adottate per ridurre le emissioni di inquinanti e di CO2 e il conseguimento degli obiettivi ambientali dell’Unione derivanti in particolare dal Green Deal europeo, dell’obiettivo di un’Unione climaticamente neutra entro il 2050 mediante una riduzione del 90% delle emissioni globali dei trasporti rispetto ai livelli del 1990 e degli obiettivi assegnati agli Stati membri dalla legislazione dell’Unione in materia.

1124. Inoltre, gli effetti della direttiva 2020/1057 sull’ambiente dovrebbero essere valutati anche alla luce del fatto che si aggiungono a quelli imputabili agli altri atti che costituiscono il Pacchetto mobilità, vale a dire i regolamenti 2020/1054 e 2020/1055. Orbene, gli effetti negativi sull’ambiente dell’obbligo di ritorno dei veicoli sarebbero dimostrati da diverse analisi.

1125. Il potenziale conflitto tra le misure impugnate e gli obiettivi climatici dell’Unione avrebbe peraltro dato origine ai timori espressi dalla Commissaria Vălean che il Pacchetto mobilità, in particolare il ritorno obbligatorio dei veicoli ogni otto settimane e le restrizioni applicabili alle operazioni di trasporto combinato, non sia coerente né con le ambizioni del Green Deal europeo né con l’obiettivo fissato dal Consiglio europeo di un’Unione climaticamente neutra entro il 2050 (622). La Repubblica di Polonia sottolinea inoltre che la Commissione ha aumentato il livello di ambizione climatica dell’Unione nel 2020 (623) e che le emissioni di CO2 derivanti dai viaggi supplementari imposti dalle misure impugnate possono ostacolare ulteriormente la realizzazione di tale obiettivo rafforzato.

1126. Gli effetti negativi per l’ambiente provocati dalle misure impugnate pregiudicherebbero il conseguimento da parte degli Stati membri degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra fissati dal regolamento 2018/842 (624), degli obiettivi in termini di emissioni di taluni inquinanti atmosferici fissati dalla direttiva 2016/2284 (625) e degli obiettivi riguardanti la qualità dell’aria fissati dalla direttiva 2008/50 (626). Le emissioni aggiuntive di ossido di azoto e di polveri generate dall’applicazione delle disposizioni impugnate potrebbero pregiudicare l’efficacia dell’azione definita dagli Stati membri nei piani di protezione dell’aria, in particolare dei piani adottati per le zone e gli agglomerati in prossimità delle vie di comunicazione utilizzate nel trasporto internazionale.

1127. Nonostante tutti questi effetti negativi, le istituzioni convenute sarebbero venute meno al loro obbligo di procedere a un’analisi adeguata dell’incidenza di tali misure sulla realizzazione degli obiettivi ambientali dell’Unione e sul rispetto degli obblighi che incombono agli Stati membri in forza degli atti in materia ambientale. Nessuno degli atti che compongono il Pacchetto mobilità affronterebbe nella sua motivazione le questioni ambientali, né tali questioni sarebbero state esaminate nella valutazione d’impatto elaborata prima dell’adozione del Pacchetto mobilità, in quanto la Commissione si è limitata ad affermare di non aver individuato alcuna incidenza sull’ambiente delle opzioni contemplate (627).

1128. Le istituzioni convenute non avrebbero quindi analizzato l’incidenza dell’attuazione delle disposizioni impugnate sulle esigenze ecologiche, sebbene gli effetti di tali disposizioni pregiudichino gli obiettivi fissati negli atti adottati in materia ambientale. Dette istituzioni non avrebbero contemperato questi obiettivi con gli interessi perseguiti dal Pacchetto mobilità. Le esigenze di tutela dell’ambiente e l’obiettivo di garantire un livello elevato di tutela dell’ambiente e di miglioramento della sua qualità manifestamente non sarebbero stati tenuti presenti. Per quanto riguarda la direttiva 2020/1057, ciò si evincerebbe in particolare dal fatto che l’applicazione delle norme sul distacco alle tratte iniziali o terminali dei trasporti combinati renderebbe, da un lato, più difficile per i trasportatori degli Stati periferici effettuare dette operazioni nell’Europa centrale e, dall’altro, meno interessante farvi ricorso. I tragitti bilaterali effettuati esclusivamente su strada sarebbero in definitiva privilegiati, contrariamente all’obiettivo perseguito e sebbene siano «non ecologici». L’analisi elaborata dalla Commissione riguardo all’incidenza delle restrizioni al cabotaggio sul trasporto combinato avrebbe confermato che le restrizioni alla fornitura dei servizi di cabotaggio nell’ambito di operazioni di trasporto combinato danneggeranno l’ambiente e sarebbero in contrasto con i principi del Green Deal europeo (628).

1129. Pertanto, l’articolo 1, paragrafi 3, 4, 6 e 7, della direttiva 2020/1057 violerebbe il principio di integrazione espresso all’articolo 11 TFUE e all’articolo 37 della Carta.

1130. Il Consiglio, il Parlamento e le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di tale motivo.

2)      Analisi

1131. La maggior parte degli argomenti presentati nell’ambito del presente motivo dalla Repubblica di Polonia è una reiterazione di quelli fatti valere nell’ambito dei motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta presentati dalla medesima ricorrente nei suoi ricorsi diretti contro il regolamento 2020/1054 e il regolamento 2020/1055. Pertanto, per gli argomenti relativi all’interpretazione dell’articolo 11 TFUE e alla sua portata nonché per quelli relativi all’articolo 37 della Carta, alla portata del principio di integrazione delle preoccupazioni ambientali espresse dall’articolo 11 TFUE e del suo controllo giurisdizionale, alla necessaria presa in considerazione delle altre azioni del legislatore dell’Unione in materia di politica ambientale che toccano anche la politica dei trasporti, alla questione dell’asserita assenza di una valutazione d’impatto come costitutiva di una violazione dell’articolo 11 TFUE e a quella dei rapporti tra la direttiva 2020/1057 e il Green Deal europeo, rinvio ai paragrafi 565 e seguenti nonché ai paragrafi 591 e seguenti delle presenti conclusioni.

1132. Coerentemente con la conclusione che ho tratto dall’analisi dei motivi vertenti sulla violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente e di cambiamenti climatici contenuti nell’ambito dei ricorsi diretti contro il regolamento 2020/1055, si deve constatare che, al momento dell’adozione della direttiva 2020/1057, il legislatore dell’Unione poteva legittimamente ritenere, nel pieno esercizio del suo ampio potere discrezionale, che le eventuali conseguenze negative per l’ambiente risultanti dall’attuazione degli obblighi derivanti dalla direttiva 2020/1057 potessero essere contenute mediante l’applicazione della normativa esistente relativa più specificamente agli aspetti ambientali dell’attività in questione e che deve accompagnare i trasportatori nella transizione tecnologica verso una mobilità meno inquinante.

1133. Aggiungo che, a mio avviso, ciò vale ancor più per quanto riguarda la direttiva 2020/1057 in quanto, come sostenuto dal Parlamento, è discutibile che essa sia realmente una fonte di emissioni inquinanti aggiuntive, per una serie di ragioni.

1134. In primo luogo, ricordo che lo scopo della direttiva 2020/1057 è di stabilire «norme settoriali per garantire l’equilibrio tra la libertà dei trasportatori di fornire servizi transfrontalieri, la libera circolazione delle merci, condizioni di lavoro adeguate e la protezione sociale dei conducenti» (629) e che l’articolo 1 di tale direttiva elenca una serie di norme la cui applicazione consentirà ai trasportatori di accertare quale legislazione, in particolare sociale, dovrà essere applicata ai conducenti in base alle caratteristiche ritenute rilevanti dal legislatore dell’Unione ai fini di tale accertamento. Pertanto, l’incidenza dell’individuazione del diritto sociale applicabile a un lavoratore sulle tematiche connesse alla politica ambientale dell’Unione non si impone immediatamente con la forza dell’evidenza. Esse potrebbero più facilmente essere viste come la conseguenza della sola volontà dei trasportatori di riorganizzare le loro operazioni in modo da sottrarsi all’applicazione di obblighi per loro più onerosi per effetto dell’applicazione della direttiva 2020/1057.

1135. In secondo luogo, in ogni caso, poiché la Corte ha dichiarato, nella sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging (630), che la direttiva 96/71 era applicabile alle prestazioni di servizi transnazionali implicanti un distacco di lavoratori, anche nel settore del trasporto su strada (631), e poiché l’interpretazione in tal modo fornita dalla Corte è quella che la direttiva 96/71 doveva ricevere fin dalla sua entrata in vigore, le norme relative al distacco da essa sancite erano quindi applicabili nel settore del trasporto su strada. Orbene, uno dei rari argomenti della Repubblica di Polonia specificamente diretti contro la direttiva 2020/1057 consiste nel sostenere che l’applicazione delle norme sul distacco alle operazioni di trasporto combinato (632) alle condizioni previste dall’articolo 1, paragrafo 6, di detta direttiva scoraggerebbe il ricorso a tali operazioni, il cui effetto favorevole all’ambiente sarebbe peraltro noto e riconosciuto. I trasportatori rinuncerebbero quindi al trasporto multimodale per dedicarsi soltanto ai trasporti su strada, annullando così i benefici ambientali del ricorso al trasporto combinato.

1136. Tuttavia, dal momento che le norme relative al distacco si applicavano già sotto la vigenza della sola direttiva 96/71 e secondo i criteri ricordati dalla Corte nella causa Federatie Nederlandse Vakbeweging, l’applicazione delle norme sul distacco dei lavoratori a tali operazioni non è, come sottolinea il Parlamento, tale da rivoluzionare il regime giuridico preesistente. Aggiungo che l’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva 2020/1057 specifica le condizioni alle quali dette norme si applicano e «un conducente non è considerato distaccato (...) quando effettui il tragitto stradale iniziale o terminale di un’operazione di trasporto combinato (...), se il tragitto stradale consiste di per sé in un’operazione di trasporto bilaterale ai sensi del paragrafo 3» dell’articolo 1 della menzionata direttiva. Pertanto, le norme relative al distacco previste dalla direttiva 2020/1057 non saranno sempre applicabili in caso di trasporto combinato.

1137. Per quanto riguarda la tesi relativa a un aumento delle emissioni dovuto all’assoggettamento delle operazioni di cabotaggio alle norme sul distacco dei lavoratori, addotta dalla Repubblica di Polonia, ricordo che il considerando 17 del regolamento n. 1072/2009 prevedeva già che «[l]e disposizioni della direttiva [96/71] si applicano alle imprese di trasporto che effettuano trasporti di cabotaggio». Pertanto, come sostenuto dal Parlamento, gli eventuali effetti sull’ambiente descritti dalla Repubblica di Polonia, supponendo che esistano, non possono essere imputabili alla direttiva 2020/1057.

1138. Infine, per quanto riguarda l’argomento secondo cui gli asseriti effetti della direttiva 2020/1057 sull’ambiente dovrebbero essere valutati tenendo conto del fatto che essi si aggiungono a quelli che deriverebbero dalle altre componenti del Pacchetto mobilità, esso non può essere accolto, in quanto questi ultimi non sono, in ogni caso, imputabili alla direttiva medesima.

1139. Per tutte le ragioni che precedono, il motivo vertente sulla violazione dell’articolo 11 TFUE e dell’articolo 37 della Carta deve essere respinto in quanto infondato.

3.      Sui motivi riguardanti larticolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2020/1057

1140. La Repubblica di Polonia è l’unica a contestare la legittimità dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2020/1057 con cui il legislatore dell’Unione ha deciso di rendere le misure contenute in tale direttiva applicabili a decorrere dal 2 febbraio 2022. Essa deduce tre motivi a tal fine: la violazione del principio della certezza del diritto, la violazione del principio di proporzionalità e la violazione dell’articolo 94 TFUE. Questi ultimi due motivi saranno esaminati congiuntamente.

a)      Sulla violazione del principio della certezza del diritto

1)      Argomenti delle parti

1141. Dal momento che le disposizioni della direttiva 2020/1057 di cui la Repubblica di Polonia chiede l’annullamento sarebbero imprecise e solleverebbero problemi di interpretazione nonché difficoltà pratiche di individuazione della legge applicabile alle condizioni di occupazione e di lavoro dei conducenti che effettuano operazioni di trasporto su strada, l’attuazione di tali disposizioni a livello nazionale richiederà l’adozione di atti di rango superiore, che comportano, ad esempio in Polonia, lunghi lavori legislativi. I 18 mesi fissati dalla direttiva non sarebbero sufficienti a garantire l’evoluzione delle norme nazionali e la successiva presa di conoscenza di tali norme da parte dei trasportatori per conformarvisi. I trasportatori dovrebbero anche tenere conto dei contratti collettivi vigenti per il settore nonché delle diverse normative nazionali. Oltre al fatto che la direttiva 2020/1057 conterrebbe già, in sé, un certo numero di obblighi nuovi e avrebbe reso la direttiva 96/71 applicabile nel settore dei trasporti, la sua entrata in vigore comporterebbe anche l’applicazione della direttiva 2018/957 (633) nel settore del trasporto su strada (634), il che richiederebbe, a sua volta, un certo periodo di adattamento per i trasportatori. In tali circostanze, la fissazione della data del 2 febbraio 2022, ossia poco più di 18 mesi dopo l’adozione della direttiva 2020/1057, violerebbe il principio della certezza del diritto, il quale esigerebbe, secondo una giurisprudenza costante, che le norme giuridiche siano chiare, precise e prevedibili nei loro effetti, affinché gli interessati possano orientarsi nelle situazioni e nei rapporti giuridici rientranti nell’ambito dell’ordinamento giuridico dell’Unione e il cui rispetto s’imporrebbe in particolare nel caso di una normativa idonea a comportare oneri finanziari. L’assenza di un obbligo del legislatore dell’Unione di fissare un termine di trasposizione specifico non potrebbe essere assimilata a un pieno potere discrezionale di detto legislatore a tale riguardo. Sebbene la sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging (635) abbia precisato l’ambito di applicazione della direttiva 96/71, essa è intervenuta solo nel 2020 e avrebbe lasciato in sospeso una serie di questioni, cosicché, contrariamente a quanto affermato dalle istituzioni convenute, la direttiva 2020/1057 non costituirebbe una lieve modifica della situazione giuridica preesistente dei trasportatori. Concedere più tempo ai trasportatori per assimilare il nuovo quadro normativo avrebbe consentito loro di adattarvisi meglio.

1142. Il Parlamento, il Consiglio e le parti intervenute a loro sostegno concludono per l’infondatezza di tale motivo.

2)      Analisi

1143. Per quanto riguarda il quadro analitico relativo al principio della certezza del diritto, rinvio ai paragrafi 117 e seguenti delle presenti conclusioni e mi limiterò a ricordare che il sindacato giurisdizionale consiste, in sostanza, nell’esaminare se una disposizione sia viziata da un’ambiguità tale da costituire un ostacolo a che i suoi destinatari possano risolvere con sufficiente certezza eventuali dubbi sulla sua portata o sul suo significato, cosicché essi non siano in grado di determinare inequivocabilmente i loro diritti e obblighi derivanti da tale disposizione.

1144. A questo proposito, è sufficiente, a mio avviso, constatare che l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2020/1057 impone agli Stati membri di adottare e pubblicare le disposizioni necessarie per conformarsi a detta direttiva entro il 2 febbraio 2022, data a partire dalla quale essi applicheranno tali misure. La data del 2 febbraio 2022 è stata chiaramente fissata dal legislatore dell’Unione, e ciò fin dalla pubblicazione della direttiva. Non vi erano quindi dubbi sulla data entro la quale i destinatari della direttiva – gli Stati membri – dovevano preparare i rispettivi ordinamenti giuridici nazionali per conformarsi agli obblighi stabiliti dalla direttiva 2020/1057. Gli Stati membri e i trasportatori hanno quindi avuto 18 mesi per prepararsi alla trasposizione della direttiva 2020/1057.

1145. La Repubblica di Polonia tenta di convincere che l’articolo 9 della direttiva 2020/1057 è inficiato, in qualche modo di riflesso, dal carattere impreciso e incerto delle disposizioni che sarebbero state stabilite ex novo dalla direttiva 2020/1057. Il motivo in esame appare quindi come un ulteriore tentativo di mettere in discussione argomenti già trattati (636). Aggiungo che, come sostenuto dal Consiglio, anche l’argomento sviluppato dalla Repubblica di Polonia in relazione all’articolo 9 della direttiva 2020/1057 si basa sul presupposto errato che la direttiva 96/71 non fosse applicabile al settore dei trasporti e che la direttiva 2020/1057 avesse l’effetto di assoggettare un intero settore nuovo, impreparato, alle norme nuove e complesse relative al distacco dei lavoratori. Orbene, ho già avuto modo di ricordare che ciò non è accaduto, come risulta in particolare dalla sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging.

1146. Pertanto, il motivo vertente sulla violazione del principio della certezza del diritto deve essere respinto in quanto infondato.

b)      Sulla violazione del principio di proporzionalità e dellarticolo 94 TFUE

1)      Argomenti delle parti

1147. La Repubblica di Polonia sostiene che i requisiti risultanti dal principio di proporzionalità sono stati violati dal legislatore dell’Unione in quanto esso non avrebbe presentato ragioni oggettive che giustifichino la fissazione di un termine di trasposizione di 18 mesi sebbene il termine adottato per atti della stessa natura sia generalmente di due anni, come nel caso delle direttive 2014/67 e 2018/957, mentre la direttiva 96/71, dal canto suo, aveva previsto un termine ancora più lungo. Le specificità del settore del trasporto su strada avrebbero imposto di lasciare alle imprese un tempo sufficiente per conformarsi alla nuova normativa e almeno pari a quello lasciato per gli altri settori di servizi. Il legislatore dell’Unione avrebbe inoltre dovuto tenere conto del fatto che i trasportatori dovevano anche prepararsi, nel contempo, ad applicare i requisiti derivanti dai regolamenti 2020/1054 e 2020/1055, che obbligheranno i trasportatori a modificare sostanzialmente le modalità di prestazione dei servizi. Il legislatore dell’Unione non avrebbe nemmeno tenuto conto del fatto che il mercato dei trasporti è dominato da piccole e medie imprese che avrebbero bisogno di più tempo per familiarizzare con la nuova normativa e adattarvisi, soprattutto in considerazione dei costi che ciò per loro comporterebbe. La situazione dei trasportatori sarebbe resa ancora più difficile dalle misure adottate a causa della pandemia di COVID‑19. Inoltre, la Repubblica di Polonia sostiene che alcuni Stati membri avrebbero previsto sanzioni particolarmente severe in caso di inosservanza delle condizioni di lavoro e di occupazione e dei relativi obblighi formali. Tali sanzioni diverranno effettive alla scadenza del termine impartito stabilito dal legislatore, senza lasciare quindi ai trasportatori il tempo di adattarsi alle nuove norme. Pertanto, la fissazione di un termine di 18 mesi non soddisferebbe i requisiti del principio di proporzionalità.

1148. Tale fissazione sarebbe inoltre contraria all’articolo 94 TFUE, in quanto non terrebbe conto della situazione economica dei vettori. La Repubblica di Polonia rinvia alle sue osservazioni svolte nell’ambito del motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità. Essa rinvia altresì agli argomenti svolti nell’ambito del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 94 TFUE ad opera dell’articolo 1, paragrafi 3, 4, 6 e 7, della direttiva 2020/1057, dai quali risulta, in sostanza, che i cambiamenti derivanti dall’applicazione delle norme sul distacco dei conducenti comporteranno costi considerevoli per le imprese di trasporto, determinando il fallimento di una parte di esse, e che la vulnerabilità di tali imprese sarebbe ulteriormente aggravata dal fatto che la direttiva 2020/1057 è intervenuta in un periodo di crisi economica segnato dalla pandemia di COVID‑19. La mancata presa in considerazione di questi elementi dimostrerebbe la violazione dell’articolo 94 TFUE con riferimento agli attesi effetti negativi dell’articolo 1 della direttiva 2020/1057 sulle imprese di trasporto.

1149. Il Consiglio e il Parlamento nonché le parti intervenute a loro sostegno concludono per il rigetto di questi due motivi in quanto infondati.

2)      Analisi

1150. Per quanto riguarda il motivo vertente sulla violazione del principio di proporzionalità, mi limiterò a ricordare, concordemente con il Consiglio, che dalla giurisprudenza risulta che, poiché i governi degli Stati membri partecipano ai lavori preparatori delle direttive, debbono essere in grado di predisporre, nel termine stabilito, i provvedimenti di legge necessari per la loro attuazione (637). Il legislatore dell’Unione dispone di un ampio potere discrezionale per fissare il termine di trasposizione delle direttive e non è tenuto a presentare una motivazione specifica per giustificare la fissazione di un termine di 18 mesi.

1151. Per quanto riguarda l’asserita violazione dell’articolo 94 TFUE, l’argomento della Repubblica di Polonia deve essere inteso nel senso che l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2020/1057 violerebbe tale disposizione non tanto di per sé, quanto perché avrebbe l’effetto di rendere gli obblighi stabiliti da tale direttiva vincolanti, in particolare, per i trasportatori che vi saranno assoggettati a decorrere dalla data ivi fissata. Orbene, la suddetta ricorrente ritiene che tali obblighi violino l’articolo 94 TFUE.

1152. Rilevo subito che la Repubblica di Polonia non ha dimostrato che l’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2020/1057 costituisca una «misura in materia di prezzi e condizioni di trasporto», ai sensi dell’articolo 94 TFUE, cosa di cui si potrebbe peraltro legittimamente dubitare, dato che l’articolo 9, considerato isolatamente, si limita a fissare una data per l’adozione e la pubblicazione delle disposizioni nazionali necessarie alla trasposizione della direttiva 2020/1057. Qualora la Corte condividesse i miei dubbi, il presente motivo potrebbe già essere respinto.

1153. Per il resto, l’argomento della Repubblica di Polonia incorre nella medesima censura formulata nell’ambito dell’analisi del motivo vertente sulla violazione del principio della certezza del diritto da parte dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2020/1057. Come rilevato dal Consiglio, gli argomenti relativi alla percentuale di PMI nel settore del trasporto su strada, ai costi derivanti dall’assoggettamento di detto settore alle norme sul distacco dei lavoratori, alla mancanza di giustificazione delle misure stabilite dalla direttiva 2020/1057 e agli effetti della pandemia di COVID‑19 sono già stati addotti nell’ambito dell’esame del motivo vertente sulla violazione dell’articolo 94 TFUE da parte dell’articolo 1, paragrafi 3, 4, 6 e 7, della direttiva 2020/1057 e manifestamente la Repubblica di Polonia intende mettere di nuovo in discussione qui questioni già discusse e risolte. Orbene, poiché si è già constatato che l’articolo 1, paragrafi 3, 4, 6 e 7, della direttiva 2020/1057 non viola l’articolo 94 TFUE (638), la medesima constatazione deve imporsi in relazione all’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2020/1057.

1154. Per tutte le ragioni che precedono, suggerisco alla Corte di respingere i motivi vertenti sulla violazione da parte dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2020/1057, da un lato, del principio di proporzionalità e, dall’altro, dell’articolo 94 TFUE in quanto infondati.

4.      Conclusione sui ricorsi riguardanti la direttiva 2020/1057

1155. I ricorsi nelle cause C‑541/20 e C‑551/20, nella misura in cui riguardano la direttiva 2020/1057, e i ricorsi nelle cause C‑544/20, C‑548/20, C‑550/20 e C‑555/20 sono respinti.

V.      Sulle spese

1156. Dall’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte risulta che la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

1157. L’articolo 138, paragrafo 3, di tale regolamento prevede che, se le parti soccombono rispettivamente su uno o più capi, le spese sono compensate. Tuttavia, qualora ciò appaia giustificato alla luce delle circostanze del caso di specie, la Corte può decidere che una parte sostenga, oltre alle proprie spese, una quota delle spese della controparte.

1158. Alla luce di tali considerazioni e tenuto conto della particolare configurazione dei ricorsi nelle cause riunite da C‑541/20 a C‑555/20, propongo alla Corte di statuire sulle spese nel modo seguente.

1159. La Repubblica di Lituania è condannata alle spese nella causa C‑541/20.

1160. La Repubblica di Bulgaria è condannata alle spese nelle cause C‑543/20 e C‑544/20.

1161. La Romania è condannata alle spese nelle cause C‑546/20 e C‑548/20.

1162. Il Parlamento e il Consiglio sono condannati alle spese nella causa C‑549/20.

1163. La Repubblica di Cipro è condannata alle spese nella causa C‑550/20.

1164. La Repubblica di Polonia è condannata alle spese nelle cause C‑553/20 e C‑555/20.

1165. Nelle cause C‑542/20, C‑545/20, C‑547/20, C‑551/20, C‑552/20 e C‑554/20, ciascuna parte sopporterà le proprie spese.

1166. Inoltre, conformemente all’articolo 140, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, la Repubblica di Lituania e la Romania, nella misura in cui hanno partecipato ai presenti procedimenti riuniti in qualità di intervenienti, la Repubblica di Estonia, la Repubblica di Lettonia, il Regno del Belgio, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica d’Austria e il Regno di Svezia sopporteranno le proprie spese.

VI.    Conclusione

1167. Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue nelle cause riunite da C‑541/20 a C‑555/20:

1)      Il ricorso della Repubblica di Cipro nella causa C‑549/20 è accolto.

2)      I ricorsi della Repubblica di Lituania nella causa C‑542/20, della Repubblica di Bulgaria nella causa C‑545/20, della Romania nella causa C‑547/20, dell’Ungheria nella causa C‑551/20, della Repubblica di Malta nella causa C‑552/20 e della Repubblica di Polonia nella causa C‑554/20 sono accolti nella misura in cui sono diretti contro l’articolo 1, punto 3, del regolamento (UE) 2020/1055.

3)      Di conseguenza, l’articolo 1, punto 3, del regolamento (UE) 2020/1055 è annullato nella misura in cui modifica l’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1071/2009.

4)      I ricorsi menzionati al punto 2 sono respinti per il resto.

5)      I ricorsi della Repubblica di Lituania nella causa C‑541/20, della Bulgaria nelle cause C‑543/20 e C‑544/20, della Romania nelle cause C‑546/20 e C‑548/20, della Repubblica di Cipro nella causa C‑550/20 e della Repubblica di Polonia nelle cause C‑553/20 e C‑555/20 sono respinti.

6)      La Repubblica di Lituania è condannata alle spese nella causa C‑541/20.

7)      La Repubblica di Bulgaria è condannata alle spese nelle cause C‑543/20 e C‑544/20.

8)      La Romania è condannata alle spese nelle cause C‑546/20 e C‑548/20.

9)      Il Parlamento e il Consiglio sono condannati alle spese nella causa C‑549/20.

10)      La Repubblica di Cipro è condannata alle spese nella causa C‑550/20.

11)      La Repubblica di Polonia è condannata alle spese nelle cause C‑553/20 e C‑555/20.

12)      Nelle cause C‑542/20, C‑545/20, C‑547/20, C‑551/20, C‑552/20 e C‑554/20, ciascuna parte sopporterà le proprie spese.

13)      La Repubblica di Lituania e la Romania, nella misura in cui hanno partecipato ai presenti procedimenti riuniti in qualità di intervenienti, la Repubblica di Estonia, la Repubblica di Lettonia, il Regno del Belgio, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, la Repubblica ellenica, la Repubblica francese, la Repubblica italiana, il Granducato di Lussemburgo, il Regno dei Paesi Bassi, la Repubblica d’Austria e il Regno di Svezia sopporteranno le proprie spese.


1      Lingua originale: il francese.


2      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2020, che modifica il regolamento (CE) n. 561/2006 per quanto riguarda gli obblighi minimi in materia di periodi di guida massimi giornalieri e settimanali, di interruzioni minime e di periodi di riposo giornalieri e settimanali e il regolamento (UE) n. 165/2014 per quanto riguarda il posizionamento per mezzo dei tachigrafi (GU 2020, L 249, pag. 1).


3      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2020, che modifica i regolamenti (CE) n. 1071/2009, (CE) n. 1072/2009 e (UE) n. 1024/2012 per adeguarli all’evoluzione del settore del trasporto su strada (GU 2020, L 249, pag. 17).


4      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 luglio 2020, che stabilisce norme specifiche per quanto riguarda la direttiva 96/71/CE e la direttiva 2014/67/UE sul distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada e che modifica la direttiva 2006/22/CE per quanto riguarda gli obblighi di applicazione e il regolamento (UE) n. 1024/2012 (GU 2020, L 249, pag. 49).


5      GU 1992, L 368, pag. 38.


6      Valutazione d’impatto che accompagna la proposta di regolamento orario di lavoro e la proposta di direttiva distacco (in prosieguo: la «valutazione d’impatto – capitolo sociale»), e valutazione d’impatto che accompagna la proposta di regolamento stabilimento (in prosieguo: la «valutazione d’impatto – capitolo stabilimento»).


7      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 27 aprile 2021.


8      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 27 aprile 2021.


9      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 21 aprile 2021.


10      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 29 aprile 2021.


11      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 3 maggio 2021.


12      Ammessa ad intervenire con decisione del presidente della Corte del 29 aprile 2021.


13      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 22 aprile 2021.


14      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 22 aprile 2021.


15      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 12 maggio 2021.


16      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 29 aprile 2021.


17      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 13 aprile 2021.


18      Ammessi ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 22 aprile 2021.


19      Sebbene il capo delle conclusioni sia formulato in tal senso, le censure del ricorso sono dirette contro l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 (v. punto VIII del ricorso nella causa C‑552/20).


20      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 27 aprile 2021.


21      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 27 aprile 2021.


22      Ammesse ad intervenire con decisioni del presidente della Corte del 27 aprile 2021.


23      V. conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nelle cause riunite Trijber e Harmsen (C‑340/14 e C‑341/14, EU:C:2015:505, paragrafo 29). V. altresì sentenza del 1º ottobre 2015, Trijber e Harmsen (C‑340/14 e C‑341/14, EU:C:2015:641, punto 48).


24      V. parere 2/15 (Accordo di libero scambio con Singapore), del 16 maggio 2017 (EU:C:2017:376, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).


25      Tra gli aspetti particolari di tale settore vengono tradizionalmente menzionati, segnatamente, il necessario collegamento dei servizi di trasporto a un’infrastruttura specifica, la natura estremamente mobile dei mezzi di produzione e l’elevato grado di sostituibilità tra i servizi di trasporto commerciale e l’autoproduzione (vale a dire il trasporto motorizzato individualizzato). In dottrina vengono menzionati anche vari altri aspetti.


26      V., in tal senso, sentenza del 22 maggio 1985, Parlamento/Consiglio (13/83, EU:C:1985:220, punti 49 e 50).


27      Sentenza del 9 settembre 2004, Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio (C‑184/02 e C‑223/02, EU:C:2004:497, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).


28      V., in tal senso, sentenza del 18 marzo 2014, International Jet Management (C‑628/11, EU:C:2014:171, punto 36). V., altresì, sentenza del 4 aprile 1974, Commissione/Francia (167/73, EU:C:1974:35, punto 27).


29      Sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 159). V., altresì, sentenza del 22 dicembre 2010, Yellow Cab Verkehrsbetrieb (C‑338/09, EU:C:2010:814, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).


30      Sentenza del 22 dicembre 2010, Yellow Cab Verkehrsbetrieb (C‑338/09, EU:C:2010:814, punto 30 e giurisprudenza ivi citata).


31      V., in tal senso, ad esempio, sentenze del 5 ottobre 1994, Commissione/Francia (C‑381/93, EU:C:1994:370, punto 13), e del 6 febbraio 2003, Stylianakis (C‑92/01, EU:C:2003:72, punto 24).


32      V., in tal senso, sentenze dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 160), e del 20 dicembre 2017, Asociación Profesional Elite Taxi (C‑434/15, EU:C:2017:981, punto 48).


33      Sentenza del 22 dicembre 2010, Yellow Cab Verkehrsbetrieb (C‑338/09, EU:C:2010:814, punto 33). V. altresì conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Prestige and Limousine (C‑50/21, EU:C:2022:997, paragrafo 4).


34      V. capo III del regolamento n. 1072/2009. V. altresì valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pag. 2.


35      V. valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 4.


36      Sentenza del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 340 e giurisprudenza ivi citata).


37      V. paragrafo 42 delle presenti conclusioni.


38      V., tra l’altro, sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 112 e giurisprudenza ivi citata). In tal senso, v. altresì sentenza del 16 febbraio 2022, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑157/21, EU:C:2022:98, punto 354 e giurisprudenza ivi citata).


39      Sentenze dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 114 e giurisprudenza ivi citata), del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 78 e giurisprudenza ivi citata), e del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2020:1001, punto 151).


40      Sentenze dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 115), e del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).


41      Sentenze del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2020:1001, punto 170 e giurisprudenza ivi citata), e del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 118).


42      Sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punti 118 e 119). V., altresì, sentenza del 12 maggio 2011, Lussemburgo/Parlamento e Consiglio (C‑176/09, EU:C:2011:290, punto 62 e, in tal senso, giurisprudenza menzionata al punto 66).


43      Sentenze del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2020:1001, punto 170 e giurisprudenza ivi citata), e del 17 ottobre 2013, Billerud Karlsborg e Billerud Skärblacka (C‑203/12, EU:C:2013:664, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).


44      Sentenze dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 116), e del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 81 e giurisprudenza ivi citata).


45      V., in tal senso, sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2020:1001, punto 177 e giurisprudenza ivi citata).


46      V. sentenze del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2020:1001, punto 167), e del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 106).


47      V. nota 6 delle presenti conclusioni.


48      V., in tal senso, sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punti da 76 a 81, nonché 84 e 85).


49      GU 2016, L 123, pag. 1.


50      V. punto 13 dell’accordo interistituzionale, nonché sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 83).


51      Sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 84).


52      V. paragrafo 96 delle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:321), espressamente menzionata al punto 82 della sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035).


53      V. paragrafo 96 delle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:321), espressamente menzionata al punto 82 della sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035).


54      Sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 82).


55      Sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 85).


56      V. punto 14 dell’accordo interistituzionale e sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 83).


57      Sentenze del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2020:1001, punto 159), e dell’8 luglio 2010, Afton Chemical (C‑343/09, EU:C:2010:419, punto 57).


58      V. punto 15 dell’accordo interistituzionale nonché sentenze del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 83), e del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 43).


59      V. paragrafo 97 delle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:321), espressamente menzionato al punto 82 della sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035).


60      V. paragrafo 98 delle conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:321).


61      Sentenza del 4 maggio 2016, Pillbox 38 (C‑477/14, EU:C:2016:324, punti 64 e 65).


62      V., in tal senso, sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 43).


63      Sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).


64      Sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 86 e giurisprudenza ivi citata). V. altresì, in tal senso, sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2018:483, punti da 160 a 163).


65      V., in tal senso, sentenza dell’8 luglio 2010, Afton Chemical (C‑343/09, EU:C:2010:419, punto 39).


66      Sentenze del 22 febbraio 2022, Stichting Rookpreventie Jeugd e a. (C‑160/20, EU:C:2022:101, punto 67), e del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 80 e giurisprudenza ivi citata).


67      Sentenza del 3 febbraio 2021, Fussl Modestraße Mayr (C‑555/19, EU:C:2021:89, punto 95 e giurisprudenza ivi citata).


68      V., in particolare, sentenza del 14 luglio 2022, Commissione/VW e a. (da C‑116/21 P a C‑118/21 P, C‑138/21 P e C‑139/21 P, EU:C:2022:557, punto 140 e giurisprudenza ivi citata).


69      V., tra l’altro, sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 110 e giurisprudenza ivi citata).


70      Sentenza del 24 febbraio 2022, Glavna direktsia «Pozharna bezopasnost i zashtita na naselenieto» (C‑262/20, EU:C:2022:117, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).


71      Sentenza del 3 febbraio 2021, Fussl Modestraße Mayr (C‑555/19, EU:C:2021:89, punto 99). V. sentenza del 12 maggio 2011, Lussemburgo/Parlamento e Consiglio (C‑176/09, EU:C:2011:290, punto 32).


72      V. paragrafo 42 delle presenti conclusioni.


73      V. sentenza del 12 maggio 2011, Lussemburgo/Parlamento e Consiglio (C‑176/09, EU:C:2011:290, punti 34 e 35).


74      Sentenze del 13 settembre 2005, Commissione/Consiglio (C‑176/03, EU:C:2005:542, punto 41 e giurisprudenza ivi citata), del 15 novembre 2005, Commissione/Austria (C‑320/03, EU:C:2005:684, punto 72), del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione (C‑487/06 P, EU:C:2008:757, punto 91), del 16 luglio 2009, Horvath (C‑428/07, EU:C:2009:458, punto 29), e del 21 dicembre 2011, Commissione/Austria (C‑28/09, EU:C:2011:854, punto 120).


75      V., in particolare, sentenze del 13 settembre 2005, Commissione/Consiglio (C‑176/03, EU:C:2005:542, punto 42), del 15 novembre 2005, Commissione/Austria (C‑320/03, EU:C:2005:684, punto 73 e giurisprudenza ivi citata), e del 21 dicembre 2011, Commissione/Austria (C‑28/09, EU:C:2011:854, punto 121).


76      V. sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 128 e giurisprudenza ivi citata).


77      V. conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa Austria/Parlamento e Consiglio (C‑161/04, EU:C:2006:66, paragrafi 59 e 60).


78      V. sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punti 130 e 131 e giurisprudenza ivi citata).


79      V., in tal senso, sentenze del 31 marzo 1971, Commissione/Consiglio (22/70, EU:C:1971:32, punto 40), e del 9 settembre 2015, Lito Maieftiko Gynaikologiko kai Cheirourgiko Kentro/Commissione (C‑506/13 P, EU:C:2015:562, punto 17). V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Commissione/BEI (C‑15/00, EU:C:2002:557, paragrafo 82).


80      Sentenza del 31 marzo 2022, Commissione/Polonia (Tassazione dei prodotti energetici) (C‑139/20, EU:C:2022:240, punti 55 e 56, e giurisprudenza ivi citata).


81      V., in tal senso, sentenza del 9 settembre 2015, Lito Maieftiko Gynaikologiko kai Cheirourgiko Kentro/Commissione (C‑506/13 P, EU:C:2015:562, punti 17 e 18).


82      La Repubblica di Lituania deduce i suoi argomenti nell’ambito del motivo sollevato nella causa C‑541/20 e vertente sulla violazione del principio di proporzionalità da parte dell’articolo 1, punto 6, lettera d), del regolamento 2020/1054. Tuttavia, tenuto conto del loro contenuto, occorre esaminare tali argomenti nel contesto dell’analisi dei motivi riguardanti la violazione del principio della certezza del diritto.


83      In udienza, la Repubblica di Lituania ha inoltre fatto riferimento a sanzioni imposte a livello nazionale sulla base di un’interpretazione della disposizione di cui trattasi diversa da quella indicata dalle istituzioni dell’Unione.


84      Sentenze del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 223 e giurisprudenza ivi citata), e del 16 febbraio 2022, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑157/21, EU:C:2022:98, punto 319 e giurisprudenza ivi citata).


85      Sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2018:483, punto 100 e giurisprudenza ivi citata).


86      Sentenze del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 224 e giurisprudenza ivi citata), e del 16 febbraio 2022, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑157/21, EU:C:2022:98, punto 320 e giurisprudenza ivi citata).


87      Sentenza del 30 gennaio 2019, Planta Tabak (C‑220/17, EU:C:2019:76, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).


88      Sentenze del 16 febbraio 2022, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑156/21, EU:C:2022:97, punto 225 e giurisprudenza ivi citata), e del 16 febbraio 2022, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑157/21, EU:C:2022:98, punto 321 e giurisprudenza ivi citata).


89      V., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2005, Belgio/Commissione (C‑110/03, EU:C:2005:223, punto 31).


90      Il corsivo è mio.


91      A tal riguardo, rilevo che non vi è dubbio che il periodo di guida verso il luogo di ritorno costituisca orario di lavoro. V. articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 561/2006, come modificato dall’articolo 1, punto 8, lettera b), del regolamento 2020/1054. V. altresì, per analogia, sentenza del 10 settembre 2015, Federación de Servicios Privados del sindicato Comisiones obreras (C‑266/14, EU:C:2015:578, punto 50).


92      V. sentenze dell’11 novembre 2004, Adanez‑Vega (C‑372/02, EU:C:2004:705, punto 37), e del 25 febbraio 1999, Swaddling (C‑90/97, EU:C:1999:96, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).


93      V. sentenza del 12 aprile 2018, Commissione/Danimarca (C‑541/16, EU:C:2018:251, punti 28 e 31 e giurisprudenza ivi citata). V. altresì articolo 291, paragrafo 1, TFUE.


94      V. in tal senso e per analogia, sentenza del 30 gennaio 2019, Planta Tabak (C‑220/17, EU:C:2019:76, punto 33 e giurisprudenza ivi citata).


95      V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Commissione/Consiglio (C‑196/12, EU:C:2013:549, paragrafo 85).


96      V. sentenza del 12 aprile 2018, Commissione/Danimarca (C‑541/16, EU:C:2018:251, punto 47).


97      V. punto 25 di tale replica.


98      V., per quanto riguarda le restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori, sentenza del 2 settembre 2021, Commissione/Germania (Trasposizione delle direttive 2009/72 e 2009/73) (C‑718/18, EU:C:2021:662, punto 60), e, per quanto riguarda le restrizioni alla libera prestazione dei servizi, sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 104 e giurisprudenza ivi citata).


99      V., ad esempio, sentenza dell’8 giugno 2023, Prestige and Limousine (C‑50/21, EU:C:2023:448, punto 61 e giurisprudenza ivi citata).


100      Sentenza dell’8 giugno 2023, Fastweb e a. (Cadenza di fatturazione) (C‑468/20, EU:C:2023:447, punto 82 e giurisprudenza ivi citata). V. altresì conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Prestige and Limousine (C‑50/21, EU:C:2022:997, paragrafo 50 e giurisprudenza citata alla nota 19).


101      V., in tal senso, sentenza del 5 ottobre 2004, CaixaBank France (C‑442/02, EU:C:2004:586, punto 14).


102      V., in tal senso, in situazioni nelle quali erano in gioco sia la libertà di stabilimento sia la libera prestazione dei servizi, sentenze del 29 marzo 2011, Commissione/Italia (C‑565/08, EU:C:2011:188, punto 51 e giurisprudenza ivi citata), e del 7 marzo 2013, DKV Belgium (C‑577/11, EU:C:2013:146, punti 35 e 36).


103      V. conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Prestige and Limousine (C‑50/21, EU:C:2022:997, paragrafo 50 e giurisprudenza citata alla nota 20).


104      V., tra l’altro, sentenza del 2 settembre 2021, Institut des Experts en Automobiles (C‑502/20, EU:C:2021:678, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).


105      V., tra l’altro, sentenza dell’8 giugno 2023, Prestige and Limousine (C‑50/21, EU:C:2023:448, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).


106      V. articoli 2 e 3 del regolamento n. 561/2006. La nozione di «impresa di trasporto» è definita all’articolo 4, lettera p), di tale regolamento.


107      V., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 105).


108      V. paragrafo 42 delle presenti conclusioni.


109      Tale evoluzione è descritta in particolare nella valutazione d’impatto – capitolo sociale, segnatamente nella parte 1/2, pagg. da 1 a 11, 26 e 49, nonché nella valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, segnatamente nella parte 1/2, pagg. da 7 a 22.


110      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, punti 2.1.1 e 2.2.2.


111      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, pag. 39.


112      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 20. In particolare, la Commissione aveva constatato che il rischio di deterioramento delle condizioni di lavoro, comprese le condizioni inadeguate di riposo, i vincoli di orario e lo stress dei conducenti, non era stato affrontato efficacemente a causa delle violazioni e delle lacune delle norme precedenti, della rigidità della loro applicazione e delle pressioni del mercato.


113      V. considerando 2 del regolamento 2020/1054. Secondo la valutazione d’impatto – capitolo sociale (v. parte 1/2, pagg. 5 e 6), tra le cause principali dell’inefficacia della legislazione sociale figuravano norme poco chiare e inadeguate nonché divergenze di interpretazione e di applicazione da parte delle autorità nazionali.


114      V. considerando 1 del regolamento 2020/1054.


115      V. valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 19.


116      V. considerando 3, 6 e 36 del regolamento 2020/1054.


117      Per la stessa ragione, occorre, a mio avviso, respingere del pari la censura dedotta dalla Repubblica di Polonia secondo cui l’obbligo relativo al ritorno dei conducenti violerebbe l’articolo 4, lettera f), del regolamento n. 561/2006.


118      L’articolo 9, paragrafo 2, del regolamento n. 561/2006, prima dell’entrata in vigore del regolamento 2020/1054, disponeva infatti che «[i]l tempo impiegato dal conducente per rendersi sul luogo ove prende in consegna un veicolo rientrante nel campo di applicazione del presente regolamento, o per ritornarne se il veicolo non si trova nel luogo di residenza del conducente né presso la sede di attività del datore di lavoro da cui egli dipende, non è considerato come riposo o interruzione, a meno che il conducente si trovi su una nave traghetto o un convoglio ferroviario e disponga di una branda o di una cuccetta». Il paragrafo 3 di tale articolo faceva parimenti riferimento al «luogo di residenza del conducente [e alla] sede di attività del datore di lavoro da cui egli dipende».


119      V. sentenza del 29 aprile 2010, Smit Reizen (C‑124/09, EU:C:2010:238, punto 27). Sotto il profilo linguistico, la nozione di «sede di attività» corrisponde a quella di «sede dell’azienda» utilizzata in detta sentenza e nella sentenza del 18 gennaio 2001, Skills Motor Coaches e a. (C‑297/99, EU:C:2001:37), nonché a quella di «sede operativa» utilizzata nella versione originale dell’articolo 5, lettera c), del regolamento n. 1071/2009.


120      V. sentenza del 29 aprile 2010, Smit Reizen (C‑124/09, EU:C:2010:238, punto 31).


121      Il termine «UE‑13» indica l’insieme degli Stati che sono divenuti membri dell’Unione europea dopo il 2004 e che si sono aggiunti ai 15 Stati che ne erano già membri («l’UE‑15»).


122      La valutazione d’impatto cita, al riguardo, un’indagine condotta presso conducenti polacchi dall’associazione polacca dei datori di lavoro dalla quale risulta che il 23% di detti conducenti trascorre 15 giorni sulla strada; il 15% trascorre più di 30 giorni lontano dal luogo di residenza/dalla base e il 7% meno di 5 giorni lontano dal luogo di residenza/dalla base. V. valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 20.


123      V., nello specifico, paragrafo 203 delle presenti conclusioni.


124      Sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punti 41 e 42, nonché giurisprudenza ivi citata).


125      V., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punti 41, 42, 61, 62, 64 e 128).


126      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 51.


127      V. nota 122 delle presenti conclusioni.


128      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 20.


129      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, punto 6.2.1, pag. 63.


130      V. articolo 16 del regolamento n. 561/2006 e articolo 33 del regolamento n. 165/2014.


131      V. paragrafo 132 delle presenti conclusioni.


132      V. paragrafo 47 delle presenti conclusioni.


133      V. paragrafi 219 e 220 delle presenti conclusioni.


134      V. giurisprudenza menzionata al paragrafo 56 delle presenti conclusioni.


135      V. paragrafo 179 delle presenti conclusioni.


136      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 49. Sebbene le misure esaminate in tale contesto riguardassero l’eventuale divieto di effettuare il riposo programmato a bordo del veicolo, lo stesso tipo di difficoltà si presenta quando occorre accertare se il conducente sia stato messo dall’impresa di trasporto in condizione di ritornare al suo luogo di residenza o alla sede di attività, ma abbia scelto di non farlo, o se abbia subito pressioni volte a dissuaderlo dal ritornare.


137      Parere del CESE 2017/2852, punto [1.8].


138      L’articolo 1, punto 5, lettera c), della proposta di regolamento orario di lavoro prevedeva l’inserimento nell’articolo 8 del regolamento n. 561/2006 di un paragrafo 8 ter così formulato: «L’impresa di trasporto organizza l’attività dei conducenti in modo tale che, nell’arco di tre settimane consecutive, questi ultimi possano effettuare almeno un periodo di riposo settimanale regolare, o un periodo di riposo settimanale di più di 45 ore effettuato a compensazione di un periodo di riposo settimanale ridotto, presso il proprio domicilio».


139      Il legislatore ha adottato il periodo di tre settimane applicabile al ritorno esclusivamente per i conducenti che hanno effettuato due periodi di riposo settimanale ridotti consecutivi (articolo 8, paragrafo 8 bis, secondo comma) e che quindi, dopo la terza settimana di lavoro, effettueranno un periodo di riposo regolare a compensazione dei due periodi di riposo settimanale ridotti.


140      La Repubblica di Polonia fa inoltre riferimento agli effetti pregiudizievoli sulle infrastrutture stradali. Tali argomenti sono esaminati nella parte relativa ai motivi vertenti sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, ai paragrafi 281 e segg. delle presenti conclusioni.


141      V. valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 48.


142      V. valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 20, nonché paragrafi 217, 229, 236 e 260 delle presenti conclusioni.


143      Tale cifra deriva dal confronto tra, da un lato, la valutazione contenuta nella lettera aperta del 26 ottobre 2018 dell’Unione internazionale dei trasporti stradali (IRU) nella quale si stimava che l’adozione di un obbligo per i veicoli di ritornare ogni tre o quattro settimane poteva far aumentare il chilometraggio degli autocarri da 80 a 135 milioni di veicoli per chilometro all’anno e, dall’altro, i dati di Eurostat, dai quali risultava che, nel 2016, il traffico di veicoli commerciali era stato in totale di 135 725 milioni di veicoli per chilometro. Il Consiglio ha osservato che l’obbligo di ritorno dei conducenti non riguarda i veicoli, bensì i conducenti, i quali non ritornano necessariamente sempre con il veicolo e, come risulta dalla valutazione d’impatto (v. nota 122 delle presenti conclusioni), ritornano già, nella maggioranza dei casi, ogni tre o quattro settimane.


144      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, punto 2.3.1.1.


145      Elaborata dall’organismo di standardizzazione statunitense AASHTO (American Association of State Highway and Transportation Officials), che dimostra l’impatto dei veicoli sulle infrastrutture stradali.


146      V., per quanto riguarda l’articolo 74 CE, conclusioni dell’avvocato generale Stix‑Hackl nelle cause riunite Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio (C‑184/02 e C‑223/02, EU:C:2004:194, paragrafo 162).


147      Regolamento (CEE) n. 4058/89 del Consiglio, del 21 dicembre 1989, relativo alla formazione dei prezzi per i trasporti di merci su strada tra gli Stati membri (GU 1989, L 390, pag. 1).


148      V., per quanto riguarda l’articolo 74 CE, conclusioni dell’avvocato generale Stix‑Hackl nelle cause riunite Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio (C‑184/02 e C‑223/02, EU:C:2004:194, paragrafo 163).


149      V. conclusioni dell’avvocato generale Stix‑Hackl nelle cause riunite Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio (C‑184/02 e C‑223/02, EU:C:2004:194, paragrafo 164).


150      V., per quanto riguarda l’articolo 9 TFUE, sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 46).


151      V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Stix‑Hackl nelle cause riunite Spagna e Finlandia/Parlamento e Consiglio (C‑184/02 e C‑223/02, EU:C:2004:194, paragrafo 164).


152      V. paragrafo 42 delle presenti conclusioni.


153      V., per analogia con l’articolo 191, paragrafo 3, TFUE, sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 135 e giurisprudenza ivi citata).


154      V. nota 143 delle presenti conclusioni.


155      V. paragrafo 284 delle presenti conclusioni.


156      A tale proposito, v. anche paragrafo 222 delle presenti conclusioni.


157      V. paragrafi 291 e 292 delle presenti conclusioni.


158      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, in particolare pagg. 60 e 61.


159      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, in particolare pagg. 63 e segg.


160      Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, dell’11 dicembre 2019, «Il Green Deal europeo», COM (2019) 640 final (in prosieguo: il «Green Deal europeo»).


161      Green Deal europeo, punto 2.1.5.


162      Conclusioni adottate dal Consiglio europeo nella sessione del 12 dicembre 2019, EUCO 29/19, CO EUR 31, CONCL 9.


163      Dichiarazione della Commissaria Vălean sull’adozione definitiva del primo pacchetto sulla mobilità da parte del Parlamento europeo, Bruxelles, 9 luglio 2020, https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/statement_20_1319.


164      V. punto 45 della replica nella causa C‑553/20.


165      V. paragrafi 564 e segg. delle presenti conclusioni.


166      V. sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punti da 129 a 131). Una disposizione considerata conforme all’articolo 191 TFUE sarà necessariamente considerata conforme all’articolo 37 della Carta: v. sentenza del 21 dicembre 2016, Associazione Italia Nostra Onlus (C‑444/15, EU:C:2016:978, punti da 61 a 64).


167      V., per analogia, sentenza dell’11 marzo 1992, Compagnie commerciale de l’Ouest e a. (da C‑78/90 a C‑83/90, EU:C:1992:118, punto 18).


168      Tale censura va intesa, a mio parere, solo nel senso che riguarda esclusivamente l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane, in quanto un obbligo di ritorno dei conducenti ogni tre settimane era già presente nella proposta di regolamento stabilimento, che è stato oggetto di una valutazione d’impatto; v. articolo 1, punto 5, lettera c), della proposta di regolamento orario di lavoro, e valutazione d’impatto – capitolo sociale che accompagna tale proposta.


169      Preciso che non mi addentrerò, in questa fase dell’analisi, nel dibattito sulle cifre relative alle emissioni aggiuntive, potenziali o effettive, generate dall’obbligo di ritorno dei conducenti, in quanto, da un lato, ciò non è necessario per esaminare gli argomenti che riguardano la violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente e, dall’altro, tale discussione dovrà essere risolta in sede di esame degli argomenti relativi alla violazione del principio di proporzionalità.


170      V. paragrafi 575 e segg. delle presenti conclusioni.


171      Il legislatore ha soltanto previsto l’ipotesi che il ritorno del conducente possa, eventualmente, essere organizzato in modo che avvenga contestualmente al ritorno del veicolo nello Stato membro di stabilimento: v. considerando 8 del regolamento 2020/1055.


172      In tal senso, v. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nelle cause riunite Commissione/Consiglio (AMP Antartico) (C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:362, paragrafo 88), e sentenza del 15 aprile 2021, Paesi Bassi/Consiglio e Parlamento (C‑733/19, EU:C:2021:272, punto 48).


173      V. sentenza del 15 aprile 2021, Paesi Bassi/Consiglio e Parlamento (C‑733/19, EU:C:2021:272, punto 44).


174      V. sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 119).


175      V., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2017, Elecdey Carcelen e a. (C‑215/16, C‑216/16, C‑220/16 e C‑221/16, EU:C:2017:705, punto 40).


176      V. sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2018:483, punto 86).


177      V. paragrafo 47 delle presenti conclusioni.


178      V. paragrafo 197 delle presenti conclusioni.


179      V., in tal senso, sentenze del 13 novembre 1990, Fedesa e a. (C‑331/88, EU:C:1990:391, punti 19 e 20), e del 17 luglio 1997, SAM Schiffahrt e Stapf (C‑248/95 e C‑249/95, EU:C:1997:377, punti 52, 63 e 64).


180      V., in tal senso, sentenza del 21 giugno 1958, Wirtschaftsvereinigung Eisen- und Stahlindustrie e a./Alta Autorità (13/57, EU:C:1958:10, pag. 282).


181      A questo proposito, v., in tal senso, sentenza del 13 novembre 1973, Werhahn Hansamühle e a./Consiglio e Commissione (da 63/72 a 69/72, EU:C:1973:121, punto 17).


182      V. paragrafo 80 delle presenti conclusioni.


183      V. paragrafi da 148 a 150 delle presenti conclusioni.


184      Sentenza del 13 novembre 1990, Fedesa e a. (C‑331/88, EU:C:1990:391, punto 20).


185      V. paragrafo 90 delle presenti conclusioni.


186      V. pag. 18 della valutazione d’impatto.


187      Relazione finale dello studio sulle aree di parcheggio sicure e protette per autocarri (https://ec.europa.eu/transport/sites/transport/files/2019-study-on-safe-and-secure-parking-places-for-trucks.pdf), pagg. 8 e da 18 a 20.


188      Regolamento (UE) n. 1315/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2013, sugli orientamenti dell’Unione per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti e che abroga la decisione n. 661/2010/UE (GU 2013, L 348, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento RTE‑T»).


189      A termini del paragrafo 3 di detta disposizione, «[t]utte le aree di parcheggio che sono state certificate possono recare indicazione di tale certificazione, conformemente alle norme e alle procedure dell’Unione. In conformità dell’articolo 39, paragrafo 2, lettera c), del regolamento [RTE‑T], gli Stati membri devono incoraggiare la creazione di spazi di parcheggio per gli utenti commerciali della strada». A termini del paragrafo 4 di tale disposizione, «[e]ntro il 31 dicembre 2024 la Commissione presenta una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio circa la disponibilità di adeguate strutture per il riposo dei conducenti e di strutture di parcheggio sicure, nonché circa lo sviluppo di aree di parcheggio sicure e protette certificate conformemente agli atti delegati di cui al paragrafo 2. Tale relazione può contenere un elenco di misure volte ad accrescere il numero e la qualità delle aree di parcheggio sicure e protette».


190      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 64.


191      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 70.


192      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 18.


193      Sentenza del 20 dicembre 2017 (C‑102/16; in prosieguo: la «sentenza Vaditrans», EU:C:2017:1012).


194      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 46.


195      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 18.


196      A termini dell’articolo 4, lettera g), del regolamento n. 561/2006, ai fini di tale regolamento si intende per «“periodo di riposo giornaliero”: il periodo giornaliero durante il quale il conducente può disporre liberamente del suo tempo e comprende sia il “periodo di riposo giornaliero regolare” sia il “periodo di riposo giornaliero ridotto”». A termini del primo trattino di tale disposizione, si intende per «“periodo di riposo giornaliero regolare”: ogni tempo di riposo ininterrotto di almeno 11 ore; in alternativa, il riposo giornaliero regolare può essere preso in due periodi, il primo dei quali deve essere di almeno 3 ore senza interruzione e il secondo di almeno 9 ore senza interruzione». A termini del secondo trattino di detta disposizione, si intende per «“periodo di riposo giornaliero ridotto”: ogni tempo di riposo ininterrotto di almeno 9 ore, ma inferiore a 11 ore».


197      A termini dell’articolo 4, lettera h), del regolamento n. 561/2006, ai fini di tale regolamento si intende per «“periodo di riposo settimanale”: periodo settimanale durante il quale il conducente può disporre liberamente del suo tempo e designa sia il “periodo di riposo settimanale regolare” sia il “periodo di riposo settimanale ridotto”». A termini del primo trattino di tale disposizione, si intende per «“periodo di riposo settimanale regolare”: ogni tempo di riposo di almeno 45 ore». A termini del secondo trattino di detta disposizione, si intende per «“periodo di riposo settimanale ridotto”: ogni tempo di riposo inferiore a 45 ore, che può essere ridotto, nel rispetto di quanto stabilito all’articolo 8, paragrafo 6, a una durata minima di 24 ore continuative».


198      Sentenza Vaditrans (punti 31, 32 e 48).


199      V. paragrafo 42 delle presenti conclusioni.


200      A termini del considerando 13 del regolamento 2020/1054, «[a]l fine di promuovere il progresso sociale è opportuno specificare il luogo in cui può essere effettuato il periodo di riposo settimanale garantendo ai conducenti adeguate condizioni di riposo. La qualità dell’alloggio è di particolare importanza durante i periodi di riposo settimanale regolare che il conducente dovrebbe trascorrere in un alloggio adeguato al di fuori della cabina del veicolo, a spese dell’impresa di trasporto in quanto datore di lavoro. Al fine di assicurare buone condizioni di lavoro e di sicurezza per i conducenti, è opportuno chiarire l’obbligo di fornire loro un alloggio di qualità e che tenga conto delle specificità di genere per i periodi di riposo settimanale regolari, se effettuati lontano da casa».


201      Sentenza Vaditrans (punti 31, 32 e 48).


202      Sentenza Vaditrans (punto 43).


203      Sentenza Vaditrans (punto 44).


204      Sentenza Vaditrans (punto 45).


205      Sentenza Vaditrans (punti 46 e 47).


206      Sentenza Vaditrans (punto 44).


207      Sentenza Vaditrans (punto 44).


208      Sentenza Vaditrans (punti 44 e 45).


209      Sentenza Vaditrans (punto 42).


210      Sentenza Vaditrans (punto 44). V. paragrafo 379 delle presenti conclusioni. V. altresì ordinanza della vicepresidente della Corte del 13 aprile 2021, Lituania/Parlamento e Consiglio (C‑541/20, EU:C:2021:264, punto 38).


211      V. articolo 8, paragrafo 6, del regolamento n. 561/2006, come modificato dal regolamento 2020/1054.


212      Ai sensi di tale disposizione, l’articolo 19, paragrafo 1, del regolamento n. 561/2006 è sostituito dal seguente: «1. Gli Stati membri stabiliscono norme relative alle sanzioni applicabili in caso di infrazione delle disposizioni del presente regolamento (...) e adottano i provvedimenti necessari a garantirne l’attuazione. Le sanzioni devono essere effettive e proporzionate alla gravità delle infrazioni, come indicato nell’allegato III della direttiva 2006/22/CE (...). Nessuna infrazione del presente regolamento (...) è soggetta a più di una sanzione o procedura. Gli Stati membri notificano tali norme e misure alla Commissione, come pure il metodo e i criteri scelti a livello nazionale per valutarne la proporzionalità. Essi provvedono poi a dare immediata notifica delle eventuali modifiche successive. La Commissione informa gli Stati membri di tali norme e misure nonché delle eventuali modifiche. La Commissione si assicura che tali informazioni siano pubblicate in un sito web pubblico dedicato in tutte le lingue ufficiali dell’Unione, contenente informazioni dettagliate sulle sanzioni applicabili negli Stati membri».


213      V. proposta di regolamento orario di lavoro, articolo 1, paragrafo 5, lettera c), citata al paragrafo 11 delle presenti conclusioni.


214      V., ad esempio, sentenza del 20 dicembre 2017, Erzeugerorganisation Tiefkühlgemüse (C‑516/16, EU:C:2017:1011, punto 88 e giurisprudenza ivi citata).


215      La nozione di «conducente» è definita all’articolo 4, lettera c), del regolamento n. 561/2006.


216      Sentenza Vaditrans (punto 44). V. anche paragrafo 379 delle presenti conclusioni. V., altresì, ordinanza della vicepresidente della Corte del 13 aprile 2021, Lituania/Parlamento e Consiglio (C‑541/20 R, EU:C:2021:264, punto 38).


217      V. paragrafo 80 delle presenti conclusioni.


218      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, pag. 39.


219      Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 4, del regolamento n. 165/2014, letto in combinato disposto con l’articolo 6, terza frase, del regolamento di esecuzione 2016/799, i veicoli operanti in uno Stato membro diverso dal relativo Stato membro di immatricolazione dovevano inizialmente essere muniti di un tachigrafo intelligente, disciplinato dagli articoli da 8 a 10 del regolamento n. 165/2014, entro quindici anni dall’entrata in vigore, il 15 giugno 2019, delle norme di dettaglio relative a tali tachigrafi fissate nell’allegato IC di detto regolamento di esecuzione, vale a dire entro il 15 giugno 2034.


220      Regolamento di esecuzione (UE) 2021/1228 della Commissione, del 16 luglio 2021, che modifica il regolamento di esecuzione 2016/799 (GU 2021, L 273, pag. 1).


221      Regolamento di esecuzione (UE) 2023/980 della Commissione, del 16 maggio 2023, che modifica il regolamento di esecuzione 2016/799 (GU 2023, L 134, pag. 28).


222      Commissione, «Study regarding measures fostering the implementation of the smart tachograph», 2018, pag. 9.


223      Parlamento europeo (EPRS): Retrofitting smart tachographs by 2020: Costs and benefits (Montaggio a posteriori di tachigrafi intelligenti entro il 2020: costi e benefici), 2 febbraio 2018 (https://www.europarl.europa.eu/thinktank/fr/document.html?reference=EPRS_STU%282018%29615643), pag. 7.


224      V. lettera della Commissione al Consiglio del 4 ottobre 2018, allegato B4 nella causa C‑551/20.


225      V. nota 219  delle presenti conclusioni.


226      Sentenze del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 153), e del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2018:483, punti 100 e 110).


227      Sentenze del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 153), e del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2018:483, punto 111).


228      Sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2018:483, punto 112).


229      Sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet (C‑322/16, EU:C:2017:985, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).


230      V., in tal senso, sentenza del 20 dicembre 2017, Global Starnet (C‑322/16, EU:C:2017:985, punto 48 e giurisprudenza ivi citata).


231      V., ex multis, sentenza dell’8 settembre 2022, Ministerstvo životního prostředí (Perroquets Ara hyacinthe) (C‑659/20, EU:C:2022:642, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).


232      V., in tal senso, sentenza del 20 settembre 1988, Spagna/Consiglio (203/86, EU:C:1988:420, punto 19 e giurisprudenza ivi citata).


233      Tale articolo prevede come eccezioni le disposizioni dell’articolo 1, punto 15, e dell’articolo 2, punto 12, che si applicheranno solo a decorrere dal 31 dicembre 2024. Queste due disposizioni non formano oggetto dei ricorsi proposti nelle presenti cause.


234      Secondo queste due istituzioni, la data posticipata per le due disposizioni menzionate nella nota precedente delle presenti conclusioni verrebbe solo anticipata alla data di entrata in vigore dell’intero regolamento.


235      Ordinanza della vicepresidente della Corte del 13 aprile 2021, Lituania/Parlamento e Consiglio (C‑541/20 R, EU:C:2021:264, punto 31).


236      Sentenza Vaditrans (punto 44).


237      V., ad esempio, sentenza del 15 luglio 2021, Commissione/Landesbank Baden-Württemberg e CRU (C‑584/20 P e C‑621/20 P, EU:C:2021:601, punto 104 e giurisprudenza ivi citata).


238      V. paragrafo 394 delle presenti conclusioni.


239      V. sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punti da 73 a 75).


240      V. sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 76).


241      Tale disposizione, dedicata ai requisiti per l’esercizio della professione di trasportatore su strada, prevede che «[l]e imprese che esercitano la professione di trasportatore su strada (...) hanno una sede effettiva e stabile in uno Stato membro».


242      Tale motivo del ricorso nella causa C‑545/20 viene sviluppato dalla Repubblica di Bulgaria in relazione sia all’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, sia all’articolo 2, punto 4, lettera a), di quest’ultimo. Per ragioni di economia procedurale, lo esaminerò solo qui, fermo restando che le conclusioni tratte dalla mia analisi relativa all’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 si applicano mutatis mutandis in relazione all’articolo 2, punto 4, lettera a), di detto regolamento.


243      Sentenza del 16 luglio 1992, Parlamento/Consiglio (C‑65/90, EU:C:1992:325).


244      Sentenza del 16 luglio 1992, Parlamento/Consiglio (C‑65/90, EU:C:1992:325).


245      COM(2018) 51 final del 31 gennaio 2018.


246      La Repubblica di Cipro non ha impugnato, nel suo ricorso nella causa C‑549/20, l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055, cosicché il suo motivo vertente sulla violazione delle forme sostanziali derivanti dall’articolo 91, paragrafo 1, TFUE riguarda esclusivamente l’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane.


247      V. paragrafo 11 delle presenti conclusioni.


248      GU 2018, C 197, pag. 38.


249      GU 2018, C 176, pag. 57.


250      V. CdR, Practical guide on the infringement of the subsidiarity principle, disponibile all’indirizzo https://portal.cor.europa.eu/subsidiarity/Publications/Documents/Guide%20on%20SubsidiarityFINAL.pdf.


251      V. articoli 56 e 57 del regolamento interno del CdR (GU 2014, L 65, pag. 41, nella versione applicabile al momento dell’entrata in vigore del regolamento 2020/1055).


252      V. articolo 59 del regolamento interno del CdR, nella versione applicabile al momento dell’entrata in vigore del regolamento 2020/1055.


253      Sentenza del 16 luglio 1992 (C‑65/90, EU:C:1992:325).


254      Sentenza del 5 luglio 1995 (C‑21/94, EU:C:1995:220).


255      Sentenza del 5 luglio 1995, Parlamento/Consiglio (C‑21/94, EU:C:1995:220, punti 17 e 18).


256      V. ordinanza del presidente della Corte del 17 marzo 2004, Commissione/Consiglio (C‑176/03, EU:C:2004:158, punti da 9 a 11).


257      V. punto 1.1 del parere del CESE del 18 gennaio 2018.


258      V. punti 1.4 e 3.2 del parere del CESE del 18 gennaio 2018.


259      V. punto 1.6 del parere del CESE del 18 gennaio 2018.


260      V. punto 5.2 del parere del CESE del 18 gennaio 2018.


261      V. punto 5.2 del parere del CESE del 18 gennaio 2018.


262      V. punto 5.2 del parere del CESE del 18 gennaio 2018.


263      V., in particolare, punti da 6 a 8 del parere del CdR del 1º febbraio 2018.


264      V. punto 9 del parere del CdR del 1º febbraio 2018.


265      V., per analogia, sentenza del 5 luglio 1995, Parlamento/Consiglio (C‑21/94, EU:C:1995:220, punto 27). La situazione sarebbe diversa se, nel corso del procedimento legislativo, venisse aggiunta una base giuridica che giustifichi pienamente una nuova consultazione del CESE, al pari di quanto accaduto, come rilevato dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro, in occasione dell’adozione del regolamento (UE) 2021/2282 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2021, relativo alla valutazione delle tecnologie sanitarie e che modifica la direttiva 2011/24/UE (GU 2021, L 458, pag. 1). Per i due pareri di tale comitato nell’ambito di uno stesso procedimento legislativo, v. GU 2018, C 283, pag. 38, e GU 2021, C 286, pag. 95.


266      V. a tale proposito, conclusioni del Consiglio europeo del 12 dicembre 2019 (EUCO 29/19, CO EUR 31, CONCL 9).


267      Green Deal europeo, punto 2.1.5.


268      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 giugno 2021, che istituisce il quadro per il conseguimento della neutralità climatica e che modifica il regolamento (CE) n. 401/2009 e il regolamento (UE) 2018/1999 («Normativa europea sul clima») (GU 2021, L 243, pag. 1).


269      V. comunicazione della Commissione al Parlamento europeo a norma dell’articolo 294, paragrafo 6, TFUE, riguardante la posizione del Consiglio ai fini dell’adozione di un regolamento che modifica il regolamento (CE) n. 1071/2009, il regolamento (CE) n. 1072/2009 e il regolamento (UE) n. 1024/2012 per adeguarli all’evoluzione del settore, un regolamento che modifica il regolamento (CE) n. 561/2006 per quanto riguarda le prescrizioni minime in materia di periodi di guida massimi giornalieri e settimanali, di interruzioni minime e di periodi di riposo giornalieri e settimanali e il regolamento (UE) n. 165/2014 per quanto riguarda il posizionamento per mezzo dei tachigrafi e una direttiva che modifica la direttiva 2006/22/CE per quanto riguarda le prescrizioni di applicazione e fissa norme specifiche per quanto riguarda la direttiva 96/71/CE e la direttiva 2014/67/UE sul distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012 [COM(2020) 151 final].


270      Primo pacchetto sulla mobilità relativo al trasporto su strada – Dichiarazione della Commissione (GU 2020, C 252, pag. 1).


271      Assessment of the impact of a provision in the context of the revision of Regulation (EC) no 1071/2009 and Regulation (EC) no 1072/2009, Final report [Valutazione d’impatto di una disposizione nel contesto della revisione del regolamento (CE) n. 1071/2009 e del regolamento (CE) n. 1072/2009, relazione finale], MOVE/C1/SER/2050‑557/SI2.830443 (in prosieguo: lo «studio Ricardo del 2021»).


272      Ossia, secondo la Repubblica di Lituania, la Lituania, la Polonia, l’Ungheria, la Bulgaria, la Romania, la Lettonia e l’Estonia. La Repubblica di Lituania deduce che la flotta di automezzi pesanti di questi sette Stati membri emetterà 3,2 milioni di tonnellate di CO2 aggiuntive all’anno e che 570 000 automezzi pesanti senza carico dovranno tornare alla base ogni otto settimane, il che rappresenterebbe 780 milioni di chilometri a vuoto e 188 milioni di litri di carburante consumati inutilmente ogni anno. La Repubblica di Lituania si basa al riguardo su dati apparsi in un articolo pubblicato sul sito www.trans.info.


273      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018, relativo alle riduzioni annuali vincolanti delle emissioni di gas serra a carico degli Stati membri nel periodo 2021‑2030 come contributo all’azione per il clima per onorare gli impegni assunti a norma dell’accordo di Parigi e recante modifica del regolamento (UE) n. 525/2013 (GU 2018, L 156, pag. 26).


274      V. dichiarazioni della Commissione e degli Stati membri riguardanti l’accordo aggiuntivo raggiunto dal Consiglio e dal Parlamento sul primo pacchetto di misure, riportate nel documento del Consiglio dell’11 febbraio 2020 (ST 5424 2020 ADD 4, pag. 2).


275      In tale contesto, la Repubblica di Malta si basa sulle proiezioni indicate degli effetti della legislazione dell’Unione in vigore al momento dell’adozione della comunicazione della Commissione, del 28 novembre 2018, «Un pianeta pulito per tutti – Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra» [COM(2018) 773 final, pagg. 5 e 6].


276      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 novembre 2008, relativa ai rifiuti e che abroga alcune direttive (GU 2008, L 312, pag. 3).


277      In tale contesto, la Repubblica di Polonia rinvia alla sentenza del 10 settembre 2019, Polonia/Commissione (T‑883/16, EU:T:2019:567, punti 77 e 78).


278      V. punto 48 della replica nella causa C‑554/20, Polonia/Parlamento e Consiglio.


279      Gli argomenti della Repubblica di Malta relativi all’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, in combinato disposto con l’articolo 11 TFUE e l’articolo 37 della Carta, non saranno esaminati in questa parte.


280      V. sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punti da 129 a 131). Una disposizione considerata conforme all’articolo 191 TFUE sarà necessariamente considerata conforme all’articolo 37 della Carta: v. sentenza del 21 dicembre 2016, Associazione Italia Nostra Onlus (C‑444/15, EU:C:2016:978, punti da 61 a 64).


281      Segnatamente al punto 30 del suo controricorso nella causa C‑542/20.


282      V. paragrafo 314 delle presenti conclusioni.


283      V., per analogia, sentenza del 23 novembre 1999, Portogallo/Consiglio (C‑149/96, EU:C:1999:574, punto 86). V. altresì sentenza del 26 giugno 2019, Craeynest e a. (C‑723/17, EU:C:2019:533, punto 33).


284      V., per analogia, sentenza dell’11 marzo 1992, Compagnie commerciale de l’Ouest e a. (da C‑78/90 a C‑83/90, EU:C:1992:118, punto 18).


285      Conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa Austria/Parlamento e Consiglio (C‑161/04, EU:C:2006:66, paragrafi 59 e 60).


286      V. ordinanza di cancellazione dal ruolo del presidente della Corte del 6 settembre 2006, Austria/Parlamento e Consiglio (C‑161/04, EU:C:2006:512).


287      V., ad esempio, sentenze del 13 settembre 2005, Commissione/Consiglio (C‑176/03, EU:C:2005:542, punto 41 e giurisprudenza ivi citata), del 15 novembre 2005, Commissione/Austria (C‑320/03, EU:C:2005:684, punto 72), del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione (C‑487/06 P, EU:C:2008:757, punto 91), del 16 luglio 2009, Horvath (C‑428/07, EU:C:2009:458, punto 29), e del 21 dicembre 2011, Commissione/Austria (C‑28/09, EU:C:2011:854, punto 120).


288      V., in particolare, sentenze del 13 settembre 2005, Commissione/Consiglio (C‑176/03, EU:C:2005:542, punto 42), del 15 novembre 2005, Commissione/Austria (C‑320/03, EU:C:2005:684, punto 73 e giurisprudenza ivi citata), e del 21 dicembre 2011, Commissione/Austria (C‑28/09, EU:C:2011:854, punto 121).


289      V. sentenza del 16 luglio 2009, Horvath (C‑428/07, EU:C:2009:458, punto 29).


290      V. sentenza del 15 aprile 2021, Paesi Bassi/Consiglio e Parlamento (C‑733/19, EU:C:2021:272, punto 46).


291      Sentenza del 22 settembre 2020, Austria/Commissione (C‑594/18 P, EU:C:2020:742, punti 42 e 100). A proposito dell’articolo 11 TFUE, la Corte ha dichiarato che «l’Unione de[ve] conformarsi a tale disposizione nell’esercizio delle sue competenze» [sentenza del 20 novembre 2018, Commissione/Consiglio (AMP Antartico) (C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:925, punto 101)] senza tuttavia precisare ulteriormente l’onere che incombe al legislatore a tale riguardo.


292      Su ciò che l’articolo 11 TFUE non impone, v. sentenza del 15 aprile 2021, Paesi Bassi/Consiglio e Parlamento (C‑733/19, EU:C:2021:272, punto 49).


293      Il titolo di detta parte terza menziona, per essere precisi, le politiche e azioni interne dell’Unione.


294      V. paragrafo 318 delle presenti conclusioni.


295      V., ad esempio, sentenza del 15 aprile 2021, Paesi Bassi/Consiglio e Parlamento (C‑733/19, EU:C:2021:272, punto 50).


296      Preciso che non mi addentrerò, in questa fase dell’analisi, nella discussione sui dati relativi alle emissioni aggiuntive potenziali o effettive che l’obbligo di ritorno comporta, in quanto, in primo luogo, ciò non è necessario per l’esame degli argomenti vertenti sulla violazione della politica dell’Unione in materia di ambiente e, in secondo luogo, tale discussione dovrà essere risolta, se del caso, nell’ambito dell’esame degli argomenti relativi alla violazione del principio di proporzionalità.


297      V. considerando 1 del regolamento 2018/842. Sulle ambizioni del legislatore dell’Unione per il settore dei trasporti, v. considerando 12 di detto regolamento.


298      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, concernente l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell’aria ambiente (GU 2005, L 23, pag. 3), come modificata dal regolamento (CE) n. 219/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2009 (GU 2009, L 87, pag. 109), e dalla direttiva (UE) 2015/1480 della Commissione, del 28 agosto 2015 (GU 2015, L 226, pag. 4) (in prosieguo: la «direttiva 2004/107»).


299      V. articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/107.


300      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008, relativa alla qualità dell’aria ambiente e per un’aria più pulita in Europa (GU 2008, L 152, pag. 1), come modificata dalla direttiva (UE) 2015/1480 della Commissione, del 28 agosto 2015 (GU 2015, L 226, pag. 4) (in prosieguo: la «direttiva 2008/50»).


301      V. articolo 1 della direttiva 2008/50.


302      Modificata da ultimo dalla direttiva (UE) 2018/851 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 30 maggio 2018 (GU 2018, L 150, pag. 109).


303      V. articolo 1 della direttiva 2008/98, come modificata dalla direttiva 2018/851.


304      GU 1999, L 187, pag. 42.


305      Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 settembre 2011, che modifica la direttiva 1999/62 (GU 2011, L 269, pag. 1).


306      V. considerando 1 della direttiva 2011/76.


307      V. considerando 2 della direttiva 2011/76.


308      V. considerando 3 della direttiva 2011/76.


309      V. considerando 7 della direttiva 2011/76.


310      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 delle autovetture nuove e dei veicoli commerciali leggeri nuovi e che abroga i regolamenti (CE) n. 443/2009 e (UE) n. 510/2011 (GU 2019, L 111, pag. 13).


311      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019, che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni di CO2 dei veicoli pesanti nuovi e modifica i regolamenti (CE) n. 595/2009 e (UE) 2018/956 del Parlamento europeo e del Consiglio e la direttiva 96/53/CE del Consiglio (GU 2019, L 198, pag. 202). V. altresì, relativamente al miglioramento dell’efficienza energetica di tali veicoli, regolamento (UE) 2019/1892 della Commissione, del 31 ottobre 2019, che modifica il regolamento (UE) n. 1230/2012 per quanto riguarda i requisiti di omologazione per taluni veicoli a motore dotati di cabine allungate e per le apparecchiature e i dispositivi aerodinamici destinati ai veicoli a motore e ai loro rimorchi (GU 2019, L 291, pag. 17), in particolare considerando 6.


312      V. direttiva 2009/33/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, relativa alla promozione di veicoli puliti adibiti al trasporto su strada a sostegno di una mobilità a basse emissioni (GU 2009, L 120, pag. 5), come modificata dalla direttiva (UE) 2019/1161 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2019 (GU 2019, L 188, pag. 116).


313      Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 2020, sull’etichettatura dei pneumatici in relazione al consumo di carburante e ad altri parametri, che modifica il regolamento (UE) 2017/1369 e che abroga il regolamento (CE) n. 1222/2009 (GU 2020, L 177, pag. 1).


314      V. considerando 4 del regolamento 2020/740.


315      V. considerando 6 del regolamento 2020/1055.


316      V. considerando 6 del regolamento 2020/1055.


317      V. considerando 6 del regolamento 2020/1055.


318      V., a proposito degli articoli 130 R e 130 S del Trattato CE, sentenza del 24 novembre 1993, Mondiet (C‑405/92, EU:C:1993:906, punto 26), e conclusioni dell’avvocato generale Kokott nelle cause riunite Commissione/Consiglio (AMP Antartico) (C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:362, paragrafo 88).


319      V., per analogia, sentenze del 21 dicembre 2016, Associazione Italia Nostra Onlus (C‑444/15, EU:C:2016:978, punto 46), e del 1º ottobre 2019, Blaise e a. (C‑616/17, EU:C:2019:800, punto 50).


320      V. sentenze del 18 luglio 2013, Schindler Holding e a./Commissione (C‑501/11 P, EU:C:2013:522, punto 31 e giurisprudenza ivi citata), e del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 80).


321      V. sentenza del 6 settembre 2017, Slovacchia e Ungheria/Consiglio (C‑643/15 e C‑647/15, EU:C:2017:631, punto 221).


322      V. articolo 192, paragrafo 1, TFUE.


323      Ricordo che, ai sensi di tale disposizione, le misure aventi una sensibile incidenza sulla scelta di uno Stato membro tra diverse fonti di energia e sulla struttura generale dell’approvvigionamento energetico del medesimo devono essere adottate all’unanimità.


324      V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nelle cause riunite Commissione/Consiglio (AMP Antartico) (C‑626/15 e C‑659/16, EU:C:2018:362, paragrafo 88), e sentenza del 15 aprile 2021, Paesi Bassi/Consiglio e Parlamento (C‑733/19, EU:C:2021:272, punto 48).


325      L’Ungheria fa valere un principio di precauzione, principio generale del diritto, che essa fa derivare complessivamente dall’articolo 11 TFUE, dall’articolo 168, paragrafo 1, TFUE, dall’articolo 169, paragrafi 1 e 2, TFUE e dall’articolo 191, paragrafi 1 e 2, TFUE. Pertanto, non svolgerò un’analisi separata degli articoli 168 e 169 TFUE.


326      V. sentenza del 1º ottobre 2019, Blaise e a. (C‑616/17, EU:C:2019:800, punto 41 e giurisprudenza ivi citata).


327      V. sentenza del 1º ottobre 2019, Blaise e a. (C‑616/17, EU:C:2019:800, punto 43 e giurisprudenza ivi citata).


328      V. sentenza del 1º ottobre 2019, Blaise e a. (C‑616/17, EU:C:2019:800, punto 50).


329      V. sentenza del 9 giugno 2016, Pesce e a. (C‑78/16 e C‑79/16, EU:C:2016:428, punto 50).


330      V. sentenza del 12 luglio 2005, Alliance for Natural Health e a. (C‑154/04 e C‑155/04, EU:C:2005:449, punto 68).


331      L’argomento della Repubblica di Bulgaria e della Repubblica di Cipro è mutato in una certa misura nel corso della fase scritta del procedimento (v. punto 8 della replica nella causa C‑545/20 e punto 10 della replica nella causa C‑549/20).


332      GU 2016, L 282, pag. 1.


333      V. articolo 2, paragrafo 1, lettera a), dell’accordo di Parigi.


334      V. sentenze del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punto 50 e giurisprudenza ivi citata), dell’11 aprile 2013, HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punto 28), del 18 marzo 2014, Z. (C‑363/12, EU:C:2014:159, punto 71), del 13 gennaio 2015, Consiglio e a./Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht (da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2015:4, punto 52), del 13 gennaio 2015, Consiglio e Commissione/Stichting Natuur en Milieu e Pesticide Action Network Europe (C‑404/12 P e C‑405/12 P, EU:C:2015:5, punto 44), dell’8 settembre 2020, Recorded Artists Actors Performers (C‑265/19, EU:C:2020:677, punto 62), e del 3 dicembre 2020, Région de Bruxelles‑Capitale/Commissione (C‑352/19 P, EU:C:2020:978, punto 25).


335      L’accordo di Parigi è entrato in vigore il 4 novembre 2016.


336      V. sentenza del 13 gennaio 2015, Consiglio e a./Vereniging Milieudefensie e Stichting Stop Luchtverontreiniging Utrecht (da C‑401/12 P a C‑403/12 P, EU:C:2015:4, punto 54 e giurisprudenza ivi citata).


337      V. sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punti da 52 a 55 e giurisprudenza ivi citata).


338      V. considerando 4 della decisione 2016/1841.


339      V. articolo 2, paragrafo 1, dell’accordo di Parigi, allegato alla decisione 2016/1841.


340      V. paragrafo 575 delle presenti conclusioni.


341      V. articolo 2, paragrafo 1, lettera c), dell’accordo di Parigi, allegato alla decisione 2016/1841.


342      V. articolo 2, paragrafo 2, dell’accordo di Parigi, allegato alla decisione 2016/1841.


343      Articolo 3 dell’accordo di Parigi, allegato alla decisione 2016/1841.


344      Articolo 4, paragrafo 1, dell’accordo di Parigi, allegato alla decisione 2016/1841.


345      Articolo 4, paragrafo 2, dell’accordo di Parigi, allegato alla decisione 2016/1841.


346      Tali motivi sono relativamente analoghi a quelli addotti dalla Corte per negare l’invocabilità, nell’ambito di un rinvio pregiudiziale per accertamento della validità, del protocollo di Kyoto: v. sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a. (C‑366/10, EU:C:2011:864, punti da 73 a 78).


347      V. sentenza del 15 aprile 2021, Paesi Bassi/Consiglio e Parlamento (C‑733/19, EU:C:2021:272, punto 44).


348      V. sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 119).


349      V., in tal senso, sentenza del 20 settembre 2017, Elecdey Carcelen e a. (C‑215/16, C‑216/16, C‑220/16 e C‑221/16, EU:C:2017:705, punto 40).


350      V. sentenza del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2018:483, punto 86).


351      V. secondo paragrafo della dichiarazione della Commissaria Vălean del 9 luglio 2020 sull’adozione definitiva del primo pacchetto sulla mobilità da parte del Parlamento europeo.


352      Ossia la Germania, la Francia, il Regno Unito, l’Italia, i Paesi Bassi e il Belgio.


353      Libro bianco «Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti – Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile» [COM(2011) 144 final del 28 marzo 2011].


354      Sentenza del 13 novembre 1990 (C‑331/88, EU:C:1990:391).


355      V. paragrafi 677 e segg. delle presenti conclusioni.


356      V. paragrafo 607 delle presenti conclusioni.


357      V. punto 131 del ricorso nella causa C‑547/20.


358      V. articolo 2, punto 4, del regolamento n. 1071/2009.


359      V. considerando 8 del regolamento 2020/1055.


360      Per il resto, la Repubblica di Lituania non ha specificato quale disposizione del Trattato di adesione, a suo avviso, garantisse l’abolizione, entro cinque anni, di tutte le restrizioni alla libera prestazione di servizi da parte dei trasportatori lituani in altri Stati membri. Come giustamente affermato dal Parlamento, tale Trattato non prevedeva che la Lituania beneficiasse di un regime di deroga e fosse esentata dall’applicare il diritto derivato nel settore dei trasporti. Aggiungo che, al momento dell’ingresso della Repubblica di Lituania nell’Unione, l’articolo 71, paragrafo 1, CE sottolineava già, in particolare, gli aspetti peculiari dei trasporti nonché il trattamento differenziato dei vettori non residenti.


361      V. paragrafo 594 delle presenti conclusioni.


362      Sentenza del 17 luglio 1997, SAM Schiffahrt e Stapf (C‑248/95 e C‑249/95, EU:C:1997:377, punto 55).


363      V. sentenza del 26 settembre 2013, ÖBB‑Personenverkehr (C‑509/11, EU:C:2013:613, punto 47).


364      La valutazione d’impatto – capitolo stabilimento evocava tale asimmetria nell’ipotesi di un rafforzamento dei criteri di stabilimento (v. parte 1/2, pag. 37).


365      V. sentenza del 13 novembre 1990, Fedesa e a. (C‑331/88, EU:C:1990:391, punti 19 e 20).


366      La legittimità dell’adeguamento della normativa all’evoluzione del contesto in cui essa produce i suoi effetti non può essere messa in discussione. È noto che la partecipazione al mercato dei trasporti delle imprese di Stati membri nei quali, generalmente, sono applicabili condizioni di lavoro e di occupazione lontane da quelle applicabili negli altri Stati membri a seguito degli allargamenti successivi può richiedere, a seconda della sua valutazione, l’intervento del legislatore dell’Unione (v. sentenza dell’8 dicembre 2020, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑626/18, EU:C:2020:1000, punto 67). Sulla necessità di prendere in considerazione la situazione dell’insieme degli Stati membri dell’Unione, v., ad esempio, sentenza del 29 maggio 2018, Liga van Moskeeën en Islamitische Organisaties Provincie Antwerpen e a. (C‑426/16, EU:C:2018:335, punto 74).


367      Sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 128).


368      V. la definizione di queste due categorie fornite dalla valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pag. 1, nota 3.


369      V. studio Ricardo del 2021, pagg. XI e 91.


370      V. studio Ricardo del 2021, pagg. XI e 91.


371      V. studio Ricardo del 2021, pag. 6.


372      Il Consiglio e il Parlamento contestano la ricevibilità di tale censura sviluppata dalla Repubblica di Lituania nella causa C‑542/20, in quanto è effettivamente apparsa solo in fase di replica. Quand’anche essa fosse dichiarata irricevibile, la Corte dovrebbe esaminare una censura della stessa natura in quanto essa è stata parimenti dedotta dalla Repubblica di Bulgaria e dalla Repubblica di Cipro.


373      V., per analogia, sentenza del 13 novembre 1990, Fedesa e a. (C‑331/88, EU:C:1990:391, punto 20).


374      V. atto introduttivo del ricorso C‑542/20, in particolare il motivo vertente sulla violazione ingiustificata della procedura legislativa ordinaria a causa dell’assenza di una valutazione d’impatto.


375      V. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2.


376      IRU, «Open letter on the potential consequences of obligatory return to the truck», 26 ottobre 2018.


377      Allegato 9 del ricorso nella causa C‑551/20.


378      A tale proposito, la Repubblica di Malta fa riferimento alla dichiarazione della Commissaria Vălean.


379      La Repubblica di Polonia menziona al riguardo la sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica Ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 85).


380      Sentenza del 3 dicembre 2019 (C‑482/17, EU:C:2019:1035).


381      Valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pag. 37.


382      Valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pag. 49.


383      Valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pagg. 20 e 21.


384      Il Consiglio rileva un parallelismo con la sentenza del 4 maggio 2016, Pillbox 38 (C‑477/14, EU:C:2016:324, punto 66).


385      In risposta, secondo il Consiglio, alla relazione del Parlamento europeo, del 7 giugno 2018, sulla proposta di regolamento stabilimento, relazione che prevedeva l’obbligo per tutti i veicoli di effettuare almeno un carico o uno scarico di merci ogni tre settimane nello Stato membro di stabilimento (v. emendamento 18 della relazione A8‑0204/2018).


386      IRU, «Open letter on the potential consequences of obligatory return to the truck», 26 ottobre 2018.


387      Klaus, P. Mobility Package I – Impact on the European road transport system (v. in particolare allegato D.3 della controreplica del Consiglio nella causa C‑542/20).


388      Disponibile all’indirizzo https://www.etf-europe.org/vehicle-activity-in-the-home-country-the-real-problem/.


389      V. punto 13 dell’accordo interistituzionale.


390      V. sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 82).


391      V., nello stesso senso, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:321, paragrafo 98).


392      V. sentenze dell’8 luglio 2010, Afton Chemical (C‑343/09, EU:C:2010:419, punto 57), e del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2018:483, punto 159).


393      V sentenza del 4 maggio 2016, Pillbox 38 (C‑477/14, EU:C:2016:324, punti 64 e 65).


394      Sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 43).


395      Sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 85).


396      V., in tal senso, sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 45).


397      V. sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 31 e giurisprudenza ivi citata).


398      V. sentenze del 21 giugno 2018, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑5/16, EU:C:2018:483, punti da 160 a 163), e del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 86 e giurisprudenza ivi citata).


399      V., per un raffronto, articolo 1, punto 3, della proposta di regolamento stabilimento.


400      Valutazione d’impatto – capitolo stabilimento. Ciò è confermato dalla stessa Commissione nella sua dichiarazione a seguito dell’accordo politico raggiunto dal Parlamento e dal Consiglio il 12 dicembre 2019, parimenti riprodotta nella comunicazione della Commissione al Parlamento europeo a norma dell’articolo 294, paragrafo 6, TFUE relativa alla posizione del Consiglio ai fini dell’adozione del regolamento 2020/1055 [COM(2020) 151 final del 15 aprile 2020, pag. 7].


401      V. paragrafo 251 delle presenti conclusioni.


402      V. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, pagg. 30 e 31.


403      V. pag. 36, punto 5.1.1 «Impacts on business» dedicato alla «policy package 3», in cui rientrano le misure in questione della valutazione d’impatto – capitolo stabilimento e, più in generale, sezione 5 di tale valutazione.


404      V. emendamento 128 della risoluzione legislativa del Parlamento europeo del 4 aprile 2019 sulla proposta di regolamento stabilimento [documento P8_TA-PROV(2019)0341]. Tale emendamento proponeva l’inserimento di un articolo 5, lettera a) bis, nel regolamento n. 1071/2009 secondo cui i veicoli avrebbero dovuto effettuare, nel quadro di un contratto di trasporto, almeno un’operazione di carico o scarico di merci ogni quattro settimane nello Stato membro di stabilimento. V. altresì relazione del Parlamento europeo del 7 giugno 2018 (documento A8-0204-2018).


405      V. sezione 6 della valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2.


406      V. paragrafo 263 delle presenti conclusioni.


407      Consultata su https://www.etf-europe.org/vehicle-activity-in-the-home-country-the-real-problem/.


408      In quanto una parte delle censure è stata esaminata qui.


409      Secondo i dati forniti da Eurostat sul volume del trasporto di merci rispetto al PIL per paese (2018).


410      A tale proposito, la Repubblica di Lituania si richiama allo studio Ricardo del 2021.


411      La Repubblica di Bulgaria solleva un motivo unico, vertente sulla violazione dell’articolo 91, paragrafo 2, dell’articolo 90 TFUE in combinato disposto con l’articolo 3, paragrafo 3, TUE, e dell’articolo 94 TFUE, nel cui ambito essa sviluppa un argomento comune nei confronti dell’articolo 1, punto 3, e dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055.


412      Riguardo a quest’ultima disposizione, l’Ungheria afferma che l’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055 costituisce una misura relativa alle «condizioni di trasporto».


413      Per quanto attiene all’affermazione secondo cui l’assenza di una valutazione d’impatto costituirebbe una violazione delle forme sostanziali previste all’articolo 91, paragrafo 2, TFUE, letto in combinato disposto con l’articolo 11 TFUE e l’articolo 37 della Carta, rinvio al paragrafo 571 delle presenti conclusioni.


414      V. paragrafo 655 delle presenti conclusioni.


415      Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e europeo e al Comitato delle regioni: «Verso un atto per il mercato unico – Per un’economia sociale di mercato altamente competitiva – 50 proposte per lavorare, intraprendere e commerciare insieme in modo più adeguato» [COM(2010) 608 final].


416      V. paragrafi 38 e segg. delle presenti conclusioni.


417      Il corsivo è mio.


418      V. paragrafo 159 delle presenti conclusioni.


419      V., ad esempio, sentenza del 23 febbraio 2006, CLT‑UFA (C‑253/03, EU:C:2006:129, punto 13).


420      V. sentenza dell’8 ottobre 1986, Keller (234/85, EU:C:1986:377, punto 9).


421      V. paragrafo 177 delle presenti conclusioni.


422      V., in relazione all’articolo 56 TFUE, sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 107).


423      V., per analogia, sentenze del 21 settembre 1999, BASF (C‑44/98, EU:C:1999:440, punto 16), e del 17 settembre 2020, Hidroelectrica (C‑648/18, EU:C:2020:723, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).


424      Vale a dire quelle definite all’articolo 5, lettera e), del regolamento n. 1071/2009, ossia di essere immatricolati o messi in circolazione in conformità della normativa dello Stato membro stabilimento.


425      V., in particolare, pag. 30 e ultimo paragrafo della pag. 36 della valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2 (v. altresì pag. 18 della parte 2/2 di tale valutazione).


426      In senso, a mio avviso, restrittivo.


427      V. pag. 6 della comunicazione della Commissione a norma dell’articolo 294, paragrafo 6, TFUE [COM(2020) 151 final del 15 aprile 2020], secondo cui la Commissione ritiene che la posizione del Consiglio sia volta a garantire un organico sufficiente a quella che dovrebbe essere una sede effettiva e stabile e lasci un margine sufficiente per non limitare indebitamente la libertà degli operatori per quanto riguarda l’assunzione del personale.


428      V. sentenza del 29 aprile 2010, Smit Reizen (C‑124/09, EU:C:2010:238, punto 31).


429      V. paragrafo 118 delle presenti conclusioni.


430      V. sentenza del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 148).


431      V. paragrafi 40 e segg. delle presenti conclusioni.


432      V. punto 111 del ricorso nella causa C‑554/20, Polonia/Consiglio e Parlamento.


433      Sulla portata di questi due articoli, rinvio ai paragrafi 565 e 567 delle presenti conclusioni.


434      La Romania chiede inoltre l’annullamento dell’articolo 2, punto 4, lettere b) e c), del regolamento 2020/1055, che ha modificato il paragrafo 3 e inserito un paragrafo 4 bis nell’articolo 8 del regolamento n. 1072/2009, senza tuttavia sviluppare un argomento distinto rispetto a quello relativo all’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055.


435      A tale proposito, la Repubblica di Lituania si richiama alle pagine 19 e 20 della nota orientativa dello European Centre for International Political Economy (ECIPE), «Discrimination, Exclusion and Environmental Harm: Why EU Lawmakers Need to Ban Freight Transport Restrictions to Save the Single Market», n. 3/2020 (in prosieguo: la «nota orientativa dell’ECIPE»).


436      V. punto 11 del ricorso nella causa C‑545/20. Per una sintesi di tale argomento, v. paragrafi 552 e segg. delle presenti conclusioni.


437      COM(2011) 144 final del 28 marzo 2011. La Repubblica di Bulgaria menziona in particolare la pagina 6 di tale Libro bianco.


438      Dato che si tratta di un’opzione prevista dalla Commissione nella sua valutazione d’impatto (v. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 2/2).


439      V. considerando 20 del regolamento 2020/1055. V. altresì articolo 2, punto 6, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055.


440      A differenza, evidentemente, di quanto imposto dall’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, che ha modificato l’articolo 5, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 1071/2009.


441      V. punto 78 del ricorso della Repubblica di Polonia nella causa C‑554/20.


442      Peraltro, un percorso con un carico è, certo, economicamente giustificato, per riprendere l’argomento della Repubblica di Polonia, ma più i veicoli sono pesanti, più consumano, quindi emettono CO2, e usurano le infrastrutture.


443      V. paragrafo 571 delle presenti conclusioni.


444      Si veda il motivo vertente sulla violazione ingiustificata della procedura legislativa ordinaria a causa dell’assenza di una valutazione d’impatto, sviluppato nei confronti dell’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055 nel ricorso C‑542/20.


445      Per quanto riguarda il fondamento, secondo la Repubblica di Lituania, dell’obbligo del legislatore dell’Unione di procedere a una valutazione d’impatto in caso di modifica sostanziale, rinvio alla sintesi dell’argomento della Repubblica di Lituania nell’ambito del motivo vertente sulla violazione, da parte dell’articolo 1, punto 3, del regolamento 2020/1055, del principio di proporzionalità nell’esame effettuato dal legislatore della proporzionalità dell’obbligo di ritorno dei veicoli ogni otto settimane.


446      Valutazione d’impatto – capitolo stabilimento.


447      In tale contesto, la Repubblica di Bulgaria si richiama alla pagina 13 della relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sullo stato del mercato europeo del trasporto stradale (v. allegato A.28 del ricorso della Repubblica di Bulgaria nella causa C‑545/20).


448      In tale contesto, la Repubblica di Bulgaria rinvia alla pagina 18 della relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sullo stato del mercato europeo del trasporto stradale (v. allegato A.28 del ricorso della Repubblica di Bulgaria nella causa C‑545/20).


449      Sebbene il ricorso sia diretto contro l’articolo 2, punto 4, lettere a), b) e c), del regolamento 2020/1055, gli argomenti vertono esclusivamente sull’ulteriore restrizione ai trasporti di cabotaggio che sarebbe costituita dall’articolo 2, punto 4, lettera a), di detto regolamento.


450      In tale contesto, rinvio quindi alla sintesi dell’argomento della Romania (paragrafo 629 delle presenti conclusioni).


451      In tale contesto, la Romania cita Bauer, M. «Discrimination, Exclusion and Environmental Harm: Why EU Lawmakers Need to Ban Freight Transport Restrictions to Save the Single Market», policy brief n. 3/2020, ECIPE (Bruxelles).


452      Secondo i dati dell’Unione nazionale dei trasportatori su strada della Romania (UNTRR) (v. punto 78 del ricorso della Romania nella causa C‑547/20).


453      In tale contesto, la Romania si richiama al punto 1.2.1 della valutazione d’impatto – capitolo stabilimento.


454      Secondo i dati di Eurostat citati dalla Romania (v. punto 99 del ricorso nella causa C‑547/20), i trasportatori polacchi effettuerebbero il 40% di tutti i trasporti di cabotaggio all’interno dell’Unione, i trasportatori lituani il 5,7% e i trasportatori rumeni l’8,7%.


455      COM(2011) 144 final del 28 marzo 2011.


456      Regolamento del Consiglio, del 25 ottobre 1993, che fissa le condizioni per l’ammissione di vettori non residenti ai trasporti nazionali di merci su strada in uno Stato membro (GU 1993, L 279, pag. 1).


457      Considerando 15 del regolamento n. 1072/2009.


458      V. penultima frase del considerando 15 del regolamento n. 1072/2009.


459      GU 2005, C 21, pag. 2.


460      «Ex‑post evaluation of Regulation (EC) no 1071/2009 and Regulation (EC) no 1072/2009 – Final report», Ricardo, 2015.


461      «Ex‑post evaluation of Regulation (EC) no 1071/2009 and Regulation (EC) no 1072/2009 – Final report», Ricardo, 2015 (pag. 137).


462      V. «Ex‑post evaluation of Regulation (EC) no 1071/2009 and Regulation (EC) no 1072/2009 – Final report», Ricardo, 2015 (pag. 137, punto 6.7.3).


463      V. punto 1.2.1 della valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2.


464      V. articolo 2, punto 5, lettera a), della proposta di regolamento stabilimento.


465      V. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 2/2, pag. 41. V. altresì pag. 48. Per quanto riguarda l’argomento della Repubblica di Bulgaria relativo alla mancata consultazione del CESE e del CdR, rinvio ai paragrafi 535 e segg. delle presenti conclusioni. Alla luce del contenuto della valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, è evidente che questi due comitati hanno avuto la possibilità di esprimersi in maniera sufficiente sul progetto di regolamento (il periodo di attesa di quattro giorni).


466      V. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 2/2, pag. 41, ultima colonna.


467      V. documento COM(2020) 151 final, pag. 6.


468      V. sentenze del 12 aprile 2018, Commissione/Danimarca (C‑541/16, EU:C:2018:251, punto 53), e del 14 settembre 2023, Staatsanwaltschaft Köln e Bundesamt für Güterverkehr (Trasporto di container vuoti) (C‑246/22, EU:C:2023:673, punti 25, 28 e 29).


469      Era sufficiente effettuare un trasporto internazionale a destinazione dello Stato membro ospitante perché iniziasse un periodo di sette giorni durante il quale le operazioni di cabotaggio erano consentite. Al termine di tale periodo, i trasportatori potevano organizzare immediatamente un altro trasporto internazionale e un ritorno nello Stato membro ospitante perché iniziasse un nuovo periodo di sette giorni per le operazioni di cabotaggio.


470      GU 2005, C 21, pag. 2. V. punto 3.1.1 di detta comunicazione.


471      V. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pag. 40 (nota 96).


472      3,14 periodi di sette giorni secondo il Parlamento.


473      V. sentenza del 26 settembre 2013, ÖBB‑Personenverkehr (C‑509/11, EU:C:2013:613, punto 47).


474      La Commissione ha esaminato la questione degli effetti dell’eliminazione di tutte le restrizioni al cabotaggio e ha concluso che le differenze economiche e sociali tra gli Stati membri impedivano di prevedere una tale eliminazione: v. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 2/2, pag. 40.


475      V. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pag. 49.


476      V. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pag. 40.


477      V. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pag. 50.


478      V. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pag. 50.


479      V. sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 106).


480      V. pag. 40 della valutazione d’impatto.


481      V. paragrafo 311 delle presenti conclusioni.


482      V. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pagg. 37 e 54.


483      V. paragrafo 755 delle presenti conclusioni.


484      V. valutazione d’impatto – capitolo stabilimento, parte 1/2, pagg. 39 e 40.


485      V., ad esempio, sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 106).


486      V. paragrafo 767 delle presenti conclusioni.


487      Nel suo controricorso nella causa C‑554/20, il Consiglio cita a titolo esemplificativo il regolamento (UE) 2020/698 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 maggio 2020, recante misure specifiche e temporanee in considerazione dell’epidemia di Covid‑19 con riguardo al rinnovo o alla proroga di taluni certificati, licenze e autorizzazioni e al rinvio di talune verifiche e attività formative periodiche in taluni settori della legislazione in materia di trasporti (GU 2020, L 165, pag. 10), e il regolamento (UE) 2021/267 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 febbraio 2021, recante misure specifiche e temporanee in considerazione del protrarsi della crisi COVID‑19 riguardo al rinnovo o alla proroga di taluni certificati, licenze e autorizzazioni, al rinvio di determinate verifiche e attività formative periodiche in taluni settori della legislazione in materia di trasporti e alla proroga di determinati periodi di cui al regolamento (UE) 2020/698 (GU 2021, L 60, pag. 1).


488      Ai sensi dell’articolo 4 del regolamento 2020/1055.


489      Libro bianco «Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti – Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile» [COM(2011) 144 definitivo del 28 marzo 2011].


490      Libro bianco «Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti – Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile» [COM(2011) 144 definitivo del 28 marzo 2011].


491      V. sentenza del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 106).


492      V. paragrafo 622 delle presenti conclusioni.


493      V. paragrafi 678 e segg. delle presenti conclusioni.


494      V. paragrafi 791 e segg. delle presenti conclusioni.


495      V. sentenza dell’8 luglio 2021, Staatsanwaltschaft Köln et Bundesamt für Güterverkehr (C‑937/19, EU:C:2021:555, punto 51).


496      V. paragrafo 685 delle presenti conclusioni.


497      V. giurisprudenza citata alla nota 422 delle presenti conclusioni.


498      La Romania chiede inoltre l’annullamento dell’articolo 2, punto 4, lettere b) e c), del regolamento 2020/1055, che hanno modificato il paragrafo 3 e inserito un paragrafo 4 bis nell’articolo 8 del regolamento n. 1072/2009, senza tuttavia sviluppare un argomento distinto rispetto a quello avente ad oggetto l’articolo 2, punto 4, lettera a), del regolamento 2020/1055.


499      Tale articolo 4 prevede che «[t]utti i vettori stradali stabiliti in uno Stato membro e che possiedono i requisiti per l’accesso alla professione e al mercato per i trasporti di merci fra Stati membri hanno il diritto di effettuare, nel quadro di un trasporto combinato tra Stati membri, tragitti stradali iniziali e/o terminali che costituiscono parte integrante del trasporto combinato e comprendono o meno il varco di una frontiera». La direttiva 92/106 è stata modificata da ultimo dalla direttiva 2013/22 del Consiglio, del 13 maggio 2013, che adegua determinate direttive in materia di politica dei trasporti a motivo dell’adesione della Repubblica di Croazia (GU 2013, L 158, pag. 356).


500      A tale proposito, la Repubblica di Polonia si richiama alla dichiarazione della Commissaria Vălean.


501      Mobility Package 1 – Data gathering and analysis of the impacts of cabotage restrictions on combined transport road legs, final report, TRT, novembre 2020 (disponibile all’indirizzo https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/a6718302-72a1-11eb-9ac9-01aa75ed71a1/language-en) (in prosieguo: lo «studio TRT»).


502      COM(2017) 648 final dell’8 novembre 2017.


503      V. spiegazione dettagliata della proposta COM(2017) 648 final (pag. 13).


504      Documento di lavoro della Commissione REFIT expost evaluation of combined transport directive 92/106, final report [SWD(2016) 141 final del 20 aprile 2016].


505      V. punto 4.1 del documento di lavoro della Commissione REFIT expost evaluation of combined transport directive 92/106, 106, final report [SWD(2016) 141 final del 20 aprile 2016].


506      In tali circostanze, lo studio TRT fatto valere dalla Repubblica di Polonia, il quale muove dalla premessa che tutti gli Stati membri si avvarranno della clausola di salvaguardia per valutarne l’impatto, si basa su un presupposto errato.


507      V. studio TRT.


508      V. articolo 8, paragrafi 2 e 2 bis, del regolamento n. 1072/2009, come modificato dal regolamento 2020/1055.


509      Il cui senso è parimenti chiarito dalla lettura del considerando 22 del regolamento 2020/1055.


510      Lo studio TRT conferma l’incertezza riguardo all’effettiva portata delle future restrizioni nel settore dei trasporti combinati (v. pag. 11 di tale studio).


511      Direttiva 96/71/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 1997, L 18, pag. 1).


512      Direttiva 2014/67/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della direttiva 96/71 e recante modifica del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno («regolamento IMI») (GU 2014, L 159, pag. 11).


513      Direttiva 2006/22/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, sulle norme minime per l’applicazione dei regolamenti n. 3820/85 e n. 3821/85 relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che abroga la direttiva 88/599/CEE del Consiglio (GU 2006, L 2006, pag. 35).


514      Regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno e che abroga la decisione 2008/49/CE della Commissione («regolamento IMI») (GU 2012, L 316, pag. 1).


515      V. considerando 8 della direttiva 2020/1057.


516      A tale proposito, v. sentenza del 1º dicembre 2020, Federatie Nederlandse Vakbeweging (C‑815/18, EU:C:2020:976, punto 33; in prosieguo: la «sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging»).


517      V. considerando 10 della direttiva 2020/1057. L’articolo 1, paragrafo 3, secondo comma, della direttiva 2020/1057 contiene la definizione delle operazioni di trasporto bilaterale con riguardo alle merci; l’articolo 1, paragrafo 4, secondo comma, della medesima direttiva contiene la definizione delle operazioni di trasporto bilaterale con riguardo a passeggeri.


518      Si vedano, rispettivamente, il terzo e il quarto comma del paragrafo 3 e il terzo comma del paragrafo 4 dell’articolo 1 della direttiva 2020/1057.


519      Considerando 11 della direttiva 2020/1057.


520      Considerando 11 della direttiva 2020/1057.


521      Direttiva 92/106/CEE del Consiglio, del 7 dicembre 1992, relativa alla fissazione di norme comuni per taluni trasporti combinati di merci tra Stati membri (GU 1992, L 368, pag. 38).


522      A termini dell’articolo 1, secondo comma, della direttiva 92/106/CEE, «per “trasporto combinato” si intendono i trasporti di merci fra Stati membri per i quali l’autocarro, il rimorchio, il semirimorchio con o senza veicolo trattore, la cassa mobile o il contenitore (di 20 piedi e oltre) effettuano la parte iniziale o terminale del tragitto su strada e l’altra parte per ferrovia, per via navigabile o per mare, allorché questo percorso supera i 100 km in linea d’aria ed effettuano su strada il tragitto iniziale o terminale: fra il punto di carico della merce e l’appropriata stazione ferroviaria di carico più vicina per il tragitto iniziale e fra il punto di scarico della merce e l’appropriata stazione ferroviaria di scarico più vicina per il tragitto terminale; oppure in un raggio non superiore a 150 km in linea d’aria dal porto fluviale o marittimo di imbarco o di sbarco».


523      Considerando 15 del regolamento n. 1072/2009.


524      Considerando 15 del regolamento n. 1072/2009.


525      V. l’analisi delle presenti conclusioni dedicata ai motivi di ricorso diretti avverso l’articolo 2, paragrafo 4, lettera a), del regolamento 2020/1055.


526      V., in tal senso, sentenze dell’11 dicembre 2008, Commissione/Département du Loiret (C‑295/07 P, EU:C:2008:707, punto 104), e del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens (C‑441/11 P, EU:C:2012:778, punto 37).


527      Sentenza del 6 dicembre 2012, Commissione/Verhuizingen Coppens (C‑441/11 P, EU:C:2012:778, punto 38).


528      V. punto 9 del ricorso della Repubblica di Bulgaria e punto 8 del ricorso della Repubblica di Cipro, che utilizza l’espressione «sistema di differenziazione».


529      Quanto meno nella misura in cui tali disposizioni non riguardano i due tipi di operazioni di trasporto menzionati dai due Stati membri suddetti.


530      V., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2019, Dobersberger (C‑16/18, EU:C:2019:1110, punto 31); v. altresì sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punto 45.


531      V., in tal senso, sentenza del 19 dicembre 2019, Dobersberger (C‑16/18, EU:C:2019:1110, punto 31), e sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punto 49.


532      V. sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punti 45 e 46.


533      V. sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punti 32, 33 e 41.


534      V. sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punti 47 e 48.


535      V. sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punto 49.


536      V. sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punto 49.


537      V. sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punto 62.


538      V. sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punto 64.


539      Sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punti da 31 a 41. Ancora più recentemente, la Corte ha avuto occasione di ricordare tale giurisprudenza nella causa che ha dato luogo alla sentenza dell’8 luglio 2021, Rapidsped (C‑428/19, EU:C:2021:548, punti da 34 a 36).


540      L’Ungheria ha depositato il ricorso il 26 ottobre 2020, mentre detta sentenza è stata pronunciata il 1º dicembre 2020.


541      L’Ungheria ha depositato la replica nella causa C‑551/20 il 26 marzo 2021.


542      L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva impugnata dispone che tale articolo si applica ai conducenti che lavorano per imprese stabilite in uno Stato membro, le quali adottano le misure transnazionali di cui all’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 96/71. La principale conclusione che se ne può trarre è che la direttiva impugnata sarà pertinente soltanto quando una situazione rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 96/71. A tale proposito, rilevo che il Consiglio ha osservato che le disposizioni dell’articolo 1, paragrafi da 3 a 7, della direttiva 2020/1057 devono essere considerate come una limitazione dell’ambito di applicazione della direttiva 96/71, in quanto ampliano il novero delle situazioni nelle quali non si applicheranno le condizioni di lavoro e di occupazione dello Stato membro ospitante.


543      Ricordo che la Repubblica di Bulgaria e la Repubblica di Cipro indicano con tale termine il fatto di applicare ai trasporti cross‑trade, senza una soglia temporale, le norme sul distacco esentando nel contempo da tali norme il trasporto bilaterale (ossia, a loro parere, un modello che opera una distinzione fra i tipi di trasporto): v. punto 8 del ricorso nella causa C‑544/20 e punto 8 del ricorso nella causa C‑555/20.


544      Sentenza del 16 luglio 1992, Parlamento/Consiglio (C‑65/90, EU:C:1992:325).


545      Sentenza del 16 luglio 1992, Parlamento/Consiglio (C‑65/90, EU:C:1992:325).


546      COM(2018) 51 final del 31 gennaio 2018.


547      V. allegato C2 del ricorso nella causa C‑544/20.


548      GU 2018, C 197, pag. 45.


549      GU 2018, C 176, pag. 57.


550      V. paragrafi 532 e segg. delle presenti conclusioni.


551      V. paragrafo 537 delle presenti conclusioni.


552      Sentenza del 16 luglio 1992 (C‑65/90, EU:C:1992:325). V. paragrafi 540 e segg. delle presenti conclusioni.


553      V. punto 1 della motivazione del parere del CdR.


554      V. punti 8 e 9 del ricorso nella causa C‑544/20.


555      V. punto 1.4 del parere del CESE.


556      V. punto 1.15 del parere del CESE.


557      V. punto 5.12 del parere del CESE.


558      V. punto 1.16 del parere del CESE.


559      V. punto 1.17 del parere del CESE. Il corsivo è mio. V. altresì punto 5.9 di detto parere.


560      V. paragrafo 869 supra.


561      La Romania fa riferimento allo studio di valutazione ex post, allo studio del Parlamento «condizioni sociali e di lavoro dei trasportatori su strada», allo studio della Commissione relativo alla situazione del mercato europeo dei trasporti nell’Unione, alle consultazioni pubbliche iniziali della Commissione e ai gruppi di lavoro organizzati dalla Commissione.


562      Trattato UE, versione consolidata del 9 maggio 2008 – Protocollo (n. 2) sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità (GU 2008, C 115, pag. 206).


563      GU 1980, L 266, pag. 1


564      Parere del Comitato europeo delle regioni – L’Europa in movimento: gli aspetti lavorativi del trasporto stradale (2018/C 176/13, GU C 176/57 del 23.5.2018, punti 23, 24 e 26).


565      La Repubblica di Bulgaria si richiama a uno studio realizzato dalla KPMG dell’8 ottobre 2019 intitolato «Il settore bulgaro del trasporto di merci su strada – Studio di mercato: valutazione d’impatto del pacchetto Mobilità I».


566      V. paragrafo 42 supra.


567      V. sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punti 112 e 113).


568      V. sentenza del 13 aprile 2010, Bressol e a. (C‑73/08, EU:C:2010:181, punto 90). V. altresì paragrafo 412 supra.


569      A tale proposito, occorre rilevare che, come varie parti hanno evidenziato, al momento dell’adozione di tale direttiva vi era un elevato grado di incertezza quanto all’applicabilità stessa della direttiva 96/71 al settore del trasporto su strada e gli Stati membri sostenevano al riguardo posizioni diametralmente opposte.


570      V. paragrafo 42 supra.


571      V. paragrafo 953 supra.


572      Sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punto 62.


573      Sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punto 49.


574      Sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punto 49.


575      A tale proposito, v. le mie conclusioni nelle cause riunite Hessischer Rundfunk (C‑422/19 e C‑423/19, EU:C:2020:756, paragrafo 114 e giurisprudenza ivi citata).


576      V. sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging, punti 47 e 48.


577      V. valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 2/2, pag. 107


578      V., inter alia, paragrafi 222 e 240 delle presenti conclusioni.


579      V., a tale proposito, sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punti 112 e 113).


580      La Romania e la Polonia si richiamano alla sentenza Koelzsch e alla sentenza Mazzoleni.


581      Sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punti 41 e 42 e giurisprudenza ivi citata).


582      V., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punti 41, 42, 61, 62, 64 e 128).


583      Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo a norma dell’articolo 294, paragrafo 6, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea riguardante la posizione del Consiglio ai fini dell’adozione di un regolamento che modifica il regolamento (CE) n. 1071/2009, il regolamento (CE) n. 1072/2009 e il regolamento (UE) n. 1024/2012 per adeguarli all’evoluzione del settore, un regolamento che modifica il regolamento (CE) n. 561/2006 per quanto riguarda le prescrizioni minime in materia di periodi di guida massimi giornalieri e settimanali, di interruzioni minime e di periodi di riposo giornalieri e settimanali e il regolamento (UE) n. 165/2014 per quanto riguarda il posizionamento per mezzo dei tachigrafi e una direttiva che modifica la direttiva 2006/22/CE per quanto riguarda le prescrizioni di applicazione e fissa norme specifiche per quanto riguarda la direttiva 96/71/CE e la direttiva 2014/67/UE sul distacco dei conducenti nel settore del trasporto su strada e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/2012 [COM(2020) 151 final].


584      V. valutazione d’impatto – capitolo sociale, parte 1/2, in particolare pagg. 43 e 45.


585      A termini dell’articolo 2, paragrafo 2, della proposta della Commissione di direttiva distacco, «[g]li Stati membri non applicano l’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettere b) e c), della direttiva 96/71/CE ai conducenti nel settore dei trasporti su strada alle dipendenze di imprese di cui all’articolo 1, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, quando effettuano operazioni di trasporto internazionale di cui ai regolamenti (CE) n. 1072/2009 e (CE) n. 1073/2009 se il periodo di distacco nel loro territorio per effettuare tali operazioni è di una durata inferiore o pari a 3 giorni in un mese di calendario». A termini del secondo comma del medesimo paragrafo, «[s]e il periodo di distacco è superiore a 3 giorni, gli Stati membri applicano l’articolo 3, paragrafo 1, primo comma, lettere b) e c), della direttiva 96/71/CE per l’intero periodo di distacco nel loro territorio nel mese di calendario di cui al primo comma».


586      A termini dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 96/71, «[g]li Stati membri provvedono affinché, indipendentemente dalla normativa applicabile al rapporto di lavoro, le imprese di cui all’articolo 1, paragrafo 1, garantiscano, sulla base della parità di trattamento, ai lavoratori distaccati nel loro territorio le condizioni di lavoro e di occupazione relative alle materie elencate di seguito che, nello Stato membro in cui è fornita la prestazione di lavoro, sono stabilite da: – disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, e/o – da contratti collettivi o da arbitrati dichiarati di applicazione generale o altrimenti applicabili a norma del paragrafo 8: a) periodi massimi di lavoro e periodi minimi di riposo; b) durata minima dei congedi annuali retribuiti; c) retribuzione, comprese le tariffe maggiorate per lavoro straordinario; la presente lettera non si applica ai regimi pensionistici integrativi di categoria; d) condizioni di fornitura dei lavoratori, in particolare la fornitura di lavoratori da parte di imprese di lavoro temporaneo; e) sicurezza, salute e igiene sul lavoro; f) provvedimenti di tutela riguardo alle condizioni di lavoro e di occupazione di gestanti o puerpere, bambini e giovani; g) parità di trattamento fra uomo e donna, nonché altre disposizioni in materia di non discriminazione; h) condizioni di alloggio dei lavoratori qualora questo sia fornito dal datore di lavoro ai lavoratori lontani dal loro abituale luogo di lavoro; i) indennità o rimborso a copertura delle spese di viaggio, vitto e alloggio per i lavoratori lontani da casa per motivi professionali».


587      V. nota precedente.


588      V. sentenze del 3 dicembre 2019, Repubblica ceca/Parlamento e Consiglio (C‑482/17, EU:C:2019:1035, punto 83), e del 13 marzo 2019, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑128/17, EU:C:2019:194, punto 43).


589      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, pagg. 65 e segg., 74 e 75.


590      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, pagg. da 65 a 69.


591      Rispetto agli obblighi previsti dall’articolo 9, paragrafi 1 e 2 della direttiva 2014/67.


592      V. articolo 2, paragrafo 4, della proposta di direttiva distacco.


593      V. articolo 1, paragrafi da 11 a 15, della direttiva 2020/1057 e articolo 9, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2014/67.


594      La stessa Commissione lo ha confermato nella sua comunicazione sulla posizione del Consiglio in prima lettura, COM(2020) 151, pag. 4.


595      Non sembra che tale situazione comporti un aumento dei costi amministrativi, giacché, sia in base alla proposta di direttiva distacco sia in base alla direttiva 2020/1057, si tratterebbe comunque di una situazione di distacco, con l’unica differenza che nel primo caso non si applicherebbe la normativa dello Stato membro ospitante in materia di durata minima dei congedi annuali retribuiti e di retribuzione.


596      V., per analogia, giurisprudenza menzionata al paragrafo 59 supra.


597      V. Eurostat, Road freight transport by journey characteristics, dicembre 2019; Eurostat, Road freight transport statistics – cabotage, agosto 2018; Eurostat, Statistiche di Eurostat, cabotaggio e trasporto internazionale effettuati dai vettori stradali polacchi.


598      Documento ST 12087/17 del Consiglio, pag. 13.


599      Valutazione d’impatto della Commissione che accompagna la proposta COM(2017) 648, SWD(2017) 362.


600      KombiConsult, 2015, Analysis of the EU Combined Transport; ISL/KombiConsult, 2017, Updating EU combined transport data; TRT Trasporti e Territorio srl, 2017, Gathering additional data on EU combined transport; KombiConsult, 2017, Consultations and related analysis in the framework of impact assessment for the amendment of Combined Transport Directive (92/106/EEC); questi quattro studi sono stati tutti pubblicati dalla Commissione al seguente indirizzo: https://ec.europa.eu/transport/themes/logistics/studies_en.


601      V. paragrafi 1064 e segg. delle presenti conclusioni.


602      Rilevo che, in un primo momento, la Romania sostiene che gli operatori stabiliti alla periferia dell’Unione sopporteranno i costi amministrativi e finanziari legati al distacco e saranno dissuasi dall’effettuare operazioni come quelle disciplinate dall’articolo 1, paragrafi da 3 a 6, della direttiva 2020/1057. Tuttavia, le disposizioni impugnate trattano tutti gli Stati membri allo stesso modo e la differenza di trattamento risultante dalle stesse è definita in funzione della specifica operazione di trasporto interessata. Pertanto, esaminerò qui gli argomenti della Romania dedotti in un secondo momento e incentrati su una differenza di trattamento tra operazioni bilaterali e operazioni di trasporto cross‑trade.


603      Tale motivo verte soltanto sull’asserita violazione del principio della parità di trattamento e dell’articolo 20 della Carta dovuta all’asserita differenza di trattamento tra operazioni di trasporto bilaterale e operazioni di trasporto cross‑trade e non riguarda il cabotaggio.


604      V. considerando 10 della direttiva 2020/1057.


605      Sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging (punto 49).


606      V. nota 26 della controreplica del Consiglio nella causa C‑548/20.


607      V. paragrafo 622 delle presenti conclusioni.


608      V., per analogia, sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio (C‑620/18, EU:C:2020:1001, punto 125).


609      V. sentenza del 4 maggio 2016, Polonia/Parlamento e Consiglio (C‑358/14, EU:C:2016:323, punto 103 e giurisprudenza ivi citata).


610      V., in tal senso, sentenze del 13 novembre 1990, Fedesa e a. (C‑331/88, EU:C:1990:391, punti 19 e 20), e del 17 luglio 1997, SAM Schiffahrt e Stapf (C‑248/95 e C‑249/95, EU:C:1997:377, punti 52, 63 e 64).


611      V., in tal senso, sentenza del 21 giugno 1958, Wirtschaftsvereinigung Eisen- und Stahlindustrie e a./Alta Autorità (13/57, EU:C:1958:10, pag. 282).


612      V., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2020, Ungheria/Parlamento e Consiglio, C‑620/18, EU:C:2020:1001, punti 41, 42, 61, 62, 64 e 128).


613      V. sentenze del 13 novembre 1990, Fedesa e a. (C‑331/88, EU:C:1990:391), e, per analogia, del 17 luglio 1997, SAM Schiffahrt e Stapf (C‑248/95 e C‑249/95, EU:C:1997:377, punto 64).


614      V. paragrafo 1069 delle presenti conclusioni.


615      V. punto 7 della controreplica del Consiglio nella causa C‑541/20.


616      V. allegato A9 del ricorso nella causa C‑544/20.


617      V., per analogia, sentenze del 21 settembre 1999, BASF (C‑44/98, EU:C:1999:440, punto 16), e del 17 settembre 2020, Hidroelectrica (C‑648/18, EU:C:2020:723, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).


618      V. allegato A.9 del ricorso della Repubblica di Bulgaria nella causa C‑544/20 e allegato A.7 del ricorso della Repubblica di Cipro nella causa C‑550/20.


619      V. paragrafi 38 e segg. delle presenti conclusioni.


620      V. conclusioni dell’avvocato generale Geelhoed nella causa Austria/Parlamento e Consiglio (C‑161/04, EU:C:2006:66, paragrafi 59 e 60). Su tali conclusioni, v. paragrafi 567 e segg. delle presenti conclusioni.


621      A tale proposito, la Repubblica di Polonia rinvia alla sentenza del 10 settembre 2019, Polonia/Commissione (T‑883/16, EU:T:2019:567, punti 77 e 78).


622      Dichiarazione della Commissaria Vălean sull’adozione definitiva del primo pacchetto sulla mobilità da parte del Parlamento europeo, Bruxelles, 9 luglio 2020 (https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/statement_20_1319).


623      V. comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni «Un traguardo climatico 2030 più ambizioso per l’Europa – Investire in un futuro a impatto climatico zero nell’interesse dei cittadini» [COM(2020) 562 final del 17 settembre 2020].


624      V. nota 273 delle presenti conclusioni.


625      Direttiva (UE) 2016/2284 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 dicembre 2016, concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici, che modifica la direttiva 2003/35/CE e abroga la direttiva 2001/81/CE (GU 2016, L 344, pag. 1).


626      V. nota 300 delle presenti conclusioni.


627      Valutazione d’impatto – capitolo sociale, punto 6.


628      European Commission, Directorate‑General for Mobility and Transport «Mobility Package 1 – Data gathering and analysis of the impacts of cabotage restrictions on combined transport road legs – Final report», Publications Office, 2021 (disponibile all’indirizzo http://data.europa.eu/doi/10.2832/701828.


629      Considerando 1 della direttiva 2020/1057.


630      Sentenza del 1º dicembre 2020 (C‑815/18, EU:C:2020:976).


631      V. sentenza Federatie Nederlandse Vakbeweging (punto 33).


632      Sebbene il Consiglio rilevi che tale argomento è stato sollevato dalla Repubblica di Polonia solo in fase di replica, non sembra contestarne la ricevibilità. Per scrupolo di completezza, risponderò quindi a detto argomento.


633      Direttiva (UE) 2018/957 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2018, recante modifica della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 2018, L 173, pag. 16).


634      Come risulta dall’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2018/957.


635      Sentenza del 1º dicembre 2020 (C‑815/18, EU:C:2020:976).


636      V. paragrafi 913 e segg. delle presenti conclusioni.


637      V. sentenza del 1º marzo 1983, Commissione/Belgio (301/81, EU:C:1983:51, punto 11).


638      V. paragrafi 931 e segg. delle presenti conclusioni.