CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 13 gennaio 2022 ( 1 )

Cause riunite C‑253/20 e C‑254/20

Impexeco NV

contro

Novartis AG (C‑253/20)

e

PI Pharma NV

contro

Novartis AG,

Novartis Pharma NV (C‑254/20)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dallo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Proprietà industriale e commerciale – Diritto di marchio – Importazione parallela di medicinali – Medicinali di riferimento e medicinali generici – Opposizione del titolare di un marchio all’apposizione del marchio sui medicinali generici importati – Isolamento artificioso dei mercati nell’ambito degli Stati membri»

Introduzione

1.

Nelle mie conclusioni congiunte nelle cause C‑147/20, C‑204/20 e C‑224/20, presentate oggi, esamino un insieme di questioni relative al diritto del titolare di un marchio di opporsi all’utilizzo dello stesso da parte di terzi nel contesto del commercio parallelo di medicinali. Tali questioni sono principalmente, ma non esclusivamente, connesse alle nuove regole del diritto dell’Unione in materia di lotta alla contraffazione dei medicinali.

2.

Le presenti conclusioni costituiscono, per così dire, un’appendice alle conclusioni di cui sopra, in quanto sono anch’esse relative al diritto del titolare di un marchio di opporsi all’uso dello stesso da parte di terzi nel contesto del commercio parallelo di medicinali.

3.

Tuttavia, si tratta di una fattispecie molto specifica. Da un lato, i marchi in questione non sono quelli apposti dal titolare sui prodotti commercializzati in parallelo, che sono medicinali generici, bensì sono quelli utilizzati per i medicinali di riferimento di tali medicinali generici. Dall’altro lato, i due tipi di medicinali, vale a dire i medicinali di riferimento e i medicinali generici, sono prodotti da soggetti collegati, per cui è probabile che si tratti in realtà del medesimo medicinale munito di due marchi diversi.

4.

La questione che si pone è dunque se, in una simile situazione, siano applicabili le regole stabilite dalla Corte nella propria giurisprudenza in materia, che ho analizzato diffusamente nelle mie conclusioni nelle cause pendenti C‑147/20, C‑204/20 e C‑224/20.

Contesto normativo

5.

L’articolo 9, paragrafi 2 e 3, del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009 sul marchio dell’Unione europea ( 2 ), come modificato dal regolamento (UE) 2015/2424 ( 3 ) (in prosieguo: il «regolamento n. 207/2009»), prevedeva quanto segue ( 4 ):

«2.   Fatti salvi i diritti dei titolari acquisiti prima della data di deposito o della data di priorità del marchio UE, il titolare del marchio UE ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio, in relazione a prodotti o servizi, qualsiasi segno quando:

a)

il segno è identico al marchio UE ed è usato in relazione a prodotti e servizi identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio UE è stato registrato;

(...)

3.   Possono essere in particolare vietati, a norma del paragrafo 2:

a)

l’apposizione del segno sui prodotti o sul loro imballaggio;

b)

l’offerta, l’immissione in commercio o lo stoccaggio dei prodotti a tali fini oppure l’offerta o la fornitura di servizi sotto la copertura del segno;

(...)».

6.

Ai sensi dell’articolo 13 del regolamento in parola:

«1.   Il diritto conferito dal marchio UE non permette al titolare di impedirne l’uso per prodotti immessi in commercio nello Spazio economico europeo con tale marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.   Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga alla successiva immissione in commercio dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

7.

L’articolo 5, paragrafi 1 e 3, della direttiva 2008/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa ( 5 ), prevedeva quanto segue ( 6 ):

«1.   Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. Il titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a)

un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

(...)

3.   Si può in particolare vietare, ove sussistano le condizioni menzionate ai paragrafi 1 e 2:

a)

di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b)

di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, ovvero di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

(...)».

8.

A termini dell’articolo 7 della direttiva medesima:

«1.   Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare l’uso del marchio di impresa per prodotti immessi in commercio nella Comunità con detto marchio dal titolare stesso o con il suo consenso.

2.   Il paragrafo 1 non si applica quando sussistono motivi legittimi perché il titolare si opponga all’ulteriore commercializzazione dei prodotti, in particolare quando lo stato dei prodotti è modificato o alterato dopo la loro immissione in commercio».

Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

9.

Novartis AG, società di diritto svizzero, è la società madre del gruppo globale Novartis, attivo nella produzione di medicinali. Di questo gruppo fanno parte, tra l’altro, le divisioni Novartis Pharmaceuticals e Sandoz, responsabili, rispettivamente, dello sviluppo dei medicinali muniti di marchio (medicinali di riferimento) e della produzione di medicinali generici. Le suddette due divisioni operano come Novartis Pharma NV e Sandoz NV sul mercato belga dei medicinali, e come Novartis Pharma BV e Sandoz BV sul mercato dei Paesi Bassi.

10.

I procedimenti principali riguardano medicinali di riferimento, sviluppati e commercializzati dalla divisione Novartis Pharmaceuticals, e medicinali generici derivati da tali medicinali di riferimento, commercializzati dalla divisione Sandoz. In concreto, si tratta del medicinale commercializzato in Belgio e nei Paesi Bassi con il marchio dell’Unione europea Femara e del relativo medicinale generico Letrozol Sandoz 2,5 mg (causa C‑253/20), nonché del medicinale di riferimento commercializzato con i marchi del Benelux Rilatine (in Belgio) e Rilatin (nei Paesi Bassi) e del medicinale generico Méthylphénidate HCI Sandoz 10 mg commercializzato nei Paesi Bassi (causa C‑254/20).

11.

Impexeco NV e PI Pharma NV, società di diritto belga, sono attive nel commercio parallelo di medicinali.

12.

Nella causa C‑253/20, con lettera del 28 ottobre 2014, Impexeco ha informato Novartis della propria intenzione di immettere sul mercato belga il medicinale Femara 2,5 mg x 100 compresse (letrozolo), importato dai Paesi Bassi, a partire dal 1o dicembre 2014. Dalla decisione di rinvio risulta che Impexeco aveva in realtà intenzione di commercializzare il medicinale Letrozol Sandoz 2,5 mg riconfezionato in un nuovo imballaggio esterno sul quale sarebbe stato apposto il marchio Femara. Novartis si è opposta all’importazione parallela prevista da Imprexeco, facendo valere che il suo diritto relativo al marchio Femara non era esaurito, cosicché la rimarchiatura del medicinale generico importato, mediante apposizione del marchio del medicinale di riferimento di Novartis, costituiva una manifesta violazione di tale diritto ed era tale da indurre in errore il pubblico.

13.

Nel luglio 2016, Impexeco procedeva alla commercializzazione, in Belgio, del medicinale Letrozol Sandoz 2,5 mg, così riconfezionato e rimarchiato. Ritenendo che tale commercializzazione violasse i propri diritti di marchio, il 16 novembre 2016 Novartis ha proposto un ricorso contro Impexeco dinanzi allo stakingsrechter te Brussel (giudice cautelare di Bruxelles, Belgio).

14.

Inoltre, con lettera del 10 aprile 2017, Impexeco ha informato Novartis della propria intenzione di commercializzare in Belgio il medicinale Femara 2,5 mg in una confezione di 30 compresse importate dai Paesi Bassi e rietichettate. Dalla decisione di rinvio risulta che Impexeco intendeva rietichettare il medicinale Letrozol Sandoz 2,5 mg e apporvi il marchio Femara.

15.

Nella causa C‑254/20, con lettera del 30 giugno 2015, PI Pharma ha informato Novartis Pharma NV della propria intenzione di immettere sul mercato belga il medicinale Rilatine 10 mg x 20 compresse, importato dai Paesi Bassi. Dalla decisione di rinvio risulta che PI Pharma aveva in realtà intenzione di commercializzare il medicinale Méthylphénidate Sandoz 10 mg riconfezionato in un nuovo imballaggio esterno con il marchio Rilatine. Novartis si è opposta all’importazione parallela prevista da PI Pharma, facendo valere che il suo diritto di marchio Rilatine non era esaurito, cosicché la rimarchiatura del medicinale generico importato, mediante apposizione del marchio del medicinale di riferimento di Novartis, costituiva una manifesta violazione di tale diritto ed era tale da indurre in errore il pubblico.

16.

Nell’ottobre 2016, PI Pharma procedeva alla commercializzazione, in Belgio, del medicinale così riconfezionato e rimarchiato. Ritenendo che tale commercializzazione violasse i propri diritti di marchio, il 28 luglio 2017, Novartis ha agito nei confronti di PI Pharma dinanzi allo stakingsrechter te Brussel (giudice cautelare di Bruxelles).

17.

Il giudice del rinvio precisa che, mentre i prezzi, rispettivamente, dei medicinali di riferimento e dei medicinali generici in questione sono identici o quasi identici in Belgio, i prezzi di questi stessi medicinali generici nei Paesi Bassi sono tuttavia notevolmente inferiori a quelli praticati in Belgio. Tale differenza di prezzo è alla base dell’esistenza di un commercio parallelo dei suddetti medicinali tra i due Stati membri.

18.

Mediante due sentenze pronunciate il 12 aprile 2018, lo stakingsrechter te Brussel (giudice cautelare di Bruxelles) ha ritenuto fondati entrambi i ricorsi proposti da Novartis nei confronti di Impexeco e PI Pharma per il fatto, tra l’altro, che la rimarchiatura del prodotto generico interessato, mediante apposizione del marchio del medicinale di riferimento, violava il diritto di marchio di Novartis derivante dall’articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 2.20, paragrafo 1, lettera a, della Convenzione del Benelux sulla proprietà intellettuale (marchi, disegni e modelli) ( 7 ) e, di conseguenza, ha ordinato la cessazione di tale prassi. Impexeco e PI Pharma hanno impugnato tali sentenze dinanzi al giudice del rinvio.

19.

In tali circostanze, lo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali (identiche in entrambe le cause):

«1)

Se gli articoli da 34 a 36 TFUE debbano essere interpretati nel senso che, qualora un medicinale munito di marchio (medicinale di riferimento) e un medicinale generico siano stati immessi in commercio [nello Spazio economico europeo (SEE)] da imprese tra loro collegate, l’opposizione di un titolare di marchio all’ulteriore commercializzazione del medicinale generico ad opera di un importatore parallelo dopo il riconfezionamento di detto medicinale apponendo il marchio del medicinale munito di marchio (medicinale di riferimento) nel paese di importazione può determinare un isolamento artificioso dei mercati degli Stati membri.

2)

In caso di risposta affermativa a tale questione, se l’opposizione del titolare del marchio a siffatta rimarchiatura debba essere esaminata alla luce delle condizioni [di cui al punto 79 della sentenza Bristol-Myers Squibb e a. ( 8 )].

3)

Se per rispondere a tali questioni sia rilevante che il medicinale generico e il medicinale munito di marchio (medicinale di riferimento) siano identici o abbiano lo stesso effetto terapeutico, ai sensi dell’articolo 3, § 2, del Koninklijk besluit van 19 april 2001 inzake parallelinvoer (Regio decreto del 19 aprile 2001 sull’importazione parallela [di medicinali per uso umano e sulla distribuzione parallela di medicinali per uso umano e animale ( 9 )])».

20.

Le domande di pronuncia pregiudiziale sono pervenute alla Corte il 9 giugno 2020. Hanno presentato osservazioni scritte le parti nel procedimento principale e la Commissione europea. Non si è tenuta alcuna udienza. Le parti hanno risposto, per iscritto, ai quesiti loro rivolti dalla Corte.

Analisi

21.

Devo innanzitutto precisare che, mentre il giudice del rinvio pone le proprie questioni sotto il profilo delle disposizioni del trattato relative alla libera circolazione delle merci, io sono del parere che la risposta debba essere cercata nel diritto dei marchi dell’Unione.

22.

Così, con proprie questioni pregiudiziali, che propongo di trattare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 13 del regolamento n. 207/2009 e l’articolo 7 della direttiva 2008/95 debbano essere interpretati nel senso che, qualora un medicinale di riferimento e un medicinale generico siano stati immessi in commercio nel SEE da imprese tra loro collegate, al titolare del marchio su tale medicinale di riferimento non è più consentito opporsi alla successiva commercializzazione del medicinale generico ad opera di un importatore parallelo dopo il riconfezionamento di detto medicinale apponendo il marchio del medicinale di riferimento nello Stato membro di importazione allorché, da un lato, sussistano i requisiti stabiliti dalla giurisprudenza della Corte relativamente a tale opposizione e, dall’altro, i due medicinali siano identici o abbiano lo stesso effetto terapeutico.

23.

Inizierò con una breve rassegna della giurisprudenza della Corte in materia.

Rassegna della giurisprudenza della Corte

24.

Nella sua sentenza Centrafarm e de Peijper ( 10 ), che riguardava già l’importazione parallela di medicinali, la Corte ha sancito, in nome della libera circolazione delle merci, il principio dell’esaurimento del diritto del titolare di un marchio di opporsi allo sfruttamento commerciale da parte di un terzo ed in assenza dell’autorizzazione di tale titolare di un prodotto contrassegnato da tale marchio che sia stato precedentemente immesso sul mercato in un altro Stato membro con il consenso di detto titolare ( 11 ).

25.

Per quanto concerne il diritto del titolare di un marchio di opporsi alla commercializzazione con tale marchio di un prodotto che sia stato riconfezionato in un nuovo imballaggio, nella sua sentenza Hoffmann-La Roche ( 12 ), la Corte si è pronunciata nel senso che, in una simile situazione, l’opposizione del titolare del marchio è, in linea di principio, giustificata. Infatti, secondo la Corte, ammettere la commercializzazione del prodotto contrassegnato da un marchio dopo il suo riconfezionamento in un nuovo imballaggio equivale a riconoscere al commerciante parallelo una facoltà che, in circostanze normali, spetta esclusivamente al titolare del marchio ( 13 ), ossia quella di apporre il marchio sul nuovo imballaggio.

26.

L’esercizio da parte del titolare del marchio della sua facoltà di opposizione può tuttavia costituire un ostacolo dissimulato agli scambi fra Stati membri. Tale ipotesi ricorrerebbe segnatamente se il riconfezionamento fosse effettuato in modo tale da non incidere né sulla provenienza del prodotto né sul suo stato originario. Lo stato originario del prodotto non è toccato, in particolare, qualora quest’ultimo sia confezionato in un doppio imballaggio e il riconfezionamento interessi unicamente l’imballaggio esterno, oppure quando le operazioni di reimballaggio vengano effettuate sotto il controllo di un’autorità pubblica. Infatti, in simili circostanze, il fatto che il titolare del marchio utilizzi per lo stesso prodotto imballaggi differenti in diversi Stati membri e si opponga poi al riconfezionamento in un nuovo imballaggio finalizzato all’importazione parallela di tale prodotto contribuirebbe ad isolare artificiosamente i mercati nazionali nell’ambito dell’Unione ( 14 ).

27.

La Corte ha dunque dichiarato che costituisce restrizione dissimulata del commercio fra gli Stati membri l’opposizione del titolare di un marchio alla commercializzazione con il suo marchio di un prodotto che sia stato riconfezionato in un nuovo imballaggio qualora:

sia provato che l’esercizio del diritto al marchio da parte del titolare, tenuto conto del sistema di distribuzione da questo adottato, contribuirebbe ad isolare artificiosamente i mercati nazionali nell’ambito dell’Unione;

sia dimostrato che il riconfezionamento non può alterare lo stato originario del prodotto;

il titolare del marchio venga previamente informato della messa in vendita del prodotto riconfezionato, e

sul nuovo imballaggio sia precisato da chi è stato effettuato il riconfezionamento ( 15 ).

28.

Il principio dell’esaurimento del diritto del titolare di un marchio di opporsi alla commercializzazione in assenza della sua autorizzazione di un prodotto contrassegnato da tale marchio che sia già stato immesso in commercio con il suo consenso in un altro Stato membro è stato poi confermato dal legislatore dell’Unione all’articolo 7 della direttiva 89/104/CEE ( 16 ). Tale disposizione è stata ripresa, in termini sostanzialmente identici, all’articolo 13 del regolamento n. 207/2009 e all’articolo 7 della direttiva 2008/95.

29.

La Corte continua nondimeno ad interpretare queste due disposizioni alla luce della libertà di circolazione delle merci, considerando che esse perseguono lo stesso risultato dell’attuale articolo 36 TFUE, cosicché la sua giurisprudenza elaborata sulla base di quest’ultima disposizione ( 17 ) rimane attuale ( 18 ).

30.

Tale giurisprudenza è stata tuttavia precisata e integrata riguardo ad un certo numero di punti dalle successive sentenze della Corte.

31.

La Corte ha così precisato, in particolare, che l’opposizione del titolare allo smercio con un marchio di sua proprietà di un prodotto che sia stato riconfezionato in un nuovo imballaggio contribuisce all’isolamento dei mercati qualora tale riconfezionamento sia necessario per lo smercio del prodotto nello Stato membro dell’importazione. Una simile necessità ricorre quando il prodotto non può essere smerciato nel suo imballaggio originale a causa della normativa o delle prassi vigenti in detto Stato membro ( 19 ).

32.

Peraltro, è stata aggiunta un’ulteriore condizione perché sia vietato al titolare di un marchio di opporsi alla commercializzazione del prodotto con il suo marchio dopo il suo riconfezionamento in un nuovo imballaggio, ossia che la presentazione del prodotto riconfezionato non può essere atta a nuocere alla reputazione del marchio e a quella del suo titolare, ipotesi che ricorrerebbe in particolare se il nuovo imballaggio fosse difettoso, di cattiva qualità o grossolano ( 20 ).

33.

Infine, la Corte ha dichiarato che i requisiti che devono essere soddisfatti affinché il titolare di un marchio non possa opporsi alla commercializzazione con tale marchio di un prodotto che sia stato riconfezionato, in particolare il requisito relativo alla necessità, si applicano non soltanto nelle ipotesi di riconfezionamento in un nuovo imballaggio, ma anche in quelle di riconfezionamento consistente nell’apposizione di una nuova etichetta sull’imballaggio originale ( 21 ).

La «rimarchiatura» (rebranding) e la sentenza Upjohn

34.

La Corte ha altresì affrontato il problema dell’opposizione del titolare di marchi alla commercializzazione del proprio prodotto nella situazione in cui il commerciante parallelo ha apposto su di esso non il marchio con cui il prodotto in questione è stato immesso in commercio, ma un altro marchio, anch’esso appartenente a tale titolare, con cui prodotti identici sono immessi in commercio con il suo consenso nello Stato membro d’importazione.

35.

Nella sua sentenza Centrafarm ( 22 ), la Corte ha ritenuto che la garanzia dell’origine del prodotto, che è la funzione essenziale del marchio, sarebbe compromessa qualora fosse possibile per un terzo apporre per la prima volta il marchio su un prodotto, anche originale. Così, anche nel caso in cui il fabbricante sia titolare di più marchi per il medesimo prodotto, ha il diritto, ai sensi dell’articolo 36, prima frase, CEE ( 23 ), di opporsi all’immissione in commercio da parte di un terzo di tale prodotto con uno di questi marchi, se quest’ultimo non è stato apposto dal suddetto titolare ( 24 ). La Corte ha tuttavia osservato che la prassi di un produttore che utilizza diversi marchi per lo stesso prodotto in diversi Stati membri può essere perseguita allo scopo di isolare artificiosamente i mercati. In una situazione del genere, l’opposizione del titolare all’uso non autorizzato del marchio da parte di un terzo costituirebbe una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri ai sensi dell’articolo 36, seconda frase, CEE ( 25 ). Spetta al giudice di merito decidere se tale fosse l’intenzione del titolare ( 26 ).

36.

Benché la causa che ha dato luogo alla sentenza Upjohn ( 27 ) avesse ad oggetto una fattispecie simile, il contesto giuridico era tuttavia diverso. Infatti tale causa è stata avviata successivamente all’entrata in vigore della direttiva 89/104 e alla pronuncia della sentenza Bristol-Myers Squibb e a., in cui la Corte ha precisato le condizioni che devono sussistere affinché il titolare di un marchio non possa opporsi alla commercializzazione con il suo marchio di un prodotto riconfezionato in un nuovo imballaggio da un commerciante parallelo. Si trattava quindi di accertare se i principi enunciati nella causa Bristol-Myers Squibb e a. fossero destinati ad essere applicati nella fattispecie di sostituzione di un marchio con un altro marchio appartenente allo stesso titolare, e se tale applicazione fosse subordinata alla deliberata intenzione di quest’ultimo di isolare i mercati nell’ambito degli Stati membri ( 28 ).

37.

Nella sentenza Upjohn, la Corte ha constatato innanzitutto che l’articolo 7 della direttiva 89/104, relativo all’esaurimento del diritto conferito dal marchio con il quale un prodotto è stato immesso in commercio con il consenso del titolare, non si applica quando un commerciante parallelo ha sostituito tale marchio con un altro marchio appartenente allo stesso titolare. La causa doveva quindi essere giudicata ai sensi degli articoli 30 e 36 CE (attualmente, articoli 34 e 36 TFUE) ( 29 ).

38.

In secondo luogo, la Corte ha constatato che non esisteva, tra la riapposizione del marchio originario dopo il riconfezionamento e la sostituzione di tale marchio con un altro, nessuna differenza oggettiva che giustificasse che il requisito dell’isolamento artificioso dei mercati ( 30 ) sia applicato in modo diverso, poiché tali due prassi costituiscono un uso da parte del commerciante parallelo di un marchio che non gli appartiene ( 31 ).

39.

La Corte ha pertanto stabilito che, poiché il diritto dei marchi dello Stato membro d’importazione consente al titolare di opporsi alla sostituzione, da parte di un terzo, di un proprio marchio con un altro e siccome tale sostituzione è necessaria perché il prodotto possa essere commercializzato nel suddetto Stato membro, esistono ostacoli al commercio tra gli Stati membri che generano isolamenti dei mercati, e ciò indipendentemente dal fatto che tale isolamento siano stato voluto o meno dal titolare ( 32 ).

40.

La sentenza Upjohn avrebbe potuto servire come punto di partenza per la soluzione delle presenti cause. Tuttavia, devo esprimere alcune riserve in merito a tale sentenza, nei limiti in cui respinge, con una certa leggerezza, la modifica legislativa introdotta dalla direttiva 89/104 e dal relativo articolo 7.

41.

Infatti, in primo luogo, giudicando la causa che ha dato origine a questa sentenza alla luce delle disposizioni del Trattato CE, la Corte si è discostata dalla sua stessa giurisprudenza secondo la quale il problema in questione doveva essere analizzato unicamente alla luce della direttiva 89/104, il cui articolo 7 «disciplina[va] in modo completo la materia dell’esaurimento del diritto di marchio per quanto riguarda i prodotti messi in commercio [nell’Unione]» ( 33 ).

42.

In secondo luogo, ritenendo che non vi fosse alcuna differenza tra la riapposizione del marchio originario e la sua sostituzione con un altro marchio appartenente allo stesso titolare, la Corte non ha tenuto conto del fatto che, successivamente all’entrata in vigore dell’articolo 7 della direttiva 89/104, la prima situazione riguardava un marchio il cui diritto era in linea di principio esaurito ex lege. L’uso di tale marchio da parte di terzi era pertanto legittimo.

43.

Infine, in terzo luogo, si deve osservare che, statuendo che l’opposizione del titolare del marchio al suo utilizzo in sostituzione di un altro marchio è contraria al Trattato, la Corte ha implicitamente ritenuto la direttiva 89/104 ( 34 ) incompatibile con il Trattato. Infatti il «diritto di marchio nello Stato membro d’importazione» menzionato al punto 39 della sentenza Upjohn non è altro che quello che è stato armonizzato da tale direttiva, il cui articolo 5, paragrafo 1, lettera a), conferiva espressamente al titolare il diritto di vietare a qualsiasi terzo, in mancanza del suo consenso, l’uso nel commercio di un segno identico al marchio per prodotti o servizi identici a quelli per i quali il marchio è registrato ( 35 ). Orbene, le istituzioni dell’Unione sono tenute a rispettare le norme del Trattato tanto quanto gli Stati membri ( 36 ).

44.

Tanto premesso, non intendo ritornare sulla soluzione raggiunta nella sentenza Upjohn. Il diritto dei marchi non deve impedire la libera circolazione delle merci, laddove ciò non sia necessario per proteggere la funzione essenziale dei marchi, che è quella di garantire l’origine dei prodotti. Tale soluzione, al contrario, dovrebbe conseguire a un’interpretazione più flessibile del diritto derivato alla luce del Trattato, come interpretato dalla Corte.

Proposta per un nuovo approccio in materia di rimarchiatura

45.

Nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a., la Corte ha considerato che l’articolo 7 della direttiva 89/104 ( 37 ) riprendeva la sua giurisprudenza che, interpretando gli articoli 30 e 36 CEE ( 38 ), ha riconosciuto nel diritto dell’Unione il principio dell’esaurimento del marchio ( 39 ).

46.

La Corte ha poi ricordato, in risposta a un argomento relativo, in sostanza, all’ambito di applicazione più ristretto dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 89/104 rispetto alla propria giurisprudenza sull’articolo 36 CE, che da tale giurisprudenza risultava che il diritto esclusivo del titolare di apporre il marchio su un prodotto deve, in determinate circostanze, essere considerato esaurito per consentire a un importatore di commercializzare con tale marchio prodotti che sono stati messi in circolazione in un altro Stato membro dal titolare o con il suo consenso. Così, un’interpretazione più restrittiva dell’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 89/104 determinerebbe una modifica significativa dei principi derivanti dagli articoli 30 e 36 CEE. Orbene, alla luce dell’obbligo di conformità delle direttive al Trattato, un simile effetto sarebbe inammissibile ( 40 ).

47.

Per quanto riguarda l’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 89/104, la Corte ha ritenuto che, poiché questo articolo persegue lo stesso obiettivo dell’articolo 36 CEE, vale a dire conciliare gli interessi attinenti alla tutela dei diritti di marchio e quelli relativi alla libera circolazione delle merci, queste due disposizioni devono essere interpretate in modo identico, sulla base della giurisprudenza della Corte di giustizia riguardante l’articolo 36 CEE ( 41 ). Questo stesso principio è stato ricordato al punto 30 della sentenza Upjohn, benché la Corte non ne abbia tratto le conseguenze che ne derivano.

48.

Tuttavia, a mio parere, è necessario trarre appieno le conseguenze che derivano dalla giurisprudenza della Corte relativa all’esaurimento del diritto di marchio nel contesto della libera circolazione delle merci nel mercato interno. Se, conformemente a tale giurisprudenza, le disposizioni di atti successivi del diritto dei marchi dell’Unione equivalenti all’articolo 7 della direttiva 89/104 disciplinano integralmente la materia di tale esaurimento e devono essere interpretate in modo identico alle pertinenti disposizioni del Trattato, come queste ultime sono state a loro volta interpretate dalla Corte, allora anche la sua giurisprudenza riguardante la sostituzione, da parte del commerciante parallelo, di un marchio con un altro appartenente allo stesso titolare deve guidare l’interpretazione del diritto derivato.

49.

Si noti infatti che la sentenza Centrafarm è stata pronunciata ben prima dell’adozione della direttiva 89/104. Era quindi già chiaro, al momento dell’adozione di tale direttiva, che le disposizioni del Trattato relative alla libera circolazione delle merci non permettevano al titolare di un marchio di isolare i mercati degli Stati membri utilizzando per lo stesso prodotto marchi diversi in Stati membri diversi e opponendosi poi alla sostituzione, da parte di un commerciante parallelo, del marchio utilizzato nello Stato membro di esportazione con quello utilizzato nello Stato membro di importazione. Tale giurisprudenza è stata poi chiarita nella sentenza Upjohn. Da un lato, la Corte ha abbandonato il requisito dell’intenzione deliberata del titolare del marchio di isolare i mercati, che era previsto nella sentenza Centrafarm. Dall’altro, ha applicato, nei casi di sostituzione del marchio, requisiti previsti nella sentenza Bristol-Myers Squibb e a. nel contesto del riconfezionamento in un nuovo imballaggio, in particolare il requisito di necessità, che limita fortemente la portata dell’esaurimento dei diritti esclusivi del titolare del marchio ( 42 ).

50.

Pertanto, se le disposizioni del diritto dei marchi dell’Unione relative all’esaurimento del diritto del titolare del marchio devono essere interpretate in modo identico a quanto risulta, al riguardo, dalle disposizioni del Trattato come interpretate dalla Corte, anche l’aspetto relativo alla sostituzione dei marchi deve necessariamente essere preso in considerazione.

51.

Sebbene la formulazione dell’articolo 13 del regolamento n. 207/2009 e dell’articolo 7 della direttiva 2008/95, presa alla lettera, non consenta di trarre una tale conclusione, occorre giungervi a seguito di un’interpretazione teleologica e sistematica ( 43 ). Questa tesi era del resto già stata sostenuto dall’avvocato generale Jacobs nelle sue conclusioni nella causa Upjohn ( 44 ).

52.

L’articolo 13 del regolamento n. 207/2009 e l’articolo 7 della direttiva 2008/95 devono quindi essere interpretati nel senso che il titolare non può vietare l’uso non solo del marchio con cui il prodotto in questione è stato immesso in commercio dal titolare stesso o con il suo consenso, ma anche del marchio con cui prodotti identici sono immessi in commercio dallo stesso titolare o con il suo consenso in altri Stati membri.

53.

Tuttavia, occorre ricordare che, nei casi particolari in cui il marchio è apposto sul prodotto, senza il consenso del titolare, dal commerciante parallelo successivamente al riconfezionamento di tale prodotto, le disposizioni del diritto dei marchi dell’Unione relative all’esaurimento del diritto del titolare del marchio devono essere lette alla luce del Trattato, come interpretato dalla Corte. Ciò si verifica, in particolare, in caso di sostituzione del marchio utilizzato nello Stato membro di esportazione con un altro marchio appartenente allo stesso titolare, poiché anche una simile sostituzione implica una riapposizione del marchio. Orbene, tale giurisprudenza prevede una serie di requisiti che devono sussistere affinché il diritto di marchio sia effettivamente esaurito, ovverosia affinché il titolare non possa invocarlo per impedirne l’uso da parte di un terzo ( 45 ).

54.

Infatti, se è vero che, secondo la logica prevalente nelle disposizioni in questione del diritto dei marchi dell’Unione, l’esaurimento avviene in linea di principio una volta che il prodotto con il marchio è stato messo in commercio nell’Unione, e la possibilità di opposizione da parte del titolare del marchio è un’eccezione condizionata dall’interesse legittimo del titolare, la Corte, nella propria giurisprudenza sul riconfezionamento, ha rovesciato tale logica ( 46 ). In linea con tale giurisprudenza, la portata dell’esaurimento è limitata alle situazioni in cui sussistono i requisiti previsti da tale giurisprudenza e che impediscono al titolare di avvalersi del proprio marchio per impedirne l’uso da parte di un commerciante parallelo. Non è quindi possibile interpretare separatamente questi due paragrafi delle disposizioni in questione ( 47 ), poiché il paragrafo 2, come interpretato dalla Corte, determina la portata del paragrafo 1.

55.

Ciò attenua notevolmente la radicalità della mia proposta di estendere l’applicazione di tali disposizioni nel caso di sostituzione di un marchio con un altro appartenente allo stesso titolare. Infatti, mentre la maggior parte dei requisiti stabiliti dalla giurisprudenza della Corte per impedire al titolare di un marchio di invocarlo per opporsi alla commercializzazione di un prodotto con tale marchio sono di natura soggettiva e rientrano nel controllo del commerciante parallelo, il requisito di necessità è di per sé di natura oggettiva e limita fortemente la libertà di tale commerciante parallelo.

56.

Infatti, secondo la Corte, il requisito di necessità è soddisfatto se talune regolamentazioni o prassi nello Stato membro di importazione impediscono la commercializzazione del prodotto in questione nel confezionamento originario. Per contro, tale requisito non è soddisfatto se il riconfezionamento si spiega esclusivamente col desiderio da parte del commerciante parallelo di conseguire un vantaggio commerciale ( 48 ).

57.

Relativamente alla rimarchiatura, il requisito di necessità comporta che, affinché il titolare del marchio non possa opporsi alla sostituzione, da parte di un commerciante parallelo, del marchio utilizzato dal suddetto titolare nello Stato membro di esportazione con il marchio che esso utilizza per prodotti identici nello Stato membro di importazione, la regolamentazione o le prassi in quest’ultimo Stato membro devono rendere impossibile l’effettiva commercializzazione del prodotto in tale Stato membro con il suo marchio originario.

58.

Per contro, laddove il commerciante parallelo sostituisce il marchio originario solo al fine di conseguire un vantaggio economico, ad esempio per giovarsi della reputazione del marchio utilizzato nello Stato membro di importazione o per collocare il prodotto in una categoria di prodotti più redditizia, il requisito di necessità non è soddisfatto. In un simile caso non vi è infatti una minaccia sostanziale alla libera circolazione delle merci, che è alla base dell’esaurimento del diritto di marchio nel commercio tra gli Stati membri, e pertanto la stessa non può prevalere sui legittimi interessi del titolare del marchio.

59.

Così, nell’eventualità di una rimarchiatura, l’esaurimento del diritto di marchio è limitato ai casi in cui la stessa è obiettivamente necessaria a garantire l’accesso effettivo del prodotto al mercato dello Stato membro d’importazione.

60.

Propongo pertanto di interpretare l’articolo 13 del regolamento n. 207/2009 e l’articolo 7 della direttiva 2008/95 nel senso che il titolare di un marchio può avvalersi di tale marchio per opporsi alla commercializzazione con tale marchio di un prodotto che è stato immesso in commercio nell’Unione da detto titolare o con il suo consenso con un altro marchio che gli appartiene, salvo che sussistano i requisiti stabiliti nella giurisprudenza della Corte relativa al riconfezionamento dei prodotti oggetto di commercio parallelo. Tali requisiti impongono, in particolare, che l’accesso effettivo del prodotto al mercato dello Stato membro d’importazione richieda la sostituzione del marchio originario con il marchio con cui prodotti identici sono commercializzati in tale Stato membro.

Applicazione nella situazione di sostituzione di un marchio di medicinale generico con il marchio del medicinale di riferimento

61.

Alla luce delle considerazioni di cui sopra, è necessario analizzare se l’interpretazione che propongo possa essere applicata nel caso in cui, come nelle presenti cause, l’importatore parallelo intenda sostituire il marchio di un medicinale generico utilizzato nello Stato membro di esportazione con il marchio del medicinale di riferimento utilizzato nello Stato membro di importazione. La specificità delle situazioni nei procedimenti principali risiede nel fatto che il medicinale generico e quello di riferimento sono commercializzati da imprese collegate e che i due marchi appartengono allo stesso titolare.

62.

Come risulta dalle discussioni nei procedimenti principali nonché dinanzi alla Corte, la legittimità del comportamento del commerciante parallelo può scontrarsi, in particolare, con due requisiti, ossia che i prodotti siano identici e che sussista la necessità della rimarchiatura.

Sul requisito dell’identità dei prodotti

63.

Seguendo l’interpretazione da me proposta, il commerciante parallelo ha il diritto, senza che il titolare del diritto di marchio possa opporvisi, di sostituire il marchio utilizzato nello Stato membro di esportazione con il marchio utilizzato, per prodotti identici, nello Stato membro di importazione. Nei procedimenti principali, il prodotto oggetto del commercio parallelo è un medicinale generico, mentre il marchio apposto dal commerciante parallelo nello Stato membro di importazione è un marchio del medicinale di riferimento di tale medicinale generico. Si pone quindi la questione di stabilire se il medicinale generico e il relativo medicinale di riferimento possano essere considerati prodotti identici ai fini dell’esaurimento del diritto di marchio.

64.

Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera b) della direttiva 2001/83/CE ( 49 ) per medicinale generico si intende «un medicinale che ha la stessa composizione qualitativa e quantitativa di sostanze attive e la stessa forma farmaceutica del medicinale di riferimento nonché una bioequivalenza con il medicinale di riferimento dimostrata da studi appropriati di biodisponibilità». Ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 1, di tale direttiva, un simile medicinale è soggetto a una procedura di autorizzazione all’immissione in commercio cosiddetta «semplificata». Infatti, si ritiene che possieda le medesime caratteristiche del medicinale di riferimento.

65.

Tuttavia, la definizione stessa di medicinale generico ammette alcune variazioni rispetto al medicinale di riferimento, sia in termini di forma chimica del principio attivo ( 50 ) che di forma farmaceutica del medicinale stesso ( 51 ). Inoltre, mentre il medicinale generico è bioequivalente al medicinale di riferimento per quanto riguarda il principio attivo e gli effetti terapeutici, può differire dal medicinale di riferimento in termini di eccipienti ( 52 ), aspetto o altri elementi, come il gusto.

66.

Inoltre, nel caso di alcuni medicinali ( 53 ), la loro sostituzione con altri medicinali equivalenti, siano essi generici o di riferimento, durante il trattamento è controindicata per motivi medici. Ciò è particolarmente vero per uno dei medicinali di cui al procedimento principale, come affermano Impexeco e PI Pharma nella loro risposta ai quesiti della Corte. Tuttavia, contrariamente a quanto sostengono tali parti, la suddetta circostanza, lungi dal provare la necessità della rimarchiatura, dimostra, a mio avviso, che la rimarchiatura di un simile medicinale è inammissibile da un punto di vista medico. Infatti, se la sostituzione di un medicinale con un altro nel corso del trattamento è vietata per motivi medici, la sostituzione della denominazione del medicinale rischia di indurre in errore gli operatori sanitari e i pazienti, con conseguenze potenzialmente gravi per la salute. Vi è una buona ragione se il nome del medicinale deve essere indicato nella domanda di autorizzazione all’immissione in commercio. Infatti, nel caso dei medicinali, il nome del prodotto svolge un ruolo che va oltre quello dei marchi, ovverosia la mera indicazione dell’origine del prodotto.

67.

Anche se i medicinali generici e i relativi medicinali di riferimento sono quindi terapeuticamente equivalenti, sono del parere che non sono tuttavia prodotti identici, in linea di principio, a causa delle differenze che possono distinguerli.

68.

Tuttavia, resta il fatto che il medicinale generico e quello di riferimento, in situazioni specifiche, in particolare quando sono fabbricati dallo stesso soggetto o da soggetti collegati, possono essere di fatto lo stesso prodotto commercializzato sotto regimi diversi. La posizione di Impexeco e PI Pharma nei procedimenti principali appare in questi termini. L’accertamento spetta alle autorità e ai giudici nazionali.

69.

In un simile caso, contrariamente a quanto sostiene Novartis nelle proprie osservazioni, né il diverso regime giuridico applicabile ai medicinali generici e di riferimento né la loro diversa percezione da parte degli operatori sanitari o dei pazienti sarebbero sufficienti a giustificare il diritto del titolare dei marchi di tali medicinali di opporsi alla sostituzione del marchio utilizzato nello Stato membro di esportazione con quello utilizzato nello Stato membro di importazione. Infatti, nella situazione in cui tale sostituzione sia necessaria a un commerciante parallelo per ottenere l’accesso al mercato di quest’ultimo Stato membro, una simile possibilità consentirebbe al titolare di isolare i mercati commercializzando lo stesso prodotto sia come medicinale di riferimento sia come medicinale generico, ostacolando quindi la libera circolazione all’interno dell’Unione. Pertanto, ai fini dell’esaurimento del diritto di marchio, l’identità dei prodotti deve essere valutata unicamente sulla base delle caratteristiche intrinseche degli stessi.

70.

Ciò conduce al secondo requisito, quello della necessità di sostituire il marchio.

Sul requisito di necessità

71.

Come ho già rilevato ( 54 ), il titolare del marchio non può opporsi al suo utilizzo da parte di un commerciante parallelo per sostituire il marchio utilizzato nello Stato membro di esportazione, a condizione, in particolare, che tale sostituzione sia oggettivamente necessaria per garantire un accesso effettivo del prodotto al mercato dello Stato membro di importazione. Si tratta di una chiara conseguenza della sentenza Upjohn ( 55 ). Questo perché l’esaurimento del diritto di marchio in caso di sostituzione di un marchio con un altro marchio dello stesso titolare è giustificato dalle esigenze del mercato interno.

72.

Tuttavia, mi pare che, nel caso della sostituzione del marchio di un medicinale generico con quello di un medicinale di riferimento autorizzato sul mercato dello Stato membro di importazione, tale requisito sarà soddisfatto solamente in situazioni eccezionali.

73.

Infatti, come giustamente osserva Novartis, la Corte ha avuto modo di statuire che uno Stato membro non può, in linea di principio, rifiutare un’autorizzazione all’importazione parallela di un medicinale generico il cui medicinale di riferimento dispone di un’autorizzazione all’immissione in commercio in tale Stato membro ( 56 ), salvo che tale rifiuto sia giustificato da motivi di tutela della salute ( 57 ).

74.

Pertanto, un commerciante parallelo ha normalmente il diritto di ottenere l’autorizzazione a commercializzare, a proprio nome, un medicinale generico il cui medicinale di riferimento è autorizzato nello Stato membro di importazione. La sostituzione del marchio (nome) del medicinale generico con il marchio (nome) del medicinale di riferimento non è pertanto necessaria, e ciò indipendentemente dal fatto che anche il medicinale generico oggetto del commercio in parallelo sia autorizzato nello Stato membro di importazione. Per contro, se motivi legati alla tutela della salute ostano a una simile autorizzazione, essi a maggior ragione ostano a che il medicinale generico sia occultato sotto il nome del medicinale di riferimento e l’autorizzazione non sarà concessa, conformemente alle norme del mercato interno, indipendentemente dall’eventuale opposizione del titolare del marchio del medicinale di riferimento.

75.

Ciò è sufficiente a soddisfare i requisiti della libera circolazione delle merci. Gli argomenti di Impexeco e di PI Pharma vertenti sulla necessità di avere accesso all’intero mercato in cui è presente il titolare del marchio del medicinale di riferimento o sull’abitudine dei medici di prescrivere tale medicinale di riferimento non sono tali da modificare tale constatazione.

76.

In primo luogo, sebbene la libera circolazione delle merci garantisca al commerciante parallelo l’accesso effettivo al mercato dello Stato membro di importazione, non gli garantisce tuttavia il diritto di commercializzare qualsiasi prodotto con qualsiasi marchio. Dal momento che il commerciante parallelo può commercializzare il medicinale generico con il marchio del medicinale generico e il medicinale di riferimento con il marchio del medicinale di riferimento, adattando, se necessario, la confezione per soddisfare i requisiti del mercato dello Stato membro di importazione, le norme del mercato interno non impongono che a tale commerciante parallelo sia consentito di sostituire uno di tali marchi con l’altro, ledendo così i diritti del titolare di tali marchi.

77.

In secondo luogo, qualsiasi medicinale generico, sia esso oggetto di commercio parallelo o meno, entra per definizione in un mercato occupato dal medicinale di riferimento, con tutte le conseguenze che questo comporta per quanto riguarda le abitudini dei medici e dei pazienti. Spetta quindi alla persona che commercializza il medicinale generico convincere i propri clienti a ricorrere a tale medicinale. Qualsiasi tentativo di raggiungere detto risultato sostituendo il marchio rientra nel desiderio di conseguire un vantaggio commerciale e non è pertanto coperto dall’esaurimento del diritto di marchio ( 58 ).

Conclusione intermedia

78.

Le considerazioni che precedono mi portano a concludere che, qualora l’articolo 13 del regolamento n. 207/2009 e l’articolo 7 della direttiva 2008/95, letti alla luce del Trattato come interpretato dalla Corte, impediscano al titolare di un marchio di opporsi all’uso del medesimo da parte di un commerciante parallelo per sostituire il marchio utilizzato da tale titolare nello Stato membro di esportazione con quello utilizzato da quest’ultimo, per prodotti identici, nello Stato membro d’importazione, laddove sussistano i requisiti derivanti da tale giurisprudenza, ciò varrà solo in via eccezionale, nel caso in cui il marchio di un medicinale generico sia sostituito dal marchio di un medicinale di riferimento.

Conclusione

79.

Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo di rispondere come segue alle questioni pregiudiziali sollevate dallo Hof van beroep te Brussel (Corte d’appello di Bruxelles, Belgio):

L’articolo 13 del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio dell’Unione europea, come modificato dal regolamento (UE) 2015/2424 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, e l’articolo 7 della direttiva 2008/95/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 22 ottobre 2008, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa, letti alla luce degli articoli 34 e 36 TFUE, devono essere interpretati nel senso che il titolare di un marchio per un medicinale di riferimento può opporsi all’uso di tale marchio da parte di un terzo al fine di sostituire, nell’ambito del commercio parallelo, il marchio con cui un medicinale generico è commercializzato da tale titolare, o con il suo consenso, in un altro Stato membro, salvo che, da un lato, i due medicinali siano materialmente identici e, dall’altro, siano soddisfatti, per quanto riguarda la sostituzione del marchio, i requisiti previsti dalla Corte nelle sue sentenze dell’11 luglio 1996, Bristol-Myers Squibb e a. (C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93, EU:C:1996:282), e del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a. (C‑348/04, EU:C:2007:249).


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2009, L 78, pag. 1.

( 3 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2015 (GU 2015, L 341, pag. 21).

( 4 ) Il regolamento n. 207/2009 è stato abrogato dal regolamento (UE) 2017/1001 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 14 giugno 2017, sul marchio dell’Unione europea (GU 2017, L 154, pag. 1), con effetto a decorrere dal 1o ottobre 2017. Tuttavia, avuto riguardo alle date degli eventi di cui al procedimento principale, le presenti cause devono essere esaminate alla luce del regolamento n. 207/2009.

( 5 ) GU 2008, L 299, pag. 25.

( 6 ) La direttiva 2008/95 è stata abrogata dalla direttiva (UE) 2015/2436 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2015, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d’impresa (GU 2015, L 336, pag. 1), con effetto a decorrere dal 15 gennaio 2019. Tuttavia, avuto riguardo alle date degli eventi di cui al procedimento principale, le presenti cause devono essere esaminate alla luce della direttiva 2008/95.

( 7 ) Convenzione del 25 febbraio 2005, sottoscritta all’Aia dal Regno del Belgio, dal Granducato di Lussemburgo e dal Regno dei Paesi Bassi.

( 8 ) Sentenza dell’11 luglio 1996 (C‑427/93, C‑429/93 e C‑436/93; in prosieguo: la «sentenza Bristol-Myers Squibb e a., EU:C:1996:282).

( 9 ) Moniteur belge del 30 maggio 2001, pag. 17954.

( 10 ) Sentenza del 31 ottobre 1974 (16/74, EU:C:1974:115). Nella precedente giurisprudenza della Corte, è fatto riferimento a tale sentenza con il nome di «sentenza Winthrop».

( 11 ) V. punto 1 del dispositivo.

( 12 ) Sentenza del 23 maggio 1978 (102/77, EU:C:1978:108; in prosieguo: la «sentenza Hoffmann-La Roche», punto 1a del dispositivo).

( 13 ) Sentenza Hoffmann-La Roche (punto 11).

( 14 ) Sentenza Hoffmann-La Roche (punti 9 e 10).

( 15 ) Sentenza Hoffmann-La Roche (punto 1b del dispositivo).

( 16 ) Prima direttiva del Consiglio, del 21 dicembre 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d’impresa (GU 1989, L 40, pag. 1).

( 17 ) Più precisamente, dell’articolo 36 del Trattato CEE.

( 18 ) V. sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punti 40, 41 e 50).

( 19 ) Sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punti da 52 a 56 e punto 3, primo trattino, del dispositivo).

( 20 ) Sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punti da 75 a 77 e punto 3, quarto trattino, del dispositivo).

( 21 ) Sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a. (C‑348/04, EU:C:2007:249, punti da 28 a 31 e punto 1 del dispositivo).

( 22 ) Sentenza del 10 ottobre 1978 (3/78, EU:C:1978:174; in prosieguo: la «sentenza Centrafarm»). La giurisprudenza precedente della Corte fa riferimento alla suddetta sentenza con la denominazione «sentenza American Home Products».

( 23 ) Attualmente articolo 36, prima frase, TFUE.

( 24 ) Sentenza Centrafarm, punti da 12 a 18.

( 25 ) Attualmente articolo 36, seconda frase, TFUE.

( 26 ) Sentenza Centrafarm, punti da 19 a 23.

( 27 ) Sentenza del 12 ottobre 1999 (C‑379/97; in prosieguo: la «sentenza Upjohn, EU:C:1999:494).

( 28 ) V. le conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Upjohn (C‑379/97, EU:C:1998:559, paragrafo 20).

( 29 ) Sentenza Upjohn (punti 27 e 28).

( 30 ) Ai sensi della sentenza Bristol-Myers Squibb e a.

( 31 ) Sentenza Upjohn (punti 37 e 38).

( 32 ) Sentenza Upjohn (punto 39).

( 33 ) Sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punti 25 e 26 e punto 1 del dispositivo).

( 34 ) E, per estensione, di tutti gli atti successivi del diritto dei marchi dell’Unione, le cui disposizioni pertinenti sono in sostanza identiche a quelle della suddetta direttiva.

( 35 ) V. altresì articolo 9, paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 207/2009 e articolo 5, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/95.

( 36 ) Sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punto 36).

( 37 ) Nelle presenti cause, articolo 13 del regolamento n. 207/2009 e articolo 7 della direttiva 2008/95.

( 38 ) Attualmente articoli 34 e 36 TFUE.

( 39 ) Sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punto 31).

( 40 ) Sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punti da 32 a 36).

( 41 ) Sentenza Bristol-Myers Squibb e a. (punti 40 e 41).

( 42 ) Sentenza Upjohn (punti da 42 a 45).

( 43 ) Nel senso di tener conto dei requisiti derivanti da atti sovraordinati.

( 44 ) C‑379/97, EU:C:1998:559, paragrafi 16, 1769.

( 45 ) V. paragrafi da 24 a 33 delle presenti conclusioni.

( 46 ) Più precisamente, la Corte non ha invertito la propria logica: diritto di marchio – principio, esaurimento – eccezione, che derivava dall’articolo 36 CE, successivamente all’introduzione dell’articolo 7 della direttiva 89/104, basato sulla logica opposta.

( 47 ) Come dimostra l’apparente contraddizione tra i punti 2 e 3 del dispositivo della sentenza Bristol-Myers Squibb e a., il primo dei quali si basa sul principio di esaurimento del diritto di marchio e il secondo sul diritto del titolare di avvalersi di tale marchio.

( 48 ) Sentenza del 26 aprile 2007, Boehringer Ingelheim e a. (C‑348/04, EU:C:2007:249, punti 3637).

( 49 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (GU 2001, L 311, pag. 67), come modificata dalla direttiva 2004/27/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 (GU 2004, L 136, pag. 34).

( 50 )

( 51 )

( 52 ) Vale a dire, i suoi componenti che non sono sostanze attive.

( 53 ) I cosiddetti «medicinali con un basso margine terapeutico».

( 54 ) V. paragrafo 60 delle presenti conclusioni.

( 55 ) V. punti da 42 a 45 di tale sentenza.

( 56 ) Sentenza del 3 luglio 2019, Delfarma (C‑387/18, EU:C:2019:556, dispositivo).

( 57 ) Sentenza del 3 luglio 2019, Delfarma (C‑387/18, EU:C:2019:556, punto 36).

( 58 ) Sentenza Upjohn (punto 44).