CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate il 15 luglio 2021 ( 1 )

Cause riunite C‑33/20, C‑155/20 e C‑187/20

UK

contro

Volkswagen Bank GmbH (C‑33/20)

e

RT,

SV,

BC

contro

Volkswagen Bank GmbH,

Skoda Bank, succursale della Volkswagen Bank GmbH (C‑155/20)

e

JL,

DT

contro

BMW Bank GmbH,

Volkswagen Bank GmbH (C‑187/20)

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Landgericht Ravensburg (Tribunale del Land, Ravensburg, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Credito al consumo – Direttiva 2008/48/CE – Articolo 10, paragrafo 2 – Obblighi relativi alle informazioni da inserire nel contratto – Tasso d’interesse di mora – Articolo 14 – Diritto di recesso»

I. Introduzione

1.

Le domande di pronuncia pregiudiziale in esame vertono, sostanzialmente, sugli obblighi a carico degli istituti di credito di fornire ai consumatori talune informazioni sulle condizioni del finanziamento e sulle conseguenze in caso di omessa comunicazione di tali informazioni. Tutti i rinvii pregiudiziali di cui trattasi presentano ampie analogie in punto di fatto, in quanto riguardano la corretta interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 2, lettere a), d), l), r), s) e t), e dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio (GU 2008, L 133, pag. 66).

2.

Dette domande di pronuncia pregiudiziale sono state proposte dal Landgericht Ravensburg (Tribunale del Land, Ravensburg, Germania) nell’ambito di controversie sorte tra vari consumatori e società di finanziamento dell’acquisto di autoveicoli in relazione alla validità delle domande di recesso presentate dai consumatori medesimi. Sebbene tutte le domande in esame siano state proposte molto tempo dopo la scadenza del termine di 14 giorni dalla data della firma del contratto di credito, previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2008/48, i consumatori in questione sostengono di poter comunque legittimamente procedere in tal senso in base al rilievo che i contratti stessi non conterrebbero tutte le informazioni richieste dall’articolo 10 della direttiva de qua. Tali cause affrontano quindi la complessa – ma nondimeno essenziale – questione riguardante il grado di precisione delle informazioni contenute nel contratto ai sensi dell’articolo 10, nonché la questione connessa relativa alle modalità con cui gli organi giurisdizionali nazionali debbano reagire laddove i consumatori tentino di sfruttare a proprio vantaggio una potenziale inadeguatezza delle informazioni ( 2 ). Prima di esaminare tali questioni, occorre, tuttavia, richiamare, anzitutto, le disposizioni giuridiche pertinenti.

II. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

3.

I considerando da 4 a 9, 18, 19, 30, 31 e 35 della direttiva 2008/48 così recitano:

«(4)

Lo stato di fatto e di diritto risultante dal[le] (…) disparità nazionali [tra le legislazioni dei vari Stati membri nel settore del credito al consumo] in taluni casi comporta distorsioni della concorrenza tra i creditori all’interno della Comunità e fa sorgere ostacoli nel mercato interno quando gli Stati membri adottano disposizioni cogenti diverse e più rigorose rispetto a quelle previste dalla direttiva 87/102/CEE [del Consiglio, del 22 dicembre 1986, relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (GU 1987, L 42, pag. 48)]. Ciò limita le possibilità per i consumatori di beneficiare direttamente della crescente disponibilità di credito transfrontaliero. Tali distorsioni e restrizioni possono, a loro volta, avere conseguenze sulla domanda di merci e servizi.

(5)

Le forme di credito offerte ai consumatori e utilizzate da questi sono cambiate notevolmente negli ultimi anni; sono comparsi nuovi strumenti di credito e il loro impiego continua a svilupparsi. Occorre pertanto modificare le disposizioni esistenti ed estenderne, se del caso, l’ambito d’applicazione.

(6)

A norma del trattato, il mercato interno comporta uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci e dei servizi nonché la libertà di stabilimento. Lo sviluppo di un mercato creditizio più trasparente ed efficiente nello spazio senza frontiere interne è essenziale per promuovere lo sviluppo delle attività transfrontaliere.

(7)

Per facilitare il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo è necessario prevedere un quadro comunitario armonizzato in una serie di settori fondamentali. Visto il continuo sviluppo del mercato del credito al consumo e considerata la crescente mobilità dei cittadini europei, una legislazione comunitaria lungimirante, che sia adattabile alle future forme di credito e lasci agli Stati membri un adeguato margine di manovra in sede di attuazione, dovrebbe contribuire alla creazione di un corpus normativo moderno in materia di credito al consumo.

(8)

È opportuno che il mercato offra un livello di tutela dei consumatori sufficiente, in modo da assicurare la fiducia dei consumatori. Ciò dovrebbe rendere possibile la libera circolazione delle offerte di credito nelle migliori condizioni sia per gli operatori dell’offerta sia per i soggetti che rappresentando la domanda, sempre tenendo conto di situazioni particolari nei singoli Stati membri.

(9)

È necessaria una piena armonizzazione che garantisca a tutti i consumatori della Comunità di fruire di un livello elevato ed equivalente di tutela dei loro interessi e che crei un vero mercato interno. Pertanto, agli Stati membri non dovrebbe essere consentito di mantenere o introdurre disposizioni nazionali diverse da quelle previste dalla presente direttiva. Tuttavia, tale restrizione dovrebbe essere applicata soltanto nelle materie armonizzate dalla presente direttiva. Laddove tali disposizioni armonizzate mancassero, gli Stati membri dovrebbero rimanere liberi di mantenere o introdurre norme nazionali. Di conseguenza, gli Stati membri possono, per esempio, mantenere o introdurre disposizioni nazionali sulla responsabilità solidale del venditore o prestatore di servizi e del mutuante. Un altro esempio di questa possibilità offerta agli Stati membri potrebbe essere quello del mantenimento o dell’introduzione di disposizioni nazionali sull’annullamento del contratto di vendita di merci o di prestazione di servizi se il consumatore esercita il diritto di recesso dal contratto di credito. A tale riguardo, in caso di contratti di credito a durata indeterminata, agli Stati membri dovrebbe essere consentito di fissare un periodo minimo che deve intercorrere tra il momento in cui il creditore chiede il rimborso e il giorno in cui il credito deve essere rimborsato.

(…)

(18)

(…) Tuttavia, la presente direttiva dovrebbe contenere disposizioni specifiche sulla pubblicità relativa ai contratti di credito e su alcune informazioni di base da fornire ai consumatori per metterli in grado, in particolare, di paragonare le varie offerte. Tali informazioni dovrebbero essere fornite in forma chiara, concisa e graficamente evidenziata mediante un esempio rappresentativo. (…)

(19)

Affinché i consumatori possano prendere le loro decisioni con piena cognizione di causa, è opportuno che ricevano informazioni adeguate, che il consumatore possa portare con sé ed esaminare, prima della conclusione del contratto di credito, circa le condizioni e il costo del credito e le loro obbligazioni. Per assicurare la maggiore trasparenza possibile e per consentire il raffronto tra le offerte, tali informazioni dovrebbero comprendere, in particolare, il tasso annuo effettivo globale [APR] relativo al credito, determinato nello stesso modo in tutta la Comunità. (…)

(…)

(30)

La presente direttiva non disciplina gli aspetti del diritto contrattuale relativi alla validità dei contratti di credito. Pertanto, in tale materia gli Stati membri possono mantenere o introdurre norme nazionali conformi al diritto comunitario. (…)

(31)

Per consentire al consumatore di conoscere i suoi diritti e obblighi in virtù del contratto di credito, questo dovrebbe contenere tutte le informazioni necessarie in modo chiaro e conciso.

(…)

(35)

Quando un consumatore recede da un contratto di credito in virtù del quale ha ricevuto merci, in particolare da un acquisto a rate o da un contratto di locazione o di leasing che prevede un obbligo di acquisto, la presente direttiva dovrebbe far salva qualsiasi regolamentazione degli Stati membri su questioni relative alla restituzione delle merci o ogni altra questione correlata».

4.

L’articolo 3 della direttiva medesima, intitolato «Definizioni», così dispone:

«Ai fini della presente direttiva si applicano le seguenti definizioni:

(…)

n)

“contratto di credito collegato”: un contratto di credito che soddisfa le due condizioni seguenti:

i)

il credito in questione serve esclusivamente a finanziare un contratto relativo alla fornitura di merci specifiche o alla prestazione di servizi specifici;

ii)

i due contratti costituiscono oggettivamente un’unica operazione commerciale; si ritiene esistente un’unica operazione commerciale quando il fornitore o il prestatore stesso finanzia il credito al consumo oppure, se il credito è finanziato da un terzo, qualora il creditore ricorra ai servizi del fornitore o del prestatore per la conclusione o la preparazione del contratto di credito o qualora le merci specifiche o la prestazione di servizi specifici siano esplicitamente individuati nel contratto di credito».

5.

Il successivo articolo 5, intitolato «Informazioni precontrattuali», precisa quanto segue:

«1.   Il creditore e, se del caso, l’intermediario del credito, sulla base delle condizioni di credito offerte dal creditore e, se del caso, delle preferenze espresse e delle informazioni fornite dal consumatore, forniscono al consumatore, in tempo utile prima che egli sia vincolato da un contratto o da un’offerta di credito, le informazioni necessarie per raffrontare le varie offerte al fine di prendere una decisione con cognizione di causa in merito alla conclusione di un contratto di credito. Tali informazioni, su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, sono fornite mediante il modulo relativo alle “Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori” riportate nell’allegato II. Si considera che il creditore abbia soddisfatto gli obblighi di informazione di cui al presente paragrafo e all’articolo 3, paragrafi 1 e 2 della direttiva 2002/65/CE [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 settembre 2002, concernente la commercializzazione a distanza di servizi finanziari ai consumatori (GU 2002, L 271, pag. 16)] se ha fornito le “Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori”.

Le informazioni di cui trattasi riguardano:

(…)

(l)

il tasso degli interessi in caso di ritardi di pagamento, le modalità di modifica dello stesso e, se applicabili, le penali per inadempimento;

(…)».

6.

Ai sensi del successivo articolo 10, intitolato «Informazioni da inserire nei contratti di credito»:

«1.   I contratti di credito sono redatti su supporto cartaceo o su altro supporto durevole.

Tutte le parti del contratto ricevono copia del contratto di credito. Il presente articolo si applica fatte salve le norme nazionali riguardanti la validità della conclusione dei contratti conformi alla normativa comunitaria.

2.   Nel contratto di credito figurano, in modo chiaro e conciso, le informazioni seguenti:

(…)

l)

il tasso degli interessi in caso di ritardi di pagamento applicabile al momento della conclusione del contratto di credito e le modalità di modifica dello stesso e, se applicabili, le penali per inadempimento;

(…)

t)

l’eventuale esistenza di un meccanismo extragiudiziale di reclamo e di ricorso a disposizione del consumatore e, se tale meccanismo esiste, le modalità di accesso allo stesso;

(…)».

7.

Il successo articolo 14, intitolato «Diritto di recesso», prevede quanto segue:

«1.   Il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni di calendario per recedere dal contratto di credito senza dare alcuna motivazione.

Tale periodo di recesso ha inizio:

a)

il giorno della conclusione del contratto di credito; oppure

b)

il giorno in cui il consumatore riceve le condizioni contrattuali e le informazioni di cui all’articolo 10, se tale giorno è posteriore a quello indicato nella lettera a) del presente comma.

(…)

3.   Se il consumatore esercita il diritto di recesso:

(…)

b)

paga al creditore il capitale e gli interessi dovuti su tale capitale dalla data di prelievo del credito fino alla data di rimborso del capitale senza indugio e comunque non oltre 30 giorni di calendario dall’invio della notifica del recesso al creditore. Gli interessi sono calcolati sulla base del tasso debitore pattuito. Il creditore non ha diritto a nessun altro indennizzo da parte del consumatore in caso di recesso, salvo essere tenuto indenne delle spese non rimborsabili pagate dal creditore stesso alla pubblica amministrazione».

8.

A termini del successivo articolo 15, paragrafo 1, della direttiva, intitolato «Contratti di credito collegati»:

«Il consumatore che abbia esercitato un diritto di recesso basato sulla normativa comunitaria riguardo a un contratto per la fornitura di merci o la prestazione di servizi non è più vincolato da un eventuale contratto di credito collegato».

9.

L’articolo 22, paragrafo 1, della direttiva medesima, intitolato «Armonizzazione e obbligatorietà della direttiva», così recita:

«Nella misura in cui la presente direttiva contiene disposizioni armonizzate, gli Stati membri non possono mantenere né introdurre nel proprio ordinamento disposizioni diverse da quelle in essa stabilite».

B.   Diritto tedesco

10.

L’articolo 247, paragrafi da 3 a 7, dell’Einführungsgesetz zum Bürgerlichen Gesetzbuch (legge introduttiva al codice civile tedesco) del 21 settembre 1994 (BGBl. 1994 I, pag. 2494, e rettifica in BGBl. 1997 I, pag. 1061), nel testo applicabile ai fatti della controversia principale (in prosieguo: l’«EGBGB»), intitolato «Obblighi d’informazione concernenti contratti di credito al consumo, aiuti finanziari a titolo oneroso e contratti di vendita», prevede quanto segue:

«§3   Contenuto delle informazioni precontrattuali

(1) Le informazioni fornite anteriormente alla conclusione del contratto includono:

(…)

2. il tipo di credito;

(…)

9. le condizioni relative alla messa a disposizione dei fondi;

(…)

11. il tasso degli interessi di mora e le modalità di loro modifica, nonché, se del caso, le conseguenze economiche dell’inadempimento.

(…)

§6   Contenuto del contratto

(1) Nel contratto di credito al consumo devono figurare, in termini chiari e comprensibili, le seguenti informazioni:

1.

le informazioni indicate all’articolo 3, paragrafo 1, punti da 1 a 14, e paragrafo 4;

(…)

5.

la procedura da seguire per lo scioglimento del contratto;

(…)

§7   Altre informazioni contenute nel contratto

(1) Nel contratto di credito al consumo devono figurare, in termini chiari e comprensibili, le seguenti informazioni, laddove siano pertinenti al contratto:

(…)

3.

il metodo di calcolo dell’indennità applicabile in caso di rimborso anticipato, laddove il mutuante intenda avvalersi di tale diritto in caso di rimborso anticipato della somma mutuata da parte del mutuatario;

4.

l’accesso del mutuatario a procedure di reclamo e di ricorso extragiudiziali e, se del caso, le condizioni di tale accesso.

(…)».

11.

L’articolo 247 del Bürgerliches Gesetzbuch (BGB, codice civile tedesco), nel testo applicabile ai fatti della controversia principale (in prosieguo: il «BGB»), intitolato «Tasso d’interesse di base», prevede quanto segue:

«(1)   Il tasso d’interesse di base è pari al 3,62%. Il 1o gennaio e il 1o luglio di ogni anno, il tasso medesimo viene adeguato in misura della percentuale con cui il valore di riferimento è aumentato o diminuito rispetto all’ultimo adeguamento. Il valore di riferimento corrisponde al tasso d’interesse fissato dalla Banca centrale [(BCE)] europea per la più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata prima del primo giorno di calendario del semestre in questione.

(2)   La Deutsche Bundesbank [Banca federale tedesca] pubblica il tasso d’interesse di base nel Bundesanzeiger [Gazzetta ufficiale tedesca] immediatamente a seguito delle date indicate nel paragrafo 1, seconda frase».

12.

L’articolo 288 del BGB, intitolato «Interessi di mora e altri indennità», al paragrafo 1 così dispone:

«Ogni debito pecuniario produce interessi durante il periodo di mora. Il tasso d’interesse di mora è superiore in ragione di cinque punti percentuali annui rispetto al tasso di base».

13.

Ai sensi dell’articolo 355 del BGB, intitolato «Diritto di recesso dai contratti dei consumatori»:

«1)   Nel caso in cui la legge riconosca al consumatore un diritto di recesso ai sensi della presente disposizione, il consumatore e il professionista cessano di essere vincolati alle proprie dichiarazioni di volontà dirette alla conclusione del contratto qualora il consumatore eserciti il diritto di recesso entro il termine previsto. (…)

2)   Il diritto di recesso può essere esercitato entro 14 giorni. Salvo disposizioni contrarie, tale periodo decorre dal momento della conclusione del contratto».

14.

Il successivo articolo 356 ter del BGB, intitolato «Diritto di recesso nei contratti di credito al consumo», al paragrafo 2 così dispone:

«Laddove il documento fornito al mutuatario ai sensi del paragrafo 1 non contenga le informazioni obbligatorie previste dall’articolo 492, paragrafo 2, il termine non inizierà a decorrere finché il vizio non sarà sanato ai sensi dell’articolo 492, paragrafo 6 (…)».

15.

A termini del successivo articolo 357, paragrafo 1, del BGB, intitolato «Effetti giuridici del recesso da contratti negoziati fuori dai locali commerciali e contratti a distanza diversi dai contratti di servizi finanziari»:

«Le prestazioni ricevute devono essere restituite entro 14 giorni».

16.

L’articolo 357 bis, paragrafo 1, del BGB, intitolato «Effetti giuridici del recesso da contratti di servizi finanziari», così recita:

«Le prestazioni ricevute devono essere restituite entro 14 giorni».

17.

Ai sensi del successivo articolo 358 del BGB, intitolato «Contratto collegato al contratto per il quale è stato esercitato il diritto di recesso»:

«(…)

2)   Il consumatore, qualora abbia validamente revocato la propria dichiarazione di volontà diretta alla conclusione del contratto di credito al consumo sulla base dell’articolo 495, paragrafo 1, o dell’articolo 514, paragrafo 2, prima frase, cessa di essere vincolato alla propria dichiarazione di volontà diretta alla conclusione di un contratto per la fornitura di merci o la prestazione di altri servizi collegato al contratto di credito al consumo di cui trattasi.

3)   Un contratto per la fornitura di merci o la prestazione di altri servizi e un contratto di credito ai sensi dei paragrafi 1 e 2 sono collegati laddove il credito sia volto a finanziare in tutto o in parte l’altro contratto e i due contratti costituiscano un’unica operazione economica. La sussistenza di tale operazione deve essere riconosciuta, in particolare, qualora il professionista stesso finanzi la controprestazione del consumatore oppure, nel caso in cui il credito sia finanziato da un terzo, qualora il mutuante ricorra a un professionista ai fini della predisposizione o della conclusione del contratto di credito.

4)   L’articolo 355, paragrafo 3 e, a seconda della tipologia di contratto collegato, gli articoli da 357 a 357 ter, si applicano, mutatis mutandis, alla risoluzione del contratto collegato, indipendentemente dal metodo di commercializzazione (...). Il mutuante assume, nei confronti del consumatore, i diritti e gli obblighi del professionista derivanti dal contratto collegato relativi agli effetti giuridici del recesso qualora, al momento in cui il recesso produca i suoi effetti, la somma mutuata sia già stata versata al professionista».

18.

L’articolo 491 bis del BGB, intitolato «Obblighi di informazioni precontrattuali in relazione a contratti di credito conclusi con i consumatori», al paragrafo 1 così dispone:

«In relazione a un contratto di credito concluso con un consumatore, il mutuante deve fornire al mutuatario l’informativa relativa alle materie indicate dall’articolo 247 [dell’EGBGB] nella forma ivi previste».

19.

L’articolo 492 del BGB, intitolato «Forma scritta, contenuto del contratto», dispone quanto segue:

«1)   I contratti di credito al consumo devono essere conclusi per iscritto, salvo che non sia prevista una forma più rigorosa. (…)

2)   Il contratto deve contenere le informazioni prescritte per ogni contratto di credito al consumo conformemente all’articolo 247, paragrafi da 6 a 13 [dell’EGBGB].

(…)

5)   Le informazioni che il mutuante deve fornire al mutuatario successivamente alla conclusione del contratto devono essere collocate su supporto durevole».

20.

Ai sensi dell’articolo 495, paragrafo 1, del BGB, intitolato «Diritto di recesso»:

«Nel caso di un contratto di credito al consumo è riconosciuto al mutuatario il diritto di recesso ai sensi dell’articolo 355 [del BGB]».

III. Fatti del procedimento principale e domanda di pronuncia pregiudiziale

A.   Causa C‑33/20

21.

Nel dicembre 2015, un consumatore, UK, acquistava un’autovettura. Per finanziare tale acquisto, questi versava un acconto stipulando al contempo un contratto di credito al consumo assistito da copertura assicurativa del residuo debito. Il contratto di credito al consumo contiene la seguente dichiarazione:

«In caso di risoluzione del contratto, Le saranno addebitati interessi di mora al tasso previsto dalla legge. Il tasso annuale degli interessi di mora è pari al tasso di base maggiorato di 5 punti percentuali».

22.

Tuttavia, tale contratto di credito non indica, in termini numerici, il tasso d’interesse di mora applicabile, né menziona il tasso di riferimento utilizzato per stabilire il tasso d’interesse di mora applicabile al momento della firma del contratto, vale a dire il tasso di cui all’articolo 247 del BGB. A parere del giudice nazionale, la formulazione contenuta nel contratto di credito non soddisfa l’obbligo incombente agli offerenti di contratti di credito al consumo di indicare il meccanismo di adeguamento del tasso d’interesse di mora.

23.

Il giudice del rinvio rileva, tuttavia, che UK ha ricevuto, prima della conclusione del contratto, un documento intitolato «Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori», redatto in conformità al modello previsto dall’allegato II alla direttiva 2008/48, in base al quale il tasso d’interesse di base è determinato dalla Banca federale tedesca e fissato il 1o gennaio e il 1o luglio di ogni anno. Tuttavia, il giudice del rinvio ritiene che dette informazioni non possano essere considerate parte integrante del contratto a causa dell’inosservanza, da parte dell’istituto di credito in questione, di una norma formale prevista dall’articolo 492, paragrafo 1, del BGB, senza ulteriori precisazioni circa l’ambito di applicazione della norma formale medesima.

24.

UK provvedeva regolarmente al versamento delle rate mensili. Tuttavia, molto tempo dopo la scadenza del termine di quattordici giorni dalla conclusione del contratto di credito, ma anteriormente al rimborso integrale della somma mutuata, UK dichiarava di voler recedere dal contratto stesso. A suo avviso, tale richiesta tardiva di recesso sarebbe comunque valida, dal momento che la Volkswagen Bank non gli avrebbe fornito tutte le informazioni richieste dalla normativa tedesca di trasposizione della direttiva 2008/48. La Volkswagen Bank negava il recesso.

25.

Successivamente, UK ricorreva in giudizio al fine di ottenere, a fronte della restituzione del veicolo acquistato, la sua liberazione, in qualità di acquirente, dall’obbligo di versamento delle rate mensili non ancora versate oltre al il rimborso di tutte le rate mensili, comprensive di interessi, nonché dell’acconto già versati al venditore.

26.

Il giudice del rinvio nutre dubbi circa la conformità delle informazioni contenute nel contratto ai requisiti di cui all’articolo 492 del BGB, in combinato disposto con l’articolo 247 dell’ECBGB, da interpretare alla luce della direttiva 2008/48. Ciò premesso, il Landgericht Ravensburg (Tribunale del Land, Ravensburg) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio, debba essere interpretato nel senso che nel contratto di credito

a)

debba essere indicato, espresso in valore numerico assoluto, il tasso d’interesse di mora applicabile al momento della conclusione del contratto di credito, o quantomeno il tasso di riferimento applicabile (nel caso di specie, il tasso di base ai sensi dell’articolo 247 del BGB), in base al quale viene determinato, per effetto di una maggiorazione, il tasso d’interesse di mora applicabile (nel caso di specie, di 5 punti percentuali in forza dell’articolo 288, paragrafo 1, secondo periodo, del BGB).

b)

il meccanismo di adeguamento del tasso d’interesse di mora debba ivi essere esposto in termini concreti, quantomeno mediante riferimento alle disposizioni nazionali dalle quali sia desumibile l’adeguamento del tasso d’interesse di mora (articoli 247 e 288, paragrafo 1, secondo comma, del BGB).

2)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera r), della direttiva 2008/48/CE debba essere interpretato nel senso che nel contratto di credito debba essere indicato un metodo di calcolo specifico, comprensibile per il consumatore, ai fini della determinazione dell’indennità da corrispondere in caso di rimborso anticipato del credito, cosicché il consumatore possa calcolare, quantomeno approssimativamente, l’importo dell’indennità da versare in caso di recesso anticipato.

3)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera s), della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che nel contratto di credito

a)

debbano essere parimenti indicati i diritti inerenti al recesso delle parti del contratto di credito previsti dal diritto nazionale, in particolare il diritto di recesso del mutuatario per giusta causa ai sensi dell’articolo 314 del BGB nel caso di contratti di mutuo a tempo determinato.

b)

debba esser fatto riferimento, per tutti i diritti delle parti relativi al recesso dal contratto di credito, ai termini e ai requisiti di forma della relativa dichiarazione prescritti ai fini dell’esercizio del diritto di recesso».

B.   Causa C‑155/20

27.

Il 24 luglio 2014, il 3 gennaio 2015 e il 23 maggio 2015 tre diversi consumatori, rispettivamente BC, RT e SV, stipulavano contratti di credito con la Volkswagen Bank e la Skoda Bank, succursale della Volkswagen Bank, ai fini dell’acquisto di veicoli per uso privato da concessionarie di automobili. I fatti sono analoghi a quelli all’origine della causa C‑33/20, ad eccezione del fatto che SV e BC hanno dichiarato di voler recedere dal contratto successivamente all’integrale rimborso del finanziamento loro concesso. Quanto a SV, quest’ultima aveva già venduto il veicolo alla concessionaria presso la quale lo aveva originariamente acquistato prima di esercitare il diritto di recesso. In tale contesto, SV sostiene di aver diritto, per effetto dell’esercizio del proprio diritto di recesso, al rimborso della differenza tra il prezzo di acquisto, interessi compresi, e il prezzo di rivendita.

28.

Per quanto riguarda i contratti in questione, il giudice del rinvio ritiene che i documenti intitolati «Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori» forniti a RT, SV e BC non possano essere considerati parte integrante del contratto di credito in base al diritto tedesco, non essendo i documenti stessi conformi ai requisiti di forma previsti dall’articolo 492, paragrafo 1, del BGB sotto il profilo della numerazione delle pagine.

29.

Il giudice del rinvio rileva parimenti che, per quanto riguarda le condizioni in presenza delle quali il mutuante ha la facoltà di recedere dal contratto in questione per giusta causa, in tali contratti non è indicata la forma in cui il recesso deve essere effettuato, né il termine entro cui il mutuante deve dichiarare di voler recedere dal contratto, né è menzionato il diritto di recesso dal contratto del mutuatario ai sensi dell’articolo 314 del BGB.

30.

Ciò premesso, il Landgericht Ravensburg (Tribunale del Land, Ravensburg) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che nel contratto di credito

a)

debba essere indicato, espresso in valore numerico assoluto, il tasso d’interesse di mora applicabile al momento della conclusione del contratto di credito medesimo o, quantomeno, il tasso di riferimento applicabile (nel caso di specie, il tasso di base ai sensi dell’articolo 247 del [BGB]), in base al quale viene determinato, per effetto di una maggiorazione, il tasso d’interesse di mora applicabile (nel caso di specie, di 5 punti percentuali in forza dell’articolo 288, paragrafo 1, seconda frase, del BGB).

b)

il meccanismo di adeguamento del tasso d’interesse di mora debba essere esposto in termini concreti, quantomeno mediante riferimento alle disposizioni nazionali dalle quali sia desumibile l’adeguamento del tasso d’interesse di mora (articoli 247 e 288, paragrafo 1, seconda frase, del BGB).

2)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera r), della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che nel contratto di credito debba essere indicato un metodo di calcolo specifico, comprensibile per il consumatore, ai fini della determinazione dell’indennità da corrispondere in caso di rimborso anticipato del credito, cosicché il consumatore possa calcolare, quantomeno approssimativamente, l’importo dell’indennità da versare in caso di recesso anticipato.

3)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera s), della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che

a)

nel contratto di credito debbano essere parimenti indicati i diritti inerenti al recesso delle parti del contratto di credito previsti dal diritto nazionale, in particolare il diritto di recesso del mutuatario per giusta causa ai sensi dell’articolo 314 del BGB nel caso di contratti di credito a durata determinata;

b)

[in caso di risposta negativa alla questione, lettera a)] esso non osti ad una normativa nazionale, per effetto della quale la menzione di un diritto speciale di recesso costituisca un’informazione da inserire obbligatoriamente ai sensi dell’articolo medesimo;

c)

debba esser fatto riferimento, per tutti i diritti delle parti relativi al recesso dal contratto di credito, ai termini e ai requisiti di forma della relativa dichiarazione prescritti ai fini dell’esercizio del diritto di recesso.

4)

Se, in un contratto di credito ai consumatori, sia escluso che il mutuante possa eccepire la decadenza contro l’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore conformemente all’articolo 14, paragrafo 1, prima frase, della direttiva [2008/48],

a)

qualora una delle informazioni obbligatorie prescritte dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva [2008/48] non sia debitamente contenuta nel contratto di credito né sia stata debitamente fornita in seguito e, conseguentemente, il periodo di recesso di cui all’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva [2008/48] non abbia iniziato a decorrere;

b)

[in caso di risposta negativa alla precedente questione, lettera a)] qualora la decadenza sia essenzialmente fondata sul periodo decorso dalla conclusione del contratto e/o sul pieno adempimento del contratto da entrambe le parti e/o sulla disposizione da parte del mutuante del prestito rimborsato o sulla restituzione delle garanzie del credito e/o (in caso di contratto di compravendita collegato al contratto di credito) sull’uso o sulla cessione del bene finanziato da parte del consumatore, ma quest’ultimo non fosse a conoscenza della persistenza del proprio diritto di recesso, nel periodo rilevante e in presenza delle circostanze pertinenti, e non debba rispondere di tale ignoranza, mentre il mutuante non potesse del pari ritenere che il consumatore ne fosse al corrente.

5)

Se, in un contratto di credito ai consumatori, sia escluso che il mutuante possa eccepire l’abuso di diritto contro l’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, prima frase, della direttiva [2008/48]

a)

qualora una delle informazioni obbligatorie prescritte dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva [2008/48] non risulti debitamente contenuta nel contratto di credito né sia stata opportunamente fornita successivamente e, conseguentemente, il periodo di recesso non abbia iniziato a decorrere conformemente all’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva [2008/48];

b)

[in caso di risposta negativa alla precedente questione, lettera a)] qualora l’abuso di diritto sia essenzialmente fondato sul periodo decorso dalla conclusione del contratto e/o sul pieno adempimento del contratto da entrambe le parti e/o sulla disposizione da parte del mutuante del prestito rimborsato o sulla restituzione delle garanzie del credito e/o (in caso di contratto di compravendita collegato al contratto di credito) sull’uso o sulla cessione del bene finanziato da parte del consumatore, ma quest’ultimo non fosse a conoscenza della persistenza del proprio diritto di recesso, nel periodo rilevante e in presenza delle circostanze pertinenti, e non debba rispondere di tale ignoranza, mentre il mutuante non potesse del pari ritenere che il consumatore ne fosse al corrente».

C.   Causa C‑187/20

31.

Il 4 maggio 2017 e il 23 marzo 2019 due distinti consumatori, JL e DT, stipulavano contratti di credito rispettivamente con la BMW Bank e la Audi Bank (succursale della Volkswagen Bank), ai fini dell’acquisto di un autoveicolo per uso privato. Al pari di quanto avvenuto nel caso di UK nella causa C‑33/20 e di RT nella causa C‑155/20, i consumatori medesimi dichiaravano di voler recedere dal contratto di credito molto tempo dopo la scadenza del termine di 14 giorni dalla conclusione dello stesso, ma anteriormente al rimborso integrale del finanziamento. Anche in questo caso, nel tentativo di giustificare la tardività della propria richiesta, i consumatori stessi sostenevano che il termine per il recesso non avrebbe iniziato a decorrere a causa dell’insufficienza dell’informativa fornita nei contratti in oggetto.

32.

Per quanto riguarda i contratti oggetto delle due controversie, il giudice del rinvio precisa quanto segue.

33.

In primo luogo, tali contratti non contengono una specifica indicazione relativa alla tipologia di mutuo. Tuttavia, in entrambi i casi, nelle Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori ( 3 ) che, per effetto delle disposizioni del diritto tedesco, costituiscono parte integrante della documentazione contrattuale, viene dichiarato che esse riguardano un mutuo con rate di rimborso mensili di pari importo e a tasso d’interesse fisso ( 4 ).

34.

In secondo luogo, entrambi i contratti prevedono che il versamento della somma mutuata avrà luogo al momento della consegna del veicolo. Tuttavia, né l’uno né l’altro contratto precisano che, una volta versata la somma, venga meno l’obbligo di corrispondere al venditore il prezzo di vendita corrispondente alla somma mutuata e che l’acquirente possa pretendere la consegna del veicolo da parte del venditore a seguito dell’integrale pagamento del prezzo di vendita.

35.

In terzo luogo, riguardo alle informazioni relative ai tassi d’interesse di mora, il contratto stipulato da JL stabilisce che «[i]n caso di mora del mutuatario (…), verranno calcolati i rispettivi interessi in ragione del tasso di base applicabile maggiorato di 5 punti percentuali. Il tasso di base viene determinato il 1o gennaio e il 1o luglio di ogni anno e pubblicato dalla Deutsche Bundesbank nel Bundesanzeiger». Quanto a DT, con riguardo al tasso d’interesse di mora, il contratto di mutuo dispone quanto segue: «Successivamente alla risoluzione del contratto, Le saranno addebitati interessi di mora al tasso previsto dalla legge. Il tasso annuale degli interessi di mora è pari al tasso di base maggiorato di 5 punti percentuali». Inoltre, le «Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori», messe a disposizione del ricorrente, così recitano: «Il tasso annuale degli interessi di mora è pari al tasso di base maggiorato di 5 punti percentuali. Il tasso di base viene determinato il 1o gennaio e il 1o luglio di ogni anno dalla Deutsche Bundesbank».

36.

A parere del giudice del rinvio, tuttavia, in entrambi i casi i documenti forniti non chiariscono che il tasso d’interesse di base pubblicato dalla Banca federale tedesca corrisponde al tasso d’interesse fissato per la più recente operazione di rifinanziamento effettuata dalla BCE, né fanno riferimento all’articolo 247, paragrafo 1, del BGB, che indica tali informazioni.

37.

In quarto luogo, il giudice del rinvio rileva che i documenti forniti ai consumatori indicano i principali parametri applicabili ai fin della determinazione dell’indennità dovuta per il rimborso anticipato, ma non la formula esatta ai fini del suo calcolo.

38.

In quinto luogo, il giudice del rinvio osserva che i contratti in questione, sebbene facciano riferimento all’esistenza di un diritto di recesso del mutuatario per gravi motivi, non contengono riferimenti all’articolo 314 del BGB né indicazioni riguardo ai requisiti di forma e ai termini per far valere il recesso stesso.

39.

In sesto luogo, a parere del giudice remittente, i contratti in questione preciserebbero la possibilità, ai fini della composizione delle controversie con l’istituto di credito, di rivolgersi all’Ombudsmann der privaten Banken (ombudsman degli istituti di credito privati tedeschi) e che il «Verfahrensordnung für die Schlichtung von Kundenbeschwerden im deutschen Bankgewerbe» (Regolamento di procedura per la composizione dei reclami dei clienti nel settore bancario tedesco), che disciplina l’esame di tali reclami da parte di detto organo, è disponibile su richiesta ovvero è consultabile sul sito Internet del Bundesverband der Deutschen Banken (associazione federale degli istituti di credito tedeschi), ossia www.bdb.de. I contratti medesimi preciserebbero, inoltre, che eventuali reclami debbano essere indirizzati per iscritto all’ufficio reclami presso l’associazione federale degli istituti di credito tedeschi. Nel caso del contratto firmato da DT, viene indicato anche il numero di fax e l’indirizzo mail cui possono essere indirizzati i reclami. Tuttavia, il giudice del rinvio sottolinea che le condizioni di ammissibilità relative al contenuto obbligatorio di un reclamo, quali previste al punto 3 del regolamento di procedura di tale organo, non sarebbero indicate nel contratto stesso.

40.

Ciò premesso, il Landgericht Ravensburg (Tribunale del Land, Ravensburg) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera a), della [direttiva 2008/48] debba essere interpretato nel senso che, con riguardo al tipo di credito, occorra eventualmente indicare che si tratti di un contratto di credito collegato e/o a durata determinata.

2)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera d), della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che, nelle condizioni relative all’utilizzazione del credito previste dai contratti di credito collegati destinati al finanziamento dell’acquisto di un bene occorra indicare, nel caso di versamento della somma mutuata al venditore, che il mutuatario, a fronte dell’integrale versamento del prezzo di acquisto, sia liberato dal proprio obbligo di pagamento del prezzo a concorrenza della somma versata ed il venditore sia tenuto a consegnargli il bene acquistato.

3)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che

a)

debba essere indicato, espresso in valore numerico assoluto, il tasso d’interesse di mora applicabile al momento della conclusione del contratto di credito o, quantomeno, il tasso di riferimento applicabile (nel caso di specie, il tasso di base ai sensi dell’articolo 247 del [BGB]), in base al quale viene determinato, per effetto di una maggiorazione, il tasso d’interesse di mora applicabile (nel caso di specie, di 5 punti percentuali in forza dell’articolo 288, paragrafo 1, seconda frase, del BGB),

b)

il meccanismo di adeguamento del tasso d’interesse di mora debba essere illustrato in termini concreti, quantomeno mediante riferimento alle disposizioni nazionali dalle quali sia desumibile l’adeguamento del tasso d’interesse di mora (articoli 247 e 288, paragrafo 1, seconda frase, del BGB).

4)

a)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera r), della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che nel contratto di credito debba essere indicato un metodo di calcolo specifico, comprensibile per il consumatore, ai fini della determinazione dell’indennizzo da corrispondere in caso di rimborso anticipato del credito, cosicché il consumatore sia in grado di calcolare, quantomeno approssimativamente, l’importo dell’indennità da versare in caso di recesso anticipato.

b)

[in caso di risposta affermativa al quesito, lettera a)]:

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera r), e l’articolo 14, paragrafo 1, seconda frase, della direttiva [2008/48] ostino a una normativa nazionale, per effetto della quale, in caso di informazioni incomplete ai sensi del medesimo articolo 10, paragrafo 2, lettera r), il termine ai fini dell’esercizio del diritto di recesso inizi comunque a decorrere con la conclusione del contratto estinguendosi unicamente il diritto del mutuante all’indennità relativa al rimborso anticipato del credito.

5)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera s), della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che

a)

nel contratto di credito debbano essere parimenti indicati i diritti inerenti al recesso delle parti del contratto di credito previsti dalla normativa nazionale, in particolare il diritto di recesso del mutuatario per giusta causa ai sensi dell’articolo 314 del BGB nel caso di contratti di credito a durata determinata, con espressa menzione della disposizione che disciplina il diritto di recesso stesso.

b)

[in caso di risposta negativa al quesito, lettera a)]:

esso non osti ad una normativa nazionale, ai sensi della quale la menzione di un diritto speciale di recesso costituisca un’informazione obbligatoria ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera s), della direttiva [2008/48],

c)

debba esser fatto riferimento, per tutti i diritti delle parti relativi al recesso dal contratto di credito, ai termini e ai requisiti di forma della relativa dichiarazione prescritti ai fini dell’esercizio del diritto medesimo.

6)

Se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva [2008/48] debba essere interpretato nel senso che nel contratto di credito debbano essere indicati i requisiti di forma essenziali di un reclamo e/o ricorso nel meccanismo stragiudiziale di reclamo e di ricorso e se sia insufficiente il pertinente rinvio ad un regolamento di procedura relativo a detto meccanismo consultabile su Internet.

7)

Se, in un contratto di credito ai consumatori, sia escluso che il mutuante possa avvalersi dell’eccezione di decadenza contro l’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, prima frase, della direttiva [2008/48],

a)

qualora una delle informazioni obbligatorie prescritte dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva [2008/48] non sia contenuta nel contratto di credito come richiesto, né sia stata opportunamente fornita successivamente e, conseguentemente, pertanto il termine ai fini dell’esercizio del recesso non abbia iniziato a decorrere ex articolo 14, paragrafo 1, della direttiva [2008/48];

(b)

[in caso di risposta negativa al quesito, lettera a)]:

qualora la decadenza si fondi, essenzialmente, sul periodo decorso dalla conclusione del contratto e/o sul pieno adempimento del contratto da ciascuna parte contrattuale e/o sulla comunicazione da parte del mutuante relativa all’avvenuto rimborso del prestito o sulla restituzione delle garanzie del credito e/o (in caso di contratto di vendita collegato al contratto di credito) sull’uso o sulla cessione del bene finanziato da parte del consumatore, senza che quest’ultimo fosse peraltro a conoscenza della conservazione del proprio diritto di recesso, nel periodo de quo e nelle circostanze della specie e non dovendo rispondere di tale ignoranza, laddove il mutuante non potesse del pari ritenere che il consumatore ne fosse al corrente.

8)

Se, in un contratto di credito ai consumatori, sia escluso che il mutuante si avvalga dell’eccezione di esercizio abusivo del diritto contro l’esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, prima frase, della direttiva [2008/48]

a)

qualora una delle informazioni obbligatorie prescritte dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva [2008/48] non sia debitamente contenuta nel contratto di credito né sia stata opportunamente fornita successivamente e il termine previsto ai fini dell’esercizio del diritto di recesso non abbia iniziato a decorrere ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva [2008/48];

b)

[in caso di risposta negativa al quesito, lettera a)]:

qualora l’esercizio abusivo del diritto si fondi, essenzialmente, sul periodo decorso dalla conclusione del contratto e/o sul pieno adempimento del contratto da ciascuna parte contrattuale e/o sulla comunicazione da parte del mutuante relativa all’avvenuto rimborso del prestito o sulla restituzione delle garanzie del credito e/o (in caso di contratto di vendita collegato al contratto di credito) sull’uso o sulla cessione del bene finanziato da parte del consumatore, senza che quest’ultimo fosse peraltro a conoscenza della conservazione del proprio diritto di recesso, nel periodo de quo e nelle circostanze della specie e non dovendo rispondere di tale ignoranza, laddove il mutuante non potesse del pari ritenere che il consumatore ne fosse al corrente».

IV. Analisi

41.

In linea con la richiesta della Corte, propongo di limitare le mie conclusioni alle seguenti questioni:

la prima questione nella causa C‑33/20, la prima questione nella causa C‑155/20 e la terza questione nella causa C‑187/20;

la sesta questione nella causa C‑187/20;

la quarta questione nella causa C‑155/20 e la settima questione nella causa C‑187/20;

la quinta questione nella causa C‑155/20 e l’ottava questione nella causa C‑187/20.

A.   Osservazioni preliminari

42.

In limine, occorre anzitutto ricordare che una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un privato e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti. È ben vero che, per garantire ai privati la tutela giuridica prevista dalle disposizioni del diritto dell’Unione, i giudici nazionali chiamati a interpretare il loro diritto nazionale sono tenuti a interpretarlo quanto più possibile alla luce della lettera e dello scopo della direttiva di cui trattasi, onde conseguire il risultato fissato da quest’ultima ( 5 ). Tuttavia, detto obbligo di interpretazione conforme al diritto dell’Unione trova un limite nei principi generali del diritto, in particolare, nel principio della certezza del diritto, in quanto esso non può servire a fondare un’interpretazione contra legem ( 6 ). Di conseguenza, le risposte alle questioni sollevate dal giudice del rinvio possono essere invocate dai ricorrenti nei confronti dei rispettivi istituti di credito solo se, applicando i metodi interpretativi riconosciuti, la normativa nazionale di trasposizione della direttiva 2008/48 possa essere interpretata conformemente alle risposte stesse. Spetta al giudice del rinvio verificare se tale ipotesi ricorra nel caso di specie.

43.

In secondo luogo, desidero sottolineare che, a mio avviso, l’attuale giurisprudenza della Corte relativa agli obblighi di informazione previsti da altri provvedimenti normativi dell’Unione diretti a tutelare i diritti dei consumatori non può essere necessariamente trasposta, per semplice analogia, alla direttiva 2008/48. Infatti, conformemente ai metodi interpretativi riconosciuti dalla Corte, tali soluzioni possono essere effettivamente trasposte solo qualora la formulazione, il contesto e gli obiettivi delle disposizioni normative in questione siano identici o quantomeno molto simili. Nella specie, occorre prestare particolare attenzione, a mio avviso, al fatto che la direttiva 2008/48 prescrive obblighi di informazione più ampi di quelli contenuti, ad esempio, nella direttiva 93/13/CEE ( 7 ).

44.

In terzo luogo, per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2008/48, dai suoi considerando da 4 a 9 emerge che essa è volta ad agevolare il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo armonizzando gli obblighi di informazione cui sono tenuti i creditori, assicurando al contempo che tale mercato ispiri fiducia nei consumatori offrendo loro un livello elevato ed equivalente di tutela ( 8 ).

45.

Gli obblighi di informazione contenuti nella direttiva 2008/48 si fondano dunque, in parte, sulla premessa che un certo grado di standardizzazione contrattuale, almeno riguardo alle informazioni da inserire nei contratti, sia necessario per raggiungere un obiettivo del genere e, in parte, sulla premessa che il consumatore si trovi in una posizione di inferiorità rispetto al mutuante in relazione alle informazioni sugli effetti del contratto e sulla normativa applicabile ( 9 ). Per raggiungere gli obiettivi medesimi, la direttiva 2008/48 prevede una piena armonizzazione degli obblighi di informazione che possono essere imposti ai mutuanti ( 10 ) e, a tal fine, stabilisce una distinzione tra le informazioni che devono essere comunicate dai mutuanti nella propria pubblicità (articolo 4), nella fase precontrattuale (articolo 5) e nei contratti stessi (articolo 10) ( 11 ).

46.

Dal momento che la direttiva 2008/48 prevede obblighi di informazione in diverse fasi, detti obblighi, per quanto connessi, perseguono obiettivi leggermente diversi. In particolare, dai considerando 18 e 19 della direttiva stessa emerge che l’obbligo di fornire ai consumatori determinate informazioni in fase precontrattuale – previsto dall’articolo 5 della stessa – mira, in primo luogo, a consentire loro un raffronto tra le varie offerte ricevute e di scegliere quindi la più adatta. Quanto all’obbligo di fornire ai consumatori determinate informazioni in fase contrattuale, previsto dall’articolo 10 della direttiva 2008/48, dal considerando 31 della medesima risulta in modo chiaro che essa è finalizzata a consentire al consumatore di conoscere i propri diritti e obblighi derivanti dal contratto ( 12 ). Più precisamente, come affermato dalla Corte, detta disposizione mira a garantire che i consumatori dispongano di tutte le informazioni necessarie ai fini della corretta esecuzione del contratto e, in particolare, nella specie, ai fini dell’esercizio dei diritti del consumatore ( 13 ).

47.

Considerato che talune informazioni di cui all’articolo 10 della direttiva 2008/48 devono essere state precedentemente comunicate al consumatore nella fase precontrattuale, mentre altre vertono non sul contenuto del contratto, ma sulla normativa ad esso applicabile, è evidente che l’obiettivo del legislatore dell’Unione era di consentire ai consumatori di conoscere i loro diritti ed obblighi derivanti dal contratto, garantendo che, in caso di difficoltà, il consumatore possa fare riferimento allo stesso contratto per trovare la risposta al proprio problema, senza dover sostenere gli oneri della ricerca delle informazioni pertinenti ( 14 ).

48.

Occorre infine sottolineare che, poiché la direttiva 2008/48 è volta, in particolare, a facilitare il sorgere di un efficiente mercato interno del credito al consumo realizzando, a tal fine, una completa armonizzazione degli obblighi di informazione, indipendentemente dalle soluzioni che la Corte propone di adottare nell’ambito delle cause qui in esame, tutte le soluzioni devono essere il più possibile precise. Solo subordinatamente a tale condizione la certezza del diritto diverrebbe effettiva per gli operatori europei, fattore necessario per il sorgere del mercato de quo.

49.

Alla luce delle suesposte considerazioni, passo quindi alla risposta alle questioni poste.

B.   Prima questione nella causa C‑33/20, prima questione nella causa C‑155/20 e terza questione nella causa C‑187/20

50.

Con la prima questione nella causa C‑33/20, la prima questione nella causa C‑155/20 e la terza questione nella causa C‑187/20, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48 debba essere interpretato nel senso che nel contratto di credito debba, da un lato, essere indicato il tasso d’interesse di mora applicabile al momento della conclusione del contratto «in termini numerici concreti» e, dall’altro lato, debba essere specificamente descritto il meccanismo di adeguamento al tasso medesimo.

51.

Per quanto riguarda il primo capo della questione, occorre anzitutto ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il mero rinvio, operato in un contratto, ad un testo legislativo o regolamentare non può in alcun modo rispondere agli obblighi di informazione di cui alla direttiva 2008/48 ( 15 ).

52.

La versione in lingua tedesca dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48 prevede che nei contratti di credito al consumo debbano figurare «der Satz der Verzugszinsen gemäß der zum Zeitpunkt des Abschlusses des Kreditvertrags geltenden Regelung und die Art und Weise seiner etwaigen Anpassung sowie gegebenenfalls anfallende Verzugskosten», dove l’uso del termine «Regelung» potrebbe creare una certa ambiguità. Infatti, detto termine potrebbe riferirsi alle condizioni del contratto o alle norme legislative in vigore al momento della conclusione del contratto, il che significherebbe che, al fine di rispondere a tali requisiti normativi, sarebbe sufficiente riportare nel contratto il contenuto della normativa applicabile. Nella seconda ipotesi, che è quella sostenuta dal governo tedesco, solo nel caso in cui la disposizione menzionasse il tasso d’interesse applicabile come valore assoluto dovrebbero essere indicate le relative cifre.

53.

A tal riguardo, riconosco che l’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 non è affatto esplicito. Mi sembra, tuttavia, che la formulazione, il contesto e gli obiettivi della disposizione in esame propendano per un’interpretazione di quest’ultima nel senso che essa impone l’indicazione della cifra effettiva corrispondente al tasso applicabile il giorno della firma del contratto. Tale conclusione si fonda sui seguenti rilievi.

54.

Si può anzitutto rilevare che lo stesso tenore letterale dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48 indica che le informazioni richieste da tale articolo riguardano un tasso d’interesse. In base alla definizione generalmente data a tale termine, quest’ultimo fa riferimento ad una percentuale, vale a dire una frazione di cento ( 16 ). In effetti, la formula, il parametro di riferimento o l’indice di riferimento usati per calcolare un tasso, non sono il tasso stesso ( 17 ). Si potrebbe aggiungere che la direttiva 2008/48, laddove fa riferimento alle norme legislative vigenti al momento della conclusione del contratto, usa termini più espliciti, come nell’articolo 14, paragrafo 2 («das (…) geltende innerstaatliche Recht») e nell’articolo 14, paragrafo 6 o nell’articolo 15, paragrafo 2 («nach den geltende Rechtsvorschriften»).

55.

Cosa ancora più importante, nella versione in inglese, l’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48 fa riferimento a «the interest rate applicable in the case of late payments as applicable at the time of the conclusion of the credit agreement and the arrangements for its adjustment». Analogamente, la versione in francese menziona «le taux d’intérêt applicable en cas de retard de paiement applicable au moment de la conclusion du contrat de crédit et les modalités d’adaptation de ce taux».

56.

A mio avviso, il fatto che la disposizione de qua indichi in modo chiaro, almeno in alcune altre versioni linguistiche, che, da un lato, il tasso d’interesse da precisare debba essere quello applicabile «al momento della conclusione del contratto» e, dall’altro lato, che dette informazioni debbano essere date in aggiunta a quelle riguardanti le condizioni per modificare tale tasso, dimostra che l’espressione «tasso d’interesse» debba intendersi riferita non alla definizione di tale tasso o alla formula di calcolo usata a tale scopo, ma piuttosto alla percentuale corrispondente al tasso applicabile il giorno della firma del contratto. Infatti, la definizione del tasso o la formula di calcolo usata (nelle cause in oggetto, X+5, dove X è uguale al valore dell’interesse di base tedesco) non cambieranno senza la modifica del contratto.

57.

Se, dunque, la nozione di «tasso d’interesse» dovesse intendersi riferita alla formula di calcolo usata, non sarebbe stato necessario precisare che detto tasso dovesse essere quello applicabile alla data della conclusione del contratto o imporre in aggiunta l’indicazione delle modalità di modifica dello stesso. In particolare, per quanto riguarda tale secondo tipo di informazioni, se la nozione di «tasso d’interesse» dovesse intendersi riferita alla definizione o alla formula di calcolo usata, la modalità di modifica dello stesso sarebbe già contenuta nella definizione del tasso o nella formula di calcolo dello stesso, sotto forma di variabile o, come nel caso di specie, mediante un parametro di riferimento ( 18 ).

58.

Di certo, come hanno evidenziato talune parti, alcuni tassi d’interesse – come quelli oggetto del procedimento principale – possono variare, ma a mio avviso detto argomento avvalora piuttosto la conclusione esposta supra. In particolare, esso può spiegare perché l’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48 precisi non solo che il tasso da indicare debba essere soltanto quello applicabile al momento della conclusione del contratto, ma anche la necessità di indicare le modalità di modifica del tasso stesso.

59.

Di conseguenza, già il tenore dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48 tende già a dimostrare che detta disposizione debba essere interpretata nel senso che essa obblighi il mutuante ad indicare, segnatamente, già al momento della conclusione del contratto il tasso effettivamente applicato per gli interessi di mora.

60.

La suesposta conclusione in oggetto risulta avvalorata alla luce degli obiettivi e dell’economia generale della direttiva.

61.

In primo luogo, rilevo che l’articolo 3 della direttiva 2008/48 stabilisce, ogni qual volta dà una definizione di tasso, che questo debba essere espresso per mezzo di una percentuale. A mio avviso, dette precisazioni non costituiscono eccezioni alla definizione abituale della nozione di «tasso», come sostenuto dal governo tedesco, bensì ribadiscono piuttosto che tali definizioni mirano a precisare in qual modo la percentuale in oggetto debba essere calcolata, in funzione della natura del tasso in questione ( 19 ).

62.

In tale contesto, con riguardo alla definizione della nozione di «tasso», se il legislatore avesse voluto obbligare il mutuante a non indicare la percentuale effettiva corrispondente al tasso d’interesse applicabile al momento della conclusione del contratto bensì meramente la formula ai fini del suo calcolo, si sarebbe presumibilmente adoperato per precisarlo.

63.

In secondo luogo, quanto agli obiettivi perseguiti dall’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48, rilevo che tale disposizione è volta a consentire ai consumatori europei di conoscere i propri diritti ed obblighi. Da tale prospettiva, si può riconoscere – come sottolineato da alcune parti – che, dal punto di vista dell’esecuzione del contratto, l’indicazione del tasso effettivamente applicabile il giorno della conclusione del contratto, considerato isolatamente, è di scarso interesse, in quanto è molto probabile che esso muti successivamente.

64.

Tuttavia, è difficilmente contestabile che richiedere l’indicazione di una percentuale corrispondente al tasso d’interesse di mora al momento della conclusione del contratto aiuti il consumatore a conoscere le conseguenze di una mora nel pagamento ( 20 ) e ciò mi sembra più significativo dell’utilizzo di una formula di calcolo o dell’indicazione di un parametro astratto o tasso di riferimento. Inoltre, non si tratta delle uniche informazioni richieste dall’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48. In particolare, il problema dell’aggiornamento delle informazioni è specificamente disciplinato da tale disposizione che esige altresì l’indicazione delle modalità di modifica del tasso stesso. Conseguentemente, non si può ritenere che l’indicazione di tale percentuale sarebbe insufficiente per consentire al consumatore dell’Unione di conoscere le possibili conseguenze derivanti da mora nel pagamento.

65.

Si può infine osservare che l’obbligo di indicare il tasso d’interesse applicabile in caso di mora nel pagamento è inserito non solo tra le informazioni da fornire nel contratto, ma è anche tra le informazioni da fornire nella fase precontrattuale, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2008/48. Di conseguenza, la nozione di «tasso degli interessi in caso di ritardi di pagamento» deve essere interpretata in modo tale da soddisfare gli obiettivi perseguiti dall’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48 e dall’articolo 5, paragrafo 1, lettera l), della medesima.

66.

Sotto tale profilo, per quanto riguarda l’obiettivo degli obblighi di informazioni precontrattuali di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, dal considerando 18 della stessa direttiva risulta che detti obiettivi sono, tra l’altro, quelli di infondere fiducia nei consumatori, fornendo «disposizioni specifiche sulla pubblicità relativa ai contratti di credito e su alcune informazioni di base da fornire ai consumatori per metterli in grado, in particolare, di paragonare le varie offerte». Tali informazioni devono “essere fornite in forma chiara, concisa e graficamente evidenziata mediante un esempio rappresentativo” ( 21 ).

67.

Va rilevato, a tal riguardo, che, secondo costante giurisprudenza, le disposizioni del diritto dei consumatori dell’Unione devono essere interpretate con riferimento non alla situazione dei ricorrenti del caso di specie, ma a quella di un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto ( 22 ). Dal considerando 6 della direttiva 2008/48 risulta quindi in modo evidente che quest’ultima persegue come obiettivo lo sviluppo di un mercato creditizio più trasparente ed efficiente nello spazio senza frontiere interne. Dal momento che, inoltre, il fondamento normativo accolto ai fini della sua adozione era l’articolo 95 CE (divenuto l’articolo 114 TFUE) – che può giustificare l’adozione di misure di armonizzazione solo se volte a migliorare le condizioni di funzionamento del mercato interno ( 23 ) ‐ si può dedurre che la comparabilità delle offerte, che l’articolo 5 della direttiva 2008/48 mira a facilitare, sia da intendersi con riferimento alla situazione non di un consumatore nazionale, bensì di un consumatore europeo ( 24 ).

68.

In ogni caso, occorre naturalmente riconoscere che il consumatore medio non ha la competenza dello specialista finanziario. Appare quindi ragionevole supporre che il consumatore medio, che può, inoltre, risiedere in un altro Stato membro, non possa comprendere agevolmente – e dunque raffrontare – i vari tassi d’interesse di mora applicabili se l’unica informazione che gli viene fornita è la formula di calcolo usata per determinare detto tasso in un dato momento, in particolare quando tale formula riguardi un tasso, un parametro o un indice di riferimento di carattere nazionale. A mio avviso, è proprio per dare al consumatore europeo un termine di paragone che la direttiva 2008/48 prevede che ogni contratto di credito al consumo debba indicare il tasso d’interesse applicabile e non semplicemente il metodo del suo calcolo o della sua modifica.

69.

Ciò detto, benché potesse essere utile che la direttiva fosse più esplicita al riguardo, alla luce soprattutto della formulazione dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48, ritengo che l’obbligo di indicare il «tasso degli interessi in caso di ritardi di pagamento» debba intendersi nel senso dell’obbligo di indicare nei contratti la percentuale corrispondente al tasso d’interesse che si applicherebbe in caso di mora del mutuatario al momento della firma del contratto ( 25 ).

70.

Per quanto riguarda il secondo capo della questione relativa alle modalità di modifica del tasso d’interesse di mora, dalla formulazione dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48 risulta che dette modalità debbano parimenti essere indicate nel contratto di credito.

71.

Tenuto conto delle spiegazioni date nelle domande di pronuncia pregiudiziale, le questioni sollevate dal giudice del rinvio devono, a mio avviso, intendersi relative al grado di precisione che l’informazione relativa a tale aspetto debba presentare nel contratto. Forse, più specificamente, la questione riguarda l’esistenza di un obbligo, in capo all’istituto di credito, di indicare quando il tasso d’interesse si basi su un tasso di riferimento, da chi, quando e in base a quali criteri detto tasso sia determinato.

72.

A tal riguardo, occorre osservare che, secondo la giurisprudenza della Corte, il mutuante non può adempiere uno dei propri obblighi di informazione sanciti dall’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 inserendo nel contratto un semplice rinvio alle disposizioni legislative applicabili ( 26 ). Tuttavia, non ritengo che l’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva medesima debba essere interpretato nel senso che esso imponga al mutuante di spiegare, laddove venga utilizzato un tasso di riferimento ai fini del calcolo del tasso d’interesse, in qual modo detto tasso di riferimento debba essere modificato o addirittura, qualora ciò si verifichi, come nella specie, che il tasso di riferimento impiegato corrisponda a un tasso pubblicato dalla BCE.

73.

Sono giunto a tale conclusione in base alle seguenti riflessioni.

74.

In primo luogo, se un tasso d’interesse è calcolato sulla base di una formula contenente una variabile, l’uso di tale variabile sarà la modalità o una delle modalità di modifica del tasso d’interesse. Se, come nelle cause in esame, non vi è altro modo per adeguare il tasso, è quindi sufficiente, per soddisfare i requisiti di cui all’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48, che il contratto indichi la formula di determinazione del tasso applicabile usando la variabile stessa e, laddove questa sia un tasso di riferimento, indichi il soggetto da cui il tasso stesso provenga nonché dove e con quale frequenza esso venga pubblicato.

75.

In secondo luogo, rilevo che, in considerazione delle fattispecie oggetto delle cause qui in esame, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 è stato modificato nel senso della precisazione che laddove un contratto di credito al consumo rinvii a un indice di riferimento ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, punto 3, del regolamento (UE) 2016/1011 ( 27 ), il mutuante o, se del caso, l’intermediario del credito deve informare il mutuatario in merito alla denominazione dell’indice di riferimento e del soggetto preposto alla sua amministrazione nonché ai potenziali effetti per il consumatore (il che implica, a mio avviso, la precisazione della frequenza con cui tale indice è pubblicato) ( 28 ). Tuttavia, non può ritenersi che il mutuante sia tenuto ad illustrare in qual modo l’indice di riferimento sia stato determinato.

76.

Infine, precisare nel dettaglio le modalità con cui il tasso di riferimento viene fissato non appare necessario per conseguire gli obiettivi di cui agli articoli 5 e 10 della direttiva, potendo persino risultare controproducente. Infatti, trattandosi di un tasso di riferimento pubblicato da una banca centrale, esso può dipendere, in parte, da dati macroeconomici e, in parte, da considerazioni di politica monetaria (tra cui, in particolare, questioni di stabilità dei prezzi e di inflazione). Ogni tentativo di spiegare le modalità con cui detto tasso viene modificato comporterebbe da parte del mutuante un onere sproporzionato rispetto a quello relativo alla produzione delle altre informazioni di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48. Il volume di un’informativa di tal genere potrebbe, di per sé, presentare il rischio di sommergere il consumatore con una massa di informazioni e dati di carattere finanziario ed economico ( 29 ). Un obbligo di tal genere potrebbe risultare molto gravoso per il mutuante ed è lecito dubitare del fatto che, in assenza di una disciplina in senso contrario di tenore assolutamente univoco, il legislatore dell’Unione abbia mai inteso prevederlo.

77.

Nel caso di specie, le clausole controverse nei procedimenti principali precisano che il tasso di riferimento applicato nella formula di calcolo del tasso d’interesse di mora è pubblicato dalla Banca federale tedesca e il tasso stesso viene fissato al 1o gennaio e al 1o luglio di ogni anno. Trattandosi di un tasso ufficiale, liberamente consultabile sul sito della Banca federale tedesca, ritengo che tale indicazione sia sufficiente per consentire al consumatore medio europeo – presumibilmente, ragionevolmente informato e attento – di comprendere da chi, dove e quando tale tasso venga pubblicato.

78.

È ben vero che tali riferimenti contrattuali non precisano che il tasso d’interesse applicato corrisponde ad un tasso pubblicato dalla BCE. Tuttavia, nulla nella formulazione dell’articolo 5 o dell’articolo 10 della direttiva 2008/48 suggerisce che tale indicazione sia indispensabile. Non vedo peraltro in qual modo le informazioni in esame sarebbero necessarie ai fini della comparabilità delle offerte né in qual modo esse aiuterebbero il consumatore a conoscere i propri diritti ed obblighi. Ciò che rileva per il consumatore è comprendere le conseguenze derivanti dal contratto ( 30 ) e, sotto tale profilo, è, a mio avviso sufficiente sapere che il tasso applicato sia un tasso giuridicamente valido e sapere dove lo si possa trovare.

79.

Alla luce dei suesposti rilievi, suggerisco alla Corte di rispondere alla prima questione nella causa C‑33/20, alla prima questione nella causa C‑155/20 e alla terza questione nella causa C‑187/20, dichiarando che l’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che nel contratto di credito deve essere indicato anzitutto il tasso d’interesse di mora applicabile al momento della conclusione del contratto di credito per mezzo di una percentuale e, in secondo luogo, laddove il tasso possa variare, la formula di calcolo utilizzata ai fini del calcolo del tasso applicabile e, in caso di ricorso, a titolo di variabile, ad un tasso o indice di riferimento, la data e il luogo della pubblicazione, nonché il soggetto che l’ha pubblicato.

C.   Sesta questione nella causa C‑187/20

80.

Con la sesta questione nella causa C‑187/20, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48 debba essere interpretato nel senso che nel contratto di credito debbano essere indicati i requisiti di forma essenziali ai fini della proposizione di un reclamo e/odi un ricorso stragiudiziale o se sia sufficiente il mero rinvio del contratto alle norme procedurali poste a disciplina di tale meccanismo consultabile su Internet.

81.

Si potrebbe anzitutto osservare che, in virtù dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48, i contratti di credito al consumo devono indicare «l’eventuale esistenza di un meccanismo extragiudiziale di reclamo e di ricorso a disposizione del consumatore e, se tale meccanismo esiste, le modalità di accesso allo stesso». Di conseguenza, per rispondere alla questione, occorre acclarare cosa tale disposizione intenda per «modalità di accesso a un meccanismo extragiudiziale di reclamo o di ricorso».

82.

Secondo costante giurisprudenza della Corte, le disposizioni del diritto dell’Unione, nei limiti in cui non rinviino al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del proprio significato e della propria portata, devono di norma essere oggetto, nell’intera Unione, di un’interpretazione autonoma e uniforme. Tale interpretazione deve effettuarsi tenendo conto non solo dei termini della medesima, ma anche del contesto della disposizione e dello scopo perseguito dalla normativa de qua ( 31 ). Poiché la direttiva 2008/48 non rinvia al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del significato dell’espressione «modalità di accesso a un meccanismo extragiudiziale di reclamo o di ricorso», essa deve essere considerata quale nozione autonoma del diritto dell’Unione ed essere quindi interpretata in modo uniforme in tutta l’Unione europea.

83.

A tal riguardo, rilevo, da un lato, che le modalità di accesso che devono essere indicate nel contratto ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48 sono quelle relative al meccanismo extragiudiziale di reclamo e di ricorso, che non include solamente procedure interne di reclamo, bensì anche procedure esperibili dinanzi a un organismo distinto ( 32 ). D’altronde, come sembra verificarsi nel caso della procedura di reclamo dinanzi all’ombudsman tedesco degli istituti di credito, il «meccanismo extragiudiziale di reclamo e di ricorso» di cui all’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48 può essere soggetto a particolari condizioni di ammissibilità potendo essere, inoltre, modificato dall’organo competente.

84.

Contrariamente a quanto affermato da alcune parti, tuttavia, queste sole circostanze non possono giustificare l’interpretazione dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48 nel senso che un contratto possa semplicemente rinviare, al riguardo, ad un sito Internet in base al rilievo che, diversamente ragionando, risulterebbe sostanzialmente impossibile gestire eventuali modifiche delle norme procedurali applicabili. È ben vero che imporre al mutuante di inserire nel contratto informazioni diverse dall’indirizzo di un sito Internet dedicato alle procedure in questione significherà necessariamente che, in caso di modifica dell’elenco delle procedure extragiudiziali disponibili di reclamo o di ricorso o delle modalità per adire uno degli organi competenti, il contenuto del contratto dovrà essere aggiornato. Risulterebbe in effetti contraria agli obiettivi della direttiva 2008/48 un’interpretazione dell’articolo 10 della medesima direttiva nel senso di non imporre al mutuante di procedere a un siffatto aggiornamento, in quanto, come già illustrato, le informazioni cui viene fatto riferimento nella disposizione de qua sono quelle ritenute dal legislatore dell’Unione essenziali nell’esecuzione del contratto ( 33 ).

85.

Tuttavia, un siffatto obbligo di aggiornamento non costituisce un onere irragionevole per i creditori. Da un lato, negli ultimi venti anni lo sviluppo di strumenti per la gestione dei contratti ha reso molto più semplice e meno costoso il controllo dei contratti da parte del mutuante. D’altra parte, l’attuazione di tale aggiornamento non presenta alcuna difficoltà sotto il profilo giuridico. Infatti, una clausola che si limita a menzionare l’esistenza o meno di procedure extragiudiziali di reclamo e di ricorso a disposizione del consumatore, nonché i metodi per accedervi, presenta un valore più informativo che normativo, poiché non stabilisce la portata dei diritti e degli obblighi delle parti. Di conseguenza, l’aggiornamento delle informazioni in oggetto non costituisce una modifica del contratto a cui, ad esempio, il consumatore potrebbe opporsi.

86.

In ogni caso, si può osservare che l’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 prevede che i consumatori ricevano copia del contratto di credito. L’uso della parola «ricevono» implica che il consumatore non debba accedere a un link su Internet né compiere alcuna azione per accedere alle condizioni del contratto ( 34 ). Inoltre, la Corte ha già dichiarato che il mutuante non può assolvere l’obbligo di informazione ex articolo 10 della direttiva 2008/48 semplicemente indicando nel contratto dove tali informazioni possano essere reperite ( 35 ).

87.

Nell’assunto che il giudice del rinvio sembra esserne già consapevole, ritengo che i quesiti dal medesimo sollevati siano da intendersi nel senso che riguardino più specificamente la questione di cosa l’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48 intenda per «modalità di accesso» e, ancora, quale grado di precisione debba esigersi dalla relativa informativa contenuta nel contratto.

88.

A tal proposito, si deve nuovamente ricordare che, secondo costante giurisprudenza, ai fini dell’interpretazione di una disposizione di diritto dell’Unione si deve tener conto sia della lettera della disposizione stessa, sia del suo contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa di cui essa fa parte ( 36 ).

89.

Per quanto riguarda il tenore letterale dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48, dai termini scelti dal legislatore, ossia in tedesco, «die Voraussetzungen für diesen Zugang» (in inglese, «methods for having access» oppure in francese, «modalités d’accès à ces dernières» ( 37 )) si può dedurre che le informazioni da fornire ai consumatori implichino un quid di diverso dalla semplice menzione delle varie procedure esistenti. Tuttavia, rilevo altresì che gli stessi termini si riferiscono soltanto all’«accesso» a tali procedure e non al loro funzionamento. Essi non esigono un livello di specificazione tale che il mutuante debba riprodurre in extenso tutte le norme procedurali applicabili in ogni documento contrattuale fornito al consumatore.

90.

A mio avviso, ciò appare confermato dal contesto in cui si colloca la disposizione de qua, considerato che l’incipit dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 precisa che le informazioni devono essere indicate in modo chiaro e conciso, il che implica che devono essere menzionate solo le informazioni essenziali.

91.

Infine, quanto all’obiettivo perseguito dall’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48, rilevo che «l’eventuale esistenza di un meccanismo extragiudiziale di reclamo e di ricorso a disposizione del consumatore e, se tale meccanismo esiste, le modalità di accesso allo stesso» non ricadono tra le informazioni che devono essere fornite ai consumatori nella fase precontrattuale ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2008/48. Da ciò appare evidente che il legislatore dell’Unione ha ritenuto dette informazioni essenziali non ai fini del raffronto tra offerte, ma piuttosto ai fini della risoluzione di problemi che possono sorgere durante l’esecuzione del contratto ( 38 ). Lo scopo perseguito da tale disposizione consiste, quindi, nell’incoraggiare il consumatore a ricorrere a tali procedure. Tutto ciò implica, a mio avviso, che le informazioni fornite siano sufficienti ad evitare qualsiasi obiezione al riguardo.

92.

Si può pertanto concludere che le informazioni sulle modalità di accesso ad eventuali procedure extragiudiziali di reclamo o di ricorso applicabili che devono essere inserite nel contratto ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48 si limitano a quelle necessarie a garantire che il mutuatario possa decidere con piena cognizione di causa circa l’opportunità di ricorrere a una delle procedure medesime e, in secondo luogo, che questi possa proporre il reclamo o ricorso senza il timore di essere permanentemente privato della possibilità di far valere i propri diritti.

93.

Quest’ultimo aspetto mi sembra tanto più importante in quanto l’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48 fa riferimento a qualsiasi procedura extragiudiziale di reclamo o di ricorso, indipendentemente dal suo carattere facoltativo o obbligatorio. Tuttavia, ritengo che tale obiettivo non imponga un’indicazione dettagliata delle norme procedurali applicabili, tra cui quelle relative all’ammissibilità, fintantoché la loro mancata osservanza non privi definitivamente il consumatore della possibilità di far valere i propri diritti.

94.

Più specificamente, tutto ciò implica che nel contratto di credito al consumo debbano figurare i seguenti elementi:

tutte le procedure extragiudiziali di reclamo o di ricorso a disposizione del consumatore (non solo quelle che sarebbero implicitamente preferite dal mutuante), ad eccezione delle procedure ad hoc;

se del caso, i relativi costi (e, in tal caso, la necessità di essere rappresentati) ( 39 );

se il reclamo o ricorso debba essere presentato in formato cartaceo o per via elettronica;

l’indirizzo fisico e l’indirizzo di posta elettronica al quale tale reclamo o ricorso debba essere inviato;

i requisiti di forma da osservare, ma solo se la loro mancata osservanza possa portare al rigetto definitivo della domanda, senza possibilità di sanatoria.

95.

Detta conclusione non è rimessa in discussione, a mio avviso, dalla direttiva 2013/11. È pur vero che quest’ultima prevede meramente, all’articolo 13, paragrafo 2, che i professionisti, chiunque essi siano, debbano indicare sul loro sito web, ove esista, e se del caso nelle condizioni generali applicabili al contratto di vendita o di servizi tra questo e un consumatore, l’organismo o gli organismi ADR (risoluzione alternativa delle controversie) competenti per i professionisti medesimi, laddove questi si impegnino o siano tenuti a ricorrere a tali organismi per risolvere controversie con i consumatori, nonché il rispettivo sito web. Tuttavia, l’articolo 3, paragrafo 1, della medesima direttiva stabilisce che le disposizioni di quest’ultima prevalgono solo nel caso in cui una qualsiasi disposizione della stessa sia in conflitto con una disposizione prevista in un altro atto giuridico dell’Unione riguardante le procedure extragiudiziali di ricorso avviate da un consumatore nei confronti di un professionista. Considerato che la direttiva 2013/11 realizza un’armonizzazione minima ( 40 ), affinché possa sussistere un conflitto con un’altra direttiva la direttiva 2013/11 deve prevedere un criterio più elevato rispetto all’altra direttiva confliggente ( 41 ). Poiché la direttiva 2008/48 contempla chiaramente obblighi di informazione più elevati rispetto alla direttiva 2013/11 (e non viceversa) ( 42 ), risulta che non vi è alcun motivo per dare precedenza all’obbligo di fornire informazioni previsto dall’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2013/11 rispetto ai requisiti previsti dall’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48 ( 43 ).

96.

Nel procedimento principale nella causa C‑187/20, i contratti di credito al consumo in questione indicano la possibilità di avviare una procedura di reclamo dinanzi all’ombudsman degli istituti di credito privati. Tali contratti precisano altresì che le norme procedurali per l’esame dei reclami dei clienti nel settore bancario tedesco sono disponibili su richiesta o possono essere consultati su Internet e che i reclami devono essere inviati per iscritto al recapito ivi indicato.

97.

A mio avviso, tali indicazioni devono essere ritenute sufficienti a soddisfare i requisiti di cui all’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48, a condizione che, in primo luogo, non esistano altre procedure extragiudiziali di reclamo o di ricorso applicabili al tipo di contratto de quo, in secondo luogo, che la procedura di reclamo dinanzi all’ombudsman degli istituti di credito privati sia gratuita e non richieda una rappresentanza legale e, in terzo luogo, che non vi siano altri requisiti di forma cui sia subordinata la proposizione del reclamo dinanzi a tale organismo distinti dall’obbligo di notifica per iscritto al recapito indicato, il mancato rispetto dei quali possa definitivamente precludere al ricorrente l’accesso a detta particolare procedura.

98.

Alla luce dei suesposti rilievi, propongo alla Corte di rispondere alla sesta questione nella causa C‑187/20 dichiarando che l’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che il contratto di credito deve elencare tutte le procedure extragiudiziali di reclamo o di ricorso a disposizione del consumatore; se del caso, i costi di ciascuna di esse; se il reclamo o ricorso debba essere presentato in formato cartaceo o per via elettronica; l’indirizzo fisico o l’indirizzo di posta elettronica al quale tale reclamo o ricorso debba essere inviato e i requisiti di forma da osservare, laddove la loro mancata osservanza possa comportare la perdita di ogni possibilità per il consumatore di far valere i propri diritti.

D.   Quarta questione nella causa C‑155/20 e settima questione nella causa C‑187/20

99.

Con la quarta questione nella causa C‑155/20 e la settima questione nella causa C‑187/20, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 debba essere interpretato nel senso che il mutuante possa eccepire la decadenza nel caso in cui il consumatore eserciti il proprio diritto di recesso molto tempo dopo il periodo di 14 giorni dalla conclusione del contratto, previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, lettera a), a causa della mancata indicazione, nel contratto o successivamente, di una delle informazioni di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della medesima direttiva. Il giudice del rinvio chiede inoltre se, in caso di risposta affermativa a detta questione, il fatto che il mutuatario non fosse a conoscenza della persistenza del proprio diritto di recesso oltre il termine di 14 giorni previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 possa precludere l’applicazione dell’eccezione di decadenza.

100.

Il punto di partenza è, nella specie, il tenore dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48, a termini del quale «[i]l consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni di calendario per recedere dal contratto di credito senza alcuna motivazione». In base alla seconda frase della disposizione de qua, tale periodo decorre, come indicato alla lettera a), dal giorno della conclusione del contratto di credito oppure, come indicato alla lettera b), dal giorno in cui «il consumatore riceve le condizioni contrattuali e le informazioni di cui all’articolo 10, se tale giorno è posteriore».

101.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, la questione relativa all’esistenza di un possibile termine non è lasciata alla discrezionalità degli Stati membri, ma rientra piuttosto nei settori armonizzati dalla direttiva 2008/48. Ritengo, infatti, che gli Stati membri, qualora fosse loro consentito di stabilire la durata di tale periodo nel rispettivo ordinamento nazionale, potrebbero pregiudicare, richiamandosi alle disposizioni dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera b), in relazione al periodo di esercizio del diritto di recesso, l’armonizzazione operata dall’articolo 14, paragrafo 1, lettera a). Sembra evidente che, omettendo di associare un termine a tale norma, il legislatore dell’Unione intendesse deliberatamente consentire ai consumatori di recedere finché essi non abbiano ricevuto tutte le informazioni, indipendentemente dalla natura (e quindi dalla rilevanza economica) delle informazioni omesse.

102.

In tale contesto, si deve ritenere che l’assenza di un limite temporale sia esattamente l’obiettivo che il legislatore dell’Unione ha inteso conseguire al fine di sanzionare il mutuante che non abbia adempiuto gli obblighi di informazione ex articolo 10 della direttiva de qua. Si tratta, dunque, di una sanzione aggiuntiva rispetto a quella che gli Stati membri devono prevedere a norma del successivo articolo 23, in ordine alla quale essi non dispongono peraltro di alcuna discrezionalità.

103.

Ciò detto, il fatto che il mutuante non possa far valere un limite temporale deve essere visto come un aspetto della disciplina legislativa, regolamentare e amministrativa degli Stati membri in materia di contratti di credito al consumo che deve essere considerato ricompreso nella ratio della piena armonizzazione realizzata dalla direttiva de qua.

104.

In altre parole, appare necessariamente implicito, in tale sistema normativo, che il mutuante non possa invocare l’effettivo grado di consapevolezza del consumatore quale motivo per giustificare il proprio inadempimento agli obblighi informativi dati dall’articolo 10 della direttiva.

105.

Ciò è tanto più vero in quanto, ponendo a raffronto le disposizioni della direttiva in esame con quelle di altre direttive che prevedono un diritto di recesso per i consumatori, si vedrà che quando il legislatore dell’Unione ha inteso consentire a un professionista di invocare un termine, lo ha espressamente indicato, come è avvenuto, ad esempio, nel caso dell’articolo 10, paragrafo 1, della direttiva 2011/83 ( 44 ). Sebbene tale direttiva sia successiva alla direttiva 2008/48, non modificare la direttiva 2008/48 per adottare una soluzione simile è stata una scelta del legislatore dell’Unione.

106.

Ciò detto, l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 prevede un diritto di recesso e non un diritto di rinuncia ( 45 ). Dal momento che l’adempimento di un contratto costituisce il modo naturale in cui viene meno un obbligo contrattuale di quel tipo, concluderei dunque che l’articolo 14, paragrafo 1, di detta direttiva debba essere interpretato nel senso che il diritto di recesso previsto da tale disposizione non possa più essere esercitato una volta che il contratto di credito sia stato interamente eseguito da entrambe le parti.

107.

Tale conclusione risulta avvalorata dal considerando 34 della direttiva 2008/48, il quale precisa che quest’ultima ha previsto un diritto di recesso con modalità simili a quelle previste dalla direttiva 2002/65, mentre l’articolo 6, paragrafo 2, lettera c), di quest’ultima precisa che il diritto di recesso da essa istituito non si applica «ai contratti interamente eseguiti da entrambe le parti su richiesta esplicita del consumatore prima che quest’ultimo eserciti il suo diritto di recesso» ( 46 ).

108.

D’altra parte, si può ricordare che lo scopo degli obblighi di informazione di cui all’articolo 10 della direttiva 2008/48 consiste nel permettere ai consumatori di conoscere la portata dei loro diritti ed obblighi durante l’esecuzione del contratto. Detti obblighi non hanno dunque più alcuna utilità una volta che il contratto sia stato integralmente eseguito. Di conseguenza, non sembra necessario, ai fini del raggiungimento degli obiettivi perseguiti da tale disposizione, consentire ai consumatori di esercitare il proprio diritto di recesso una volta che il contratto sia stato effettivamente già eseguito.

109.

Ciò premesso, propongo alla Corte di rispondere alla quarta questione nella causa C‑155/20 e alla settima questione nella causa C‑187/20 dichiarando che l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che il mutuante non può impedire al consumatore di esercitare il proprio diritto al recesso qualora nel contratto di credito non siano ancora state fornite tutte le informazioni previste dall’articolo 10, paragrafo 2, della stessa direttiva. Tuttavia, tale diritto non può più essere esercitato una volta che siano stati interamente adempiuti tutti gli obblighi contrattuali.

E.   Quinta questione nella causa C‑155/20 e ottava questione nella causa C‑187/20

110.

Con la quinta questione nella causa C‑155/20 e l’ottava questione nella causa C‑187/20, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se il principio del divieto di esercizio abusivo di diritti possa essere invocato dal mutuante al fine di impedire al consumatore di esercitare il proprio diritto di recesso ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, prima frase, della direttiva 2008/48, quando dalla conclusione del contratto sia già trascorso un periodo significativo.

111.

Si potrebbe anzitutto osservare che la direttiva 2008/48 non contiene alcuna norma riguardante il possibile esercizio abusivo dei diritti da essa conferiti. Inoltre, gli Stati membri non possono invocare disposizioni o principi, anche di rango costituzionale, per escludere l’applicazione del diritto dell’Unione ( 47 ).

112.

Si può osservare, tuttavia, che il diritto dell’Unione sancisce un principio generale del diritto in base al quale i soggetti dell’ordinamento non possono avvalersi fraudolentemente o abusivamente delle norme dell’Unione ( 48 ). Di conseguenza, nei settori disciplinati da tale diritto, la possibilità di invocare il carattere abusivo dell’esercizio, da parte di una persona, di un diritto riconosciutole dal rispettivo ordinamento, deve essere valutata esclusivamente in relazione al principio medesimo e non ai requisiti dell’ordinamento nazionale.

113.

Nell’ambito del procedimento pregiudiziale, spetta alla Corte chiarire l’ambito di applicazione di un principio generale del diritto dell’Unione, fornendo, ove necessario, precisazioni relative all’interpretazione da dare a detto principio nelle circostanze prospettate dal giudice del rinvio nella questione dallo stesso sollevata ( 49 ) e spetta al giudice del rinvio verificare se tale situazione corrisponda alle circostanze di fatto del caso di specie e, di conseguenza, giungere a una conclusione definitiva circa l’adeguata applicazione del principio di cui trattasi in una determinata causa ( 50 ).

114.

Per quanto riguarda il principio generale del divieto di abuso di diritto, la Corte ha già avuto occasione di precisare che l’applicazione di detto principio richiede che ricorrano un elemento oggettivo e un elemento soggettivo ( 51 ).

115.

Per quanto riguarda l’elemento oggettivo, esso implica che da un insieme di circostanze oggettive debba emergere che, nonostante il rispetto formale delle condizioni previste dalla normativa dell’Unione, il risultato dell’esercizio del diritto in questione risulti in evidente contrasto con l’obiettivo perseguito dalla normativa medesima ( 52 ).

116.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, occorre che da un insieme di circostanze oggettive debba risultare che lo scopo essenziale delle operazioni in questione consista nel conseguimento di un indebito vantaggio dall’applicazione del diritto dell’Unione. Di conseguenza, il principio del divieto di pratiche abusive non è applicabile nel caso in cui risulti probabile che le relative operazioni ‐ e, più in particolare, la scelta di esercitare talune opzioni giuridiche o di ricorrere a determinati meccanismi ‐ abbiano una giustificazione a sé stante diversa dal semplice conseguimento di un siffatto vantaggio ( 53 ).

117.

Nella specie, è pacifico che l’obiettivo del diritto di recesso previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 consista nel consentire ai consumatori di revocare la propria decisione qualora, una volta ricevute tutte le informazioni previste dall’articolo 10 della direttiva stessa, essi ritengano in ultima analisi preferibile non stipulare il contratto di credito proposto ( 54 ).

118.

Tuttavia, vorrei sottolineare che ad essere in discussione nella causa pendente dinanzi al giudice nazionale non è l’esercizio del diritto di recesso di per sé, bensì piuttosto la possibilità di invocare l’articolo 14, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2008/48, secondo cui tale diritto può essere fatto valere senza limiti temporali finché le informazioni di cui all’articolo 10 della medesima direttiva non siano state comunicate al consumatore. Come già spiegato, ritengo che lo scopo di detta disposizione consista nel sanzionare i creditori per l’omessa comunicazione dell’informativa necessaria.

119.

In tale contesto, a mio avviso, nei casi in cui non siano state fornite le informazioni necessarie, la mera circostanza che un consumatore eserciti il proprio diritto di recesso diversi anni dopo la conclusione del contratto non può mai essere contrario a detto obiettivo, ma appare invece pienamente conforme ad esso ( 55 ).

120.

Poiché il primo elemento necessario per stabilire l’esistenza di un abuso di diritto difetterà necessariamente nelle circostanze del caso di specie, ritengo che il mutuante non possa invocare il principio del divieto di abuso di diritto per impedire a un consumatore di esercitare tardivamente il proprio diritto di recesso, qualora il mutuante stesso non gli abbia precedentemente comunicato tutte le informazioni previste dall’articolo 10 della direttiva 2008/48.

121.

Ciò non significa, tuttavia, che i ricorrenti, anche quelli riguardo ai i quali il contratto di credito non è stato ancora interamente eseguito al momento dell’esercizio del diritto di recesso, possano fondatamente sostenere che, per effetto del recesso stesso, il mutuante fosse tenuto a rimborsarli integralmente delle rate mensili versate, compresi gli interessi, a fronte della cessione del veicolo al venditore. Infatti, il fatto che l’esercizio del diritto di recesso da parte dei consumatori non presenti carattere abusivo non significa che esso debba o possa portare a conseguenze come quelle invocate dai ricorrenti.

122.

In detto contesto, si potrebbe osservare, anzitutto, che l’articolo 14, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2008/48 impone agli Stati membri di prevedere che, laddove il consumatore eserciti il diritto di recesso, debba corrispondere al mutuante non solo il capitale finanziato ma anche gli interessi dovuti sul capitale stesso, calcolati sulla base del tasso debitore pattuito, dalla data di «prelievo» del credito (cioè, nel linguaggio comune, «utilizzo») ( 56 ) da parte del consumatore fino alla data di rimborso del capitale.

123.

È ben vero che gli Stati membri possono prevedere, nell’ambito delle sanzioni che devono introdurre ai sensi dell’articolo 23 della direttiva 2008/48, che dall’assenza di talune informazioni obbligatorie nel contratto di credito possa derivare il venir meno degli interessi debitori. Tuttavia, come risulta dai termini di detta disposizione, le sanzioni da imporre in caso di violazione del diritto dell’Unione devono essere proporzionate. Tutto ciò significa, secondo la giurisprudenza della Corte, che la severità delle sanzioni deve essere adeguata alla gravità delle violazioni che esse reprimono, garantendo, in particolare, un effetto dissuasivo, fermo restando il rispetto del principio generale della proporzionalità ( 57 ).

124.

Sotto tale profilo, occorre rilevare che, da un lato, gli interessi di un mutuo non si limitano a remunerare la gestione del mutuo stesso, bensì compensano anche, eventualmente, la perdita di valore monetario. D’altra parte, l’omissione di una delle informazioni indicate all’articolo 10 della direttiva 2008/48 determina già una proroga del termine di recesso. Di conseguenza, per quanto riguarda le informazioni relative non al contenuto del contratto, ma semplicemente all’ambiente giuridico del contratto stesso – come nel caso di informazioni relative a procedure extragiudiziali – la loro omissione nel contratto non sembra giustificare la perdita completa degli interessi medesimi ( 58 ). Tale omissione appare molto meno grave rispetto, ad esempio, all’omessa verifica della solvibilità del ricorrente ( 59 ) o alla mancata menzione del tasso annuo effettivo o di talune informazioni riguardanti il costo del credito per il consumatore ( 60 ). A mio avviso, gli Stati membri dispongono di una certa discrezionalità al riguardo e possono prevedere che la mancata comunicazione di talune informazioni non attinenti agli obblighi delle parti debba essere risarcita forfettariamente.

125.

Analogamente, nei casi in cui il tasso d’interesse di mora applicabile al momento della conclusione del contratto – come indicato nella prima questione – non sia stato espressamente indicato in una cifra specifica, allora, laddove tale informazione non riguardi il costo del credito bensì quello dell’eventuale mora, mi sembra anche più conforme al principio di proporzionalità che venga posto rimedio a detta omissione precludendo al mutuante la possibilità di esigere gli interessi di mora previsti dal contratto (e non quelli del mutuo), tra cui, se del caso, il riconoscimento di un risarcimento.

126.

In secondo luogo, osservo, per quanto riguarda le conseguenze del recesso da un contratto di credito su un contratto relativo alla fornitura di merci o alla prestazione di servizi finanziati mediante il credito medesimo, che la direttiva 2008/48 non precisa quali debbano o possano essere tali conseguenze ( 61 ). Certamente, in un caso del genere, il contratto di credito stipulato può essere considerato quale contratto di credito collegato, laddove ricorrano le due condizioni previste dall’articolo 3, lettera n), della direttiva 2008/48. Tuttavia, l’unica disposizione della direttiva 2008/48 che fa riferimento alle conseguenze dell’esercizio di un diritto di recesso in caso di credito collegato, ossia l’articolo 15, paragrafo 1, attiene alla fattispecie in cui un consumatore eserciti il diritto stesso riguardo a un contratto per la fornitura di merci o la prestazione di servizi. Tuttavia, nessuna disposizione tratta l’ipotesi in cui il diritto di recesso esercitato riguardi il credito.

127.

Si può dunque concludere che spetta agli Stati membri precisare gli effetti dell’esercizio del diritto di recesso in relazione al credito al consumo per contratti di vendita finanziati dal credito stesso. Ciò appare confermato al considerando 35, a termini del quale «[q]uando un consumatore recede da un contratto di credito in virtù del quale ha ricevuto merci, (…) la presente direttiva dovrebbe far salva qualsiasi regolamentazione degli Stati membri su questioni relative alla restituzione delle merci o ogni altra questione correlata».

128.

Sebbene la discrezionalità degli Stati membri al riguardo non sia illimitata – non dovendo risultare pregiudicata l’effettività del diritto di recesso previsto dalla direttiva 2008/48 – essi possono tuttavia disciplinare le conseguenze dell’esercizio del diritto de quo sul contratto di vendita. In particolare, non vedo cosa impedisca a uno Stato membro di consentire al venditore, laddove l’esercizio del diritto di recesso implichi la risoluzione con effetto retroattivo della vendita, di tenere conto del deprezzamento del valore dei beni restituiti conseguente all’uso che il consumatore ne abbia fatto.

129.

Sono persino incline a ritenere che gli Stati membri siano tenuti, in determinate circostanze, a prevedere il pagamento di tale indennizzo al venditore da parte del consumatore, come previsto, inoltre, nei rispettivi ambiti di applicazione, dall’articolo 7 della direttiva 2002/65 e dall’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2011/83 ( 62 ). Infatti, il divieto di arricchimento senza causa è un principio comune agli ordinamenti degli Stati membri, riconosciuto, almeno implicitamente, dalla Corte come uno dei principi generali del diritto dell’Unione ( 63 ). In base a detto principio, un soggetto che abbia subito una perdita la quale incrementi il patrimonio di un altro soggetto, in assenza di alcun fondamento normativo per tale arricchimento, ha generalmente diritto ad una restituzione, fino a concorrenza di tale perdita, da parte del soggetto arricchitosi ( 64 ).

130.

Poiché il diritto di recesso de quo rientra nel diritto dell’Unione, gli Stati membri devono tenere conto del principio del divieto di arricchimento sancito dalla Corte nel precisare le conseguenze dell’esercizio di detto diritto.

131.

In tale contesto, si può osservare che, laddove una normativa nazionale preveda che, in caso di recesso da un contratto di credito, si intenda risolto qualsiasi contratto di vendita collegato, allora il venditore potrebbe subire un danno, mentre è probabile che l’acquirente incrementi il proprio patrimonio. Ciò avviene tipicamente nel caso della vendita di un veicolo finanziato mediante credito, poiché il valore di un’automobile diminuisce dal 10 al 30% sul mercato dell’usato dal primo chilometro percorso, a seconda della marca e del modello. Di conseguenza, il venditore che debba riprendere un veicolo subirà necessariamente una perdita. Quanto all’acquirente, questi incrementerà necessariamente il valore del proprio patrimonio, non dovendo subire tale deprezzamento.

132.

È ben vero che il principio del divieto di arricchimento senza causa non può applicarsi in caso di colpa e che, pertanto, non sarebbe applicabile nel caso in cui il venditore abbia effettivamente violato le disposizioni della direttiva 2008/48. Tuttavia, perché il venditore venga considerato coautore di una violazione dell’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva 2008/48 per effetto dell’insufficienza delle informazioni nel contratto di credito sottoscritto, è necessario che il venditore abbia partecipato alla conclusione o alla preparazione del contratto di credito, il che è solamente una delle situazioni che rientrano nella nozione di «credito collegato», come definito nell’articolo 3, lettera n), della direttiva 2008/48 ( 65 ). In ogni altra situazione, il venditore dovrebbe poter invocare il principio di arricchimento senza causa.

133.

Di conseguenza, ritengo che, qualora un consumatore eserciti il proprio diritto di recesso, gli Stati membri possano almeno prevedere volontariamente che il venditore possa dedurre dal rimborso un’indennità per il deprezzamento del valore del veicolo. Riconosco che una soluzione del genere possa dissuadere i consumatori dall’esercitare il proprio diritto di recesso, ma ritengo che sia una normale conseguenza del fatto che essi abbiano goduto dei beni e dei servizi in questione per un certo periodo ( 66 ). Di conseguenza, anche se l’esercizio del diritto di recesso da parte di alcuni dei ricorrenti non appare abusivo, il venditore può essere obbligato a rimborsare interamente all’acquirente il valore dei veicoli solo qualora l’ordinamento nazionale preveda espressamente tale soluzione a titolo di sanzione per la violazione di determinati obblighi da parte del venditore, quale l’obbligo di offrire agli acquirenti soltanto servizi di istituti di credito i cui contratti siano conformi alle disposizioni della direttiva 2008/48. Spetta ai giudici nazionali determinare quale sia la legge applicabile.

134.

Alla luce delle suesposte considerazioni, suggerisco alla Corte di rispondere alla quinta questione nella causa C‑155/20 e all’ottava questione nella causa C‑187/20 nel senso che il principio dell’Unione che vieta l’abuso di diritto non può essere invocato dal mutuante per impedire al consumatore di esercitare il proprio diritto di recesso, previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, prima frase, della direttiva 2008/48, per il solo fatto che già trascorso un periodo di tempo significativo dalla conclusione del contratto sia. Per i motivi appena esposti, ciò non significa, tuttavia, che gli Stati membri non abbiano il diritto – e persino l’obbligo – di adottare le misure idonee, nell’ambito dei propri ordinamenti giuridici, per garantire che il mutuante non subisca perdite finanziarie per effetto dell’esercizio, da parte del consumatore, del diritto di recesso.

V. Conclusione

135.

Ritengo pertanto che la Corte debba rispondere alle questioni sollevate dal Landgericht Ravensburg (Tribunale del Land, Ravensburg, Germania) come segue:

1)

L’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE del Consiglio deve essere interpretato nel senso che nel contratto di credito deve essere indicato anzitutto il tasso d’interesse di mora, applicabile al momento della conclusione del contratto di credito, per mezzo di una percentuale e, in secondo luogo, nel caso in cui il tasso sia variabile, la formula di calcolo che sarà successivamente utilizzata ai fini della determinazione del tasso applicabile, nonché, in caso di ricorso, a titolo di variabile, ad un tasso o indice di riferimento, la data e il luogo della pubblicazione, nonché il soggetto che l’ha pubblicato.

2)

L’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che il contratto di credito deve elencare tutte le procedure extragiudiziali di reclamo o di ricorso a disposizione del consumatore; se del caso, i costi di ciascuna di esse; se il reclamo o ricorso debba essere presentato in formato cartaceo o per via elettronica; l’indirizzo fisico o l’indirizzo di posta elettronica al quale tale reclamo o ricorso debba essere inviato e i requisiti di forma da osservare, laddove la loro mancata osservanza possa comportare la perdita di ogni possibilità per il consumatore di far valere i propri diritti.

3)

L’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che il mutuante non può impedire al consumatore di esercitare il proprio diritto di recesso qualora nel contratto di credito non siano state ancora inserite tutte le informazioni di cui all’articolo 10, paragrafo 2, della direttiva stessa. Tuttavia, tale diritto non può più essere esercitato una volta che siano stati interamente adempiuti tutti gli obblighi contrattuali.

4)

Il principio dell’Unione che vieta l’abuso di diritto non può essere invocato dal mutuante per impedire al consumatore di esercitare il proprio diritto di recesso, previsto dall’articolo 14, paragrafo 1, prima frase, della direttiva 2008/48, per il solo fatto che sia già trascorso un periodo di tempo significativo dalla conclusione del contratto. Ciò non significa, tuttavia, che gli Stati membri non abbiano il diritto – e persino l’obbligo – di adottare le misure idonee, nell’ambito dei propri ordinamenti giuridici, per garantire che il mutuante non subisca perdite finanziarie per effetto dell’esercizio, da parte del consumatore, del diritto di recesso.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Tali cause sottolineano inoltre indirettamente l’impostazione talvolta divergente esistente nel diritto dei consumatori dell’Unione per quanto riguarda la portata di taluni obblighi d’informazione o del diritto di recesso a seconda della natura della relativa attività e, pertanto, la possibile necessità di una completa revisione delle norme esistenti ai fini di una maggiore coerenza tra le singole disposizioni.

( 3 ) Per quanto concerne tali documenti, il giudice del rinvio sembra ritenere che essi non siano interessati dal problema di numerazione delle pagine individuato nelle cause C‑33/20 e C‑155/20 e che, pertanto, sotto il profilo del diritto tedesco, essi possano essere ritenuti parte integrante del contratto.

( 4 ) Nel contratto di DT, viene precisato altresì che il credito deve essere rimborsato in rate mensili di pari importo e una rata finale di importo maggiore.

( 5 ) Sentenza del 7 agosto 2018, Smith (C‑122/17, EU:C:2018:631, punto 39). V anche., a tal riguardo, le sentenze del 19 aprile 2016, DI (C‑441/14, EU:C:2016:278, punto 31) e del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 73).

( 6 ) V., a tale riguardo, sentenze del 19 aprile 2016, DI (C‑441/14, EU:C:2016:278, punto 32); del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 73) e del 5 settembre 2019, Pohotovosť (C‑331/18, EU:C:2019:665, punto 56).

( 7 ) Direttiva del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (GU 1993, L 95, pag. 29).

( 8 ) V., altresì, sentenza del 5 settembre 2019, Pohotovosť (C‑331/18, EU:C:2019:665, punto 41) e del 26 marzo 2020, Kreissparkasse Saarlouis (C‑66/19, EU:C:2020:242, punto 36).

( 9 ) La questione dell’inferiorità del consumatore per quanto riguarda il potere negoziale è esaminata in modo più rilevante in altre disposizioni dell’Unione, in particolare in quelle contenute nella direttiva 93/13.

( 10 ) V., in tal senso, sentenza del 12 luglio 2012, SC Volksbank România (C‑602/10, EU:C:2012:443, punto 38).

( 11 ) Sotto tale profilo, è importante ricordare che la direttiva 2008/48 verte su obblighi informativi del contratto e non riguarda la questione del contenuto del contratto stesso o di eventuali obblighi che le parti avrebbero ovvero non avrebbero dovuto assumere. Pertanto, come indicato dall’articolo 10, paragrafo 1, taluni requisiti formali previsti dal diritto nazionale per la validità dello scambio del consenso non sono necessariamente rilevanti ai fini della valutazione circa l’adempimento degli obblighi di informazione ai sensi della suddetta direttiva.

( 12 ) Sentenze del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842, punto 31) e del 26 marzo 2020, Kreissparkasse Saarlouis (C‑66/19, EU:C:2020:242, punto 35).

( 13 ) V., in tal senso, sentenza del 26 marzo 2020, Kreissparkasse Saarlouis (C‑66/19, EU:C:2020:242, punto 45).

( 14 ) In pratica, pochissimi consumatori, a parte quelli interessati al diritto, leggono nel dettaglio i contratti che firmano. V., in particolare, Office of Fair Trading (Ufficio per il commercio leale), «Consumer contracts», febbraio 2011, pagg. da 1 a 116. È solamente nella fase di esecuzione del contratto, nel momento in cui si incontrano problemi, che i consumatori inizieranno a interessarsi al contenuto del contratto.

( 15 ) V. sentenze del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 50) e del 26 marzo 2020, Kreissparkasse Saarlouis (C‑66/19, EU:C:2020:242, punti 4748). È ben vero che, secondo la giurisprudenza, la sussistenza di «contratto» ai sensi della direttiva 2008/48, e non ai sensi delle disposizioni che ne disciplinano la validità, non deve essere necessariamente stabilita in ogni singolo documento. Tuttavia, nella misura in cui l’obiettivo principale della direttiva 2008/48 consiste nell’armonizzazione della portata degli obblighi di informazione che possono essere imposti nei diversi Stati membri, ciò non può dipendere dalla circostanza che, in uno Stato membro, le disposizioni che prevedono norme di ordine pubblico costituiscano parte integrante del contratto ai sensi della direttiva 2008/48, in quanto ciò sarebbe in contrasto con tale obiettivo. A mio avviso, nella misura in cui la direttiva 2008/48 è rivolta alle informazioni, è chiaro che la nozione di «contratto» deve essere intesa nel senso che essa si riferisce ad uno o più documenti materiali. Ciò risulta confermato dall’articolo 10, paragrafo 1, della medesima, ai sensi della quale tutte le parti devono ricevere copia del contratto.

( 16 ) V., ad esempio, il Cambridge Dictionary. Tanto nel linguaggio finanziario quanto in quello corrente, vi è differenza tra un tasso d’interesse e un tasso di riferimento: mentre il primo si riferisce alla percentuale usata per calcolare una somma da corrispondere a fronte di un servizio o a titolo di risarcimento di un danno, il secondo fa riferimento all’uso di un valore di riferimento espresso quale tasso diverso ai fini del calcolo di tale remunerazione. Vedi la definizione data alla nozione di tasso di riferimento da parte del sito web più noto a livello globale in materia finanziaria, Investopedia. Soltanto a causa di imprecisioni linguistiche l’espressione «tasso d’interesse» è talvolta usato per indicare non una frazione di cento, ma la formula usata per calcolarla in un dato momento.

( 17 ) È ben vero che l’articolo 3, lettera j), della direttiva 2008/48 precisa che il «tasso debitore» potrebbe riferirsi a un tasso d’interesse che può essere variabile. Tuttavia, in matematica e in finanza, un tasso d’interesse è variabile quando la percentuale espressa può variare. Pertanto, l’eventuale variabilità del tasso d’interesse non implica che l’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), debba essere intesa nel senso di un riferimento ad una formula di calcolo.

( 18 ) L’argomento dedotto dal governo tedesco secondo cui, se l’articolo 10, paragrafo 2, lettera l), della direttiva 2008/48 dovesse essere interpretato nel senso che esso si riferisca ad una cifra specifica, ne deriverebbe, per effetto dell’articolo 14, paragrafo 1, lettera b), della medesima, una proroga del termine di recesso ad ogni modifica del tasso stesso, non sembra, a mio avviso, molto rilevante, in quanto è proprio il suddetto articolo 10, paragrafo 2, lettera l), a precisare che è richiesta solo l’indicazione del tasso applicabile alla data di conclusione del contratto.

( 19 ) Detto argomento non è contraddetto dall’ultima frase dell’articolo 3, lettera k), della direttiva 2008/48, secondo cui, qualora nel contratto di credito non siano definiti tutti i tassi debitori, si ritiene che il tasso debitore sia fisso unicamente per i periodi parziali per i quali i tassi debitori siano stati determinati esclusivamente da una percentuale specifica fissa convenuta al momento della conclusione del contratto di credito. Infatti, dall’articolo 3, lettera j), emerge che i tassi debitori fissi costituiscono un sottogruppo dei tassi debitori, essi stessi sempre costituiti da percentuali, conformemente a tale disposizione: «il tasso d’interesse, espresso in percentuale fissa o variabile» (il corsivo è mio). Di conseguenza, l’articolo 3, lettera k), della direttiva de qua deve essere interpretato nel senso che, se nel contratto di credito non sono definite tutte le percentuali che esprimono il tasso debitore applicabile, si deve ritenere che dette percentuali siano fisse per i periodi per i quali sono state determinate, esclusivamente tramite una percentuale specifica fissa convenuta al momento della conclusione del contratto, e non con percentuali calcolate, in un determinato momento, applicando una formula o un indice di riferimento.

( 20 ) In pratica, il tasso d’interesse applicabile in caso di ritardi di pagamento è generalmente previsto per legge. In tale contesto, ciò che continua ad essere importante alla luce dell’obiettivo della direttiva, che consiste nel garantire un elevato livello di tutela dei consumatori, è il fatto che i consumatori possano farsi un’idea chiara di detto tasso.

( 21 ) Il corsivo è mio.

( 22 ) V., ad esempio, sentenza del 3 settembre 2020, Profi Credit Polska e a. (C‑84/19, C‑222/19 e C‑252/19, EU:C:2020:631, punto 74).

( 23 ) Sentenza del 5 ottobre 2000, Germania/Parlamento e Consiglio (C‑376/98, EU:C:2000:544, punto 95).

( 24 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Schyns (C‑58/18, EU:C:2019:120, paragrafo 43) e, per analogia, il ragionamento della Corte nella sentenza del 2 maggio 2019, Fundación Consejo Regulador de la Denominación de Origen Protegida Queso Manchego (C‑614/17, EU:C:2019:344, punti da 46 a 50).

( 25 ) A tal proposito, desidero sottolineare che detta conclusione non è contraddetta dal fatto che alcuni contratti possono avere tassi d’interesse variabili. Da un lato, il fatto di cui trattasi non rende impossibile precisare il tasso d’interesse di base applicabile al momento della firma del contratto. D’altra parte, per gestire eventuali aggiornamenti delle informazioni ai consumatori possono essere impiegati strumenti di gestione dei contratti.

( 26 ) V., per analogia, sentenza del 26 marzo 2020, Kreissparkasse Saarlouis (C‑66/19, EU:C:2020:242, punto 38).

( 27 ) Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’8 giugno 2016, sugli indici usati come indici di riferimento negli strumenti finanziari e nei contratti finanziari o per misurare la performance di fondi di investimento e recante modifica delle direttive 2008/48/CE e 2014/17/UE e del regolamento (UE) n. 596/2014 (GU 2016, L 171, pag. 1). L’articolo 3, paragrafo 1, terzo comma, di detto regolamento definisce l’indice di riferimento come «un indice in riferimento al quale viene determinato l’importo da corrispondere per uno strumento finanziario o per un contratto finanziario, o il valore di uno strumento finanziario, oppure un indice usato per misurare la performance di un fondo di investimento allo scopo di monitorare il rendimento di tale indice ovvero di definire l’allocazione delle attività di un portafoglio o di calcolare le commissioni legate alla performance».

( 28 ) Nel caso di un tasso d’interesse di mora determinato in base ad un indice di riferimento fissato da una banca centrale, informare il consumatore delle possibili conseguenze derivanti dall’indice medesimo presuppone l’informazione del consumatore circa le modalità con cui detto indice si riflette, il che comporta che la formula ai fini del calcolo del tasso degli interessi di mora incorpori l’indice medesimo, nonché la periodicità della sua pubblicazione, considerato che ciò determinerà, a sua volta, la volatilità del tasso d’interesse applicabile.

( 29 ) Inoltre, le legislazioni nazionali determinano generalmente, come nel caso del diritto tedesco, l’indice di riferimento, l’indice o il tasso che possono essere usati per calcolare un tasso d’interesse di mora.

( 30 ) Sentenza del 3 settembre 2020, Profi Credit Polska e a. (C‑84/19, C‑222/19 e C‑252/19, EU:C:2020:631, punto 75).

( 31 ) Sentenza del 21 ottobre, Möbel Kraft (C‑529/19, EU:C:2020:846, punto 21). Ciò è vero a maggior ragione in quanto, nei settori che disciplina, la direttiva 2008/48 raggiunge una completa armonizzazione.

( 32 ) V., in tal senso, l’articolo 24 della direttiva 2008/48: «eventualmente mediante il ricorso ad organismi esistenti» (il corsivo è mio).

( 33 ) Come ho avuto modo di evidenziare, dal fatto che la direttiva preveda obblighi di informazioni in varie distinte fasi dell’iter contrattuale e che alcune delle informazioni indicate non siano direttamente connesse al contratto, come quelle relative alla sussistenza di procedure extragiudiziali, si può dedurre che l’articolo 10 della direttiva 2008/48 miri, quantomeno parzialmente, a rendere il contratto un documento al quale il consumatore possa fare riferimento nel corso dell’esecuzione in caso di dubbi.

( 34 ) Sentenza del 5 luglio 2012, Content Services (C‑49/11, EU:C:2012:419, punti 3637).

( 35 ) V. ad esempio, sentenze del 21 marzo 2013, RWE Vertrieb (C‑92/11, EU:C:2013:180, punto 50) e del 26 marzo 2020, Kreissparkasse Saarlouis (C‑66/19, EU:C:2020:242, punti da 46 a 49).

( 36 ) V., ad esempio, sentenza del 12 giugno 2014, Lukoyl Neftohim Burgas (C‑330/13, EU:C:2014:1757, punto 59) o del 26 marzo 2019, slewo (C‑681/17, EU:C:2019:255, punto 31).

( 37 ) È pur vero che l’esistenza di procedure extragiudiziali di reclamo o di ricorso è menzionata nell’allegato II della direttiva 2008/48 tra gli elementi da includere nelle «Informazioni europee di base relative al credito ai consumatori» che devono essere comunicate nella fase precontrattuale. Tuttavia, osservo che, ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 1, della stessa, l’uso di tale documento legittima la presunzione che il mutuante abbia soddisfatto non solo gli obblighi di informazione previsti dalla direttiva de qua, bensì parimenti quelli contenuti nella direttiva 2002/65, il cui articolo 3, paragrafo 1, comma 4, lettera a) impone che dette informazioni siano fornite anteriormente alla conclusione del contratto a distanza. Ritengo pertanto, in conclusione, che tali informazioni non debbano essere indicate in detto documento, salvo il caso in cui il contratto in questione ricada nella sfera di questa seconda direttiva.

( 38 ) V., in tal senso, il considerando 47 della direttiva 2013/11/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2013, sulla risoluzione alternativa delle controversie dei consumatori, che modifica il regolamento (CE) n. 2006/2004 e la direttiva 2009/22/CE (Direttiva sull’ADR per i consumatori) (GU 2013, L 165, pag. 63). Non sono del tutto convinto del fatto che, come potrebbe suggerire una lettura superficiale del punto 34 della sentenza del 25 giugno 2020, Bundesverband der Verbraucherzentralen und Verbraucherverbände (C‑380/19, EU:C:2020:498), l’esistenza di uno o più meccanismi extragiudiziali di reclamo o di ricorso sia, per il consumatore, di fondamentale importanza ai fini della decisione del consumatore stesso relativa alla conclusione del contratto. È vero che, se agli Stati membri fosse consentita l’imposizione di procedimenti precontenziosi obbligatori e costosi, il fatto di essere informati circa l’esistenza di un procedimento del genere potrebbe indurre il consumatore a non firmare il contratto. Tuttavia, come la Corte ha già avuto occasione di sottolineare, per rispettare il principio della tutela giurisdizionale effettiva, gli Stati membri devono prevedere procedure obbligatorie di risoluzione alternativa delle controversie che non generino costi ovvero generino costi non ingenti. V. sentenza del 14 giugno 2017, Menini e Rampanelli (C‑75/16, EU:C:2017:457, punto 61).

( 39 ) Ricordo, tuttavia, che per i procedimenti di cui alla direttiva 2013/11, la Corte ha dichiarato che i consumatori non possono essere obbligati a essere rappresentati da un avvocato. V. sentenza del 14 giugno 2017, Menini e Rampanelli (C‑75/16, EU:C:2017:457, punto 64). Tuttavia, da un lato, detta direttiva non disciplina tutte le procedure extragiudiziali di cui all’articolo 10, paragrafo 2, lettera t), della direttiva 2008/48. Dall’altro lato, alcune procedure potrebbero richiedere la rappresentanza da parte di soggetti diversi dagli avvocati, come ad esempio da un’associazione di consumatori.

( 40 ) V. articolo 2, paragrafo 3, della direttiva 2013/11

( 41 ) V. per analogia, Parere 1/03 (Nuova Convenzione di Lugano° del 7 febbraio 2006 (EU:C:2006:81, punto 127).

( 42 ) Il motivo è probabilmente che la direttiva si applica a qualsiasi tipo di operazione.

( 43 ) Ciò probabilmente spiega perché, sebbene la direttiva 2013/11 sia successiva alla direttiva 2008/48, il legislatore non abbia ritenuto necessario modificare la direttiva 2008/48. Ciò premesso, rilevo che la portata di ogni obbligo di informazione è diversa. Infatti, l’obbligo di informazione di cui alla direttiva 2013/11 riguarda solo, come precisato nell’articolo 2, paragrafo 1, della stessa, le procedure extragiudiziali di reclamo o di ricorso che coinvolgono un organismo per la risoluzione sostenibile delle controversie; la direttiva 2008/48 concerne soltanto la vendita di servizi di credito al consumo, mentre la direttiva 2013/11 riguarda qualsiasi operazione commerciale.

( 44 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU 2011, L 304, pag. 64).

( 45 ) Ad esempio, l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 90/619/CEE del Consiglio, dell’8 novembre 1990, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative riguardanti l’assicurazione diretta sulla vita, fissa le disposizioni destinate a facilitare l’esercizio effettivo della libera prestazione i servizi e modifica la direttiva 79/267/CEE (GU 1990, L 330, pag. 50), di cui trattasi nelle sentenze del 19 dicembre 2013, Endress (C‑209/12, EU:C:2013:864) e del 19 dicembre 2019, Rust-Hackner e Gmoser (C‑355/18 e C‑356/18, EU:C:2019:1123), prevede un diritto di rinuncia. Lo stesso vale per l’articolo 5 della direttiva 85/577/CEE del Consiglio del 20 dicembre 1985 per la tutela dei consumatori in caso di contratti negoziati fuori dei locali commerciali (GU 1985, L 372, pag. 31), di cui trattasi nella sentenza del 10 aprile 2008, Hamilton (C‑412/06, EU:C:2008:215). Detta direttiva è stata abrogata e sostituita dalla direttiva 2011/83, che accoglie una diversa soluzione, in quanto prevede ora un diritto di recesso stabilendo, al contempo, espressamente un termine.

( 46 ) V. altresì considerando 24 della direttiva 2002/65 e sentenza dell’11 settembre 2019, Romano (C‑143/18, EU:C:2019:701, punto 36).

( 47 ) V. in tal senso, sentenze del 17 dicembre 1970, Internationale Handelsgesellschaft (11/70, EU:C:1970:114, punto 3); del 13 dicembre 1979, Hauer (44/79, EU:C:1979:290, punto 14); del 18 ottobre 2016, Nikiforidis (C‑135/15, EU:C:2016:774, punto 28) e del 16 luglio 2020, Facebook Ireland e Schrems (C‑311/18, EU:C:2020:559, punto 100).

( 48 ) V., in tal senso, sentenze del 6 febbraio 2018, Altun e a. (C‑359/16, EU:C:2018:63, punti 4849) e del 26 febbraio 2019, T Danmark e Y Denmark (C‑116/16 e C‑117/16, EU:C:2019:135, punto 76).

( 49 ) V., in tal senso, sentenza del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 77).

( 50 ) V., per analogia, sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C‑110/99, EU:C:2000:695, punto 54) e del 13 marzo 2014, SICES e a. (C‑155/13, EU:C:2014:145, punto 34).

( 51 ) V., ad esempio, sentenza del 28 luglio 2016, Kratzer (C‑423/15, EU:C:2016:604, punto 38).

( 52 ) V., ad esempio, sentenza del 13 marzo 2014, SICES e a. (C‑155/13, EU:C:2014:145, punto 32).

( 53 ) V. sentenza del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C‑110/99, EU:C:2000:695, punti 5253).

( 54 ) V., per analogia, ma relativamente a un diritto di rinuncia, sentenza del 19 dicembre 2019, Rust-Hackner e Gmoser (C‑355/18 e C‑356/18, EU:C:2019:1123, punto 101).

( 55 ) A mio avviso, il principio del divieto di abuso di diritto potrebbe, tuttavia, essere eventualmente applicato se fosse accertato che il consumatore ha ripetutamente contratto un prestito per poi dichiarare di voler recedere entro il termine di 14 giorni, prima di contrarre un nuovo prestito e così via.

( 56 ) L’uso del termine «prelievo» è spiegato dal fatto che vi può essere un divario temporale tra il momento in cui viene sottoscritto il contratto di credito e il momento in cui viene portata a termine la vendita e la somma mutuata venga quindi utilizzata e poi erogata dall’istituto di credito.

( 57 ) V. sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842, punto 63).

( 58 ) V. sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842, punto 72).

( 59 ) V. sentenza del 27 marzo 2014, LCL Le Crédit Lyonnais (C‑565/12, EU:C:2014:190, punto 45 e segg.).

( 60 ) V. sentenza del 9 novembre 2016, Home Credit Slovakia (C‑42/15, EU:C:2016:842, punto 70).

( 61 ) Per quanto riguarda l’articolo 14, paragrafo 4, della medesima, esso riguarda servizi accessori connessi con il contratto di credito, e non beni o servizi finanziati per mezzo del credito. Rilevo inoltre che la direttiva 2011/83, la quale contiene disposizioni sugli effetti dell’esercizio del diritto di recesso su contratti accessori, si applica soltanto a contratti a distanza o negoziati fuori dei locali commerciali, il che non sembra accadere nel caso dei contratti di cui trattasi nel procedimento principale.

( 62 ) La direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 maggio 1997, riguardante la protezione dei consumatori in materia di contratti a distanza (GU 1997, L 144, pag. 19), che, prima della direttiva 2011/83, disciplinava i contratti a distanza, non prevedeva un diritto del venditore a tale indennizzo. La direttiva 2011/83 è stata adottata, come affermato nel considerando 47 della stessa, perché «[a]lcuni consumatori esercitano il proprio diritto di recesso dopo aver utilizzato i beni oltre quanto necessario per stabilirne la natura, le caratteristiche e il funzionamento. In tal caso il consumatore non dovrebbe perdere il diritto di recesso, ma dovrebbe essere responsabile della diminuzione del valore dei beni. Per stabilire la natura, le caratteristiche e il funzionamento dei beni il consumatore dovrebbe solo manipolarli e ispezionarli nello stesso modo in cui gli sarebbe consentito farlo in un negozio. Ad esempio, il consumatore dovrebbe solo provare un indumento, senza poterlo indossare. Di conseguenza, durante il periodo di recesso il consumatore dovrebbe manipolare e ispezionare i beni con la dovuta diligenza. Gli obblighi del consumatore in caso di recesso non dovrebbero scoraggiare il consumatore dall’esercitare il proprio diritto di recesso».

( 63 ) V., ad esempio, in tal senso, sentenza del 16 dicembre 2008, Masdar (UK)/Commissione (C‑47/07 P, EU:C:2008:726, punto 47).

( 64 ) V., in tal senso, sentenza del 9 luglio 2020, Repubblica ceca/Commissione (C‑575/18 P, EU:C:2020:530, punto 82).

( 65 ) Sebbene la Corte abbia già avuto modo di dichiarare che la libertà d’impresa può essere soggetta ad un ampio ventaglio di interventi dei poteri pubblici suscettibili di stabilire, nell’interesse generale, limiti all’esercizio dell’attività economica [v., ad esempio, sentenza del 30 giugno 2016, Lidl (C‑134/15, EU:C:2016:498, punto 34)], una persona dovrebbe, in linea di principio, essere ritenuta responsabile per le azioni di un’altra persona solo se la prima fosse responsabile del controllo e dell’organizzazione delle attività della seconda.

( 66 ) Occorre altresì ricordare che, per quanto riguarda le informazioni di cui all’articolo 10 della direttiva 2008/48, decisive ai fini del consenso, il consumatore mantiene sempre la possibilità di chiedere l’annullamento del contratto di credito sulla base del diritto nazionale, come evidenziato nell’articolo 10, paragrafo 1, e nel considerando 30 della medesima direttiva.