CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JEAN RICHARD DE LA TOUR

presentate il 12 maggio 2021 ( 1 )

Causa C‑91/20

LW

contro

Bundesrepublik Deutschland

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia – Direttiva 2011/95/UE – Norme relative al riconoscimento di protezione internazionale e al contenuto di tale protezione – Articolo 23, paragrafo 2 – Mantenimento dell’unità del nucleo familiare del beneficiario di protezione internazionale – Benefici conferiti ai familiari che non soddisfano i requisiti necessari ai fini del riconoscimento di protezione internazionale – Articolo 3 – Norme più favorevoli – Disposizione nazionale che estende il beneficio della protezione internazionale al figlio minorenne di un beneficiario di protezione internazionale – Minore avente la cittadinanza di un altro paese di cui può reclamare la protezione – Principio di sussidiarietà della protezione internazionale»

I. Introduzione

1.

Nel corso degli ultimi anni, la questione dei rifugiati e della loro accoglienza è stata fonte di tensioni talora vivaci tra gli Stati membri. L’afflusso massiccio e improvviso di rifugiati alle porte dell’Unione europea ha fortemente scosso taluni dei valori sui quali quest’ultima è fondata e ha comportato un ripiegamento su se stessi da parte degli Stati membri.

2.

Tuttavia, sin dal Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, questi ultimi avevano convenuto di lavorare all’istituzione di un regime europeo comune in materia di asilo basato sull’applicazione, in ogni sua componente, della Convenzione relativa allo status dei rifugiati, firmata a Ginevra il 28 luglio 1951 ( 2 ). Tra gli strumenti necessari all’attuazione di tale programma, il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea hanno adottato la direttiva 2011/95/UE ( 3 ), uno dei cui obiettivi principali è quello di «assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale» ( 4 ), e ciò, in particolare, al fine di «contribuire a limitare il movimento secondario dei richiedenti protezione internazionale tra gli Stati membri, nei casi in cui tali movimenti siano dovuti esclusivamente alla diversità dei quadri giuridici [di questi ultimi]» ( 5 ).

3.

La questione posta alla Corte nella presente causa mira a stabilire se il diritto dell’Unione, e, più in particolare, la direttiva 2011/95, permettano ad uno Stato membro, al fine di garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare di un rifugiato, di adottare una normativa di legge in forza della quale l’autorità nazionale competente concede la stessa protezione internazionale al figlio minorenne di tale rifugiato senza che tale autorità proceda ad un esame individuale della situazione in cui tale minore si trova e a prescindere dal fatto che egli abbia un bisogno di protezione internazionale ai sensi di tale direttiva.

4.

Tale questione si inserisce nel contesto di una controversia tra LW, una minore cittadina tunisina, e il Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati, Germania; in prosieguo: l’«Ufficio») in ordine ad una decisione con la quale l’Ufficio le ha negato il riconoscimento del beneficio dello status di rifugiato concesso al padre, di origine siriana. L’Ufficio ha considerato, da un lato, che tale minore non soddisfaceva i requisiti sostanziali per la concessione di tale status e, dall’altro, che ella poteva rivendicare la protezione nazionale del paese d’origine.

5.

Questa controversia spinge la Corte a determinare in che misura uno Stato membro possa usare il margine di discrezionalità ad esso conferito dall’articolo 3 della direttiva 2011/95 per estendere l’ambito dei beneficiari di protezione internazionale ai familiari di un rifugiato o di un beneficiario di protezione sussidiaria al fine di garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare di questi ultimi. La detta controversia si ricollega quindi ad una problematica classica di ponderazione tra diversi obiettivi fondamentali (quello di garantire il diritto d’asilo e quello di assicurare il rispetto della vita familiare del beneficiario di protezione internazionale), alla necessità di conseguirli e alla possibilità di farlo senza violare gli ambiti propri a ciascuno dei regimi a tal fine istituiti dal legislatore dell’Unione.

6.

La precisazione che la Corte deve fornire nella fattispecie è indispensabile ai fini di una applicazione coerente e uniforme in tutti gli Stati membri, da una parte, dei criteri di acquisizione della protezione internazionale quali definiti nel diritto dell’Unione e nel regime della Convenzione di Ginevra e, dall’altra, dei diritti e dei benefici connessi al riconoscimento di tale protezione. È pertanto necessario formulare un’interpretazione chiara dell’articolo 3 della direttiva 2011/95 in maniera tale che gli Stati membri non dispongano di un margine di discrezionalità troppo ampio vuoi per accordare protezione internazionale, vuoi per negarla ( 6 ).

7.

Nelle presenti conclusioni, proporrò alla Corte di dichiarare che né l’articolo 3 né l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 permettono ad uno Stato membro di adottare una normativa in forza della quale l’autorità nazionale competente tenda a garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare del beneficiario di protezione internazionale estendendo tale protezione al figlio minorenne di quest’ultimo, senza che tale autorità proceda ad un esame individuale della domanda e a prescindere dal fatto che la situazione di tale minore riveli l’esistenza di un bisogno di protezione internazionale o presenti un nesso con la logica di protezione internazionale.

8.

Ritengo, infatti, che il legislatore dell’Unione abbia dotato il regime europeo comune di asilo di un apparato giuridico che permette di tutelare la vita familiare del rifugiato e del beneficiario di protezione sussidiaria nonché di garantire la difesa dell’interesse superiore del minore senza che sia necessario compromettere l’uniformità degli status conferiti dalla protezione internazionale e, in particolare, l’armonizzazione a cui il legislatore dell’Unione procede in ordine ai requisiti di riconoscimento della protezione internazionale e al contenuto di quest’ultima.

II. Contesto normativo

A. Il diritto internazionale

9.

L’articolo 1, sezione A, paragrafo 2, della Convenzione di Ginevra dispone che il termine «rifugiato» si applicherà a chiunque:

«(...) nel giustificato timore di essere perseguitato per la sua razza, la sua religione, la sua cittadinanza, la sua appartenenza a un determinato gruppo sociale o le sue opinioni politiche, si trova fuori dello Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o, per tale timore, non vuole domandare la protezione di detto Stato; oppure, essendo apolide e trovandosi fuori del suo stato di domicilio in seguito a tali avvenimenti, non può o, per il timore sopra indicato, non vuole ritornarvi.

Se una persona possiede più cittadinanze, l’espressione “Stato di cui possiede la cittadinanza” riguarda ogni Stato di cui questa persona possiede la cittadinanza. Non sono considerate private della protezione dello Stato di cui possiedono la cittadinanza le persone che, senza motivi validi fondati su un timore giustificato, rifiutano la protezione di uno Stato di cui possiedono la cittadinanza».

B. Diritto dell’Unione

10.

Ai sensi dell’articolo 78, paragrafo 1, TFUE e dell’articolo 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), il regime europeo comune di asilo, nel quale si inserisce la direttiva 2011/95, è fondato sull’applicazione, in ogni sua componente, della Convenzione di Ginevra.

11.

I considerando 4, 5, 9, 12, 14 e 36 della direttiva 2011/95 sono così formulati:

«(4)

La convenzione di Ginevra e il (…) protocollo [del 1967] costituiscono la pietra angolare della disciplin giuridica internazionale relativa alla protezione dei rifugiati.

(5)

Le conclusioni di Tampere stabiliscono che il regime europeo comune in materia di asilo dovrebbe prevedere, a breve termine, il ravvicinamento delle norme relative al riconoscimento e al contenuto dello status di rifugiato.

(...)

(9)

Nel programma di Stoccolma il Consiglio europeo ha ribadito il suo impegno per il raggiungimento dell’obiettivo di istituire entro il 2012 uno spazio comune di protezione e solidarietà basato su una procedura comune in materia d’asilo e su uno status uniforme per coloro che hanno ottenuto la protezione internazionale, conformemente all’articolo 78 [TFUE].

(...)

(12)

Lo scopo principale della presente direttiva è quello, da una parte, di assicurare che gli Stati membri applichino criteri comuni per identificare le persone che hanno effettivamente bisogno di protezione internazionale e, dall’altra, di assicurare che un livello minimo di prestazioni sia disponibile per tali persone in tutti gli Stati membri.

(...)

(14)

Gli Stati membri dovrebbero avere facoltà di stabilire o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli delle norme stabilite nella presente direttiva per i cittadini di paesi terzi o per gli apolidi che chiedono protezione internazionale a uno Stato membro, qualora tale richiesta sia intesa come basata sul fatto che la persona interessata è o un rifugiato ai sensi dell’articolo 1 A della convenzione di Ginevra o una persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria.

(...)

(36)

I familiari, semplicemente per la loro relazione con il rifugiato, sono di norma esposti ad atti di persecuzione al punto che tale circostanza potrebbe costituire la base per beneficiare dello status di rifugiato».

12.

In seno al capo I della direttiva 2011/95, intitolato «Disposizioni generali», l’articolo 1 dispone:

«La presente direttiva stabilisce norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta.»

13.

L’articolo 2 della direttiva 2011/95 definisce le seguenti nozioni come segue:

«(…)

d)

“rifugiato”: cittadino di un paese terzo il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale, si trova fuori dal paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese, oppure apolide che si trova fuori dal paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale per le stesse ragioni succitate e non può o, a causa di siffatto timore, non vuole farvi ritorno, e al quale non si applica l’articolo 12;

(...)

f)

“persona avente titolo a beneficiare della protezione sussidiaria”: cittadino di un paese terzo o apolide che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito all’articolo 15, e al quale non si applica l’articolo 17, paragrafi 1 e 2, e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole avvalersi della protezione di detto paese;

(...)

j)

“familiari”: i seguenti soggetti appartenenti al nucleo familiare, già costituito nel paese di origine, del beneficiario di protezione internazionale che si trovano nel medesimo Stato membro in connessione alla domanda di protezione internazionale:

il coniuge del beneficiario di protezione internazionale, o il suo partener non sposato, avente con questi una relazione stabile (...),

i figli minori delle coppie di cui al primo trattino o del beneficiario di protezione internazionale, a condizione che siano non sposati, indipendentemente dal fatto che siano legittimi, naturali o adottivi secondo le definizioni della normativa nazionale,

il padre, la madre o altro adulto che sia responsabile, in base alla normativa o alla prassi dello Stato membro interessato, del beneficiario di protezione internazionale (...);

(...)».

14.

L’articolo 3 di tale direttiva è così formulato:

«Gli Stati membri hanno facoltà di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale, purché siano compatibili con le disposizioni della presente direttiva».

15.

In seno al capo VII della detta direttiva, intitolato «Contenuto della protezione internazionale», l’articolo 23, paragrafi 1 e 2, dispone:

«1.   Gli Stati membri provvedono a che possa essere preservata l’unità del nucleo familiare.

2.   Gli Stati membri provvedono a che i familiari del beneficiario di protezione internazionale, che individualmente non hanno diritto a tale protezione, siano ammessi ai benefici di cui agli articoli da 24 a 35, in conformità delle procedure nazionali e nella misura in cui ciò sia compatibile con lo status giuridico personale del familiare».

16.

Gli articoli da 24 a 35 della direttiva 2011/95 enunciano i vari diritti e benefici concessi al beneficiario di protezione internazionale nonché ai suoi familiari, in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, di tale direttiva.

C. Diritto tedesco

17.

L’articolo 3, paragrafo 1, dell’Asylgesetz (legge relativa al diritto d’asilo), nella versione pubblicata il 2 settembre 2008 ( 7 ) e modificata da ultimo dall’articolo 48 della legge del 20 novembre 2019 ( 8 ), prevede:

«(1)   Uno straniero è un rifugiato ai sensi della Convenzione [di Ginevra] quando

1.

per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale,

2.

si trova fuori dal paese (d’origine),

a)

di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di detto paese,

(...)».

18.

L’articolo 26, paragrafi 2 e 5, dell’AsylG dispone:

«(2)   Su richiesta, viene riconosciuto il diritto di asilo a un soggetto che, alla data della presentazione della sua domanda d’asilo, sia figlio minore non coniugato di un beneficiario del diritto di asilo, se il riconoscimento dello straniero quale beneficiario del diritto di asilo è definitivo e detto riconoscimento non può più essere revocato né ritirato.

(...)

(5)   Ai familiari ai sensi dei paragrafi da 1 a 3 di beneficiari di protezione internazionale si applicano per analogia i paragrafi da 1 a 4. In luogo del “diritto di asilo” subentra lo “status di rifugiato” o la protezione sussidiaria (...)».

III. Causa principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

19.

La ricorrente nella causa principale è nata in Germania nel 2017 da madre tunisina e da padre siriano, il quale ha ottenuto lo status di rifugiato nel 2015 in tale Stato membro e possiede la cittadinanza tunisina.

A. L’esame della domanda

20.

Con decisione del 15 settembre 2017, l’Ufficio ha respinto la domanda di protezione internazionale presentata a nome della ricorrente nella causa principale dopo la sua nascita in quanto manifestamente infondata. Anche se, con sentenza del 17 gennaio 2019, il Verwaltungsgericht Cottbus (Tribunale amministrativo di Cottbus, Germania) ha annullato tale decisione per il motivo che essa avrebbe dovuto essere respinta non come manifestamente infondata, ma come infondata, esso ha tuttavia respinto la domanda della ricorrente. Tale giudice ha, innanzitutto, dichiarato che quest’ultima non era in possesso dei requisiti necessari per il riconoscimento dello status di rifugiato, non essendovi alcun timore di persecuzioni in Tunisia. Esso ha poi respinto l’argomento relativo all’esistenza di un fondato timore di persecuzioni in Siria, dichiarando, conformemente al principio di sussidiarietà della protezione internazionale, che la ricorrente aveva la possibilità di avvalersi della protezione dello Stato tunisino. Infine, esso ha considerato che la ricorrente non poteva neppure vedersi riconoscere lo status di rifugiato in applicazione dell’articolo 26, paragrafo 2 e paragrafo 5, prima frase, dell’AsylG, ritenendo che sarebbe, infatti, in contrasto col diritto dell’Unione e col principio della sussidiarietà della protezione internazionale estendere la protezione internazionale a persone che, in base al loro status personale, beneficiano della protezione di uno Stato di cui possiedono la cittadinanza e sono escluse dalla categoria delle persone che necessitano di una tale protezione.

21.

La ricorrente nella causa principale ha proposto ricorso in cassazione («Revision») contro tale sentenza dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania).

B. Il ricorso dinanzi al giudice del rinvio

22.

Nell’ambito del suo ricorso in cassazione («Revision»), la ricorrente nella causa principale sostiene che il principio di sussidiarietà della protezione internazionale non osta a che un minore fruisca dello status di rifugiato in applicazione delle disposizioni dell’articolo 26, paragrafo 2 e paragrafo 5, prima frase, dell’AsylG, anche nell’ipotesi in cui i suoi genitori abbiano cittadinanze diverse ed in cui lo status di rifugiato sia stato concesso solo a uno di loro. Inoltre, essa fa valere che l’articolo 3 della direttiva 2011/95 autorizza uno Stato membro a estendere la protezione internazionale di cui beneficia una persona ad altri suoi familiari, purché essi non rientrino in una causa di esclusione di cui all’articolo 12 di tale direttiva e purché la loro situazione presenti, a motivo dell’esigenza di mantenimento dell’unità del nucleo familiare, un nesso con la logica della protezione internazionale. A suo parere, dovrebbe essere accordata particolare attenzione alla tutela dei minori e all’interesse del minore.

23.

Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) sottolinea che la ricorrente nella causa principale soddisfa i requisiti enunciati all’articolo 26, paragrafo 2, e paragrafo 5, prima e seconda frase, dell’AsylG per vedersi riconoscere lo status di rifugiato. Esso nutre però dubbi quanto alla compatibilità di tale normativa con il diritto dell’Unione e, più in particolare, con la direttiva 2011/95. Infatti, in applicazione di detta normativa, l’autorità nazionale competente avrebbe l’obbligo di concedere automaticamente al figlio minorenne non coniugato di un rifugiato uno status di rifugiato «derivato», indipendentemente dall’esistenza di un timore fondato di persecuzioni e anche nel caso in cui tale minore possa beneficiare della protezione del suo paese d’origine. Ne discende che la detta normativa potrebbe essere in contrasto col principio di sussidiarietà della protezione internazionale su cui si basano varie disposizioni della direttiva 2011/95 e il sistema della Convenzione di Ginevra. Pertanto, la ricorrente nella causa principale non potrebbe aspirare al riconoscimento dello status di rifugiato in base ad un diritto a lei proprio in quanto sarebbe in grado di beneficiare di una protezione effettiva in Tunisia.

24.

Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) sottolinea tuttavia che la normativa nazionale, in quanto conduce al riconoscimento di uno «status di rifugiato a titolo derivato», non presupporrebbe che siano soddisfatte le condizioni sostanziali per la concessione dello status di rifugiato enunciate nella direttiva 2011/95. Di conseguenza, il fatto che il familiare sia in grado di beneficiare di una protezione nazionale non costituirebbe un motivo di esclusione dal beneficio della protezione internazionale, ai sensi di tale direttiva.

C. Le questioni pregiudiziali

25.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 3 della direttiva [2011/95] debba essere interpretato nel senso che osti ad una disposizione di uno Stato membro per effetto della quale al figlio minore non coniugato di una persona cui sia stato riconosciuto lo status di rifugiato debba essere riconosciuto lo status di rifugiato a titolo derivato (cosiddetta protezione dei familiari del rifugiato) anche qualora il figlio medesimo possieda parimenti in ogni caso, tramite l’altro genitore, la cittadinanza di un altro paese, diverso dal paese di origine del rifugiato e della cui protezione ha il diritto di avvalersi.

2)

Se l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva [2011/95] debba essere interpretato nel senso che la restrizione secondo cui il diritto dei familiari alle prestazioni di cui agli articoli da 24 a 35 di tale direttiva dev’essere riconosciuto solo nella misura in cui sia compatibile con lo status giuridico personale del familiare osti, nelle circostanze descritte nella prima questione, al riconoscimento al figlio minore dello status di rifugiato al medesimo derivante dallo status del rifugiato riconosciuto.

3)

Se, ai fini delle risposte alla prima e alla seconda questione, rilevi la questione se sia possibile e ragionevole che il figlio minore ed i suoi genitori si stabiliscano nel paese di cittadinanza del minore medesimo e della madre – paese della cui protezione possono beneficiare, distinto dal paese di origine del rifugiato (padre) – o se sia sufficiente che l’unità del nucleo familiare possa essere mantenuta nel territorio nazionale sulla base delle disposizioni del diritto di soggiorno.»

26.

La ricorrente, i governi tedesco, belga e polacco nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte o orali all’udienza tenutasi il 22 febbraio 2021, rispondendo altresì ai quesiti con richiesta di risposta orale loro inviati dalla Corte.

IV. Analisi

27.

Prima di procedere all’analisi delle questioni pregiudiziali, mi sembra necessario formulare un’osservazione preliminare relativa all’oggetto di tali questioni e all’ordine in cui occorre, a mio parere, trattarle.

28.

Le dette questioni trovano la loro origine nel fatto che la normativa nazionale controversa tende a garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare considerato dal legislatore dell’Unione all’articolo 23 della direttiva 2011/95 utilizzando mezzi diversi da quelli enunciati al paragrafo 2 di tale articolo. Come rileva il giudice del rinvio e come è stato confermato dal governo tedesco all’udienza, il legislatore tedesco ha operato la scelta di concedere al figlio minorenne del beneficiario di protezione nazionale, che, individualmente, non sia in possesso dei requisiti per beneficiare di tale protezione, i benefici previsti agli articoli da 24 a 35 di tale direttiva non attraverso l’adozione di una serie di disposizioni ad hoc, ma concedendo a quest’ultimo, in maniera derivata, lo status di rifugiato o quello di protezione sussidiaria.

29.

Discende dalla formulazione dell’articolo 26, paragrafi 2 e 5, dell’AsylG che l’autorità nazionale competente riconosce quindi il figlio minorenne di un rifugiato o di una persona che beneficia della protezione sussidiaria come beneficiario di protezione internazionale senza alcun’altra condizione se non quella attinente al carattere definitivo dello status acquisito dal genitore. Risulta dalla decisone di rinvio che tale riconoscimento sarebbe automatico e non implicherebbe la verifica dell’esistenza di un timore fondato di persecuzione o di danni gravi in capo al minore. Tale normativa sarebbe altresì applicabile a prescindere dal fatto che il minore sia in possesso di una cittadinanza diversa da quella del genitore e benefici di una protezione nazionale, il che sembra però che sia stato contestato dal governo tedesco all’udienza.

30.

Con la sua prima questione pregiudiziale, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) intende, innanzitutto, stabilire se una siffatta disciplina di legge costituisca una norma più favorevole che gli Stati membri possono adottare in applicazione dell’articolo 3 della direttiva 2011/95.

31.

Poi, con la sua seconda questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte se le disposizioni enunciate ai fini del mantenimento dell’unità del nucleo familiare all’articolo 23, paragrafo 2, di tale direttiva ostino alla detta normativa, in quanto tali disposizioni limitano il riconoscimento dei benefici che lo Stato membro ospitante deve accordare ai familiari di un beneficiario di protezione internazionale alla condizione che tale riconoscimento sia compatibile con il loro status giuridico personale.

32.

Infine, con la sua terza e ultima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio si chiede se sia appropriato, ai fini dell’esame della prima e della seconda questione, il fatto di tener conto delle possibilità di reinsediamento della famiglia nel paese di cui il minore e la madre di famiglia possiedono la cittadinanza o se basti che l’unità della vita familiare sia garantita attraverso l’applicazione delle norme relative al diritto di soggiorno.

33.

Da una parte, l’esame della problematica sollevata dal giudice del rinvio richiede, a mio parere, che sia invertito l’ordine della prima e della seconda questione. Infatti, la misura in cui gli Stati membri possono fare uso del margine discrezionale loro conferito dall’articolo 3 della direttiva 2011/95 per adottare o mantenere norme più favorevoli di quelle formulate all’articolo 23, paragrafo 2, di tale direttiva deve valutarsi, prima facie, alla luce delle regole enunciate a tale articolo.

34.

Dall’altra parte, l’esame di tale problematica impone di analizzare la terza questione non in maniera isolata, ma, così come il giudice del rinvio invita la Corte a fare, nel contesto della prima e della seconda questione.

A. Sulla seconda questione, relativa all’interpretazione dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95

35.

Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio si chiede, in sostanza, se la condizione formulata all’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, in forza della quale i familiari di un beneficiario di protezione internazionale possono aver diritto ai benefici previsti agli articoli da 24 a 35 di tale direttiva solo nella misura in cui ciò sia compatibile con il loro «status giuridico personale», osti a che la legislazione nazionale possa concedere, a titolo derivato, lo status di rifugiato al figlio minorenne non coniugato di una persona a cui è stato riconosciuto tale status nel caso in cui tale minore sia in possesso della cittadinanza di un paese diverso da quello di origine del rifugiato.

36.

Tale questione sembra basarsi sul postulato secondo cui l’articolo 23, paragrafo 2, della detta direttiva autorizzerebbe, in linea di principio, una siffatta estensione della protezione internazionale a beneficio dei familiari di un rifugiato o di un beneficiario di protezione sussidiaria. Orbene, io penso che tale postulato sia erroneo alla luce delle interpretazioni letterale, sistematica e teleologica di tale disposizione.

1.   Interpretazione letterale dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95

37.

L’articolo 23 della direttiva 2011/95 è contenuto nel capo VII di quest’ultima. Tale capo, intitolato «Contenuto della protezione internazionale», ha l’obiettivo di definire i diritti e i benefici che lo Stato membro ospitante deve accordare ai rifugiati e ai beneficiari di protezione sussidiaria ( 9 ) in esito ad un esame individuale della loro situazione.

38.

In tale contesto, l’articolo 23 di tale direttiva ha come oggetto il «[m]antenimento dell’unità del nucleo familiare» del beneficiario di protezione internazionale ( 10 ).

39.

L’impiego dell’espressione «mantenimento dell’unità del nucleo familiare» implica che il beneficiario di protezione internazionale sia componente di un nucleo familiare la cui unità rischi di essere compromessa a seguito della sua partenza dal paese d’origine e del suo insediamento nello Stato membro ospitante. A differenza della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare ( 11 ), la direttiva 2011/95 non è quindi destinata ad assicurare la creazione della vita familiare del beneficiario di protezione internazionale ( 12 ).

40.

Più in particolare, risulta dalla formulazione stessa dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 che tale disposizione ha lo scopo di garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare del beneficiario di protezione internazionale nel caso particolare in cui i suoi familiari, individualmente, non abbiano «diritto» ad ottenere tale protezione. Occorre pertanto distinguere la fattispecie cui si riferisce tale disposizione da quella di cui al considerando 36 di tale direttiva, che fa riferimento ai familiari del rifugiato in quanto, semplicemente per la loro relazione di parentela con quest’ultimo, sono o rischiano di essere personalmente esposti ad atti di persecuzione nel paese d’origine, e possono, pertanto, beneficiare della concessione dello status di rifugiato ( 13 ). La stessa qualità è quindi riconosciuta loro in base ai rischi di persecuzione a cui essi sono personalmente esposti.

41.

L’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 determina le condizioni alle quali l’unità del nucleo familiare del beneficiario di protezione internazionale dev’essere mantenuta nello Stato membro ospitante definendo la natura dei benefici a tal fine accordati nonché la cerchia di coloro ai quali tali benefici sono accordati.

a)   I benefici

42.

L’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 stabilisce il principio secondo il quale i familiari del beneficiario di protezione internazionale che individualmente non hanno diritto a fruire di tale protezione, possono reclamare i benefici economici e sociali di cui agli articoli da 24 a 35 di tale direttiva. Si tratta di un «livello minimo di prestazioni» ( 14 ). Il beneficiario di protezione internazionale resta l’elemento determinante senza il quale non è possibile, per il suo familiare non avente titolo alla concessione di tale protezione, fruire di tali benefici.

43.

Lo Stato membro ospitante deve pertanto far sì che i familiari del beneficiario di protezione internazionale abbiano la possibilità di fruire di un titolo di soggiorno sul territorio di tale Stato, valido per un periodo di meno di tre anni e rinnovabile. Lo Stato membro ospitante deve in particolare accertarsi che i familiari dispongano di documenti di viaggio per poter viaggiare al di fuori del loro territorio, che possano circolare liberamente all’interno del territorio di tale Stato, che possano godere di un alloggio nonché del pieno accesso al sistema di istruzione e alle cure sanitarie. I familiari devono altresì aver accesso all’occupazione nonché alla formazione professionale e beneficiare di assistenza sociale ( 15 ). Tali diritti e benefici devono essere concessi a condizioni equivalenti a quelle applicabili ai cittadini nazionali. Risulta dai considerando da 41 a 48 nonché dagli articoli da 24 a 35 della direttiva 2011/95 che tali benefici devono permettere ai familiari del beneficiario di protezione internazionale di soddisfare le loro necessità specifiche e di integrarsi nello Stato membro ospitante.

44.

I benefici così accordati ai familiari sono, in sostanza, gli stessi concessi al beneficiario di protezione internazionale.

45.

Come la Corte ha rilevato nella sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova ( 16 ), il legislatore dell’Unione non ha previsto un’estensione dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria ai familiari del beneficiario di protezione internazionale, come proponeva la Commissione nella sua proposta di direttiva del Consiglio recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto dello status di protezione ( 17 ). Quest’ultima intendeva garantire una siffatta estensione ai familiari a carico al seguito del richiedente protezione internazionale ( 18 ), ad eccezione delle persone escluse dal beneficio di tale protezione. Tale iniziativa non è stata accolta, dato che il Parlamento riteneva necessario tener conto dei casi nei quali i familiari «possono possedere uno status giuridico diverso [da quello del richiedente] a titolo personale, che può non essere compatibile con quello della protezione internazionale» ( 19 ). La Commissione non ha rinnovato la detta iniziativa nell’ambito dei lavori preparatori della direttiva 2011/95, benché quest’ultima abbia l’obiettivo di stabilire «livelli più elevati» rispetto alle norme minime precedentemente enunciate nella direttiva 2004/83/CE ( 20 ).

46.

Alla luce di questi elementi, non risulta dalla formulazione dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 che tale disposizione permetta allo Stato membro ospitante di riconoscere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria a titolo derivato ai familiari del beneficiario di protezione internazionale ai fini del mantenimento dell’unità del nucleo familiare.

b)   Gli aventi diritto ai benefici

47.

L’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 subordina il diritto ai benefici previsti agli articoli da 24 a 35 di quest’ultima al ricorrere di tre presupposti. Innanzitutto, il familiare del beneficiario di protezione internazionale deve rientrare nella nozione definita all’articolo 2, lettera j), di tale direttiva. Egli non deve poi essere esso stesso in possesso dei requisiti sostanziali per la concessione di protezione internazionale. Infine, il suo status giuridico personale dev’essere compatibile con la concessione di tali benefici.

48.

Benché tali condizioni siano cumulative, esse possono tuttavia rivelarsi insufficienti qualora il familiare rientri in una delle clausole di esclusione dal beneficio della protezione internazionale enunciate ai capi III e V della detta direttiva ( 21 ) o qualora lo stesso rappresenti un pericolo per la sicurezza nazionale o per l’ordine pubblico ( 22 ).

1) La qualità di «familiare»

49.

Dalla definizione enunciata all’articolo 2, lettera j), della direttiva 2011/95 discende che è un familiare ai sensi di tale disposizione chi appartiene a un nucleo familiare «già costituito nel paese d’origine (...) del beneficiario di protezione internazionale» e si trova nel medesimo Stato membro in cui si trova quest’ultimo in connessione alla domanda di protezione internazionale.

50.

Il legislatore dell’Unione enuncia quindi due criteri ai fini della qualificazione come «familiare» e, di riflesso, ai fini dell’applicabilità delle norme relative al mantenimento dell’unità del nucleo familiare.

51.

Il primo criterio è relativo al luogo e al momento in cui è sorto il legame familiare.

52.

Benché sia pacifico che la famiglia non si definisce né attraverso il luogo né attraverso il momento in cui è stata costituita, il legislatore dell’Unione limita tuttavia il beneficio del mantenimento dell’unità del nucleo familiare ai legami familiari instaurati dal beneficiario di protezione internazionale, nel suo paese d’origine, prima della concessione di tale protezione, siano essi di natura biologica, come la nascita di un figlio, o giuridica, come l’adozione o il matrimonio. Come rileva l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (EASO), nella sua guida relativa ai requisiti per poter beneficiare della protezione internazionale, i bisogni del nucleo familiare devono già esistere nel paese d’origine ( 23 ).

53.

L’esistenza di un nesso di collegamento del familiare con il paese d’origine del beneficiario di protezione internazionale è un elemento decisivo, come testimoniano anche i termini dell’articolo 23, paragrafo 5, della direttiva 2011/95. Se è vero che tale disposizione permette agli Stati membri di estendere l’ambito di applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, di tale direttiva agli altri «congiunti» del beneficiario di protezione internazionale, deve trattarsi dei congiunti «che vivevano nel nucleo familiare al momento della partenza dal paese d’origine». È pertanto necessario dimostrare l’esistenza di una comunione di vita in tale paese, anteriormente alla partenza.

54.

Il mantenimento dell’unità del nucleo familiare di cui all’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 si riferisce, di conseguenza, ai familiari che hanno vissuto con il beneficiario di protezione internazionale nel paese d’origine di quest’ultimo. Tale disposizione non è quindi destinata a proteggere la famiglia che il beneficiario di protezione internazionale ha costituito nel territorio dello Stato membro ospitante. Ciò distingue il regime della direttiva 2011/95 da quello istituito dalla direttiva 2003/86, la quale si applica indipendentemente dal fatto che i legami familiari siano anteriori o posteriori all’ingresso del soggiornante ( 24 ) nel territorio dello Stato membro ospitante ( 25 ).

55.

Il secondo criterio posto dal legislatore dell’Unione è relativo alla presenza dei familiari nel territorio dello Stato membro ospitante «in connessione alla domanda di protezione internazionale». Una siffatta condizione implica che questi ultimi siano stati al seguito del beneficiario di protezione internazionale dal paese d’origine verso lo Stato membro ospitante ai fini della presentazione della sua domanda, testimoniando così la loro volontà di restare uniti. Ciò viene specificato al considerando 16 della direttiva 2011/95, che precisa che il legislatore dell’Unione deve assicurare il pieno rispetto dei diritti dei «richiedenti asilo e dei familiari al loro seguito» ( 26 ).

56.

Tale secondo criterio distingue nuovamente la direttiva 2011/95 dalla direttiva 2003/86, in forza della quale la domanda di ricongiungimento familiare è presentata quando i familiari soggiornano, in linea di principio, all’esterno del territorio dello Stato membro nel quale risiede il soggiornante ( 27 ).

57.

Risulta da questi elementi che, da un punto di vista letterale, l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 non è destinato a ricomprendere la situazione dei familiari qualora la famiglia sia stata costituita fuori dal paese d’origine e posteriormente alla concessione della protezione internazionale ad uno dei componenti di quest’ultima.

2) Il familiare non soddisfa le condizioni sostanziali per il riconoscimento della protezione internazionale

58.

La seconda condizione posta dall’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 è relativa all’inammissibilità dell’accesso dei familiari alla protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera a), di tale direttiva, vale a dire ad uno status di rifugiato o allo status di protezione sussidiaria. L’articolo 23, paragrafo 2, della detta direttiva non riguarda i familiari che soddisfano direttamente le condizioni sostanziali per il riconoscimento della protezione internazionale per i rischi a cui essi sono personalmente soggetti nel paese d’origine.

3) Il familiare ha uno status giuridico personale che non osta alla concessione dei benefici previsti dalla direttiva 2011/95

59.

La terza condizione enunciata dal legislatore dell’Unione all’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 riguarda lo «status giuridico personale del familiare». Viene precisato che tale status dev’essere compatibile con la concessione dei benefici di cui agli articoli da 24 a 35 di tale direttiva.

60.

La nozione di «status giuridico personale» non è definita dalla direttiva 2011/95. Tale nozione rientra tuttavia in un’accezione comune. Relativamente ad una persona fisica, essa si riferisce all’insieme delle disposizioni di legge che disciplinano la situazione giuridica di tale persona nonché ai vari status che le sono riconosciuti in base, in particolare, all’età (status di minorenne o di maggiorenne, ad esempio), al luogo di nascita (cittadinanza acquisita attraverso lo jus soli), al rapporto di filiazione (filiazione naturale o adottiva), alla cittadinanza o alle cittadinanze di cui è in possesso, ovvero, ancora, al suo regime matrimoniale (matrimonio, convivenza more uxorio, ecc.), alla sua situazione di dipendenza (regime di tutela, di curatela, ecc.), ai suoi precedenti o al suo soggiorno nel territorio di uno Stato membro, ecc. Lo status giuridico proprio di una persona fisica può così regolare tutti gli aspetti della sua vita.

61.

Nel contesto dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, la misura in cui il familiare del beneficiario di protezione internazionale può fruire dei benefici previsti da tale direttiva dipenderà dal suo status giuridico personale. Non si può quindi esigere dallo Stato membro ospitante che esso rilasci un titolo di soggiorno o documenti di viaggio ad un familiare che si riveli, ad esempio, essere cittadino dell’Unione, o addirittura cittadino dello Stato membro ospitante.

62.

Occorre ora esaminare il contesto, poi l’impianto sistematico in cui si colloca l’articolo 23, paragrafo 2, della detta direttiva.

2.   Il contesto in cui si colloca l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95

63.

L’esame del contesto in cui si colloca l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 dimostra che il regime della Convenzione di Ginevra non impone di estendere il beneficio della protezione internazionale ai familiari di un rifugiato che si trovino in una situazione come quella in esame.

64.

È importante rilevare, in via preliminare, che le disposizioni della direttiva 2011/95 devono essere interpretate non soltanto alla luce dell’impianto sistematico generale e della finalità di tale direttiva, ma anche nel rispetto della Convenzione di Ginevra ( 28 ). Anche se la detta direttiva istituisce, secondo la Corte, un sistema normativo comportante nozioni e criteri comuni agli Stati membri e, pertanto, propri dell’Unione, essa è tuttavia fondata su un’applicazione integrale e globale di tale convenzione e ha, in particolare, per finalità che sia pienamente rispettato l’articolo 1 di quest’ultima ( 29 ). Al riguardo, le consultazioni con l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) godono di una pertinenza particolare, considerato il ruolo ad esso attribuito dalla detta convenzione ( 30 ).

65.

È, di conseguenza, importante esaminare il contenuto della Convenzione di Ginevra. Quest’ultima sancisce, agli articoli da 3 a 34 i diritti e le libertà fondamentali connessi al riconoscimento dello status di rifugiato. Tali diritti politici, economici e sociali mirano, essenzialmente, a garantire l’integrazione del rifugiato nel paese ospitante permettendogli di partecipare alla vita di tale paese senza subire, a causa della sua razza, della sua religione o del suo paese d’origine, discriminazioni o un trattamento meno favorevole di quello riservato ai cittadini nazionali.

66.

Tuttavia, la Convenzione di Ginevra, così come il protocollo del 1967, non sancisce alcuna disposizione specifica relativa all’unità del nucleo familiare del rifugiato ( 31 ). Bisogna riferirsi, a tal fine, a un atto diplomatico allegato a tale convenzione, ossia l’Atto Finale della Conferenza dei plenipotenziari delle Nazioni Unite sullo status dei rifugiati e degli apolidi, del 25 luglio 1951. Come rileva la dottrina, è in tale atto che i redattori di detta convenzione hanno stabilito «un collegamento» tra il regime di protezione internazionale fondato sul timore di persecuzione del rifugiato e il nucleo familiare di quest’ultimo ( 32 ). Considerando che «l’unità della famiglia (...) è un diritto essenziale del rifugiato, e che tale unità è costantemente minacciata», tale atto «raccomanda agli [Stati firmatari] di disporre i provvedimenti necessari per la protezione della famiglia del rifugiato e, in particolare, per (...) [g]arantire l’unità del nucleo familiare del rifugiato, soprattutto nel caso in cui il capo famiglia possegga i requisiti necessari per l’ammissione in un paese» ( 33 ).

67.

È in tale contesto che il legislatore dell’Unione ha adottato la direttiva 2004/83, poi quella che la ha sostituita, la direttiva 2011/95 ( 34 ).

68.

Conformemente all’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, sul quale essa è fondata, la direttiva 2011/95 è diretta a istituire a favore dei cittadini di paesi terzi uno «status uniforme in materia di asilo» fondato sulla Convenzione di Ginevra nonché uno «status uniforme in materia di protezione sussidiaria» ( 35 ). Tale direttiva definisce, ai suoi capi I, III, IV, V e VI, i criteri comuni per identificare le persone che hanno «effettivamente bisogno di protezione internazionale» ( 36 ) e alle quali occorre riconoscere uno dei due status prima di determinare, al suo capo VII, il contenuto della protezione conferita da tali status. Orbene, al pari della Convenzione di Ginevra, il legislatore dell’Unione non ha previsto di estendere il beneficio della protezione internazionale ai familiari di un rifugiato o di un beneficiario di protezione sussidiaria ai fini del mantenimento dell’unità del nucleo familiare.

69.

Talune raccomandazioni dell’UNHCR facevano tuttavia propendere in tal senso. Nelle sue note a commento della direttiva 2004/83 ( 37 ), l’UNHCR aveva sottolineato, quanto all’articolo 23, paragrafi 1 e 2, di tale direttiva, che ai componenti della stessa famiglia doveva essere accordato lo stesso status del richiedente principale (status derivato), purché ciò fosse compatibile con il loro status personale. Nelle Questions relatives à la protection de la famille (Questioni relative alla protezione della famiglia), del 4 giugno 1999 ( 38 ), il comitato permanente dell’UNHCR aveva parimenti già precisato che «il découle du principe de l’unité familiale que, si le chef de famille satisfait aux critères régissant la reconnaissance du statut de réfugié, les membres à charge de sa famille doivent normalement se voir reconnaître la qualité de réfugié» (discende dal principio dell’unità del nucleo familiare che, se il capo famiglia soddisfa i criteri che regolano il riconoscimento dello status di rifugiato, ai familiari a suo carico deve normalmente essere riconosciuta la qualità di rifugiato) (traduzione libera) ( 39 ), fatta salva la compatibilità di tale status con il loro status giuridico personale.

70.

Analogamente, come ho precisato in precedenza, la Commissione aveva formulato la stessa proposta in occasione della preparazione della direttiva 2004/83, senza che tale proposta fosse accolta.

3.   L’impianto sistematico in cui si colloca l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95

71.

Quando si esamina l’impianto sistematico della direttiva 2011/95, appare chiaro che l’applicazione delle norme relative al mantenimento dell’unità del nucleo familiare del beneficiario di protezione internazionale attraverso la concessione di taluni benefici esige che si proceda ad una valutazione su base individuale della situazione di ciascuno dei familiari ( 40 ). Tale valutazione deve permettere di adeguare la concessione dei diritti e dei benefici in relazione alla loro situazione e al loro status giuridico.

72.

Innanzitutto, tale esigenza di procedere ad un esame su base individuale è prevista per i beneficiari di protezione internazionale e discende dai considerando 41, 45 e 47 della direttiva 2011/95 nonché dalle «[d]isposizioni generali» relative al contenuto di tale protezione enunciate all’articolo 20 di quest’ultima.

73.

L’articolo 20, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2011/95 precisa che, quando decidono sul diritto ai benefici previsti da tale direttiva per i beneficiari di protezione internazionale, gli Stati membri sono tenuti a procedere ad una valutazione della situazione individuale in cui si trovano le persone vulnerabili, quali i minori, i minori non accompagnati, gli anziani o ancora le vittime di torture, affinché sia tenuto conto delle loro esigenze particolari ( 41 ). Il considerando 41 della direttiva 2011/95 precisa che gli Stati membri possono così adottare norme più favorevoli «[a]ffinché (...) possano [essere fatti] valere effettivamente i diritti e i benefici sanciti da [tale] direttiva», tenendo conto, segnatamente, delle particolari esigenze dei beneficiari di protezione internazionale e degli specifici problemi di integrazione cui devono far fronte.

74.

Al riguardo, l’articolo 20, paragrafo 5, della direttiva 2011/95 precisa, in particolare, che l’interesse superiore del minore costituisce la considerazione principale. Orbene, come ha rilevato la Corte nella sentenza del 14 gennaio 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Rimpatrio di un minore non accompagnato) ( 42 ), solo una valutazione generale ed approfondita della situazione del minore – nella fattispecie, non accompagnato – consente di identificare l’«interesse superiore del bambino» ( 43 ).

75.

Inoltre, la necessità di un esame su base individuale delle situazioni discende dalle norme particolari relative al mantenimento dell’unità del nucleo familiare previste all’articolo 23 della direttiva 2011/95 ( 44 ) e, segnatamente, dalla valutazione della qualità di «familiare», ai sensi dell’articolo 2, lettera j), di tale direttiva, dalla condizione relativa allo status giuridico del familiare oppure, ancora, dalla necessaria presa in considerazione degli interessi del minore o delle situazioni particolari di dipendenza ( 45 ).

76.

Infine, la clausola di esclusione sancita all’articolo 23, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 implica che gli Stati membri verifichino se il familiare sia o sarebbe escluso dal beneficio della protezione internazionale per uno dei motivi specificati agli articoli 12 e 17 di tale direttiva, in ragione, ad esempio, di un crimine da lui eventualmente commesso ( 46 ), che lo privi dei benefici di cui potrebbe fruire in base ai suoi legami familiari. Nella sentenza del 13 settembre 2018, Ahmed ( 47 ), la Corte ha così dichiarato che l’applicazione di tale clausola di esclusione non può essere automatica, richiedendo un esame completo di tutte le circostanze proprie al singolo caso ( 48 ). Quanto alla clausola di esclusione di cui all’articolo 23, paragrafo 4, della detta direttiva, essa richiede, conformemente alla giurisprudenza della Corte, che gli Stati membri valutino caso per caso se il comportamento personale del familiare possa rappresentare una minaccia per la sicurezza nazionale e per l’ordine pubblico ( 49 ).

77.

Alla luce di questi elementi, solo un esame individuale della situazione familiare in cui si trova il beneficiario di protezione internazionale permette di determinare in che misura egli debba poter beneficiare del diritto al mantenimento dell’unità del nucleo familiare e, se del caso, in che misura i suoi familiari debbano avere accesso ai benefici previsti dalla direttiva 2011/95 – come l’accesso all’istruzione o all’occupazione – o, al contrario, rischino di esserne privati a seguito della loro situazione giuridica personale o dei loro precedenti. Quand’anche il legislatore dell’Unione avesse permesso agli Stati membri di estendere il beneficio della protezione internazionale al figlio minorenne di un beneficiario di protezione internazionale, un siffatto beneficio non potrebbe essere concesso secondo una procedura che non consenta di valutare la situazione individuale di tale minore.

4.   L’analisi teleologica della direttiva 2011/95

78.

La direttiva 2011/95 è fondata sull’articolo 78, paragrafo 2, lettere a) e b), TFUE, che prevede l’adozione di misure relative a un sistema europeo comune di asilo che includa uno status uniforme a favore dei beneficiari di protezione internazionale valido in tutta l’Unione.

79.

In primo luogo, tale direttiva esprime chiaramente la volontà del legislatore dell’Unione di garantire che tutti gli Stati membri identifichino le persone che hanno «effettivamente bisogno di protezione internazionale» e concedano tale protezione internazionale sulla base di criteri comuni esaminando individualmente la situazione di ciascun richiedente ( 50 ). Due status sono stabiliti, e cioè lo status di rifugiato e lo status di protezione sussidiaria. Se è vero che il legislatore dell’Unione ha operato la scelta di integrare la protezione dei rifugiati sancita dalla Convenzione di Ginevra con l’istituzione di una forma sussidiaria di protezione, si deve necessariamente constatare che esso non ha previsto di aggiungere a tali regimi una protezione ulteriore che sia accordata a titolo derivato ai familiari di un beneficiario di protezione internazionale.

80.

Risulta dagli articoli 13 e 18 della direttiva 2011/95, letti congiuntamente all’articolo 2, lettere d) e f), di quest’ultima, che il riconoscimento dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria presuppone la compresenza di due elementi essenziali: il primo è costituito dall’esistenza di un rischio di persecuzione di cui sarebbe vittima l’interessato a motivo della sua razza, religione, nazionalità, opinione politica o appartenenza a un determinato gruppo sociale (rifugiato) o di un rischio di danno grave (protezione sussidiaria), una volta di ritorno nel suo paese d’origine. Il secondo è costituito dalla responsabilità diretta o indiretta di tale paese dell’esistenza di tale rischio. Il beneficio dello status di rifugiato o di quello conferito dalla protezione sussidiaria è pertanto riservato ai casi in cui le autorità pubbliche del paese d’origine non hanno garantito la protezione contro i rischi di persecuzione o di danno grave vuoi in quanto all’origine delle persecuzioni, vuoi incoraggiando o tollerando le persecuzioni di milizie o di altri gruppi privati. Secondo l’EASO, la valutazione della disponibilità di protezione nel paese d’origine è pertanto un passaggio obbligatorio nell’analisi della necessità di protezione internazionale, dato che quest’ultima è secondaria e viene in considerazione solo se nessuna protezione viene garantita da tale paese ( 51 ).

81.

Tali due elementi sono determinanti ai fini della concessione di protezione internazionale poiché fondano il timore dell’individuo e spiegano l’impossibilità o il rifiuto di quest’ultimo di avvalersi della protezione del suo paese d’origine. Essi costituiscono, in tale contesto, principi fondanti del regime della protezione internazionale.

82.

Tenuto conto dell’oggetto della presente causa, va rivolta un’attenzione particolare al secondo dei detti elementi. Esso traduce il principio di sussidiarietà della protezione internazionale più volte menzionato dal giudice del rinvio nonché dal governo belga nelle sue osservazioni. In forza di tale principio, la protezione internazionale è una protezione sostitutiva che viene riconosciuta a un richiedente qualora e in quanto il suo paese d’origine si trovi incapace di proteggerlo contro i rischi di persecuzione o i danni gravi di cui è vittima ( 52 ). Al pari dell’articolo 1 della Convenzione di Ginevra, la direttiva 2011/95 inserisce tale principio nel contesto sia della concessione dello status di rifugiato sia della cessazione di questo ( 53 ) o dell’esclusione dallo stesso ( 54 ). Nella sentenza del 20 gennaio 2021, Secretary of State for the Home Department ( 55 ), la Corte ha così ricordato che le circostanze che dimostrano l’incapacità o, al contrario, la capacità del paese d’origine di garantire una protezione contro atti di persecuzione costituiscono un elemento decisivo della valutazione che conduce alla concessione, o, eventualmente, in modo simmetrico, alla cessazione dello status di rifugiato ( 56 ).

83.

Di conseguenza, ogni concessione di protezione internazionale dovrebbe essere esclusa qualora il familiare benefici dei diritti connessi alla propria cittadinanza e, in particolare, della protezione del suo paese d’origine.

84.

In secondo luogo, la direttiva 2011/95 esprime altresì chiaramente la volontà del legislatore dell’Unione di istituire uno status di rifugiato e uno status di protezione sussidiaria che siano uniformi e nell’ambito dei quali debbano essere conferiti gli stessi diritti e gli stessi benefici ( 57 ). Tale uniformità ha lo scopo di garantire un trattamento di livello equivalente quanto alle condizioni di vita dei beneficiari di protezione internazionale, a prescindere dallo Stato membro ospitante, riducendo così il rischio di movimento secondario dei richiedenti protezione internazionale motivati dalla diversità di tali condizioni ( 58 ). Di riflesso e salvo un esame su base individuale, i familiari sono destinati a fruire, a prescindere dallo Stato membro ospitante, degli stessi diritti e degli stessi benefici ( 59 ).

85.

Anche se, come mostrerò in prosieguo, gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità al fine di prevedere un trattamento più favorevole, tale margine non può condurre a infrangere in maniera manifesta la parità di trattamento perseguita in questo contesto dal legislatore dell’Unione.

86.

Infine, in terzo luogo, la direttiva 2011/95 esprime chiaramente la volontà del legislatore dell’Unione di garantire ai beneficiari di protezione internazionale il rispetto dei loro diritti fondamentali quali sanciti in particolare nella Carta, nella Convenzione di Ginevra nonché nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali ( 60 ).

87.

L’articolo 7 della Carta riconosce così il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Conformemente ad una giurisprudenza costante, tale articolo dev’essere letto congiuntamente all’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, riconosciuto all’articolo 24, paragrafo 2, di quest’ultima, e tenendo conto della necessità per il minore di intrattenere regolarmente relazioni personali con entrambi i genitori, affermata al paragrafo 3 dello stesso articolo ( 61 ). Esiste un consenso universale sul fatto che, in quanto elemento fondamentale della società, la famiglia ha diritto al rispetto e alla protezione e che lo Stato deve fare di tutto per mantenere i legami tra un minore e la sua famiglia, dato che solo circostanze eccezionali possono spezzare il legame familiare ( 62 ).

88.

In tale contesto, il mantenimento dell’unità del nucleo familiare è un diritto riconosciuto come diritto essenziale del rifugiato ( 63 ).

89.

Tale diritto trova la sua fonte – e il suo fondamento – nel sostegno materiale e psicologico che i familiari possono prestarsi reciprocamente, partecipando al benessere e alla protezione di ciascuno ( 64 ). Mentre l’esilio forzato espone il beneficiario di protezione internazionale a un rischio reale di essere permanentemente separato dalla sua famiglia, tale esilio espone i suoi familiari, restati nel paese d’origine e privati del suo sostegno, non soltanto a rischi di persecuzione, ma anche ad un rischio di precariato economico e sociale, a rischi di violenze e di sfruttamento, se non all’abbandono, e la fuga costituisce spesso un punto di non ritorno nel paese d’origine per un lungo periodo ( 65 ). Mentre i rischi di persecuzione o di danni gravi ai quali sono personalmente esposti i familiari giustificano la concessione di protezione internazionale nei loro confronti, per contro, i rischi di precarietà economica e sociale a cui essi potrebbero essere soggetti non sono sufficienti per fondare un riconoscimento del genere.

90.

Il meccanismo previsto all’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 tende a garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare in quest’ultimo caso di specie. Anche se tale obiettivo non figura tra gli obiettivi principali di tale direttiva citati al considerando 12 di quest’ultima, l’articolo 23, paragrafo 2, della detta direttiva prevede tuttavia obblighi particolarmente chiari e precisi a carico dello Stato membro ospitante. Quest’ultimo deve permettere al beneficiario di protezione internazionale di condurre una normale vita familiare nel territorio dello Stato membro ospitante, accordando ai suoi familiari i benefici economici e sociali necessari al soddisfacimento dei loro bisogni essenziali e alla loro integrazione in tale Stato ( 66 ).

91.

Secondo l’UNHCR, il mantenimento dell’unità del nucleo familiare deve pertanto costituire «uno strumento per assicurare una parvenza di normalità in una vita (...) sradicata» ( 67 ).

92.

Senza voler compromettere le condizioni di riconoscimento della protezione internazionale, lo scopo essenziale così perseguito dal legislatore dell’Unione è quello di mantenere l’unità del nucleo familiare la cui componente essenziale, e cioè la coppia e i figli, è già presente nello Stato membro ospitante. Fornendo al coniuge i mezzi per guadagnarsi da vivere in tale Stato e ai figli i mezzi per essere scolarizzati, dando loro la possibilità di ottenere un titolo di soggiorno di durata rinnovabile, di avere un alloggio decente e di beneficiare dell’accesso alle cure sanitarie, l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 rafforza la situazione economica e sociale del nucleo familiare, proteggendo ciascuno dei componenti di quest’ultimo. Attraverso il funzionamento stesso di tale meccanismo concepito a favore dell’unità del nucleo familiare e dell’integrazione di ciascuno dei suoi componenti, il nucleo familiare deve acquisire una situazione stabile ed autonoma nello Stato membro ospitante.

93.

Ne discende – e tendo qui a rispondere alla terza questione pregiudiziale – che l’attuazione dell’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 non può dipendere dalla possibilità di reinsediamento del nucleo familiare in un paese terzo, quand’anche taluni dei suoi componenti abbiano la cittadinanza di tale paese. Infatti, la ragion d’essere di tale articolo è quella di permettere al beneficiario di tale protezione internazionale di godere dei diritti a lui conferiti da tale protezione mantenendo nel contempo l’unità del nucleo familiare nel territorio dello Stato membro ospitante. Tener conto di una possibilità del genere condurrebbe a svuotare di effetto utile le disposizioni sancite all’articolo 23, paragrafo 2, della detta direttiva poiché implicherebbe che il beneficiario di protezione internazionale rinunci al diritto d’asilo ivi a lui conferito.

94.

In conclusione, mi pare che, all’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, il legislatore dell’Unione non abbia avuto l’intenzione di garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare del beneficiario di protezione internazionale permettendo alle autorità nazionali competenti di concedere la stessa protezione internazionale ai suoi familiari e segnatamente al figlio minorenne, senza che tali autorità procedano ad un esame su base individuale della domanda e a prescindere dalla questione di stabilire se la situazione del familiare riveli l’esistenza di un bisogno di protezione internazionale ai sensi di tale direttiva.

95.

Alla luce di tutti questi elementi, propongo, di conseguenza, alla Corte di dichiarare che l’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 osta ad una normativa nazionale in forza della quale l’autorità nazionale competente tende a garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare del beneficiario di protezione internazionale concedendo tale protezione ai familiari di quest’ultimo e, segnatamente, al figlio minorenne, che, individualmente, non sono in possesso dei requisiti necessari per ottenere protezione internazionale.

B. Sulla prima questione relativa all’interpretazione dell’articolo 3 della direttiva 2011/95

96.

Con la sua prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, alla Corte se l’articolo 3 della direttiva 2011/95 debba essere interpretato nel senso che osta ad una normativa di legge nazionale in forza della quale l’autorità nazionale competente, al fine di garantire il mantenimento dell’unità familiare, può riconoscere al figlio minorenne di un beneficiario di protezione internazionale lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, qualora tale minore possieda la cittadinanza di un paese diverso da quello del genitore, paese la cui protezione – in linea di principio – può reclamare.

1.   La portata del margine di discrezionalità conferito dall’articolo 3 della direttiva 2011/95 agli Stati membri

97.

In applicazione dell’articolo 3 della direttiva 2011/95, «[g]li Stati membri hanno facoltà di introdurre o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli in ordine alla determinazione dei soggetti che possono essere considerati rifugiati o persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché in ordine alla definizione degli elementi sostanziali della protezione internazionale, purché siano compatibili con le disposizioni [di questa] direttiva» ( 68 ).

98.

In primo luogo, dall’articolo 3 della direttiva 2011/95, letto alla luce del considerando 14 di quest’ultima, risulta che gli Stati membri possono adottare o mantenere in vigore disposizioni più favorevoli nel contesto dell’esame di una domanda di protezione internazionale, al fine di individuare le persone in possesso dei requisiti per la concessione di quest’ultima.

99.

Da una parte, la nozione di «domanda di protezione internazionale» è definita, all’articolo 2, lettera h), della direttiva 2011/95 come la «richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria». Viene precisato che il richiedente non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’ambito di applicazione di tale direttiva.

100.

Dall’altra parte, facendo riferimento alla «determinazione dei soggetti che possono essere considerati» rifugiati o persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, il legislatore dell’Unione si riferisce unicamente alle condizioni di riconoscimento espressamente enunciate ai capi da II a VI della detta direttiva.

101.

In secondo luogo, dalla riserva espressa dal legislatore dell’Unione quanto alla necessaria compatibilità di tali disposizioni più favorevoli con la direttiva 2011/95 discende che il margine di discrezionalità degli Stati membri dev’essere determinato alla luce delle norme sostanziali e procedurali enunciate da tale direttiva e degli obiettivi da quest’ultima perseguiti ( 69 ).

102.

Ricordo che, conformemente all’articolo 78, paragrafo 2, TFUE, la direttiva 2011/95 mira a garantire l’uniformità dello status di asilo e dello status di protezione sussidiaria accordando protezione internazionale sulla base di criteri comuni agli Stati membri, in esito ad un esame individuale della situazione del richiedente.

103.

A differenza della direttiva 2004/83, che dettava norme minime, la direttiva 2011/95 si inserisce in un insieme completo di norme armonizzate a livello di Unione, il regime di asilo europeo comune, il quale mira ad un livello di norme più elevate. Mentre, in seno al capo I di tale direttiva, tale legislatore definisce l’ambito di applicazione della detta direttiva nonché le nozioni fondamentali ai fini della sua applicazione, esso determina le condizioni sostanziali e procedurali di riconoscimento della protezione internazionale ai capi da II a VI. Nella sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) ( 70 ), la Corte ha dichiarato che la direttiva 2011/95 stabilisce nozioni e criteri comuni che sono specifici dell’Unione ( 71 ).

104.

Di conseguenza, non mi sembra che uno Stato membro possa utilizzare il suo margine di discrezionalità per definire in maniera diversa tali nozioni e criteri comuni e per adottare una normativa in forza della quale lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria possa essere riconosciuto per motivi diversi da quelli espressamente previsti dalla direttiva 2011/95 e sulla base di una valutazione della domanda che non sia individuale.

105.

Tale interpretazione non priva di effetto utile l’articolo 3 di tale direttiva.

106.

Infatti, la libertà di cui dispongono gli Stati membri in applicazione dell’articolo 3 della direttiva 2011/95 resta sufficientemente ampia per consentire loro di adottare disposizioni più favorevoli, in un senso conforme alle norme stabilite in tale direttiva.

107.

Da una parte, la direttiva 2011/95 contiene numerose disposizioni facoltative che ciascuno Stato membro è libero di attuare ( 72 ).

108.

Dall’altra parte, talune nozioni che sono fondamentali per l’attuazione di tale direttiva non sono definite stricto sensu. Ciò vale, ad esempio, per la nozione di «persecuzione». Come rileva l’EASO, si tratta di un concetto «flessibile, adattabile e sufficientemente aperto così da riflettere la mutevolezza delle forme di persecuzione» ( 73 ). Così, il legislatore dell’Unione non elenca in maniera tassativa le forme che essa può presentare e i motivi su cui essa si fonda possono essere valutati in maniera diversa dagli Stati membri, come mostra il contenzioso sottoposto alla Corte.

109.

Ricordo che la determinazione del bisogno di protezione internazionale rientra in una valutazione individuale della domanda. Ciascuno Stato membro è libero di valutare in che misura le nozioni e i criteri comuni definiti nella direttiva 2011/95 debbano essere attuati al fine di rendere la loro applicazione più efficace in esito a tale esame. Nell’ambito di tale valutazione individuale, gli Stati membri possono fissare condizioni più elastiche ai fini della valutazione del rischio di persecuzione o di danni gravi ai quali è esposto il richiedente ( 74 ). Essi possono altresì adottare norme più favorevoli quando valutano i bisogni di protezione internazionale dei componenti di uno stesso nucleo familiare e, in particolare, dei minori, abbassando, ad esempio, il livello di persecuzione o di danni gravi richiesto dalle norme. La valutazione dei bisogni di protezione internazionale deve, infatti, tener conto della vulnerabilità particolare dei familiari. Il riconoscimento di protezione internazionale nei confronti del capo famiglia espone, ad esempio, questi ultimi ad un rischio più elevato di subire persecuzioni o danni gravi per motivi loro propri o in ragione del semplice legame di parentela ( 75 ). Infatti, l’UNHCR ha raccomandato il riconoscimento «a titolo derivato» dello status di rifugiato ai genitori di potenziali vittime di mutilazioni genitali femminili ( 76 ), nel caso in cui questi ultimi si esponessero a rischi di persecuzioni a causa della loro opposizione a tale pratica di cui essi abbiano fornito la prova.

110.

La valutazione dei bisogni di protezione internazionale deve altresì tener conto della particolare vulnerabilità dei minori. Atti o minacce che, per un adulto, potrebbero essere giudicati insufficienti per arrivare ad essere qualificati come persecuzioni possono raggiungere un livello di sufficienza quando si tratta di un minore.

111.

Si tratta di altrettanti parametri che la direttiva 2011/95 non fissa e lascia alla valutazione di ciascuno Stato membro.

112.

È in questo senso che la sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova ( 77 ), deve, a mio parere essere interpretata. Nel contesto particolare della causa in cui è stata pronunciata tale sentenza, la Corte ha infatti dichiarato che uno Stato membro, sul fondamento dell’articolo 3 della direttiva 2011/95, può estendere il beneficio della protezione internazionale accordata ad un membro di una famiglia, ad altri membri di detta famiglia, purché, tuttavia, il familiare interessato non rientri in una delle cause di esclusione di cui all’articolo 12 di tale direttiva e la sua situazione presenti, a motivo dell’esigenza di mantenimento dell’unità del nucleo familiare, un nesso con la logica della protezione internazionale.

113.

In tale causa, i tre membri della famiglia erano originari dell’Azerbaigian, paese nel quale sia il padre sia la madre di famiglia si ritenevano vittime di rischi di persecuzione e tutti i membri di tale famiglia si erano recati in Bulgaria al fine di presentarvi, ciascuno individualmente e simultaneamente, una domanda di protezione internazionale, mentre la madre chiedeva il riconoscimento di tale protezione anche a favore del figlio, cittadino azero. Tutti rispondevano alla definizione di «familiari» ai sensi dell’articolo 2, lettera j), della direttiva 2011/95 e nessuno aveva uno status giuridico personale che ostasse al riconoscimento di una protezione internazionale. Tale identità, sia di fatto che di diritto, della situazione dei componenti del nucleo familiare è stata, a mio parere, determinante ai fini dell’interpretazione dell’articolo 3 della direttiva 2011/95 in tale causa.

114.

La Corte ha tuttavia avuto cura di delimitare l’esercizio di tale margine di discrezionalità.

115.

In primo luogo, facendo riferimento ai motivi di esclusione di cui all’articolo 12 della direttiva 2011/95, la Corte ha testimoniato la sua volontà di non permettere il riconoscimento della protezione internazionale ad un familiare che non avesse manifestamente bisogno di tale status – in quanto beneficiario della protezione di un organismo delle Nazioni Unite o in quanto considerato dalle autorità competenti dello Stato membro ospitante come titolare dei diritti e degli obblighi connessi al possesso della cittadinanza di tale Stato o di diritti e obblighi equivalenti ( 78 ) – o che fosse considerato indegno della protezione che vi si ricollega ( 79 ).

116.

La Corte si è mossa in questo contesto sulla falsariga della sentenza del 9 novembre 2010, B e D ( 80 ), nella quale essa ha dichiarato che le disposizioni in cui all’articolo 3 della direttiva 2004/83 non permettono di riconoscere lo status di rifugiato ad una persona che ne sia esclusa ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 2, di tale direttiva per aver commesso un reato di diritto comune, e ciò allo scopo di «preservare la credibilità del sistema di protezione» previsto dalla detta direttiva ( 81 ).

117.

Se è vero che l’estensione della protezione nazionale è esclusa sul fondamento dell’articolo 12 della direttiva 2011/95 per il motivo, in particolare, che il familiare è considerato beneficiario dei diritti connessi alla cittadinanza del paese di residenza, tale estensione, a maggior ragione, non dev’essere possibile qualora tale familiare benefici dei diritti connessi alla cittadinanza di cui è in possesso e, in particolare, della protezione del suo paese d’origine.

118.

In secondo luogo, richiedendo che la situazione del familiare presenti, «a motivo dell’esigenza di mantenimento dell’unità del nucleo familiare (...), un nesso con la logica della protezione internazionale» ( 82 ), la Corte, a mio modo di vedere, si è riferita all’articolo 23 della direttiva 2011/95 e ha testimoniato la sua volontà di limitare il beneficio di tale estensione ai familiari di cui all’articolo 2, lettera j), di tale direttiva. Per le ragioni esposte ai paragrafi 49 e seguenti delle presenti conclusioni, la detta direttiva mira, infatti, a mantenere l’unità del nucleo familiare del beneficiario di protezione internazionale allorché quest’ultimo è costretto a lasciare il suo paese d’origine a motivo delle persecuzioni o dei danni gravi di cui è vittima in tale paese, con il rischio della rottura dei legami familiari.

119.

Il criterio secondo il quale la situazione del familiare deve presentare «a motivo dell’esigenza di mantenimento dell’unità del nucleo familiare (...), un nesso con la logica della protezione internazionale» si inserisce nella falsariga, questa volta, della sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj ( 83 ).

120.

Infatti, è alla luce di tale logica perseguita dalla protezione internazionale che, nella sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj ( 84 ), la Corte ha dichiarato in contrasto con l’articolo 3 della direttiva 2004/83 una normativa nazionale in forza della quale lo status di protezione sussidiaria poteva essere riconosciuto al cittadino di un paese terzo, vittima di aggressione nello Stato membro ospitante e il cui stato di salute rischiava di deteriorarsi a causa dell’inesistenza di terapie adeguate nel suo paese d’origine. Secondo la Corte, infatti, era in contrasto «con il sistema generale e con gli obiettivi della direttiva 2004/83 la concessione degli status da essa previsti a cittadini di paesi terzi che si trovino in situazioni prive di qualsiasi nesso con la logica della protezione internazionale» ( 85 ).

121.

È alla luce di tale schema di analisi che occorre esaminare se le disposizioni previste all’articolo 26, paragrafo 2, dell’AsylG rientrino nel margine di discrezionalità che l’articolo 3 della direttiva 2011/95 conferisce agli Stati membri.

2.   Esame della normativa controversa

122.

Alla luce degli elementi testè esposti, ritengo che, adottando una normativa come quella dell’articolo 26, paragrafo 2, dell’AsylG, il legislatore tedesco abbia ecceduto il margine di discrezionalità conferitogli dall’articolo 3 della direttiva 2011/95 ( 86 ).

123.

Infatti, nell’ipotesi in cui il figlio minorenne del beneficiario di protezione internazionale non soddisfi i requisiti sostanziali per il riconoscimento di tale protezione, la domanda da lui presentata sul fondamento di tale normativa può condurre al riconoscimento di tale protezione a fini – nella fattispecie – di protezione del nucleo familiare, e secondo condizioni sostanziali e procedurali diverse da quelle previste dalla direttiva 2011/95.

124.

Ritengo che una siffatta domanda, presentata ai fini del mantenimento dell’unità del nucleo familiare, non possa essere qualificata come «domanda di protezione internazionale» ai sensi dell’articolo 2, lettera h), della direttiva 2011/95 ( 87 ) e costituisca una domanda con la quale tale minore chiede un altro tipo di protezione al di fuori dell’ambito di applicazione di tale direttiva.

125.

Nelle sue conclusioni nella causa Ahmedbekova ( 88 ), l’avvocato generale Mengozzi precisava che «la domanda con la quale il familiare di una persona che soddisfa i criteri per il riconoscimento dello status di rifugiato chiede che gli venga a sua volta riconosciuta la qualità di rifugiato, indipendentemente dalla sussistenza di un timore fondato di persecuzione che lo riguardi personalmente, non può considerarsi, stricto sensu, come fondata sull’articolo 1, sezione A, della Convenzione di Ginevra, come invece richiesto dall’articolo 3 della direttiva 2011/95, letto alla luce del considerando 14 di quest’ultima» ( 89 ).

126.

In primo luogo, tale domanda è diretta al riconoscimento di uno status di rifugiato o di uno status di protezione sussidiaria ad un minore, mentre quest’ultimo non ha bisogno di protezione internazionale, ai sensi dell’articolo 2, lettera a), della direttiva 2011/95.

127.

Alla luce dell’obiettivo di protezione del nucleo familiare perseguito dalla normativa nazionale controversa, quest’ultima sostituisce alle condizioni sostanziali per il riconoscimento della protezione internazionale enunciate nella direttiva 2011/95 una diversa condizione relativa all’esistenza di un rapporto di filiazione tra il richiedente e il beneficiario di protezione internazionale. Tale normativa permette quindi di accordare una protezione internazionale in casi in cui il richiedente non soddisfa alcuno dei criteri essenziali a tal fine, e cioè l’individuazione di una persecuzione o di un danno grave ad opera di un responsabile e contro cui sia necessaria una protezione a seguito della carenza del paese d’origine.

128.

Tale sostituzione ha la conseguenza di privare di effetto utile le clausole di cessazione o di esclusione della protezione internazionale, le quali sono profondamente connesse alle condizioni per il riconoscimento di quest’ultima. Un minore potrebbe quindi vedersi riconoscere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria in una situazione in cui egli possa non aver bisogno di protezione internazionale, ma anche in una situazione in cui egli ne sia in linea di principio escluso, a motivo, per esempio, del suo status giuridico personale, perché beneficiario dei diritti connessi alla cittadinanza dello Stato membro ospitante o semplicemente perché in grado di rivendicare, come avviene nella causa principale, la protezione nazionale del suo paese d’origine.

129.

In secondo luogo, la domanda presentata sul fondamento dell’articolo 26, paragrafo 2, dell’AsylG può sfociare nel riconoscimento di una protezione internazionale, quando invece la situazione del minore non presenta, a motivo dell’esigenza di mantenimento dell’unità del nucleo familiare, un nesso con la logica della protezione internazionale ai sensi della sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova ( 90 ).

130.

Infatti, contrariamente all’articolo 26, paragrafi 1 (diritto derivato del coniuge o del partner non coniugato) e 3 (diritto derivato degli ascendenti), dell’AsylG, l’articolo 26, paragrafo 2, di tale legge sembra applicarsi indipendentemente dalla questione se il minore facesse parte del nucleo familiare al momento in cui il beneficiario di protezione internazionale è stato costretto a lasciare il paese d’origine.

131.

In terzo luogo, una siffatta domanda può sfociare nel riconoscimento della protezione internazionale attraverso una sorta di «effetto collettivo» senza che l’autorità nazionale competente abbia proceduto ad un esame individuale della situazione in cui si trova il minore.

132.

Anche se, come ha sottolineato il governo tedesco all’udienza, il riconoscimento automatico di tale protezione permette di semplificare e di alleviare l’onere dell’esame gravante sull’autorità nazionale competente, ritengo che un automatismo del genere non permetta di prendere debitamente in considerazione la situazione individuale del minore. L’obbligo di trovare una soluzione nell’interesse superiore di tale minore richiede che lo Stato membro ospitante effettui un esame minuzioso dei fatti e delle circostanze in cui il detto minore si trova e prenda debitamente in considerazione la sua situazione personale. Tale inconveniente è aggravato dal fatto che, come ha riconosciuto il governo tedesco all’udienza, il carattere «derivato» dello status concesso al minore ha come conseguenza che, se, per una ragione o per l’altra, il padre perde lo status di rifugiato, automaticamente lo perde anche il minore.

133.

Inoltre, non sono convinto del fatto che l’interesse superiore del minore imponga di accordare automaticamente a quest’ultimo lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, in particolare in una situazione come quella in esame in cui l’interessato non ha bisogno di protezione internazionale. Ricordo che il diritto d’asilo, quale sancito all’articolo 18 della Carta, non ha né la finalità né la vocazione di garantire l’unità del nucleo familiare, bensì quella di rispondere ad un bisogno di protezione internazionale. Il riconoscimento di tale status non protegge quindi necessariamente i diritti del nucleo familiare e del minore più di quanto non faccia il riconoscimento dei diritti specificamente previsti a tal fine all’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 o nell’ambito della direttiva 2003/86.

134.

Sottolineo, da un lato, che lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria è particolare e comporta l’applicazione di un insieme di norme e di obblighi specifici. In taluni Stati membri, il riconoscimento della protezione internazionale implica che il beneficiario non abbia più alcun rapporto con il paese d’origine, ivi comprese le autorità consolari di quest’ultimo, e non si rechi in tale paese, pena la revoca o la cessazione di tale protezione. Se è vero che tale regola è perfettamente giustificata al fine di garantire la protezione di quanti rischiano, a seguito della loro fuga, di essere esposti ad atti di rappresaglia, penso che la sua applicazione non abbia invece alcun senso in una situazione come quella in esame in cui il minore si vedrebbe privato dei legami con il paese di cui possiede la cittadinanza, senza alcun motivo legittimo. Allo stesso modo, mi parrebbe ingiustificato, in una situazione del genere, che lo Stato membro ospitante sostituisca una protezione internazionale alla protezione nazionale di cui beneficia tale minore ed eserciti nei suoi confronti gli obblighi che incombono al suo paese d’origine.

135.

Dall’altro lato, non bisogna perdere di vista che, al di là delle disposizioni previste all’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, il regime di asilo europeo comune permette di proteggere la vita familiare del rifugiato e di garantire la difesa dell’interesse superiore del minore attraverso altri strumenti di diritto derivato, il che distingue l’Unione da altri ordinamenti giuridici.

136.

Sulla falsariga della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, la direttiva 2003/86 prevede infatti un regime particolare e condizioni più favorevoli ai fini del ricongiungimento familiare dei beneficiari di protezione internazionale ( 91 ). Il ricongiungimento familiare è qui concepito come il corollario del diritto all’unità del nucleo familiare del rifugiato e al mantenimento di quest’ultima. Nella sentenza del 12 aprile 2018, A e S ( 92 ), la Corte ha qualificato come «intrinseco» il «nesso (...) tra il diritto al ricongiungimento familiare previsto all’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2003/86 e lo status di rifugiato» ( 93 ). L’esistenza di tale nesso implica non che si confondano le norme proprie al riconoscimento della protezione internazionale con quelle dirette al rispetto della vita familiare del beneficiario di protezione internazionale, ma, invece, che si coordinino questi due complessi di norme, garantendo il senso e l’effetto utile di ciascuno di essi.

137.

Come testimonia il suo considerando 6, la direttiva 2003/86 mira non soltanto al mantenimento della vita familiare, ma anche alla creazione della vita familiare, dato che i legami familiari possono essere anteriori o posteriori all’ingresso del soggiornante nel territorio dello Stato membro ospitante ( 94 ). Risulta, inoltre, da una giurisprudenza costante, che le disposizioni della direttiva 2003/86 devono essere interpretate e applicate alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafi 2 e 3, della Carta, che impongono agli Stati membri di esaminare le domande di ricongiungimento familiare nell’interesse dei minori coinvolti e nell’ottica di favorire la vita familiare ( 95 ).

138.

In tale contesto e al fine di rispondere alla terza questione pregiudiziale, ritengo che, in una situazione come quella in esame che sembra rientrare nell’ambito di applicazione della direttiva 2003/86, non sia appropriato tener conto delle possibilità di reinsediamento della famiglia in un paese terzo al fine di garantire il rispetto della vita familiare del beneficiario di protezione internazionale. Infatti, non si può pretendere né ci si può ragionevolmente attendere da quest’ultimo che egli faccia, a tal fine, la scelta di rinunciare alla protezione internazionale a lui offerta dallo Stato membro ospitante insediandosi in un paese terzo, senza che risulti alterata la ragion d’essere di tale direttiva.

139.

In quarto luogo, l’articolo 26, paragrafo 2, dell’AsylG mi sembra in contrasto con la volontà del legislatore dell’Unione di conferire gli stessi diritti e gli stessi benefici a tutti i destinatari di protezione internazionale di modo che questi ultimi beneficino di un trattamento e di condizioni di vita equivalenti a prescindere dallo Stato membro ospitante. Infatti, prevedendo in maniera quasi automatica il riconoscimento della protezione internazionale al figlio minorenne del beneficiario di tale protezione, indipendentemente dalla situazione in cui tale minore si trova, tale normativa può alimentare il rischio di movimenti secondari dei richiedenti protezione internazionale.

140.

Alla luce di tali considerazioni l’articolo 26, paragrafo 2, dell’AsylG condurrebbe, in una situazione come quella in esame, a riconoscere alla ricorrente nella causa principale la protezione internazionale, mentre quest’ultima, in primo luogo, è nata in territorio tedesco, due anni dopo il conseguimento dello status di rifugiato da parte del padre, cittadino siriano, in secondo luogo, possiede una cittadinanza diversa da quella del padre e può, in linea di principio, beneficiare della protezione del paese di cui ella possiede la cittadinanza (Tunisia), in terzo luogo, non rivendica la protezione internazionale a motivo di rischi di persecuzione nel paese di cui possiede la cittadinanza, in quarto luogo, dispone, in linea di principio, in ragione della sua nascita in territorio tedesco, di un permesso di soggiorno ( 96 ) e, infine, in quinto luogo, può beneficiare, proprio in base allo status di rifugiato di cui dispone il padre in Germania, del diritto al ricongiungimento familiare sancito dalla direttiva 2003/86.

141.

Alla luce di questi elementi, sarebbe pertanto contrario all’impianto sistematico generale e agli obiettivi della direttiva 2011/95 concedere lo status previsto da quest’ultima a un minore che si trovi in una situazione come quella in esame, priva, a mio modo di vedere, di qualunque nesso con la logica della protezione internazionale ai sensi della sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova ( 97 ).

142.

Alla luce di tutte queste considerazioni, propongo alla Corte di dichiarare che l’articolo 3 della direttiva 2011/95 dev’essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, in forza della quale l’autorità nazionale competente tende a garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare del rifugiato o del beneficiario di protezione sussidiaria accordando al figlio minorenne di quest’ultimo la protezione internazionale senza che tale autorità proceda ad un esame individuale della domanda e a prescindere dal fatto che la situazione di tale minore riveli o meno l’esistenza di un bisogno di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2011/95 o evidenzi un nesso con la logica della protezione internazionale.

143.

In considerazione delle risposte che propongo di apportare alla prima e alla seconda questione pregiudiziale, non occorre, a mio parere, rispondere, in maniera isolata, alla terza questione pregiudiziale.

V. Conclusione

144.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) nei seguenti termini:

1)

L’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, ai cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, dev’essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, in forza della quale l’autorità nazionale competente tende a garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare del beneficiario di protezione internazionale, accordando tale protezione ai familiari di quest’ultimo e, in particolare, al figlio minorenne, che, individualmente, non sono in possesso dei requisiti necessari per ottenere protezione internazionale.

2)

L’articolo 3 della direttiva 2011/95 dev’essere interpretato nel senso che osta a una normativa nazionale, come quella controversa nella causa principale, in forza della quale l’autorità nazionale competente tende a garantire il mantenimento dell’unità del nucleo familiare del rifugiato o del beneficiario di protezione sussidiaria accordando al figlio minorenne di quest’ultimo la protezione internazionale senza che tale autorità proceda ad un esame individuale della domanda e a prescindere dal fatto che la situazione di tale minore riveli o meno l’esistenza di un bisogno di protezione internazionale ai sensi di tale direttiva o evidenzi un nesso con la logica della protezione internazionale.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Convenzione entrata in vigore il 22 aprile 1954 [Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, vol. 189, pag. 150, no 2545 (1954)]; in prosieguo: la «Convenzione di Ginevra». Essa è stata integrata dal protocollo relativo allo status dei rifugiati, concluso a New York il 31 gennaio 1967, entrato in vigore il 4 ottobre 1967 (in prosieguo: il «protocollo del 1967»).

( 3 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 dicembre 2011 recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2011, L 337, pag. 9).

( 4 ) Considerando 12 di tale direttiva.

( 5 ) Considerando 13 della detta direttiva.

( 6 ) V., in particolare, sentenza del 17 dicembre 2020, Commissione/Ungheria (accoglienza dei richiedenti protezione internazionale) (C‑808/18, EU:C:2020:1029).

( 7 ) BGB1. 2008 I, pag. 1798.

( 8 ) BGBl. 2019 I, pag. 1626, in prosieguo: l’«AsylG».

( 9 ) V., al riguardo, sentenza del 24 giugno 2015, T. (C‑373/13, EU:C:2015:413, punto 68).

( 10 ) V. titolo e paragrafo 1 di tale articolo.

( 11 ) GU 2003, L 251, pag. 12.

( 12 ) V. considerando 6 della direttiva 2003/86, ai sensi del quale quest’ultima è diretta ad «assicurare la protezione della famiglia ed il mantenimento o la creazione della vita familiare».

( 13 ) Il considerando 36 della direttiva 2011/95 riguarda unicamente i familiari di un rifugiato, ad esclusione dei familiari del beneficiario di protezione sussidiaria.

( 14 ) V. considerando 12 della detta direttiva.

( 15 ) L’articolo 29, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 prevede tuttavia una limitazione alle prestazioni essenziali riguardanti i beneficiari di protezione sussidiaria.

( 16 ) C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 68.

( 17 ) COM(2001) 510 definitivo.

( 18 ) V., al riguardo, precedente articolo 6, paragrafo 1, di tale proposta.

( 19 ) V. emendamento 22 dalla relazione dell’8 ottobre 2002 sulla detta proposta della direttiva (A5-0333/2002 Final).

( 20 ) Direttiva del Consiglio del 29 aprile 2004 recante norme minime sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto della protezione riconosciuta (GU 2004, L 304, pag. 12). V. considerando 10 della direttiva 2011/95.

( 21 ) L’articolo 23, paragrafo 3, della direttiva 2011/95 precisa che «[i] paragrafi 1 e 2 [di tale articolo] non si applicano quando il familiare è o sarebbe escluso dalla protezione internazionale in base ai capi III e V [di tale direttiva]».

( 22 ) L’articolo 23, paragrafo 4, della direttiva 2011/95 prevede che, «[n]onostante i paragrafi 1 e 2 [di tale articolo], gli Stati membri possono rifiutare, ridurre o revocare i benefici ivi menzionati, per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico».

( 23 ) EASO, Analisi giuridica, Condizioni per il riconoscimento della protezione internazionale (direttiva 2011/95/UE), 2018 (pag. 106).

( 24 ) Il «soggiornante» è definito all’articolo 2, lettera c), della direttiva 2003/86 come il cittadino di un paese terzo legalmente soggiornante in uno Stato membro che chiede o i cui familiari chiedono il ricongiungimento familiare.

( 25 ) V. articolo 2, lettera d), della direttiva 2003/86.

( 26 ) Il corsivo è mio.

( 27 ) V. articolo 5, paragrafo 3, della direttiva 2003/86.

( 28 ) V. sentenze del 19 novembre 2020, Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Servizio militare e asilo) (C‑238/19, EU:C:2020:945, punti 1920), nonché del 13 gennaio 2021, Bundesrepublik Deutschland (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑507/19, EU:C:2021:3, punti 3839, nonché giurisprudenza citata).

( 29 ) V. articolo 78, paragrafo 1, TFUE e articolo 18 della Carta. V., altresì, considerando 4, 23 e 24 della direttiva 2011/95, nonché sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punti da 80 a 83 e giurisprudenza citata).

( 30 ) V. considerando 22 della direttiva 2011/95, nonché sentenza del 23 maggio 2019, Bilali (C‑720/17, EU:C:2019:448, punto 57 e giurisprudenza citata).

( 31 ) V., a questo proposito, Feller, E., Türk, V., e Nicholson, R., La protection des réfugiés en droit international, Larcier, Bruxelles, in particolare, Nona parte, intitolata: «L’unité de la famille (Acte final, Conférence des Nations Unies 1951)», pag. 678.

( 32 ) V. Feller, E., Türk, V., e Nicholson, R., op. cit., pag. 624.

( 33 ) Raccomandazione B, 1). V., altresì, Manuale sulle procedure e sui criteri per la determinazione dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione del 1951 e del Protocollo del 1967 relativi allo status dei rifugiati, UNHCR, Ginevra, 1992, punto 183.

( 34 ) È altresì in tale contesto che il legislatore dell’Unione ha adottato la direttiva 2003/86, la quale ha lo scopo, conformemente ai suoi considerando 2, 6 e 8, di assicurare la protezione della famiglia del rifugiato e il mantenimento o la creazione della vita familiare di quest’ultimo disciplinando l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.

( 35 ) V. considerando 5, 6 e 9 della direttiva 2011/95, nonché sentenza dell’8 maggio 2014, N. (C‑604/12, EU:C:2014:302, punto 31 e giurisprudenza citata).

( 36 ) V. considerando 12 della direttiva 2011/95.

( 37 ) Disponibili al seguente indirizzo Internet: https://www.unhcr.org/fr/protection/operations/4b151d86e/commentaires-annotes-hcr-directive-200483ce-conseil-29-avril-2004-concernant.html.

( 38 ) Disponibili al seguente indirizzo Internet: https://www.unhcr.org/fr/excom/standcom/4b30a618e/questions-relatives-protection-famille.html.

( 39 ) Questions relatives à la protection de la famille (punto 9). Il corsivo è mio.

( 40 ) Analogamente all’esame relativo alla determinazione del bisogno di protezione internazionale, il quale richiede, in applicazione dell’articolo 4 della direttiva 2011/95, che si tenga conto di tutti i fatti e di tutte le circostanze, ma anche «della situazione individuale (...) del richiedente» [articolo 4, paragrafo 3, lettera c)] e dell’esistenza di una protezione nazionale [articolo 4, paragrafo 3, lettera e)].

( 41 ) V., altresì, considerando 38 della direttiva 2011/95, ai sensi del quale, «[n]el decidere se concedere i diritti ai benefici previsti [in questa] direttiva, gli Stati membri dovrebbero tenere in debito conto l’interesse superiore del minore nonché delle situazioni particolari di dipendenza dal beneficiario di protezione internazionale di congiunti che si trovano già nello Stato membro e che non sono suoi familiari».

( 42 ) C‑441/19, EU:C:2021:9.

( 43 ) V. sentenza del 14 gennaio 2021, Staatssecretaris van Justitie en Veiligheid (Rimpatrio di un minore non accompagnato) (C‑441/19, EU:C:2021:9, punto 46).

( 44 ) V., altresì, Manuel de réinstallation du HCR, (Manuale di reinsediamento dell’UNHCR), 2011 (disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.unhcr.org/fr/5162da949.pdf), in particolare, punto 3.1.5 «Statut dérivé en lien avec le regroupement familial» (Status derivato in connessione con il ricongiungimento familiare), che precisa che «[l]es demandes de statut de réfugié dérivé doivent être examinées par le personnel chargé de la protection ou de l’éligibilité et impliquent un contrôle scrupuleux de tous les documents disponibles et informations diverses ayant trait à l’identité du requérant et sa relation avec le réfugié», ([l]e domande di status di rifugiato derivato devono essere esaminate dal personale incaricato della protezione o dell’ammissibilità e implicano un controllo scrupoloso di tutti i documenti disponibili e delle varie informazioni connesse con l’identità del richiedente e con il suo rapporto con il rifugiato), (traduzione libera) pag. 86.

( 45 ) V. considerando 19 della detta direttiva, ai sensi del quale la nozione di «familiari» può essere ampliata «tenendo conto delle diverse situazioni particolari di dipendenza e della speciale attenzione da prestare all’interesse superiore del minore». V., altresì, EASO, Judicial Analysis, Evidence and Credibility Assessment in the Context of the Common European Asylum System, 2018, pag. 62 («Individual assessment»), pag. 126 («The best interests of the child») e pag. 136 («Family relationships and evidence assessment»).

( 46 ) V. sentenza del 2 maggio 2018, K. et H.F. (Diritto di soggiorno e accuse di crimini di guerra) (C‑331/16 e C‑366/16, EU:C:2018:296, punto 52 e giurisprudenza citata).

( 47 ) C‑369/17, EU:C:2018:713.

( 48 ) V. sentenza del 13 settembre 2018, Ahmed (C‑369/17, EU:C:2018:713, punti 4849). V., altresì, sentenza del 13 gennaio 2021, Bundesrepublik Deutschland (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑507/19, EU:C:2021:3, punto 51).

( 49 ) V. sentenza del 2 maggio 2018, K. e H.F. (Diritto di soggiorno e accuse di crimini di guerra) (C‑331/16 e C‑366/16, EU:C:2018:296, punti 5354).

( 50 ) V. considerando 12 della detta direttiva.V., altresì, sentenze del 13 settembre 2018, Ahmed (C‑369/17, EU:C:2018:713, punto 37), nonché del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 79).

( 51 ) V. Guida pratica [dell’EASO]: Requisiti per poter beneficiare della protezione internazionale, aprile 2018, in particolare, pagg. 11, 12 e 36.

( 52 ) V., a questo proposito, punto 90 del manuale dell’UNHCR citato alla nota a piè di pagina 33 delle presenti conclusioni, nel quale l’UNHCR rileva che «il fondato timore di persecuzione del richiedente deve essere esaminato in relazione al paese di cui questi è cittadino. Fintanto che non ha alcun timore nei confronti del paese di cui è cittadino, ci si può attendere che egli si avvalga della protezione di tale paese. Egli non ha bisogno di una protezione internazionale e pertanto non è rifugiato» (v. anche punti 106 e 107 di tale manuale). In dottrina, v., in particolare, Hathaway, J., C., e Foster, M., The law of refugee status, 2a ed., Cambridge University Press, Cambridge, 2014, pag. 55: «È un presupposto sottostante al diritto dei rifugiati che, ove disponibile, la protezione nazionale ha la precedenza sulla protezione sussidiaria internazionale. Nei documenti preparatori della Convenzione, taluni delegati espressero chiaramente il punto di vista secondo cui nessuno dovrebbe essere considerate rifugiato a meno che non sia impossibilitato o legittimato a rifiutare di avvalersi egli stesso della protezione di tutti gli Stati di cui è cittadino» (traduzione libera), nonché pag.462: «lo scopo del diritto dei rifugiati è quello di permettere una protezione sussidiaria nelle more della ripresa o dell’istituzione di una significativa protezione nazionale» (traduzione libera) e pagg. 494 e 495. V., altresì, Goodwin-Gill, G., S., e McAdam, J., The refugee in international law, 3a ed., Oxford University Press, Oxford, 2007, pag. 421: «la mancanza o il diniego di protezione è una caratteristica primaria della figura del rifugiato, ed è compito del diritto internazionale, a sua volta, sostituire la propria protezione a quella che il paese di origine non può o non vuole fornire» (traduzione libera); e pag. 72: «Coloro che possiedono la cittadinanza di un altro Stato avranno, in circostanze normali, il diritto di avvalersi della sua protezione e non rientrano quindi nella definizione di rifugiato» (traduzione libera).

( 53 ) V. articolo 11 della direttiva 2011/95.

( 54 ) V. articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2011/95.

( 55 ) C‑255/19, EU:C:2021:36.

( 56 ) V. sentenza del 20 gennaio 2021, Secretary of State for the Home Department (C‑255/19, EU:C:2021:36, punto 36 e giurisprudenza citata).

( 57 ) V. considerando 5, 9 e 10 della direttiva 2011/95.

( 58 ) V. considerando 13 della direttiva 2011/95.

( 59 ) Ad eccezione dei diritti derivanti dal principio di non-refoulement.

( 60 ) Firmata a Roma il 4 novembre 1950. V. considerando 4, 16 e 17 della direttiva 2011/95, nonché sentenze del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punto 78), e del 13 gennaio 2021, Bundesrepublik Deutschland (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑507/19, EU:C:2021:3, punto 39 e giurisprudenza citata).

( 61 ) V. sentenze del 26 marzo 2019, SM (Minore posto sotto il regime della kafala algerina) (C‑129/18, EU:C:2019:248, punto 67 e giurisprudenza citata), nonché del 16 luglio 2020, Stato belga (Ricongiungimento familiare – Figlio minorenne) (C‑133/19, C‑136/19 e C‑137/19, EU:C:2020:577, punto 34 e giurisprudenza citata).

( 62 ) V. articoli 3 e 9 della Convenzione relativa ai diritti del fanciullo, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nella sua risoluzione 44/25 del 20 novembre 1989 ed entrata in vigore il 2 settembre 1990. V., altresì, Corte EDU, 6 luglio 2010, Neulinger e Shuruk c. Suisse, CE:ECHR:2010:0706JUD004161507, §§ da 49 a 64.

( 63 ) Ne testimonia la sua collocazione al capo VII della direttiva 2011/95.

( 64 ) V. Feller, E., Türk, V., e Nicholson, R., op. cit.: «Respecter le principe de l’unité de la famille est un des principaux moyens de protéger la famille du réfugié» (Rispettare il principio dell’unità del nucleo familiare è uno dei mezzi principali per proteggere la famiglia del rifugiato) (traduzione libera), pag. 624.

( 65 ) V. Feller, E., Türk, V., e Nicholson, R., op. cit., pagg. 626 e 627.

( 66 ) V., in particolare, considerando da 41 a 48 della direttiva 2011/95.

( 67 ) Questions relatives à la protection de la famille, del 4 giugno 1999, punto 15 (v. nota a piè di pagina 38 delle presenti conclusioni).

( 68 ) V., al riguardo, sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj (C‑542/13, EU:C:2014:2452, punto 42 e giurisprudenza citata).

( 69 ) Nella misura in cui deve trattarsi di norme più favorevoli, resta inteso che tale margine di discrezionalità deve esercitarsi nel rispetto dei diritti fondamentali delle persone interessate.

( 70 ) C‑391/16, C‑77/17 et C‑78/17, EU:C:2019:403.

( 71 ) V. sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 83).

( 72 ) V., ad esempio, le disposizioni della direttiva 2011/95 di cui all’articolo 5, paragrafo 3 (domanda successiva), all’articolo 14, paragrafi 4 e 5 (revoca dello status di rifugiato), all’articolo 17, paragrafo 3 (esclusione dallo status di protezione sussidiaria), all’articolo 19, paragrafo 2 (revoca dello status di protezione sussidiaria), all’articolo 21, paragrafi 2 e 3 (protezione dal respingimento), all’articolo 23, paragrafi 4 e 5 (mantenimento dell’unità del nucleo familiare), all’articolo 29, paragrafo 2 (assistenza sociale), nonché all’articolo 35 (rimpatrio).

( 73 ) Guida pratica [dell’EASO]: Requisiti per poter beneficiare della protezione internazionale, aprile 2018, pag. 16.

( 74 ) Penso, ad esempio, al grado di gravità dell’atto persecutorio, alla natura ripetuta di quest’ultimo, ai responsabili e ai motivi della persecuzione. V., in particolare, sentenza del 5 settembre 2012, Y e Z (C‑71/11 e C‑99/11, EU:C:2012:518), relativa all’interpretazione della nozione di «libertà di religione».

( 75 ) V. considerando 36 della direttiva 2011/95.

( 76 ) V. nota orientativa sulle domande d’asilo riguardanti la mutilazione genitale femminile dell’UNHCR, maggio 2009, disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.unhcr.org/fr/publications/legal/4fd737379/note-dorientation-demandes-dasile-relatives-mutilations-genitales-feminines.html, punto 11.

( 77 ) C‑652/16, EU:C:2018:801.

( 78 ) V. articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2011/95 che recepisce i motivi stabiliti all’articolo 1, sezioni D ed E, della Convenzione di Ginevra. V., a titolo illustrativo, sentenza del 13 gennaio 2021, Bundesrepublik Deutschland (Status di rifugiato di un apolide di origine palestinese) (C‑507/19, EU:C:2021:3, punti 4950).

( 79 ) V. articolo 12, paragrafo 2, della direttiva 2011/95, che esclude dalla concessione dello status di rifugiato la persona che abbia commesso un crimine contro la pace o l’umanità, un crimine di guerra o un reato grave di diritto comune o si sia resa colpevole di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite.Tale articolo recepisce i motivi stabiliti all’articolo 1, sezione F, della Convenzione di Ginevra.

( 80 ) C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661. Nella causa B (C‑57/09), l’autorità nazionale competente ha considerato che B doveva essere escluso dallo status di rifugiato a motivo del grave reato di diritto comune da lui commesso. Nella causa D (C‑101/09), D avrebbe beneficiato dello status di rifugiato prima che una procedura di revoca fosse avviata per l’asserita commissione di un grave reato e per l’esistenza di atti contrari alle finalità e ai principi delle Nazioni Unite.

( 81 ) V. sentenza del 9 novembre 2010, B e D (C‑57/09 e C‑101/09, EU:C:2010:661, punti 114115).

( 82 ) Sentenza del 4 ottobre 2018, Ahmedbekova (C‑652/16, EU:C:2018:801, punto 74).

( 83 ) C‑542/13, EU:C:2014:2452.

( 84 ) C‑542/13, EU:C:2014:2452.

( 85 ) Sentenza del 18 dicembre 2014, M’Bodj (C‑542/13, EU:C:2014:2452, punto 44).

( 86 ) Condivido quindi il punto di vista espresso dal giudice del rinvio, secondo il quale il legislatore tedesco sarebbe andato «nettamente al di là» dell’obbligo sancito all’articolo 23, paragrafo 2, della direttiva 2011/95 di «proteggere» i familiari che, individualmente, non hanno diritto a tale protezione.

( 87 ) Nel diritto tedesco, tale status è qualificato come «asilo familiare». Il titolo dell’articolo 26 è il seguente: «Familienasyl und internationaler Schutz für Familienangehörige» (asilo familiare e protezione internazionale per i familiari).

( 88 ) C‑652/16, EU:C:2018:514.

( 89 ) Conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Ahmedbekova (C‑652/16, EU:C:2018:514, paragrafo 55).

( 90 ) C‑652/16, EU:C:2018:801.

( 91 ) V. considerando 8 della direttiva 2003/86, nonché sentenza del 12 aprile 2018, A e S (C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 32). V., altresì, comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio concernente gli orientamenti per l’applicazione della direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento [COM(2014) 210 final] (punto 6). V., ancora, sentenza della Corte EDU del 10 luglio 2014, Tanda-Muzinga c. Francia, CE:ECHR:2014:0710JUD000226010, § 76. La direttiva 2003/86 riguarda solo il ricongiungimento familiare dei rifugiati. Tuttavia, i beneficiari di protezione sussidiaria dovrebbero beneficiare del diritto al rispetto della vita familiare alle stesse condizioni accordate ai rifugiati tenuto conto degli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2011/95 (adottata posteriormente alla direttiva 2003/86) e delle raccomandazioni formulate dall’UNHCR nella sua risposta al Libro verde della Commissione sul diritto al ricongiungimento familiare per i cittadini di paesi terzi che vivono nell’Unione europea (direttiva 2003/86/CE) [COM(2011) 735 final] (disponibile al seguente indirizzo Internet: https://www.unhcr.org/protection/operations/4f54e3fb13/refugee-family-reunification-unhcrs-response-european-commission-green.html).

( 92 ) C‑550/16, EU:C:2018:248.

( 93 ) Sentenza del 12 aprile 2018, A e S (C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 62).

( 94 ) V., a tale riguardo, sentenza del 4 marzo 2010, Chakroun (C‑578/08, EU:C:2010:117, punto 59). V., altresì, Libro verde della Commissione citato alla nota a piè di pagina 91 delle presenti conclusioni, in particolare punto 4.2, «Altre questioni riguardanti l’asilo» (pag. 6). V., parimenti, in questo senso, Corte EDU, 10 luglio 2014, Mugenzi c. Francia, CE:ECHR:2014:0710JUD005270109, § 54.

( 95 ) V. sentenza del 16 luglio 2020, Stato belga (Ricongiungimento familiare – Figlio minorenne) (C‑133/19, C‑136/19 e C‑137/19, EU:C:2020:577, punto 35 e giurisprudenza citata).

( 96 ) V., a questo proposito, articolo 33 del Gesetz über den Aufenhalt, die Erwerbstätigung und die Integration von Ausländern in Bundesgebiet (legge relativa al soggiorno degli stranieri, all’attività lavorativa e all’integrazione degli stranieri nel territorio federale), del 30 luglio 2004 (BGBl. 2004 I, pag. 1950). Nella fattispecie, non risulta dal fascicolo che il soggiorno, nel territorio tedesco, della famiglia o di un componente di quest’ultima sia minacciato.

( 97 ) C-652/16, EU:C:2018:801.