SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

16 luglio 2020 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica in materia di immigrazione – Diritto al ricongiungimento familiare – Direttiva 2003/86/CE – Articolo 4, paragrafo 1 – Nozione di “figlio minorenne” – Articolo 24, paragrafo 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Interesse superiore del minore – Articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali – Diritto a un ricorso effettivo – Figli del soggiornante divenuti maggiorenni nelle more del procedimento decisionale o del procedimento giurisdizionale avverso la decisione di rigetto della domanda di ricongiungimento familiare»

Cause riunite C‑133/19, C‑136/19 e C‑137/19

aventi ad oggetto talune domande di pronuncia pregiudiziale proposte alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio), con decisioni del 31 gennaio 2019, pervenute in cancelleria rispettivamente il 19 febbraio 2019 (C‑133/19) e il 20 febbraio 2019 (C‑136/19 e C‑137/19), nei procedimenti

B.M.M. (C‑133-19 e C‑136/19),

B.S. (C‑133/19),

B.M. (C‑136/19),

B.M.O. (C‑137/19)

contro

Stato belga,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da A. Prechal, presidente di sezione, L.S. Rossi (relatrice), J. Malenovský, F. Biltgen e N. Wahl, giudici,

avvocato generale: G. Hogan

cancelliere: M. Krausenböck, amministratrice

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 30 gennaio 2020,

considerate le osservazioni presentate:

per B.M.M., B.S., B.M. e B.M.O., da A. Van Vyve, avocate;

per il governo belga, da P. Cottin, C. Pochet e C. Van Lul, in qualità di agenti, assistiti da E. Derriks, G. van Witzenburg e M. de Sousa Marques E Silva, avocats;

per il governo tedesco, da R. Kanitz e J. Möller, in qualità di agenti;

per il governo austriaco, da J. Schmoll, in qualità di agente;

per il governo polacco, da B. Majczyna, in qualità di agente;

per la Commissione europea, da C. Cattabriga e M. Condou-Durande, in qualità di agenti,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 19 marzo 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Le domande di pronuncia pregiudiziale vertono sull’interpretazione della direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L 251, pag. 12) e dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

2

Tali domande sono state presentate nell’ambito di controversie tra B.M.M. (C‑133/19 e C‑136/19), B.S. (C‑133/19), B.M. (C‑136/19) e B.M.O. (C‑137/19), cittadini guineani, e lo Stato belga in merito al rigetto di domande di rilascio di un visto ai fini del ricongiungimento familiare.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

3

A tenore dei considerando 2, 4, 6, 9 e 13 della direttiva 2003/86:

«(2)

Le misure in materia di ricongiungimento familiare dovrebbero essere adottate in conformità con l’obbligo di protezione della famiglia e di rispetto della vita familiare che è consacrato in numerosi strumenti di diritto internazionale. La presente direttiva rispetta i diritti fondamentali ed i principi riconosciuti in particolare nell’articolo 8 della [convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950] e dalla [Carta].

(...)

(4)

Il ricongiungimento familiare è uno strumento necessario per permettere la vita familiare. Esso contribuisce a creare una stabilità socioculturale che facilita l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri, permettendo d’altra parte di promuovere la coesione economica e sociale, obiettivo fondamentale della Comunità, enunciato nel trattato.

(...)

(6)

Al fine di assicurare la protezione della famiglia ed il mantenimento o la creazione della vita familiare è opportuno fissare, sulla base di criteri comuni, le condizioni materiali per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare.

(...)

(9)

Il ricongiungimento familiare dovrebbe riguardare in ogni caso i membri della famiglia nucleare, cioè il coniuge e i figli minorenni.

(...)

(13)

Occorre stabilire un sistema di regole procedurali che disciplinino l’esame della domanda di ricongiungimento familiare, nonché l’ingresso e il soggiorno dei membri della famiglia; tali procedure devono essere efficaci e gestibili in base al normale carico di lavoro delle amministrazioni degli Stati membri nonché trasparenti ed eque in modo da garantire agli interessati un livello adeguato di certezza del diritto».

4

L’articolo 1 della direttiva 2003/86 è formulato nel modo seguente:

«Lo scopo della presente direttiva è quello di fissare le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri».

5

L’articolo 4 di detta direttiva prevede quanto segue:

«1.   In virtù della presente direttiva e subordinatamente alle condizioni stabilite al capo IV e all’articolo 16, gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno dei seguenti familiari:

a)

il coniuge del soggiornante;

b)

i figli minorenni del soggiornante e del coniuge, compresi i figli adottati secondo una decisione presa dall’autorità competente dello Stato membro interessato o una decisione automaticamente applicabile in virtù di obblighi internazionali contratti dallo Stato membro o che deve essere riconosciuta conformemente a degli obblighi internazionali;

c)

i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento dei figli affidati ad entrambi i genitori, a condizione che l’altro titolare dell’affidamento abbia dato il suo consenso;

d)

i figli minorenni, compresi quelli adottati, del coniuge, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento. Gli Stati membri possono autorizzare il ricongiungimento dei figli affidati ad entrambi i genitori, a condizione che l’altro titolare dell’affidamento abbia dato il suo consenso.

I figli minorenni di cui al presente articolo devono avere un’età inferiore a quella in cui si diventa legalmente maggiorenni nello Stato membro interessato e non devono essere coniugati.

(...)».

6

L’articolo 5 di detta direttiva è così formulato:

«1.   Gli Stati membri determinano se, per esercitare il diritto al ricongiungimento familiare, la domanda di ingresso e di soggiorno debba essere presentata alle autorità competenti dello Stato membro interessato dal soggiornante o dal familiare o dai familiari.

2.   La domanda è corredata dei documenti che comprovano i vincoli familiari ed il rispetto delle condizioni previste dagli articoli 4 e 6 e, nel caso siano applicabili, dagli articoli 7 e 8, e di copie autenticate dei documenti di viaggio del membro o dei familiari.

Ove opportuno, per ottenere la prova dell’esistenza di vincoli familiari, gli Stati membri possono convocare per colloqui il soggiornante e i suoi familiari e condurre altre indagini che ritengano necessarie.

(...)

4.   Non appena possibile e comunque entro nove mesi dalla data di presentazione della domanda le autorità competenti dello Stato membro comunicano per iscritto alla persona che ha presentato la domanda la loro decisione.

In circostanze eccezionali dovute alla complessità della domanda da esaminare, il termine di cui al comma precedente può essere prorogato.

La decisione di rifiuto della domanda è debitamente motivata. Eventuali conseguenze della mancata decisione allo scadere del termine di cui al primo comma sono disciplinate dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato.

5.   Nell’esame della domanda, gli Stati membri tengono nella dovuta considerazione l’interesse superiore dei minori».

7

Ai sensi dell’articolo 16, paragrafi 1 e 2, della stessa direttiva:

«1.   Gli Stati membri possono respingere la domanda d’ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare o, se del caso, ritirare o rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno di un familiare in uno dei casi seguenti:

a)

qualora le condizioni fissate dalla presente direttiva non siano, o non siano più, soddisfatte.

(...)

2.   Gli Stati membri possono inoltre respingere la domanda d’ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare, oppure ritirare o rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno dei familiari se è accertato che:

a)

sono state utilizzate informazioni false o ingannevoli, sono stati utilizzati documenti falsi o falsificati, ovvero è stato fatto ricorso alla frode o ad altri mezzi illeciti;

(…)».

8

Ai sensi dell’articolo 18 della direttiva 2003/86:

«Gli Stati membri assicurano che il soggiornante e/o i suoi familiari abbiano diritto a proporre impugnativa in caso di rigetto della domanda di ricongiungimento familiare, di mancato rinnovo o di ritiro del permesso di soggiorno o di adozione di una misura di allontanamento.

Le modalità da seguire e la competenza a esercitare il diritto di cui al primo comma sono stabilite dagli Stati membri interessati».

Diritto belga

9

L’articolo 10, paragrafo 1, primo comma, della legge 15 dicembre 1980, che disciplina l’ingresso nel territorio, il soggiorno, l’insediamento e l’allontanamento degli stranieri (Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 14584), nel testo applicabile ai fatti della causa principale (in prosieguo: la «legge 15 dicembre 1980»), prevede quanto segue:

«Fatte salve le disposizioni degli articoli 9 e 12, sono ammessi d’ufficio a soggiornare nel Regno per più di tre mesi:

(...)

4° i seguenti familiari di uno straniero ammesso o autorizzato, da almeno dodici mesi, a soggiornare nel Regno a tempo indeterminato, o autorizzato, da almeno dodici mesi, a stabilirvisi. Il termine di dodici mesi è soppresso se il vincolo matrimoniale o l’unione registrata esisteva già all’arrivo nel Regno dello straniero che viene ricongiunto oppure se la coppia ha un figlio minorenne in comune, o se si tratta di familiari di uno straniero riconosciuto come rifugiato o come beneficiario della protezione sussidiaria:

il coniuge straniero o lo straniero con il quale è stata stipulata una convenzione di convivenza registrata equiparata, in Belgio, al matrimonio, che viene a convivere con lo straniero, a condizione che entrambi abbiano superato l’età di ventun anni. Questa età minima è tuttavia ridotta a diciotto anni allorché, a seconda dei casi, il vincolo coniugale o tale unione registrata esisteva già prima dell’arrivo nel Regno dello straniero che viene raggiunto;

i loro figli, che convivono con gli stessi prima di aver raggiunto l’età di diciotto anni e non sono coniugati;

i figli dello straniero che viene ricongiunto, del suo coniuge o del convivente registrato di cui al primo trattino, che vengono a vivere con i genitori prima di aver compiuto diciotto anni e che non sono coniugati, nei limiti in cui lo straniero che viene ricongiunto, il suo coniuge o convivente registrato sia titolare dell’affidamento e responsabile del mantenimento dei figli e, in caso di affidamento congiunto, alla condizione che l’altro titolare dell’affidamento abbia dato il suo consenso».

(...)».

10

L’articolo 10 ter, paragrafo 3, di detta legge prevede quanto segue:

«Il Ministro o un suo delegato può decidere di respingere la domanda di permesso di soggiorno per più di tre mesi (...), sia nel caso in cui lo straniero (...) abbia utilizzato informazioni false o ingannevoli, ovvero documenti falsi o falsificati, sia nel caso in cui abbia fatto ricorso a frode o ad altri mezzi illeciti aventi carattere determinante, per ottenere tale permesso di soggiorno (...)».

11

L’articolo 12 bis di detta legge prevede quanto segue:

«§ 1o   Lo straniero che dichiara di rientrare in uno dei casi di cui all’articolo 10 deve presentare la sua domanda al rappresentante diplomatico o consolare belga competente per il suo luogo di residenza o di soggiorno all’estero.

(...)

§ 2.   (...)

La data di presentazione della domanda è quella in cui sono prodotti tutti i documenti, ai sensi dell’articolo 30 della legge del 16 luglio 2004 recante il codice di diritto internazionale privato o degli accordi internazionali relativi a questa materia.

La decisione relativa all’ammissione al soggiorno è adottata e notificata al più presto e non oltre sei mesi dopo la data di presentazione della domanda, come stabilito al paragrafo 2. (...)

In casi eccezionali connessi alla complessità dell’esame della domanda (…), il Ministro o un suo delegato può prorogare per due volte tale termine per un periodo di tre mesi, con decisione motivata, notificata al richiedente.

Se dopo la decorrenza del termine di nove mesi successivo alla data di presentazione della domanda, eventualmente prorogato ai sensi del comma 5, non è stata adottata alcuna decisione, il permesso di soggiorno deve essere concesso.

(...)

§ 7.   Nell’esame della domanda, si deve tenere nella dovuta considerazione l’interesse superiore del minore».

12

L’articolo 39/56, primo comma, della medesima legge così dispone:

«I ricorsi di cui all’articolo 39/2 possono essere presentati dinanzi al[la Commissione per il contenzioso in materia di stranieri, (Belgio)] dallo straniero che dimostri un pregiudizio o un interesse».

Fatti e questioni pregiudiziali

13

Dalle decisioni di rinvio risulta che, il 20 marzo 2012, B.M.M., cittadino di un paese terzo che beneficia dello status di rifugiato in Belgio, ha presentato in nome e per conto dei suoi figli minorenni, B.S., B.M. e B.M.O., presso l’ambasciata del Belgio a Conakry (Guinea), domande di permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare, fondate sull’articolo 10, paragrafo 1, primo comma, punto 4, terzo trattino, della legge del 15 dicembre 1980. Tali le domande sono state respinte il 2 luglio 2012.

14

Il 9 dicembre 2013 B.M.M. ha presentato, presso l’ambasciata del Belgio a Dakar (Senegal), in nome e per conto dei suoi figli minorenni, B.S., B.M. e B.M.O, nuove domande di permesso di soggiorno fondate sulle medesime disposizioni della legge del 15 dicembre 1980.

15

Con tre decisioni del 25 marzo 2014, le autorità belghe competenti hanno respinto tali domande di permesso di soggiorno in applicazione dell’articolo 10 ter, paragrafo 3, della legge del 15 dicembre 1980, con la motivazione che B.S., B.M. e B.M.O. avevano utilizzato informazioni false o ingannevoli o documenti falsi o falsificati, o avevano fatto ricorso alla frode o ad altri mezzi illeciti, al fine di ottenere le autorizzazioni richieste. Infatti, per quanto riguarda B.S. e B.M.O., tali autorità hanno rilevato che essi avevano dichiarato, nella loro domanda di permesso di soggiorno, di essere nati rispettivamente il 16 marzo 1999 e il 20 gennaio 1996, mentre B.M.M. aveva indicato, nella sua domanda di asilo, che erano nati rispettivamente il 16 marzo 1997 e il 20 gennaio 1994. Per quanto riguarda B.M.O., dette autorità hanno sottolineato che B.M.M. non aveva dichiarato l’esistenza di tale figlio nella sua domanda di asilo.

16

Alla data di adozione delle decisioni di rigetto del 25 marzo 2014, secondo le dichiarazioni dei ricorrenti nel procedimento principale, B.S. e B.M. erano ancora minorenni, mentre B.M.O. era divenuto maggiorenne.

17

Il 25 aprile 2014 B.M.M. e B.S. (causa C‑133/19), B.M.M. e B.M. (causa C‑136/19) e B.M.O. (causa C‑137/19) hanno proposto ricorsi di sospensione e di annullamento avverso dette decisioni di rigetto dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso in materia di stranieri). Con lettere del 10 settembre 2015, del 7 gennaio 2016 e del 24 ottobre 2017, gli interessati hanno chiesto a tale giudice di statuire sui loro ricorsi.

18

Con tre decisioni del 31 gennaio 2018, il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso in materia di stranieri) ha dichiarato i ricorsi irricevibili per mancanza di interesse. Dopo aver ricordato che, secondo una giurisprudenza nazionale costante, l’interesse di un ricorrente ad esercitare un’azione deve sussistere al momento della presentazione di quest’ultima e sussistere fino alla pronuncia della sentenza, tale giudice ha osservato che, nel caso di specie, in caso di annullamento delle decisioni di rigetto di cui trattasi nel procedimento principale e di obbligo per le autorità belghe competenti di riesaminare le domande di permesso di soggiorno, queste ultime non potrebbero, in ogni caso, essere accolte, poiché nel frattempo, anche tenendo conto delle date di nascita indicate in tali domande, B.S., B.M. e B.M.O. erano divenuti maggiorenni e non soddisfacevano più i requisiti previsti dalle disposizioni sul ricongiungimento familiare dei figli minorenni.

19

I ricorrenti nel procedimento principale hanno proposto ricorso per cassazione dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Belgio). Essi fanno valere, in sostanza, che l’interpretazione accolta dal Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso in materia di stranieri), da un lato, viola il principio di effettività del diritto dell’Unione, in quanto impedisce a B.S., B.M. e B.M.O. di beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare garantito dall’articolo 4 della direttiva 2003/86 e, dall’altro, viola il diritto a un ricorso effettivo, privandoli della possibilità di proporre un ricorso avverso le decisioni di rigetto di cui trattasi nel procedimento principale, mentre queste ultime – per quanto riguarda le cause C‑133/19 e C‑136/19 – non solo erano state adottate, ma anche impugnate quando i ricorrenti erano ancora minorenni.

20

A tal riguardo, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) rileva che la Corte ha dichiarato, nella sua sentenza del 12 aprile 2018, A e S (C‑550/16, EU:C:2018:248), che l’articolo 2, lettera f), della direttiva 2003/86, in combinato disposto con l’articolo 10, paragrafo 3, lettera a), di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che deve essere qualificato come «minore», ai sensi della prima di tali disposizioni, un cittadino di paesi terzi o un apolide che aveva un’età inferiore ai diciotto anni al momento del suo ingresso nel territorio di uno Stato membro e della presentazione della sua domanda di asilo in tale Stato, ma che, nel corso della procedura di asilo, raggiunge la maggiore età e ottiene in seguito il riconoscimento dello status di rifugiato.

21

Tuttavia, il giudice del rinvio sottolinea che la controversia che ha dato luogo a tale sentenza si distingue dai procedimenti principali, in quanto questi ultimi non riguardano un minore al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Inoltre, poiché la direttiva 2003/86 prevede un termine per l’adozione di una decisione su una domanda di ricongiungimento familiare, il diritto a un ricongiungimento familiare non dipenderebbe dalla maggiore o minore celerità con cui tale domanda è trattata. Comunque, nel caso di specie, le decisioni di rigetto di cui trattasi nel procedimento principale sarebbero state adottate entro il termine fissato all’articolo 12 bis, paragrafo 2, della legge del 15 dicembre 1980.

22

Ciò premesso, il Conseil d’État (Consiglio di Stato) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

Nelle cause C‑133/19 e C‑136/19:

«1)

Se, per garantire l’effettività del diritto dell’Unione europea e non rendere impossibile beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare che, secondo la ricorrente, le è conferito dall’articolo 4 della direttiva [2003/86], tale disposizione debba essere interpretata nel senso che comporta che il figlio del soggiornante può beneficiare del diritto al ricongiungimento familiare quando diventa maggiorenne nelle more del procedimento giurisdizionale avverso la decisione di diniego di tale diritto, adottata quando era ancora minorenne.

2)

Se l’articolo 47 della [Carta] e l’articolo 18 della direttiva [2003/86] debbano essere interpretati nel senso che ostano a che il ricorso di annullamento presentato avverso il diniego del diritto al ricongiungimento familiare di un figlio minore sia dichiarato irricevibile per il motivo che il figlio è diventato maggiorenne nelle more del procedimento giurisdizionale, poiché egli sarebbe privato della possibilità di ottenere una pronuncia sul suo ricorso avverso tale decisione, e sarebbe compromesso il suo diritto a un ricorso effettivo».

Nella causa C‑137/19:

«Se l’articolo 4, paragrafo 1, [primo comma] lettera c), della direttiva [2003/86], eventualmente in combinato disposto con l’articolo 16, paragrafo 1, della medesima direttiva, debba essere interpretato nel senso che i cittadini di paesi terzi, per essere qualificati come “figli minorenni” ai sensi di tale disposizione, debbano essere “minorenni” non soltanto all’atto della presentazione della domanda di ammissione al soggiorno, ma anche al momento in cui l’amministrazione decide, in fine, in merito alla domanda stessa».

23

Con decisione del presidente della Corte del 12 marzo 2019, le cause C‑133/19, C‑136/19 e C‑137/19 sono state riunite ai fini delle fasi scritta e orale del procedimento, nonché della sentenza.

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione nelle cause C‑133/19 e C‑136/19, nonché sulla questione nella causa C‑137/19

24

Con la prima questione nelle cause C‑133/19 e C‑136/19 nonché con la questione nella causa C‑137/19, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 2003/86 debba essere interpretato nel senso che la data cui occorre fare riferimento per determinare se un cittadino di un paese terzo o un apolide non coniugato sia un «figlio minorenne», ai sensi di tale disposizione, è quella in cui è presentata la domanda di ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare per figli minorenni, ai sensi di tale disposizione, oppure quella in cui le autorità competenti di tale Stato membro statuiscono su tale domanda, eventualmente dopo un ricorso diretto avverso la decisione di rigetto di siffatta domanda.

25

A tale riguardo, occorre rilevare che l’obiettivo perseguito dalla direttiva 2003/86 consiste nel favorire il ricongiungimento familiare e che tale direttiva mira inoltre a concedere una protezione ai cittadini di paesi terzi, segnatamente ai minori (sentenza del 13 marzo 2019, E., C‑635/17, EU:C:2019:192, punto 45 e giurisprudenza citata).

26

In tale contesto, l’articolo 4, paragrafo 1, di detta direttiva impone agli Stati membri obblighi positivi precisi, cui corrispondono diritti soggettivi chiaramente definiti. Esso impone loro, nelle ipotesi contemplate dalla stessa direttiva, di autorizzare il ricongiungimento familiare di taluni familiari del soggiornante senza potersi avvalere di discrezionalità (sentenza del 13 marzo 2019, E., C‑635/17, EU:C:2019:192, punto 46 e giurisprudenza citata).

27

Tra i familiari del soggiornante dei quali lo Stato membro interessato deve autorizzare l’ingresso e il soggiorno sono inclusi, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 2003/86 «i figli minorenni, compresi quelli adottati, del soggiornante, quando quest’ultimo sia titolare dell’affidamento e responsabile del loro mantenimento».

28

A tal riguardo, quando l’articolo 4, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2003/86 indica che i figli minorenni devono avere un’età inferiore a quella in cui si diventa legalmente maggiorenni nello Stato membro interessato, esso non precisa il momento a cui occorre fare riferimento per valutare se tale condizione sia soddisfatta né opera, a quest’ultimo riguardo, un rinvio al diritto degli Stati membri.

29

Se è vero che, conformemente a detta disposizione, è lasciato alla discrezionalità degli Stati membri il compito di determinare la maggiore età, non può essere loro concesso invece alcun margine di discrezionalità quanto alla fissazione del momento in cui occorre fare riferimento per valutare l’età del richiedente ai fini dell’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 2003/86.

30

Si deve infatti ricordare che, conformemente alla necessità di garantire tanto l’applicazione uniforme del diritto dell’Unione quanto il principio di uguaglianza, una disposizione di tale diritto, la quale non contenga alcun espresso richiamo al diritto degli Stati membri per determinarne il senso e la portata, deve solitamente essere oggetto, nell’intera Unione europea, di un’interpretazione autonoma e uniforme, da effettuarsi tenendo conto, in particolare, del contesto della disposizione stessa e della finalità perseguita dalla normativa in questione (sentenza del 26 luglio 2017, Ouhrami, C‑225/16, EU:C:2017:590, punto 38 e giurisprudenza citata).

31

Come ricordato al punto 25 della presente sentenza, lo scopo perseguito dalla direttiva 2003/86 è quello di favorire il ricongiungimento familiare. A tal fine, come precisa l’articolo 1, tale direttiva fissa le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri.

32

Inoltre, come risulta dal considerando 2 di detta direttiva, essa riconosce i diritti fondamentali e osserva i principi sanciti dalla Carta.

33

A tal proposito, occorre rammentare che gli Stati membri, in particolare i loro organi giurisdizionali, sono tenuti non solo a interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme al diritto dell’Unione, ma anche a fare in modo di non basarsi su un’interpretazione di norme di diritto derivato che entri in conflitto con i diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione (v., in tal senso, sentenze del 23 dicembre 2009, Detiček, C‑403/09 PPU, EU:C:2009:810, punto 34, nonché del 6 dicembre 2012, O e a., C‑356/11 e C‑357/11, EU:C:2012:776, punto 78).

34

In particolare, l’articolo 7 della Carta, che contiene diritti corrispondenti a quelli garantiti dall’articolo 8, paragrafo 1, della convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, riconosce il diritto al rispetto della vita privata e familiare. Tale disposizione della Carta deve essere letta in combinato disposto con l’obbligo di prendere in considerazione l’interesse superiore del minore, sancito dall’articolo 24, paragrafo 2, della stessa, tenendo conto parimenti della necessità per il minore di intrattenere regolarmente relazioni personali con entrambi i genitori, affermata al paragrafo 3 dello stesso articolo (sentenza del 6 dicembre 2012, O. e a., C‑356/11 e C‑357/11, ECLI:EU:C:2012: 776, punto 76).

35

Ne consegue che le disposizioni della direttiva 2003/86 devono essere interpretate e applicate alla luce dell’articolo 7 e dell’articolo 24, paragrafi 2 e 3, della Carta, come risulta del resto dai termini del considerando 2 e dall’articolo 5, paragrafo 5, di tale direttiva, che impongono agli Stati membri di esaminare le domande di ricongiungimento nell’interesse dei minori coinvolti e nell’ottica di favorire la vita familiare (sentenza del 13 marzo 2019, E., C‑635/17, EU:C:2019:192, punto 56 e giurisprudenza citata).

36

Orbene, si deve constatare, in primo luogo, che considerare la data in cui l’autorità competente dello Stato membro interessato statuisce sulla domanda di ingresso e di soggiorno nel territorio di tale Stato ai fini del ricongiungimento familiare come quella alla quale occorre fare riferimento per valutare l’età del richiedente ai fini dell’applicazione dell’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 2003/86 non sarebbe conforme né agli obiettivi perseguiti da tale direttiva né alle prescrizioni derivanti dall’articolo 7 e dall’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, quest’ultima disposizione richiedendo che, in tutti gli atti relativi ai minori, in particolare quelli compiuti dagli Stati membri nell’applicare detta direttiva, l’interesse superiore del minore sia una considerazione di primaria importanza.

37

Infatti, come rilevato, in sostanza, dall’avvocato generale al paragrafo 43 delle sue conclusioni, le autorità e gli organi giurisdizionali nazionali competenti non sarebbero incentivati a trattare in via prioritaria le richieste dei minori con l’urgenza necessaria per tener conto della loro vulnerabilità e potrebbero così agire in modo da mettere a repentaglio i diritti stessi al ricongiungimento familiare di tali soggetti minorenni (v., per analogia, sentenza del 12 aprile 2018, A e S, C‑550/16, EU:C:2018:248, punto 58).

38

Nel caso di specie, dalle domande di pronuncia pregiudiziale risulta che, il 9 dicembre 2013, B.M.M. ha presentato, in nome e per conto dei suoi figli minorenni B.S., B.M. e B.M.O., presso l’ambasciata belga a Dakar, domande di permesso di soggiorno per ricongiungimento familiare e che esse sono state respinte il 25 marzo 2014 nel rispetto dei termini previsti dalla legge belga.

39

Orbene, mentre il 25 aprile 2014, B.M.M., B.S., B.M. e B.M.O. hanno proposto ricorso per la sospensione e l’annullamento di tali decisioni di rigetto dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso in materia di stranieri) e, a più riprese, nel corso degli anni dal 2015 al 2017, essi hanno chiesto a tale giudice di statuire sui loro ricorsi, è pacifico che soltanto il 31 gennaio 2018, ovvero tre anni e nove mesi dopo la proposizione dei ricorsi, il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso in materia di stranieri) ha dichiarato irricevibili detti ricorsi per mancanza d’interesse, basandosi sul fatto che, alla data del pronunciamento, B.S., B.M. e B.M.O. erano maggiorenni e quindi non integravano più le condizioni previste dalle disposizioni in materia di ricongiungimento familiare dei figli minorenni.

40

A tal riguardo, occorre sottolineare che siffatti tempi di trattamento non appaiono eccezionali in Belgio, poiché, come osservato dal governo belga in udienza, il tempo medio entro il quale il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso in materia di stranieri) statuisce sulle controversie in materia di ricongiungimento familiare è di tre anni. Lo stesso governo ha inoltre precisato che i casi dei ricorrenti del procedimento principale non erano stati considerati prioritari da tale giudice.

41

Le circostanze ricordate al precedente punto mostrano quindi il fatto che un’interpretazione dell’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 2003/86, secondo la quale la data in cui l’amministrazione competente dello Stato membro interessato statuisce sulla domanda di ingresso e di soggiorno nel territorio di tale Stato è quella a cui occorre fare riferimento per valutare l’età del richiedente ai fini di tale disposizione, non consentirebbe di garantire che, conformemente all’articolo 24, paragrafo 2, della Carta, l’interesse del minore resti, in ogni caso, una considerazione di primaria importanza per gli Stati membri nel contesto dell’applicazione della direttiva 2003/86.

42

In secondo luogo, una siffatta interpretazione non consentirebbe neppure di garantire, conformemente ai principi di parità di trattamento e di certezza del diritto, un trattamento identico e prevedibile a tutti i richiedenti che si trovino in ordine di tempo nella stessa situazione, in quanto essa porterebbe a far dipendere l’accoglimento della domanda di ricongiungimento familiare principalmente da circostanze imputabili all’amministrazione o ai giudici nazionali, in particolare dalla più o meno grande celerità con cui la domanda è trattata o si decide su un ricorso diretto contro una decisione di rigetto di una siffatta domanda, e non da circostanze imputabili al richiedente (v. per analogia sentenza del 12 aprile 2018, A e S, C‑550/16, EU:C:2018:248, punti 5560).

43

Inoltre, detta interpretazione, in quanto avrebbe l’effetto di far dipendere il diritto al ricongiungimento familiare da circostanze aleatorie e non prevedibili, interamente imputabili alle autorità e ai giudici nazionali competenti dello Stato membro interessato, potrebbe condurre a differenze significative nel trattamento delle domande di ricongiungimento familiare tra gli Stati membri e all’interno del medesimo Stato membro.

44

Ciò premesso, al fine di determinare se la condizione relativa all’età prevista all’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 2003/86 sia soddisfatta, soltanto la presa in considerazione della data di presentazione della domanda di ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare è conforme alle finalità di tale direttiva nonché ai diritti fondamentali tutelati dall’ordinamento giuridico dell’Unione. Al riguardo è irrilevante che si statuisca su tale domanda direttamente a seguito della presentazione della domanda oppure dopo che una decisione di rigetto della stessa è stata annullata.

45

Tale conclusione non può essere confutata dall’argomento sollevato dal governo belga e dal governo polacco nelle loro osservazioni scritte, secondo il quale, in forza dell’articolo 16, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/86, quando le condizioni di rilascio dell’autorizzazione «non sono o non sono più soddisfatte», gli Stati membri possono rifiutare il rilascio del permesso di ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare. In sostanza, secondo tali governi, affinché la domanda di ricongiungimento familiare possa essere accolta, la persona che si ricongiunge deve necessariamente essere minorenne sia alla data di presentazione della domanda sia alla data dell’adozione della decisione su tale domanda.

46

A tal riguardo, occorre rilevare che l’età del richiedente non può essere considerata una condizione sostanziale per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare, ai sensi del considerando 6 e dell’articolo 1 della direttiva 2003/86, al pari di quelle previste in particolare nell’ambito del capo IV di tale direttiva. Infatti, contrariamente a queste ultime, il requisito dell’età rappresenta una condizione di ammissibilità stessa della domanda di ricongiungimento familiare, la cui evoluzione è certa e prevedibile, e che pertanto può essere valutata solo al momento della presentazione di tale domanda.

47

Di conseguenza, occorre rispondere alla prima questione nelle cause C‑133/19 e C‑136/19 nonché alla questione nella causa C‑137/19 dichiarando che l’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 2003/86 deve essere interpretato nel senso che la data a cui occorre fare riferimento per determinare se un cittadino di un paese terzo o un apolide non coniugato sia un figlio minorenne, ai sensi di tale disposizione, è quella in cui è presentata la domanda di ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare per figli minorenni, e non quella in cui le autorità competenti di tale Stato membro statuiscono su tale domanda, eventualmente dopo un ricorso avverso la decisione di rigetto di siffatta domanda.

Sulla seconda questione nelle cause C‑133/19 e C‑136/19

48

Con la seconda questione nelle cause C‑133/19 e C‑136/19, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 18 della direttiva 2003/86, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, debba essere interpretato nel senso che esso osta a che un ricorso proposto avverso la decisione di rigetto di una domanda di ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare a favore di un figlio minorenne sia dichiarato irricevibile con l’unica motivazione che il figlio è divenuto maggiorenne nelle more del procedimento giurisdizionale.

49

A tal riguardo, da un lato, dal fascicolo di cui dispone la Corte risulta che tale questione è fondata sulla premessa secondo la quale un figlio minorenne, divenuto maggiorenne nelle more del procedimento giurisdizionale proposto contro la decisione che respinge la sua domanda di ricongiungimento familiare, non ha più alcun interesse a che tale decisione sia annullata, cosicché il suo ricorso deve necessariamente essere respinto dal giudice competente.

50

Orbene, come discende dalla risposta fornita alla prima questione nelle cause C‑133/19 e C‑136/19 e alla questione nella causa C‑137/19, una premessa del genere è errata, cosicché, nella situazione illustrata al precedente punto, siffatta domanda di ricongiungimento familiare non può essere respinta con l’unica motivazione che il minore interessato è divenuto maggiorenne nel corso del procedimento giurisdizionale.

51

Dall’altro lato, occorre rilevare che, sebbene la direttiva 2003/86 preveda, all’articolo 5, paragrafo 4, un termine massimo di nove mesi entro il quale le autorità competenti dello Stato membro interessato sono tenute a notificare alla persona che ha depositato la domanda di ricongiungimento familiare la decisione che la riguarda, essa non impone invece alcun termine per statuire al giudice investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una siffatta domanda.

52

Tuttavia, l’articolo 18 di tale direttiva impone agli Stati membri di provvedere affinché il soggiornante o i suoi familiari abbiano il diritto di contestare in sede giurisdizionale tale decisione e impone a tali Stati membri di definire la procedura e le competenze per quanto riguarda l’esercizio di tale diritto.

53

Sebbene tale disposizione riconosca agli Stati membri un certo margine di manovra, in particolare, per determinare le norme relative al trattamento di un ricorso contro una decisione di rigetto di una domanda di ricongiungimento familiare, si deve rilevare che, nonostante un simile margine di manovra, gli Stati membri sono tenuti, nell’attuare la direttiva 2003/86, a rispettare l’articolo 47 della Carta, il quale sancisce, a favore di ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati, il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice (sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov, C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 55).

54

Orbene, come rilevato in sostanza dall’avvocato generale ai paragrafi 42 e 44 delle sue conclusioni, l’articolo 18 della direttiva 2003/86, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, implica che i ricorsi nazionali che consentono al soggiornante e ai suoi familiari di esercitare il loro diritto di contestare in sede giurisdizionale le decisioni di rigetto di una domanda di ricongiungimento familiare siano effettivi e reali.

55

Di conseguenza, un siffatto ricorso non può essere dichiarato irricevibile per il solo motivo che il minore interessato è divenuto maggiorenne nel corso del procedimento giurisdizionale.

56

Inoltre, e contrariamente a quanto sostenuto da taluni Stati membri che hanno presentato osservazioni, il rigetto in quanto irricevibile di un ricorso proposto contro la decisione che respinge una domanda di ricongiungimento familiare non potrebbe essere fondato sull’affermazione, come nel caso di specie, che le persone interessate non dimostrano più un interesse ad ottenere una decisione da parte del giudice adito.

57

Infatti, non si può escludere che un cittadino di un paese terzo la cui domanda di ricongiungimento familiare sia stata respinta conservi, anche dopo essere divenuto maggiorenne, un interesse a che il giudice investito del ricorso avverso tale rigetto si pronunci nel merito, in quanto, in taluni Stati membri, una siffatta decisione giurisdizionale è necessaria al fine, in particolare, di consentire all’attore di proporre un’azione di risarcimento danni nei confronti dello Stato membro di cui trattasi.

58

Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alla seconda questione nelle cause C‑133/19 e C‑136/19 dichiarando che l’articolo 18 della direttiva 2003/86, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che il ricorso avverso il rigetto di una domanda di ricongiungimento familiare di un figlio minorenne sia dichiarato irricevibile per il solo motivo che il figlio è divenuto maggiorenne nelle more del procedimento giurisdizionale.

Sulle spese

59

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 4, paragrafo 1, primo comma, lettera c), della direttiva 2003/86/UE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare, deve essere interpretato nel senso che la data a cui occorre fare riferimento per determinare se un cittadino di un paese terzo o un apolide non coniugato sia un figlio minorenne, ai sensi di tale disposizione, è quella in cui è presentata la domanda di ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare per figli minorenni e non quella in cui le autorità competenti di tale Stato membro statuiscono su tale domanda, eventualmente dopo un ricorso avverso la decisione di rigetto di siffatta domanda.

 

2)

L’articolo 18 della direttiva 2003/86, letto alla luce dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che il ricorso avverso il rigetto di una domanda di ricongiungimento familiare di un figlio minorenne sia dichiarato irricevibile per il solo motivo che il figlio è divenuto maggiorenne nelle more del procedimento giurisdizionale.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il francese.