CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MACIEJ SZPUNAR

presentate il 22 marzo 2021 ( 1 )

Causa C‑930/19

X

contro

État belge

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio)]

«Rinvio pregiudiziale – Cittadinanza dell’Unione – Diritto di libera circolazione e di libero soggiorno nel territorio degli Stati membri – Direttiva 2004/38/CE – Articolo 13, paragrafo 2 – Diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione – Matrimonio tra un cittadino dell’Unione e un cittadino di un paese terzo – Mantenimento del diritto di soggiorno da parte del cittadino di un paese terzo, vittima di violenza domestica, in caso di fine del matrimonio – Obbligo di dimostrare l’esistenza di risorse sufficienti – Assenza di tale obbligo nella direttiva 2003/86/CE – Validità – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articoli 20 e 21 – Parità di trattamento – Discriminazione fondata sulla cittadinanza del soggiornante»

Indice

 

I. Introduzione

 

II. Contesto normativo

 

A. Diritto dell’Unione

 

1. La Carta

 

2. La direttiva 2004/38

 

3. La direttiva 2003/86

 

B. Diritto belga

 

III. Fatti del procedimento principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

 

IV. Analisi

 

A. Sulla competenza della Corte

 

B. Sull’applicabilità dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38

 

1. Sulla necessità dell’analisi relativa all’applicabilità dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38

 

2. Sulla portata della giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettere a) e c), della direttiva 2004/38

 

a) La sentenza Singh e a

 

1) Analisi del ragionamento seguito nella sentenza Singh e a.

 

i) Sulla nozione di «partenza del cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante»: la mancanza di pertinenza dell’interpretazione congiunta degli articoli 12 e 13 della direttiva 2004/38

 

ii) Sulla perdita del diritto di soggiorno derivato del coniuge cittadino di un paese terzo come conseguenza della «partenza» del cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2004/38

 

2) Limitazione della portata della sentenza Singh e a.

 

b) La sentenza NA

 

1) La sentenza NA, eredità della logica derivante dalla sentenza Singh e a.

 

2) Sulla necessità di aggiornare la sentenza NA

 

i) La formulazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38

 

ii) La finalità, il contesto e la genesi dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38

 

3. Conclusione intermedia riguardante l’applicabilità della direttiva 2004/38

 

4. Sui recenti sviluppi della normativa dell’Unione e degli Stati membri in materia di tutela delle vittime di violenza domestica: rilievi giuridici da prendere in considerazione

 

C. Sulla questione pregiudiziale

 

1. Sul principio di non discriminazione e l’articolo 21 della Carta

 

2. Sul principio della parità di trattamento e l’articolo 20 della Carta

 

a) Sulla questione se la situazione di un cittadino di un paese terzo coniuge di un cittadino dell’Unione nel contesto della direttiva 2004/38 sia comparabile a quella di un cittadino di un paese terzo coniuge di un altro cittadino di un paese terzo nel contesto della direttiva 2003/86

 

1) La cittadinanza dell’Unione e la politica comune in materia di diritto dell’immigrazione: due settori diversi con principi e obiettivi distinti

 

2) Le direttive 2003/86 e 2004/38: due regimi diversi fondati su finalità distinte

 

i) Il regime istituito dalla direttiva 2003/86

 

ii) Il regime istituito dalla direttiva 2004/38

 

b) Conclusione intermedia

 

V. Conclusione

I. Introduzione

1.

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale verte sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE ( 2 ) alla luce degli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») ( 3 ).

2.

Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra il ricorrente nel procedimento principale, cittadino di un paese terzo, vittima durante il suo matrimonio di atti di violenza domestica commessi da un cittadino dell’Unione da cui è divorziato, e l’État belge in ordine al mantenimento del suo diritto di soggiorno in tale Stato membro.

3.

Più precisamente, il giudice del rinvio intende stabilire se l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 sia invalido in quanto tale disposizione subordina, in caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento di un’unione registrata, il mantenimento del diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione, che sia stato vittima di violenza domestica, alla condizione, in particolare, di disporre di risorse sufficienti, mentre l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86/CE ( 4 ) non subordina, in caso di divorzio o di separazione, il mantenimento del diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo che abbia beneficiato del diritto al ricongiungimento familiare a tale condizione.

4.

Dando alla Corte l’occasione di pronunciarsi sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, la presente causa le fornisce la possibilità di precisare la portata delle sentenze Singh e a. ( 5 ) e NA ( 6 ) nel contesto degli sviluppi recenti della normativa dell’Unione e degli Stati membri in materia di tutela delle vittime di violenza domestica.

II. Contesto normativo

A. Diritto dell’Unione

1.   La Carta

5.

L’articolo 20 della Carta, intitolato «Uguaglianza davanti alla legge», dispone che «[t]utte le persone sono uguali davanti alla legge».

6.

L’articolo 21 della Carta, intitolato «Non discriminazione», ai suoi paragrafi 1 e 2, prevede quanto segue:

«1.   È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale.

2.   Nell’ambito di applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità».

2.   La direttiva 2004/38

7.

L’articolo 13 della direttiva 2004/38, intitolato «Mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari in caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento dell’unione registrata», al paragrafo 2, così dispone:

«Senza pregiudizio delle disposizioni del secondo comma, il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell’unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b), non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro se:

a)

il matrimonio o l’unione registrata sono durati almeno tre anni, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio o annullamento o dello scioglimento dell’unione registrata di cui all’articolo 2, punto 2, lettera b); o

(...)

c)

situazioni particolarmente difficili, come il fatto di aver subito violenza domestica durante il matrimonio o l’unione registrata, esigono la conservazione del diritto di soggiorno;

(...)

Prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, il diritto di soggiorno delle persone interessate rimane subordinato al requisito che esse dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma, o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni. Le risorse sufficienti sono quelle indicate all’articolo 8, paragrafo 4.

I familiari in questione conservano il diritto di soggiorno esclusivamente a titolo personale».

3.   La direttiva 2003/86

8.

Ai sensi dell’articolo 15, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2003/86:

«3.   In caso di vedovanza, divorzio, separazione o decesso di ascendenti o discendenti diretti di primo grado, un permesso di soggiorno autonomo può essere rilasciato, previa domanda, ove richiesta, alle persone entrate in virtù del ricongiungimento familiare. Gli Stati membri adottano disposizioni atte a garantire che un permesso di soggiorno autonomo sia rilasciato quando situazioni particolarmente difficili lo richiedano.

4.   I requisiti relativi al rilascio e alla durata del permesso di soggiorno autonomo sono stabiliti dalla legislazione nazionale».

B. Diritto belga

9.

Risulta dalla decisione di rinvio che l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 è stato recepito nell’ordinamento belga dall’articolo 42 quater della legge sull’accesso al territorio, sul soggiorno, lo stabilimento e l’allontanamento degli stranieri, del 15 dicembre 1980 ( 7 ) (in prosieguo: la «legge del 15 dicembre 1980»).

10.

L’articolo 42 quater, paragrafo 1, primo comma, punto 4, e terzo comma, della legge del 15 dicembre 1980, nella versione applicabile ai fatti del procedimento principale, prevede quanto segue:

«§ 1.   Nei seguenti casi, il ministro o un suo delegato può far cessare, entro cinque anni dal riconoscimento del loro diritto di soggiorno, il diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione che non siano a loro volta cittadini dell’Unione e che soggiornino in quanto familiari del cittadino dell’Unione:

(…)

4o il matrimonio con il cittadino dell’Unione da loro accompagnato o raggiunto sia sciolto, sia posto fine all’unione registrata (...) ovvero non vi sia più coabitazione;

(...)

Nella sua decisione di porre fine al soggiorno, il ministro o il suo delegato tiene conto della durata del soggiorno dell’interessato nel Regno, della sua età, del suo stato di salute, della sua situazione familiare ed economica, della sua integrazione sociale e culturale nel Regno e dell’importanza dei suoi legami con il paese d’origine». ( 8 )

11.

L’articolo 42 quater, paragrafo 4, primo comma, punto 4, e secondo comma, di tale legge così dispone:

«§ 4.   Fatto salvo il § 5, il caso di cui al §1, comma 1, 4°, non è applicabile:

4o (...) quando situazioni particolarmente difficili lo richiedono, ad esempio, quando il familiare dimostri di essere stato vittima di violenze domestiche nonché di fatti di violenza previsti agli articoli 375, da 398 a 400, 402, 403 o 405 del codice penale, nell’ambito del matrimonio o dell’unione registrata di cui all’articolo 40 bis, § 2, comma 1, 1o o 2°;

e purché le persone interessate dimostrino di essere lavoratori subordinati o autonomi in Belgio, o di disporre di risorse sufficienti previste all’articolo 40, §4, comma 2, per non divenire un onere per il sistema di assistenza sociale del Regno nel corso del loro soggiorno, e di disporre di un’assicurazione malattia che copra tutti i rischi in Belgio, o di far parte del nucleo familiare, già costituito nel Regno, di una persona che soddisfa tali condizioni».

12.

Risulta dalla decisione di rinvio che l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86 è stato recepito nell’ordinamento belga dall’articolo 11, paragrafo 2, della legge del 15 dicembre 1980.

13.

L’articolo 11, paragrafo 2, primo comma, punto 2, e secondo, quarto e quinto comma, della legge del 15 dicembre 1980 così dispone:

«§ 2.   Il ministro o il suo delegato può decidere che lo straniero ammesso a soggiornare nel Regno sulla base dell’articolo 10 non ha più il diritto di soggiornare nel Regno, in uno dei seguenti casi:

(...)

2o Lo straniero e lo straniero con cui questi si è ricongiunto non conducono o non conducono più una vita coniugale o familiare effettiva;

(...)

La decisione fondata sul punto (...), 2° (...) può essere adottata solo nel corso dei primi cinque anni successivi al rilascio del titolo di soggiorno o, nei casi di cui all’articolo 12 bis, §§ 3 o 4, successivi al rilascio del documento attestante la presentazione della domanda.

(...)

Il ministro o il suo delegato non può porre fine al soggiorno sulla base del comma 1, (...), 2° (...), se lo straniero dimostra di essere stato vittima nel corso del matrimonio o dell’unione civile di un fatto previsto agli articoli 375, da 398 a 400, 402, 403 o 405 del codice penale. (...)

Nella sua decisione di porre fine al soggiorno sulla base del comma 1, (...) 2° (...), il ministro o il suo delegato prende in considerazione la natura e la solidità dei vincoli familiari della persona interessata e la durata del suo soggiorno nel Regno, nonché l’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo paese d’origine».

III. Fatti del procedimento principale, questione pregiudiziale e procedimento dinanzi alla Corte

14.

Il 26 settembre 2010, il ricorrente nel procedimento principale, cittadino algerino, sposava una cittadina francese ad Algeri (Algeria). Il 22 febbraio 2012, egli si recava in Belgio, munito di un visto per soggiorni di breve durata al fine di raggiungere la moglie residente in tale Stato membro.

15.

Il 20 aprile 2012, la moglie del ricorrente nel procedimento principale dava alla luce il loro primo figlio, cittadino francese.

16.

Il 7 maggio 2013, il ricorrente nel procedimento principale presentava, nella sua qualità di coniuge di una cittadina francese, una domanda di carta di soggiorno come familiare di un cittadino dell’Unione, carta da lui ottenuta il 13 dicembre 2013 e che era valida sino al 3 dicembre 2018.

17.

Nel corso dell’anno 2015, dopo quasi cinque anni di matrimonio e due anni di convivenza in Belgio, il ricorrente nel procedimento principale, vittima di violenza domestica da parte della moglie, era costretto a lasciare il domicilio coniugale. Egli veniva in un primo momento accolto in un centro di accoglienza, per poi trasferirsi, il 22 maggio 2015, in un alloggio a Tournai (Belgio). Il 2 marzo 2015, il ricorrente nel procedimento principale presentava una denuncia relativa agli atti di violenza domestica.

18.

A seguito di un rapporto sulla coabitazione, in data 30 ottobre 2015, che concludeva nel senso della non coabitazione del ricorrente nel procedimento principale e della moglie, dato che quest’ultima e la loro figlia risiedevano in Francia dal 10 settembre 2015, il governo belga, con decisione del 2 marzo 2016, revocava il diritto di soggiorno di più di tre mesi del ricorrente nel procedimento principale con ingiunzione di lasciare il territorio. Tale decisione veniva tuttavia annullata con sentenza del 16 settembre 2016 del Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio).

19.

Con lettera del 10 marzo 2017, il resistente nel procedimento principale chiedeva al ricorrente nel procedimento principale informazioni integrative, in particolare la prova dei suoi mezzi di sussistenza e di un’assicurazione malattia. Il 2 maggio 2017, il ricorrente nel procedimento principale informava il resistente nel procedimento principale di essere vittima di violenza domestica da parte della moglie e chiedeva il mantenimento del suo diritto di soggiorno in applicazione dell’articolo 42 quater, paragrafo 4, primo comma, 1o, 3° e 4°, della legge del 15 dicembre 1980.

20.

Con decisione del 14 dicembre 2017, il resistente revocava il diritto di soggiorno del ricorrente nel procedimento principale, senza ingiunzione di lasciare il territorio, in quanto egli non aveva fornito la prova, in particolare, del fatto di disporre di mezzi di sussistenza propri. Il 26 gennaio 2018, il ricorrente nel procedimento principale proponeva un ricorso di annullamento contro tale decisione dinanzi al Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri).

21.

Il giudice del rinvio rileva che l’articolo 42 quater, paragrafo 4, della legge del 15 dicembre 1980, che ha recepito nell’ordinamento belga l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, prevede, in caso di divorzio o di cessazione della coabitazione dei coniugi, che il mantenimento del diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo che, durante il matrimonio, sia stato vittima di violenza domestica da parte del coniuge cittadino dell’Unione è subordinato a talune condizioni, in particolare quella di disporre di risorse sufficienti e di un’assicurazione malattia. Tale giudice precisa altresì che, nelle stesse circostanze, l’articolo 11, paragrafo 2, della legge del 15 dicembre 1980, che ha recepito nell’ordinamento belga l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86, subordina la concessione di un permesso autonomo al coniuge cittadino di un paese terzo che abbia beneficiato del diritto al ricongiungimento familiare con un cittadino di un paese terzo residente legalmente in Belgio alla sola prova dell’esistenza di violenza domestica.

22.

Il giudice del rinvio osserva che i cittadini di un paese terzo vittime di violenza domestica da parte del coniuge formano oggetto di trattamento diverso a seconda che essi abbiano beneficiato di un ricongiungimento familiare con un cittadino dell’Unione o con un cittadino di un paese terzo e che tale disparità di trattamento trova la sua origine nelle disposizioni delle direttive 2004/38 e 2003/86.

23.

Di conseguenza, il Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri), con sentenza del 13 dicembre 2019, pervenuta nella cancelleria della Corte il 20 dicembre 2019, ha deciso di sospendere il giudizio e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se l’articolo 13, paragrafo 2, della [direttiva 2004/38] violi gli articoli 20 e 21 della [Carta], nella misura in cui prevede che il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento dell’unione registrata non comportano la perdita del diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro – in particolare, se situazioni particolarmente difficili, come ad esempio il fatto di aver subito violenza domestica durante il matrimonio o l’unione registrata, esigono la conservazione del diritto di soggiorno – ma soltanto a condizione che gli interessati dimostrino di esercitare un’attività lavorativa subordinata o autonoma o di disporre per sé e per i familiari di risorse sufficienti affinché non divengano un onere per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante durante il soggiorno, nonché di una assicurazione malattia che copra tutti i rischi nello Stato membro ospitante, ovvero di fare parte del nucleo familiare, già costituito nello Stato membro ospitante, di una persona che soddisfa tali condizioni, mentre l’articolo 15, paragrafo 3, della [direttiva 2003/86], che prevede la medesima possibilità di mantenere un diritto di soggiorno, non subordina detto mantenimento a quest’ultima condizione».

24.

Hanno presentato osservazioni scritte il ricorrente nel procedimento principale, il governo belga, nonché il Parlamento europeo, il Consiglio dell’Unione europea e la Commissione europea.

25.

Nel corso dell’udienza tenutasi il 7 dicembre 2020, sono state presentate dinanzi alla Corte osservazioni orali a nome del ricorrente nel procedimento principale, del governo belga nonché del Parlamento, del Consiglio e della Commissione.

IV. Analisi

26.

Nel prosieguo, esaminerò, innanzitutto, tenuto conto dell’argomento formulato al riguardo dal governo belga, la questione se la Corte sia competente a rispondere alla questione pregiudiziale (sub A). Ritenendo che la risposta sia affermativa, esaminerò poi l’applicabilità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 per fugare qualsiasi dubbio sulla ricevibilità della questione pregiudiziale nel caso di specie (sub B). Infine, esaminerò la validità di tale disposizione (sub C).

A. Sulla competenza della Corte

27.

Il governo belga fa valere, nelle sue osservazioni scritte, che la Corte non è competente a rispondere alla questione posta dal giudice del rinvio. In primo luogo, sarebbe alla luce non di una norma di diritto dell’Unione ma di una norma di diritto nazionale emanata dal legislatore belga nell’ambito della competenza riconosciutagli dall’articolo 15, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2003/86 che tale giudice nutrirebbe dubbi sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. In secondo luogo, l’inosservanza delle condizioni enunciate all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 pregiudicherebbe le regole di ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri. Infine, in terzo luogo, le disposizioni della Carta non possono rimettere in discussione le competenze degli Stati membri, come quelle riguardanti le condizioni di soggiorno dei cittadini di paesi terzi privi dello status di familiari di un cittadino dell’Unione.

28.

Vorrei ricordare, al riguardo, che l’articolo 19, paragrafo 3, lettera b), TUE e l’articolo 267, primo comma, lettera b), TFUE prevedono che la Corte è competente a statuire, in via pregiudiziale, sull’interpretazione del diritto dell’Unione e sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni dell’Unione, senza nessuna eccezione ( 9 ), posto che detti atti devono essere pienamente compatibili con le disposizioni dei trattati e con i principi costituzionali che da essi discendono, nonché con le disposizioni della Carta ( 10 ).

29.

Nella fattispecie, il giudice del rinvio considera che, all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 e all’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86, il legislatore dell’Unione ha disciplinato – in particolare nei casi di divorzio e di separazione – le condizioni del mantenimento del diritto di soggiorno da parte del cittadino di un paese terzo vittima di atti di violenza commessi dal coniuge in maniera diversa a seconda che quest’ultimo sia un cittadino dell’Unione o un cittadino di un paese terzo. Tale giudice ritiene che, così facendo, il legislatore dell’Unione abbia creato una disparità di trattamento fondata sulla cittadinanza del coniuge soggiornante, violando così gli articoli 20 e 21 della Carta. Atteso che il regime istituito dall’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 per cittadini di paesi terzi coniugi di un cittadino dell’Unione è meno favorevole di quello previsto dall’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86 per i cittadini di paesi terzi coniugi di un altro cittadino di un paese terzo, il giudice del rinvio invita la Corte a valutare la validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 alla luce degli articoli 20 e 21 della Carta.

30.

Ciò posto, ritengo che le obiezioni sollevate dal governo belga per quanto riguarda la competenza della Corte debbano essere respinte.

B. Sull’applicabilità dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38

31.

Con la sua questione pregiudiziale, il giudice del rinvio chiede alla Corte di pronunciarsi sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38.

32.

Rilevo innanzitutto che è necessario, prima di procedere all’esame della validità di tale disposizione, verificare se la questione sia ricevibile. A tal fine, occorre esaminare la questione se l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), di tale direttiva sia applicabile al caso di specie.

33.

Infatti, la Commissione esprime dubbi sull’applicabilità dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 ad una fattispecie come quella oggetto del procedimento principale. I suoi dubbi sono fondati sul fatto che il giudice del rinvio non fornisce alcuna indicazione relativa al divorzio o all’annullamento del matrimonio del ricorrente nel procedimento principale. Al riguardo, risulterebbe dalla sentenza NA ( 11 ) che l’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, di tale direttiva presuppone che il divorzio o l’annullamento del matrimonio tra il cittadino di un paese terzo e il cittadino dell’Unione interessati sia stato pronunciato o che, quanto meno, un procedimento a tal fine sia stato avviato prima che il cittadino dell’Unione lasci lo Stato membro ospitante.

34.

Le parti del procedimento principale e gli altri intervenienti non contestano invece l’applicabilità di tale disposizione. Lo stesso vale per il giudice del rinvio che, nel contesto della sua questione pregiudiziale, ha fondato il suo ragionamento sull’applicabilità di tale disposizione.

35.

Esaminerò tale questione al fine di dissipare ogni possibile dubbio quanto al fatto che la valutazione della validità di tale disposizione potrebbe essere senza alcuna relazione con l’effettività o con l’oggetto del procedimento principale ( 12 ). Verificherò quindi se una persona che si trovi in una situazione come quella del ricorrente nel procedimento principale rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 prima di procedere all’esame della questione pregiudiziale.

1.   Sulla necessità dell’analisi relativa all’applicabilità dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38

36.

Relativamente alle condizioni di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, ricordo che la Corte ha dichiarato, nella sua sentenza NA ( 13 ), «che l’applicazione di tale disposizione, ivi compreso il diritto derivante dall’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), di tale direttiva, è subordinata al divorzio degli interessati». In tale contesto, la Corte ha dichiarato che, qualora un cittadino di un paese terzo sia stato vittima durante il matrimonio di atti di violenza domestica commessi da un cittadino dell’Unione da cui è divorziato, quest’ultimo deve soggiornare nello Stato membro ospitante, conformemente all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, fino alla data dell’inizio del procedimento di divorzio, affinché detto cittadino possa legittimamente avvalersi dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva in parola ( 14 ).

37.

Pertanto, l’elemento determinante nella controversia oggetto del procedimento principale sarebbe la data d’inizio del procedimento di divorzio. Al riguardo, il giudice del rinvio ha precisato, in risposta ad una richiesta di informazioni rivoltagli dalla Corte, che la domanda di divorzio è stata presentata il 5 luglio 2018 e che il divorzio è stato pronunciato il 24 luglio 2018, con efficacia a decorrere dal 2 ottobre 2018 ( 15 ).

38.

Nella fattispecie, pertanto, in applicazione della giurisprudenza derivante dalla sentenza NA ( 16 ), poiché la data d’inizio del procedimento di divorzio era successiva alla data in cui la moglie del ricorrente nel procedimento principale ha lasciato il territorio belga, il ricorrente non rientrerebbe nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 ( 17 ).

39.

Sono nondimeno del parere che il ricorrente nel procedimento principale rientri nell’ambito di applicazione di tale disposizione.

40.

Nelle considerazioni che seguono, spiegherò le ragioni per le quali sono convinto che la disposizione controversa nel procedimento principale sia applicabile al caso di specie e per le quali è necessario procedere ad un’analisi approfondita della portata della giurisprudenza derivante dalla sentenza NA ( 18 ). Inoltre, tale analisi permetterà di determinare il significato della disposizione di cui trattasi prima di procedere all’esame della sua validità. Come risulta dalla giurisprudenza della Corte, secondo un principio ermeneutico generale, un atto dell’Unione deve, infatti, essere interpretato, nei limiti del possibile, in modo da non inficiare la sua validità e in conformità con il diritto primario nel suo complesso ( 19 ).

41.

Inizierò quindi con l’esame della portata della giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Tenendo conto di detto esame, proporrò poi un’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), di detta direttiva che non soltanto sia coerente con la formulazione letterale, il contesto, la finalità e la genesi di tale disposizione, ma consenta altresì di salvaguardare la coerenza complessiva dell’ordinamento giuridico dell’Unione e della sua politica in materia di tutela delle vittime di atti di violenza domestica.

2.   Sulla portata della giurisprudenza della Corte relativa all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettere a) e c), della direttiva 2004/38

42.

Anche se la sentenza NA ( 20 ) è effettivamente la sola sentenza in cui la Corte ha interpretato l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, essa segue tuttavia la logica della sentenza Singh e a. ( 21 ). La mia analisi verterà quindi su tali due sentenze.

a)   La sentenza Singh e a.

43.

La causa in cui è stata pronunciata la sentenza Singh e a. ( 22 ) riguardava tre cittadini di paesi terzi che, a seguito del loro matrimonio con cittadine dell’Unione residenti e occupate in Irlanda, si erano visti concedere un diritto di soggiorno in tale Stato membro ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, in quanto congiunti che accompagnano o raggiungono un cittadino dell’Unione nello Stato membro ospitante. Nei tre casi, il procedimento di divorzio era stato avviato dopo che le mogli avevano lasciato il territorio irlandese.

44.

Con la sua prima questione pregiudiziale, il giudice del rinvio in tale causa si chiedeva, in particolare, se il diritto di soggiorno in Irlanda dei tre mariti cittadini di paesi terzi potesse essere mantenuto sul fondamento dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38. La Corte ha riformulato tale questione nei seguenti termini: «Con la prima questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 debba essere interpretato nel senso che un cittadino di un paese terzo, divorziato da un cittadino dell’Unione, il cui matrimonio sia durato almeno tre anni prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio, di cui un anno almeno nello Stato membro ospitante, possa fruire del mantenimento del diritto di soggiorno in tale Stato membro, in forza della citata disposizione, laddove il divorzio è preceduto dalla partenza da tale Stato membro del coniuge del cittadino dell’Unione». ( 23 )

45.

Dopo aver ricordato che i cittadini di paesi terzi familiari di un cittadino dell’Unione possono aspirare al diritto di soggiorno unicamente nello Stato membro ospitante in cui risiede tale cittadino e non in un altro Stato membro ( 24 ), la Corte ha dichiarato che, se, prima che inizi un procedimento giudiziario di divorzio, il cittadino dell’Unione lascia lo Stato membro in cui risiede il coniuge cittadino di un paese terzo per stabilirsi in un altro Stato membro o in un paese terzo, il diritto di soggiorno derivato del coniuge cittadino di un paese terzo sul fondamento dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 cessa al momento in cui parte il cittadino dell’Unione e, di conseguenza, non può essere mantenuto sulla base dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), di tale direttiva ( 25 ). Infatti, secondo la Corte, perché un cittadino di un paese terzo fruisca del mantenimento del suo diritto di soggiorno sul fondamento di quest’ultima disposizione, il coniuge di questi, cittadino dell’Unione, deve soggiornare nello Stato membro ospitante, conformemente all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, fino alla data di inizio del procedimento giudiziario di divorzio ( 26 ). Alla luce di tale ragionamento, la Corte ha dichiarato che l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che «un cittadino di un paese terzo, divorziato da un cittadino dell’Unione, il cui matrimonio sia durato almeno tre anni, di cui almeno uno nello Stato membro ospitante, prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio, non può fruire del mantenimento del diritto di soggiorno in tale Stato membro in base a tale disposizione, qualora l’inizio del procedimento giudiziario di divorzio sia preceduto dalla partenza del coniuge cittadino dell’Unione dal detto Stato membro» ( 27 ).

1) Analisi del ragionamento seguito nella sentenza Singh e a.

46.

La risposta apportata alla prima questione pregiudiziale nella sentenza Singh e a. mi sembra quanto meno discutibile ( 28 ), e ciò per le tre ragioni seguenti.

47.

In primo luogo, alla lettura dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, si deve necessariamente constatare che l’applicazione di tale disposizione che permette ai coniugi cittadini di paesi terzi di mantenere il loro diritto di soggiorno non è stata subordinata dal legislatore dell’Unione alla condizione che il cittadino dell’Unione soggiorni nello Stato membro ospitante sino alla data d’inizio del procedimento giudiziario di divorzio. Infatti, tale disposizione fa unicamente riferimento alla condizione che «il matrimonio o l’unione registrata [siano durati] almeno tre anni, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio o annullamento o dello scioglimento dell’unione registrata» ( 29 ).

48.

In secondo luogo, è essenziale rilevare che, anche se, nella causa sfociata nella sentenza Singh e a., la prima questione pregiudiziale verteva sull’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, la Corte ha tuttavia riformulato tale questione facendo riferimento all’articolo 13, paragrafo 2, di tale direttiva ( 30 ). Pertanto, la risposta data dalla Corte non si limita all’ipotesi prevista all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva di cui trattasi, ma verte su tutte le ipotesi previste dall’articolo 13, paragrafo 2, di quest’ultima ( 31 ).

49.

Ne consegue che la risposta della Corte alla questione così riformulata è fondata non soltanto sulle condizioni previste dal legislatore dell’Unione ai fini dell’applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, ma anche su una nuova condizione. In altri termini, richiedendo che il coniuge cittadino dell’Unione soggiorni nello Stato membro ospitante sino alla data d’inizio del procedimento giudiziario di divorzio, la Corte ha posto un’ulteriore condizione rispetto a quelle previste dall’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), di tale direttiva. È pertanto per via giurisprudenziale che tale condizione è stata aggiunta nell’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, nel suo complesso, della suddetta direttiva ( 32 ).

50.

In terzo luogo, benché io comprenda perfettamente la logica del ragionamento seguito dalla Corte nella sentenza Singh e a. ( 33 ) e sia, in linea di principio, d’accordo con la sua analisi, quale figura ai punti da 50 a 57 di tale sentenza, non condivido la conclusione tratta da tale analisi, al punto 67 della suddetta sentenza. Infatti, la Corte ha innanzitutto dichiarato che, in circostanze come quelle del procedimento principale, «la partenza del coniuge cittadino dell’Unione ha già comportato la perdita del diritto di soggiorno del coniuge cittadino di un paese terzo che risieda nello Stato membro ospitante». Essa ha poi precisato che «un’istanza di divorzio successiva non può determinare il ripristino di tale diritto, dal momento che l’articolo 13 della direttiva 2004/38 parla solamente di “mantenimento” di un diritto di soggiorno sussistente» ( 34 ).

51.

In questa fase, mi pare opportuno rilevare che, sulla falsariga tracciata dall’avvocato generale Kokott, la Corte ha fondato tale affermazione su un’«applicazione congiunta» degli articoli 12 e 13 della direttiva 2004/38 ( 35 ).

52.

Tuttavia, nutro dubbi non soltanto sulla pertinenza di una siffatta applicazione congiunta di tali due articoli ( 36 ) ma anche sulla conseguenza tratta da tale applicazione, ossia, da un lato, che – nel contesto dell’articolo 12 della direttiva 2004/38 – la partenza del coniuge cittadino dell’Unione possa comportare la perdita automatica del diritto di soggiorno derivato del coniuge cittadino di un paese terzo e, dall’altro, che – nel contesto dell’articolo 13 di tale direttiva – la partenza del coniuge cittadino dell’Unione possa avere l’effetto di privare il coniuge cittadino di un paese terzo della tutela prevista all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva e di privare tale disposizione della sua sostanza e del suo effetto utile.

i) Sulla nozione di «partenza del cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante»: la mancanza di pertinenza dell’interpretazione congiunta degli articoli 12 e 13 della direttiva 2004/38

53.

Come ho già rilevato al paragrafo 51 delle presenti conclusioni, l’affermazione della Corte secondo la quale «la partenza del coniuge cittadino dell’Unione ha già comportato la perdita del diritto di soggiorno del coniuge cittadino di un paese terzo che risieda nello Stato membro ospitante» ( 37 ) è fondata sull’interpretazione congiunta degli articoli 12 e 13 della direttiva 2004/38. Orbene, ritengo che tale interpretazione non sia pertinente, e ciò per le seguenti ragioni.

54.

In primo luogo, ricordo che la direttiva 2004/38 distingue chiaramente due tipi di situazioni nelle quali il legislatore dell’Unione ha previsto il mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione: la partenza di un cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante (o il suo decesso), oggetto dell’articolo 12 di tale direttiva, e il divorzio, l’annullamento o lo scioglimento di un’unione registrata, oggetto dell’articolo 13 della suddetta direttiva.

55.

Da un lato, la partenza, ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2004/38, non è legata al divorzio, all’annullamento o allo scioglimento di un’unione registrata. Infatti, come sottolineato dalla Commissione in risposta ad un quesito rivoltole dalla Corte all’udienza, la nozione di «partenza», ai sensi di tale disposizione, si intende come «partenza pura e semplice», vale a dire una partenza effettiva senza intenzione di ritornare nello Stato membro ospitante e non giustificata dall’intenzione di separarsi, di divorziare, di annullare il matrimonio o di sciogliere un’unione registrata.

56.

D’altro lato, l’articolo 13 della direttiva 2004/38 non fa alcun riferimento alla partenza, ma fa unicamente riferimento al divorzio, all’annullamento o allo scioglimento di un’unione registrata. Pertanto, se il coniuge cittadino dell’Unione lascia lo Stato membro ospitante e avvia un procedimento di divorzio nel suo Stato membro d’origine, la sua partenza è necessariamente una partenza in vista di un divorzio, di un annullamento o di uno scioglimento di un’unione registrata ( 38 ). Inoltre, supponendo che, nella stessa ipotesi, il cittadino dell’Unione parta con il figlio minorenne dei coniugi senza che questi ultimi abbiano concluso un accordo al riguardo, l’applicazione dell’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 presupporrà necessariamente che un giudice abbia assegnato la custodia definitiva del figlio al cittadino di un paese terzo nell’ambito della separazione, del divorzio o dello scioglimento dell’unione civile, nel qual caso ci si troverebbe nella situazione disciplinata dall’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera b), della direttiva.

57.

Alla luce di queste considerazioni, la nozione di «partenza», ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2004/38, non può essere interpretata come equivalente alla partenza in vista di un divorzio, di un annullamento o di uno scioglimento di un’unione registrata nel contesto dell’articolo 13 di tale direttiva e deve pertanto essere interpretata in maniera diversa nel contesto di ciascuno di tali articoli, dato che essi hanno obiettivi diversi.

58.

In secondo luogo, come la Commissione ha rilevato in risposta ad un quesito della Corte all’udienza, tenuto conto del fatto che risulta chiaramente dal considerando 15 della direttiva 2004/38 che l’articolo 13 di quest’ultima è inteso a «tutelare giuridicamente i familiari in caso di (...), divorzio», considerare la partenza in vista di un divorzio come una partenza effettiva senza intenzione di ritornare nello Stato membro ospitante, ai sensi dell’articolo 12 di tale direttiva, impedirebbe al coniuge del cittadino dell’Unione di beneficiare della tutela giuridica prevista dall’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva, consistente nel mantenimento del diritto di soggiorno derivato e, pertanto, sarebbe manifestamente in contrasto con la finalità di quest’ultima disposizione ( 39 ).

ii) Sulla perdita del diritto di soggiorno derivato del coniuge cittadino di un paese terzo come conseguenza della «partenza» del cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante ai sensi dell’articolo 12 della direttiva 2004/38

59.

La partenza del coniuge cittadino dell’Unione modifica, dall’oggi all’indomani, la situazione giuridica del coniuge cittadino di un paese terzo, con la conseguenza immediata della perdita automatica del diritto di soggiorno derivato?

60.

A mio parere, anche nel contesto dell’articolo 12 della direttiva 2004/38, la perdita del diritto di soggiorno derivato del coniuge cittadino di un paese terzo non può essere considerata come una conseguenza automatica di qualsiasi partenza del cittadino dell’Unione, e ciò per le ragioni seguenti.

61.

In primo luogo, in maniera generale, tengo a precisare che la qualità di «avente diritto», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, in quanto è ottenuta per effetto del matrimonio di un cittadino di un paese terzo con un cittadino dell’Unione che esercita la sua libertà di circolazione nello Stato membro ospitante in cui i due soggiornano insieme, può, in linea di principio, essere persa qualora il cittadino dell’Unione lasci il territorio di tale Stato membro.

62.

Occorre tuttavia, a mio parere, distinguere le situazioni che non soddisfano le condizioni stabilite all’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 – come una partenza effettiva del cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante, senza intenzione di ritornarvi, che non sia giustificata da un divorzio, da un annullamento o da uno scioglimento di un’unione registrata, mentre il coniuge cittadino di un paese terzo intende restare nello Stato membro ospitante in cui i due soggiornano insieme senza che egli abbia un figlio a carico ( 40 ) – da quelle aventi carattere temporaneo, in cui si deve ritenere che il cittadino dell’Unione e il coniuge cittadino di un paese terzo continuino ad avere la qualità di «aventi diritto» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/38. Infatti, nell’ipotesi in cui il cittadino dell’Unione debba rientrare o soggiornare temporaneamente nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza, o si sposti e soggiorni temporaneamente in un altro Stato membro per ragioni debitamente motivate ( 41 ), il coniuge cittadino di un paese terzo che rimane nello Stato membro ospitante, in particolare per evitare di perdere il lavoro, o per proseguirvi gli studi o una formazione professionale, deve continuare a rientrare nella nozione di «avente diritto», ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 ( 42 ), per il tempo necessario a trovare un altro lavoro o ultimare i propri studi.

63.

Ricordo che, in ogni caso, risulta dall’articolo 16, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 che la continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze di durata superiore per l’assolvimento degli obblighi militari né da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo.

64.

In secondo luogo, è evidente che il secondo, il terzo o il quarto spostamento di un cittadino dell’Unione verso un altro Stato membro rientra nel diritto alla libera circolazione allo stesso titolo del primo spostamento verso lo Stato membro ospitante interessato, anche se si tratta di uno spostamento per un periodo limitato. È escluso vincolare il diritto alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione al modo in cui i coniugi intendono organizzare la loro vita coniugale, imponendo loro la convivenza in circostanze che non la giustificano ( 43 ). La situazione economica o lavorativa del nucleo familiare, in particolare, può indurre il coniuge cittadino dell’Unione ad accettare temporaneamente un impiego in un altro Stato membro ( 44 ).

65.

In terzo luogo, ammettere che il coniuge cittadino di un paese terzo possa perdere automaticamente il diritto di soggiorno derivato nei casi in cui il cittadino dell’Unione esercita il suo diritto di libera circolazione non soltanto contrasterebbe con gli obiettivi perseguiti dalla direttiva 2004/38 ma costituirebbe un ostacolo alla libertà di circolazione di cui dispone ogni cittadino dell’Unione ai sensi dell’articolo 21 TFUE. Infatti, una siffatta perdita automatica potrebbe dissuadere il coniuge cittadino dell’Unione dall’esercitare il suo diritto alla libera circolazione e condurlo, ad esempio, a rifiutare un’offerta di impiego in un altro Stato membro.

66.

Infine, in quarto luogo, il rispetto della vita privata e familiare, quale riconosciuto all’articolo 7 della Carta, depone contro la perdita automatica del diritto di soggiorno. Infatti, ritenere che, quando il cittadino dell’Unione si sposta e soggiorna temporaneamente in un altro Stato membro per ragioni debitamente motivate, il coniuge cittadino di un paese terzo perda automaticamente il proprio diritto di soggiorno derivato costituirebbe un pregiudizio alla vita privata e familiare in relazione alla libertà di circolazione del cittadino dell’Unione interessato ( 45 ). Sotto il profilo dell’articolo 7 della Carta, ciò potrebbe avere la conseguenza che il diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo ancora sposato debba essere mantenuto ( 46 ).

67.

Di conseguenza, la perdita del diritto di soggiorno derivato del coniuge cittadino di uno Stato terzo non può essere considerata come automatica in tutti i casi di specie e dipende dall’esame del singolo caso.

68.

Dopo queste riflessioni, torniamo all’esame della sentenza Singh e a.

2) Limitazione della portata della sentenza Singh e a.

69.

Risulta dalle considerazioni che precedono che, senza voler rimettere in discussione l’esame della Corte contenuta ai punti da 50 a 57 della sentenza Singh e a. ( 47 ), non si può affermare che, come risulta dal punto 67 della suddetta sentenza, la partenza del coniuge cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante in vista di un divorzio, dell’annullamento o dello scioglimento di un’unione civile avrebbe come conseguenza la perdita del diritto di soggiorno del coniuge cittadino di un paese terzo.

70.

In primo luogo, nella causa in cui è stata pronunciata la sentenza Singh e a. ( 48 ), le condizioni di durata del matrimonio o dell’unione registrata, poste dall’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, erano rispettate. Pertanto, è chiaro, a mio parere, che, in una situazione del genere, tale disposizione si applica nelle more tra, da un lato, il momento in cui i coniugi decidono di separarsi legalmente, di divorziare per mutuo consenso o di avviare un procedimento di divorzio e, d’altro lato, il momento in cui il divorzio viene pronunciato, e ciò indipendentemente dalla data di partenza del cittadino dell’Unione in vista, in particolare, del divorzio. A tale riguardo, ricordo che, in talune legislazioni nazionali, si richiede una previa separazione di fatto o un periodo di riflessione prima che i coniugi possano firmare un accordo o chiedere il divorzio ( 49 ).

71.

Inoltre, mi sembra importante rilevare che la Corte ha già dichiarato che «il vincolo coniugale non può considerarsi sciolto fintantoché la competente autorità non vi abbia posto fine». Essa ha parimenti precisato che «ciò non avviene nel caso dei coniugi che vivono semplicemente separati, neppure qualora abbiano intenzione di divorziare in seguito» ( 50 ).

72.

Pertanto, sarebbe a mio parere paradossale considerare, da una parte, che, nel contesto dell’articolo 12 della direttiva 2004/38, quando i coniugi hanno una comunione di vita coniugale effettiva, il coniuge cittadino di un paese terzo perde automaticamente il suo diritto di soggiorno derivato al momento della partenza dallo Stato membro ospitante del cittadino dell’Unione, mentre è il matrimonio, in particolare, che gli ha conferito tale diritto di soggiorno e, dall’altra, che, nel contesto dell’articolo 16 di tale direttiva, qualora i coniugi, durante il periodo di soggiorno continuativo di cinque anni, abbiano deciso di separarsi e abbiano iniziato a convivere con altri compagni, il coniuge cittadino di un paese terzo può acquisire un diritto di soggiorno permanente ( 51 ).

73.

In secondo luogo, per quanto riguarda l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38, sottolineo che la Commissione, nei suoi commenti relativi all’articolo 13, paragrafo 2 ( 52 ), ha affermato che «lo scioglimento del matrimonio implica necessariamente, per motivi di certezza del diritto, una sentenza irrevocabile di divorzio; in caso di separazione di fatto, il diritto di soggiorno del coniuge non è affatto pregiudicato» ( 53 ).

74.

In tale contesto, come risulta dai paragrafi da 53 a 58 delle presenti conclusioni, occorre innanzitutto determinare se la partenza del coniuge cittadino dell’Unione sia una «partenza pura e semplice» (articolo 12 della direttiva 2004/38), vale a dire una partenza effettiva senza intenzione di ritornare nello Stato membro ospitante e non giustificata da un divorzio, un annullamento o uno scioglimento dell’unione registrata, ovvero se, al contrario, si tratti di una «partenza in vista di un divorzio, di un annullamento o di uno scioglimento di un’unione civile» (articolo 13 di tale direttiva).

75.

Alla luce delle considerazioni precedenti, sono convinto che, contrariamente a quanto risulta dal punto 67 della sentenza Singh e a. ( 54 ), la partenza del cittadino dell’Unione in vista di un divorzio, di un annullamento o di uno scioglimento di un’unione civile non abbia come effetto la perdita del diritto di soggiorno derivato del coniuge cittadino di un paese terzo se le condizioni dell’articolo 13, paragrafo 2, di tale direttiva sono state rispettate. Ad ogni modo, un esame, da parte delle autorità competenti, del singolo caso è necessario prima che la perdita del diritto di soggiorno derivato diventi definitiva ( 55 ).

b)   La sentenza NA

1) La sentenza NA, eredità della logica derivante dalla sentenza Singh e a.

76.

La causa in cui è stata pronunciata la sentenza NA ( 56 ) riguardava una cittadina pachistana coniugata con un cittadino tedesco. La coppia risiedeva nel Regno Unito, in cui il marito aveva ottenuto lo status di lavoratore dipendente e quello di lavoratore autonomo. La moglie, vittima di parecchi atti di violenza domestica – l’ultimo dei quali avvenuto nell’ottobre 2006 quando era incinta di oltre cinque mesi –, aveva avviato nel 2008, dopo la partenza del marito dal Regno Unito nel dicembre 2006, un procedimento di divorzio in tale Stato membro e aveva ottenuto l’affidamento esclusivo dei loro due figli ( 57 ). Questi ultimi, benché in possesso della cittadinanza tedesca, erano nati nel Regno Unito, in cui erano scolarizzati dal 2009 e dal 2010 ( 58 ).

77.

Per quanto riguarda il diritto di soggiorno della moglie nel Regno Unito, la Corte ha innanzitutto ricordato che, ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, il divorzio non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione privi della cittadinanza di uno Stato membro qualora circostanze particolarmente difficili lo richiedano, ad esempio, il fatto di essere stato vittima di violenza domestica ( 59 ). Tuttavia, la Corte, facendo riferimento alla sentenza Singh e a., ha ribadito che il cittadino dell’Unione coniuge di un cittadino di un paese terzo deve soggiornare nello Stato membro ospitante, conformemente all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2004/38, sino alla data di inizio del procedimento giudiziario di divorzio perché tale ultimo cittadino possa far valere il mantenimento del suo diritto di soggiorno previsto dall’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), di tale direttiva ( 60 ). Orbene, ciò non si verificava in tale causa. La Corte ha pertanto dichiarato che l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 deve essere interpretato nel senso che un cittadino di uno Stato terzo, divorziato da un cittadino dell’Unione da cui ha subito atti di violenza domestica durante il matrimonio, non può beneficiare del mantenimento del diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante in base a tale disposizione qualora l’inizio del procedimento giudiziario di divorzio sia successivo alla partenza del coniuge cittadino dell’Unione da detto Stato membro ( 61 ).

78.

Vorrei innanzitutto osservare che, anche se la logica della sentenza Singh e a. ( 62 ) ha potuto essere applicata, nell’ambito della causa sfociata nella sentenza NA ( 63 ), all’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, ciò è avvenuto a causa della riformulazione da parte della Corte della prima questione pregiudiziale nella sentenza Singh e a. ( 64 ). Come ho già precisato ( 65 ), il riferimento, da parte della Corte, in maniera generale, all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 ( 66 ), ha permesso che la sua interpretazione di tale disposizione si applicasse a tutti i casi previsti all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva, ivi compresa la condizione aggiuntiva secondo la quale il cittadino dell’Unione deve soggiornare nello Stato membro ospitante sino alla data d’inizio del procedimento giudiziario di divorzio ( 67 ).

79.

Tuttavia, mi sembra che tale riformulazione non fosse necessaria dato che la risposta alla questione quale proposta dal giudice nazionale sarebbe stata sufficientemente utile per consentirgli di risolvere la controversia di cui era investito ( 68 ).

80.

Ciò precisato, e tenuto conto della mia proposta di limitare la portata della sentenza Singh e a., passo ora ad esporre le ragioni per le quali ritengo necessario aggiornare la sentenza NA ( 69 ).

2) Sulla necessità di aggiornare la sentenza NA

i) La formulazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38

81.

Quanto all’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, risulta, da un lato, chiaramente dal testo dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva che il divorzio non comporta la perdita del diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione che non siano in possesso della cittadinanza di uno Stato membro quando una delle situazioni di fatto a cui fa riferimento tale disposizione è avvenuta in passato, ossia, in particolare, quando «il matrimonio [è durato] almeno tre anni, di cui almeno un anno nello Stato membro ospitante, prima dell’inizio del procedimento giudiziario di divorzio (...)» [lettera a)], ovvero se situazioni particolarmente difficili lo esigono, ad esempio, «il fatto di aver subito violenza domestica durante il matrimonio» [lettera c)] ( 70 ).

82.

D’altro lato, la formulazione di tale disposizione e l’impiego della congiunzione disgiuntiva «o» dopo l’enunciazione di ciascuna ipotesi che fa scattare il mantenimento del diritto di soggiorno [lettere da a) a d)] indicano chiaramente la volontà del legislatore dell’Unione di prevedere ipotesi alternative ( 71 ) in cui il divorzio non comporta la perdita del diritto di soggiorno del coniuge cittadino di un paese terzo.

83.

Al riguardo, mi sembra importante aggiungere che, nei commenti relativi all’articolo 13 della proposta all’origine della direttiva 2004/38, la Commissione ha spiegato che le condizioni fissate dall’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettere a) e c), della direttiva 2004/38 avevano obiettivi diversi, vale a dire, rispettivamente, «evitare i tentativi di aggirare le disposizioni in materia di diritto di soggiorno tramite matrimoni di comodo» ( 72 ) e «coprire in particolare le situazioni di violenza familiare» ( 73 ).

ii) La finalità, il contesto e la genesi dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38

84.

Rilevo che, come risulta dalla giurisprudenza della Corte, alla luce del contesto e delle finalità perseguite dalla direttiva 2004/38, le disposizioni di tale direttiva non possono essere interpretate restrittivamente e, comunque, non devono essere private del loro effetto utile ( 74 ).

85.

Per quanto riguarda la finalità della direttiva 2004/38 e, più precisamente, dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), di quest’ultima, risulta dal considerando 15 della stessa direttiva che detta disposizione mira a «tutelare giuridicamente i familiari in caso di (...) divorzio». Tale considerando fa esplicitamente riferimento al «rispetto della vita familiare e della dignità umana», precisando che «[è] opportuno adottare misure volte a garantire che, in tali ipotesi, (…) a determinate condizioni intese a prevenire gli abusi, i familiari che già soggiornano nel territorio dello Stato membro ospitante conservino il diritto di soggiorno esclusivamente su base personale» ( 75 ).

86.

Pertanto, non sarebbe paradossale considerare che la tutela giuridica che l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 è intesa ad offrire a tali persone, consistente nel mantenere il loro diritto di soggiorno esclusivamente su base personale quando gli atti di violenza sono avvenuti durante il matrimonio, possa dipendere dalla sola decisione del cittadino dell’Unione che ha commesso atti di violenza di lasciare il territorio dello Stato membro ospitante?

87.

Al riguardo, sottolineo che la Commissione, nei suoi commenti relativi all’articolo 13, paragrafo 2 ( 76 ), ha precisato che tale disposizione «mira ad offrire una certa tutela giuridica a queste persone il cui diritto di soggiorno discende dal vincolo familiare rappresentato dal matrimonio e che potrebbero, per questo motivo, essere ricattate con la minaccia del divorzio».

88.

Effettivamente, l’articolo 13, paragrafo 2, di tale direttiva mira ad evitare un siffatto ricatto con la minaccia del divorzio. Tuttavia, se fosse applicato in combinato disposto con l’articolo 12 di detta direttiva, esso permetterebbe che tali persone ( 77 ), il cui diritto di soggiorno è legato al vincolo familiare rappresentato dal matrimonio, possano subire non soltanto un ricatto con la minaccia del divorzio ma anche un ricatto con la minaccia della partenza ( 78 ).

89.

Orbene, come ho già precisato ( 79 ), l’interpretazione congiunta degli articoli 12 e 13 della direttiva 2004/38 non è, a mio parere, pertinente in quanto il fatto di considerare la «partenza in vista di un divorzio» come una «partenza» ai sensi dell’articolo 12 di tale direttiva impedirebbe al coniuge del cittadino dell’Unione di beneficiare della tutela giuridica prevista dall’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva di cui trattasi, consistente nel mantenimento del suo diritto di soggiorno nelle fattispecie enunciate in tale disposizione, e, pertanto, sarebbe palesemente in contrasto con la finalità della suddetta disposizione. Così, nel caso di una separazione o di un divorzio preceduto da violenza domestica, a mio parere, è chiaro che l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 è pienamente applicabile e che, pertanto, il diritto di soggiorno derivato del coniuge cittadino di un paese terzo dev’essere mantenuto tra il momento in cui gli atti di violenza domestica sono avvenuti e quello in cui il divorzio viene pronunciato.

90.

Inoltre, ricordo che, da un lato, la tutela prevista all’articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2004/38 riguarda il mantenimento, a talune condizioni, del diritto di soggiorno dei familiari in caso di «partenza»in generale del cittadino dell’Unione (partenza effettiva senza intenzione di ritornare) e che, dall’altro, l’articolo 13, paragrafo 2, di tale direttiva disciplina situazioni specifiche in cui il cittadino dell’Unione può decidere di lasciare lo Stato membro ospitante nel contesto di un divorzio, di un annullamento o di uno scioglimento di un’unione civile (partenza in vista di un divorzio). Tenuto conto della diversa natura di tali due tipi di partenza, si può asserire che l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 costituisce una lex specialis rispetto all’articolo 12, paragrafo 3, di tale direttiva nei limiti in cui, in queste due disposizioni, la natura della partenza del cittadino dell’Unione è diversa. È quindi evidente che, in caso di partenza del coniuge cittadino dell’Unione in vista di un divorzio, l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 deve applicarsi in quanto lex specialis. Infatti, tale disposizione prevale sulla regola generale dell’articolo 12 della direttiva 2004/38 nelle situazioni che l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), di tale direttiva mira specificamente a disciplinare, ossia, in particolare, quelle in cui il coniuge cittadino dell’Unione abbia commesso atti di violenza domestica e lasci successivamente lo Stato membro ospitante.

91.

È pertanto con ragione, a mio parere, che l’avvocato generale Wathelet aveva considerato che «le ipotesi previste all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, della direttiva 2004/38 devono essere intese come altrettanti elementi che fanno scattare il mantenimento del diritto di soggiorno del cittadino di uno Stato terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione (…). Se detto coniuge lascia lo Stato membro ospitante prima del verificarsi di una di tali ipotesi, l’articolo 13 non può avere come effetto quello di “mantenere” il diritto di soggiorno [ ( 80 )] [ma,] nel caso in cui la partenza prevista all’articolo 12, paragrafo 3, si sia verificata dopo uno degli eventi – e non della pronuncia del divorzio stricto sensu – che fa scattare il mantenimento del diritto di soggiorno in forza dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, la successiva partenza del cittadino dell’Unione non rileva in alcun modo» ( 81 ).

3.   Conclusione intermedia riguardante l’applicabilità della direttiva 2004/38

92.

Alla luce delle considerazioni che precedono, sono del parere che sia necessario procedere ad un aggiornamento della sentenza NA, non soltanto in relazione alla formulazione, al contesto, alla finalità e alla genesi dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, ma anche tenendo conto degli sviluppi recenti della normativa dell’Unione in materia di tutela delle vittime di reato, in particolare delle vittime della violenza domestica.

93.

Precisato ciò, ritengo quindi che una persona che si trovi in una situazione come quella del ricorrente nel procedimento principale rientri nell’ambito di applicazione della direttiva 2004/38. Pertanto, si deve constatare che la questione pregiudiziale è ricevibile.

4.   Sui recenti sviluppi della normativa dell’Unione e degli Stati membri in materia di tutela delle vittime di violenza domestica: rilievi giuridici da prendere in considerazione

94.

Nell’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, non si può sottovalutare l’importanza, sotto il profilo giuridico, politico e sociale del riconoscimento della gravità del problema della violenza domestica. Una posizione consistente nel ritenere che la violenza domestica non debba avere influenza sull’applicazione di tale disposizione non sarebbe coerente con l’ordinamento giuridico dell’Unione nel suo complesso e sarebbe particolarmente difficile da difendere allo stato attuale della politica dell’Unione in materia di tutela delle vittime di atti di violenza domestica.

95.

In primo luogo, la normativa dell’Unione si è evoluta per quanto riguarda il riconoscimento dei diritti, l’assistenza e la protezione delle vittime di reato, ivi comprese le vittime di violenza domestica.

96.

In tale contesto, occorre sottolineare che la direttiva 2012/29/UE ( 82 ) ha contribuito a rafforzare i diritti delle vittime di reato ( 83 ) e, per quanto riguarda le persone particolarmente vulnerabili ( 84 ), fa specificamente riferimento alle vittime di violenza domestica ( 85 ). Così, al suo considerando 18, detta direttiva specifica, in particolare, che la violenza domestica è un problema sociale serio e spesso nascosto e che le vittime di violenze domestiche possono quindi necessitare di misure di protezione specifiche ( 86 ). In particolare, il primo e il secondo comma dell’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2012/29 dispongono, rispettivamente, che «scopo della presente direttiva è garantire che le vittime di reato ricevano informazione, assistenza e protezione adeguate e possano partecipare ai procedimenti penali» e che «[i] diritti previsti dalla presente direttiva si applicano alle vittime in maniera non discriminatoria, anche in relazione al loro status in materia di soggiorno».

97.

Vero è che il considerando 10 della direttiva 2012/29 afferma che quest’ultima «non affronta le condizioni di soggiorno delle vittime di reati nel territorio degli Stati membri» e che «la denuncia del reato e la partecipazione al procedimento penale non creano diritti in ordine allo status della vittima in materia di soggiorno» ( 87 ). Ritengo tuttavia che tale direttiva non possa essere completamente ignorata nell’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, alla luce, in particolare, della coerenza complessiva dell’ordinamento giuridico dell’Unione e della politica di quest’ultima in materia di tutela delle vittime di atti di violenza domestica.

98.

Mi si consenta di precisare tale idea.

99.

A termini del considerando 57 della direttiva 2012/29 «le vittime (...) della violenza nelle relazioni strette (...) tendono a presentare un elevato tasso di vittimizzazione secondaria e ripetuta, di intimidazione e di ritorsioni».

100.

Pertanto, come si potrebbe dare all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38 ( 88 ) un’interpretazione che impedisca – contrastando chiaramente con la finalità di tale direttiva ( 89 ), – al coniuge del cittadino dell’Unione che sia cittadino di un paese terzo di beneficiare della tutela giuridica prevista da tale disposizione, mentre la direttiva 2012/29 impone agli Stati membri di «prestare particolare attenzione quando [essi] valuta[no] se tali vittime corrano il rischio di tale vittimizzazione, intimidazione o di ritorsioni», e di «presumere che trarranno vantaggio da misure speciali di protezione» ( 90 ).

101.

In secondo luogo, ai sensi dell’articolo 1 della Carta, dal titolo «Dignità umana», «[l]a dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata». Inoltre, per quanto priva di valore giuridico, la dichiarazione relativa all’articolo 8 del Trattato FUE ( 91 ) afferma la volontà politica degli Stati membri di lottare contro tutte le forme di violenza domestica.

102.

In terzo luogo, gli Stati membri, sia sul piano internazionale che su quello nazionale ( 92 ), riconoscono sempre di più l’importanza di legiferare sulla violenza domestica e sulla violenza all’interno della famiglia.

103.

Al riguardo, ricordo che l’articolo 59, paragrafo 1, della Convenzione di Istanbul ( 93 ) prevede che «le Parti adottano le misure legislative e di altro tipo per garantire che le vittime, il cui status di residente dipende da quello del coniuge o del partner, conformemente al loro diritto interno, possano ottenere, su richiesta, in caso di scioglimento del matrimonio o della relazione, in situazioni particolarmente difficili, un titolo autonomo di soggiorno, indipendentemente dalla durata del matrimonio o della relazione. Le condizioni per il rilascio e la durata del titolo autonomo di soggiorno sono stabilite conformemente al diritto nazionale» ( 94 ).

104.

Vero è che da tale disposizione discende che la concessione di un permesso di soggiorno alle vittime di violenza domestica non è automatica e può essere subordinata a condizioni che spetta, in particolare, ai legislatori degli Stati membri fissare, conformemente al loro diritto nazionale ( 95 ), o, in caso di adesione dell’Unione a tale convenzione, al legislatore dell’Unione. Tuttavia, ne risulta altresì che i legislatori nazionali non possono subordinare la concessione di un siffatto permesso di soggiorno ad una condizione fondata sulla durata del matrimonio o della relazione.

105.

L’articolo 59, paragrafo 3, della suddetta convenzione dispone, dal canto suo, che un titolo di soggiorno rinnovabile viene rilasciato alle vittime quando l’autorità competente ritiene che il loro soggiorno sia necessario, vuoi in considerazione della loro situazione personale, vuoi ai fini della loro collaborazione con le autorità competenti nell’ambito di un’indagine o di procedimenti penali. Secondo la relazione esplicativa della convenzione, tale disposizione riguarda, in particolare, i casi in cui la situazione personale della vittima è tale da non potersi ragionevolmente pretendere che essa lasci il territorio. Tale relazione precisa che il criterio della situazione personale della vittima dev’essere valutato sulla base di vari fattori, tra cui la sicurezza della vittima, il suo stato di salute, la sua situazione familiare o la situazione nel suo paese d’origine ( 96 ).

106.

Da questo breve esame dell’articolo 59 della Convenzione di Istanbul risulta che, nell’ambito di tale convenzione, il potere delle parti di fissare le condizioni di concessione di un titolo di soggiorno autonomo si accompagna all’obbligo di prendere in considerazione, nell’applicazione concreta di tali condizioni, la situazione specifica della vittima e di rilasciare un titolo di soggiorno qualora tale situazione lo renda necessario.

107.

Precisato ciò, anche se la Convenzione di Istanbul non ha, per il momento ( 97 ), alcuna influenza diretta sull’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, ciò non può valere per i rilievi giuridici che essa implica e che alimentano i mutamenti politici e sociali relativi alla tutela delle vittime di violenza domestica. Infatti, nei limiti in cui l’articolo 59, paragrafo 1, di tale convenzione permette alle vittime di ottenere dalle autorità la tutela necessaria senza temere che l’autore, come ritorsione, ritiri o minacci di ritirare il beneficio del soggiorno che da lui dipende ( 98 ), mi sembra che non sarebbe coerente, a prescindere dall’adesione o meno dell’Unione a tale convenzione ( 99 ), ignorare il rischio di «ricatto con la minaccia di divorzio» o di «ricatto con la minaccia della partenza» nell’interpretazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38. Inoltre, ciò avrebbe la conseguenza di impedire alle vittime di beneficiare della tutela prevista in tale disposizione, mentre la finalità di quest’ultima è proprio quella di tutelare il coniuge cittadino di un paese terzo che sia stato in particolare «vittima di violenza domestica durante il matrimonio o l’unione registrata», mantenendo il suo diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante.

108.

Per concludere, si deve constatare che la domanda pregiudiziale è ricevibile. Procederò quindi all’esame della questione di validità.

C. Sulla questione pregiudiziale

109.

Con la sua questione, il giudice del rinvio interpella la Corte, in sostanza, sulla validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 alla luce degli articoli 20 e 21 della Carta.

110.

In particolare, come risulta dalla formulazione stessa della questione e dalle relative spiegazioni contenute nella domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice del rinvio si chiede se tale disposizione sia invalida in quanto subordina – in caso di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento di un’unione registrata – il mantenimento del diritto di soggiorno del cittadino di un paese terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione, che è stato vittima di violenza domestica, alla condizione, in particolare, di disporre di risorse sufficienti, mentre l’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86 non subordina, in caso di divorzio o di separazione, il mantenimento del diritto di soggiorno di un cittadino di un paese terzo che abbia usufruito del diritto al ricongiungimento familiare a tale condizione. Ciò costituirebbe una violazione del principio della parità di trattamento sancito agli articoli 20 e 21 della Carta.

1.   Sul principio di non discriminazione e l’articolo 21 della Carta

111.

Nutro dubbi sulla pertinenza dell’articolo 21 della Carta qualora si tratti, come nella presente causa, di esaminare la questione se il regime stabilito dall’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 per i cittadini di paesi terzi coniugi di un cittadino dell’Unione sia meno favorevole di quello stabilito dall’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86 per i cittadini di paesi terzi coniugi di un altro cittadino di un paese terzo.

112.

Per quanto riguarda l’articolo 21, paragrafo 1, della Carta, osservo che non vi è alcun nesso tra la situazione controversa nella presente causa e l’elenco non tassativo di motivi specificati in tale disposizione ( 100 ). Infatti, ricordo, come ha giustamente rilevato la Commissione, che l’articolo 13, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38 si applica a qualsiasi cittadino di un paese terzo familiare di un cittadino dell’Unione, e ciò senza alcuna distinzione fondata sui motivi specificati all’articolo 21, paragrafo 1, della Carta. Pertanto, dato che la disparità di trattamento che l’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 istituirebbe è fondata sulla cittadinanza, risulta dal tenore letterale dell’articolo 21, paragrafo 1, della Carta che tale disposizione è priva di pertinenza nel caso di specie.

113.

Per quanto riguarda l’articolo 21, paragrafo 2, della Carta, esso corrisponde, secondo le Spiegazioni relative alla Carta ( 101 ), all’articolo 18, primo comma, TFUE e deve applicarsi conformemente a tale disposizione del Trattato FUE ( 102 ). Orbene, come la Corte ha già precisato, l’articolo 18, primo comma, TFUE non è destinato ad applicarsi nel caso di un’eventuale disparità di trattamento tra i cittadini degli Stati membri e quelli dei paesi terzi ( 103 ). Pertanto, l’articolo 21, paragrafo 2, della Carta è parimenti privo di pertinenza qualora si tratti di esaminare, come chiede il giudice del rinvio, la legittimità di una disparità di trattamento tra i cittadini di paesi terzi coniugi di un cittadino dell’Unione nel contesto della direttiva 2004/38 e i cittadini di paesi terzi coniugi di un altro cittadino di un paese terzo che abbiano beneficiato del ricongiungimento familiare ai sensi della direttiva 2003/86.

114.

Per contro, si deve constatare che l’ambito di applicazione dell’articolo 20 della Carta, dal canto suo, è particolarmente ampio. Infatti, tale articolo, ai sensi del quale tutte le persone sono uguali davanti alla legge, non prevede alcuna limitazione espressa del suo ambito di applicazione e si applica quindi a tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione ( 104 ), come quelle rientranti nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. Pertanto, ritengo che solo alla luce dell’articolo 20 della Carta occorra valutare la validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

2.   Sul principio della parità di trattamento e l’articolo 20 della Carta

115.

Secondo una giurisprudenza costante della Corte, l’uguaglianza davanti alla legge enunciata all’articolo 20 della Carta, è un principio generale di diritto dell’Unione, il quale impone che situazioni analoghe non siano trattate in modo dissimile e che situazioni diverse non siano trattate nello stesso modo, a meno che una differenziazione non sia obiettivamente giustificata ( 105 ). Da questa stessa giurisprudenza risulta che, al fine di determinare l’esistenza di una violazione del principio della parità di trattamento, si richiede che le situazioni esaminate siano comparabili alla luce di tutti gli elementi che le caratterizzano e, in particolare, alla luce dell’oggetto e dello scopo perseguito dall’atto che istituisce la distinzione di cui trattasi, fermo restando che devono essere presi in considerazione, a tal fine, i principi e gli obiettivi del settore in cui rientra tale atto ( 106 ). Infatti, nei limiti in cui le situazioni non sono comparabili, una disparità di trattamento fra le stesse non viola l’uguaglianza davanti alla legge sancita all’articolo 20 della Carta ( 107 ).

116.

È precisamente il carattere comparabile delle situazioni nel caso di specie che passo ora ad esaminare.

a)   Sulla questione se la situazione di un cittadino di un paese terzo coniuge di un cittadino dell’Unione nel contesto della direttiva 2004/38 sia comparabile a quella di un cittadino di un paese terzo coniuge di un altro cittadino di un paese terzo nel contesto della direttiva 2003/86

117.

Nella presente causa si pone la questione di stabilire se, per quanto riguarda le condizioni del mantenimento del diritto di soggiorno derivato, il cittadino di un paese terzo che sia stato vittima di atti di violenza domestica commessi durante il suo matrimonio da parte di un coniuge cittadino dell’Unione, e che rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38, si trovi in una situazione comparabile a quella del cittadino di un paese terzo che sia stato vittima di atti del genere commessi durante il suo matrimonio da un coniuge cittadino di un paese terzo, e che rientri nell’ambito di applicazione dell’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86.

118.

Il ricorrente nel procedimento principale sostiene, nelle sue osservazioni, che, alla luce dell’oggetto e dello scopo comune perseguiti da queste due disposizioni, le situazioni considerate nel caso di specie sono comparabili. Il governo belga, il Parlamento, il Consiglio e la Commissione sostengono, dal canto loro, il punto di vista contrario.

119.

Per valutare il carattere comparabile di queste due situazioni, occorre esaminare i principi e gli obiettivi dei settori di cui fanno parte le direttive 2004/38 e 2003/86.

1) La cittadinanza dell’Unione e la politica comune in materia di diritto dell’immigrazione: due settori diversi con principi e obiettivi distinti

120.

Ricorderò in breve le differenze esistenti nella ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri, quale risulta dai fondamenti giuridici che, nei Trattati, disciplinano l’adozione degli atti legislativi che definiscono, da una parte, lo status dei cittadini di paesi terzi, e, dall’altra, lo status dei cittadini dell’Unione.

121.

Innanzitutto, nel settore dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia ( 108 ), l’Unione dispone di una competenza concorrente con gli Stati membri che è prevista dall’articolo 4, paragrafo 2, lettera j), TFUE. Gli obiettivi e le modalità di esercizio di tale competenza sono precisati al titolo V della terza parte del Trattato FUE. L’articolo 67, paragrafo 2, TFUE prevede che l’Unione garantisca che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne e sviluppa, in particolare, una politica comune in materia di immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi. Inoltre, l’articolo 79, paragrafo 1, TFUE dispone che la politica comune dell’immigrazione è intesa ad assicurare la gestione efficace dei flussi migratori, l’equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi regolarmente soggiornanti negli Stati membri e la prevenzione e il contrasto rafforzato dell’immigrazione illegale e della tratta degli esseri umani. Pertanto, la procedura legislativa ordinaria si applica per l’adozione di qualsiasi misura prevista dall’articolo 79, paragrafo 2, TFUE.

122.

La competenza dell’Unione in materia migratoria è poi una competenza di armonizzazione. Pertanto, l’effetto di preclusione o di priorità del suo esercizio sulla competenza degli Stati membri varia in funzione della portata esatta e dell’intensità dell’intervento dell’Unione ( 109 ). Norme comuni sono pertanto adottate mediante direttive ( 110 ) che gli Stati membri hanno l’obbligo di trasporre, ma questi ultimi possono legiferare sulle questioni che non rientrano nel diritto dell’Unione e hanno altresì la possibilità di derogare alle norme comuni nei limiti in cui tale diritto lo consente. Di conseguenza, gli Stati membri mantengono, in linea di principio, le loro competenze nel settore del diritto dell’immigrazione.

123.

Per contro, ciò non avviene nel settore della cittadinanza dell’Unione e della libera circolazione delle persone. Infatti, per quanto riguarda il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio di tutti gli Stati membri che i cittadini dell’Unione traggono direttamente dall’articolo 20, paragrafo 2, lettera a), e dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE, il margine di discrezionalità di cui dispongono gli Stati membri in materia di immigrazione non può pregiudicare l’applicazione delle disposizioni relative alla cittadinanza dell’Unione o alla libertà di circolazione, anche se tali disposizioni riguardano non soltanto la situazione dei cittadini dell’Unione ma anche quella dei cittadini di paesi terzi loro familiari. Il contrario sarebbe, con ogni evidenza, inconciliabile con l’istituzione di un mercato interno, che «implica che i presupposti di ingresso e soggiorno di un cittadino dell’Unione in uno Stato membro di cui non ha la cittadinanza siano gli stessi in tutti gli Stati membri» ( 111 ).

124.

Infine, è importante ricordare che lo status giuridico riconosciuto ai cittadini di paesi terzi nell’ambito delle direttive derivanti dalla politica comune in materia di diritto dell’immigrazione e lo status dei cittadini dell’Unione e dei cittadini di paesi terzi loro familiari sono diversi e fondati su logiche giuridiche distinte ( 112 ). Infatti, tenuto conto del principio di attribuzione di competenze, l’estensione della copertura e della tutela garantite dal diritto dell’Unione derivato non è la stessa nei due status: in materia di diritto dell’immigrazione dell’Unione, un cittadino di un paese terzo non beneficia degli stessi diritti di un cittadino dell’Unione ( 113 ). Questa distinzione ha anche un’influenza sullo status giuridico dei familiari di tali due categorie di soggetti di diritto, in particolare nel contesto dei regimi istituiti dalle direttive 2003/86 e 2004/38.

125.

In quest’ordine di idee, la dottrina considera che la distinzione operata dai Trattati tra i cittadini dell’Unione e i cittadini di paesi terzi è più che semantica, poiché rispecchia una «separazione costituzionale fondamentale al centro del progetto europeo» in quanto essa rivela una distinzione fondamentale tra i diritti alla libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari e l’assenza di garanzie equivalenti sul piano dei Trattati per i cittadini di paesi terzi ( 114 ) nell’ambito della politica comune in materia di diritto dell’immigrazione.

126.

Risulta da tali differenze nei principi e negli obiettivi dei settori interessati che le situazioni in questione non sono, in linea di principio, comparabili. Tuttavia, per completare l’esame della comparabilità di tali situazioni, devo dedicarmi ora all’analisi dell’oggetto e dello scopo perseguiti rispettivamente dalle direttive 2003/86 e 2004/38.

2) Le direttive 2003/86 e 2004/38: due regimi diversi fondati su finalità distinte

i) Il regime istituito dalla direttiva 2003/86

127.

La direttiva 2003/86 si inserisce nell’ambito della missione affidata all’Unione dall’articolo 79 TFUE ( 115 ). Più precisamente, tale direttiva è stata adottata sul fondamento dell’articolo 63, punto 3, lettera a), del Trattato CE, divenuto, a partire dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, l’articolo 79, paragrafo 2, lettera a), TFUE, che riguarda la politica comune dell’immigrazione. Ai sensi dell’articolo 1 della direttiva 2003/86, lo scopo di quest’ultima è quello di fissare le condizioni dell’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare di cui dispongono i cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio degli Stati membri ( 116 ). Inoltre, dal suo considerando 4 risulta che tale direttiva persegue l’obiettivo generale di facilitare l’integrazione dei cittadini di paesi terzi negli Stati membri permettendo la vita familiare grazie al ricongiungimento familiare ( 117 ).

128.

In tale contesto, ricordo, innanzitutto, che il diritto al ricongiungimento familiare nell’ambito della direttiva 2003/86 è subordinato a condizioni rigorose concernenti sia il soggiornante sia il suo coniuge. Così, nel regime istituito da tale direttiva, quest’ultima si applica, conformemente al suo articolo 3, paragrafo 1, quando il soggiornante è titolare di un permesso di soggiorno rilasciato da uno Stato membro per un periodo di validità pari o superiore a un anno, e ha una fondata prospettiva di ottenere il diritto di soggiornare in modo stabile. In tal caso, l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2003/86 dispone che gli Stati membri autorizzano l’ingresso e il soggiorno del coniuge del soggiornante, in virtù di tale direttiva e subordinatamente alle condizioni stabilite al capo IV e all’articolo 16 della predetta direttiva.

129.

Quanto poi alle condizioni richieste per il soggiornante, si deve ricordare che, al momento della presentazione della domanda di ricongiungimento familiare, lo Stato membro interessato può chiedere al coniuge che ha presentato la richiesta di dimostrare che il soggiornante dispone di un alloggio, di un’assicurazione contro le malattie e di risorse stabili, regolari e sufficienti per mantenere se stesso e i suoi familiari senza ricorrere al sistema di assistenza sociale dello Stato membro interessato ( 118 ). Al riguardo, l’autorità competente dello Stato membro interessato può, in particolare, revocare l’autorizzazione al ricongiungimento familiare qualora il soggiornante non disponga più di risorse stabili, regolari e sufficienti, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 1, lettera c), della direttiva 2003/86 ( 119 ). Per giunta, lo Stato membro può esigere che il soggiornante, prima di farsi raggiungere dai suoi familiari, abbia soggiornato legalmente nel suo territorio per un periodo non superiore a due anni ( 120 ) e che disponga di risorse sufficienti a mantenere la propria famiglia per tutta la durata del soggiorno di quest’ultima nel suo territorio, vale a dire fino all’ottenimento, da parte dei familiari, di un permesso di soggiorno indipendente da quello del soggiornante ( 121 ).

130.

Infine, per quanto riguarda le condizioni richieste per i familiari per i quali il ricongiungimento familiare è chiesto, lo Stato membro, ai sensi dell’articolo 7, paragrafo 2, della direttiva 2003/86, può chiedere ai cittadini di paesi terzi di soddisfare le misure di integrazione ( 122 ), conformemente alla legislazione nazionale.

131.

Più precisamente, per quanto riguarda l’articolo 15 della direttiva 2003/86, rilevo che risulta dal considerando 15 di tale direttiva che detto articolo mira a incoraggiare l’integrazione dei cittadini di paesi terzi coniugi di un altro cittadino di un paese terzo in caso di scioglimento del matrimonio. In tale contesto, l’articolo 15, paragrafo 3, della suddetta direttiva prevede che, in particolare, in caso di divorzio o di separazione, un permesso di soggiorno autonomo può essere rilasciato, previa domanda, ove richiesta, alle persone entrate in virtù del ricongiungimento familiare. Tale disposizione prevede altresì che gli Stati membri adottino disposizioni atte a garantire che un permesso di soggiorno autonomo sia rilasciato quando situazioni particolarmente difficili lo richiedano. A questo proposito, occorre precisare che, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 4, della stessa direttiva, i requisiti relativi al rilascio e alla durata del permesso di soggiorno autonomo sono stabiliti dalla legislazione nazionale. Infatti, la Corte ha già dichiarato che, introducendo, all’articolo 15, paragrafo 4, della direttiva 2003/86, un rinvio al diritto nazionale, il legislatore dell’Unione ha indicato che intendeva lasciare alla discrezione di ogni Stato membro la cura di determinare in base a quali requisiti un permesso di soggiorno autonomo doveva essere rilasciato ad un cittadino di un paese terzo ( 123 ). A mio modo di vedere, tale discrezionalità riguarda il rilascio di un diritto di soggiorno autonomo nelle situazioni previste all’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva in parola.

132.

Inoltre, è importante rilevare che l’articolo 16, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2003/86 autorizza gli Stati membri a respingere la domanda d’ingresso e di soggiorno ai fini del ricongiungimento familiare o, se del caso, a ritirare o a rifiutare il rinnovo del permesso di soggiorno di un familiare «qualora il soggiornante ed il suo familiare o i suoi familiari non abbiano o non abbiano più un vincolo coniugale o familiare effettivo» ( 124 ).

133.

Ciò premesso, il ritiro o il rifiuto di rinnovo non può avvenire in maniera automatica. Infatti, come la Corte ha dichiarato, dall’utilizzo dei termini «possono (...) ritirare», contenuti in tale disposizione, risulta che gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità in merito a tale ritiro. Inoltre, in conformità con l’articolo 17 della direttiva 2003/86, lo Stato membro interessato deve effettuare preliminarmente un esame individualizzato della situazione del familiare di cui trattasi, procedendo ad una valutazione equilibrata e ragionevole di tutti gli interessi in gioco ( 125 ). Per giunta, le misure di revoca del permesso di soggiorno devono essere adottate in conformità con i diritti fondamentali, in particolare con il diritto al rispetto della vita privata e familiare, garantito all’articolo 7 della Carta ( 126 ).

134.

Pertanto, gli Stati membri sono tenuti al rispetto del principio di proporzionalità e degli obiettivi perseguiti dal legislatore dell’Unione ( 127 ). Ciò implica, come ha giustamente sottolineato la Commissione, che, anche quando le autorità nazionali sottopongono la concessione di un permesso autonomo – nei casi di cui all’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86 – a condizioni sostanziali, essi devono mitigare, o addirittura disapplicare, tali condizioni se, nelle circostanze concrete del caso di specie, il rispetto del principio di proporzionalità o l’esigenza di non compromettere gli obiettivi dell’articolo 15 di tale direttiva lo impongono ( 128 ).

135.

Risulta dalle considerazioni che precedono che la volontà del legislatore dell’Unione non era quella di garantire ai cittadini di paesi terzi un diritto di soggiorno derivato, ma quella di garantire loro la possibilità di chiedere un permesso di soggiorno il cui rilascio e il cui mantenimento sono disciplinati da norme dirette a fissare modalità comuni per l’esercizio del diritto al ricongiungimento familiare. Così facendo, il legislatore dell’Unione ha provveduto al ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia migratoria fondandosi sulla competenza attribuita dall’articolo 79 TFUE.

ii) Il regime istituito dalla direttiva 2004/38

136.

La direttiva 2004/38 è stata adottata sul fondamento degli articoli 12, 18, 40, 44 e 52 del Trattato CE (rispettivamente divenuti articoli 18, 21, 46, 50 e 59 TFUE) e mira ad agevolare l’esercizio del diritto fondamentale e individuale – conferito direttamente ai cittadini dell’Unione dall’articolo 21, paragrafo 1, TFUE – di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, nonché a rafforzare tale diritto. Il considerando 5 di tale direttiva sottolinea che il predetto diritto – per poter essere esecitato in condizioni obiettive di dignità – dovrebbe essere accordato anche ai familiari di tali cittadini, indipendentemente dalla loro cittadinanza ( 129 ). In particolare, il diritto di soggiorno derivato del coniuge cittadino di un paese terzo può risultare dal semplice fatto del matrimonio con un cittadino dell’Unione che abbia esercitato il suo diritto di libera circolazione ( 130 ).

137.

In tale contesto, il regime previsto dalla direttiva 2004/38 disciplina l’esercizio della libertà di circolazione di un cittadino dell’Unione e dei suoi familiari a partire dal momento del loro arrivo nello Stato membro ospitante e, se del caso, sino al momento della loro partenza da quest’ultimo. Il diritto di soggiorno nello Stato membro ospitante è quindi disciplinato in maniera graduale da tale direttiva e sfocia nel diritto di soggiorno permanente ( 131 ). Così, innanzitutto, il diritto di soggiorno sino a tre mesi, previsto all’articolo 6 della direttiva 2004/38, non è soggetto ad alcuna condizione né ad alcuna formalità se non l’obbligo di possedere una carta di identità o un passaporto in corso di validità ( 132 ). Il diritto di soggiorno per più di tre mesi è poi subordinato alle condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 1, di tale direttiva ( 133 ). Infine, il diritto di soggiorno permanente ( 134 ) è previsto all’articolo 16 della suddetta direttiva per i cittadini dell’Unione e per i loro familiari che abbiano soggiornato legalmente in via continuativa per cinque anni nel territorio dello Stato membro ospitante ( 135 ).

138.

Al riguardo, occorre rilevare che l’articolo 21, paragrafo 1, TFUE e le disposizioni della direttiva 2004/38 non concedono alcun diritto autonomo ai cittadini dei paesi terzi. Gli eventuali diritti conferiti a questi ultimi dalle disposizioni del diritto dell’Unione relative alla cittadinanza dell’Unione sono diritti derivati dall’esercizio della libertà di circolazione da parte di un cittadino dell’Unione ( 136 ). Tuttavia, il legislatore dell’Unione ha previsto, agli articoli 12 e 13 della direttiva di cui trattasi, il mantenimento del diritto di soggiorno dei familiari di un cittadino dell’Unione in due diversi tipi di situazioni ( 137 ), ossia, rispettivamente, la situazione di decesso o di partenza del cittadino dell’Unione e quella di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento di un’unione registrata ( 138 ). Mentre tali situazioni non pregiudicano il diritto di soggiorno dei familiari del cittadino dell’Unione che siano in possesso della cittadinanza di uno Stato membro ( 139 ), ciò non vale per i familiari di un cittadino dell’Unione che siano cittadini di un paese terzo, i quali devono soddisfare talune condizioni specifiche perché il loro diritto di soggiorno derivato sia mantenuto.

139.

Come risulta dall’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, condizioni specifiche si applicano, in particolare in caso di divorzio, al cittadino di un paese terzo coniuge del cittadino dell’Unione. Infatti, come ho già precisato, quest’ultimo, per mantenere il suo diritto di soggiorno, deve rientrare in una delle situazioni alternative previste all’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, di tale direttiva ( 140 ). Nel caso in cui egli non abbia ancora acquisito il diritto di soggiorno permanente, il legislatore dell’Unione ha previsto, al secondo comma di tale disposizione, il mantenimento del suo diritto di soggiorno, esclusivamente a titolo personale, unicamente se soddisfa le condizioni ivi previste, in particolare quella consistente nel disporre di risorse sufficienti. Tali condizioni sono infatti equivalenti a quelle che, conformemente all’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2004/38, il coniuge di un cittadino dell’Unione avente la cittadinanza di uno Stato membro deve soddisfare prima dell’acquisizione del suo diritto di soggiorno permanente ( 141 ).

140.

Per quanto riguarda le condizioni previste all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, come ha giustamente sottolineato la Commissione nelle sue osservazioni, è tuttavia possibile che, in casi specifici – in particolare qualora, a seguito di atti di violenza domestica commessi dal cittadino dell’Unione contro il coniuge cittadino di un paese terzo, l’applicazione di tali condizioni non permetta di conseguire gli obiettivi perseguiti da tale disposizione o sia in contrasto con il principio di proporzionalità –, le autorità nazionali siano tenute a mitigare, se non eventualmente a disapplicare, le condizioni di detta disposizione. Una certa flessibilità è pertanto consentita al fine di far fronte alle situazioni in cui il coniuge cittadino di un paese terzo che sia vittima di violenza domestica debba acquisire le qualificazioni necessarie per trovare un impiego.

141.

Ricordo, al riguardo, che, in forza dell’articolo 37 della direttiva 2004/38, gli Stati membri possono applicare disposizioni legislative, regolamentari e amministrative più favorevoli alle persone considerate da tale direttiva. Come ha parimenti precisato la Commissione, una disposizione o una prassi amministrativa nazionale che permettesse di mitigare o di disapplicare, in un caso concreto specifico in cui le circostanze lo impongano, le condizioni di cui all’articolo 13, paragrafo 2, secondo comma, della direttiva 2004/38, in particolare quella consistente nel disporre di risorse sufficienti, non può essere considerata in contrasto con l’obiettivo di tale direttiva. Occorre altresì ricordare che il considerando 15 precisa che tale disposizione mira a tutelare giuridicamente i cittadini di paesi terzi coniugi di un cittadino dell’Unione che siano stati vittime di violenza domestica, in particolare in caso di divorzio.

142.

Risulta da queste considerazioni che, tenuto conto della natura costituzionale del diritto di libera circolazione e di soggiorno dei cittadini dell’Unione nel territorio degli Stati membri conferito direttamente dai Trattati – diritto che beneficia di garanzie rafforzate ed è destinato a divenire permanente nel contesto del regime istituito dalla direttiva 2004/38 –, è non soltanto coerente ma anche legittimo che, in caso di divorzio, il coniuge cittadino di un paese terzo del cittadino dell’Unione, al fine di mantenere il suo diritto di soggiorno derivato, sia soggetto, conformemente all’articolo 13, paragrafo 2, secondo comma, di tale direttiva, a condizioni almeno equivalenti a quelle imposte al coniuge di un cittadino dell’Unione che abbia la cittadinanza di uno Stato membro.

143.

Pertanto, alla luce delle differenze constatate, da un lato, tra i regimi istituiti dalle direttive 2003/86 e 2004/38 – le quali hanno fondamenti giuridici e finalità distinte che giustificano gli status giuridici diversi dei cittadini di paesi terzi coniugi di cittadini dell’Unione e dei cittadini di paesi terzi coniugi di altri cittadini di paesi terzi –, e, dall’altro, tra gli obiettivi perseguiti dall’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38 e quelli dell’articolo 15, paragrafo 3, della direttiva 2003/86, occorre ritenere che le situazioni interessate non siano comparabili.

b)   Conclusione intermedia

144.

Dall’esame di comparabilità delle situazioni nel caso di specie risulta che la loro differenza è manifesta. Così, lo status giuridico dei cittadini di paesi terzi coniugi di cittadini dell’Unione è derivato da un diritto garantito sul piano costituzionale dai Trattati, e subordinato alle condizioni poste dalla direttiva 2004/38 che gli Stati membri sono tenuti a rispettare. Per contro, lo status dei cittadini di paesi terzi coniugi di altri cittadini di paesi terzi è fondato su una competenza di armonizzazione, che implica che gli Stati membri dispongono di un margine di discrezionalità per quanto riguarda le condizioni poste dalla direttiva 2003/86. Di conseguenza, i diritti derivati dai regimi istituiti da tali due direttive sono diversi.

145.

Queste considerazioni permettono di concludere per la non comparabilità tra le due situazioni in questione. Pertanto, una disparità di trattamento dei cittadini di paesi terzi vittime di violenza domestica da parte del coniuge, a seconda che essi abbiano beneficiato di un ricongiungimento familiare con un cittadino dell’Unione o con un cittadino di un paese terzo, non viola il diritto all’«uguaglianza davanti alla legge», sancito all’articolo 20 della Carta, dei cittadini di paesi terzi rientranti nell’una o nell’altra situazione.

V. Conclusione

146.

Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, propongo alla Corte di rispondere nei seguenti termini alla questione pregiudiziale proposta dal Conseil du contentieux des étrangers (Consiglio per il contenzioso degli stranieri, Belgio):

Dall’esame della questione pregiudiziale non è emerso alcun elemento tale da inficiare la validità dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 e abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, nonché rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e in GU 2007, L 204, pag. 28 e GU 2014, L 305, pag. 116), alla luce degli articoli 20 e 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.


( 1 ) Lingua processuale: il francese.

( 2 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) no 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, nonché rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, GU 2007, L 204, pag. 28 e GU 2014, L 305, pag. 116).

( 3 ) GU 2016, C 202, pag. 389.

( 4 ) Direttiva del Consiglio del 22 settembre 2003 relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU 2003, L251, pag. 12).

( 5 ) Sentenza del 16 luglio 2015 (C‑218/14, EU:C:2015:476).

( 6 ) Sentenza del 30 giugno 2016 (C‑115/15, EU:C:2016:487).

( 7 ) Moniteur belge del 31 dicembre 1980, pag. 1458.

( 8 ) L’articolo 42 quater, paragrafo 1, terzo comma, della legge del 15 dicembre 1980 sembra recepire l’articolo 28 della direttiva 2004/38.

( 9 ) Sentenze del 13 dicembre 1989, Grimaldi (C‑322/88, EU:C:1989:646, punto 8); del 13 giugno 2017, Florescu e a. (C‑258/14, EU:C:2017:448, punto 30), nonché del 27 febbraio 2018, Western Sahara Campaign UK (C‑266/16, EU:C:2018:118, punto 44).

( 10 ) Sentenza del 14 maggio 2019, M e a. (Revoca dello status di rifugiato) (C‑391/16, C‑77/17 e C‑78/17, EU:C:2019:403, punto 71).

( 11 ) Sentenza del 30 giugno 2016 (C‑115/15, EU:C:2016:487).

( 12 ) Sentenza del 22 dicembre 2010, Gowan Comércio Internacional e Serviços (C‑77/09, EU:C:2010:803, punto 25). V., altresì, sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft (C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 50).

( 13 ) Sentenza del 30 giugno 2016 (C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 48).

( 14 ) Sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 50).

( 15 ) Con sentenza del tribunal de première instance (Tribunale di primo grado) di Tournai (Belgio).

( 16 ) Sentenza del 30 giugno 2016 (C‑115/15, EU:C:2016:487).

( 17 ) In questo caso, il ricorrente nel procedimento principale non potrebbe beneficiare del mantenimento del diritto di soggiorno derivato in forza di tale disposizione, e ciò indipendentemente dalla questione se egli possa dimostrare o meno il soddisfacimento da parte sua, prima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, della condizione consistente nel disporre di risorse sufficienti prevista all’articolo 13, paragrafo 2, secondo comma, di tale direttiva, condizione su cui si incentra la questione pregiudiziale di validità proposta dal giudice del rinvio.

( 18 ) Sentenza del 30 giugno 2016 (C‑115/15, EU:C:2016:487).

( 19 ) V., in particolare, sentenze del 16 settembre 2010, Chatzi (C‑149/10, EU:C:2010:534, punto 43), e del 31 gennaio 2013, McDonagh (C‑12/11, EU:C:2013:43, punto 44).

( 20 ) Sentenza del 30 giugno 2016 (C‑115/15, EU:C:2016:487).

( 21 ) Sentenza del 16 luglio 2015 (C‑218/14, EU:C:2015:476).

( 22 ) Sentenza del 16 luglio 2015 (C‑218/14, EU:C:2015:476).

( 23 ) Sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 48). Il corsivo è mio.

( 24 ) Sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 55). La Corte fa qui riferimento alla sentenza dell’8 novembre 2012, Iida (C‑40/11, EU:C:2012:691) e occorre rilevare che le circostanze della causa in cui è stata pronunciata tale sentenza si distinguono da quelle oggetto della sentenza Singh e a. in quanto il sig. Iida risiedeva non nello Stato membro ospitante della moglie ma nello Stato membro di origine di quest’ultima, di conseguenza, non poteva vedersi concedere un diritto di soggiorno sul fondamento della direttiva 2004/38.

( 25 ) Sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 62).

( 26 ) V., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 66).

( 27 ) Sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 70 e dispositivo). Al punto 68 di tale sentenza, la Corte ha ricordato che, in un caso del genere, il diritto nazionale può tuttavia riconoscere una tutela più estesa ai cittadini di paesi terzi così da permettere loro di continuare a soggiornare nel territorio dello Stato membro ospitante.

( 28 ) V., per un esame critico di tale sentenza, Strumia, F., «Divorce immediately, or leave. Rights of third country nationals and family protection in the context of EU citizens’ free movement: Kuldip Singh and Others», Common Market Law Review, 2016, vol. 53(5), pagg. da 1373 a 1393.

( 29 ) Il corsivo è mio. Rilevo che tale disposizone non precisa l’anno, fra i tre che il matrimonio deve durare prima dell’inizio del procedimento giudiziario o dello scioglimento, in cui il cittadino di un paese terzo deve aver soggiornato nello Stato membro ospitante.

( 30 ) Sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 48).V. paragrafo Error! Reference source not found. delle presenti conclusioni.

( 31 ) Questo aspetto è importante per ben comprendere la portata della sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487), nonché le ragioni per le quali ritengo che sia necessario procedere ad un aggiornamento della giurisprudenza derivante da tale sentenza.

( 32 ) Vale a dire, comprese le lettere da a) a d).

( 33 ) Sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476).

( 34 ) Sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 67). Il corsivo è mio.

( 35 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:306, paragrafi 2526): «L’articolo 13 della direttiva de qua non esige, infatti, in base al suo tenore letterale, né che il cittadino dell’Unione e il suo coniuge soggiornino sino alla conclusione del procedimento di divorzio nello Stato membro ospitante, ne che il procedimento di divorzio sia condotto e si concluda all’interno di detto Stato.» Nondimeno, l’avvocato generale Kokott ha poi precisato che, «esaminando, tuttavia, gli articoli 12 e 13 della direttiva 2004/38 non di volta in volta isolatamente bensì congiuntamente, non è possibile fondare sull’articolo 13 della direttiva, sulla base di un’interpretazione strettamente letterale, la conservazione del diritto di soggiorno del coniuge divorziato cittadino di un paese terzo». Il corsivo è mio. V., al riguardo, Briddick, C., «Combatting or Enabling Domestic Violence? Evaluating the Residence Rights of Migrant Victims of Domestic Violence in Europe», International and Comparative Law Quarterly, vol.69(4), 2020, pagg. da 1013 a 1034, in particolare pag. 1021, e, dello stesso autore, «Secretary of State for the Home Department v NA», Journal of Immigration Asylum and Nationality Law, 2016, vol.30(4), pagg. da 368 a 374.

( 36 ) Tratterò tale questione più in dettaglio nell’ambito dell’esame della sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487). V. paragrafi da Error! Reference source not found. a Error! Reference source not found. delle presenti conclusioni.

( 37 ) Sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 67).

( 38 ) Intendo la «partenza in vista di un divorzio, di un annullamento del matrimonio o di uno scioglimento di un’unione registrata» nel senso che, subito dopo aver lasciato lo Stato membro ospitante, il coniuge cittadino dell’Unione avvii un procedimento di divorzio, di annullamento del matrimonio o di scioglimento di un’unione civile nel suo Stato membro d’origine o in un altro Stato membro (salvo il caso in cui la legge applicabile al divorzio, all’annullamento del matrimonio o allo scioglimento di un’unione civile richieda un determinato periodo di cessazione della convivenza o un periodo di riflessione prima della pronuncia del divorzio). Essa può anche essere intesa come partenza legata al verificarsi di taluni fatti che giustificano il divorzio, l’annullamento del matrimonio o lo scioglimento di un’unione civile, come, in particolare, il fatto di «essere stato vittima di violenza domestica durante il matrimonio o l’unione registrata». Pertanto, la partenza legata a tali fatti va considerata come partenza in vista di un divorzio, di un annullamento o di uno scioglimento di un’unione civile.

( 39 ) V., a questo proposito, Strumia, F., op. cit., pag. 1381. V., altresì, paragrafo 87 delle presenti conclusioni.

( 40 ) È anche il caso del sig. Chenchooliah nella causa in cui è stata pronunciata la sentenza del 10 settembre 2019, Chenchooliah (C‑94/18, EU:C:2019:693, punto 43). Come risulta dai fatti esposti dal giudice del rinvio, «[tale] cittadino dell’Unione [ha] fatto ritorno nello Stato membro di cui possiede la cittadinanza, nella specie per scontarvi una pena detentiva».

( 41 ) In particolare per sottoporsi a trattamento medico, debitamente attestato, o per occuparsi temporaneamente di un familiare affetto da grave malattia.

( 42 ) Relativamente al mantenimento della carta di soggiorno in caso di assenza temporanea, v. articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2004/38.

( 43 ) V. paragrafi 62 e 63 nonché nota a piè di pagina 41 delle presenti conclusioni.

( 44 ) Sollevando il caso dei coniugi che vivono e lavorano in Stati membri diversi, l’avvocato generale Kokott, nelle sue conclusioni nella causa Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:306, paragrafo 48), rileva che «[r]esta tuttavia un elemento di incoerenza nel sistema della direttiva 2004/38. Infatti, dopo la partenza del cittadino dell’Unione, il suo coniuge cittadino di un paese terzo può, laddove non lo accompagni, ad esempio, per motivi lavorativi e non si occupi neppure di un figlio comune, perdere il proprio diritto di soggiorno nello Stato membro sino a quel momento ospitante e ciò pur in presenza di un matrimonio intatto, mentre il diritto di soggiorno del cittadino del paese terzo nello Stato membro ospitante dovrebbe essere mantenuto ai sensi dell’articolo 13 della direttiva 2004/38 ove questi divorzi tempestivamente» Il corsivo è mio.

( 45 ) Al riguardo, come si è espresso l’avvocato generale Bot nelle sue conclusioni nella causa Ogieriakhi (C‑244/13, EU:C:2014:323, paragrafo 42): «Esigere dagli interessati una coabitazione permanente sotto lo stesso tetto rappresenta, a mio modo di vedere, un’ingerenza nella loro vita privata e familiare, contraria all’articolo 7 della [Carta]. Le autorità statali non hanno il compito di imporre una concezione della vita di coppia o una particolare modalità di vita ai cittadini degli altri Stati membri e ai loro familiari, e ciò è tanto più vero se si considera che un siffatto requisito non sussiste per i loro cittadini» (il corsivo è mio). Benché tali considerazioni dell’avvocato generale Bot riguardino il requisito di convivenza nello stesso alloggio nel contesto dell’interpretazione dell’articolo 10 del regolamento (CEE) no 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU 68, L 257, pag.2), mi sembra che, sotto il profilo del diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare, esse siano trasponibili anche ai casi in cui i coniugi vivono separatamente, in particolare per ragioni di lavoro, di salute o altre ragioni analoghe.

( 46 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:306, paragrafo 49).

( 47 ) Sentenza del 16 luglio 2015 (C‑218/14, EU:C:2015:476).

( 48 ) Sentenza del 16 luglio 2015 (C‑218/14, EU:C:2015:476).

( 49 ) In particolare, secondo il diritto polacco, la pronuncia di divorzio si fonda sull’accertamento di un deterioramento del vincolo coniugale che dev’essere definitivo e duraturo e tali due condizioni sono cumulative [articolo 56, paragrafo 1, del codice della famiglia e della tutela (CFT)]; secondo il diritto francese, il divorzio per deterioramento definitivo del vincolo coniugale può essere chiesto da un coniuge in caso di cessazione della convivenza da due anni alla data della citazione di divorzio, il che presuppone un’assenza di coabitazione e una volontà di scioglimento del vincolo; secondo il diritto finlandese, i coniugi hanno il diritto di ottenere il divorzio al termine di un periodo di riflessione di sei mesi, ma è possibile divorziare senza osservare tale termine qualora i coniugi non convivano più da due anni alla data di presentazione dell’istanza di divorzio; nel diritto tedesco, conformemente all’articolo 1566 del Bürgerliches Gesetzbuch (codice civile), il giudice presume juris et de jure che il matrimonio sia irrimediabilmente compromesso dopo un certo periodo di separazione, qualora i coniugi richiedano entrambi il divorzio e vivano separati già da un anno, ovvero uno dei coniugi chieda il divorzio e l’altro vi consenta, ed entrambi vivano separati già da un anno, ovvero uno dei coniugi chieda il divorzio e l’altro non vi consenta, ma la separazione duri già da tre anni. Ai sensi dell’articolo 1565, paragrafo 2, del codice civile, se i coniugi non sono ancora separati da un anno, il matrimonio può essere sciolto solo in taluni casi eccezionali, ad esempio se la prosecuzione del matrimonio non è accettabile per il coniuge che chiede il divorzio per colpa dell’altro (maltrattamenti fisici da parte dell’altro coniuge ad esempio). Per quanto riguarda altre discipline nazionali, v., altresì, «Divorce», Portail e-Justice européen, disponibile all’indirizzo: https://e-justice.europa.eu/content_divorce-45-it.do (ultimo aggiornamento al 26 ottobre 2020).

( 50 ) Sentenze del 13 febbraio 1985, Diatta (267/83, EU:C:1985:67, punto 20), e del 10 luglio 2014, Ogieriakhi (C‑244/13, EU:C:2014:2068, punto 37).

( 51 ) V., in tal senso, nel contesto dell’interpretazione dell’articolo 10 del regolamento n.o1612/68, sentenza del 10 luglio 2014, Ogieriakhi (C‑244/13, EU:C:2014:2068, punto 47 e dispositivo).

( 52 ) V. proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [COM(2001) 257 definitivo, GU 2001, C 270 E, pag. 150].

( 53 ) Il corsivo è mio.

( 54 ) Sentenza del 16 luglio 2015 (C‑218/14, EU:C:2015:476).

( 55 ) Tenuto conto della lunghezza di taluni procedimenti nazionali di separazione legale, di divorzio, di annullamento o di scioglimento dell’unione registrata, spetta al giudice nazionale valutare se, ad esempio, un procedimento di divorzio avviato qualche tempo dopo la partenza del cittadino dell’Unione dallo Stato membro ospitante possa essere considerata come una partenza in vista di un divorzio ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38. V. nota a piè di pagina 38 delle presenti conclusioni.

( 56 ) Sentenza del 30 giugno 2016 (C‑115/15, EU:C:2016:487, punti 4849).

( 57 ) Il giudice del rinvio aveva spiegato: «Il 5 dicembre 2006, egli chiedeva all’Agenzia delle frontiere britannica di annullare il permesso di soggiorno di NA, in quanto egli si era stabilito in maniera permanente in Pakistan e chiedeva di essere informato dell’annullamento della carta di soggiorno della moglie».

( 58 ) NA aveva altresì presentato una domanda intesa ad ottenere un diritto di soggiorno permanente nel Regno Unito, ma tale domanda era stata respinta dall’autorità nazionale competente. V., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487, punti da 15 a 22).

( 59 ) Sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 49).

( 60 ) V., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 36).

( 61 ) Sentenza del 30 giugno 2016, NA (C‑115/15, EU:C:2016:487, punto 51).

( 62 ) Sentenza del 16 luglio 2015 (C‑218/14, EU:C:2015:476).

( 63 ) Sentenza del 30 giugno 2016 (C‑115/15, EU:C:2016:487).

( 64 ) Sentenza del 16 luglio 2015 (C‑218/14, EU:C:2015:476).

( 65 ) V. paragrafi 44, 48 e 49 delle presenti conclusioni.

( 66 ) Sentenza del 16 luglio 2015, Singh e a. (C‑218/14, EU:C:2015:476, punto 48).V. paragrafo 44 delle presenti conclusioni.

( 67 ) V. paragrafo 47 delle presenti conclusioni.

( 68 ) V., in particolare, sentenza del 1o febbraio 2017, Município de Palmela (C‑144/16, EU:C:2017:76, punto 20 e giurisprudenza ivi citata).

( 69 ) È del resto un’opinione ampiamente ricorrente in dottrina. V., in particolare, Gazin, F.,«Maintien d’un droit de séjour d’un ressortissant d’un État tiers avec un citoyen européen en présence d’enfants et en cas de divorce et de violence domestique commise pendant le mariage: la Cour confirme son interprétation sévère de l’article 13 de la directive 2004/38/CE verrouillant l’accès au droit de séjour à titre individuel des ressortissants de pays tiers mais accepte de reconnaître audits ressortissants un droit de séjour dérivé sur le fondement de l’article 12 du règlement (CEE) no 1612/68 et de l’article 21 TFUE», Europe, 2016, settembre Comm. no 8-9, pagg. 28 e 29; Peers, S., «Domestic violence and free movement of EU citizens: a shameful CJEU ruling», 2016, disponibile all’indirizzo: http://eulawanalysis.blogspot.com/2016/07/domestic-violence-and-free-movement-of.html; Barbou des Places, S., «Le droit de séjour des ressortissants d’États tiers ayant la garde effective d’enfants citoyens de l’Union», Revue critique de droit international privé, 2017, no 1, pag. 45; Oosterom-Staples, H., «Residence Rights for Caring Parents who are also Victims of Domestic Violence», European Journal of Migration and Law, 2017, vol. 19(4), pagg. da 396 a 424; e Gyeney, L., «Sensitive Issues before the European Court of Justice – The Right of Residence of Third Country Spouses Who Became Victims of Domestic Violence, as Well as Same-Sex Spouses in the Scope of Application of the Free Movement Directive (Legal Analysis of the NA and Coman Cases)», Hungarian Yearbook of International Law and European Law, 2017, no 1, pagg. da 211 a 256.

( 70 ) Il corsivo è mio. Come ha sottolineato l’avvocato generale Wathelet nelle sue conclusioni nella causa NA (C‑115/15, EU:C:2016:259, paragrafo 66), «[e]siste pertanto necessariamente uno scarto temporale fra la violenza domestica, elemento che provoca l’applicazione della disposizione, e il divorzio».

( 71 ) La proposta della Commissione di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri [COM(2001) 257 definitivo, pag. 150] precisa: «Il diritto accordato dalla disposizione è corredato di tre condizioni alternative, ovvero: a) che il matrimonio sia duraturo (...), b) che l’affidamento (...), c) che lo scioglimento del matrimonio sia dovuto a situazioni particolarmente difficili». (una sola è sufficiente per determinare il mantenimento del diritto di soggiorno). Il carattere alternativo di queste condizioni è sottolineato dall’avvocato generale Wathelet nelle sue conclusioni nella causa NA (C‑115/15, EU:C:2016:259, paragrafo 60).

( 72 ) V. paragrafo 73 delle presenti conclusioni.

( 73 ) Al riguardo, la Commissione ha precisato che «la formula utilizzata nell’[articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c)] è vaga (…) e mira a coprire in particolare le situazioni di violenza familiare» [COM(2001)257 definitivo, pag. 150].

( 74 ) Sentenze del 25 luglio 2008, Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 84), nonché del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 32).

( 75 ) Il corsivo è mio.

( 76 ) V. proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente sul territorio degli Stati membri [COM(2001)257 definitivo, pag. 150]. Il corsivo è mio.

( 77 ) A meno che esse non abbiano l’affidamento esclusivo di un figlio minorenne (v. articolo 12, paragrafo 3, della direttiva 2004/38).

( 78 ) Al riguardo, l’avvocato generale Wathelet ha così precisato, nelle sue conclusioni nella causa NA (C‑115/15, EU:C:2016:259, paragrafo 70): «(...) un siffatto rischio di “minaccia del divorzio” o del diniego del divorzio mi sembra particolarmente presente in un contesto di violenze domestiche. Infatti, la perdita del diritto di soggiorno derivato, in capo al coniuge cittadino di uno Stato terzo, nell’ipotesi in cui il cittadino lasci l’Unione, potrebbe essere utilizzata come mezzo di pressione per opporsi al divorzio, quando siffatte circostanze sono già idonee a comportare un indebolimento psicologico in capo alla vittima e, in ogni caso, un timore nei confronti dell’autore delle violenze».

( 79 ) V. paragrafi da 53 a 58 delle presenti conclusioni.

( 80 ) Per quanto riguarda il caso in cui il coniuge lasci lo Stato membro ospitante prima del verificarsi di una delle ipotesi previste all’articolo 13, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, la partenza temporanea del cittadino dell’Unione non comporta, per il coniuge cittadino di un paese terzo, la perdita del diritto di soggiorno derivato nei casi di cui all’articolo 16, paragrafo 3, della direttiva 2004/38. V., a questo proposito, paragrafi da 61 a 63 delle presenti conclusioni.

( 81 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa NA (C‑115/15, EU:C:2016:259, paragrafi 6162). Il corsivo è mio.

( 82 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012 che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio (GU 2012, L 315, pag. 57). La data di trasposizione di tale direttiva era fissata, al più tardi, al 16 novembre 2015. Ricordo che detta direttiva «mira a mettere la vittima di un reato al centro del sistema di giustizia penale e a rafforzare i diritti delle vittime di reato affinché tutte le vittime possano beneficiare degli stessi diritti, indipendentemente dal luogo in cui l’infrazione si è verificata, dalla loro cittadinanza o dal loro status di residente». Risoluzione del Parlamento europeo del 30 maggio 2018 sull’attuazione della direttiva 2012/29, 2016/2328(INI). Tale risoluzione del Parlamento europeo è disponibile all’indirizzo: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/TA-8-2018-0229_IT.html Il corsivo è mio.

( 83 ) L’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), sub i), della direttiva 2012/29 definisce la nozione di «vittima» nel senso che designa «una persona fisica che ha subito un danno, anche fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche che sono stati causati direttamente da un reato».

( 84 ) Come i minori (considerando 14), le donne vittime della violenza di genere (considerando 6 e 17), le persone disabili (considerando 15), le vittime del terrorismo (considerando 16), le persone LGBT o le vittime di tratta di esseri umani (considerando 17). In particolare, il considerando 17 della direttiva 2012/29 è così formulato: «Per violenza di genere s’intende la violenza diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale, emotivo o psicologico, o una perdita economica alla vittima. La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette (...)» (Il corsivo è mio).

( 85 ) V. considerando 17 e 18 della direttiva 2012/29. V., altresì, relazione del Parlamento europeo sull’attuazione della direttiva 2012/29 (...), del 14 maggio 2018, A8-0168/2018, pag. 15, punto 13: «[Il Parlamento europeo] ricorda agli Stati membri che anche le vittime che si trovano in posizione di soggiorno irregolare devono avere accesso a diritti e a servizi (...), come una tutela giuridica e un sostegno psicosociale e finanziario da parte degli Stati membri senza timore di essere rispediti nel loro paese (...); incoraggia gli Stati membri a promulgare leggi che diano alle vittime il cui titolo di soggiorno dipende da una terza persona la possibilità di uscire da una situazione di abuso permettendo loro di ottenere un titolo di soggiorno autonomo (...)». Disponibile all’indirizzo: https://www.europarl.europa.eu/doceo/document/A-8-2018-0168_IT.pdf.

( 86 ) Ai sensi del considerando 18 della direttiva 2012/29, «[l]a violenza nelle relazioni strette è quella commessa da una persona che è l’attuale o l’ex coniuge o partner della vittima ovvero di un altro membro della sua famiglia, a prescindere dal fatto che l’autore del reato conviva o abbia convissuto con la vittima. Questo tipo di violenza potrebbe includere la violenza fisica, sessuale, psicologica o economica e provocare un danno fisico, mentale o emotivo, o perdite economiche. La violenza nelle relazioni strette è un problema sociale serio e spesso nascosto, in grado di causare un trauma fisico e psicologico sistematico dalle gravi conseguenze in quanto l’autore del reato è una persona di cui la vittima dovrebbe potersi fidare (...)». Benché tali tipi di violenze riguardino tanto gli uomini quanto le donne, nel considerando 18 si rileva che «[l]e donne sono colpite in modo sproporzionato da questo tipo di violenza e la loro situazione può essere peggiore in caso di dipendenza dall’autore del reato sotto il profilo economico, sociale o del diritto di soggiorno». Il corsivo è mio.

( 87 ) Per contro, la direttiva 2004/81/CE del Consiglio, del 29 aprile 2004, riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare ai cittadini di paesi terzi vittime della tratta di esseri umani o coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale che cooperino con le autorità competenti (GU 2004, L 261, pag. 1) «prevede un titolo di soggiorno destinato alle vittime della tratta di esseri umani o, qualora uno Stato membro decida di ampliare il campo di applicazione [di questa] direttiva, ai cittadini di paesi terzi che sono stati coinvolti in un’azione di favoreggiamento dell’immigrazione illegale per i quali il titolo di soggiorno abbia carattere d’incitamento sufficiente perché essi cooperino con le autorità competenti, pur subordinandolo a determinate condizioni, per evitare gli abusi». V. considerando 9 di tale direttiva.

( 88 ) Sentenze del 25 luglio 2008, Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 84), nonché del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 32). V., altresì, paragrafo 84 delle presenti conclusioni.

( 89 ) Tale finalità consiste nell’offrire una tutela giuridica, in particolare, alle vittime di violenza domestica il cui diritto di soggiorno discende dal vincolo familiare rappresentato dal matrimonio (o dall’unione civile) e che potrebbero, per questo motivo, essere ricattate con la minaccia del divorzio o della partenza. V. considerando 15 della direttiva 2004/38; COM(2001) 257 definitivo, pag. 150, nonché paragrafi da 82 a 88 delle presenti conclusioni.

( 90 ) V. considerando 57 della direttiva 2012/29.

( 91 ) Dichiarazione n.°19 allegata all’atto finale della Conferenza intergovernativa che ha adottato il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 (GU 2008, C115, pag. 345, e GU 2012, C326, pag. 347).

( 92 ) V., in particolare, articoli 2, 3 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, nonché sentenza della Corte EDU del 9 giugno 2009, Opuz c. Turchia (ECHR:2009:0609JUD003340102, § 132): «La violenza domestica è un fenomeno che può assumere forme diverse – aggressioni fisiche, violenze psicologiche, insulto – (...). Si tratta in tal caso di un problema generale comune a tutti gli Stati membri, che non viene sempre alla luce in quanto rientra di frequente nell’ambito di rapporti personali o di cerchie ristrette, e che non riguarda soltanto le donne. Anche gli uomini possono subire violenze domestiche, come pure i minori, che ne sono spesso, direttamente o indirettamente, vittime (...)». Il corsivo è mio. Inoltre, tutti gli Stati membri hanno ratificato la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 18 dicembre 1979 ed entrata in vigore il 3 settembre 1981 (Raccolta dei trattati delle Nazioni Unite, vol. 1249, pag. 13). L’Unione non è parte di tale convenzione.

( 93 ) Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (Convenzione di Istanbul), dell’11 maggio 2011, Serie dei Trattati del Consiglio d’Europa n.°210. Sull’eventualità di un’adesione dell’Unione a tale convenzione, v. Parere 1/19, Convenzione di Istanbul, pendente dinanzi alla Corte.

( 94 ) V., altresì, punto 1 e segg. della relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul, Serie dei Trattati del Consiglio d’Europa n.°210, disponibile all’indirizzo: https://rm.coe.int/16800d38c9: «In Europa, la violenza nei confronti delle donne, incluso la violenza domestica, è una delle più gravi forme di violazione dei diritti umani basata sul genere e vive ancora avvolta nel silenzio. Anche la violenza domestica nei confronti di altre vittime, quali minori, uomini e anziani è un fenomeno nascosto, che colpisce un numero talmente ampio di famiglie da non poter essere ignorato». Il corsivo è mio.

( 95 ) Ai sensi del punto 303 della relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul: «Gli estensori hanno ritenuto preferibile lasciare alle Parti la facoltà di stabilire, conformemente al loro diritto interno, le condizioni relative alla concessione e alla durata del permesso di soggiorno autonomo, su richiesta della vittima. Ciò include stabilire quali sono le autorità competenti a decidere se la relazione è terminata come conseguenza della violenza subita dalla vittima e quali prove devono essere prodotte dalla vittima. La prova della violenza potrebbe includere, per esempio, il casellario giudiziario, una condanna di un tribunale, una ordinanza di ingiunzione o di protezione, documenti medici, una sentenza di divorzio, documenti dei servizi sociali o rapporti di enti non governativi, per fare alcuni esempi».

( 96 ) V. punto 307 della relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul.

( 97 ) La situazione potrebbe cambiare se l’Unione vi aderisce.

( 98 ) V. punto 304 della relazione esplicativa della Convenzione di Istanbul.

( 99 ) Benché tale convenzione non si applichi nel caso di specie, in mancanza di adesione da parte dell’Unione, essa potrebbe tuttavia fungere da fonte di ispirazione per interpretare l’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della direttiva 2004/38.

( 100 ) In assenza di un nesso del genere, la dottrina fa riferimento a un «rapporto di sussidiarietà» degli articoli 20 e 21 della Carta; v. Bribosia, E., Rorive, I. e Hislaire, J., «Article 20. – Egalité en droit», in F. Picod, C. Rizcallah, e S. Van Drooghenbroeck (ed.), Charte des droits fondamentaux de l’Union européenne. Commentaire article par article (2a ed.), Bruxelles, Bruylant, 2019, pag. 533: «(...) L’article 20 pourrait être mobilisé pour vérifier la cohérence et la rationalité, au regard de l’objectif poursuivi, de toute différence de traitement, quel que soit son fondement.» (L’articolo 20 potrebbe essere impiegato per verificare la coerenza e la razionalità, alla luce dell’obiettivo perseguito, di qualsiasi disparità di trattamento, a prescindere dal suo fondamento. Trad. libera) V., altresì, Bell, M., «Article 20 – Equality before the Law», in S. Peers, T. Hervey, J. Kenner, e A. Ward, (ed), The EU Charter of Fundamental Rights – A commentary, Oxford Hart Publishing, 2014, pag. 563, in particolare pag. 577.

( 101 ) GU 2007, C 303, pag. 17.

( 102 ) Parere 1/17 (Accordo CETA UE - Canada), del 30 aprile 2019 (EU:C:2019:341, punto 168).

( 103 ) Parere 1/17 (Accordo CETA UE - Canada), del 30 aprile 2019 (EU:C:2019:341, punto 169), nonché sentenza del 4 giugno 2009, Vatsouras e Koupatantze (C‑22/08 e C‑23/08, EU:C:2009:344, punto 52).

( 104 ) Parere 1/17 (Accordo CETA UE - Canada), del 30 aprile 2019 (EU:C:2019:341, punto 171 e giurisprudenza ivi citata).

( 105 ) Sentenze dell’11 luglio 2006, Franz Egenberger (C‑313/04, EU:C:2006:454, punto 33); del 17 ottobre 2013, Schaible (C‑101/12, EU:C:2013:661, punto 76), nonché ordinanza del 26 marzo 2020, Luxaviation (C‑113/19, EU:C:2020:228, punto 36).

( 106 ) V., in particolare, sentenze del 16 dicembre 2008, Arcelor Atlantique e Lorraine e a. (C‑127/07, EU:C:2008:728, punto 26); del 7 marzo 2017, RPO (C‑390/15, EU:C:2017:174, punto 42), nonché del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 42).

( 107 ) V., in particolare, sentenza del 22 maggio 2014, Glatzel (C‑356/12, EU:C:2014:350, punto 84).

( 108 ) Al riguardo, la Corte ha già dichiarato che «le disposizioni applicabili allo spazio Schengen dichiarano espressamente che esse non pregiudicano la libera circolazione dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari che li accompagnano o li raggiungono, quale garantita, segnatamente, dalla direttiva 2004/38» (sentenza del 18 giugno 2020, Ryanair Designated Activity Company, C‑754/18, EU:C:2020:478, punto 40).

( 109 ) Il protocollo n.o25 sull’esercizio della competenza concorrente (GU 2012, C 326, pag. 307), allegato ai Trattati UE e FUE, prevede che, «quando l’Unione agisce in un determinato settore, il campo di applicazione di questo esercizio di competenza copre unicamente gli elementi disciplinati dall’atto dell’Unione in questione e non copre pertanto l’intero settore».

( 110 ) È segnatamente il caso della direttiva 2003/86.

( 111 ) V., in tal senso, sentenza del 25 luglio 2008, Metock e a. (C‑127/08, EU:C:2008:449, punto 68).

( 112 ) V. le mie conclusioni nella causa Ryanair Designated Activity Company (C‑754/18, EU:C:2020:131, paragrafo 34).

( 113 ) Tuttavia, occorre ricordare che i cittadini di un paese terzo possono, nel settore del diritto dell’immigrazione, far valere in particolare la Carta nei limiti in cui essa si applica nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione. Relativamente alla direttiva 2003/86, v., in particolare, a questo proposito, sentenza del 14 marzo 2019, Y.Z. e a. (Frode nel ricongiungimento familiare) (C‑557/17, EU:C:2019:203, punto 53).

( 114 ) Thym, D., «Legal Framework for EU Entry and Border Control Policies», in K. Hailbronner and D. Thym (ed.), EU Immigration and Asylum Law. Commentary, 2a edizione, Munich/Oxford/Baden-Baden, C.H. Beck/Hart Publishing/Nomos, 2016, pag. 272, in particolare, pag. 285. Nella stessa opera, v., altresì, Hailbronner, K. e Thym, D., «Introduction EU Immigration and Asylum Law: Constitutional Framework and Principles for Interpretation», op. cit., in particolare pag. 4: «L’autonomia concettuale dello spazio di libertà, di sicurezza e di giustizia conferma che il diritto europeo in materia di immigrazione e di asilo non ricalca il regime di mobilità dei cittadini dell’Unione. Al contrario, il diritto dell’immigrazione e dell’asilo è attualmente caratterizzato da un insieme di obiettivi diversi, fissati nei Trattati dell’Unione, che sono stati introdotti dal Trattato di Lisbona».

( 115 ) V. paragrafo 121 delle presenti conclusioni.

( 116 ) Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 3, della direttiva 2003/86, quest’ultima non si applica ai familiari di un cittadino dell’Unione.

( 117 ) Sentenza del 14 marzo 2019, Y.Z. e a. (Frode nel ricongiungimento familiare) (C‑557/17, EU:C:2019:203, punto 47 e giurisprudenza ivi citata).

( 118 ) V. articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/86.

( 119 ) Sentenza del 21 aprile 2016, Khachab (C‑558/14, EU:C:2016:285, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

( 120 ) V. articolo 8, primo comma, della direttiva 2003/86.

( 121 ) V. articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2003/86. V., altresì, conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Khachab (C‑558/14, EU:C:2015:852, paragrafo 31).

( 122 ) Sull’obbligo di sostenere un esame di integrazione civica, v. sentenza del 9 luglio 2015, K e A (C‑153/14, EU:C:2015:453).

( 123 ) Sentenza del 7 novembre 2018, C e A (C‑257/17, EU:C:2018:876, punto 49).

( 124 ) Il corsivo è mio. Per contro, ciò non vale nel caso del cittadino di un paese terzo coniuge di un cittadino dell’Unione. V., a questo proposito, sentenze del 13 febbraio 1985, Diatta (267/83, EU:C:1985:67, punto 20), e del 10 luglio 2014, Ogieriakhi (C‑244/13, EU:C:2014:2068, punto 37). V., altresì, paragrafo 71 delle presenti conclusioni.

( 125 ) V., in tal senso, sentenza del 14 marzo 2019, Y.Z. e a. (Frode nel ricongiungimento familiare) (C‑557/17, EU:C:2019:203, punto 51 e giurisprudenza ivi citata).

( 126 ) V. sentenza del 14 marzo 2019, Y.Z. e a. (Frode nel ricongiungimento familiare) (C‑557/17, EU:C:2019:203, punto 53). V., altresì, considerando 2 della direttiva 2003/86.

( 127 ) V., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2018, C e A (C‑257/17, EU:C:2018:876, punto 51).

( 128 ) V. considerando 15 della direttiva 2003/86. V., altresì, paragrafo 131 delle presenti conclusioni.

( 129 ) Sentenze del 14 novembre 2017, Lounes (C‑165/16, EU:C:2017:862, punto 31), e del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punti 3132).

( 130 ) V. articolo 2, punto 2), e articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2004/38.

( 131 ) V., al riguardo, sentenze del 21 dicembre 2011, Ziolkowski e Szeja (C‑424/10 e C‑425/10, EU:C:2011:866, punto 38); del 16 gennaio 2014, Onuekwere (C‑378/12, EU:C:2014:13, punto 30), nonché del 17 aprile 2018, B e Vomero (C‑316/16 e C‑424/16, EU:C:2018:256, punto 51).

( 132 ) Ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva citata, tale diritto è mantenuto finché i cittadini dell’Unione o i loro familiari non diventano un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

( 133 ) Infatti, ai sensi dell’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2004/38, i cittadini dell’Unione e i loro familiari beneficiano di tale diritto se soddisfano le condizioni fissate in particolare all’articolo 7 di tale direttiva, che mirano ad evitare che essi diventino un onere eccessivo per il sistema di assistenza sociale dello Stato membro ospitante.

( 134 ) Più precisamente, risulta dall’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2004/38 che il diritto di soggiorno permanente non è soggetto alle condizioni previste al capo III di tale direttiva.

( 135 ) Tuttavia, in deroga all’articolo 16 della direttiva 2004/38, un diritto di soggiorno permanente nello Stato membro ospitante è previsto, prima della scadenza di tale periodo continuativo di cinque anni di soggiorno, per i lavoratori che abbiano cessato la loro attività nello Stato membro ospitante e per i loro familiari che soddisfano le condizioni fissate all’articolo 17 della direttiva in parola.

( 136 ) Sentenza del 18 dicembre 2014, McCarthy e a. (C‑202/13, EU:C:2014:2450, punto 34 e giurisprudenza ivi citata).

( 137 ) V. paragrafi da 54 a 58 delle presenti conclusioni.

( 138 ) Ai sensi dell’articolo 18 della direttiva 2004/38, i familiari del cittadino dell’Unione di cui all’articolo 12, paragrafo 2, e all’articolo 13, paragrafo 2, di tale direttiva, che soddisfano le condizioni ivi previste, acquisiscono il diritto di soggiorno permanente dopo aver soggiornato legalmente e in via continuativa per cinque anni nello Stato membro ospitante. Sugli articoli 12 e 13 della suddetta direttiva, v. la mia analisi relativa all’applicabilità dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera c), della stessa direttiva, ai paragrafi da 53 a 58 delle presenti conclusioni.

( 139 ) Lasciando impregiudicato l’articolo 12, paragrafo 1, secondo comma, della direttiva 2004/38, che dispone che, «[p]rima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, le persone interessate devono soddisfare personalmente le condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 1, [lettere] a), b), c) o d)», nonché l’articolo 13, paragrafo 1, secondo comma, di tale direttiva, ai sensi del quale «[p]rima dell’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, gli interessati devono soddisfare le condizioni previste all’articolo 7, paragrafo 1, [lettere] a), b), c) o d)».

( 140 ) Ricordo che dalla mia analisi relativa all’applicabilità dell’articolo 13, paragrafo 2, primo comma, lettera a), della direttiva 2004/38 risulta che una persona in una situazione come quella del ricorrente nel procedimento principale rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva. V. paragrafi da 36 a 93 delle presenti conclusioni.

( 141 ) Nondimeno, ad ogni buon fine, sottolineo che la situazione del cittadino di un paese terzo, coniuge di un cittadino dell’Unione, che sia stato vittima di violenza domestica e che, non disponendo di risorse sufficienti e di un’assicurazione contro le malattie, deve lasciare lo Stato membro ospitante e ritornare nel paese terzo non è, in linea di principio, comparabile a quella del cittadino dell’Unione, coniuge di un cittadino dell’Unione, che sia stato vittima di violenza domestica e che, nelle stesse circostanze, debba lasciare lo Stato membro ospitante e ritornare nello Stato membro di cui è cittadino. Infatti, è innegabile che la partenza del cittadino di un paese terzo, vittima di violenza domestica, verso un paese terzo ha conseguenze molto più rilevanti per quanto riguarda l’interruzione dei rapporti con lo Stato membro ospitante rispetto alla partenza di un cittadino dell’Unione, vittima di violenza domestica, verso lo Stato membro di cui è cittadino o verso un altro Stato membro.