CONCLUSIONI DEL L’AVVOCATO GENERALE

PRIIT PIKAMÄE

presentate il 10 febbraio 2021 ( 1 )

Causa C‑546/19

BZ

contro

Westerwaldkreis

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Corte federale amministrativa, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Controlli alle frontiere, asilo e immigrazione – Politica di immigrazione – Rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – Direttiva 2008/115/CE – Ambito di applicazione – Divieto d’ingresso emesso nei confronti di un cittadino di un paese terzo a seguito di sua condanna penale – Motivi di ordine pubblico e di pubblica sicurezza – Revoca della decisione di rimpatrio – Legittimità del divieto d’ingresso»

1.

Nella causa in esame la Corte è nuovamente chiamata dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) a pronunciarsi su una domanda di pronuncia pregiudiziale vertente sull’interpretazione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ( 2 ).

2.

Nel caso di specie, le questioni sollevate dal giudice del rinvio consentiranno alla Corte di fornire taluni chiarimenti necessari in merito a due aspetti concernenti il «divieto d’ingresso», previsto dalla direttiva 2008/115, che proibisce l’ingresso e il soggiorno nel territorio di tutti gli Stati membri. Più precisamente, la Corte è chiamata ad acclarare, in primis, il margine di discrezionalità lasciato agli Stati membri nell’adozione di divieti d’ingresso disciplinati esclusivamente dalla legislazione nazionale e, in secondo luogo, il nesso giuridico istituito dalla direttiva de qua tra il divieto d’ingresso e la decisione di rimpatrio.

I. Contesto normativo

A.   Il diritto dell’Unione

1. Direttiva 2008/115

3.

L’articolo 1 della direttiva 2008/115, intitolato «Oggetto», così recita:

«La presente direttiva stabilisce norme e procedure comuni da applicarsi negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, nel rispetto dei diritti fondamentali in quanto principi generali del diritto comunitario e del diritto internazionale, compresi gli obblighi in materia di protezione dei rifugiati e di diritti dell’uomo».

4.

Il successivo articolo 2, paragrafi 1 e 2, intitolato «Ambito di applicazione», così dispone:

«1.   La presente direttiva si applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare.

2.   Gli Stati membri possono decidere di non applicare la presente direttiva ai cittadini di paesi terzi:

(...)

b)

sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale, o sottoposti a procedure di estradizione».

5.

A termini del successivo articolo 3, rubricato «Definizioni», enuncia:

«Ai fini della presente direttiva, si intende per:

(...)

4)

“decisione di rimpatrio”: decisione o atto amministrativo o giudiziario che attesti o dichiari l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di paesi terzi e imponga o attesti l’obbligo di rimpatrio;

(...)

6)

“divieto d’ingresso”: decisione o atto amministrativo o giudiziario che vieti l’ingresso e il soggiorno nel territorio degli Stati membri per un periodo determinato e che accompagni una decisione di rimpatrio;

(...)».

6.

L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva medesima, intitolato «Decisione di rimpatrio», prevede quanto segue:

«1.   Gli Stati membri adottano una decisione di rimpatrio nei confronti di qualunque cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare, fatte salve le deroghe di cui ai paragrafi da 2 a 5».

7.

Ai sensi del successivo articolo 9, paragrafo 1, rubricato «Rinvio dell’allontanamento»:

«1.   Gli Stati membri rinviano l’allontanamento:

a)

qualora violi il principio di non-refoulement (…)».

8.

L’articolo 11 della direttiva medesima, intitolato «Divieto d’ingresso», prevede quanto segue:

«1.   Le decisioni di rimpatrio sono corredate di un divieto d’ingresso:

a)

qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria, oppure

b)

qualora non sia stato ottemperato all’obbligo di rimpatrio.

In altri casi le decisioni di rimpatrio possono essere corredate di un divieto d’ingresso.

2.   La durata del divieto d’ingresso è determinata tenendo debitamente conto di tutte le circostanze pertinenti di ciascun caso e non supera di norma i cinque anni. Può comunque superare i cinque anni se il cittadino di un paese terzo costituisce una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

(...)».

2. Regolamento (CE) n. 1987/2006

9.

L’articolo 24, paragrafi da 1 a 3, del regolamento (CE) n. 1987/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 dicembre 2006, sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) ( 3 ), così dispone:

«1.   I dati relativi ai cittadini di paesi terzi per i quali è stata effettuata una segnalazione al fine di rifiutare l’ingresso o il soggiorno sono inseriti sulla base di una segnalazione nazionale risultante da una decisione presa dalle autorità amministrative o giudiziarie competenti conformemente alle norme procedurali stabilite dalla legislazione nazionale, decisione adottata solo sulla base di una valutazione individuale. I ricorsi avverso tali decisioni sono presentati conformemente alla legislazione nazionale.

2.   Una segnalazione è inserita quando la decisione di cui al paragrafo 1 è fondata su una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale che la presenza del cittadino di un paese terzo in questione può costituire nel territorio di uno Stato membro. Tale situazione si verifica in particolare nei seguenti casi:

a)

se il cittadino di un paese terzo è stato riconosciuto colpevole in uno Stato membro di un reato che comporta una pena detentiva di almeno un anno;

b)

se nei confronti del cittadino di un paese terzo esistono fondati motivi per ritenere che abbia commesso un reato grave o se esistono indizi concreti sull’intenzione di commettere un tale reato nel territorio di uno Stato membro.

3.   Una segnalazione può inoltre essere inserita quando la decisione di cui al paragrafo 1 è fondata sul fatto che il cittadino di un paese terzo è stato oggetto di una misura di allontanamento, rifiuto di ingresso o espulsione non revocata né sospesa che comporti o sia accompagnata da un divieto d’ingresso o eventualmente di soggiorno, basata sull’inosservanza delle regolamentazioni nazionali in materia di ingresso e di soggiorno dei cittadini di un paese terzo».

B.   Diritto tedesco

10.

Il Gesetz über den Aufenthalt, die Erwerbstätigkeit und die Integration von Ausländern im Bundesgebiet (legge in materia di soggiorno, occupazione e integrazione dei cittadini stranieri nel territorio federale) (BGBl. 2008 I, pag. 162), nell testo applicabile ai fatti oggetto del procedimento principale (in prosieguo: l’«AufenthG»), contiene un articolo 11, dal titolo «Divieto d’ingresso e di soggiorno», che così recita:

«1.   Allo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione, di respingimento o di allontanamento non è più consentito l’ingresso nel territorio federale e di soggiornarvi e non può essergli rilasciato un titolo di soggiorno, neanche in presenza dei presupposti previsti a tal fine dalla presente legge.

2.   La durata del divieto d’ingresso e di soggiorno è fissata d’ufficio. Detto periodo inizia a decorrere dalla partenza dello straniero. In caso di espulsione, la durata del divieto è stabilita contemporaneamente all’adozione del provvedimento di espulsione. Negli altri casi, essa è fissata contemporaneamente alla pronuncia dell’ordine di lasciare il territorio a pena di allontanamento e, al più tardi, all’atto dell’allontanamento o del respingimento (...).

3.   La durata del divieto d’ingresso e di soggiorno è fissata mediante decisione discrezionale. Essa può superare i cinque anni unicamente nel caso in cui lo straniero sia stato espulso a seguito di condanna penale ovvero qualora costituisca grave minaccia per la pubblica sicurezza o per l’ordine pubblico. La durata del divieto non può superare i dieci anni.

(...)».

11.

L’articolo 50 dell’AufenthG, recante il titolo «Obbligo di lasciare il territorio», così dispone:

«1.   Lo straniero ha l’obbligo di lasciare il territorio se non è o non è più in possesso di un permesso di soggiorno richiesto (...).

2.   Lo straniero è tenuto a lasciare il territorio della Repubblica federale immediatamente o, se gli è stato concesso un termine a tal fine, prima della sua scadenza.

(...)».

12.

Il successivo articolo 51, rubricato «Cessazione della regolarità del soggiorno; mantenimento delle restrizioni» prevede, al paragrafo 1, punto 5, quanto segue:

«1.   Il permesso di soggiorno perde validità nei seguenti casi:

(...)

5) in caso di espulsione dello straniero, (...)».

13.

Ai sensi del successivo articolo 53, paragrafo 1, intitolato «Espulsione»:

«Lo straniero il cui soggiorno rappresenti una minaccia per la pubblica sicurezza e per l’ordine pubblico, per l’ordine costituzionale democratico e libero o per ogni altro prevalente interesse della Repubblica federale di Germania è oggetto di una misura di espulsione qualora, tenuto conto di tutte le circostanze del caso, dalla ponderazione dell’interesse costituito dalla sua partenza con l’interesse dello straniero medesimo alla sua permanenza sul territorio della Repubblica federale emerga la prevalenza dell’interesse pubblico alla sua partenza».

14.

A termini del successivo articolo 54, paragrafo 1, punto 1:

«1.   L’interesse all’espulsione dello straniero ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 1, riveste particolare importanza:

1)

in caso di sua condanna con decisione passata in giudicato a una pena privativa della libertà (...)».

15.

Il successivo articolo 58, rubricato «Allontanamento», dispone, ai paragrafi 1 e 2, quanto segue:

«1.   Lo straniero è oggetto di una misura di allontanamento se l’obbligo a suo carico di lasciare il territorio è esecutivo, se non gli è stato concesso alcun termine per lasciare il territorio o se detto termine è scaduto, se non è garantita l’esecuzione volontaria del suo obbligo di lasciare il territorio o se esigenze di sicurezza e ordine pubblico ne rendono necessario un controllo. (...)

2.   (...) Negli altri casi, l’obbligo di lasciare il territorio diviene esecutivo solo quando il diniego di rilascio del permesso di soggiorno o un altro atto amministrativo in forza del quale lo straniero è tenuto a lasciare il territorio in conformità dell’articolo 50, paragrafo 1, diviene esso stesso esecutivo.

(...)».

16.

L’articolo 60a, paragrafi da 2 a 4, della legge medesima, intitolato «Sospensione provvisoria dell’allontanamento», così recita:

«2.   L’allontanamento dello straniero è sospeso fintantoché tale allontanamento sia impossibile per motivi di fatto o di diritto e non sia rilasciato alcun permesso di soggiorno temporaneo. (...)

3.   La sospensione dell’allontanamento dello straniero lascia impregiudicato il suo obbligo di lasciare il territorio.

4.   Allo straniero che beneficia della sospensione dell’allontanamento è rilasciata relativa attestazione.

(...)».

II. Fatti all’origine della controversia, procedimento principale e questioni pregiudiziali

17.

BZ, di cittadinanza indeterminata, è nato in Siria e soggiorna dal 1990 in Germania. Benché soggetto da tale data ad obbligo di lasciare il territorio, egli continuava tuttavia a soggiornare nello Stato membro medesimo sulla base di uno status di tolleranza, regolarmente prorogato, ai sensi dell’articolo 60a dell’AufenthG.

18.

Il 17 marzo 2013 BZ veniva condannato a una pena detentiva di tre anni e quattro mesi per reati connessi al sostegno al terrorismo. Nel marzo 2014, egli beneficiava di una sospensione condizionale dell’esecuzione della pena residua.

19.

In forza di detta condanna penale, con provvedimento del 24 febbraio 2014, il Westerwaldkreis (distretto di Westerwald) adottava una misura di espulsione a carico di BZ ex articolo 53, punto 1, dell’AufenthG (in prosieguo: il «provvedimento di espulsione»). Il provvedimento comprendeva anche un divieto d’ingresso e di soggiorno sul territorio federale della durata di sei anni, successivamente ridotto a quattro anni, con decorrenza dalla data di partenza e, in ogni caso, non oltre il 21 luglio 2023. Al contempo, il distretto di Westerwald ingiungeva a BZ di lasciare il territorio a pena di allontanamento.

20.

BZ impugnava le suddette decisioni. All’udienza dinanzi alla commissione di opposizione, il distretto di Westerwald revocava l’ordine di lasciare il territorio a pena di allontanamento. L’opposizione veniva respinta quanto al resto.

21.

BZ ricorreva quindi dinanzi al Verwaltungsgericht Koblenz (Tribunale amministrativo di Coblenza, Germania) ai fini dell’annullamento del provvedimento di espulsione e del divieto d’ingresso e di soggiorno sul territorio federale, ricorso che veniva respinto. Avverso detta sentenza BZ proponeva appello dinanzi all’Oberverwaltungsgericht Rheinland-Pfalz (Tribunale amministrativo superiore del Land Renania-Palatinato, Germania).

22.

Una domanda di asilo presentata da BZ veniva successivamente respinta dal Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati, Germania) con decisione del 21 luglio 2017, in quanto manifestamente infondata alla luce del diritto nazionale. Al contempo, l’amministrazione medesima dichiarava che BZ non poteva essere allontanato verso la Siria, dal momento che, rispetto a detto paese, ricorrevano le condizioni per il divieto di allontanamento previste dall’articolo 60 dell’AufenthG, in combinato disposto con l’articolo 3 della Convenzione [europea] per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.

23.

Con sentenza del 5 aprile 2018, l’Oberverwaltungsgericht Rheinland-Pfalz (Tribunale amministrativo superiore del Land Renania‑Palatinato) respingeva l’appello interposto da BZ. Quest’ultimo proponeva quindi ricorso di annullamento («Revision») dinanzi al giudice del rinvio.

24.

Il giudice del rinvio osserva di aver già respinto il ricorso nella parte relativa al provvedimento di espulsione adottato nei confronti di BZ, che è così divenuto definitivo, stralciando conseguentemente il procedimento di annullamento, che prosegue quindi unicamente nella parte riguardante la decisione di ridurre la durata del divieto d’ingresso e di soggiorno, disposta in accompagnamento del provvedimento di espulsione, a quattro anni decorrenti dall’eventuale partenza e, al più tardi, dal 21 luglio 2023.

25.

Dalle spiegazioni fornite dal giudice del rinvio in merito alla normativa tedesca emerge che il provvedimento di espulsione, adottato in forza dell’articolo 53 dell’AufenthG, non comporta necessariamente l’allontanamento dello straniero interessato. Secondo il giudice del rinvio, le persone il cui soggiorno costituisce una minaccia per la pubblica sicurezza possono in effetti essere oggetto di un provvedimento di espulsione anche quando il loro allontanamento dal territorio tedesco non risulti possibile in considerazione della situazione esistente nel paese di loro destinazione. In questo caso, l’adozione di un provvedimento di espulsione comporta, da una parte, la fissazione di un termine di validità del permesso di soggiorno rilasciato allo straniero interessato, ex articolo 51, paragrafo 1, punto 5, dell’AufenthG, e, dall’altra, in forza dell’articolo 11, paragrafo 1, dell’AufenthG, il divieto di ingresso e di soggiorno e il divieto di rilasciare allo straniero medesimo un nuovo permesso di soggiorno per tutta la durata del provvedimento di espulsione.

26.

In questo contesto, il giudice del rinvio si chiede se il divieto d’ingresso e di soggiorno che, in base al diritto nazionale, può essere disposto anche in assenza dell’ingiunzione di lasciare il territorio a pena di allontanamento sia compatibile con il diritto dell’Unione. A tal riguardo, il giudice medesimo precisa che, a norma del diritto tedesco, il provvedimento di espulsione non costituisce di per sé una «decisione di rimpatrio», ai sensi dell’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115, mentre tale qualificazione dev’essere invece riconosciuta all’ingiunzione di lasciare il territorio a pena di allontanamento.

27.

In particolare, il giudice a quo nutre dubbi sulla questione se un divieto d’ingresso e di soggiorno disposto nei confronti di un cittadino di un paese terzo per fini «non legati alla migrazione», in particolare congiuntamente con un provvedimento di espulsione, ricada nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115. In caso di risposta affermativa a tale questione, il giudice medesimo si chiede se il divieto d’ingresso e di soggiorno non possa essere considerato conforme ai requisiti dettati dalla direttiva de qua nel caso in cui l’ingiunzione di lasciare il territorio a pena di allontanamento, adottata contestualmente a detto divieto, sia stata revocata dall’autorità che lo ha emesso.

28.

Qualora si debba ritenere che la revoca della decisione di rimpatrio implichi necessariamente l’illegittimità del divieto d’ingresso disposto in accompagnamento a detta decisione, il giudice del rinvio si chiede se ciò valga anche in caso di definitività del provvedimento di espulsione che ha preceduto la decisione di rimpatrio.

29.

Ciò premesso, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

a)

Se il divieto d’ingresso emesso nei confronti di un cittadino di un paese terzo “per altri fini non legati alla migrazione” ricada nella sfera d’applicazione della direttiva [2008/115], ogniqualvolta lo Stato membro non si sia avvalso della facoltà prevista dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva medesima.

b)

In caso di risposta negativa alla questione sub 1.a): Se detto divieto d’ingresso esuli dalla sfera d’applicazione della direttiva 2008/115 anche qualora il soggiorno di un cittadino di un paese terzo, già indipendentemente da un provvedimento di espulsione emesso nei suoi confronti, connesso al divieto d’ingresso, sia irregolare e rientri, pertanto, sostanzialmente nell’ambito di applicazione della direttiva.

c)

Se possa annoverarsi tra i divieti d’ingresso emessi per fini “non legati alla migrazione” il divieto adottato in accompagnamento all’espulsione disposta per motivi di sicurezza pubblica e ordine pubblico (nel caso di specie: per motivi di mera prevenzione generale con l’obiettivo della lotta al terrorismo).

2)

Nel caso di risposta alla prima questione nel senso che il divieto d’ingresso de quo ricada nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115:

a)

Se l’annullamento in via amministrativa della decisione di rimpatrio (nel caso di specie: l’ordine di allontanamento) implichi l’illegittimità del divieto d’ingresso di cui all’articolo 3, punto 6, della direttiva 2008/115 disposto contestualmente a detta decisione.

b)

Se tali effetti si verifichino anche nel caso in cui il provvedimento amministrativo di espulsione alla base della decisione di rimpatrio sia (divenuto) definitivo».

III. Procedimento dinanzi alla Corte

30.

Le questioni pregiudiziali sono state oggetto di osservazioni scritte da parte dei governi tedesco e dei Paesi Bassi, nonché della Commissione europea.

31.

Il 23 aprile 2020 la Corte ha inviato una richiesta di informazioni al giudice del rinvio in merito al quadro normativo della controversia principale. La risposta di quest’ultimo, in data 6 maggio 2020, è pervenuta alla Corte il 27 maggio seguente.

32.

A titolo di misure di organizzazione del procedimento dell’8 ottobre 2020, la Corte ha posto a tutte le parti interessate un quesito a risposta scritta. Le relative osservazioni scritte sono state depositate nel termine fissato.

IV. Analisi

33.

Il governo tedesco ha eccepito l’irricevibilità della prima questione pregiudiziale. Posto che tale argomento mi sembra riguardare implicitamente anche la seconda questione, inizierò la mia analisi valutando la ricevibilità (sezione A), prima di concentrarmi sul merito delle singole questioni pregiudiziali (sezione B).

A.   Sulla ricevibilità

34.

Nelle proprie osservazioni scritte, il governo tedesco afferma che, diversamente da quanto emerge dalla decisione di rinvio, la Repubblica federale di Germania si è avvalsa della facoltà, prevista all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2008/115, di non applicare la direttiva de qua ai cittadini di paesi terzi sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale, conformemente alla legislazione nazionale.

35.

A fondamento di tale affermazione, il governo medesimo richiama l’attenzione della Corte sul fatto che la relazione esplicativa della legge tedesca di recepimento della direttiva 2008/115 conterrebbe il seguente passo, inerente all’articolo 11 dell’AufenthG, il quale recepisce l’articolo 11 della direttiva 2008/115: «Le deroghe alla normale durata di cinque anni previste nella quarta frase del nuovo testo si fondano sull’articolo 2, paragrafo 2, lettera b) (si tratta, al riguardo, di una restrizione dell’ambito di applicazione della direttiva rispetto alle persone soggette a condanna penale) e sull’articolo 11, paragrafo 2, seconda frase (grave minaccia per la pubblica sicurezza e l’ordine pubblico), della direttiva 2008/115».

36.

A questo proposito, osservo che, facendo seguito alla richiesta di chiarimenti inoltratagli dalla Corte, il giudice del rinvio ha ribadito la propria interpretazione della normativa tedesca come illustrata nella decisione di rinvio, secondo cui la Repubblica federale di Germania non ha deciso, a norma dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2008/115, di escludere da tutto l’ambito di applicazione della direttiva de qua i cittadini di paesi terzi sottoposti a rimpatrio come sanzione penale o come conseguenza di una sanzione penale.

37.

Infatti, il giudice del rinvio osserva che il passo della relazione esplicativa richiamata dal governo tedesco si riferisce all’articolo 11, paragrafo 3, della versione dell’AufenthG applicabile ai fatti oggetto della controversia principale, secondo cui la durata del divieto d’ingresso può essere superiore a cinque anni «solo se lo straniero è stato espulso a seguito di una condanna penale o se costituisce una grave minaccia per la pubblica sicurezza o per l’ordine pubblico» ( 4 ). A suo avviso, da questo passo emerge quindi che, per quanto concerne i cittadini di paesi terzioggetto di un provvedimento di espulsione a seguito di condanna penale, il legislatore tedesco, nell’invocare l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2008/115, ha inteso derogare in maniera puntuale alla specifica norma di cui all’articolo 11, paragrafo 2, di detta direttiva, che limita la durata del divieto d’ingresso a cinque anni e ammette deroghe solo in caso di grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

38.

Orbene, secondo costante giurisprudenza, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra la Corte e i giudici nazionali nel procedimento pregiudiziale, la Corte è tenuta a prendere in considerazione il contesto fattuale e normativo nel quale si inseriscono le questioni pregiudiziali, come definito dal provvedimento di rinvio. Ciò comporta che, a prescindere dalle critiche sollevate dal governo tedesco all’interpretazione del diritto nazionale accolta dal giudice del rinvio, l’esame del presente rinvio pregiudiziale deve essere compiuto facendo riferimento all’interpretazione ( 5 ) secondo cui il legislatore tedesco, nella parte in cui rimanda all’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2008/15 non ha inteso escludere i cittadini di paesi terzi espulsi a seguito di condanna penale dall’intera sfera di applicazione della direttiva medesima ( 6 ).

39.

A mio avviso, il fatto che, come sottolineato dal governo tedesco, nella sentenza Filev e Osmani ( 7 ) la Corte abbia accolto un’interpretazione opposta della normativa tedesca non consente di pervenire a diversa conclusione. Infatti, nella causa sfociata nella menzionata sentenza, la Corte era vincolata, per effetto della giurisprudenza richiamata nel paragrafo precedente, dall’interpretazione del diritto nazionale fornita dall’Amtsgericht Laufen (Tribunale circoscrizionale di Laufen, Germania), autore della domanda di pronuncia pregiudiziale.

40.

Posto che la pertinenza delle questioni sollevate dal giudice del rinvio non può quindi essere messa in dubbio, ritengo che le questioni debbano essere considerate ricevibili.

B.   Nel merito

1. Osservazioni preliminari

41.

Occorre delineare i tratti essenziali del contesto normativo pertinente ai fini dell’interpretazione richiesta alla Corte.

42.

La direttiva 2008/115 mira a istituire un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità ( 8 ).

43.

A tal fine, la direttiva stabilisce con precisione la procedura, accompagnata da garanzie giuridiche, che ogni Stato membro è tenuto ad applicare per quanto attiene al rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare e fissa la successione delle diverse fasi di tale procedura.

44.

Più in particolare, la direttiva de qua stabilisce che l’irregolarità del soggiorno di qualunque cittadino di un paese terzo nel territorio di uno Stato membro comporta l’obbligo, a carico di quest’ultimo, di adottare nei confronti del cittadino medesimo una «decisione di rimpatrio» ( 9 ). Detta decisione implica, a carico del cittadino in questione, un «obbligo di rimpatrio», vale a dire un obbligo di rientrare nel suo paese d’origine, in un paese di transito o in un altro paese terzo ( 10 ), fissando eventualmente un periodo congruo entro il quale il cittadino stesso deve lasciare volontariamente il territorio ( 11 ). Qualora non sia stato concesso un periodo per la partenza volontaria oppure qualora non sia stato ottemperato all’obbligo di rimpatrio, gli Stati membri sono tenuti ad adottare tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla decisione di rimpatrio ( 12 ).

45.

La decisione di rimpatrio può – o, in certi casi, deve – essere accompagnata da un «divieto d’ingresso». Benché adottata da un solo Stato membro, quest’ultima mira a vietare alla persona destinataria, secondo la definizione risultante dall’articolo 3, punto 6, della direttiva 2008/115, l’ingresso e il soggiorno nel territorio di tutti gli Stati membri. Essa conferisce così una «dimensione europea» agli effetti delle misure nazionali di rimpatrio ( 13 ).

46.

Affinché tale dimensione non resti puramente teorica, la direttiva de qua stabilisce parimenti che uno Stato membro che preveda di rilasciare un permesso di soggiorno o un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare ad un cittadino di un paese terzo colpito da un divieto d’ingresso disposto da un altro Stato membro è tenuto a consultare preliminarmente detto Stato e a tener conto dei suoi interessi ( 14 ). L’avvio di tale procedura di consultazione impone di acquisire preliminarmente conoscenza dei divieti d’ingresso pronunciati dagli altri Stati membri; ciò è possibile nella misura in cui le informazioni relative a detti divieti d’ingresso possono essere oggetto di segnalazione nazionale inserita nel sistema d’informazione Schengen di seconda generazione in forza dell’articolo 24, paragrafo 3, del regolamento n. 1987/2006 ( 15 ).

47.

È proprio il divieto d’ingresso ad essere oggetto delle questioni sollevate dal giudice del rinvio e che mi propongo di esaminare nelle considerazioni che seguono.

2. Sulla prima questione

48.

Con la prima questione, il giudice del rinvio chiede, essenzialmente, se un divieto d’ingresso e di soggiorno, disposto nei confronti di un cittadino di un paese terzo contemporaneamente a un provvedimento di espulsione adottato sulla base di una precedente condanna penale, ricada nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115.

49.

Occorre anzitutto osservare che, come emerge dalla decisione di rinvio, i dubbi nutriti dal giudice del rinvio traggono origine dalla formulazione del punto 11 del «manuale sul rimpatrio» della Commissione ( 16 ), a norma del quale la direttiva 2008/115 si applicherebbe unicamente ai divieti d’ingresso legati alla violazione delle norme sulla migrazione negli Stati membri («divieti legati al rimpatrio»), vale a dire delle norme che disciplinano l’ingresso e il soggiorno dei cittadini di paesi terzi, mentre detta direttiva lascerebbe impregiudicati i divieti d’ingresso «emessi per altri fini non legati alla migrazione». Questa seconda categoria comprenderebbe, in aggiunta ai divieti d’ingresso costitutivi di una misura restrittiva adottata in forza del titolo V, capo 2, TUE, i divieti d’ingresso disposti nei confronti di cittadini di paesi terzi che hanno commesso reati gravi o per i quali esistono indizi concreti sull’intenzione di commettere tali reati. Così, a parere del giudice del rinvio, il divieto oggetto del procedimento principale potrebbe rientrare in detta categoria esulando, quindi, dall’ambito di applicazione della direttiva 2008/115.

50.

In altri termini, la Corte è chiamata a pronunciarsi sulla correttezza dell’interpretazione secondo cui la direttiva 2008/115 si applicherebbe unicamente ai divieti pronunciati a fronte di una violazione di norme sulla migrazione, mentre i divieti collocati al di fuori di detta categoria, in particolare quelli diretti a tutelare l’ordine pubblico e la pubblica sicurezza negli Stati membri, resterebbero, per contro, competenza di questi ultimi.

51.

Occorre anzitutto osservare che l’articolo 3, punto 6, della direttiva 2008/115 definisce il «divieto d’ingresso» come una «decisione o atto amministrativo o giudiziario che vieti l’ingresso e il soggiorno nel territorio degli Stati membri per un periodo determinato e che accompagni una decisione di rimpatrio», cosicché esso non ammette un’interpretazione nel senso che il legislatore dell’Unione ha inteso affrontare, in detto articolo, esclusivamente le misure motivate dalla violazione delle norme sulla migrazione. A mio avviso, nemmeno l’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva de qua lo consente, posto che detta disposizione si limita a enunciare le condizioni in presenza delle quali le decisioni di rimpatrio sono (o possono essere) accompagnate da un divieto d’ingresso, senza fare alcun riferimento ai motivi sfociati nell’emanazione del divieto stesso.

52.

Per quanto concerne l’esame dell’impianto logico-sistematico della direttiva 2008/115, condivido la lettura del giudice del rinvio secondo cui detta direttiva non consentirebbe di individuare alcun elemento a favore di una limitazione del suo ambito di applicazione come quella prevista nel punto 11 del «manuale sul rimpatrio».

53.

A questo riguardo, occorre richiamarsi, anzitutto, alle disposizioni con cui la direttiva in esame delimita il proprio ambito di applicazione.

54.

L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115 stabilisce che essa di applica ai cittadini di paesi terzi il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare, fermo restando che, a norma dell’articolo 3, punto 2, di detta direttiva, integra un siffatto «soggiorno irregolare»«la presenza nel territorio di uno Stato membro di un cittadino di un paese terzo che non soddisfi o non soddisfi più le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del [regolamento (CE) n. 562/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, che istituisce un codice comunitario relativo al regime di attraversamento delle frontiere da parte delle persone (codice frontiere Schengen)] ( 17 ) o altre condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza in tale Stato membro». Orbene, tenuto conto della genericità della loro formulazione, le disposizioni in questione non lasciano dubbi quanto al fatto che il legislatore dell’Unione abbia inteso definire l’ambito di applicazione della direttiva stessa in maniera molto estensiva, avendo previsto che l’irregolarità del soggiorno ivi contemplata non è unicamente quella derivante dalla violazione delle norme sulla migrazione [«le condizioni d’ingresso di cui all’articolo 5 del codice frontiere Schengen o altre condizioni d’ingresso (...) in tale Stato membro»], ma anche quella risultante dalla violazione di altre norme, diverse da esse [«altre condizioni (...) di soggiorno o di residenza in tale Stato membro»].

55.

Come rilevato supra, l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2008/115 conferisce agli Stati membri la facoltà di disapplicare la direttiva stessa nei confronti dei cittadini di paesi terzi sottoposti, in particolare, a rimpatrio a titolo di sanzione penale o per effetto di una sanzione penale, in conformità della legislazione nazionale. L’articolo de quo muove quindi necessariamente dalla premessa che il soggiorno irregolare idoneo a comportare l’applicazione della direttiva 2008/115 possa anche risultare da una grave violazione della normativa penale nazionale. È infatti chiaro che la presenza di una disposizione di tal genere sarebbe stata del tutto superflua se il soggiorno irregolare rilevante ai fini dell’applicazione della direttiva de qua potesse essere unicamente quello connesso alla violazione delle norme sulla migrazione. Ne consegue che una decisione di rimpatrio, al pari del divieto d’ingresso che l’accompagna, possono anche essere adottati per finalità connesse alla tutela dell’ordine pubblico o della pubblica sicurezza.

56.

Questa conclusione mi sembra imporsi a fortiori ove si tenga conto delle altre disposizioni della direttiva 2008/115, quali l’articolo 6, paragrafo 2 ( 18 ), l’articolo 7, paragrafo 4 ( 19 ), l’articolo 11, paragrafi 2 e 3, e l’articolo 12, paragrafo 1, secondo comma ( 20 ). Queste disposizioni evidenziano, infatti, che le misure volte a tutelare l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza e la sicurezza nazionale non sono sottratte al regime armonizzato da esse introdotto, dal momento che le finalità perseguite dalle misure medesime comportano unicamente la possibilità per gli Stati membri di derogare alle norme sancite in detti articoli ( 21 ).

57.

In particolare, per quanto concerne il divieto d’ingresso, l’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2008/115 stabilisce che, benché la sua durata non possa di norma superare i cinque anni, gli Stati membri possono disporre un divieto d’ingresso di durata maggiore nel caso in cui il cittadino di un paese terzo costituisca una grave minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale. Inoltre, il successivo paragrafo 3 prevede, in sostanza, che gli Stati membri non possano emanare un divieto d’ingresso a carico di persone vittime della tratta di esseri umani e cui è stato riconosciuto un diritto di soggiorno a tale titolo, salvo che dette persone rappresentino una minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale.

58.

I lavori preparatori confermano, a mio avviso, che il legislatore dell’Unione non ha assolutamente inteso prevedere una restrizione dell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115 fondata sui motivi dell’illegalità del soggiorno. A mio parere, la Commissione non avrebbe potuto esprimere tale idea in maniera più chiara di quanto abbia fatto nella proposta di direttiva ( 22 ) e nel documento di lavoro SEC(2005) 1175 dei servizi della Commissione ( 23 ). Nel primo documento, essa ha infatti affermato che quest’ultimo «[ha per] obiettivo (...) stabilire un corpus di norme orizzontali, applicabile a qualunque cittadino di paesi terzi soggiornante illegalmente, qualunque sia la ragione dell’irregolarità della sua presenza (visto scaduto, permesso di soggiorno scaduto, ritiro o revoca del permesso di soggiorno, domanda d’asilo definitivamente respinta, revoca dello status di rifugiato, ingresso illegale)» ( 24 ), mentre nel secondo documento essa ha precisato che la direttiva proposta doveva applicarsi non soltanto quando l’irregolarità del soggiorno dei cittadini di paesi terzi era dovuta al mancato soddisfacimento delle condizioni d’ingresso previste all’articolo 5 della convenzione d’applicazione dell’accordo di Schengen (divenuto oggi l’articolo 6 del codice frontiere Schengen), ma anche quando il loro soggiorno era irregolare per altre ragioni, citando, a titolo esemplificativo, il caso di un cittadino di un paese terzo che perde il proprio permesso di soggiorno ed è, al contempo, soggetto a procedura di rimpatrio a causa della commissione di un reato grave.

59.

È ben vero che, nella menzionata proposta, la Commissione ha riconosciuto che era stata esaminata la questione se la nozione di «espulsione/allontanamento per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale» avrebbe dovuto essere anche oggetto di un’armonizzazione nella direttiva proposta. Essa ha altresì ammesso che a tale questione era stato risposto in senso negativo in considerazione, segnatamente, del fatto che un’armonizzazione del genere doveva essere perseguita non nell’ambito di una direttiva in materia di cessazione del soggiorno irregolare e rimpatrio, bensì nel quadro di una direttiva che disciplina le condizioni di ingresso e soggiorno e le procedure per porre fine a un soggiorno o a una presenza regolari. Tuttavia, la Commissione ha poi spiegato che ciò non significava che la situazione di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno regolare si sia concluso per motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale non rientrasse nella direttiva proposta. Al contrario, detta persona sarebbe così divenuta un cittadino di un paese terzo che soggiorna irregolarmente, qualificazione questa che comporta l’applicazione della direttiva in causa, senza che siano necessarie ulteriori precisazioni ( 25 ).

60.

Anche una valutazione sotto il profilo teleologico dell’articolo 3, punto 6, e dell’articolo 11 della direttiva 2008/115 lascia ritenere, a mio avviso, che la direttiva de qua sia stata concepita, in linea di principio, con una sfera di applicazione talmente ampia da non essere circoscritta ai soli divieti d’ingresso motivati dalla violazione delle norme sulla migrazione. Infatti, la «dimensione europea» che il divieto d’ingresso previsto dalle disposizioni in questione intende conferire agli effetti delle misure nazionali di rimpatrio si spiega, come correttamente ricordato dal giudice del rinvio, alla luce della finalità delle disposizioni di cui trattasi, consistente nel prevenire l’immigrazione clandestina e di evitare che i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare possano, approfittandosi di divergenze presenti nelle normative degli Stati membri, aggirare le misure nazionali che pongono fine al loro soggiorno. Orbene, a mio avviso, dette finalità non sono compatibili con una limitazione della cerchia di persone potenzialmente destinatarie di un divieto d’ingresso, come quella prevista nel «manuale sul rimpatrio».

61.

Tuttavia, a questo punto, si deve riconoscere che i dubbi principali nutriti dal giudice del rinvio sembrano vertere sulla questione se un’interpretazione come quella da me proposta nelle presenti conclusioni sia corretta alla luce delle disposizioni del regolamento n. 1987/2006.

62.

Occorre, infatti, ricordare che il punto 11 del «manuale sul rimpatrio» cita espressamente, tra i divieti d’ingresso «per altri fini non legati alla migrazione», che sfuggono così al controllo della direttiva 2008/115, quelli emessi nei confronti di cittadini di paesi terzi che hanno commesso reati gravi o per i quali esistono indizi concreti sull’intenzione di commettere tali reati. Detto punto 11 rimanda, a questo titolo, ai divieti d’ingresso e di soggiorno fondati su una minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale indicati all’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento n. 1987/2006, in combinato disposto con l’articolo 24, paragrafo 1, di detto regolamento. Aggiungo, da parte mia, che l’articolo 24, paragrafo 3, del medesimo regolamento disciplina i divieti d’ingresso e di soggiorno pronunciati nei confronti di cittadini di paesi terzi oggetto «di una misura di allontanamento, rifiuto di ingresso o espulsione» e che sono basati sull’«inosservanza delle regolamentazioni nazionali in materia di ingresso e di soggiorno [di detti cittadini]».

63.

Dall’articolo 24 del regolamento n. 1987/2006, adottato anteriormente all’entrata in vigore della direttiva 2008/115, risulta quindi che i divieti d’ingresso e di soggiorno fondati su una minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale e quelli emessi nei confronti dei cittadini di paesi terzi oggetto di una decisione di allontanamento, rifiuto di ingresso o espulsione, sono definiti come rientranti in categorie distinte, in quanto soggetti a un regime giuridico specifico per ciascuno di essi (l’obbligo di inserire una segnalazione nel SIS esiste solo rispetto al primo). Il regolamento n. 2018/1861, che si sostituirà al regolamento n. 1987/2006 a partire dal 28 dicembre 2021, riprende, nel suo articolo 24, paragrafo 1, la struttura ripartita in due categorie e il contenuto dell’articolo 24 del regolamento n. 1987/2006 ( 26 ), dando atto che la seconda categoria di divieti d’ingresso è stata ormai armonizzata dalla direttiva 2008/115 («diviet[i] d’ingresso secondo procedure conformi alla direttiva [2008/115] nei confronti di un cittadino di paese terzo») ( 27 ).

64.

Il giudice del rinvio sembra chiedersi se ciò debba portare alla conclusione che tutti i divieti d’ingresso fondati su una minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale non ricadono nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115 e sono soggetti unicamente al regime giuridico loro applicabile in forza della legislazione nazionale, come sostenuto dal governo dei Paesi Bassi nelle proprie osservazioni scritte.

65.

È certamente vero che la direttiva 2008/115, rappresentando uno sviluppo dell’acquis di Schengen, dev’essere interpretata tenendo conto della necessaria coerenza di tale acquis ( 28 ), che comprende, senza alcun dubbio, le disposizioni del regolamento n. 1987/2006. Tuttavia, mi sembra che l’interpretazione dell’articolo 24, paragrafo 2, di detto regolamento, esposta nel paragrafo precedente, si fondi su un’erronea lettura dell’ambito di applicazione ratione personae della disposizione medesima.

66.

Ritengo, infatti, che i divieti d’ingresso e di soggiorno fondati su una minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, ai sensi dell’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento n. 1987/2006, riguardino unicamente i cittadini di paesi terzi che soggiornano al di fuori del territorio dello Stato membro interessato al momento della loro emanazione. Ciò spiega perché essi siano trattati come una categoria diversa da quelle rientranti nella direttiva 2008/115: ci si chiede come si possa prendere in considerazione una procedura di rimpatrio rispetto ai cittadini in questione se questi non si trovano in una situazione di soggiorno irregolare nel territorio di detto Stato membro.

67.

Per contro, l’articolo 24, paragrafo 2, del regolamento n. 1987/2006 non riguarda, come afferma il governo dei Paesi Bassi, i divieti d’ingresso e di soggiorno come quelli oggetto del procedimento principale, vale a dire adottati per motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza nei confronti di cittadini che si trovano già sul territorio di uno Stato membro. Infatti, l’adozione di tali divieti d’ingresso e di soggiorno presuppone che i cittadini stessi si trovino in una situazione di soggiorno irregolare e debbano, di conseguenza, essere oggetto di una decisione di rimpatrio. Si tratta, pertanto, di divieti «connessi al rimpatrio» che sono, in quanto tali, disciplinati dalla direttiva 2008/115.

68.

In sintesi, gli Stati membri mantengono il potere di disporre divieti d’ingresso nei confronti di persone che costituiscano una minaccia per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, segnatamente qualora queste siano state condannate in uno Stato membro per un reato che implichi una pena detentiva di almeno un anno, a condizione che dette persone soggiornino al di fuori del territorio dello Stato membro interessato al momento della previsione di detti divieti. Per contro, gli Stati membri sono tenuti a rispettare le regole armonizzate previste dalla direttiva 2008/115, a partire dall’obbligo di adottare una decisione di rimpatrio, laddove prevedano divieti d’ingresso a carico di persone che costituiscano una minaccia per ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, se le persone in questione si trovano già nel loro territorio ( 29 ). Questa direttiva si applica a meno che, ove le minacce o i pericoli per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale derivino dal fatto che le persone interessate sono state destinatarie di una sanzione penale grave o di procedure di estradizione, lo Stato membro interessato si sia avvalso della facoltà ad esso conferita dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2008/115 ( 30 ).

69.

È pertanto il legame con la necessità di procedere al rimpatrio dei cittadini di paesi terzi interessati che differenzia i divieti d’ingresso rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115 da quelli fondati unicamente sul diritto nazionale, e non i motivi alla base dell’adozione dei divieti stessi. Nelle proprie osservazioni scritte, la Commissione stessa riconosce che il punto 11 del «manuale sul rimpatrio» può dare adito a confusione nella misura in cui si riferisce a divieti d’ingresso emessi «per altri fini non legati alla migrazione» invece di utilizzare l’espressione corretta, vale a dire, divieti d’ingresso «non connessi al rimpatrio».

70.

Alla luce dei suesposti rilievi, propongo alla Corte di rispondere alla prima questione pregiudiziale nel senso che un divieto d’ingresso e di soggiorno, emesso nei confronti di un cittadino di un paese terzo contestualmente a un provvedimento di espulsione adottato sulla base di una precedente condanna penale, ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115.

3. Sulla seconda questione

71.

Con la seconda questione, il giudice del rinvio chiede, essenzialmente, se la direttiva 2008/115 osti al mantenimento in vigore di un divieto d’ingresso e di soggiorno emesso nei confronti di un cittadino di un paese terzo contemporaneamente a un provvedimento di espulsione, divenuto definitivo, adottato sulla base di una condanna penale anteriore, qualora la decisione di rimpatrio sia stata revocata.

72.

Tale questione trae origine dalle peculiarità della legislazione tedesca quali risultanti dall’illustrazione del contesto giuridico nazionale presente nella decisione di rinvio e che possono essere sintetizzate come segue: i) il provvedimento di espulsione non costituisce una «decisione di rimpatrio» ai sensi della direttiva 2008/115, mentre detta qualifica è riconosciuta all’ingiunzione di lasciare il territorio tedesco a pena di allontanamento; ii) tutti i provvedimenti di espulsione comportano l’irregolarità del soggiorno del cittadino straniero e lo assoggettano così all’obbligo astratto di lasciare il territorio tedesco; iii) il divieto d’ingresso e di soggiorno si ricollega, ipso iure, non soltanto a tutte le ingiunzioni di lasciare il territorio a pena di allontanamento, ma anche a tutti i provvedimenti di espulsione. Tali elementi inducono il giudice del rinvio a chiedersi se il divieto d’ingresso debba condividere la medesima sorte giuridica della decisione di rimpatrio e non possa così sussistere a seguito della revoca di quest’ultima.

73.

Dopo aver rilevato che il tenore dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, secondo cui le decisioni di rimpatrio devono (primo comma) o possono (secondo comma) essere «corredate» di un divieto d’ingresso, non consente di rispondere a tale questione, il giudice del rinvio spiega come il fatto che l’articolo 3, punto 6, di detta direttiva definisca il divieto d’ingresso come una decisione o un atto amministrativo o giudiziario che «accompagn[a] una decisione di rimpatrio» non implichi necessariamente, a suo avviso, che la revoca della decisione di rimpatrio privi di ogni fondamento il divieto d’ingresso che l’accompagna. Al riguardo, il giudice stesso si chiede se la connessione temporale tra questi due atti si traduca anche in un legame materiale alla luce della suddetta direttiva, che autorizzerebbe, per contro, un’interpretazione secondo cui il divieto d’ingresso diverrebbe illegittimo una volta revocata la decisione di rimpatrio.

74.

Nell’ottica di garantire una lettura coerente dell’articolo 3, punto 6, e dell’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, mi sembra necessario operare una precisazione. Non credo che la proposizione «che accompagni una decisione di rimpatrio» intenda esprimere una connessione temporale o persino una simultaneità tra i due atti in questione, come sembra ritenere pacifico il giudice del rinvio. A questo riguardo, occorre osservare infatti che, conformemente all’articolo 11, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, uno dei due casi in cui gli Stati membri sono tenuti ad adottare un divieto d’ingresso si concretizza quando non sia stato ottemperato all’obbligo di rimpatrio nel termine per la partenza volontaria concesso nella decisione di rimpatrio [lettera b)]. Orbene, posto che il divieto d’ingresso sarebbe emanato, in un tal caso, in un momento successivo rispetto alla decisione di rimpatrio, la necessità di un vincolo di simultaneità tra questi due atti non può, a mio avviso, trovare spazio nella definizione di divieto d’ingresso.

75.

Tale constatazione potrebbe indurre a ritenere che la definizione di cui trattasi sia stata formulata in maniera infelice e che, ricorrendo al verbo «accompagnare», il legislatore dell’Unione abbia inteso imporre la necessità di un vincolo di tipo diverso tra i divieti d’ingresso rientranti nella direttiva 2008/115 e le decisioni di rimpatrio, in particolare un criterio di collegamento materiale implicante, in quanto tale, l’impossibilità di mantenere in vigore il divieto d’ingresso dopo la revoca della decisione di rimpatrio.

76.

Tale ipotesi appare avvalorata, a mio avviso, dalla sentenza pronunciata dalla Corte nella causa Ouhrami ( 31 ). Nel quadro della sua risposta concernente l’interpretazione dell’articolo 11, paragrafo 2, della direttiva 2008/115 e, in particolare, il dies a quo ai fini del calcolo della durata di un divieto d’ingresso, la Corte ha in effetti indicato che l’articolo 3, punto 6, e l’articolo 11, paragrafo 1, in combinato disposto con l’articolo 3, punto 4, della direttiva 2008/115, devono essere letti nel senso che il divieto d’ingresso «è diretto a completare una decisione di rimpatrio, vietando all’interessato per un determinato periodo di tempo dopo (...) la sua partenza dal territorio degli Stati membri, di fare nuovamente ingresso in tale territorio e di soggiornarvi successivamente» ( 32 ), per concludere che «[l]’efficacia di tale divieto presuppone, pertanto, che l’interessato abbia precedentemente lasciato detto territorio» ( 33 ). Orbene, ritengo che, dal punto di vista testuale, i termini impiegati dalla Corte richiedano di qualificare detta decisione di rimpatrio come condizione preliminare necessaria per la validità del divieto d’ingresso. In ogni caso, questa conclusione mi sembra emerga dalle considerazioni che la Corte dedica poi all’interpretazione sistematica della disposizione di cui trattasi e in base alle quali la direttiva 2008/115 effettua una chiara distinzione tra la fase del procedimento che porta all’esecuzione volontaria o forzata dell’obbligo di rimpatrio, nel corso della quale il soggiorno irregolare della persona interessata è disciplinato dalla decisione di rimpatrio, e la fase successiva nel corso della quale il divieto d’ingresso produce i suoi effetti giuridici che si concretizzano in un divieto d’ingresso nel territorio degli Stati membri e di soggiornarvi a seguito di un nuovo ingresso illegale ( 34 ).

77.

Occorre tuttavia rilevare che le osservazioni scritte del governo tedesco sostengono una lettura leggermente diversa di detta sentenza. A parere del governo medesimo, se è pur vero che il divieto d’ingresso produce i suoi effetti giuridici a decorrere dall’esecuzione dell’obbligo di lasciare il territorio derivante dal soggiorno irregolare del cittadino di un paese terzo, è altrettanto vero che non è necessariamente la decisione di rimpatrio, quale prevista nell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, a sancire tale obbligo. Lungi dall’essere sistematicamente un elemento costitutivo dell’irregolarità del soggiorno, la decisione di rimpatrio si limiterebbe infatti, secondo detto governo, a dare atto di una siffatta irregolarità.

78.

A parere del governo tedesco, se l’irregolarità del soggiorno non deve necessariamente essere formalizzata attraverso una decisione di rimpatrio, un provvedimento di divieto d’ingresso continuerebbe a essere ipotizzabile anche in caso di revoca di detta decisione; il divieto d’ingresso potrebbe infatti spiegare gli effetti giuridici che gli sono propri qualora il cittadino di un paese terzo adempia l’obbligo che gli incombe in forza dell’articolo 50 dell’AufenthG lasciando volontariamente il territorio tedesco.

79.

Non posso condividere questo argomento. Infatti, tale interpretazione non è in linea né con la ratio né con lo spirito della direttiva 2008/115.

80.

Quanto alla ratio della direttiva, essa consente certamente agli Stati membri di prevedere che un provvedimento di espulsione comporti l’irregolarità del soggiorno di un cittadino di un paese terzo e che detto cittadino sia così soggetto a un obbligo giuridico generico e astratto di lasciare il territorio dello Stato membro considerato, come quello risultante dall’articolo 50 dell’AufenthG. Tuttavia, una volta accertata l’irregolarità del soggiorno, la direttiva stessa non consente allo Stato membro interessato di tollerare la presenza del cittadino in questione in attesa che questi si decida a lasciare, di sua spontanea volontà, il territorio nazionale. È vero piuttosto il contrario: detto Stato è tenuto a emanare nei confronti del cittadino medesimo una decisione di rimpatrio, conformemente all’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva de qua ( 35 ), salvo che decida di regolarizzare il soggiorno dell’interessato rilasciandogli un permesso di soggiorno, o un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare, in forza dell’articolo 6, paragrafo 4, della stessa direttiva ( 36 ). L’obbligo previsto a carico degli Stati membri di avviare una procedura di rimpatrio, qualora non concedano un permesso di soggiorno, non conosce alcuna eccezione. Tale obbligo grava quindi sugli Stati membri a prescindere dalla questione se, in uno specifico caso, la decisione di rimpatrio sia un elemento costitutivo dell’irregolarità del soggiorno o rivesta un valore puramente dichiarativo.

81.

Quanto allo spirito della direttiva 2008/115, l’obbligo previsto al suo articolo 6, paragrafo 1, mira, come illustrato dalla Commissione nel proprio «manuale sul rimpatrio», a ridurre le «zone grigie» (di immigrazione irregolare), a evitare lo sfruttamento delle persone che soggiornano in modo irregolare e a rafforzare la certezza del diritto per tutte le parti coinvolte ( 37 ). Orbene, un’interpretazione come quella accolta dal governo tedesco – secondo cui affinché un qualsiasi divieto d’ingresso divenga efficace non sarebbe necessariamente richiesto che l’interessato abbia lasciato il territorio nazionale a seguito dell’adozione nei propri confronti di una decisione di rimpatrio, dal momento che sarebbe sufficiente che l’abbia fatto per adeguarsi a un obbligo generico e astratto previsto dalla normativa nazionale – violerebbe, a mio avviso, in maniera evidente, dette finalità. Infatti, le «zone grigie» cui fa riferimento la Commissione non possono essere efficacemente ridotte mediante un obbligo del genere dal momento che, a differenza dell’obbligo di rimpatrio contenuto nell’omonima decisione, esso non prevede necessariamente né il termine entro il quale l’interessato è tenuto a lasciare spontaneamente il territorio dello Stato membro di cui trattasi, né un’esecuzione forzata della sua partenza qualora non l’abbia fatto.

82.

Se un divieto d’ingresso ai sensi della direttiva 2008/115 può produrre gli effetti giuridici che gli sono propri solo a seguito dell’esecuzione, volontaria o forzata, della decisione di rimpatrio, è ovvio che detto divieto non può essere mantenuto in vigore successivamente alla revoca di quest’ultima.

83.

La tesi sostenuta nelle presenti conclusioni, secondo cui detto divieto d’ingresso rappresenta uno strumento che ha un necessario carattere accessorio rispetto alla decisione di rimpatrio ( 38 ), mi sembra quindi riflessa in maniera evidente dalle finalità alla base dell’introduzione del divieto d’ingresso in seno alla direttiva in esame. Nelle presenti conclusioni si è già ricordato più volte che, proibendo l’ingresso e il soggiorno nel territorio di tutti gli Stati membri, il divieto d’ingresso mira a conferire «una dimensione europea agli effetti delle misure nazionali di rimpatrio» ( 39 ). Occorre aggiungere, come emerge, sostanzialmente, dal punto 11 del «manuale sul rimpatrio», che il divieto d’ingresso è volto a rafforzare la credibilità della procedura di rimpatrio inviando il chiaro segnale che chi è stato espulso per non aver rispettato le norme sulla migrazione negli Stati membri non sarà autorizzato a rientrare in uno Stato membro per un periodo determinato. A mio avviso, tali finalità non lasciano alcun dubbio quanto al fatto che nessun divieto d’ingresso ai sensi della direttiva 2008/115 possa essere adottato in assenza di una decisione di rimpatrio, o mantenuto in caso di revoca di quest’ultima.

84.

Non vedo, inoltre, come la circostanza, menzionata dal giudice del rinvio, che il provvedimento di espulsione adottato a monte della decisione di rimpatrio sia divenuto definitivo, possa modificare questa conclusione. Al contrario, il fatto che, alla luce di detta circostanza, manca unicamente una decisione amministrativa per ottenere l’esecuzione forzata dell’obbligo di partenza gravante sul ricorrente nel procedimento principale, come previsto nell’articolo 50 dell’AufenthG, non fa altro che sottolineare che la decisione di rimpatrio giuridicamente non esiste più, con la conseguenza che il divieto d’ingresso che ne deriva è privato di ogni fondamento.

85.

A questo punto, ci si potrebbe tuttavia chiedere se la revoca della decisione di rimpatrio faccia comunque sì che il divieto d’ingresso che l’accompagnava inizialmente diventi un «divieto non connesso al rimpatrio» ed esuli così dall’ambito di applicazione della direttiva 2008/115, questione che è stata oggetto di un quesito a risposta scritta rivolto alle parti nel presente procedimento.

86.

Su questo punto, ammetto di condividere il parere negativo espresso dalla Commissione. Come da quest’ultima ricordato, il divieto d’ingresso e di soggiorno, che accompagnava inizialmente nel procedimento principale la decisione di rimpatrio, ricade nella direttiva 2008/115, poiché è stato emesso nei confronti di un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno è irregolare in ragione, per l’appunto, dell’irregolarità del suo soggiorno. Posto che la mera revoca di una siffatta decisione non incide minimamente su detti elementi, mi sembra chiaro che, in mancanza di una nuova misura da parte delle autorità nazionali, tale revoca non può comportare la modifica della qualificazione giuridica del divieto d’ingresso e di soggiorno di cui trattasi. Infatti, a differenza dei divieti d’ingresso adottati ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2008/115, i divieti d’ingresso di portata nazionale presentano condizioni di applicazione che non includono il carattere irregolare del soggiorno ( 40 ). A tale riguardo, le autorità tedesche hanno sempre la possibilità di adottare un atto amministrativo che comporta un divieto d’ingresso di portata nazionale qualora siano soddisfatte le condizioni di applicazione di un siffatto divieto, non connesse al rimpatrio.

87.

Appare necessaria un’ultima osservazione. So che la preoccupazione che ha indotto le autorità tedesche a revocare la decisione di rimpatrio, mantenendo il divieto d’ingresso e di soggiorno, era di impedire che il ricorrente nel procedimento principale potesse consolidare il proprio diritto di soggiorno in Germania ( 41 ). Tuttavia, in linea con il governo dei Paesi Bassi e la Commissione, osservo che la direttiva 2008/115 offre agli Stati membri uno strumento giuridico che consente loro di fronteggiare una situazione di tal genere, vale a dire quello indicato all’articolo 9, paragrafo 1, lettera a), della direttiva suddetta, il quale prevede che gli Stati membri devono rinviare l’allontanamento qualora violi il principio di non-refoulement, rilasciando alle persone interessate una conferma scritta della loro situazione in conformità al considerando 12 della direttiva di cui trattasi ( 42 ). Tale strada consente alle autorità nazionali di fare in modo che la decisione di rimpatrio sia semplicemente sospesa ed evitare così l’insorgenza di qualsiasi dubbio in merito alla legittimità del mantenimento in vigore del divieto d’ingresso che l’accompagna. Posto che l’allontanamento del ricorrente nel procedimento principale sembra essere stato sospeso in forza dello status di tolleranza di cui all’articolo 60a dell’AufenthG, mi chiedo se le autorità tedesche si siano avvalse di una siffatta possibilità.

88.

Alla luce dei suesposti rilievi, propongo alla Corte di rispondere alla seconda questione pregiudiziale nel senso che la direttiva 2008/115 osta al mantenimento in vigore di un divieto d’ingresso e di soggiorno emesso nei confronti di un cittadino di un paese terzo contemporaneamente a un provvedimento di espulsione adottato sulla base di una condanna penale anteriore, ove la decisione di rimpatrio sia stata revocata. Lo stesso vale nel caso in cui detto provvedimento di espulsione sia divenuto definitivo.

V. Conclusione

89.

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) nei seguenti termini:

1)

Un divieto d’ingresso e di soggiorno, disposto nei confronti di un cittadino di un paese terzo contestualmente a un provvedimento di espulsione adottato sulla base di una precedente condanna penale, ricade nell’ambito di applicazione della direttiva 2008/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare.

2)

La direttiva 2008/115 osta al mantenimento in vigore di un divieto d’ingresso e di soggiorno disposto nei confronti di un cittadino di un paese terzo contemporaneamente a un provvedimento di espulsione adottato sulla base di una precedente condanna penale, ove la decisione di rimpatrio sia stata revocata. Lo stesso vale nel caso in cui detto provvedimento di espulsione sia divenuto definitivo.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) GU 2008, L 348, pag. 98.

( 3 ) GU 2006, L 381, pag. 4.

( 4 ) Il corsivo è mio.

( 5 ) V. sentenza del 21 giugno 2016, New Valmar (C‑15/15, EU:C:2016:464, punto 25 e giurisprudenza citata).

( 6 ) Quanto alla questione se l’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), della direttiva 2008/115 consenta agli Stati membri di derogarvi in maniera puntuale, il giudice del rinvio afferma, a mio avviso correttamente, che la questione non è dirimente ai fini dell’esito della controversia principale, considerato che, da un punto di vista giuridico, una risposta negativa comporterebbe unicamente l’inapplicabilità di divieti d’ingresso di durata superiore a cinque anni.

( 7 ) Sentenza del 19 settembre 2013 (C‑297/12, EU:C:2013:569).

( 8 ) V. considerando 2 e 11 della direttiva 2008/115.

( 9 ) Articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.

( 10 ) Articolo 3, punti 3 e 4, della direttiva 2008/115.

( 11 ) Articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2008/115. Gli Stati membri possono astenersi dal concedere un siffatto periodo nei casi indicati nel paragrafo 4 di detta disposizione (v. nota 18 delle presenti conclusioni).

( 12 ) Articolo 8, paragrafo 1, della direttiva 2008/115.

( 13 ) V. considerando 14 della direttiva 2008/115.

( 14 ) V. articolo 11, paragrafo 4, della direttiva 2008/115, che rinvia, a tal riguardo, all’articolo 25 della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen del 14 giugno 1985 tra i governi degli Stati dell’Unione economica Benelux, della Repubblica federale di Germania e della Repubblica francese relativo all’eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni (GU 2000, L 239, pag. 19).

( 15 ) Si deve osservare che il regolamento in parola è stato abrogato dal regolamento (UE) 2018/1861 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 28 novembre 2018, sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen (SIS) nel settore delle verifiche di frontiera, che modifica la convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen e abroga il regolamento (CE) n. 1987/2006 (GU 2018, L 312, pag. 14) che si applica a partire dal 28 dicembre 2021. L’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento n. 2018/1861, che sostituisce l’articolo 24 del regolamento n. 1987/2006, prevede l’obbligo per gli Stati membri di inserire una segnalazione nel SIS in tutti i casi in cui un divieto d’ingresso è stato pronunciato nei confronti di un cittadino di paese terzo il cui soggiorno è irregolare in forza di disposizioni conformi alla direttiva 2008/115.

( 16 ) Raccomandazione (UE) 2017/2338 della Commissione, del 16 novembre 2017, che istituisce un manuale comune sul rimpatrio che le autorità competenti degli Stati membri devono utilizzare nell’espletamento dei compiti connessi al rimpatrio (GU 2017, L 339, pag. 83).

( 17 ) GU 2006, L 105, pag. 1.

( 18 ) L’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2008/115 così dispone: «Un cittadino di un paese terzo il cui soggiorno nel territorio di uno Stato membro è irregolare e che è in possesso di un permesso di soggiorno valido o di un’altra autorizzazione che conferisca il diritto di soggiornare rilasciati da un altro Stato membro deve recarsi immediatamente nel territorio di quest’ultimo. In caso di mancata osservanza di questa prescrizione da parte del cittadino di un paese terzo interessato ovvero qualora motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale, impongano la sua immediata partenza, si applica il paragrafo 1» (il corsivo è mio).

( 19 ) L’articolo 7, paragrafo 4, della direttiva 2008/115 così recita: «Se sussiste il rischio di fuga o se una domanda di soggiorno regolare è stata respinta in quanto manifestamente infondata o fraudolenta o se l’interessato costituisce un pericolo per l’ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sicurezza nazionale, gli Stati membri possono astenersi dal concedere un periodo per la partenza volontaria o concederne uno inferiore a sette giorni» (il corsivo è mio).

( 20 ) A termini dell’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2008/115, le «decisioni di rimpatrio e, ove emesse, le decisioni di divieto d’ingresso e le decisioni di allontanamento sono adottate in forma scritta, sono motivate in fatto e in diritto e contengono informazioni sui mezzi di ricorso disponibili.

Le informazioni sui motivi in fatto possono essere ridotte laddove la legislazione nazionale consenta che il diritto di informazione sia limitato, in particolare per salvaguardare la sicurezza nazionale, la difesa, la pubblica sicurezza, e per la prevenzione, le indagini, l’accertamento e il perseguimento di reati» (il corsivo è mio).

( 21 ) In questo senso, si vedano le mie conclusioni nella causa Stadt Frankfurt am Main (C‑18/19, EU:C:2020:130, paragrafo 40).

( 22 ) Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente [SEC(2005) 1057, COM(2005) 391 definitivo - 2005/0167 (COD), sezione 4, capitolo I.

( 23 ) Commission staff working document – Detailed comments on Proposal for a European Parliament and Council Directive on common standards on procedures in Member States for returning illegally staying third country nationals [COM(2005) 391 final].

( 24 ) Il corsivo è mio.

( 25 ) V. sezione 3, punto 12, della proposta.

( 26 ) La sola modifica sostanziale introdotta è l’estensione dell’obbligo di inserire una segnalazione nel SIS ai divieti d’ingresso emanati in conformità alle procedure previste dalla direttiva 2008/115. Si veda, in particolare, la proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull’istituzione, l’esercizio e l’uso del sistema d’informazione Schengen (SIS) nel settore delle verifiche di frontiera, che modifica il regolamento (UE) n. 515/2014 e abroga il regolamento (CE) n. 1987/2006 [COM(2016) 882 final – 2016/0408 (COD), pag. 4]. V. anche nota 15 delle presenti conclusioni.

( 27 ) L’articolo 24, paragrafo 1, del regolamento n. 2018/1861 è così formulato: «Gli Stati membri inseriscono una segnalazione ai fini del respingimento e del rifiuto di soggiorno quando è soddisfatta una delle seguenti condizioni: a) lo Stato membro ha concluso, alla luce di una valutazione individuale comprendente anche una valutazione delle circostanze personali del cittadino di paese terzo interessato e delle conseguenze di un respingimento e di un rifiuto di soggiorno, che la presenza di tale cittadino di paese terzo interessato nel proprio territorio costituisce una minaccia per l’ordine pubblico, la sicurezza pubblica o la sicurezza nazionale e, pertanto, ha adottato una decisione giudiziaria o amministrativa in conformità della normativa nazionale ai fini del respingimento e del rifiuto di soggiorno e ha emesso una segnalazione nazionale per gli stessi fini, oppure b) lo Stato membro ha emesso un divieto d’ingresso secondo procedure conformi alla direttiva [2008/115]».

( 28 ) Sentenza del 26 ottobre 2010, Regno Unito/Consiglio (C‑482/08, EU:C:2010:631, punto 48).

( 29 ) La distinzione tra queste due categorie di divieto d’ingresso può essere illustrata richiamando l’ordinamento giuridico francese, in particolare il code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile (codice disciplinante l’ingresso e il soggiorno degli stranieri e il diritto d’asilo). La prima categoria, denominata «divieto amministrativo d’ingresso nel territorio», è prevista all’articolo L214‑2 di detto codice, a norma del quale «[ogni cittadino di un paese terzo] può, ove non risieda abitualmente in Francia e non si trovi nel territorio nazionale, essere oggetto di un divieto amministrativo d’ingresso nel territorio se la sua presenza in Francia costituirebbe una minaccia grave per l’ordine pubblico, la sicurezza interna o le relazioni internazionali della Francia» (il corsivo è mio). La seconda categoria, denominata «divieto di rientro nel territorio francese», è prevista all’articolo L511‑1 di detto codice, a norma del quale «[l’]autorità amministrativa può obbligare uno straniero che non sia un cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea a lasciare il territorio francese (...) se si trova in una delle seguenti situazioni: (...) 7° Se il comportamento dello straniero che non risiede regolarmente in Francia da più di tre mesi costituisce una minaccia per l’ordine pubblico».

( 30 ) A titolo esemplificativo, la Repubblica francese si è avvalsa di detta facoltà per quanto concerne l’«espulsione dal territorio francese», prevista all’articolo L541‑1 del code de l’entrée et du séjour des étrangers et du droit d’asile, vale a dire una sanzione che può essere disposta dall’autorità giudiziaria a carico di uno straniero che si sia reso responsabile di reato, disciplinata dalle disposizioni degli articoli 131‑30, 131‑30‑1 e 131‑30‑2 del codice penale francese.

( 31 ) Sentenza del 26 luglio 2017, Ouhrami (C‑225/16, EU:C:2017:590).

( 32 ) Il corsivo è mio.

( 33 ) Sentenza del 26 luglio 2017 (C‑225/16, EU:C:2017:590, punto 45). Il corsivo è mio.

( 34 ) Sentenza del 26 luglio 2017, Ouhrami (C‑225/16, EU:C:2017:590, punti da 46 a 49). Più di recente, la Corte si è fondata su questo ragionamento nella sentenza del 17 settembre 2020, JZ (Pena detentiva in caso di divieto d’ingresso) (C‑806/18, EU:C:2020:724, punti da 32 a 34).

( 35 ) V., a tal riguardo, le conclusioni dell’avvocato generale Szpunar nella causa Celaj (C‑290/14, EU:C:2015:285, paragrafo 50), secondo cui «[g]li obblighi incombenti agli Stati membri per effetto degli articoli 6 e seguenti della direttiva 2008/115 sono permanenti, continuativi e si applicano senza interruzioni nel senso che sorgono automaticamente non appena siano soddisfatte le condizioni previste da tali articoli» (il corsivo è mio).

( 36 ) Si veda la risposta della Commissione all’interrogazione parlamentare n. P‑1687/10 (GU 2011, C 138 E, pag. 1) che, con riferimento all’obbligo così imposto agli Stati membri, come il Regno di Spagna, precisa quanto segue: «It implies that Spanish authorities are not free any more – once they become aware of the presence of an illegally staying third-country national on their territory – to tolerate this situation without either initiating return procedures or launching procedures for granting a right to stay» («Esso comporta che – una volta venute a conoscenza della presenza nel loro territorio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare – le autorità spagnole non sono più libere di tollerare detta situazione senza avviare una procedura di rimpatrio o introdurre procedimenti diretti alla concessione di un diritto di soggiorno») (traduzione libera).

( 37 ) V. «manuale sul rimpatrio», punto 5, pag. 100. Si veda anche la risposta della Commissione all’interrogazione parlamentare n. P‑1687/10 (GU 2011, C 138 E, pag. 1), secondo cui «[t]he obligation on Member States to either initiate return procedures or to grant a right to stay has been proposed by the Commission and was adopted by the European Parliament and Council in order to reduce “grey areas”, to prevent exploitation of illegally staying persons and to improve legal certainty for all involved».

( 38 ) V., altresì, Martucci, F., «La directive “retour”: la politique européenne d’immigration face à ses paradoxes», Revue trimestrielle de droit de l’Union européenne, 2009, pag. 50, che definisce il divieto d’ingresso rientrante nell’articolo 11 della direttiva 2008/115 come «accessorio al rimpatrio».

( 39 ) Direttiva 2008/115, considerando 14.

( 40 ) V. supra, paragrafo 68.

( 41 ) V. supra, paragrafo 25.

( 42 ) Ai sensi del considerando 12 della direttiva 2008/115: «(...) Affinché possano dimostrare la loro situazione specifica in caso di verifiche o controlli amministrativi, [i cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare ma che non è ancora possibile allontanare] dovrebbero essere munit[i] di una conferma scritta della loro situazione (...)».