CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate il 19 novembre 2020 ( 1 )

Causa C‑388/19

MK

contro

Autoridade Tributária e Aduaneira

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal Arbitral Tributário (Centro de Arbitragem Administrativa – CAAD)] [Tribunale arbitrale tributario (Centro di arbitrato amministrativo), Portogallo]

«Rinvio pregiudiziale – Articoli 63 and 65 TFUE – Libera circolazione dei capitali – Criteri applicabili – Principio di non discriminazione – Normativa tributaria – Tassazione delle plusvalenze immobiliari – Residenti e non residenti – Comparabilità delle situazioni – Onere fiscale più elevato per i non residenti – Nozione di parità di trattamento – Possibilità per i non residenti di optare per il regime applicabile ai residenti»

I. Introduzione

1.

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione degli articoli 18, 63, 64 e 65 TFUE e si inquadra nell’ambito di una controversia tributaria tra l’attore, MK, e l’Autoridade Tributária e Aduaneira (amministrazione finanziaria portoghese, Portogallo). Essa riguarda un avviso di accertamento emesso dall’amministrazione finanziaria per i redditi di MK nell’anno di esercizio 2017. Tale rinvio solleva ancora una volta la questione di che cosa costituisca una forma di discriminazione fiscale tra residenti e non residenti.

2.

MK è residente in Francia. Il ricorso che egli ha presentato riguarda, in sostanza, l’assoggettamento a una maggiore imposta sulle plusvalenze al momento della cessione di un bene in Portogallo, stante la sua qualità di non residente in tale paese. La presente causa solleva quindi la questione se, per accertare l’esistenza di una discriminazione – e, per estensione, una restrizione alla libera circolazione dei capitali – sia necessario procedere ad una valutazione globale dell’insieme delle conseguenze derivanti dall’applicazione di un regime speciale d’imposizione. In altri termini, si pone la questione se, a tal fine, occorra confrontare tutte le opzioni fiscali offerte ai residenti in un altro Stato membro con quelle offerte ai residenti dello Stato membro d’imposizione o, in subordine, se siffatto raffronto debba essere effettuato nell’ambito di ciascuna di dette opzioni singolarmente considerata.

3.

Prima di procedere all’esame di tali questioni, può essere opportuno esporre in via preliminare le disposizioni pertinenti tanto del diritto nazionale quanto del diritto dell’Unione.

II. Contesto normativo

4.

L’articolo 10, paragrafo 1, lettera a), del Código do Imposto sobre o Rendimento das Pessoas Singulares (codice dell’imposta sul reddito delle persone fisiche; in prosieguo: il «CIRS») definisce la nozione di «plusvalenza» nel modo seguente:

«1.   Per “plusvalenze” si intendono redditi che, non essendo considerati attività commerciali e professionali, capitali o redditi immobiliari, derivano:

a)

dalla cessione a titolo oneroso di diritti reali su beni immobili e dalla destinazione di qualsiasi bene del patrimonio individuale all’attività imprenditoriale e professionale autonoma, esercitata a titolo individuale dal loro proprietario».

5.

L’articolo 15, paragrafi 1 e 2, del CIRS, rubricato «Ambito d’applicazione», così dispone:

«1.   Per le persone residenti nel territorio portoghese, l’imposta sul reddito delle persone fisiche è prelevata su tutti i redditi, ivi compresi quelli ottenuti al di fuori del territorio portoghese.

2.   Per i non residenti, l’imposta sul reddito delle persone fisiche è dovuta solo sui redditi ottenuti nel territorio portoghese».

6.

Ai fini dell’articolo 18, paragrafo 1, lettera h), del CIRS, si considerano ottenuti nel territorio portoghese:

«h)

i redditi da beni immobili ivi situati, comprese le plusvalenze derivanti dalla cessione degli stessi».

7.

All’epoca dei fatti di cui al procedimento principale, l’articolo 43, paragrafi 1 e 2, del CIRS, intitolato «Plusvalenze», risultante dalla legge n. 42/2016, del 28 dicembre 2016 (OE/2013), era così formulato:

«1.   L’importo degli introiti qualificati come plusvalenze corrisponde al saldo della differenza tra le plusvalenze e le minusvalenze conseguite nel corso del medesimo anno, liquidate conformemente agli articoli seguenti.

2.   La differenza di cui al paragrafo precedente, quanto alle cessioni effettuate dai soggetti residenti di cui all’articolo 10, paragrafo 1, lettere a), c) e d), sia essa positiva o negativa, è considerata soltanto nella misura del 50% del suo valore».

8.

L’articolo 68, paragrafo 1, del CIRS stabilisce la tabella progressiva degli scaglioni fiscali. Nel 2017 le aliquote d’imposta erano le seguenti ( 2 ):

Reddito imponibile

(in euro)

Aliquote

(percentuale)

Normale

(A)

Media

(B)

Fino a 7 091

14,50

14,500

Oltre 7 091 fino a 20 261 compresi

28,50

23,600

Oltre 20 261 fino a 40 522 compresi

37

30,300

Oltre 40 522 fino a 80 640 compresi

45

37,613

Oltre 80 640

48,00

9.

Conformemente all’articolo 68a, ai redditi imponibili compresi tra EUR 80000 ed EUR 250000 si applicava un’imposta addizionale di solidarietà del 2,5%; oltre EUR 250000 l’aliquota di solidarietà era del 5%.

10.

Nella sua versione applicabile al procedimento principale, l’articolo 72 del CIRS così disponeva:

«1.   Sono assoggettate all’aliquota autonoma del 28%:

a)

le plusvalenze di cui all’articolo 10, paragrafo 1, lettere a) e d), percepite da soggetti non residenti nel territorio portoghese, purché non derivino da una stabile organizzazione situata in tale territorio;

(...)

9.   I residenti in altro Stato membro dell’Unione europea o dello Spazio economico europeo (purché, in quest’ultimo caso, sussista uno scambio di informazioni in materia fiscale) possono optare, con riferimento ai redditi di cui al paragrafo 1, lettere a) e b), e al paragrafo 2, per la loro tassazione all’aliquota che, conformemente alla tabella prevista dall’articolo 68, paragrafo 1, si applicherebbe qualora fossero percepiti da soggetti residenti in territorio portoghese.

10.   Ai fini della determinazione dell’aliquota di cui al precedente paragrafo, sono tenuti in considerazione tutti i redditi, inclusi quelli ottenuti fuori da suddetto territorio, alle stesse condizioni che si applicano ai soggetti residenti.

(...)».

III. Fatti all’origine della controversia e questione pregiudiziale

11.

Il 31 maggio 2018, MK ha depositato presso l’amministrazione finanziaria portoghese la dichiarazione dei redditi per l’anno fiscale 2017, mediante il modello 3 dell’IRS (imposta sul reddito delle persone fisiche). In tale dichiarazione, MK ha dichiarato, oltre a un certo reddito immobiliare, il valore della plusvalenza realizzata con la rivendita di un immobile situato in Portogallo. Sul frontespizio della dichiarazione fiscale corrispondente, nella tabella 8B, MK ha contrassegnato le caselle 4 (per i «non residenti»), 6 (per i «residenti in un paese UE») e 7 (opzione per il regime fiscale applicabile ai non residenti) e ha escluso l’opzione della casella 9 (tassazione secondo le aliquote generali d’imposta stabilite all’articolo 68 del CIRS) nonché l’opzione della casella 10 (tassazione secondo le norme applicabili ai residenti).

12.

Il 5 luglio 2018, l’amministrazione finanziaria ha emesso un atto di liquidazione per l’importo di EUR 24654,22, calcolato applicando al 100% delle plusvalenze immobiliari l’aliquota speciale del 28%. Detta amministrazione non ha quindi applicato la riduzione del 50% della base imponibile applicabile ai contribuenti residenti.

13.

Il 30 novembre 2018, MK ha contestato la legittimità di tale liquidazione dinanzi al giudice nazionale, adducendo che detta liquidazione fosse fondata su disposizioni di legge che integrano una discriminazione nei confronti dei cittadini degli altri Stati membri dell’Unione non aventi lo status di residenti fiscali in Portogallo. Pertanto, MK sosteneva che la citata normativa costituisse una restrizione alla libera circolazione dei capitali di cui all’articolo 63, paragrafo 1, TFUE.

14.

A tal riguardo, il giudice del rinvio ricorda che, nella sentenza dell’11 ottobre 2007, Hollmann (C‑443/06, EU:C:2007:600), la Corte ha dichiarato che la normativa tributaria portoghese, nella versione applicabile all’esercizio fiscale 2003, costituiva una restrizione ai movimenti di capitali, vietata dall’articolo 63 TFUE. Di conseguenza, tale giudice si è chiesto se le modifiche successivamente apportate a detta normativa abbiano effettivamente posto fine alla restrizione ai movimenti di capitali che era stata individuata dalla Corte nella causa in parola.

15.

In tali circostanze, il Tribunal Arbitral Tributário (Centro de Arbitragem Administrativa ‐ CAAD) [Tribunale arbitrale tributario (centro di arbitrato amministrativo), Portogallo] ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

«Se il combinato disposto degli articoli [18, 63, 64 e 65 TFUE] debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una normativa nazionale, quale quella di cui trattasi nel presente procedimento [che è stata] modificata (...) [al fine di consentire] che le plusvalenze risultanti dalla cessione di immobili situati in uno Stato membro (Portogallo), da parte di un soggetto residente in altro Stato membro dell’Unione europea (Francia), non siano soggette, per opzione, ad un onere tributario superiore a quello che sarebbe applicato, per lo stesso tipo di operazione, alle plusvalenze realizzate da un soggetto residente nello Stato dove sono situati gli immobili».

IV. Analisi

16.

Dato che la questione del giudice del rinvio fa riferimento a diverse disposizioni del Trattato, è necessario anzitutto determinare quali di queste disposizioni siano effettivamente pertinenti.

A.   Determinazione delle pertinenti disposizioni del Trattato

17.

Nella sua questione, il giudice del rinvio fa riferimento agli articoli 18, 63, 64 e 65 TFUE. Ai sensi dell’articolo 63, paragrafo 1, TFUE sono vietate tutte le restrizioni ai movimenti di capitali tra Stati membri, nonché tra Stati membri e paesi terzi.

18.

In conformità dell’articolo 64, paragrafo 1, le disposizioni di cui all’articolo 63 lasciano impregiudicata l’applicazione ai paesi terzi di qualunque restrizione in vigore alla data del 31 dicembre 1993 in virtù delle legislazioni nazionali o della legislazione dell’Unione per quanto concerne i movimenti di capitali provenienti da paesi terzi o ad essi diretti, che implichino investimenti diretti, inclusi gli investimenti in proprietà immobiliari.

19.

Dal canto suo, l’articolo 65, paragrafi 1 e 3, stabilisce in particolare che le disposizioni dell’articolo 63 non pregiudicano il diritto degli Stati membri di applicare le pertinenti disposizioni della loro legislazione tributaria in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale. Ciò è a sua volta subordinato alla condizione che tali disposizioni non costituiscano un mezzo di discriminazione arbitraria né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali e dei pagamenti di cui all’articolo 63 TFUE.

20.

In tale contesto, occorre rilevare che, sebbene il Trattato FUE non definisca la nozione di movimenti di capitali, per giurisprudenza costante la direttiva 88/361/CEE del Consiglio, per l’attuazione dell’articolo 67 del Trattato (GU 1988, L 178, pag. 5), presenta, con la nomenclatura e la nota esplicativa a essa allegata, un valore indicativo al riguardo ( 3 ). Secondo tale nota esplicativa, i movimenti transfrontalieri di capitali comprendono, in particolare, «[g]li acquisti di terreni con immobili e senza, nonché la costruzione di immobili da parte di privati a scopo di lucro o personale». Di conseguenza, qualsiasi misura nazionale relativa all’acquisto di un immobile situato in uno Stato membro da parte di persone fisiche non residenti, anche qualora non sia stato acquisito a fini di investimento, deve essere considerata rientrante nell’ambito di applicazione degli articoli da 63 a 65 TFUE ( 4 ).

21.

L’applicazione della libertà di circolazione associata al mercato interno è subordinata a due condizioni cumulative. In primo luogo, la situazione di cui trattasi nel procedimento principale non deve essere puramente interna allo Stato membro interessato ( 5 ). In secondo luogo, il settore coperto dal provvedimento nazionale la cui compatibilità con il diritto dell’Unione è stata contestata deve essere ancora privo di un’armonizzazione completa ( 6 ). Nel caso di specie, tuttavia, non vi è alcun dubbio che queste due condizioni siano soddisfatte e che, pertanto, siano applicabili gli articoli da 63 a 65.

22.

Poiché tali disposizioni attuano il principio di non discriminazione in materia di libera circolazione dei capitali, non occorre neppure esaminare la situazione prospettata dal giudice nazionale nella sua decisione di rinvio alla luce dell’articolo 18 TFUE. Detto articolo, che stabilisce il principio generale del divieto di ogni discriminazione fondata sulla nazionalità, è destinato ad applicarsi autonomamente solo nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione per le quali il Trattato non stabilisca regole specifiche di non discriminazione ( 7 ).

23.

Di conseguenza, le misure fiscali nazionali che costituiscono l’oggetto del rinvio pregiudiziale del giudice a quo devono essere esaminate alla luce del solo principio della libera circolazione dei capitali.

B.   Sulla portata del controllo da effettuare

24.

In via preliminare, occorre rilevare che la questione sollevata non verte unicamente sulla situazione del ricorrente, bensì, più in generale, sulla compatibilità con il diritto dell’Unione di una normativa nazionale, come illustrata dal giudice del rinvio. Poiché le questioni sollevate dal giudice del rinvio sono assistite da una presunzione di rilevanza ( 8 ), ritengo che occorra esaminare il regime fiscale di cui trattasi e non la situazione particolare del ricorrente. Parimenti, dal momento che la questione sollevata non riguarda la situazione delle persone residenti in uno Stato terzo – anche se il principio della libera circolazione dei capitali vieta altresì le restrizioni tra gli Stati membri e gli Stati terzi – non è necessario, a mio avviso, esaminare tale problematica.

25.

Qualora la Corte volesse comunque affrontare la situazione dei soggetti residenti in uno Stato terzo, allora la soluzione prospettata nell’ordinanza della Corte del 6 settembre 2018, Patrício Teixeira (C‑184/18, non pubblicata, EU:C:2018:694) (alla quale hanno fatto riferimento alcune delle parti nella presente causa) rispetto alla situazione descritta dal giudice del rinvio nella sua decisione di rinvio potrebbe essere considerata come non necessariamente rilevante ai fini del caso di specie.

26.

Vero è che, in detta causa avente ad oggetto la normativa portoghese in vigore per l’anno fiscale 2007, la Corte ha dichiarato, in sostanza, che:

non occorreva notificarla, dal momento che la risposta alla questione pregiudiziale non dava adito ad alcun ragionevole dubbio e poteva quindi, conformemente all’articolo 99 del regolamento di procedura, essere decisa con ordinanza motivata;

l’applicazione dell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE poteva essere esclusa in quanto tale disposizione esisteva già in sostanza nella versione iniziale del codice, in vigore al 31 dicembre 1993 ( 9 );

poiché dal tenore letterale dell’articolo 43, paragrafo 2, del CIRS non risultava che tale disposizione operasse una distinzione tra i contribuenti non residenti in funzione del loro luogo di residenza, si doveva ritenere che la disparità di trattamento riguardasse situazioni oggettivamente comparabili ( 10 ).

27.

Di conseguenza, la Corte ha concluso che «una normativa nazionale di uno Stato membro, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, che assoggetta le plusvalenze risultanti dalla cessione (...) da parte di un residente di uno Stato terzo di un bene immobile situato in tale Stato membro ad un onere fiscale superiore a quello che sarebbe applicato per lo stesso tipo di operazione alle plusvalenze realizzate da un residente di tale Stato membro costituisce una restrizione alla libera circolazione dei capitali che, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, non rientra nell’eccezione prevista dall’articolo 64, paragrafo 1, TFUE e non può essere giustificata sulla base dell’articolo 65, paragrafo 1, TFUE» ( 11 ).

28.

Occorre tuttavia ricordare che, poiché la Corte non è competente, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, ad applicare la norma del diritto dell’Unione a una determinata fattispecie, quindi a valutare una disposizione di diritto nazionale sotto il profilo di questa norma ( 12 ), le risposte alle questioni sottoposte alla Corte stessa si basano sulla premessa descritta dal giudice del rinvio e, pertanto, sulla presentazione fatta da quest’ultimo della normativa nazionale applicabile e non sono necessariamente espresse alla luce della situazione giuridica prevalente in tale Stato membro, dato che la Corte può avere solo una conoscenza indiretta e parziale di detta situazione ( 13 ).

29.

Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale nella citata causa Patrício Teixeira, il giudice del rinvio aveva unicamente menzionato l’articolo 43, paragrafo 2, del CIRS, quale disposizione pertinente in vigore all’epoca, che limita la base imponibile al 50% delle plusvalenze derivanti da cessioni di immobili realizzate da contribuenti residenti. È dunque unicamente alla luce di tale specifica disposizione che la Corte è giunta alla conclusione che la normativa descritta dal giudice del rinvio come normativa portoghese applicabile era contraria al diritto dell’Unione.

30.

La presente causa suggerisce tuttavia che l’articolo 43, paragrafo 2, del CIRS potrebbe non essere l’unica disposizione legislativa pertinente che deve essere presa in considerazione per stabilire se le plusvalenze risultanti dalla cessione, da parte di un residente di uno Stato terzo, di un bene immobile situato in tale Stato membro fossero, e siano tuttora, soggette a un onere fiscale superiore a quello che sarebbe applicabile alle plusvalenze realizzate da un residente di detto Stato membro relativamente allo stesso tipo di transazione. Infatti, sembra che l’articolo 43, paragrafo 2, del CIRS faccia parte di un insieme di disposizioni che, considerate nel loro insieme, formano un regime composito d’imposizione sui redditi da capitale applicabile ai contribuenti residenti. In forza di queste altre disposizioni, qualsiasi plusvalenza realizzata da tale soggetto è tassata progressivamente in funzione di determinati scaglioni di reddito. In sostanza, la normativa tributaria portoghese prevede quindi che vengano sommati i redditi percepiti e le plusvalenze realizzate nel corso di un determinato anno fiscale. Per contro, l’articolo 72, paragrafo 1, del CIRS prevede che gli utili realizzati da una persona residente in uno Stato terzo siano assoggettati a un’aliquota d’imposta forfettaria.

31.

Siffatte disposizioni suggeriscono quindi che la questione se la normativa portoghese stabilisca una qualche forma di imposizione discriminatoria ai sensi degli articoli 63, 64 e 65 TFUE non dipende tanto, in quanto tale, dalla riduzione del 50% della base imponibile prevista all’articolo 43, paragrafo 2, del CIRS per i residenti, quanto dalla reale differenza rispetto a qualsiasi effettiva aliquota fiscale che potrebbe derivarne. Pertanto, tutto si riduce alla questione se le plusvalenze immobiliari realizzate dai non residenti siano state tassate con un’aliquota unica superiore all’aliquota marginale effettiva applicata a tali plusvalenze realizzate dai residenti.

32.

Di conseguenza, se il giudice del rinvio nella causa Patrício Teixeira avesse indicato il regime applicabile ai non residenti complessivamente, mi sembra probabile che la Corte non sarebbe giunta alla conclusione che l’assenza di distinzione nell’articolo 43, paragrafo 2, del CIRS tra residenti e non residenti al 31 dicembre 1993 non potesse essere considerata sufficiente per concludere nel senso che non vi erano a tale data differenze oggettive nella situazione delle due categorie di contribuenti in discussione in detta causa a siffatta data. Credo che sarebbe stato allora necessario per la Corte esaminare piuttosto se tale differenza risultasse di fatto dall’effetto combinato di tale disposizione unitamente ad altre disposizioni che costituiscono il regime fiscale applicabile ai non residenti.

33.

In circostanze del genere, sebbene la conclusione cui è giunta la Corte nella citata ordinanza Patrício Teixeira sia certo corretta alla luce della premessa esposta dal giudice nazionale in tale rinvio (vale a dire che la situazione dei residenti e dei non residenti differisce unicamente in quanto i primi beneficiano di una riduzione del 50% della loro base imponibile), occorre nondimeno ancora verificare se detta premessa corrisponda effettivamente alla situazione giuridica esistente in Portogallo per l’anno fiscale 2007 (e gli anni successivi). Occorre altresì chiedersi se non sia opportuno tener conto di altre disposizioni, come quelle citate nel caso di specie ( 14 ). Pertanto, siffatti elementi devono essere esaminati ulteriormente al fine di stabilire se, in particolare, si possa escludere un’eventuale applicazione dell’articolo 64, paragrafo 1, TFUE.

34.

A tale riguardo, secondo la giurisprudenza della Corte, rientra comunque nelle competenze esclusive del giudice nazionale determinare il contenuto della legislazione vigente ad una data stabilita da un atto dell’Unione, mentre la Corte è competente soltanto a fornire gli elementi interpretativi della nozione dell’Unione che costituisce il riferimento per l’applicazione di un regime derogatorio comunitario ad una legislazione nazionale vigente ad una certa data ( 15 ).

C.   Sull’esistenza di una restrizione alla libera circolazione dei capitali

1. Principi applicabili

35.

In via preliminare, occorre ricordare che la materia delle imposte dirette resta essenzialmente di competenza degli Stati membri. Spetta loro determinare la portata della propria competenza fiscale nonché i principi di base del rispettivo regime fiscale. Allo stato attuale dell’armonizzazione della normativa fiscale nazionale, gli Stati membri sono pertanto liberi di istituire il sistema fiscale che ritengono più idoneo compresa, in particolare, l’adozione del sistema di tassazione progressiva o forfettaria ( 16 ). In tale contesto, gli Stati membri possono prevedere gli adempimenti di comunicazione e amministrativi che essi ritengano necessari ad assicurare l’efficacia della riscossione dell’imposta ( 17 ).

36.

Le libertà fondamentali relative al mercato interno non possono quindi essere intese nel senso che uno Stato membro sia tenuto ad allineare le proprie norme tributarie a quelle di altri Stati membri al fine di garantire che qualsivoglia disparità derivante dall’applicazione di dette norme tributarie sia in tal modo eliminata ( 18 ). Pertanto, due Stati membri possono anche tassare la stessa operazione sulla base di un diverso criterio di collegamento ( 19 ). Tutto ciò significa che le libertà di circolazione – per quanto importanti – non mirano a risolvere eventuali problemi di interoperabilità tra i diversi sistemi fiscali nazionali ( 20 ). Esse mirano soltanto a garantire che gli Stati membri esercitino le loro competenze in modo non discriminatorio. In particolare, non spetta alla Corte stabilire quale debba essere il sistema fiscale degli Stati membri.

37.

Gli Stati membri devono tuttavia esercitare la loro competenza in materia fiscale nel rispetto del principio della libera circolazione. Ciò significa che gli Stati membri devono astenersi dall’adottare misure discriminatorie a detrimento delle persone che hanno esercitato il loro diritto alla libera circolazione ( 21 ).

38.

In settori diversi dalla fiscalità, ogni provvedimento nazionale che vieti, ostacoli o renda meno allettante l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, della libertà di circolazione garantita dal Trattato costituisce una restrizione a tale diritto di libera circolazione, pur se detto provvedimento è a prima vista indistintamente applicabile ( 22 ).

39.

Tuttavia, in materia fiscale, la nozione di «restrizione» si applica in modo leggermente più limitato. Infatti, il solo fatto di tassare un’attività o un’operazione rende la prospettiva di effettuare tale operazione necessariamente meno allettante. Pertanto, per non pregiudicare la possibilità per gli Stati membri di prelevare imposte ( 23 ), la giurisprudenza della Corte suggerisce, a tutt’oggi, che la misura nazionale di cui trattasi, perché possa essere qualificata come «restrizione» in tal senso, deve parimenti comportare una discriminazione diretta o indiretta. Il criterio da applicare per stabilire l’esistenza di una restrizione in materia fiscale è quindi, a sua volta, identico a quello applicabile in materia diversa da quella fiscale ( 24 ).

40.

La necessità di una verifica dell’assenza di discriminazione – e, pertanto, di esaminare la comparabilità delle due situazioni per qualificare una misura come «restrizione» in tal senso – deve ritenersi definitivamente accertata in seguito alla sentenza del 17 luglio 2014, Nordea Bank Danmark (C‑48/13, EU:C:2014:2087). In detta causa, l’avvocato generale Kokott proponeva di rinunciare alla verifica dell’assenza di discriminazione e caldeggiava in alternativa l’applicazione in materia fiscale dello stesso esame applicato in altri settori ( 25 ). La Corte non ha tuttavia accolto le sue conclusioni al riguardo ( 26 ). Inoltre, quando – come nel caso di specie – è in discussione la libera circolazione dei capitali, la necessità di un siffatto raffronto deriva dal tenore letterale dell’articolo 65 TFUE.

41.

Prendendo come punto di partenza la citata sentenza Nordea Bank, occorre, a mio avviso, verificare se sussista una discriminazione costitutiva di una restrizione alla libera circolazione dei capitali nel caso dell’articolo 63 TFUE.

42.

Prima di procedere, mi permetto di constatare che esistono essenzialmente due problemi specifici relativamente alla questione della tassazione discriminatoria e, quindi delle restrizioni alla libera circolazione nel campo della fiscalità. Il primo riguarda il modo in cui va intesa la nozione di “discriminazione” in tale contesto.

43.

In base a un primo approccio, costituisce discriminazione qualsiasi misura avente ad oggetto, in caso di discriminazione diretta, o avente come effetto, in caso di discriminazione indiretta, una differenza di trattamento di situazioni comparabili o, al contrario, un trattamento identico di situazioni diverse ( 27 ).

44.

In base al secondo approccio, laddove la legge vieta l’utilizzazione di un criterio specifico, sussiste discriminazione diretta quando una persona è trattata meno favorevolmente alla luce dei termini espliciti di un siffatto criterio. Per contro, sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione o un criterio che appare neutro viene nondimeno applicato in un modo che svantaggia talune persone rispetto ad altre alla luce di taluni criteri vietati ( 28 ).

45.

Storicamente, il secondo approccio, che può tuttavia essere considerato come un’applicazione del primo, è prevalso nell’ambito della giurisprudenza sulle libertà di circolazione. Pertanto, secondo la Corte, sussiste discriminazione diretta quando un provvedimento opera una distinzione basata sulla cittadinanza ( 29 ) e sussiste discriminazione indiretta quando una misura, benché fondata su un altro criterio, come quello della residenza, conduce di fatto al medesimo risultato ( 30 ). Si noterà tuttavia che, da circa un decennio, la Corte ha fatto più spesso ricorso alla prima definizione della nozione di discriminazione, prescindendo da ogni riferimento alla cittadinanza ( 31 ).

46.

A mio avviso, atteso che le libertà di circolazione mirano alla realizzazione del mercato unico senza privare gli Stati membri della loro autonomia fiscale, si dovrebbe tuttavia continuare ad utilizzare il secondo approccio, fondato sull’esistenza di un criterio vietato per stabilire se una misura costituisca una restrizione sotto forma di una misura fiscale discriminatoria ( 32 ).

47.

Inoltre, il primo approccio equivale di fatto ad un esame della coerenza di una legge, poiché, secondo la giurisprudenza della Corte, la comparabilità si valuta alla luce dell’obiettivo perseguito dall’imposta di cui trattasi ( 33 ). Pertanto, tale approccio mi sembra pertinente quando, come in materia di IVA ( 34 ), la neutralità di suddetta misura, intesa qui come coerenza con i suoi obiettivi, sia messa in dubbio ( 35 ). In materia di libertà di circolazione, la coerenza della normativa con gli obiettivi da essa perseguiti non deve essere esaminata per accertare l’esistenza di una discriminazione ( 36 ), ma piuttosto per accertare se il legislatore nazionale abbia in tal modo cercato di tutelare i propri cittadini.

48.

Ciò mi conduce alla seconda problematica, vale a dire il punto di riferimento da utilizzare per valutare l’esistenza di una restrizione. La disposizione fiscale in questione va esaminata isolatamente? Oppure (come credo che dovrebbe accadere) occorre esaminare il regime fiscale nel suo complesso?

49.

Se è vero che la giurisprudenza mostra una qualche incertezza, nel senso che talune sentenze possono dare l’impressione che il termine «misura» debba essere inteso nel senso che riguarda ogni elemento idoneo ad influire sul calcolo dell’imposta dovuta, un più attento esame della giurisprudenza tende a dimostrare che essa riguarda il sistema fiscale in questione, considerato nel suo insieme ( 37 ). Peraltro, ciò appare coerente con la soluzione adottata in materia di aiuti di Stato. Infatti, in tale settore ( 38 ), per quanto riguarda la valutazione del criterio di selettività di una misura fiscale, la Corte, dopo aver esaminato, in un primo momento, la comparabilità alla luce degli obiettivi perseguiti dal presunto aiuto di Stato ( 39 ), ha infine deciso, a seguito di una sentenza pilota pronunciata dalla Grande Sezione, che l’esame della comparabilità doveva essere effettuato sulla natura e sulla struttura generale del sistema tributario interessato ( 40 ). Da allora, la qualificazione di una misura fiscale come «selettiva» presuppone, in un primo tempo, l’individuazione del regime fiscale comune o «normale» applicabile nello Stato membro interessato e, in un secondo tempo, la dimostrazione che la misura fiscale considerata vi deroga, in quanto introduce differenziazioni tra operatori che si trovano, sotto il profilo dell’obiettivo perseguito da detto regime comune, in una situazione fattuale e giuridica comparabile ( 41 ).

50.

A mio avviso, considerazioni identiche o simili dovrebbero applicarsi a qualsiasi libertà di circolazione, in particolare, per quanto riguarda l’applicazione del criterio di comparabilità. Infatti, come rilevato dall’avvocato generale Wahl, l’applicazione del criterio di comparabilità alla luce del quadro di riferimento garantisce che il carattere selettivo di «una misura fiscale venga valutato in un quadro comprensivo di tutte le disposizioni pertinenti, e non in base a disposizioni estrapolate artificiosamente da un quadro normativo più ampio», il che costituisce una preoccupazione che doveva vigere anche in materia di libera circolazione ( 42 ). Inoltre, in entrambi casi, solo una volta che è stato definito il quadro di riferimento è possibile individuare le norme potenzialmente discriminatorie che portano a svantaggiare le situazioni transfrontaliere, quando esse avrebbero dovuto essere trattate in modo identico rispetto agli obiettivi perseguiti da tale quadro di riferimento.

51.

Il fatto di considerare le disposizioni di una normativa nazionale isolatamente – senza tuttavia procedere ad un raffronto globale degli effetti di ciascuna disposizione – genera il rischio che i cittadini dell’Unione tentino di avvalersi delle agevolazioni loro concesse così come di quelle concesse ai residenti senza, al contempo, tenere in debito conto gli oneri particolari cui possono essere assoggettati quegli stessi contribuenti residenti ( 43 ). Benché il diritto dell’Unione esiga la parità di trattamento, ciò non significa che i non residenti possano scegliere in modo selettivo le caratteristiche del sistema fiscale di un altro Stato membro per acquisire ciò che equivale a uno status privilegiato rispetto ai residenti di tale Stato. Così, ad esempio, nel caso di specie, risulta che il ricorrente cerca di cumulare la deduzione del 50% con l’applicazione di un’aliquota d’imposta media, che, se la richiesta fosse accolta, sarebbe più favorevole di quella applicata ai residenti.

2. Sul ricorso

52.

In via preliminare, occorre ricordare che la normativa tributaria portoghese, come descritta dal giudice del rinvio nella causa Hollmann, che verteva sulla tassazione delle plusvalenze immobiliari in Portogallo per l’anno fiscale 2007, è stata dichiarata dalla Corte contraria al diritto dell’Unione.

53.

Sebbene taluni punti della sentenza della Corte sembrino indicare che la restrizione di cui trattasi derivava dall’applicazione ai soli residenti della riduzione del 50% della base imponibile nel valore delle plusvalenze da prendere in considerazione, ciò non rappresenta forse il quadro completo. L’esame dei punti 37, 38, 51 e 54 di tale sentenza mostra che, per stabilire che ciò costituiva una restrizione alla libera circolazione nel senso da me descritto, la Corte non si è limitata a constatare che la base imponibile non era la stessa per i residenti e per i non residenti. La sostanza della censura riguardava piuttosto l’onere fiscale sulle plusvalenze più gravoso imposto ai non residenti come risultato dell’operazione di cui trattasi. Come ha osservato la Corte: «le plusvalenze risultanti dalla cessione di un bene immobile situato in uno Stato membro (...) quando la detta cessione è effettuata da un soggetto residente in un altro Stato membro, [erano assoggettate] ad un onere tributario superiore a quello che sarebbe applicato per lo stesso tipo di operazione alle plusvalenze realizzate da un soggetto residente nello Stato in cui è situato il detto bene immobile» ( 44 ).

54.

A rischio di affermare l’ovvio, la reale forma discriminazione è l’importo finale dell’imposta che il soggetto non residente dovrà versare per la plusvalenza immobiliare conseguita, qualora fosse superiore all’importo che sarebbe stato richiesto ai residenti in occasione della medesima operazione. Di conseguenza, ciò che rilevava non era tanto la mancata applicazione della riduzione del 50% della base imponibile quanto piuttosto l’aliquota globale effettiva che è stata di fatto applicata, derivante dall’effetto combinato della percentuale di base imponibile presa in considerazione e dell’aliquota applicabile.

55.

Anche in assenza della riduzione del 50% sulla base imponibile, si sarebbe comunque ritenuto che la normativa descritta dal giudice del rinvio nella causa Hollmann determinasse una disparità di trattamento, dal momento che assoggettava le plusvalenze realizzate da un non residente che disponeva di bassi redditi ad un’aliquota d’imposta forfettaria del 28%, mentre le stesse plusvalenze realizzate da un residente avente il medesimo basso reddito potevano essere tassate secondo uno scaglione la cui aliquota più bassa era inferiore al 28%.

56.

Infatti, a causa dell’utilizzo da parte del Portogallo di un’aliquota progressiva per tutti i redditi (comprese le plusvalenze conseguite) (regime applicabile in generale ai residenti), da un lato, e di un’aliquota fissa per le plusvalenze (regime applicabile in generale ai non residenti che non hanno altri redditi imponibili in Portogallo a titolo di plusvalenze una tantum), dall’altro, è quasi inevitabile che, in talune situazioni comparabili, alcuni contribuenti non residenti siano trattati in modo meno favorevole rispetto ai contribuenti residenti ( 45 ). In effetti, secondo la giurisprudenza della Corte, ogni restrizione ingiustificata, anche di minore importanza, alla libera circolazione dei capitali deve essere considerata discriminatoria. È quindi sufficiente, in linea di principio, che una legge tributaria introduca una discriminazione diretta o indiretta nei confronti anche di un solo soggetto passivo in una situazione transfrontaliera, affinché tale normativa possa essere considerata incompatibile con il diritto dell’Unione ( 46 ).

57.

In siffatte circostanze, contrariamente a quanto suggerito dal ricorrente, la sentenza Hollmann non può essere interpretata ( 47 ) nel senso che, per porre fine alla restrizione identificata dalla Corte, il governo portoghese avrebbe dovuto necessariamente consentire ai non residenti – seppur laddove assoggettati all’aliquota del 28% – di fruire anche di una riduzione del 50% della loro base imponibile ( 48 ). Come ho già osservato, il diritto dell’Unione impone unicamente agli Stati membri di accordare ai residenti degli altri Stati membri il beneficio dello stesso trattamento, e non di un trattamento migliore di quello applicabile ai cittadini nazionali ( 49 ). Di conseguenza, il governo portoghese era tenuto unicamente a fare sì che l’aliquota effettiva globale fosse equivalente per lo stesso tipo di operazione effettuata da soggetti passivi in situazioni comparabili.

58.

Dal fascicolo dinanzi alla Corte risulta che dopo la sentenza Hollmann sono intervenute due modifiche nella normativa tributaria portoghese.

59.

In primo luogo, il governo portoghese ha deciso di offrire ai cittadini dell’Unione la possibilità di optare tra l’imposizione come residenti oppure come non residenti. Nelle sue osservazioni, il governo portoghese ha indicato che preferiva lasciare una scelta del genere ai cittadini dell’Unione piuttosto che imporre loro un determinato regime fiscale. Ciò aveva lo scopo di dispensare gli interessati dall’obbligo di comunicare alle autorità tributarie portoghesi l’importo dei loro redditi globali e di sgravarli delle spese supplementari di adeguamento che ne sarebbero conseguite.

60.

In secondo luogo, le aliquote fiscali applicabili in forza del regime per i residenti in Portogallo e del regime per le persone residenti nell’Unione sono state rispettivamente modificate. In particolare, è stata istituita un’imposta addizionale di solidarietà, che si applica solo alle persone residenti in Portogallo.

61.

Ne consegue che, per l’anno fiscale 2017, solo il 50% della plusvalenza conseguita dai residenti in Portogallo veniva preso in considerazione ai fini della determinazione della base imponibile. Su tale importo venivano applicati gli scaglioni. Lo scaglione più elevato, applicabile alla frazione dei redditi eccedente EUR 80640, era assoggettato all’aliquota del 48%, alla quale si aggiungeva, per taluni contribuenti, un’imposta addizionale – l’imposta di solidarietà – la cui aliquota era del 5% sullo scaglione di reddito superiore a EUR 250000. Di conseguenza, l’aliquota d’imposta marginale sulle plusvalenze immobiliari era del 26,5%. Nell’ambito del regime per i non residenti, tuttavia, le plusvalenze conseguite non beneficiavano della deduzione del 50%. Tali plusvalenze erano invece tassate all’aliquota unica del 28%.

62.

Dal momento che l’aliquota marginale applicabile era più elevata per i cittadini dell’Unione non residenti fiscalmente rispetto ai cittadini residenti, potrebbe sembrare che la normativa nazionale in discussione introducesse una disparità di trattamento a carico dei contribuenti non residenti dell’Unione, consentendo un onere fiscale effettivo complessivamente superiore sul conseguimento di una plusvalenza. In altre circostanze, la conclusione secondo cui si trattava di una forma di trattamento fiscale discriminatorio dei non residenti sarebbe sembrata inevitabile, alla stregua di quanto era stato dichiarato nella sentenza Hollmann.

63.

Occorre tuttavia rilevare che la normativa portoghese prevede ormai la possibilità per ogni persona residente in un altro Stato membro di optare per il regime applicabile ai residenti. La concessione di tale facoltà esclude, a mio avviso, qualsiasi trattamento fiscale discriminatorio purché, beninteso, i contribuenti non residenti interessati siano stati informati in tempo utile e in maniera effettiva della possibilità di esercitare tale facoltà. Infatti, le norme sulle libertà di circolazione impongono soltanto che ai cittadini dell’Unione residenti in un altro Stato membro sia offerta la possibilità di beneficiare delle stesse norme fiscali dei residenti ( 50 ).

64.

Pertanto, purché un cittadino dell’Unione residente in un altro Stato membro disponga della possibilità reale ed effettiva di optare per lo stesso regime applicabile ai residenti, cosa che presuppone che sia stato debitamente informato di questa opzione in tempo utile e in maniera effettiva, non dovrebbe essere constatata alcuna discriminazione ( 51 ). Laddove ciò si verifichi, la questione se tale opzione sia stata esercitata oppure no dal contribuente interessato è, a mio avviso, irrilevante, poiché gli Stati membri hanno il diritto di lasciare ai loro soggetti passivi la scelta tra più regimi ( 52 ).

65.

Si potrebbe sottolineare che, come si è detto in precedenza, allo stato attuale dell’armonizzazione, o della non armonizzazione, delle normative tributarie nazionali, gli Stati membri sono liberi di istituire il sistema di imposizione che ritengono più appropriato come, ad esempio, un sistema di imposizione progressiva per scaglioni, calcolata sulla base del reddito complessivo del soggetto interessato. Pertanto, il Portogallo avrebbe potuto limitarsi a decidere, in applicazione della sentenza Hollmann della Corte, di imporre ai non residenti di dichiarare, come i residenti sono tenuti a fare, tutti i loro redditi al fine di determinare a quale aliquota occorra tassare le plusvalenze derivanti dalla cessione di un bene immobile. È vero che gli interessati avrebbero dovuto compilare due dichiarazioni fiscali, ma ciò sarebbe stato l’inevitabile conseguenza, ancorché spiacevole, in assenza di armonizzazione, dell’esercizio parallelo, da parte di due Stati membri, del loro potere impositivo ( 53 ). Qualsiasi altra soluzione, difatti, equivarrebbe, in sostanza, a contestare l’autonomia fiscale di ciascuno Stato membro.

66.

La ragione per la quale il governo portoghese non ha scelto tale opzione sembra evidente, vale a dire che esso ha voluto alleviare le formalità fiscali che sarebbero state altrimenti imposte ai non fiscalmente residenti ( 54 ).

67.

A mio parere, il Portogallo è quindi perfettamente legittimato a procedere in tal modo purché – ed è una condizione essenziale – consenta ai non residenti di optare per la tassazione delle plusvalenze esattamente allo stesso modo dei residenti. Ciò richiede che le plusvalenze conseguite in Portogallo non siano tassate in funzione dello scaglione marginale, ma siano ripartite nei diversi scaglioni che sarebbero stati applicati se tutti i redditi imponibili fossero stati tassati in Portogallo in proporzione alla plusvalenza realizzata in tale Stato membro come una parte del reddito complessivo. Infatti, non si può presumere che le plusvalenze realizzate in Portogallo corrispondano necessariamente a quelle che in siffatto scenario sarebbero rientrate nell’ultimo scaglione. Ciò significa che, per un soggetto passivo che disponga di redditi per EUR 25000 provenienti da altri Stati membri e per EUR 5000 in Portogallo, detti EUR 5000 non dovrebbero essere assoggettati ad imposta per l’esercizio fiscale 2017 all’aliquota del 37%, ma all’aliquota media che sarebbe stata applicabile se tutti i redditi fossero stati tassati in Portogallo, vale a dire, secondo le informazioni contenute nel fascicolo, al 27,95%.

68.

Nel formulare questo parere, non ho trascurato il fatto che la Corte ha dichiarato, al punto 162 della sentenza Test Claimants in the FII Group Litigation e al punto 53 della sentenza Gielen, che «un regime nazionale restrittivo delle libertà di stabilimento rimane comunque incompatibile con il diritto dell’Unione, quand’anche la sua applicazione sia facoltativa» ( 55 ). Occorre tuttavia sottolineare che la Corte, riunita Grande Sezione, ha seguito un approccio diverso nella sentenza Bevola e Jens W. Trock ( 56 ) e ha esaminato se la possibilità per i non residenti di optare per un altro regime facesse differenza per quanto riguardava la questione della non discriminazione.

69.

È difficile non pervenire alla conclusione che, con la sentenza Bevola e Jens W. Trock, la Corte si è quindi effettivamente discostata dalla richiamata giurisprudenza anteriore nella misura in cui essa consisteva nell’esaminare a tal fine e isolatamente ogni dettaglio della normativa tributaria di uno Stato membro. Si può altresì osservare che l’approccio adottato dalla Corte nelle sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation e Gielen poteva spiegarsi con le alternative esistenti in dette cause.

70.

Nella causa Test Claimants in the FII Group Litigation, i contribuenti interessati potevano in realtà scegliere tra due regimi i quali erano entrambi incompatibili con il diritto dell’Unione ( 57 ).

71.

Quanto alla causa Gielen, la scelta era tra un regime favorevole in ogni circostanza e un regime sempre sfavorevole al contribuente ( 58 ). Dal momento che non si aveva alcun vantaggio optando per la seconda alternativa, il fatto che uno Stato membro offrisse una scelta tra due opzioni non poteva avere altro obiettivo se non quello di indurre in errore taluni soggetti passivi. Per contro, come dichiarato dalla Corte nella sentenza Hirvonen, quando i cittadini dell’Unione possono optare per un regime che è complessivamente più favorevole del regime di imposizione ordinario e implica per i contribuenti non residenti uno sforzo inferiore rispetto a quello richiesto ai contribuenti residenti, la soluzione adottata nella sentenza Gielen è stata dichiarata inapplicabile ( 59 ).

72.

Alla luce di tali correnti giurisprudenziali contrastanti, qualora la Corte non dovesse seguire l’approccio adottato dalla Grande Sezione nella causa Bevola e Jens W. Trock, ritengo che la questione che occorre sollevare nella presente causa sia se un regime fiscale possa essere considerato discriminatorio rispetto a situazioni transfrontaliere in cui un cittadino dell’Unione può scegliere tra due opzioni, ciascuna con vantaggi e svantaggi, ma di cui una corrisponde esattamente al regime applicabile ai residenti.

73.

A mio avviso, la risposta a tale questione non potrebbe che essere negativa. Infatti, in un’economia di libero mercato, si deve supporre che i singoli agiscano in modo razionale ( 60 ). Pertanto, lo Stato membro non può essere considerato responsabile per il fatto che un soggetto passivo non abbia optato per il regime che avrebbe minimizzato il proprio onere fiscale ( 61 ). Oltretutto, il fatto che i non residenti dovessero scegliere, in funzione della loro situazione, quale fosse il miglior regime per loro, anziché vedersi imporre un regime specifico, non può costituire di per sé una forma di restrizione alla libera circolazione dei capitali. Affinché sia accertata l’esistenza di una restrizione, occorre che vi sia discriminazione. Conseguentemente, come ho indicato in precedenza, ciò che rileva è che i non residenti abbiano la facoltà, se lo desiderano, di scegliere di essere assoggettati all’imposta sulle plusvalenze esattamente sulla stessa base di quella applicabile ai residenti.

74.

Se, come previsto dall’articolo 65, paragrafo 1, lettera a), TFUE, non ci si può attendere un’uguaglianza completa e perfetta in materia fiscale, è il merito della denunciata discriminazione che occorre esaminare in tali casi. In siffatto contesto, non si può considerare una data disposizione di una normativa nazionale isolatamente senza tener altresì conto dell’insieme delle possibilità di cui dispongono gli interessati. Come ho spiegato, il solo fatto che i non residenti beneficino di una riduzione della base imponibile non è sufficiente, di per sé, per valutare l’esistenza di una disparità di trattamento: occorre altresì tener conto dell’insieme delle norme che concorrono a formare l’aliquota d’imposta effettiva ( 62 ).

75.

Nel caso di specie, è vero che l’aliquota d’imposta effettiva applicabile (vale a dire tenendo conto delle differenze tra le basi imponibili) è sempre più elevata per i cittadini dell’Unione non residenti che per i residenti. Si può tuttavia osservare che, per quanto riguarda l’aliquota marginale effettiva, tale differenza era dell’1,5% nel 2017 (a causa della creazione del prelievo supplementare di solidarietà), mentre era del 4% nel 2007, ossia l’anno fiscale considerato dalla sentenza Hollmann ( 63 ).

76.

Soprattutto, forse, è divenuto chiaro – come forse non era nella sentenza Hollmann – che i non residenti, pur dovendo fare una dichiarazione, non sono tenuti a dichiarare la totalità dei loro redditi presso l’amministrazione fiscale portoghese. Contrariamente ai residenti, i non residenti non sono quindi tenuti a completare tutti gli allegati della dichiarazione e a fornire loro documenti giustificativi. Dal momento che, secondo la giurisprudenza della Corte, gli oneri amministrativi supplementari sostenuti dai non residenti nell’ambito di un regime fiscale possono costituire una restrizione, per contro, il fatto che tali non residenti non debbano sopportare siffatti oneri deve parimenti essere preso in considerazione per determinare se detti soggetti passivi siano o meno sfavoriti da una misura fiscale ( 64 ).

77.

Se si esamina, ad esempio, la situazione di una persona che abbia guadagnato più di EUR 250000 nel corso dell’anno fiscale 2017 e che realizzi altresì, oltre ai suoi redditi, una plusvalenza derivante dalla vendita di un’autorimessa pari a EUR 5000, tale differenza ammonta solo approssimativamente a EUR 153 ( 65 ). Dato che, se detta persona sceglie di essere equiparata a un residente, dovrà dichiarare, come tutti i residenti, la totalità dei suoi redditi, compresi quelli provenienti da fonti non situate nel territorio dello Stato interessato e, eventualmente, giustificare questi ultimi, è immaginabile che, in circostanze del genere, tale non residente opterà per il regime dei non residenti.

78.

Ne consegue che il regime dei non residenti, che si applica su base puntuale ( 66 ), potrebbe, in talune circostanze, essere più vantaggioso per i residenti di un altro Stato membro che per i residenti dello Stato membro di tassazione. Tale ipotesi può certamente sembrare molto marginale, ma è tuttavia concreta. Pertanto, non è escluso che la decisione di optare per il regime per i non residenti sia il risultato di una scelta razionale,

79.

Sono del parere che, in ogni caso, le valutazioni della Corte alle quali essa è pervenuta nelle sentenze Test Claimants in the FII Group Litigation e Gielen, anche ove la Corte ritenga che tali decisioni costituiscano tuttora una giurisprudenza condivisibile, non possono essere trasposte senza riserve a una normativa come quella di cui trattasi nel procedimento principale nella presente causa. Il punto centrale, tuttavia, è che ai non residenti deve essere lasciata la possibilità di scegliere: essi devono essere informati circa il loro diritto di beneficiare dello stesso trattamento dei residenti ai fini dell’imposizione sul capitale, e successivamente devono poter esercitare questa opzione.

V. Conclusioni

80.

Alla luce di quanto precede, propongo dunque alla Corte di rispondere alla questione pregiudiziale sottopostale dal Tribunal Arbitral Tributário (Centro de Arbitragem Administrativa – CAAD) [Tribunale arbitrale tributario (Centro di arbitrato amministrativo), Portogallo] nel seguente modo:

L’articolo 63 TFUE deve essere interpretato nel senso che non osta a una normativa nazionale che assoggetta la tassazione delle plusvalenze ottenute con la cessione di un bene immobile situato in uno Stato membro da un soggetto residente in un altro Stato membro a un regime fiscale diverso da quello applicabile ai residenti, purché tale normativa offra ai non residenti la possibilità di optare per il regime fiscale applicabile ai residenti. In circostanze del genere, le autorità dello Stato membro interessato devono assicurarsi che la possibilità di effettuare una scelta siffatta sia stata portata a conoscenza dei non residenti in modo chiaro, tempestivo e comprensibile e che le conseguenze connesse al fatto che l’insieme dei redditi della persona interessata non sia tassato in tale Stato siano neutralizzate. Spetta tuttavia al giudice del rinvio verificare che questi ultimi requisiti siano soddisfatti.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio risulta che la nozione di «aliquota media» (colonna B della tabella qui riportata) si riferisce all’importo del reddito imponibile corrispondente al massimale di ogni scaglione d’imposta. I redditi imponibili che superano tale limite saranno tassati sulla base dell’«aliquota normale» (colonna A della tabella qui riportata) del successivo scaglione d’imposta.

( 3 ) V., in tal senso, sentenza del 23 febbraio 2006, van Hilten-van der Heijden (C‑513/03, EU:C:2006:131, punto 39).

( 4 ) V., in tal senso, sentenza del 16 marzo 1999, Trummer e Mayer (C‑222/97, EU:C:1999:143, punto 24).

( 5 ) V., in tal senso, sentenza del 15 novembre 2016, Ullens de Schooten (C‑268/15, EU:C:2016:874, punto 47).

( 6 ) V., in tal senso, sentenze del 16 ottobre 2014, Commissione/Germania (C‑100/13 non pubblicata, EU:C:2014:2293, punto 62) e del 22 marzo 2018, Jacob e Lassus (C‑327/16 e C‑421/16, EU:C:2018:210, punto 72).

( 7 ) V., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Tesco-Global Áruházak (C‑323/18, EU:C:2020:140, punto 55).

( 8 ) V., in tal senso, sentenza del 29 luglio 2019, Vethanayagam e a. (C‑680/17, EU:C:2019:627, punto 36).

( 9 ) Punto 32.

( 10 ) Punto 37.

( 11 ) Traduzione mia.

( 12 ) V., ad esempio, sentenza del 26 maggio 2005, António Jorge (C‑536/03, EU:C:2005:323, punto 15).

( 13 ) V., in tal senso, sentenza del 22 novembre 2018, Vorarlberger Landes- und Hypothekenbank (C‑625/17, EU:C:2018:939, punto 41).

( 14 ) A tal riguardo, ricordo che, affinché l’articolo 64 TFUE fosse applicabile, la misura avrebbe dovuto far parte dell’ordinamento giuridico dello Stato membro interessato a partire dal 31 dicembre 1993 senza soluzione di continuità, non in tutti i suoi dettagli, ma solo in modo sostanziale. V. sentenza del 26 febbraio 2019, X (Società intermediarie stabilite in paesi terzi) (C‑135/17, EU:C:2019:136, punto 38).

( 15 ) V., in tal senso, sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 191).

( 16 ) V. sentenza del 3 marzo 2020, Vodafone Magyarország (C‑75/18, EU:C:2020:139, punto 49). Il diritto dell’Unione non impone agli Stati membri di consultarsi per evitare doppie imposizioni del medesimo reddito né, viceversa, che un determinato reddito non sia tassato affatto. V. sentenza del 26 maggio 2016, NN (L) International (C‑48/15, EU:C:2016:356, punto 47).

( 17 ) V. sentenza del 30 aprile 2020, Société Générale (C‑565/18, EU:C:2020:318, punto 37). Per quanto riguarda l’onere amministrativo, gli Stati membri devono beninteso trattare in modo identico i residenti e i non residenti, ma unicamente nei limiti in cui essi sono assoggettati allo stesso regime, poiché altrimenti la differenza di onere amministrativo costituisce una mera estensione della differenza di regime e non deve quindi essere considerata isolatamente. V. sentenza del 14 aprile 2016, Sparkasse Allgäu (C‑522/14, EU:C:2016:253, punto 25).

( 18 ) Sentenza del 27 febbraio 2020, AURES Holdings (C‑405/18, EU:C:2020:127, punto 32).

( 19 ) Le questioni relative alla doppia imposizione sono in linea di principio trattate mediante convenzioni bilaterali o multilaterali.

( 20 ) È vero che, nella sentenza del 9 febbraio 2017, X (C‑283/15, EU:C:2017:102, punto 47), la Corte ha dichiarato che «la libertà degli Stati membri, in mancanza di misure di unificazione o di armonizzazione fornite dal diritto dell’Unione, di ripartirsi l’esercizio delle loro competenze in materia tributaria, segnatamente per evitare il cumulo di agevolazioni fiscali, deve conciliarsi con la necessità di garantire ai soggetti passivi degli Stati membri interessati che, globalmente, l’insieme della loro situazione personale e familiare sarà debitamente preso in considerazione, quale che sia il modo in cui gli Stati membri interessati si sono ripartiti tale obbligo». Tuttavia, nel medesimo punto, la Corte ha sottolineato che ciò si applicava a disparità di trattamento che non derivavano da disparità esistenti tra le normative tributarie nazionali. Il punto successivo precisa altresì che il soggetto passivo deve poter far valere la propria situazione personale e familiare in «ciascuno degli Stati membri di attività che concedono tale tipo di agevolazione fiscale». Pertanto, se gli Stati membri non sono tenuti a prevedere norme dirette a evitare un cumulo di agevolazioni o di svantaggi fiscali, quando lo fanno essi devono applicarle tanto ai residenti quanto ai non residenti.

( 21 ) V., ad esempio, sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 40).

( 22 ) V., ad esempio, sentenza del 14 novembre 2018, Memoria e Dall’Antonia (C‑342/17, EU:C:2018:906, punto 48).

( 23 ) V., ad esempio, sentenze del 6 dicembre 2007, Columbus Container Services (C‑298/05, EU:C:2007:754, punto 53), e del 26 maggio 2016, NN (L) International (C‑48/15, EU:C:2016:356, punto 47).

( 24 ) V., ad esempio, sentenze del 12 aprile 1994, Halliburton Services (C‑1/93, EU:C:1994:127, punto 15), e del 19 novembre 2015, Hirvonen (C‑632/13, EU:C:2015:765, punto 29).

( 25 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa Nordea Bank (C‑48/13, EU:C:2014:153, paragrafo 22).

( 26 ) Sentenza del 17 luglio 2014, Nordea Bank Danmark (C‑48/13, EU:C:2014:2087, punti 2324). V., altresì, conclusioni presentate dall’avvocato generale Kokott nella causa Staatssecretaris van Financiën (C‑87/13, EU:C:2014:2164). Per esempi più recenti di sentenze della Grande Sezione che accolgono questo approccio, v. sentenze del 5 febbraio 2014, Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C‑385/12, EU:C:2014:47, punto 41); del 3 marzo 2020, Vodafone Magyarország (C‑75/18, EU:C:2020:139, punto 54) o del 3 marzo 2020, Google Ireland (C‑482/18, EU:C:2020:141, punto 44).

( 27 ) V., ad esempio, sentenza del 13 marzo 2014, Bouanich (C‑375/12, EU:C:2014:138, punto 45).

( 28 ) V., ad esempio, sentenze del 26 aprile 2018, ANGED (C‑236/16, EU:C:2018:291, punto 17), e del 13 marzo 2019, Gemeinsamer Betriebsrat EurothermenResort Bad Schallerbach (C‑437/17, EU:C:2019:193, punto 18).

( 29 ) V., ad esempio, sentenza del 14 dicembre 2006, Denkavit Internationaal e Denkavit France (C‑170/05, EU:C:2006:783, punto 19). Alcune sentenze hanno suggerito che una misura fiscale fondata sul luogo di residenza costituisce una discriminazione diretta. V., ad esempio, sentenza del 26 aprile 2018, ANGED (C‑236/16, EU:C:2018:291, punto 17). La maggior parte delle sentenze ritengono tuttavia che si tratti di una discriminazione indiretta. V., ad esempio, sentenza del 14 febbraio 1995, Schumacker (C‑279/93, EU:C:1995:31, punto 29). Tale approccio deve, a mio avviso, essere approvato, in quanto la Corte esamina sistematicamente, in presenza di disparità di trattamento fondate sulla residenza, se tali differenze possano essere giustificate da motivi imperativi, mentre le discriminazioni dirette possono essere giustificate solo da motivi espressamente previsti dal Trattato. V. conclusioni presentate dall’avvocato generale Tizzano nella causa SEVIC Systems (C‑411/03, EU:C:2005:437, paragrafo 55). Inoltre, le nozioni di «domicilio fiscale» e quelle di «sede sociale» o di «sede principale», che possono servire a stabilire la nazionalità di una società quando uno Stato applica la teoria della sede legale, presentano differenze. Una società può essere considerata fiscalmente domiciliata in uno Stato senza avere la nazionalità di tale Stato ai sensi del diritto societario. V. sentenza del 13 luglio 1993, Commerzbank (C‑330/91, EU:C:1993:303, punto 15).

( 30 ) V., ad esempio, sentenze del 14 febbraio 1995, Schumacker (C‑279/93, EU:C:1995:31, punto 26), del 20 gennaio 2011, Commissione/Grecia (C‑155/09, EU:C:2011:22, punto 46), del 19 novembre 2015, Hirvonen (C‑632/13, EU:C:2015:765, punto 28), e del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza di associazione) (C‑78/18, EU:C:2020:476, punto 62).

( 31 ) V. Lenaerts, K., e Bernardeau, L., «L’encadrement communautaire de la fiscalité directe», Cahiers de droit européen, vol. 1, Bruylant, 2007, pagg. da 19 a 109, pagg. 36 e segg. È vero che il criterio di nazionalità può sembrare restrittivo, ma, in pratica, ha unicamente l’effetto di equiparare le discriminazioni fondate sulla residenza alle discriminazioni indirette. Per contro, si potrebbe ritenere che il primo approccio, nella misura in cui abbandona un criterio specifico, generi il rischio che il controllo della Corte sia guidato da considerazioni sociali e che, in tal modo, la Corte acceda alla possibilità di controllare non semplicemente la sussistenza di una discriminazione, ma più in generale l’articolazione dell’esercizio della competenza da parte degli Stati membri, e ciò nonostante il fatto che una sovrapposizione di competenze non debba essere considerata un ostacolo, bensì una conseguenza dell’esercizio parallelo delle proprie competenze da parte degli Stati.

( 32 ) Per giunta, in base al secondo approccio, una discriminazione può risultare anche dall’applicazione della stessa norma a situazioni diverse. V. sentenza del 6 dicembre 2007, Columbus Container Services (C‑298/05, EU:C:2007:754, punto 41).

( 33 ) V., ad esempio, sentenze del 26 febbraio 2019, X (Società intermediarie stabilite in paesi terzi) (C‑135/17, EU:C:2019:136, punto 64), e del 13 novembre 2019, College Pension Plan of British Columbia (C‑641/17, EU:C:2019:960, punto 65). Talvolta, la Corte fa altresì riferimento all’oggetto e al contenuto delle disposizioni nazionali di cui trattasi. V. sentenza del 18 dicembre 2014, Q (C‑133/13, EU:C:2014:2460, punto 22).

( 34 ) V., ad esempio, sentenza del 7 marzo 2017, RPO (C‑390/15, EU:C:2017:174, punto 51).

( 35 ) Se applicato in presenza di un criterio vietato, il primo approccio potrebbe persino condurre ad un risultato paradossale. Infatti, dato che con tale approccio, la comparabilità si valuta alla luce dell’obiettivo perseguito dalla misura di cui trattasi, qualora detta misura persegua appunto come obiettivo trattare in modo diverso due categorie di persone sulla base di un criterio vietato, non può essere constatata alcuna discriminazione, dal momento che, alla luce di tale obiettivo, queste due categorie devono essere considerate non comparabili.

( 36 ) Una mancanza di coerenza nella legislazione nazionale non implica necessariamente l’esistenza di una restrizione a una delle libertà di circolazione. Una misura, infatti, può essere incoerente con i propri obiettivi senza necessariamente svantaggiare gli stranieri o i non residenti. Ciò detto, mentre la coerenza della normativa con i propri obiettivi non dovrebbe essere decisiva nella fase di valutazione della sussistenza di una restrizione, essa è tuttavia rilevante nell’esaminare la giustificazione di detta misura. Infatti, affinché una restrizione sia compatibile con il diritto dell’Unione, essa deve non solo essere giustificata, ma anche essere proporzionata a tale giustificazione, il che esige che una normativa persegua un siffatto obiettivo in modo coerente e sistematico. V., ad esempio, sentenza del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza di associazione) (C‑78/18, EU:C:2020:476, punto 76).

( 37 ) V., ad esempio, sentenza del 30 giugno 2016, Feilen (C‑123/15, EU:C:2016:496, punto 27). Altre sentenze precisano che la comparabilità delle situazioni di cui trattasi deve essere esaminata alla luce delle «disposizioni nazionali in questione». V. sentenza del 27 febbraio 2020, AURES Holdings (C‑405/18, EU:C:2020:127, punto 37).

( 38 ) Il criterio da applicare per determinare se un aiuto sia selettivo o per accertare l’esistenza di una restrizione è relativamente simile a una verifica di assenza di discriminazione. Il requisito della selettività consiste nel verificare «se, nell’ambito di un dato regime giuridico, un provvedimento statale sia tale da favorire “talune imprese o talune produzioni” ai sensi dell’[articolo 107], paragrafo 1, del Trattato [FUE] rispetto ad altre imprese che si trovino in una situazione fattuale e giuridica analoga tenuto conto dell’obiettivo perseguito dal provvedimento interessato». Sentenza dell’8 novembre 2001, Adria-Wien Pipeline e Wietersdorfer & Peggauer Zementwerke (C‑143/99, EU:C:2001:598, punto 41). A mio avviso, esiste tuttavia una differenza tra i due casi, vale a dire che, in materia di aiuti di Stato, la comparabilità deve essere valutata da un punto di vista economico e non giuridico. Pertanto, basandosi sull’obiettivo perseguito dalla misura di cui trattasi o sul contesto di riferimento, gli operatori che dovrebbero essere considerati in una situazione comparabile sono tutti gli operatori attivi sul mercato nel quale la misura di cui trattasi potrebbe produrre i suoi effetti.

( 39 ) V. sentenza del 22 dicembre 2008, British Aggregates/Commissione (C‑487/06 P, EU:C:2008:757, punti da 80 a 87).

( 40 ) Sentenze dell’8 settembre 2011, Paint Graphos (da C‑78/08 a C‑80/08, EU:C:2011:550, punto 76), e del 19 dicembre 2018, A-Brauerei (C‑374/17, EU:C:2018:1024, punto 37).

( 41 ) Cause riunite del 7 novembre 2019, UNESA e a. (da C‑105/18 a C‑113/18, EU:C:2019:935, punto 61).

( 42 ) Conclusioni presentate dall’avvocato generale Wahl nella causa Andres/Commissione (C‑203/16 P, EU:C:2017:1017, paragrafo 109) e sentenza del 28 giugno 2018, Andres (fallimento Heitkamp BauHolding)/Commissione (C‑203/16 P, EU:C:2018:505, punto 103).

( 43 ) Tuttavia, l’ottica deve essere differente quando la situazione di cui trattasi nella causa principale è la conseguenza della qualificazione di un’operazione e quando, a tal fine, l’amministrazione tributaria ha esaminato varie disposizioni al fine di escludere successivamente l’applicazione di altri regimi fiscali, come nella causa C‑480/19, Veronsaajien oikeudentayksikkö (una causa nella quale saranno parimenti presentate oggi le mie conclusioni). Infatti, nei limiti in cui, in tale situazione, ciascuna di tali disposizioni determina l’ambito di applicazione di detti rispettivi regimi e non l’importo dell’imposta da versare, ciascuna di tali disposizioni dovrebbe essere considerata una misura autonoma e, quindi, oggetto di un esame individuale.

( 44 ) Punto 61. Il corsivo è mio. È vero che, al punto 40 di tale sentenza, la Corte ha affermato quanto segue: «la previsione di una base imponibile pari al 50% per le plusvalenze conseguite unicamente da soggetti passivi residenti in Portogallo, e non da soggetti passivi non residenti, costituisce una restrizione ai movimenti di capitali, proibita dall’art. 56 CE». La Corte, tuttavia, non si è limitata a questa conclusione, ma ha poi affermato che la restrizione consisteva nel fatto che i soggetti passivi non residenti in Portogallo erano di conseguenza gravati da maggiore imposta. V., ad esempio, punto 51. Se ne può forse dedurre che il punto 40 fosse soltanto una conclusione provvisoria. Effettivamente, ciò che può penalizzare un contribuente non residente è l’importo finale dell’imposta. V., in tal senso, sentenza del 3 marzo 2020, Tesco-Global Áruházak (C‑323/18, EU:C:2020:140, punto 68).

( 45 ) V. sentenza del 12 giugno 2003, Gerritse (C‑234/01, EU:C:2003:340, punto 47).

( 46 ) V., in tal senso, sentenza del 1o aprile 2008, Governo della Comunità francese e Governo vallone (C‑212/06, EU:C:2008:178, punto 52). Pertanto, ritenere che possa sussistere discriminazione poiché i diversi metodi di calcolo applicati conducono ad un risultato «complessivo» equivalente non mi sembra conforme né a questo orientamento giurisprudenziale né all’essenza stessa del singolo diritto che i cittadini dell’Unione traggono dalle libertà di circolazione.

( 47 ) A tal riguardo, il governo portoghese fa valere in particolare che, se il ricorrente avesse voluto optare per il regime dei residenti e fruire così di detto beneficio, avrebbe potuto rettificare la sua dichiarazione, nell’ambito di una domanda di pagamento ex gratia, in applicazione dell’articolo 140 del CIRS, in combinato disposto con le istruzioni contenute nella circolare dell’ATA n. 20162 del 29 ottobre 2012.

( 48 ) Può sembrare che la soluzione adottata dalla Corte nell’ordinanza del 6 settembre 2018, Patrício Teixeira (C‑184/18, non pubblicata, EU:C:2018:694) avalli una siffatta pretesa. Infatti, in suddetta ordinanza, la Corte si è basata unicamente sul fatto che i regolamenti in discussione prevedevano una riduzione del 50%, senza esaminare la normativa applicabile nel suo insieme, per concludere nel senso dell’esistenza di una restrizione. Tuttavia, come è stato spiegato, tale soluzione deve contestualizzare le informazioni comunicate alla Corte dal giudice del rinvio, le quali si riferivano solo alla riduzione del 50% del valore della plusvalenza da prendere in considerazione a favore dei soli residenti.

( 49 ) V., in tal senso, sentenza del 14 aprile 2016, Sparkasse Allgäu (C‑522/14, EU:C:2016:253, punto 20).

( 50 ) Secondo il parere della Commissione espresso in udienza, il ricorrente avrebbe potuto scegliere tra un regime illegittimo e uno lecito. Tuttavia, occorre sottolineare che l’asserita illegittimità dell’opzione di imposizione ad aliquota fissa è fondata sul suo carattere discriminatorio. Pertanto, tale regime sarebbe illegittimo non per sua natura, ma in confronto al regime applicato al residente. Pertanto, poiché, a mio parere, dal momento in cui i non residenti possono scegliere di essere assoggettati ad imposta esattamente allo stesso modo dei residenti, viene meno qualsiasi discriminazione, si deve logicamente ritenere che il suddetto ricorrente possa scegliere tra due opzioni valide.

( 51 ) Interrogata in udienza su tale punto, la Commissione ha riconosciuto le difficoltà di decidere il modo in cui il Portogallo avrebbe dovuto applicare la decisione Hollmann. La Commissione ha tuttavia osservato che, se il Portogallo applicasse lo stesso regime impositivo fondato sulla presa in considerazione di tutti i redditi ai residenti e ai non residenti per stabilire l’aliquota d’imposta, nessuna discriminazione potrebbe essere debitamente constatata.

( 52 ) Gli Stati membri non sono tenuti a imporre l’applicazione di un regime; infatti, essi possono lasciare al singolo contribuente la scelta di quale intendano vedersi applicare. V., per analogia, sentenza del 16 aprile 2015, Commissione/Germania (C‑591/13, EU:C:2015:230, punto 73).

( 53 ) V., ad esempio, sentenza dell’8 dicembre 2011, Banco Bilbao Vizcaya Argentaria (C‑157/10, EU:C:2011:813, punto 38). In effetti, qualsiasi soluzione contraria equivarrebbe a contestare la possibilità per gli Stati di esercitare parallelamente le loro attribuzioni. A tal riguardo, tengo a precisare che, poiché ritengo che non sia stata dimostrata alcuna discriminazione, non occorre verificare che sia soddisfatto il criterio di proporzionalità alla luce del diritto dell’Unione. Infatti, tale verifica del criterio di proporzionalità è richiesta solo nella fase della giustificazione. V., ad esempio, sentenza del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza di associazione) (C‑78/18, EU:C:2020:476, punto 76).

( 54 ) È vero che, in una situazione del genere, i residenti sono svantaggiati in quanto non dispongono della possibilità di beneficiare di tale riduzione delle formalità. Tuttavia, come è stato ricordato, il diritto dell’Unione non vieta le discriminazioni al contrario. V., in tal senso, sentenza del 16 giugno 1994, Steen (C‑132/93, EU:C:1994:254, punto 11).

( 55 ) Sentenze del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 162), e del 18 marzo 2010, Gielen (C‑440/08, EU:C:2010:148, punto 53).

( 56 ) Sentenza del 12 giugno 2018, Bevola e Jens W. Trock (C‑650/16, EU:C:2018:424, punto 25).

( 57 ) Nella causa Test Claimants in the FII Group Litigation, l’altra opzione considerata da tale sentenza era quella descritta al suo punto 15, che la Corte aveva già constatato essere parimenti svantaggiosa. V. sentenza del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punti da 61 a 65).

( 58 ) V. sentenza del 18 marzo 2010, Gielen (C‑440/08, EU:C:2010:148, punto 40). Infatti, la sola differenza tra i due regimi, secondo la descrizione della Corte, consisteva nel fatto che uno solo di essi consentiva di tener conto delle ore di lavoro effettuate in un altro Stato membro.

( 59 ) Sentenza del 19 novembre 2015, Hirvonen (C‑632/13, EU:C:2015:765, punto 43).

( 60 ) V., in tal senso, sentenza del 4 ottobre 2017, Mercedes-Benz Financial Services UK (C‑164/16, EU:C:2017:734, punto 38).

( 61 ) V., per analogia, sentenza del 30 gennaio 2020, Köln-Aktienfonds Deka (C‑156/17, EU:C:2020:51, punti 6465).

( 62 ) Sentenza del 9 marzo 2017, Milkova (C‑406/15, EU:C:2017:198, punto 56).

( 63 ) V. sentenza dell’11 ottobre 2007, Hollmann (C‑443/06, EU:C:2007:600, punti 7, 938).

( 64 ) V., in tal senso, sentenze del 31 gennaio 1984, Commissione/Irlanda (74/82, EU:C:1984:34, punto 51); del 18 ottobre 2012, X (C‑498/10, EU:C:2012:635, punto 32), nonché del 30 gennaio 2020, Köln-Aktienfonds Deka (C‑156/17, EU:C:2020:51, punto 62). Tuttavia, ciò non avviene se tali oneri sono giustificati alla luce della situazione particolare dei non residenti e proporzionati a quanto necessario ai fini della riscossione dell’imposta. V., in tal senso, sentenza del 30 aprile 2020, Société Générale (C‑565/18, EU:C:2020:318, punto 37).

( 65 ) Come esposto in precedenza, deve essere presa in considerazione l’aliquota media (in questo esempio del 44,9%, alla quale si aggiunge il 5% dell’imposta di solidarietà) e non l’aliquota marginale. La differenza sarebbe quindi pari a EUR 152,32 e non a EUR 75.

( 66 ) Sulla rilevanza di tale circostanza, v. sentenza del 3 marzo 2020, Tesco-Global Áruházak (C‑323/18, EU:C:2020:140, punto 72).