CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 16 settembre 2020 ( 1 )

Causa C‑218/19

Adina Onofrei

contro

Conseil de l’ordre des avocats au barreau de Paris,

Bâtonnier de l’ordre des avocats au barreau de Paris,

Procureur général près la cour d’appel de Paris

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Cour de cassation (Corte di Cassazione, Francia)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Libera circolazione delle persone – Libertà di stabilimento – Accesso alla professione forense – Esonero dalla formazione e dal certificato di idoneità professionale – Prassi nazionale che limita l’esonero ai dipendenti pubblici che abbiano operato nel settore del diritto nazionale, sul territorio nazionale e nel pubblico impiego nazionale»

I. Introduzione

1.

La sig.ra Adina Onofrei (in prosieguo: la «ricorrente») ha sia la cittadinanza portoghese che quella rumena. Ella è titolare di due lauree specialistiche e di un dottorato in giurisprudenza ottenuti presso le Université Paris I e Paris II. La ricorrente ha lavorato alla Commissione europea per più di otto anni in qualità di amministratrice. La medesima ha chiesto di essere iscritta all’Ordre des avocats au barreau de Paris (in prosieguo: l’«ordine degli avvocati di Parigi»), basandosi su uno degli esoneri, previsti dalla normativa francese, dall’obbligo di detenere il certificato di idoneità professionale (e dunque la formazione professionale obbligatoria), per «i funzionari e gli ex funzionari di categoria A e le persone assimilate ai funzionari di tale categoria che abbiano svolto attività giuridiche in detta qualità, per almeno otto anni, in un’amministrazione, in un servizio pubblico o in un’organizzazione internazionale».

2.

La domanda della ricorrente è stata respinta dall’ordine degli avvocati di Parigi per il motivo che ella non appartiene al pubblico impiego francese, né è stata distaccata dal pubblico impiego francese presso un’organizzazione internazionale, né ha svolto attività giuridiche sul territorio francese. La decisione dell’ordine degli avvocati di Parigi è stata confermata in appello, con la motivazione dichiarata che la ricorrente non aveva dimostrato di aver precedentemente svolto alcuna attività giuridica nell’ambito del diritto francese. La Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia), adita con impugnazione su questioni di diritto, si interroga ora circa la compatibilità di tali disposizioni nazionali, o piuttosto della loro interpretazione e prassi applicativa, con gli articoli 45 e 49 TFUE.

II. Contesto normativo

3.

L’articolo 11 della loi n. 71‑1130 portant réforme de certaines professions judiciaires et juridiques (legge n. 71‑1130 sulla riforma di talune professioni giudiziarie e giuridiche; in prosieguo: la «legge n. 71‑1130»), del 31 dicembre 1971, così dispone:

«Può accedere alla professione forense solo chi soddisfa i seguenti requisiti:

1.   essere francese, cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea o parte dell’accordo sullo Spazio economico europeo (…);

2.   essere titolare perlomeno di una laurea specialistica in giurisprudenza o di titoli o diplomi riconosciuti come equivalenti, fatte salve le disposizioni regolamentari adottate in applicazione della direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, come modificata, nonché quelle riguardanti coloro i quali abbiano svolto talune funzioni o attività in Francia (…);

3.   essere titolare del certificato di idoneità alla professione forense, fatte salve le disposizioni regolamentari di cui al precedente punto 2), oppure nell’ambito del riconoscimento reciproco, dell’esame previsto dall’ultimo comma del presente articolo;

4.   non aver commesso atti da cui sia derivata una condanna penale per atti contrari alle norme in materia di onore, probità o moralità;

(…)

6.   non essere stato colpito da fallimento a titolo individuale o da altre sanzioni (…)».

4.

L’articolo 98 del décret n. 91‑1197 organisant la profession d’avocat (decreto n. 91‑1197 sull’ordinamento della professione forense; in prosieguo: il «decreto n. 91‑1197»), del 27 novembre 1991, prevede che «[siano] esonerati dalla formazione teorica e pratica e dal certificato di idoneità alla professione forense:

1.   i notai, gli ufficiali giudiziari e i cancellieri di tribunali commerciali, gli amministratori giudiziari e i rappresentanti incaricati dal tribunale del riassestamento e della liquidazione di imprese, gli ex amministratori fiduciari e amministratori giudiziari, gli avvocati specializzati in proprietà industriale e gli ex avvocati specializzati in brevetti (invenzioni) che abbiano svolto tali attività per almeno cinque anni;

2.   i professori universitari, i professori incaricati e il personale docente, se titolari di un dottorato in giurisprudenza, economia o amministrazione, supportato da cinque anni di insegnamento giuridico in detta qualità in unità di formazione e ricerca;

3.   i giuristi d’impresa che abbiano maturato almeno otto anni di esperienza professionale presso l’ufficio legale di una o più imprese;

4.   i funzionari e gli ex funzionari di categoria A e le persone assimilate ai funzionari di tale categoria che abbiano svolto attività giuridiche in detta qualità, per almeno otto anni, in un’amministrazione, in un servizio pubblico o in un’organizzazione internazionale;

5.   i giuristi che abbiano svolto per almeno otto anni attività giuridiche presso un’organizzazione sindacale;

6.   i giuristi assunti da un avvocato, un’associazione o una società di avvocati, uno studio di avvocati abilitati al patrocinio dinanzi al Conseil d’État (Consiglio di Stato, Francia) e alla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia), che abbiano maturato almeno otto anni di esperienza professionale in detta qualità dopo aver conseguito il titolo o la qualifica di cui all’articolo 11, paragrafo 2, della legge del 31 dicembre 1971 sopra citata;

7.   i dipendenti di un deputato o gli assistenti di un senatore che abbiano svolto attività giuridiche a titolo principale a livello dirigenziale per almeno otto anni in detta qualità;

Le persone di cui ai punti 3, 4, 5, 6 e 7 possono aver svolto le loro attività in più funzioni contemplate dalle disposizioni di cui trattasi a condizione che la durata totale di dette attività non sia inferiore ad otto anni».

5.

L’articolo 98‑1, paragrafo 1, del medesimo decreto dispone quanto segue:

«Coloro che beneficiano dell’esonero di cui all’articolo 98 devono aver superato con esito positivo, dinanzi alla commissione selezionatrice prevista dall’articolo 69, un esame per verificare la loro conoscenza della deontologia e delle norme che disciplinano la professione».

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

6.

La ricorrente, di nazionalità portoghese e rumena, è titolare di due lauree specialistiche e di un dottorato in giurisprudenza ottenuti rispettivamente presso le Universités Paris I e Paris II. Per più di otto anni ella ha lavorato alla Commissione europea in qualità di amministratrice, in particolare presso la direzione generale del Mercato interno e presso la direzione generale della Concorrenza. Nel corso di tale periodo, si è occupata principalmente di casi relativi ad aiuti di Stato e alle intese.

7.

La ricorrente ha chiesto di essere iscritta all’ordine degli avvocati di Parigi. Ricorrendo a quanto sembra tutti gli altri requisiti di cui all’articolo 11 della legge n. 71‑1130, compreso l’obbligo di aver conseguito in Francia tutti i diplomi in giurisprudenza richiesti, ella ha invocato l’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 per ottenere l’esonero dal certificato di idoneità professionale, altrimenti obbligatorio, ossia il «certificat d’aptitude à la profession d’avocat» (certificato di idoneità alla professione forense; in prosieguo: il «certificato di idoneità»).

8.

Allo stesso modo, la ricorrente ha anche chiesto la concessione dell’esonero dal percorso di formazione preparatorio, altrimenti obbligatorio, che, una volta completato in modo proficuo, porta al conseguimento del certificato di idoneità. Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Parigi e il presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi spiegano che detto percorso di formazione ha una durata di diciotto mesi, prevede un tirocinio presso uno studio legale e si conclude con il superamento di un esame finale.

9.

La ricorrente ritiene che l’attività svolta presso la Commissione europea soddisfi i requisiti per l’esonero previsti dall’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197.

10.

Tuttavia, il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Parigi ha respinto la sua domanda perché la ricorrente non era membro del pubblico impiego francese né era distaccata dal pubblico impiego francese presso un’organizzazione internazionale. Inoltre, il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Parigi ha altresì dichiarato che la sua esperienza professionale non era stata acquisita sul territorio francese.

11.

La ricorrente ha adito la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi, Francia). Con sentenza dell’11 maggio 2017, detto giudice ha confermato la decisione impugnata. Il medesimo giudice ha dichiarato che l’esperienza professionale della ricorrente deve essere valutata in concreto al fine di stabilire se l’esperienza della ricorrente corrisponda alla formazione, alle competenze e alle responsabilità proprie dei funzionari di categoria A. Esso ha inoltre affermato che occorre assicurare che l’avvocato abbia una conoscenza soddisfacente dell’ordinamento nazionale per garantire il pieno, rilevante ed effettivo esercizio dei diritti delle parti.

12.

La cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) ha quindi elencato le posizioni pertinenti che la ricorrente ha ricoperto nell’ambito dei servizi prestati presso la Commissione europea. Ha poi illustrato le specifiche mansioni svolte dalla ricorrente in dette posizioni. Su tale base, il giudice di cui trattasi ha concluso che dalle mansioni indicate non emergeva alcuna applicazione del diritto francese, il che non giustificava pertanto la conclusione che la ricorrente avesse effettivamente praticato alcun diritto nazionale. Pertanto, l’esperienza giuridica acquisita dalla ricorrente non corrispondeva ai criteri di cui all’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197.

13.

La ricorrente ha proposto ricorso per cassazione dinanzi alla Cour de cassation (Corte di cassazione). A suo avviso, la sentenza della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) interpretava in senso troppo restrittivo l’esonero in questione. L’interpretazione che esige la pratica del diritto francese, nonché un’esperienza professionale maturata in Francia trascura, a suo avviso, il fatto che il diritto dell’Unione costituisce parte integrante del diritto nazionale. Ciò comporta una discriminazione indiretta a favore dei funzionari del pubblico impiego francese, a scapito dei funzionari della funzione pubblica dell’Unione e costituisce una limitazione della libera circolazione dei lavoratori e della libertà di stabilimento. Pur riconoscendo la legittimità dell’obiettivo di garantire una difesa effettiva dei diritti delle parti, i mezzi utilizzati a tal fine non sono idonei ed eccedono quanto necessario al raggiungimento del medesimo scopo. Al riguardo, la ricorrente ha contestato il modo in cui era stata valutata la sua esperienza professionale. Ella sosteneva che chiederle di provare le sue competenze avrebbe costituito una misura meno restrittiva ai fini del raggiungimento di detto obiettivo.

14.

Il giudice del rinvio prende atto del fatto che possono in effetti sorgere dubbi sul fatto che il regime di cui trattasi possa essere considerato una limitazione della libera circolazione dei lavoratori e della libertà di stabilimento. A suo avviso, l’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 subordina l’esonero in oggetto a tre requisiti cumulativi, i quali postulano che i richiedenti (i) appartengano al pubblico impiego francese, (ii) abbiano maturato un’esperienza professionale in Francia, e (iii) abbiano pratica del diritto francese. Detto giudice rileva, inoltre, che in base all’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 non occorre che il richiedente dimostri la conoscenza degli organi giurisdizionali nazionali o dei procedimenti che si svolgono dinanzi ad essi.

15.

In tali circostanze, la Cour de cassation (Corte di cassazione) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.

Se il principio secondo cui il Trattato che istituisce la Comunità economica europea, divenuto, in seguito alle relative modifiche, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ha istituito un ordinamento giuridico proprio, integrato negli ordinamenti giuridici degli Stati membri e che si impone ai loro giudici, osti a una normativa nazionale che subordini la concessione di un esonero dai requisiti inerenti alla formazione e al diploma previsti, in linea di principio, per l’accesso alla professione forense, alla condizione che l’autore della domanda di esonero disponga di una conoscenza sufficiente del diritto nazionale di origine francese, escludendo in tal modo la considerazione di una conoscenza analoga del solo diritto dell’Unione europea.

2.

Se gli articoli 45 e 49 [TFUE] ostino a una legislazione nazionale che riservi il beneficio dell’esonero dai requisiti inerenti alla formazione e al diploma previsti, in linea di principio, per l’accesso alla professione forense, a taluni agenti del pubblico impiego del relativo Stato membro che in tale qualità abbiano svolto, in Francia, attività giuridiche in un’amministrazione, in un servizio pubblico o in un’organizzazione internazionale, ed escluda dal beneficio di detto esonero gli agenti o ex agenti della funzione pubblica europea che, in tale qualità, abbiano svolto attività giuridiche in uno o più settori del diritto dell’Unione europea, in seno alla Commissione europea».

16.

La ricorrente, il Consiglio e il presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi, i governi greco e francese, nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Dette parti, ad eccezione del governo greco, hanno altresì presentato osservazioni orali all’udienza tenutasi il 17 giugno 2020.

IV. Valutazione

17.

Le presenti conclusioni sono articolate come segue. Mi concentrerò anzitutto sugli esatti requisiti derivanti dall’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 e a tale riguardo chiarirò anche l’oggetto preciso delle questioni pregiudiziali sollevate dal giudice del rinvio (A). Esaminerò quindi la compatibilità dei requisiti in oggetto, come descritti dal giudice del rinvio, con gli articoli 45 e 49 TFUE (B).

A.   Osservazioni preliminari

18.

Prima di valutare la compatibilità del regime nazionale di cui trattasi nel procedimento principale con il diritto dell’Unione, occorre evidentemente determinarne il contenuto effettivo. Purtroppo, non si tratta di un esercizio semplice nel caso di specie, come verrà spiegato nella prossima sezione.

1. Requisiti previsti dall’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197

19.

L’articolo 11, punto 3, della legge n. 71‑1130 prevede che la possibilità di esercitare la professione forense in Francia è subordinata, salvo deroghe, al conseguimento del certificato di idoneità. L’articolo 98 del decreto n. 91‑1197 stabilisce tali deroghe in relazione a detto certificato di idoneità.

20.

L’esonero di cui trattasi nel procedimento principale è previsto dall’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197. Nella sua formulazione, tale articolo enuncia tre requisiti: (i) i «funzionari di categoria A e le persone assimilate ai funzionari di tale categoria, (ii) che abbiano svolto «attività giuridiche (…) per almeno otto anni», e (iii) che abbiano svolto tali attività «in un’amministrazione, in un servizio pubblico o in un’organizzazione internazionale».

21.

Il giudice del rinvio ha osservato che detto esonero è, a livello giurisprudenziale, inteso nel senso che i richiedenti devono soddisfare tre requisiti cumulativi: (i) appartenere al pubblico impiego francese, (ii) avere svolto attività giuridiche sul territorio francese, e (iii) avere praticato il diritto francese.

22.

Devo ammettere che non mi è immediatamente chiaro da quale dei requisiti enunciati nel testo dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 derivino siffatta giurisprudenza e siffatti requisiti. Inoltre, né il caso concreto nel procedimento principale, né ciò che sembra costituire la più ampia prassi applicativa a livello nazionale aiutano davvero l’interprete a comprendere quali requisiti siano di fatto applicabili a livello nazionale ai sensi dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197.

23.

A livello del caso concreto nel procedimento principale, rilevo anzitutto che la domanda della ricorrente è stata respinta dal Consiglio dell’ordine degli avvocati di Parigi in quanto ella non apparteneva al pubblico impiego francese né era distaccata in tale qualità presso un’organizzazione internazionale. Inoltre, il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Parigi ha evidenziato, richiamando al riguardo in modo generale «la giurisprudenza della Cour de cassation (Corte di cassazione)» in materia, che l’esperienza professionale della ricorrente non era nemmeno stata acquisita sul territorio francese.

24.

In secondo luogo, la cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi), pur avendo confermato la decisione di rigetto, ha tuttavia fondato la sua conclusione su un motivo diverso, ossia che la ricorrente non soddisfaceva il requisito inerente alla pratica del diritto francese. Detto giudice sosteneva che la valutazione della pratica rilevante del diritto francese deve essere effettuata in concreto. Dopo aver effettuato una valutazione di tale natura, il giudice di cui trattasi ha concluso che la ricorrente non aveva dimostrato di avere alcuna esperienza nell’ambito del diritto francese.

25.

In terzo luogo, il giudice del rinvio afferma che, affinché sia applicabile l’esonero in oggetto, i richiedenti devono soddisfare i tre requisiti cumulativi indicati al paragrafo 21 delle presenti conclusioni.

26.

A livello più generale, il funzionamento esatto dell’esonero di cui trattasi non risulta molto più chiaro se illustrato con alcuni degli esempi di giurisprudenza nazionale che sono stati addotti dal giudice del rinvio e dalle parti del presente procedimento. Detti esempi rivelano una notevole varietà di approcci nell’interpretazione dei requisiti di cui all’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197.

27.

Per quanto riguarda, in primo luogo, il requisito dell’appartenenza al pubblico impiego francese, il governo francese ha contestato fortemente l’esistenza stessa di tale requisito. Il governo di cui trattasi ha sostenuto che, a suo avviso, siffatto requisito non proviene né dall’articolo 11 della legge n. 71‑1130, che menziona solo lo svolgimento di attività in Francia ( 2 ), né dall’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197, che fa riferimento, in linea di principio, a persone assimilate ai funzionari di «categoria A» («les personnes assimilées» nell’originale francese).

28.

Alcuni degli esempi giurisprudenziali forniti nel presente procedimento riguardano domande presentate da funzionari delle Nazioni Unite o dell’Unione europea ( 3 ). I motivi per cui dette domande non sono state accolte sembrano in realtà fondati non sulla mancata appartenenza al pubblico impiego francese, ma sulla mancanza di pratica del diritto francese o sul mancato rispetto del requisito della territorialità. Tuttavia, rilevo parimenti che la cour d’appel d’Aix-en-Provence (Corte d’appello di Aix-en-Provence, Francia) ha ammesso che i requisiti in questione fossero soddisfatti da parte di un funzionario del Principato di Monaco di nazionalità francese. In una decisione che è stata oggetto di una certa discussione in udienza, detto giudice ha dichiarato che il diritto di Monaco è molto simile al diritto francese e che le funzioni svolte dal richiedente potrebbero rientrare nella categoria A dei funzionari francesi o delle persone assimilate ad essi ( 4 ). La domanda di esonero è stata dunque concessa ad una persona che evidentemente non apparteneva al pubblico impiego francese.

29.

La formulazione dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 rende l’esonero in questione applicabile anche ai funzionari che abbiano svolto le proprie attività in un’organizzazione internazionale. Non è chiaro se detto elemento si applichi a qualsiasi funzionario di un’organizzazione internazionale (avente sede in Francia) o se si applichi solo a membri del pubblico impiego francese che siano stati distaccati presso un’organizzazione internazionale. La decisione del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Parigi nel procedimento principale sembra basarsi su quest’ultima interpretazione.

30.

Per quanto riguarda, in secondo luogo, il requisito di territorialità, il giudice del rinvio ha spiegato che esso è applicabile anche quando l’attività legale è stata svolta presso un’organizzazione internazionale. Tale lettura è il risultato di un’interpretazione basata sull’articolo 11, punto 2, della legge n. 71‑1130. Detta disposizione verte sull’esonero dall’obbligo di possesso di un diploma di laurea in giurisprudenza e precisa, per quanto rileva nel caso di specie, che esso si applica a coloro i quali abbiano svolto talune funzioni in Francia. Risulta che la giurisprudenza nazionale abbia rinviato a detta disposizione anche prendendo in considerazione l’esonero relativo al certificato di idoneità, benché l’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 non contenga alcunché al riguardo.

31.

Mi risulta che un ragionamento simile sia stato seguito dalle competenti autorità francesi ( 5 ) con riguardo agli esoneri previsti per i giuristi d’impresa (ai sensi dell’articolo 98, punto 3, del decreto n. 91‑1197 ( 6 )) e per persone che abbiano svolto attività giuridiche presso un’organizzazione sindacale (ai sensi dell’articolo 98, punto 5, del medesimo decreto ( 7 )). Pertanto, analogamente all’articolo 98, punto 4, anche l’articolo 98, punti 3 e 5 erano interpretati nel senso che essi prevedono un requisito di territorialità, anche se dette disposizioni non ne includono uno, a differenza dell’articolo 11, punto 2, della legge n. 71‑1130 ( 8 ).

32.

In terzo luogo, per quanto riguarda il requisito relativo alla pratica del diritto francese, risulta sia stato affermato che, sebbene la nozione di «diritto francese» possa essere interpretata come comprensiva del diritto dell’Unione, essa non può essere limitata a quest’ultimo. Ritengo che detta interpretazione della nozione di «diritto francese», unita alla necessità di interpretare in senso restrittivo l’esonero in questione, abbia portato a respingere ripetutamente le domande presentate da funzionari dell’Unione.

33.

La Corte è vincolata dal diritto nazionale, come precisato dal giudice del rinvio. Pertanto, nelle considerazioni che seguono, valuterò la compatibilità con il diritto dell’Unione dei tre requisiti (cumulativi), come indicati nell’ordinanza di rinvio e (ri)confermati nelle precisazioni scritte fornite dalla Cour de cassation (Corte di cassazione) e dal suo procureur général (procuratore generale) a seguito di una richiesta della Corte.

34.

Tuttavia, in tale contesto, prendo altresì in considerazione due elementi su cui tornerò alla fine delle presenti conclusioni. Anzitutto, sembra esservi una certa dissonanza tra i requisiti per l’esonero come stabiliti nel testo dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1997 e quelli apparentemente applicati nella prassi. In secondo luogo, esiste una notevole varietà nell’applicazione pratica di tali requisiti, che chiaramente va oltre il fatto di conseguire risultati diversi in casi diversi sotto il profilo fattuale: la differenza riguarda l’interpretazione degli stessi requisiti giuridici.

2. Riformulazione delle questioni pregiudiziali

35.

Con la sua prima questione, il giudice del rinvio si interroga circa l’obbligo, previsto dall’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197, di conoscenza del diritto francese. Il giudice del rinvio si chiede se detto requisito tenga nel debito conto il fatto che, in breve, il diritto dell’Unione è parte integrante degli ordinamenti nazionali degli Stati membri.

36.

In primo luogo, dall’ordinanza di rinvio e dalle osservazioni presentate alla Corte risulta che l’espressione «conoscenza del diritto francese» che figurava nel testo di detta questione debba piuttosto essere intesa come «pratica del diritto francese».

37.

Dalle osservazioni presentate nella presente causa, nonché dall’udienza, infatti, emerge che gli autori della domanda di esonero in oggetto non siano sottoposti a verifica in relazione alla loro familiarità con il diritto francese. L’unico esame a cui sembrano essere sottoposti pare riguardi le regole di deontologia di cui all’articolo 98‑1 del decreto n. 91‑1197 ( 9 ).

38.

In secondo luogo, nell’ambito della presente causa, non ritengo necessario affrontare separatamente la prima questione preliminare. Il tema della natura del rapporto tra l’ordinamento giuridico dell’Unione e gli ordinamenti giuridici nazionali e il loro grado di integrazione reciproca e interdipendenza è in effetti affascinante. Tuttavia, nei limiti del caso di specie, non è necessario addentrarsi in una questione del genere, degna di fatto di un dialogo galileiano. Nell’ambito della presente causa, tale tema si pone in realtà soltanto nel contesto molto più circoscritto che concerne cosa si possa ragionevolmente esigere a titolo di esperienza giuridica rilevante ai fini dell’ammissione all’ordine degli avvocati in uno Stato membro. Pertanto, a tutti i fini pratici, la risposta alla prima questione proposta dal giudice del rinvio sarà necessariamente affrontata, ma da una prospettiva molto più ristretta e pragmatica, nell’ambito della seconda questione posta.

39.

Alla luce di tali elementi, dunque, ritengo opportuno esaminare congiuntamente le due questioni pregiudiziali per chiarire se i tre requisiti descritti dal giudice del rinvio, applicabili ai sensi dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197, siano conformi agli articoli 45 e 49 TFUE.

B.   Compatibilità con gli articoli 45 e 49 TFUE

40.

Occorre ricordare, in via preliminare, che il caso di specie non rientra nel campo di applicazione della direttiva 98/5/CE ( 10 ). Tale regime riguarda solo l’avvocato qualificato come tale nel suo Stato membro di origine ( 11 ). La presente causa si riferisce alle condizioni per il primo accesso alla professione forense in uno Stato membro.

41.

Secondo costante giurisprudenza, «in mancanza di armonizzazione delle condizioni di accesso ad una professione, gli Stati membri possono definire le conoscenze e le qualificazioni necessarie all’esercizio di tale professione» ( 12 ).

42.

Tuttavia, il diritto dell’Unione limita l’esercizio di siffatta competenza. Le norme nazionali non devono costituire un ostacolo all’esercizio effettivo delle libertà fondamentali garantite, per quanto rileva nel caso di specie, dagli articoli 45 e 49 TFUE ( 13 ).

43.

Il giudice del rinvio spiega che in Francia si può esercitare la professione forense sia come lavoratori autonomi che come lavoratori subordinati. Pertanto, il regime nazionale di cui trattasi deve essere analizzato alla luce di entrambe le disposizioni del trattato. Tuttavia, la valutazione cruciale, soprattutto in relazione alle limitazioni e alla giustificazione delle stesse, è in gran parte la stessa per entrambe le disposizioni.

1. Discriminazione oppure ostacolo all’accesso?

44.

La presente causa riguarda una persona che non intende migrare tra ambienti professionali appartenenti a due Stati membri diversi. La ricorrente desidera garantirsi la possibilità di migrare dalla funzione pubblica della Commissione europea alla professione forense in uno Stato membro.

45.

Risulta dalla giurisprudenza consolidata che un funzionario dell’Unione europea abbia lo status di lavoratore migrante. Infatti, «un cittadino [dell’Unione] che lavori in uno Stato membro diverso dal suo Stato d’origine non perde la qualità di lavoratore (…) per il fatto di occupare un impiego all’interno di un’organizzazione internazionale (…)» ( 14 ). Lo stesso vale per l’esercizio dei diritti conferiti ai cittadini dell’Unione dall’articolo 49 TFUE.

46.

Ai fini della presente causa, ritengo che il fatto che le condizioni in oggetto costituiscano discriminazione indiretta e/o un ostacolo alla libertà di circolazione è una questione la cui discussione si può ridurre al minimo. Infatti, tali condizioni sono, a mio avviso, entrambe le cose.

47.

In primo luogo, per quanto riguarda l’affermazione relativa alla discriminazione indiretta, rilevo che la ricorrente ha nazionalità rumena e portoghese.

48.

L’articolo 45 TFUE (e anche l’articolo 49 TFUE) «vieta non soltanto le discriminazioni palesi basate sulla cittadinanza, ma anche qualsiasi discriminazione dissimulata che, pur fondandosi su altri criteri di riferimento, pervenga in pratica al medesimo risultato» ( 15 ). La discriminazione indiretta si verifica quando la disposizione nazionale di cui trattasi «per sua stessa natura, tenda ad essere applicata più ai lavoratori migranti che a quelli nazionali e, di conseguenza, rischi di essere sfavorevole in modo particolare ai primi» ( 16 ).

49.

Concordo con la ricorrente e la Commissione sul fatto che le condizioni di cui trattasi sono per loro natura destinate a incidere intrinsecamente in misura maggiore su cittadini non francesi, come la ricorrente. Si può supporre con una certa sicurezza che la maggior parte dei dipendenti pubblici francesi sia di nazionalità francese. Pertanto, anche se la norma applicabile si basa su un criterio diverso dalla nazionalità (appartenere al pubblico impiego francese, non avere la nazionalità francese), una siffatta norma chiaramente costituisce un caso di discriminazione indiretta fondata sulla nazionalità.

50.

In udienza, il Consiglio e il presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi hanno evidenziato che la decisione relativa alla domanda della ricorrente non era fondata sulla sua nazionalità e sarebbe stata identica se ella fosse stata di nazionalità francese.

51.

Non vedo la pertinenza dell’argomento. Per valutare il verificarsi di una potenziale discriminazione indiretta, è sufficiente che la ricorrente sia probabilmente in condizioni peggiori per un motivo tutelato (nel caso di specie, la nazionalità). Il fatto che anche altre persone possano trovarsi nella medesima situazione, pur non appartenendo al gruppo tutelato, non è in realtà rilevante per concludere che esiste una norma che favorisce indirettamente i propri cittadini.

52.

Il governo francese nonché il Consiglio e il presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi escludono inoltre la possibilità che i requisiti basati sulla pratica possano costituire discriminazione indiretta in quanto le persone che esercitano in Francia, e che pertanto hanno familiarità con il diritto francese, e quelle che esercitano in un altro Stato membro (o in servizio presso la Commissione europea), e che pertanto non hanno familiarità con il diritto francese, non si trovano in situazioni comparabili sotto il profilo dell’accesso alla professione forense in quanto le loro rispettive competenze giuridiche si riferiscono a ordinamenti giuridici diversi.

53.

Non sono d’accordo.

54.

Secondo una giurisprudenza costante, la comparabilità di due situazioni deve essere valutata tenuto conto dell’oggetto e dello scopo della normativa nazionale che istituisce la distinzione di cui trattasi, nonché, eventualmente, dei principi e degli obiettivi del settore cui tale normativa nazionale appartiene ( 17 ).

55.

Nella presente causa, a seconda del livello di astrazione scelto, ciò significa una discussione circa la comparabilità di funzionari francesi e funzionari della Commissione in relazione alla domanda di ammissione a un ordine degli avvocati francese (scopo generale) o, in alternativa, circa la comparabilità dei due gruppi di persone in relazione allo specifico esonero che la ricorrente intende far valere (scopo specifico).

56.

Per quanto concerne lo scopo generale, non capisco perché un avvocato non possa essere ritenuto, in generale, comparabile ai fini dell’ammissione all’ordine degli avvocati e all’esercizio della professione forense.

57.

Quanto poi allo scopo specifico dell’esonero, il giudice del rinvio spiega che, subordinando l’accesso alla professione forense ai requisiti discussi nella presente causa, detto esonero mira a garantire l’effettiva difesa delle parti e, allo stesso modo, la buona amministrazione della giustizia.

58.

Se detto obiettivo viene di fatto esaminato, come alcuni degli esempi indicati nelle presenti conclusioni hanno suggerito, in concreto ( 18 ), ancora una volta non ravviso un’incomparabilità strutturale tra funzionari francesi e funzionari dell’Unione. Ciò che viene ritenuto rilevante è la prova della pratica del diritto francese, non la sua presunzione. Se, tuttavia, si presumesse semplicemente che solo un funzionario francese abbia conoscenza del diritto francese, senza che ciò sia in alcun modo esaminato, tale supposizione, pur sollevando di per sé questioni, non negherebbe comunque l’intrinseca comparabilità in considerazione dell’obiettivo dichiarato della deroga specifica: far sì che chi beneficia della deroga possieda effettivamente le competenze necessarie per esercitare la professione forense.

59.

Tuttavia, in ogni caso, detta discussione fa emergere due rilievi. In primo luogo, siffatte considerazioni riguardano già infatti la giustificazione di un requisito specifico e non la comparabilità generale. Detta comparabilità è di norma percepita in modo piuttosto ampio, proprio per non spostare la discussione dal livello della giustificazione al livello della comparabilità, con argomenti in gran parte della stessa natura per entrambe le nozioni ( 19 ). In secondo luogo, le scelte normative effettuate da uno Stato membro in un siffatto contesto non possono essere considerate determinanti. Se lo fossero, le categorie fissate dall’ordinamento nazionale comporterebbero l’esclusione della comparabilità a livello europeo, precludendo così qualsiasi possibilità di riesame ( 20 ).

60.

Alla luce di tali considerazioni non posso che ribadire che i tre requisiti enunciati dal giudice del rinvio che danno luogo all’applicazione dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 generano in effetti una discriminazione indiretta che favorisce i cittadini francesi con riguardo all’accesso alla professione forense in Francia.

61.

In secondo luogo, concordo inoltre con la ricorrente e la Commissione sul fatto che detti requisiti costituiscono parimenti un ostacolo all’accesso alla professione forense in Francia.

62.

La portata degli articoli 45 e 49 TFUE non è limitata a casi di discriminazione diretta e indiretta sulla base della nazionalità. Tali disposizioni ostano altresì a qualsiasi provvedimento che, seppure applicabile senza discriminazioni basate sulla cittadinanza, sia «idoneo ad ostacolare o a scoraggiare l’esercizio, da parte dei cittadini dell’Unione, delle libertà fondamentali garantite dal Trattato» ( 21 ).

63.

L’applicazione dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 è idonea a impedire o a dissuadere le persone che desiderano esercitare la loro libertà di circolazione o di stabilimento dal lasciare il loro Stato membro d’origine (o, per quanto interessa nel caso di specie, la funzione pubblica dell’Unione) per accettare un impiego o stabilirsi in Francia per esercitarvi la professione forense.

64.

I requisiti per l’applicazione dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 inerenti all’appartenenza al pubblico impiego francese, alla territorialità della relativa esperienza professionale e alla pratica del diritto francese costituiscono dunque anche una limitazione della libera circolazione dei lavoratori e della libertà di stabilimento di cui agli articoli 45 e 49 TFUE.

2. Giustificazione

65.

Indipendentemente dal fatto che i requisiti di cui trattasi siano esaminati come discriminazione indiretta o come ostacolo alla libera circolazione, è in ogni caso necessario verificare se essi possano essere giustificati da uno degli scopi legittimi elencati nel trattato o da motivi imperativi di interesse generale. Inoltre, il regime in questione deve essere idoneo a garantire il raggiungimento di tale obiettivo e non eccedere quanto necessario per raggiungerlo ( 22 ).

66.

È stato suggerito che l’obiettivo perseguito dall’esonero di cui trattasi sia l’effettiva difesa dei diritti delle parti e la buona amministrazione della giustizia. A tale riguardo, come rilevato dal giudice del rinvio, la tutela dei consumatori, ivi inclusa la protezione dei destinatari dei servizi giuridici e la corretta amministrazione della giustizia, sono obiettivi che rientrano tra quelli che possono costituire motivi imperativi di interesse pubblico in grado di giustificare una restrizione della libertà fondamentali ( 23 ).

67.

Sono completamente d’accordo. Rilevo inoltre che nessuna delle parti contesta la legittimità di tali obiettivi, che sono di certo idonei a giustificare misure e condizioni che limitano l’accesso alla professione forense in uno Stato membro.

68.

Ciò premesso, resta da analizzare se le condizioni in oggetto rispondano al criterio di proporzionalità che richiede la verifica del rapporto tra gli obiettivi dichiarati e i mezzi scelti per raggiungerli. In detto contesto, è piuttosto importante precisare che (i) la tutela dei consumatori in quanto destinatari di servizi giuridici, nonché (ii) la buona amministrazione della giustizia in una causa come la presente, essenzialmente si riducono alla questione dell’esperienza rilevante che dovrebbe poi consentire a chi desidera esercitare attività giuridica in uno Stato membro di essere ragionevolmente e autonomamente operativo in tale sistema. In definitiva, l’attribuzione dell’esonero in oggetto concede al richiedente una deroga alla formazione giuridica iniziale richiesta e all’esame finale al termine della stessa.

69.

Pertanto, nell’analisi che segue, proverò ad effettuare una verifica in relazione ai tre requisiti in oggetto, come enunciati dal giudice del rinvio: la questione è se si possa ritenere un siffatto requisito tanto adeguato quanto necessario rispetto all’obiettivo dichiarato di garantire che coloro che desiderano avvalersi dell’esonero di cui trattasi dispongano di un adeguato livello di esperienza rilevante ai fini dell’esercizio della professione forense.

a) Appartenenza al pubblico impiego francese

70.

Come osservato ai paragrafi 27 e 28 delle presenti conclusioni, la portata esatta del requisito relativo all’appartenenza al pubblico impiego francese è oggetto di una diversa interpretazione.

71.

Secondo il giudice del rinvio, tale requisito infatti richiede che l’appartenenza al pubblico impiego francese sia interpretata in modo diverso da qualsiasi altra funzione pubblica, di carattere europeo o nazionale.

72.

Il governo francese, invece, contesta detta interpretazione. A suo avviso, tale requisito deve essere interpretato estensivamente, in modo da includere anche la funzione pubblica europea o nazionale oltre a quella francese. La categoria AD dei funzionari della Commissione europea potrebbe, secondo il governo in oggetto, rientrare parimenti nella nozione di persone assimilate ai funzionari di categoria A (personnes assimilées), che figura nel testo dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197. Il governo francese ha spiegato in udienza che non vi è una chiara definizione di quest’ultima categoria. Risulta soltanto che essa esclude i funzionari di categoria B e C, mentre è probabile che includa funzionari che non possono essere classificati all’interno di una delle categorie A, B e C, come ad esempio funzionari dell’amministrazione penitenziaria e ufficiali militari.

73.

Nell’ambito del caso di specie, sembrerebbe che l’interpretazione accolta dalla decisione del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Parigi fosse quella suggerita dal giudice del rinvio. Per contro, la decisione della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) era in linea con quanto suggerito dal governo francese: il fatto che la ricorrente evidentemente non fosse un membro del pubblico impiego francese non ha impedito a tale giudice di effettuare una valutazione in concreto della sua esperienza precedente.

74.

Non spetta alla Corte pronunciarsi sull’interpretazione del diritto nazionale. Tuttavia, vorrei solo rilevare tre punti.

75.

In primo luogo, se l’interpretazione infine accolta fosse quella restrittiva, la quale suggerisce di fatto che l’appartenenza al pubblico impiego francese comporti l’automatica concessione dell’esonero senza un esame reale e concreto del requisito della pratica del diritto francese rilevante ai fini dell’esercizio della professione forense, un siffatto requisito a mio avviso non sarebbe adeguato a raggiungere l’obiettivo dichiarato. Tenuto conto del numero di dipendenti pubblici che rientrano nella categoria A e della descrizione variegata e talvolta limitata delle mansioni che è probabilmente collegata al lavoro svolto in taluni uffici, sarebbe in effetti molto difficile ipotizzare che tutte le persone in questione acquisiscano automaticamente la pratica e le competenze necessarie per la professione forense, in particolare per l’esercizio generale e indipendente della professione forense a titolo di lavoratori autonomi. L’automatica concessione dell’esonero fondata sulla mera appartenenza al pubblico impiego francese sarebbe dunque a dir poco troppo ampia alla luce degli obiettivi dichiarati.

76.

In secondo luogo, il Consiglio e il presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi affermano che non vi è di fatto automaticità nelle modalità di concessione dell’esonero e che tutte le domande di esonero sono sottoposte ad un’analisi in concreto. Rilevo che in udienza tutte le parti hanno convenuto che, in linea di principio, dovrebbe infatti essere effettuata una valutazione in concreto. Persisteva tuttavia una divergenza di opinioni su cosa esattamente dovrebbe essere esaminato in concreto, aspetto che verrà trattato di seguito in relazione al terzo requisito.

77.

Tuttavia, in ogni caso, ritengo che anche se si esclude l’automaticità, il requisito dell’appartenenza al pubblico impiego francese ecceda quanto necessario alla luce dell’obiettivo sopra dichiarato. Detto obiettivo consiste nel garantire che coloro che desiderano beneficiare dell’esonero abbiano una rilevante conoscenza pratica del diritto francese, in modo da poter operare nel settore del diritto. Equiparare però detto obiettivo all’appartenenza al pubblico impiego francese è, come già suggerito, sovrainclusivo nei confronti dei dipendenti pubblici francesi e notevolmente sottoinclusivo nei confronti di chiunque non sia un dipendente pubblico francese. Mi sembra piuttosto evidente che la pratica e la conoscenza del diritto francese possano essere acquisite non soltanto nel pubblico impiego francese. Non è certo da escludere che alcuni funzionari della Commissione europea possano essersi occupati di questioni di diritto francese o aver anche preso parte a controversie dinanzi a organi giurisdizionali francesi per conto del loro datore di lavoro.

78.

In quest’ultima prospettiva, il requisito relativo all’appartenenza al pubblico impiego francese limiterebbe le libertà di cui trattasi al di là del necessario nella misura in cui escluderebbe richiedenti che non sono membri del pubblico impiego francese ma che potrebbero aver effettivamente acquisito la pratica rilevante ( 24 ).

79.

In terzo luogo, il problema relativo al primo requisito, indicato dal giudice del rinvio, scompare tuttavia completamente se, come suggerisce il governo francese, il requisito in oggetto è interpretato in senso ampio come comprensivo anche dei membri della funzione pubblica dell’Unione europea, nella misura in cui essi possono essere considerati «altre persone assimilate ai funzionari di categoria A». Ciò significherebbe che tali persone non sarebbero automaticamente escluse dalla valutazione ai fini dell’esonero di cui trattasi e che potrebbe essere effettuata una valutazione in concreto della loro pratica precedente anche con riguardo alla loro qualificazione.

80.

Giungo pertanto alla conclusione provvisoria (e di fatto piuttosto condizionata) che gli articoli 45 e 49 TFUE ostano al requisito di appartenenza al pubblico impiego francese cui l’esonero dalla formazione professionale e dal certificato di idoneità alla professione forense di cui all’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 è subordinato, nella misura in cui l’applicazione pratica di detto requisito non consente la verifica della necessaria pratica del diritto (nazionale) da parte di chi non appartiene al pubblico impiego francese.

b) Requisito della territorialità

81.

Secondo quanto intendo, il requisito della territorialità è applicato in modo indipendente e deve essere soddisfatto cumulativamente agli altri due requisiti. Capisco inoltre che detto requisito è interpretato nel senso che esso richiede che la necessaria pratica del diritto francese sia stata acquisita dal richiedente mentre professionalmente risiedeva in Francia. In altri termini, l’esperienza richiesta non può mai essere acquisita se il datore di lavoro pubblico dell’autore della domanda ha sede al di fuori del territorio francese anche se, di fatto, il richiedente potrebbe in realtà operare nel settore del diritto francese, sia che ciò avvenga dinanzi agli organi giurisdizionali francesi e dunque sul territorio francese, sia che ciò avvenga occupandosi in altro modo di questioni di diritto francese.

82.

Se così fosse, ritengo che un siffatto requisito presenti gli stessi problemi potenzialmente individuati in relazione al requisito inerente all’appartenenza al pubblico impiego francese, come sopra precisata ( 25 ). Il problema è l’intrinseca automaticità, che semplicemente non consegue l’obiettivo dichiarato.

83.

Detta osservazione è ulteriormente corroborata dall’ultima parte di frase dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197, da cui risulta che l’esonero di cui trattasi può essere concesso, almeno alla luce del testo di detta disposizione, ai richiedenti che facciano valere l’esperienza maturata in un’organizzazione internazionale. Non è escluso che, lavorando in un’organizzazione internazionale come l’UNESCO o l’OCSE, che hanno sede in Francia, si possano trattare questioni di diritto francese e si possa prendere parte a controversie dinanzi a organi giurisdizionali francesi. Ciò premesso, se in detti casi la garanzia dell’esonero dovesse essere automatica (e, inoltre, possibilmente limitata ai membri del pubblico impiego francese distaccati presso siffatte organizzazioni), gli obiettivi perseguiti dai requisiti in oggetto difficilmente potrebbero essere raggiunti.

84.

Giungo pertanto alla successiva conclusione provvisoria (e ancora una volta condizionata) secondo cui gli articoli 45 e 49 TFUE ostano al requisito di territorialità cui l’esonero dalla formazione professionale e dal certificato di idoneità alla professione forense di cui all’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 è subordinato.

c) Pratica del diritto francese

85.

Secondo quanto capisco, il requisito relativo alla pratica del diritto francese si ricollega al requisito dell’aver «svolto attività giuridiche», che figura nel testo dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 («activités juridiques» nell’originale francese).

86.

A tale riguardo, non si può non sottolineare che l’importanza della pratica e della conoscenza del diritto nazionale ai fini dell’esercizio della professione forense è stata, in linea di principio, riconosciuta nella giurisprudenza della Corte ( 26 ). Pertanto, la necessità di aver maturato il giusto livello di esperienza giuridica rilevante per ottenere l’esonero dal normale requisito della pratica precedente all’iscrizione all’ordine degli avvocati sarebbe, in linea di principio, una limitazione adeguata e necessaria.

87.

Tuttavia, la situazione non è chiara nel presente procedimento. In realtà, a restare in qualche misura sfumato è l’oggetto esatto della pratica giuridica precedente richiesta dal diritto nazionale, sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello procedurale.

88.

In primo luogo, pur tenendo conto della intrinseca flessibilità necessaria per trattare domande provenienti dalle persone più disparate, rimane da chiarire in cosa consista esattamente il requisito dell’aver «svolto attività giuridiche».

89.

Una lettura intuitiva della nozione di «attività giuridiche» potrebbe contrapporsi a quella di «attività amministrative». Come si evince dalla spiegazione fornita, in particolare dal Consiglio e dal presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi, tuttavia, è in realtà un’attività giuridica di una determinata qualità richiesta che dovrebbe consentire di accertare che l’esperienza professionale abbia effettivamente preparato l’autore della domanda all’esercizio della professione forense.

90.

Tuttavia, il testo dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 non fa riferimento alla pratica del diritto nazionale. Ciò si verifica logicamente quando i richiedenti sono funzionari di categoria A che si sono occupati di diritto nell’ambito di organizzazioni internazionali o si sono occupati principalmente o anche di altri settori del diritto, come il diritto dell’Unione o il diritto internazionale, durante il loro periodo di attività lavorativa in Francia. Infatti, da una discussione svoltasi in udienza emerge che la pratica del diritto dell’Unione può (o addirittura deve) essere presa in considerazione a tal fine, anche se non è ancora chiaro in che misura detta pratica possa compensare la mancanza di pratica nel diritto nazionale.

91.

Non mi è inoltre chiaro se l’esercizio di attività professionali in qualsiasi settore del diritto sia sufficiente a soddisfare il criterio richiesto. Ancora una volta, in udienza si sono svolte a tale riguardo alcune discussioni piuttosto inconcludenti, ivi compresi esempi di persone che potrebbero aver svolto attività solo in un settore molto ristretto del diritto per l’intero periodo di otto anni ( 27 ), e commenti riguardo alla questione se sia di fatto necessaria una pratica di più ampia portata.

92.

Allo stesso modo, non è chiaro se debba essere dimostrata una certa esperienza in materia di contenzioso dinanzi agli organi giurisdizionali francesi e in quale misura oppure se sia sufficiente un’esperienza di altro tipo (ossia stragiudiziale). Rilevo che il Consiglio e il presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi sembrano propendere per la prima opzione, ma gli esempi giurisprudenziali forniti nel presente procedimento non sono né espliciti né comunque decisivi al riguardo ( 28 ).

93.

È quindi solo in detto contesto che può essere fornita una risposta utile alla prima questione posta dal giudice del rinvio ( 29 ). Se, per quanto riguarda il contenuto della pratica richiesta, le autorità nazionali cui spetta l’applicazione dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197, esigessero in modo sistematico da tutti i richiedenti un’esperienza nel diritto francese, nel senso di una comprovata esperienza in materia di contenzioso dinanzi agli organi giurisdizionali francesi o limitatamente a settori del diritto strettamente connessi a tali settori, escludere la sola esperienza pratica del diritto dell’Unione sarebbe allora del tutto logico. Tuttavia, se, al contrario, è accettata qualsiasi pratica di diritto nazionale, virtualmente in qualsiasi settore del diritto nazionale, ivi compresi campi piuttosto lontani da qualsiasi pratica rilevante in materia di contenzioso, non vi è alcun motivo per escludere soltanto la pratica nel diritto dell’Unione dai campi di esperienza rilevante ( 30 ).

94.

In secondo luogo, per quanto riguarda il processo di verifica del requisito inerente alla pratica del diritto francese, il Consiglio e il presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi e il governo francese spiegano che esso ha luogo in concreto, caso per caso. Ogni domanda è ricevuta anzitutto da un avvocato dell’ordine degli avvocati di Parigi, il cui compito consiste nel verificare la completezza del fascicolo, invitare l’autore della domanda a completarlo, se del caso, e predisporre una nota informativa. La domanda viene poi trasferita a una commissione composta da membri ed ex membri dell’ordine degli avvocati e assegnata ad uno di essi il quale sottopone l’autore della domanda a un colloquio e presenta alla commissione il suo parere in merito. Quest’ultima accoglie la domanda o, se lo ritiene impossibile, trasmette il fascicolo ad un organo amministrativo dinanzi a cui l’autore della domanda può essere sentito. L’organo amministrativo di cui trattasi adotta quindi una decisione formale in merito che è oggetto di controllo giurisdizionale. Secondo il Consiglio e il presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi, una siffatta valutazione individuale e dettagliata esclude ogni automaticità. A sostegno di tale affermazione, detta parte ha fatto riferimento, in udienza, a diversi esempi di decisioni di rigetto da parte dell’ordine degli avvocati di Parigi, in relazione a richiedenti che non erano in grado di produrre la prova delle attività giuridiche svolte in maniera costante, sufficiente, diretta o personale ( 31 ).

95.

Dalla spiegazione fornita soprattutto in udienza evinco che la valutazione in concreto mira a verificare se l’autore della domanda abbia svolto «attività giuridiche» in contrapposizione ad altre attività. A tale riguardo, nessuna delle parti sembra contestare che tale valutazione in concreto abbia effettivamente luogo, sebbene, come già affermato e nonostante la procedura di esame sopra descritta, rimanga una certa vaghezza sulla sua esatta portata ( 32 ).

96.

In sintesi, il requisito della pratica rilevante del diritto francese è, in generale, una condizione che potrebbe di certo essere adeguata e necessaria rispetto agli obiettivi dichiarati. Deliberatamente metto in evidenza il diritto francese: se una persona desidera esercitare la professione forense in un ordinamento giuridico ed essere esonerata dal requisito generale per l’ammissione all’ordine degli avvocati in detto ordinamento che riguarda la richiesta formazione e il suo proficuo superamento mediante esame finale, è del tutto adeguato e necessario che le venga richiesto un livello ragionevole di esperienza pratica nell’ambito dell’ordinamento giuridico in oggetto.

97.

Tuttavia, indipendentemente dal tipo di requisito previsto da un ordinamento a tale riguardo, entrambi i requisiti e la loro applicazione devono essere stabiliti in modo prevedibile e costante per tutti coloro che presentando una domanda di ammissione. Quest’ultimo elemento mi conduce ad un ultimo punto di carattere trasversale delle presenti conclusioni, che merita di essere trattato separatamente.

3. Requisiti coerenti e prevedibili

98.

Il contesto della presente causa è piuttosto particolare. Come già indicato nelle osservazioni preliminari in apertura ( 33 ) e ulteriormente precisato nella discussione che ne è seguita, i requisiti che sembrano applicabili ai sensi dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197 non solo sono alquanto eterogenei, ma hanno anche una base testuale piuttosto limitata in detta disposizione. Inoltre, come la Commissione ha affermato in modo pertinente in udienza, tutti i requisiti in oggetto sembrano applicarsi con un giusto grado di flessibilità.

99.

I tre requisiti esaminati nel caso di specie sono una creazione giurisprudenziale. Essi pongono questioni di coerenza e di prevedibilità della loro applicazione, in particolare se esaminati attraverso la lente delle limitazioni alle libertà garantite dal trattato che essi costituiscono. Per quanto riguarda il requisito di coerenza, la Corte ha dichiarato che la giustificazione delle restrizioni alle libertà garantite dai trattati devono infatti perseguire l’obiettivo dichiarato in modo coerente e sistematico ( 34 ). Quanto al requisito della prevedibilità, quest’ultimo è naturalmente rafforzato quando le rispettive restrizioni sono definite in modo chiaro da norme di applicazione generale.

100.

Non sto di certo suggerendo che un adeguato livello di coerenza e di prevedibilità non possa essere raggiunto dalla giurisprudenza e debba essere realizzato soltanto per via legislativa. Infatti, ad esempio nel contesto più rigoroso delle limitazioni dei diritti che possono essere unicamente «previste dalla legge», la Corte europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «Corte EDU») ha ammesso che una siffatta restrizione non deve necessariamente essere definita per via legislativa. Essa può essere parimenti imposta in virtù della giurisprudenza. Tuttavia, secondo la Corte EDU, l’espressione «previste dalla legge» richiede tuttavia che la legge debba essere «adeguatamente accessibile» e che «una norma non può essere considerata “legge” a meno che non sia formulata con sufficiente precisione in modo da consentire al cittadino di adeguare ad essa il proprio comportamento» ( 35 ). Infatti, «le norme giuridiche su cui si fonda l’interferenza dovrebbero essere sufficientemente accessibili, precise e prevedibili nella loro applicazione». In tale contesto, «una norma è “prevedibile” quando offre una misura di protezione contro le arbitrarie interferenze delle autorità pubbliche» ( 36 ).

101.

Ciò premesso, vi sono casi in cui la Corte ha insistito su requisiti più rigorosi quanto alla prevedibilità delle disposizioni applicabili ( 37 ). Tuttavia, lasciando da parte tali casi, riguardanti la privazione della libertà in diversi contesti, in cui naturalmente si devono applicare criteri più elevati ( 38 ), lo stesso non è necessariamente vero per quanto riguarda la definizione delle condizioni di accesso a una professione. Pertanto, se si può certamente accettare che detti criteri siano ulteriormente sfumati nella giurisprudenza, deve comunque essere rispettata una soglia minima di prevedibilità (dunque di accessibilità e precisione) ( 39 ).

102.

Devo ammettere che trovo alquanto difficile comprendere come, valutati con riferimento a tali parametri, i requisiti discussi nella presente causa possano soddisfare tali requisiti. Mi sembra impossibile trascurare la considerevole dissonanza esistente tra le norme scritte come enunciate all’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197, da un lato, e l’applicazione delle norme in questione attraverso i requisiti discussi nel caso di specie, d’altro lato, unitamente a molti aspetti poco chiari riguardo a cosa detti requisiti di fatto significano e come vengono applicati.

103.

Riconosco, naturalmente, il notevole grado di discrezionalità di cui godono gli Stati membri nel definire le condizioni di accesso ad una professione regolamentata, come quella forense, ivi compresi gli esoneri da dette condizioni, in modo da garantire che solo le persone che offrono la garanzia delle competenze richieste possano accedervi.

104.

Allo stesso modo, non intendo negare la competenza degli Stati membri nella determinazione, se del caso, di criteri piuttosto restrittivi sotto il profilo dell’esperienza e della conoscenza del diritto nazionale, come evidenziato in udienza dal governo francese, e nell’attuazione degli stessi in modo da rafforzare efficacemente la tutela delle parti e la buona amministrazione della giustizia.

105.

Le osservazioni formulate nella presente sezione e in tutte queste conclusioni, pertanto, non sono in alcun modo ispirate dalla convinzione che debba essere garantito un accesso quanto più possibile ampio agli ordini forensi nazionali, che includa persone che sono prive dei criteri richiesti e non possono dunque fornire le garanzie necessarie in relazione alla tutela dei diritti delle parti e della buona amministrazione della giustizia. Piuttosto, è vero il contrario. Ritengo che rientri pienamente nei diritti di uno Stato membro esigere un criterio piuttosto rigoroso di esperienza professionale ai fini dell’ammissione all’ordine forense nazionale, che comprende, se lo Stato membro di cui trattasi decide in tal senso, l’insistenza non soltanto sull’effettiva pratica del diritto nazionale, ma anche sull’esperienza pratica in materia di contenzioso e di comparizione dinanzi agli organi giurisdizionali nazionali.

106.

L’essenza delle presenti conclusioni è diversa: indipendentemente da quanto rigoroso uno Stato membro decida di essere, deve farlo in modo coerente e trasparente, sottoponendo tutti i candidati, cittadini e non cittadini, alla medesima serie di requisiti prevedibili che saranno applicati allo stesso modo. Uno Stato membro può decidere di essere indulgente o severo, ma deve farlo indiscriminatamente. Uno Stato membro non può, tuttavia, attraverso un sistema di presunzioni poco giustificate, che hanno solo un limitato collegamento con l’obiettivo dichiarato dell’esperienza rilevante (che è di per sé indifferente alla nazionalità), adottare effettivamente un sistema che, su tutti i fatti sottoposti alla Corte, sembra piuttosto indulgente con i propri cittadini, ma molto più rigoroso, o addirittura preclusivo, con coloro che non sono cittadini.

107.

Pur sottolineando ancora una volta la portata della discrezionalità degli Stati membri in tale settore, detta discrezionalità deve dunque essere esercitata in modo da rendere dette condizioni conformi ai requisiti sopra indicati, al fine di fornire criteri enunciati in modo chiaro che consentano ai richiedenti di sapere cosa ci si attende da loro, su quale base e secondo quali requisiti la loro domanda sarà oggetto di esame e di decisione.

V. Conclusioni

108.

Suggerisco alla Corte di rispondere alla Cour de cassation (Corte di cassazione, Francia) come segue:

Gli articoli 45 e 49 TFUE ostano ai requisiti di appartenenza al pubblico impiego francese e di territorialità cui l’esonero dalla formazione professionale e dal certificato di idoneità alla professione forense è subordinato ai sensi dell’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197, nella misura in cui l’applicazione pratica di detti requisiti non consente la verifica della pratica rilevante del diritto nazionale da parte di agenti della funzione pubblica della Commissione europea.

In ogni caso, gli articoli 45 e 49 TFUE ostano a che l’accesso ad una professione regolamentata in uno Stato membro sia subordinato a requisiti non basati su criteri coerenti e prevedibili, che non possano essere ragionevolmente accertati ex ante da tutti i richiedenti interessati.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Lo intendo come un riferimento all’articolo 11, punto 2, della legge n. 71‑1131, che prevede la possibilità che l’esonero dal possesso del diploma di laurea in giurisprudenza sia concesso a persone che abbiano svolto talune attività in Francia.

( 3 ) V. ad esempio, cour d’appel de Paris, decisione del 12 maggio 2016, n. 15/1546; Cass. 1ère Civ, decisione del 14 dicembre 2016, n. 15-26.635, FR:CCASS:2016:C101411; Cass. 1ère Civ, decisione dell’11 maggio 2017, n. 16-17.295, FR:CCASS:2017:C100576; Cass. 1ère Civ, decisione del 5 luglio 2017, n. 16-20.441, FR:CCASS:2017:C100576.

( 4 ) Cour d’appel d’Aix-en Provence, decisione del 2 aprile 2015, n. 14/15403.

( 5 ) La cui conformità alla costituzione nazionale è stata confermata dal Conseil constitutionnel (Consiglio costituzionale, Francia) con decisione del 6 luglio 2016, n. 2016-551 QPC, FR:CC:2016:2016.551.QPC.

( 6 ) Cass. 1ère Civ, decisione del 28 marzo 2008, n. 06-21.051, Bulletin 2008 I n. 90; Cass. 1ère Civ, decisione del 14 gennaio 2016, n. 15-11.305, FR:CCASS:2016:C100036.

( 7 ) Cass. 1ère Civ, decisione del 14 dicembre 2016, n. 14-25.800, FR:CCASS:2016:C101410.

( 8 ) Lo stesso requisito di territorialità è stato altresì applicato all’esonero per alcune categorie di docenti universitari ai sensi dell’articolo 98, punto 2, del decreto n. 91‑1197. Cass, 1ère Civ, decisione del 15 luglio 1999, No 97-13.079, Bulletin 1999 I n. 235 pag. 152.

( 9 ) V. paragrafo 5 delle presenti conclusioni.

( 10 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 febbraio 1998 volta a facilitare l’esercizio permanente della professione di avvocato in uno Stato membro diverso da quello in cui è stata acquistata la qualifica (GU 1998, L 77, pag. 36).

( 11 ) Sentenza del 13 novembre 2003, Morgenbesser (C‑313/01, EU:C:2003:612, punto 45).

( 12 ) V., ad esempio, sentenze del 10 dicembre 2009, Peśla (C‑345/08, EU:C:2009:771, punto 34 e giurisprudenza ivi citata); del 6 ottobre 2015, Brouillard (C‑298/14, EU:C:2015:652, punto 48 e giurisprudenza ivi citata); e del 17 dicembre 2015, X‑Steuerberatungsgesellschaft (C‑342/14, EU:C:2015:827, punto 44 e giurisprudenza ivi citata).

( 13 ) V., per quanto riguarda l’articolo 45 TFUE (all’epoca articolo 39 CE), sentenza del 10 dicembre 2009, Peśla (C‑345/08, EU:C:2009:771, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

( 14 ) V., ad esempio, sentenze del 3 ottobre 2000, Ferlini (C‑411/98, EU:C:2000:530, punto 42 e giurisprudenza ivi citata); del 16 dicembre 2004, My (C‑293/03, EU:C:2004:821, punto 37 e giurisprudenza ivi citata, per quanto riguarda la dichiarazione di principio); del 16 febbraio 2006, Öberg (C‑185/04, EU:C:2006:107, punto 12 e giurisprudenza ivi citata); e del 21 gennaio 2016, Commissione/Cipro (C‑515/14, EU:C:2016:30, punto 45). V. altresì sentenza del 30 aprile 2019, Wattiau/Parlamento (T‑737/17, EU:T:2019:273, punto 82 e segg.).

( 15 ) V., ad esempio, sentenze del 28 giugno 2012, Erny (C‑172/11, EU:C:2012:399, punto 39); del 5 dicembre 2013, Zentralbetriebsrat der gemeinnützigen Salzburger Landeskliniken (C‑514/12, EU:C:2013:799, punto 25); o del 5 febbraio 2014, Hervis Sport- és Divatkereskedelmi (C‑385/12, EU:C:2014:47, punto 30).

( 16 ) Sentenza del 23 maggio 1996, O’Flynn (C‑237/94, EU:C:1996:206, punto 20).

( 17 ) V., in tal senso, sentenza del 7 marzo 2017, RPO (C‑390/15, EU:C:2017:174, punto 42 e giurisprudenza ivi citata); del 26 giugno 2018, MB (Cambiamento di sesso e pensione di vecchiaia) (C‑451/16, EU:C:2018:492, punto 42); e del 22 gennaio 2019, Cresco Investigation (C‑193/17, EU:C:2019:43, punto 42).

( 18 ) Paragrafi da 11 a 12 e 24 delle presenti conclusioni.

( 19 ) V. anche le mie conclusioni nella causa Hornbach-Baumarkt (C‑382/16, EU:C:2017:974, paragrafo 131), le quali mostrano come nell’analisi tradizionale della Corte nell’ambito delle quattro libertà, sono in sostanza discussi i medesimi argomenti nella valutazione della comparabilità (se discussa separatamente) e della giustificazione (proporzionalità).

( 20 ) V., le mie conclusioni nella causa MB (C‑451/16, EU:C:2017:937, paragrafo 47), in cui si evidenzia la viziosità che implica l’effettiva impossibilità di qualsiasi riesame se le categorie fissate dalla normativa nazionale fossero considerate decisive ai fini della valutazione della comparabilità a livello dell’Unione.

( 21 ) V., ad esempio, sentenze del 7 maggio 1991, Vlassopoulou (C‑340/89, EU:C:1991:193, punto15); del 5 febbraio 2015, Commissione/Belgio (C‑317/14, EU:C:2015:63, punto 22); o del 20 dicembre 2017, Simma Federspiel (C‑419/16, EU:C:2017:997, punto 35 e giurisprudenza ivi citata). Per una sintesi della giurisprudenza al riguardo, v. altresì le mie conclusioni nella causa Krah (C‑703/17, EU:C:2019:450, paragrafi da 53 a 85).

( 22 ) V., ad esempio, sentenze del 31 marzo 1993, Kraus (C‑19/92, EU:C:1993:125, punto 32 e giurisprudenza ivi citata); del 12 settembre 2013, Konstantinides (C‑475/11, EU:C:2013:542, punto 50); o del 13 luglio 2016, Pöpperl (C‑187/15, EU:C:2016:550, punto 29).

( 23 ) Per quanto riguarda la giustificazione delle restrizioni della libera prestazione dei servizi, v. sentenza del 18 maggio 2017, Lahorgue (C‑99/16, EU:C:2017:391, punto 34 e giurisprudenza ivi citata). V. altresì sentenza del 12 dicembre 1996, Reisebüro Broede (C‑3/95, EU:C:1996:487, punto 38 e giurisprudenza ivi citata), e del 25 luglio 1991, Säger (C‑76/90, EU:C:1991:331 punto 16).

( 24 ) V. in tal senso, per esempio, sentenze del 7 maggio 1991, Vlassopoulou (C‑340/89, EU:C:1991:193, punto 15); del 13 novembre 2003, Morgenbesser (C‑313/01, EU:C:2003:612, punto 62 e giurisprudenza ivi citata); del 10 dicembre 2009, Peśla (C‑345/08, EU:C:2009:771, punto 36 e giurisprudenza ivi citata); del 17 dicembre 2009, Rubino (C‑586/08, EU:C:2009:801, punto 34). V. altresì sentenze del 12 maggio 2005, Commissione/Italia (C‑278/03, EU:C:2005:281, punto 14 e giurisprudenza ivi citata).

( 25 ) Inoltre, la Commissione solleva dubbi sul fatto che il requisito di territorialità sia di fatto richiesto nei confronti dei membri del pubblico impiego francese che esercitino le proprie funzioni al di fuori del territorio francese. Essa fa riferimento, in tale contesto, alla decisione della cour d’appel de Paris (Corte d’appello di Parigi) del 12 maggio 2016, n. 15/15468, in cui si afferma che dalla distinzione operata tra membri del pubblico impiego francese e funzionari internazionali non deriva una discriminazione, in quanto i due status rispecchiano competenze diverse.

( 26 ) V. sentenze del 10 dicembre 2009, Peśla (C‑345/08, EU:C:2009:771, punto 46) e del 22 dicembre 2010, Koller (C‑118/09, EU:C:2010:805, punto 39).

( 27 ) A tale riguardo, la ricorrente ha menzionato sentenze del giudice del rinvio che affermano, nell’ambito dell’esonero di cui all’articolo 98, punto 3, del decreto n. 91‑1197 per i giuristi d’impresa, che non può essere richiesta una varietà di attività in diverse branche del diritto. V., Cass. 1ère Civ, decisione del 13 marzo 1996, pourvoi n. 94-13.856, Bulletin 1996 I n. 131 pag. 93; Cass. 1ère Civ, decisione del 26 gennaio1999, pourvoi n. 96-14.188, non publié au bulletin; Cass. 1ère Civ, decisione dell’11 febbraio 2010, pourvoi n. 09-11.324, non publié au bulletin.

( 28 ) La ricorrente ha fatto inoltre riferimento ad un parere del 18 gennaio 2018 del Conseil national des barreaux (Consiglio dell’ordine nazionale degli avvocati) e della Commission Règles et usages (Commissione regole e prassi), che non sembra così univoco al riguardo. Tale documento afferma che «una volta ricevuta una domanda di iscrizione, l’ordine deve indagare su quali siano state le attività effettivamente svolte, sulla base della prova delle attività giuridiche professionali sotto forma di consulenze, redazione o trattazione delle pratiche di contenzioso. La prova che deve essere fornita dall’autore della domanda è in linea di principio l’attestazione rilasciata dal datore di lavoro o dagli ex dipendenti». Il corsivo della disgiuntiva «o» è mio.

( 29 ) Paragrafo 38 delle presenti conclusioni.

( 30 ) Per spiegare chiaramente con l’aiuto di un esempio ipotetico, se fosse possibile, ad esempio, che un funzionario del fisco di Saint-Claude del dipartimento del Giura, con otto anni di esperienza lavorativa esclusivamente in materia di pratiche relative all’IVA, senza aver mai messo piede in un tribunale francese per patrocinare per conto dello Stato, si avvalesse dell’eccezione di cui all’articolo 98, punto 4, del decreto n. 91‑1197, in quanto le attività da lui svolte sarebbero considerate «attività giuridiche», lo stesso sarebbe certamente possibile per un funzionario della Commissione che opera esclusivamente nel settore del diritto dell’Unione, senza mai patrocinare in tribunali francesi. Ciò è dovuto semplicemente al fatto che, tenuto conto dell’obiettivo dichiarato di una siffatta limitazione (v. paragrafi 68 e 69 delle presenti conclusioni), entrambi gli esempi menzionati sono ugualmente vicini (o piuttosto ugualmente lontani) rispetto al possesso di esperienza rilevante in materia di contenzioso nel diritto francese.

( 31 ) A tale proposito, il Consiglio e il presidente dell’ordine degli avvocati di Parigi ha fatto riferimento a Cass. 1ère Civ, decisione del 22 gennaio 2014, pourvoi n. 12-26.622, FR:CCASS:2014:C100056, e Cass. 1ère Civ, decisione dell’8 dicembre 2009, pourvoi n. 08-70.088, non publié au bulletin.

( 32 ) V. paragrafi 10 e 23, che indicherebbero che, per quanto riguarda la ricorrente nel procedimento principale, detta valutazione sembrava essersi limitata all’affermazione che la stessa non era in concreto un membro del pubblico impiego francese.

( 33 ) In particolare, v. paragrafo 34 delle presenti conclusioni.

( 34 ) V., ad esempio, sentenze del 6 novembre 2003, Gambelli e a. (C‑243/01, EU:C:2003:597, punto 67); del 10 marzo 2009, Hartlauer (C‑169/07, EU:C:2009:141, punto 55 e giurisprudenza ivi citata); del 18 maggio 2017, Lahorgue (C‑99/16, EU:C:2017:391, punti 31 e giurisprudenza ivi citata); del 29 luglio 2019, Commissione/Austria (Ingegneri civili, consulenti in materia di brevetti e veterinari) (C‑209/18, EU:C:2019:632, punto 94 e giurisprudenza ivi citata); e del 18 giugno 2020, Commissione/Ungheria (Trasparenza di associazione) (C‑78/18, EU:C:2020:476, punto 76 e giurisprudenza ivi citata).

( 35 ) Sentenza della Corte EDU del 26 aprile 1979, Sunday Times c. Regno Unito (1), app. n. 6538/74, [CE:ECHR:1980:1106JUD000653874, §§ da 47 a 49 (nell’ambito dell’articolo 10, paragrafo 2, e della limitazione della libertà di espressione)]. V. altresì, nell’ambito dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, commentando la pertinente giurisprudenza della Corte EDU, conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón nella causa Scarlet Extended (C‑70/10, EU:C:2011:255, paragrafi da 94 a 100).

( 36 ) Sentenza della Corte EDU dell’11 giugno 2020, Marcus c. Lettonia, app. n. 17483/10, [CE:ECHR:2020:0611JUD001748310, § 66 e giurisprudenza ivi citata (nell’ambito di una sanzione penale e della restrizione del diritto di proprietà)].

( 37 ) Sentenza del 15 marzo 2017, Al Chodor (C‑528/15, EU:C:2017:213). V. altresì sentenza del 19 dicembre 2019, Deutsche Umwelthilfe (C‑752/18, EU:C:2019:1114, punto 46).

( 38 ) Sentenza del 15 marzo 2017, Al Chodor (C-528/15, EU:C:2017:213 punti 4243), la quale afferma che «solo una norma di portata generale può soddisfare i requisiti di chiarezza, di prevedibilità, di accessibilità e, in particolare, di protezione contro l’arbitrarietà».

( 39 ) V, per analogia, ad esempio, sentenze del 26 novembre 2014, Mascolo e a. (C‑22/13, da C‑61/13 a C‑63/13 e C‑418/13, EU:C:2014:2401, punto 88); dell’11 aprile 2019, Cobra Servicios Auxiliares (C‑29/18, C‑30/18 e C‑44/18, EU:C:2019:315, punti da 45 a 46 e giurisprudenza ivi citata); del 7 ottobre 2019, Safeway (C‑171/18, EU:C:2019:839, punto 25 e giurisprudenza ivi citata); e del 19 dicembre 2019, GRDF (C‑236/18, EU:C:2019:1120, punto 42 e giurisprudenza ivi citata).