SENTENZA DEL TRIBUNALE (Settima Sezione)

14 luglio 2021 ( *1 )

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate in considerazione della situazione in Venezuela – Congelamento dei capitali – Elenchi delle persone, entità e organismi ai quali si applica il congelamento dei capitali e delle risorse economiche – Iscrizione del nome del ricorrente negli elenchi – Mantenimento del nome del ricorrente negli elenchi – Obbligo di motivazione – Diritti della difesa – Principio di buona amministrazione – Diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva – Errore di valutazione – Libertà d’espressione»

Nella causa T‑248/18,

Diosdado Cabello Rondón, residente in Caracas (Venezuela), rappresentato da L. Giuliano e F. Di Gianni, avvocati,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da S. Kyriakopoulou, P. Mahnič, V. Piessevaux e A. Antoniadis, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto la domanda di annullamento, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, da una parte, della decisione (PESC) 2018/90 del Consiglio, del 22 gennaio 2018, che modifica la decisione (PESC) 2017/2074 concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Venezuela (GU 2018, L 16 I, pag. 14), e della decisione (PESC) 2018/1656 del Consiglio, del 6 novembre 2018, che modifica la decisione (PESC) 2017/2074 concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Venezuela (GU 2018, L 276, pag. 10), e, dall’altra, del regolamento di esecuzione (UE) 2018/88 del Consiglio, del 22 gennaio 2018, che attua il regolamento (UE) 2017/2063 concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Venezuela (GU 2018, L 16 I, pag. 6), e del regolamento di esecuzione (UE) 2018/1653 del Consiglio, del 6 novembre 2018, che attua il regolamento (UE) 2017/2063 concernente misure restrittive in considerazione della situazione in Venezuela (GU 2018, L 276, pag. 1), nei limiti in cui tali atti riguardano il ricorrente,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione),

composto da R. da Silva Passos, presidente, I. Reine (relatrice) e L. Truchot, giudici

cancelliere: B. Lefebvre, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 3 settembre 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza ( 1 )

[omissis]

In diritto

[omissis]

Sul terzo motivo, relativo alla violazione della libertà di espressione

[omissis]

100

Occorre ricordare che il rispetto dei diritti fondamentali si impone a qualsiasi azione dell’Unione, incluso il settore della PESC, come risulta dal combinato disposto degli articoli 21 e 23 TUE (v. sentenza del 27 settembre 2018, Ezz e a./Consiglio, T‑288/15, EU:T:2018:619, punto 58 e giurisprudenza ivi citata). Poiché la libertà d’espressione e d’informazione è garantita dall’articolo 11 della Carta e, al ricorrere delle condizioni che seguono, dall’articolo 10 della CEDU, le misure contestate devono essere esaminate sotto il profilo della conformità con tale diritto.

101

Per quanto riguarda l’articolo 10 della CEDU, si deve rilevare che, certo, finché l’Unione non vi avrà aderito, la CEDU non costituisce uno strumento giuridico formalmente integrato nell’ordinamento giuridico dell’Unione. Pertanto, l’esame della validità di un atto di diritto derivato dell’Unione deve essere svolto unicamente alla luce dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta. Tuttavia, occorre ricordare, da un lato, che, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3, TUE, i diritti fondamentali riconosciuti dalla CEDU fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali e, dall’altro, che risulta dall’articolo 52, paragrafo 3, della Carta che, laddove essa contenga diritti corrispondenti a quelli garantiti dalla CEDU, il significato e la portata degli stessi sono uguali a quelli conferiti dalla CEDU. Secondo le spiegazioni relative a tale disposizione, che, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, terzo comma, TUE e dell’articolo 52, paragrafo 7, della Carta, devono essere prese in considerazione per l’interpretazione della stessa, il significato e la portata dei diritti garantiti sono determinati non solo dal testo della CEDU, ma anche, in particolare, dalla giurisprudenza della Corte EDU. Discende, inoltre, da dette spiegazioni che l’articolo 52, paragrafo 3, della Carta è inteso ad assicurare la necessaria coerenza tra i diritti contenuti nella Carta e i corrispondenti diritti garantiti dalla CEDU, senza che ciò pregiudichi l’autonomia del diritto dell’Unione e della Corte di giustizia dell’Unione europea. Inoltre, si deve rilevare che siffatta equivalenza tra le libertà riconosciute dalla Carta e quelle garantite dalla CEDU è stata stabilita formalmente in merito alla libertà di espressione (v. sentenza del 31 maggio 2018, Korwin-Mikke/Parlamento, T‑770/16, EU:T:2018:320, punto 38 e giurisprudenza ivi citata).

102

Dalla formulazione dell’articolo 11, paragrafo 1, della Carta e dell’articolo 10, paragrafo 1, della CEDU risulta che «ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione». La Corte EDU ha già dichiarato che la libertà di espressione costituisce uno dei fondamenti essenziali di una società democratica e che tale testo non distingue in base alla natura dello scopo perseguito né in base al ruolo che le persone, fisiche o giuridiche, hanno svolto nell’esercizio di tale libertà (Corte EDU, 28 settembre 1999, Öztürk c. Turchia, CE:ECHR:1999:0928JUD002247993, § 49).

103

Va notato che la Corte EDU attribuisce un peso particolare al ruolo svolto dai giornalisti come «difensori» della società in generale e della democrazia in particolare. Essa raccomanda «la massima prudenza» allorché si tratta di valutare la validità delle restrizioni alla loro libertà d’espressione (v., in tal senso, Corte EDU, 24 giugno 2014, Roșiianu c. Romania, CE:ECHR:2014:0624JUD002732906, § 61). Essa ha anche sottolineato che i media audiovisivi, come la radio e la televisione, svolgono un ruolo particolarmente importante in questo senso. A causa del loro potere di trasmettere messaggi attraverso il suono e l’immagine, determinano effetti più immediati e potenti della carta stampata. La funzione della televisione e della radio, fonti familiari di intrattenimento che entrano nell’intimità del telespettatore o dell’ascoltatore, rafforza ulteriormente il loro impatto (Corte EDU, 17 settembre 2009, Manole e altri c. Moldavia, CE:ECHR:2009:0917JUD001393602, § 97).

104

Tuttavia, la Corte EDU ritiene che il diritto dei giornalisti di comunicare informazioni su questioni di interesse generale sia protetto a condizione che essi agiscano in buona fede, sulla base di fatti precisi, e forniscano informazioni «affidabili e accurate» in conformità con l’etica giornalistica. L’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU sottolinea che l’esercizio della libertà di espressione comporta «doveri e responsabilità» che si applicano anche ai media, anche in questioni di grande interesse generale (v. Corte EDU, 17 dicembre 2004, Pedersen e Baadsgaard c. Danimarca, CE:ECHR:2004:1217JUD004901799, § 78 e giurisprudenza ivi citata). Risulta dalla giurisprudenza della Corte EDU che il fatto che i media audiovisivi abbiano spesso effetti molto più immediati e potenti della stampa scritta è un elemento da prendere in considerazione nel valutare i suddetti «doveri e responsabilità» (v., in tal senso, Corte EDU, 16 giugno 2015, Delfi AS c. Estonia, CE:ECHR:2015:0616JUD006456909, § 134).

105

Del resto, la Corte EDU ha considerato che l’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU non lascia praticamente spazio a restrizioni alla libertà di espressione nel dibattito politico o in questioni di interesse generale. Infatti, in linea di principio, le dichiarazioni che si riferiscono a tali questioni di interesse generale richiedono una tutela forte, diversamente da quelle che difendono o giustificano la violenza, l’odio, la xenofobia o altre forme di intolleranza, le quali di norma non sono protette. Il discorso politico, per sua natura, è fonte di polemiche e spesso virulento, ma resta pur sempre di interesse generale, salvo che esso oltrepassi un limite e degeneri in un appello alla violenza, all’odio o all’intolleranza (Corte EDU, 15 ottobre 2015, Perinçek c. Svizzera, CE:ECHR:2015:1015JUD002751008, §§ 197, 230 e 231; v. altresì, in tal senso, Corte EDU, 8 luglio 1999, Sürek c. Turchia (N. 1), CE:ECHR:1999:0708JUD002668295, §§ 61 e 62). Secondo la Corte EDU, per determinare se le dichiarazioni espresse nel loro insieme possano essere considerate incitazione alla violenza, occorre prestare attenzione ai termini impiegati e al contesto in cui la loro diffusione si inscrive (v., in tal senso, Corte EDU, 6 luglio 2010, Gözel e Özer c. Turchia, CE:ECHR:2010:0706JUD004345304, § 52). In particolare, se tali dichiarazioni sono state espresse in un contesto politico o sociale teso, questa Corte riconosce generalmente che qualche forma di interferenza relativa a tali dichiarazioni può essere giustificata ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, della CEDU (v., in tal senso, Corte EDU, 15 ottobre 2015, Perinçek c. Svizzera, CE:ECHR:2015:1015JUD002751008, § 205).

106

Per l’applicazione dei principi summenzionati al caso di specie, occorre tenere conto del contesto della presente causa, che è caratterizzata da specificità che la distinguono da quelle che hanno permesso alla Corte EDU di sviluppare la sua giurisprudenza (v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punto 93).

107

Si deve sottolineare, infatti, che i principi che discendono dalla giurisprudenza della Corte EDU sono stati stabiliti riguardo a situazioni in cui una persona che aveva tenuto discorsi o realizzato azioni considerati inaccettabili da uno Stato aderente alla CEDU si vedeva imporre da detto Stato, nel quale risiedeva, misure repressive, spesso di natura penale, e invocava la libertà di espressione come mezzo di difesa contro detto Stato (sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punto 94).

108

Per contro, nel caso di specie, il ricorrente è un cittadino venezuelano, residente in Venezuela, che ricopre una carica politica nel suo paese e ha un accesso significativo ai media audiovisivi di quel paese.

109

È in questo contesto che il ricorrente invoca il diritto alla libertà di espressione. Non si tratta quindi di far valere questo diritto come mezzo di difesa contro lo Stato venezuelano, ma come salvaguardia contro le misure restrittive, di natura cautelare e non penale, che il Consiglio ha adottato per reagire alla situazione esistente in Venezuela (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punto 97).

110

È alla luce di tutti questi principi e considerazioni che deve essere esaminato il presente motivo.

111

Va sottolineato che il ricorrente è stato iscritto e mantenuto negli elenchi controversi come figura politica venezuelana di spicco, per aver attaccato e minacciato pubblicamente l’opposizione politica, i media e la società civile. Questo motivo ha permesso al Consiglio di applicare il criterio di cui all’articolo 6, paragrafo 1, lettera b), della decisione 2017/2074 relativo all’elenco dei nomi delle persone fisiche le cui azioni, politiche o attività minano in qualsiasi modo la democrazia o lo stato di diritto in Venezuela.

112

Va osservato che gli interventi mediatici del ricorrente, su cui il Consiglio si è basato per giustificare gli atti impugnati, rientrano, in particolare, tra i suoi atti politici e tra le dichiarazioni rese, dinanzi alla stampa, in occasione delle mobilitazioni e durante le conferenze stampa.

113

Ne consegue che il ricorrente è stato assoggettato alle misure restrittive in questione in quanto personaggio politico che ha minato la democrazia e lo stato di diritto con minacce pubbliche e mirate contro l’opposizione politica, i media e la società civile.

114

Per quanto riguarda l’argomento del ricorrente secondo il quale egli pretende di essere un commentatore, un giornalista e un organizzatore di spettacoli, bisogna notare che il suo programma televisivo settimanale, che è l’unica prova, del resto, dello status di giornalista che egli rivendica a suo vantaggio, sembra essere un prolungamento delle sue attività politiche. Infatti, come risulta dai precedenti punti da 81 a 83, il ricorrente ha utilizzato la propria trasmissione per attaccare i suoi avversari politici e per dare istruzioni per azioni contro l’opposizione. Inoltre, come rilevato al precedente punto 112, le azioni del ricorrente che il Consiglio ha preso in considerazione non riguardano esclusivamente il suo programma televisivo. In ogni caso, risulta dalla giurisprudenza della Corte EDU che i principi relativi alla buona fede e agli obblighi etici dei giornalisti, che questi ultimi sono tenuti a rispettare per potersi avvalere di una maggiore protezione dalle ingerenze che pregiudicano la loro libertà di espressione (v. il precedente punto 104), si applicano anche alle altre persone che intervengono nel dibattito pubblico (v., in tal senso, Corte EDU, 15 febbraio 2005, Steel e Morris c. Regno Unito, CE:ECHR:2005:0215JUD006841601, § 90, e 29 novembre 2005, Urbino Rodrigues c. Portogallo, CE:ECHR:2005:1129JUD007508801, § 25). Pertanto, tali principi sono pertinenti per quanto riguarda la situazione del ricorrente, che senza dubbio è intervenuto nel dibattito pubblico in corso in Venezuela.

115

Dall’esame del fascicolo risulta che, senza essersi assunto i «doveri e le responsabilità» di cui alla giurisprudenza della Corte EDU, il ricorrente ha utilizzato liberamente i media per minacciare e intimidire pubblicamente l’opposizione politica, altri media e la società civile.

116

In particolare, il ricorrente ha accusato i giornalisti di complicità in un attentato dinamitardo contro la Guardia Nazionale. Inoltre, non ha negato di essersi impegnato in intimidazioni sul suo sito Internet contro movimenti che denunciano le violazioni dei diritti umani in Venezuela, o di aver utilizzato, nell’ambito del suo programma televisivo, informazioni provenienti da conversazioni private registrate illegalmente e ciò al fine di attaccare taluni avversari politici. Inoltre non ha contestato le informazioni secondo cui ha incitato una repressione brutale per mezzo di una retorica incendiaria, ha dato istruzioni per schierare corpi di combattimento contro le manifestazioni dell’opposizione, ha minacciato pubblicamente taluni leader dell’opposizione affermando «sappiamo dove vivete», ha mostrato pubblicamente un «manuale per i combattenti rivoluzionari» che includeva informazioni personali sui leader dell’opposizione, compreso il loro luogo di residenza, al fine di intimidire l’opposizione. Del pari, il ricorrente non ha messo in discussione l’informazione contenuta in un rapporto dell’OAS del 14 marzo 2017 secondo la quale era coinvolto in atti di tortura.

117

Si deve quindi constatare che le azioni del ricorrente esaminate dal Consiglio nel suo fascicolo costituiscono un incitamento alla violenza, all’odio e all’intolleranza ai sensi della giurisprudenza citata al precedente punto 105, sicché esse non possono beneficiare della maggiore libertà di espressione che in linea di principio protegge le dichiarazioni rese nel contesto politico. Tali azioni sono, infatti, veri e propri attacchi alla democrazia e allo stato di diritto in Venezuela.

118

Di conseguenza, gli argomenti del ricorrente relativi al suo ruolo di giornalista e alla libertà di espressione di cui godono i giornalisti devono essere respinti.

119

Peraltro, è vero che, come ricordato nel precedente punto 102, «ogni individuo» gode della libertà di espressione. Inoltre, nella fattispecie, le misure restrittive imposte al ricorrente possono tradursi in limitazioni della sua libertà di espressione poiché sono state decise dal Consiglio, in particolare a causa di alcune delle sue dichiarazioni, e possono quindi dissuaderlo dall’esprimersi in termini simili. Tuttavia, occorre osservare che la libertà di espressione non costituisce una prerogativa assoluta e può, di conseguenza, essere oggetto di limitazioni alle condizioni enunciate dall’articolo 52, paragrafo 1, della Carta.

120

Per essere conforme al diritto dell’Unione, la violazione della libertà di espressione deve soddisfare una triplice condizione. In primo luogo, la limitazione deve essere «prevista dalla legge». Altrimenti detto: l’istituzione dell’Unione che adotta misure in grado di restringere la libertà di espressione di una persona deve disporre di una base legale a tal fine. In secondo luogo, la limitazione deve perseguire una finalità di interesse generale, riconosciuta come tale dall’Unione. In terzo luogo, la limitazione non deve essere eccessiva (v. sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punto 69 e giurisprudenza ivi citata).

121

Per quanto riguarda la prima condizione, occorre notare che, nel caso di specie, la limitazione è «prevista dalla legge», dato che è stabilita in atti che sono, tra l’altro, di portata generale e hanno chiare basi giuridiche nel diritto dell’Unione, ossia l’articolo 29 TUE e l’articolo 215 TFUE (v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punto 72).

122

Per quanto riguarda la seconda condizione, si deve constatare che, come risulta dall’esame del secondo motivo, gli atti impugnati sono conformi, per quanto riguarda il ricorrente, all’obiettivo, previsto all’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), TUE, di consolidare e sostenere la democrazia e lo Stato di diritto, in quanto fanno parte di una politica volta a promuovere la democrazia in Venezuela.

123

Riguardo alla terza condizione, va osservato che essa presenta due aspetti: da una parte, le limitazioni alla libertà di espressione che possono risultare dalle misure restrittive in questione devono essere necessarie e proporzionate allo scopo perseguito e, dall’altra, la sostanza di tale libertà non deve essere intaccata (v., per analogia, sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punto 84). Con riferimento al primo aspetto, occorre ricordare che il principio di proporzionalità, in quanto principio generale del diritto dell’Unione, esige che gli atti delle istituzioni dell’Unione non superino i limiti di ciò che è idoneo e necessario al conseguimento degli scopi perseguiti dalla normativa di cui trattasi. Quindi, qualora sia possibile una scelta fra più misure appropriate, si deve perciò ricorrere alla meno restrittiva e gli inconvenienti causati devono essere proporzionati rispetto agli scopi perseguiti (v. sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punto 87).

124

A tal proposito la giurisprudenza precisa che, per quanto riguarda il controllo giurisdizionale del rispetto del principio di proporzionalità, si deve riconoscere un ampio potere discrezionale al legislatore dell’Unione nei settori che richiedono da parte di quest’ultimo scelte di natura politica, economica e sociale e rispetto ai quali esso è chiamato a effettuare valutazioni complesse. Di conseguenza, solo il carattere manifestamente inidoneo di un provvedimento adottato in tali ambiti, rispetto allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di un tale provvedimento (sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punto 88).

125

Nel caso di specie, per quanto riguarda l’adeguatezza delle misure restrittive, come quelle imposte al ricorrente, alla luce di un obiettivo di interesse generale fondamentale per la comunità internazionale come la protezione della democrazia e dello Stato di diritto, risulta che il congelamento di fondi, attività finanziarie e altre risorse economiche delle persone identificate come coinvolte nelle violazioni della democrazia in Venezuela non può, in quanto tale, essere considerato inadeguato (v., in tal senso, sentenza del 12 febbraio 2020, Boshab/Consiglio, T‑171/18, non pubblicata, EU:T:2020:55, punto 134 e giurisprudenza ivi citata). Come è stato sottolineato nel precedente punto 117, il ricorrente, attraverso il suo incitamento alla violenza, all’odio e all’intolleranza, è la causa di tali violazioni.

126

Con riferimento alla necessità delle limitazioni in questione, è d’uopo constatare che misure restrittive alternative e meno vincolanti, quali un sistema di previa autorizzazione o un obbligo di giustificazione a posteriori dell’uso dei capitali versati, non consentono di raggiungere altrettanto efficacemente gli scopi perseguiti, ossia l’esercizio di una pressione sui decisori venezuelani responsabili della situazione in Venezuela, in particolare tenuto conto della possibilità di eludere le restrizioni imposte (v., in tal senso, sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punto 85).

127

Peraltro, occorre ricordare che l’articolo 7, paragrafo 4, della decisione 2017/2074 e l’articolo 9, paragrafo 1, del regolamento 2017/2063 prevedono la possibilità di autorizzare lo svincolo di taluni fondi o risorse economiche congelati affinché le persone interessate possano soddisfare esigenze o impegni fondamentali.

128

Atteso che le limitazioni alla libertà di espressione che le misure restrittive in questione possono comportare nei confronti del ricorrente sono necessarie e proporzionate allo scopo perseguito, occorre esaminare la condizione che non sia violata la sostanza di detta libertà.

129

Occorre ricordare che le misure restrittive in questione prevedono, da un lato, che gli Stati membri adottino le misure necessarie per impedirne l’ingresso o il transito nel loro territorio e, dall’altro, un congelamento dei suoi fondi e delle sue risorse economiche collocate nell’Unione.

130

Orbene, il ricorrente è cittadino di uno Stato esterno all’Unione, il Venezuela, e risiede in questo Stato, dove svolge la sua attività professionale di politico, altresì attivo sui media di tale paese. Pertanto, le misure restrittive in questione non ledono la sostanza del suo diritto a esercitare la libertà di espressione segnatamente nell’ambito della sua attività professionale nel settore dei media, nel paese in cui risiede e lavora (v., per analogia, sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punto 123).

131

Tali misure, inoltre, hanno carattere temporaneo e reversibile. Infatti, dall’articolo 13 della decisione 2017/2074 risulta che quest’ultima è costantemente riesaminata (v. il precedente punto 7).

132

Di conseguenza, le misure restrittive a cui è sottoposto il ricorrente non violano la sua libertà di espressione.

133

Alla luce di tutto ciò che precede, il terzo motivo di ricorso deve essere respinto.

[omissis]

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Settima Sezione)

dichiara e statuisce:

 

1)

Il ricorso è respinto.

 

2)

Il sig. Diosdado Cabello Rondón è condannato alle spese.

 

da Silva Passos

Reine

Truchot

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 14 luglio 2021.

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

( 1 ) Sono riprodotti soltanto i punti della presente sentenza la cui pubblicazione è ritenuta utile dal Tribunale.