ORDINANZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)
5 settembre 2019 ( *1 )
«Rinvio pregiudiziale – Articolo 99 del regolamento di procedura della Corte – Libera circolazione dei lavoratori – Parità di trattamento – Articolo 45 TFUE – Regolamento (CE) n. 883/2004 – Articolo 4 – Convenzione sulla previdenza sociale conclusa tra lo Stato membro di occupazione e un paese terzo – Prestazioni familiari – Applicazione a un lavoratore frontaliero che non sia né cittadino né residente di uno degli Stati contraenti della convenzione»
Nella causa C‑801/18,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal conseil supérieur de la sécurité sociale (Consiglio superiore per la previdenza sociale, Lussemburgo), con decisione del 17 dicembre 2018, pervenuta in cancelleria il 19 dicembre 2018, nel procedimento
EU
contro
Caisse pour l’avenir des enfants
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta da C. Toader, presidente di sezione, A. Rosas (relatore) e M. Safjan, giudici,
avvocato generale: M. Szpunar
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, conformemente all’articolo 99 del regolamento di procedura della Corte,
ha emesso la seguente
Ordinanza
1 |
La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 45 TFUE, della direttiva n. 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GU 2004, L 158, pag. 77, e rettifiche in GU 2004, L 229, pag. 35, e GU 2005, L 197, pag. 34), nonché dell’articolo 4 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU 2004, L 166, pag. 1, e rettifica in GU 2004, L 200, pag. 1). |
2 |
Tale domanda è stata proposta nell’ambito di una controversia tra EU e la Caisse pour l’avenir des enfants (Cassa per il futuro dei minori, Lussemburgo; in prosieguo: la «CAE») in merito al diniego, da parte di quest’ultima, degli assegni familiari al figlio di EU, residente con la madre in un paese terzo. |
Contesto normativo
La convenzione sulla previdenza sociale del 1965
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La convenzione sulla previdenza sociale stipulata dal Granducato di Lussemburgo e dagli Stati Uniti del Brasile, firmata a Rio de Janeiro il 16 settembre 1965 (Mémorial A 1966, pag. 621), nella sua versione applicabile ai fatti di cui al procedimento principale (in prosieguo: la «convenzione sulla previdenza sociale del 1965»), all’articolo 1 disponeva quanto segue: «La presente [c]onvenzione ha l’obiettivo di disciplinare, nel rispetto della parità di trattamento, la sicurezza sociale dei cittadini delle Alte Parti contraenti». |
4 |
L’articolo 2 di questa convenzione disponeva: «La [c]onvenzione si applica alle assicurazioni malattia, maternità, invalidità, vecchiaia, morte e infortuni sul lavoro, nonché agli assegni familiari (ad esclusione delle prestazioni di nascita fornite su base non contributiva)». |
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Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, di detta convenzione: «I cittadini di una delle Parti che lavorano abitualmente sul territorio di una di esse sono soggetti alla legislazione di detta Parte». |
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L’articolo 4 della medesima Convenzione così recitava: «I cittadini di una Parte che hanno diritto a prestazioni in denaro percepiscono tali prestazioni integralmente e senza restrizioni anche per tutto il tempo in cui abitano sul territorio di una o dell’altra Parte». |
Il regolamento n. 883/2004
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Ai sensi dell’articolo 4 del regolamento n. 883/2004: «Salvo quanto diversamente previsto dal presente regolamento, le persone alle quali si applica il presente regolamento godono delle stesse prestazioni e sono soggette agli stessi obblighi di cui alla legislazione di ciascuno Stato membro, alle stesse condizioni dei cittadini di tale Stato». |
Il diritto lussemburghese
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La convenzione sulla previdenza sociale del 1965 è stata approvata dal Granducato di Lussemburgo con la legge del 12 luglio 1966 (Mémorial A 1966, pag. 620). |
9 |
L’articolo 269, primo comma, del code de la sécurité sociale (codice della previdenza sociale), intitolato «Condizioni per la concessione», dispone quanto segue: «Alle condizioni previste nel presente capo, ha diritto agli assegni familiari,
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Procedimento principale e questioni pregiudiziali
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L’8 dicembre 2015, EU, cittadino portoghese che risiede in Francia e lavora in Lussemburgo, presentava alla Caisse nationale des prestations familiales [Cassa nazionale per le prestazioni familiari (Lussemburgo), divenuta Caisse pour l’avenir des enfants, (Cassa per il futuro dei minori), CAE] una domanda di assegni familiari per il figlio, che risiede con la madre in Brasile. |
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Con decisione del 6 giugno 2016, la CAE respingeva tale domanda, in ragione del fatto che EU non rientrava nell’ambito di applicazione dell’articolo 269, primo comma, lettera b), del codice della previdenza sociale, poiché non possedendo né la cittadinanza brasiliana, né quella lussemburghese, la convenzione sulla previdenza sociale del 1965 non era applicabile nei suoi confronti. |
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Adito con ricorso proposto da EU, con sentenza del 7 luglio 2017 il conseil arbitral de la sécurité sociale (Consiglio arbitrale per la previdenza sociale, Lussemburgo) respingeva il ricorso in quanto infondato. Secondo detto giudice, il figlio di EU non aveva diritto agli assegni familiari, né per se stesso, non risiedendo in modo effettivo e continuativo in Lussemburgo, né in qualità di familiare della madre, la quale non era soggetta alla legislazione lussemburghese, né in qualità di familiare del padre, il quale non rientrava nell’ambito di applicazione della convenzione sulla previdenza sociale del 1965, non essendo né cittadino lussemburghese né cittadino brasiliano, considerato che il mero status di lavoratore frontaliero non è sufficiente per essere qualificato come cittadino lussemburghese. |
13 |
In subordine, il conseil arbitral de la sécurité sociale (Consiglio arbitrale per la previdenza sociale) osservava che poteva porsi la questione dell’applicabilità della sentenza del 15 gennaio 2002, Gottardo (C‑55/00, EU:C:2002:16), al procedimento principale, senza tuttavia sottoporre tale questione alle parti nel procedimento principale e senza trarne conseguenze in diritto. |
14 |
Il 4 agosto 2017, EU proponeva appello avverso la sentenza del conseil arbitral de la sécurité sociale (Consiglio arbitrale per la previdenza sociale) dinanzi al conseil supérieur de la sécurité sociale (Consiglio superiore per la previdenza sociale, Lussemburgo), facendo valere il diritto ad assegni familiari a favore di suo figlio. |
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EU sosteneva che, se lavorasse in Francia, potrebbe beneficiare per il figlio degli assegni familiari francesi, sul fondamento dell’accordo tra la Repubblica francese e la Repubblica federale del Brasile in materia di previdenza sociale, firmato a Brasilia il 15 dicembre 2011, e che, se lavorasse in Portogallo, potrebbe beneficiare per il figlio degli assegni familiari portoghesi in forza di un accordo bilaterale denominato «Iberoamericano». |
16 |
Invocando il principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione europea e rinviando all’articolo 45 TFUE, alla direttiva 2004/38 nonché al regolamento n. 883/2004, EU rivendicava il diritto agli assegni familiari lussemburghesi, sostenendo che, in caso di omesso versamento di tali assegni, subirebbe un particolare svantaggio idoneo a indurlo a smettere di lavorare in Lussemburgo, il che costituirebbe un ostacolo al principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione. |
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In subordine, EU richiamava la sentenza del 15 gennaio 2002, Gottardo (C‑55/00, EU:C:2002:16) e affermava che il principio di parità di trattamento derivante dalle disposizioni pertinenti del diritto dell’Unione potrebbe essere opposto all’istituzione dello Stato membro al quale egli è soggetto, in presenza di una convenzione sulla previdenza sociale conclusa tra tale Stato membro e il paese terzo interessato. Inoltre, EU chiedeva di sottoporre una questione pregiudiziale alla Corte. |
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La CAE chiedeva la conferma della sentenza del conseil arbitral de la sécurité sociale (Consiglio arbitrale per la previdenza sociale), in ragione del fatto che né il figlio, né la madre, né EU avrebbero soddisfatto le condizioni per la concessione degli assegni familiari di cui all’articolo 269 del codice della previdenza sociale. |
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Il 22 gennaio 2018 il conseil supérieur de la sécurité sociale (Consiglio superiore per la previdenza sociale) domandava alle parti di prendere posizione sull’applicabilità della convenzione sulla previdenza sociale del 1965 a persone che, come nel caso di specie, non risiedono sul territorio di nessuno dei due Stati contraenti, tenuto conto dell’articolo 4 di detta convenzione, che subordina il percepimento delle prestazioni in denaro alla residenza del cittadino sul territorio di uno degli Stati contraenti. |
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A tal riguardo, EU faceva nuovamente riferimento alla sentenza del 15 gennaio 2002, Gottardo (C‑55/00, EU:C:2002:16) per sostenere che, alla luce del principio della parità di trattamento e della libera circolazione dei lavoratori all’interno dell’Unione, l’articolo 4 della convenzione sulla previdenza sociale del 1965 non gli era opponibile. |
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Secondo la CAE, per quanto, in seguito alla sentenza del 15 gennaio 2002, Gottardo (C‑55/00, EU:C:2002:16), il Granducato di Lussemburgo sia d’ora in avanti tenuto, al fine di evitare qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità, ad ammettere tutti i cittadini di uno Stato membro a beneficiare di qualsiasi convenzione internazionale conclusa tra il Granducato di Lussemburgo e un paese terzo, nel procedimento principale EU non si troverebbe nella stessa situazione oggettiva dei cittadini nazionali dello Stato firmatario di una siffatta convenzione che hanno anche il loro domicilio legale nel territorio di tale Stato. |
22 |
Il conseil supérieur de la sécurité sociale (Consiglio superiore della previdenza sociale) rileva che, non avendo il proprio domicilio legale in Lussemburgo e non risiedendovi effettivamente, il figlio di EU non ha diritto agli assegni familiari né per se stesso, né in qualità di familiare della madre, la quale non è sottoposta alla legislazione lussemburghese, né in qualità di familiare del padre. |
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Affinché tale minore possa ricevere gli assegni familiari in qualità di familiare di EU, occorrerebbe, secondo il conseil supérieur de la sécurité sociale (Consiglio superiore per la previdenza sociale), che quest’ultimo, che è sottoposto alla legislazione lussemburghese a seguito della conclusione del suo contratto di lavoro in Lussemburgo, rientri in una convenzione bilaterale. Orbene, l’ambito di applicazione della convenzione sulla previdenza sociale del 1965 sarebbe, in forza degli articoli 3 e 4 della medesima, limitato ai cittadini e residenti di uno degli Stati parte di tale convenzione. |
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EU sostiene che tali limitazioni integrano un ostacolo ai principi della libera circolazione dei lavoratori in seno all’Unione e alla parità di trattamento, facendo riferimento, in particolare, all’articolo 45 TFUE, ai sensi del quale la libera circolazione dei lavoratori è assicurata all’interno dell’Unione e implica l’abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro, nonché al regolamento n. 883/2004 e, in particolare, al suo articolo 4, che garantisce che le persone a cui si applica il regolamento beneficino delle stesse prestazioni e siano soggette agli stessi obblighi, in forza della legislazione di ciascuno Stato membro, dei cittadini di quest’ultimo. |
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Il giudice del rinvio rileva che, nella sentenza del 15 gennaio 2002, Gottardo (C‑55/00, EU:C:2002:16), la Corte di giustizia ha stabilito che gli enti previdenziali competenti di un primo Stato membro sono tenuti, conformemente agli obblighi ad essi incombenti in virtù dell’articolo 39 CE (divenuto articolo 45 TFUE), a prendere in considerazione, ai fini dell’acquisizione del diritto a prestazioni di vecchiaia, i periodi contributivi maturati in un paese terzo da un cittadino di un secondo Stato membro quando, a parità di situazioni contributive, detti enti, in applicazione di una convenzione internazionale bilaterale conclusa tra il primo Stato membro e il paese terzo, computano i periodi di tale natura maturati dai loro stessi cittadini. |
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Il giudice del rinvio ritiene che si ponga, di conseguenza, la questione se, in materia di assegni familiari, la convenzione sulla previdenza sociale del 1965 sia applicabile a EU, benché non sia né cittadino né residente di uno dei due Stati parti di tale convenzione. |
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In tale contesto il conseil supérieur de la sécurité sociale (Consiglio superiore per la previdenza sociale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
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Sulle questioni pregiudiziali
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Con le sue questioni, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 45 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, debba essere interpretato nel senso che esso osta al rifiuto, da parte degli enti competenti di un primo Stato membro, di versare a un cittadino di un secondo Stato membro, che lavora nel primo Stato membro senza risiedervi, le prestazioni familiari per il figlio residente in un paese terzo con la madre quando, a parità di condizioni di concessione di dette prestazioni, i suddetti enti riconoscono, in seguito a una convenzione internazionale bilaterale conclusa tra il primo Stato membro e tale paese terzo, il diritto alle prestazioni familiari a favore dei propri cittadini e residenti. Se del caso, il giudice del rinvio chiede se considerazioni riguardanti la gravosità degli oneri finanziari e amministrativi sostenuti dall’amministrazione possano essere invocate per giustificare in modo oggettivo una disparità di trattamento tra i cittadini degli Stati parti della convenzione bilaterale interessata e i cittadini di altri Stati membri dell’Unione. |
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Ai sensi dell’articolo 99 del suo regolamento di procedura, la Corte, in particolare quando la risposta a una questione pregiudiziale può essere chiaramente desunta dalla giurisprudenza o quando la risposta a tale questione non dà adito a nessun ragionevole dubbio, può, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, statuire in qualsiasi momento con ordinanza motivata. |
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Tale disposizione deve essere applicata nell’ambito della presente causa. |
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Nel caso di specie, è pacifico che EU lavora in Lussemburgo in qualità di lavoratore frontaliero, è iscritto al regime di previdenza sociale lussemburghese ed è soggetto all’imposta sul reddito in Lussemburgo. Rientrando nella normativa lussemburghese a causa della conclusione del suo contratto di lavoro in Lussemburgo, EU ha chiesto di beneficiare per il figlio di assegni familiari sul fondamento dell’articolo 269, primo comma, lettera b), del code de la sécurité sociale (codice della previdenza sociale), ai sensi del quale ha diritto agli assegni familiari «per i suoi familiari, conformemente allo strumento internazionale applicabile, qualsiasi persona sottoposta alla legislazione lussemburghese e rientrante nell’ambito di applicazione dei regolamenti comunitari o di un altro strumento bi- o multilaterale concluso dal Lussemburgo in materia di previdenza sociale e che prevede il pagamento degli assegni familiari a norma della legislazione del paese di occupazione». |
32 |
Si deve anzitutto ricordare che, secondo la giurisprudenza costante della Corte, tutti i cittadini dell’Unione che abbiano usufruito del diritto alla libera circolazione e che abbiano esercitato attività lavorativa in uno Stato membro diverso da quello di residenza, indipendentemente dal luogo di residenza e dalla cittadinanza, rientrano nella sfera di applicazione dell’articolo 45 TFUE (v., in particolare, sentenze del 12 dicembre 2002, de Groot, C‑385/00, EU:C:2002:750, punto 76; del 28 febbraio 2013, Petersen, C‑544/11, EU:C:2013:124, punto 34, nonché del 14 marzo 2019, Jacob e Lennertz, C‑174/18, EU:C:2019:205, punto 21). |
33 |
Alla luce delle questioni sollevate nella presente causa, occorre inoltre ricordare la giurisprudenza della Corte sull’applicazione del principio della parità di trattamento nell’ambito dei rapporti tra il diritto dell’Unione e le convenzioni bilaterali stipulate tra due Stati membri o tra uno Stato membro e un paese terzo. |
34 |
A tale riguardo, con riguardo a un accordo culturale stipulato tra due Stati membri che riservava la concessione di borse di studio ai soli cittadini dei due Stati in questione, la Corte ha dichiarato che l’articolo 7 del regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all’interno della Comunità (GU 1968, L 257, pag. 2), imponeva alle autorità di detti Stati membri di estendere il godimento dei sussidi alla formazione previsti dall’accordo bilaterale ai lavoratori residenti e che esercitano un’attività lavorativa subordinata nel loro territorio, ma aventi la cittadinanza di un terzo Stato membro (v., in tal senso, sentenza del 27 settembre 1988, Matteucci, 235/87, EU:C:1988:460, punti 16 e 23). |
35 |
Infatti, la Corte ha ritenuto che, se l’applicazione di una disposizione di diritto comunitario rischiava di essere ostacolata da un provvedimento adottato in occasione dell’attuazione di una convenzione bilaterale, sia pure stipulata fuori dal campo d’applicazione del Trattato, gli Stati membri erano obbligati ad agevolare l’applicazione di detta disposizione e ad assistere a tale scopo ogni altro Stato membro al quale il diritto comunitario imponeva un obbligo (sentenza del 27 settembre 1988, Matteucci, 235/87, EU:C:1988:460, punto 19). |
36 |
Così, al punto 23 della sentenza del 27 settembre 1988, Matteucci (235/87, EU:C:1988:460), la Corte ha dichiarato che un accordo bilaterale che riservava il beneficio delle borse di studio ai cittadini dei due Stati membri, parti di tale accordo, non poteva ostare all’applicazione del principio della parità di trattamento tra i lavoratori nazionali e i lavoratori comunitari stabiliti nel territorio di uno di detti due Stati membri. |
37 |
Inoltre, nel caso di una convenzione internazionale bilaterale stipulata da uno Stato membro con un paese terzo per evitare la doppia imposizione, la Corte ha ricordato che, pur se la materia delle imposte dirette rientra nella competenza esclusiva degli Stati membri, tuttavia questi ultimi non potevano esimersi dal rispetto delle norme comunitarie (v., in tal senso, sentenza del 21 settembre 1999, Saint-Gobain ZN, C‑307/97, EU:C:1999:438, punti da 57 a 59). Essa ha pertanto dichiarato che il principio del trattamento nazionale impone allo Stato membro parte contraente di tale convenzione di concedere ai centri di attività stabili di società che hanno la sede in un altro Stato membro le agevolazioni previste dalla convenzione alle stesse condizioni delle società che hanno la sede nello Stato membro parte contraente della convenzione (sentenza del 21 settembre 1999, Saint-Gobain ZN, C‑307/97, EU:C:1999:438, punto 59). |
38 |
La Corte ha ricordato tale giurisprudenza nell’ambito della sentenza del 15 gennaio 2002, Gottardo (C‑55/00, EU:C:2002:16, punto 32), riguardante il diritto di una cittadina francese che ha lavorato in Italia, in Svizzera e in Francia e che non ha diritti sufficienti per ottenere una pensione di vecchiaia in Italia di beneficiare della totalizzazione dei periodi contributivi maturati in Svizzera e in Italia, come previsto dalla convenzione bilaterale conclusa tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera in materia di previdenza sociale per i cittadini di tali due paesi. Nella causa che ha dato luogo a tale sentenza, il giudice nazionale chiedeva se gli enti previdenziali italiani competenti fossero tenuti, conformemente agli obblighi a essi incombenti in forza, segnatamente, dell’articolo 39 CE (divenuto articolo 45 TFUE), di estendere ai lavoratori cittadini di Stati membri diversi dalla Repubblica italiana il beneficio del computo dei periodi contributivi maturati in Svizzera per l’acquisizione del diritto a prestazioni di vecchiaia italiane. |
39 |
Di conseguenza, la Corte ha evidenziato che, nell’attuazione degli impegni assunti in virtù di convenzioni internazionali, indipendentemente dal fatto che si tratti di una convenzione tra Stati membri ovvero tra uno Stato membro e uno o più paesi terzi, gli Stati membri, fatte salve le disposizioni dell’articolo 307 CE (divenuto articolo 351 TFUE), devono rispettare gli obblighi ad essi incombenti in virtù del diritto dell’Unione (sentenze del 15 gennaio 2002, Gottardo, C‑55/00, EU:C:2002:16, punto 33, e del 21 gennaio 2010, Commissione/Germania, C‑546/07, EU:C:2010:25, punto 42). Il fatto che i paesi terzi, dal canto loro, non siano tenuti al rispetto di alcun obbligo derivante dal diritto dell’Unione è irrilevante a questo proposito. |
40 |
Pertanto, quando uno Stato membro conclude con un paese terzo una convenzione internazionale bilaterale sulla previdenza sociale, ai sensi della quale i periodi contributivi maturati in detto paese sono presi in considerazione ai fini dell’acquisizione del diritto a delle prestazioni di vecchiaia, il principio fondamentale della parità di trattamento impone a tale Stato membro di concedere ai cittadini degli altri Stati membri i medesimi vantaggi di cui godono i suoi stessi cittadini grazie a detta convenzione, a meno che esso non sia in grado di addurre una giustificazione oggettiva del suo rifiuto (sentenza del 15 gennaio 2002, Gottardo, C‑55/00, EU:C:2002:16, punto 34). |
41 |
Al riguardo, la Corte ha già dichiarato che il fatto che l’equilibrio e la reciprocità di una convenzione internazionale bilaterale stipulata da uno Stato membro con un paese terzo vengano rimessi in discussione può costituire una giustificazione oggettiva del rifiuto opposto dallo Stato membro parte contraente di tale convenzione di estendere ai cittadini degli altri Stati membri i vantaggi che i suoi cittadini ricavano da detta convenzione (v., in tal senso, sentenze del 21 settembre 1999, Saint-Gobain ZN, C‑307/97, EU:C:1999:438, punto 60, e del 15 gennaio 2002, Gottardo, C‑55/00, EU:C:2002:16, punto 36). |
42 |
Nella sentenza del 15 gennaio 2002, Gottardo (C‑55/00, EU:C:2002:16, punto 37), la Corte ha tuttavia considerato che il governo italiano non aveva dimostrato che gli obblighi che il diritto dell’Unione gli imponeva avrebbero compromesso quelli derivanti dagli impegni presi dalla Repubblica italiana nei confronti della Confederazione svizzera. Infatti, nella causa che ha dato origine a tale sentenza, la Corte ha rilevato che l’estensione ai lavoratori cittadini di Stati membri diversi dalla Repubblica italiana del beneficio del computo dei periodi contributivi maturati in Svizzera per l’acquisizione del diritto a prestazioni di vecchiaia italiane, applicata unilateralmente dalla Repubblica italiana, non comprometterebbe affatto i diritti derivanti dalla convenzione relativa alla sicurezza sociale conclusa tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera né imporrebbe a quest’ultima nuovi obblighi. |
43 |
In tale sentenza la Corte ha peraltro osservato che gli argomenti addotti dall’ente nazionale competente e dal governo italiano per giustificare il loro rifiuto di ammettere la totalizzazione dei periodi di assicurazione maturati dall’interessato, fondati sull’eventuale aumento dei loro oneri finanziari e sulle difficoltà amministrative connesse alla collaborazione con le autorità elvetiche competenti, non potevano giustificare l’inosservanza da parte della Repubblica italiana degli obblighi derivanti dal Trattato. |
44 |
Nel caso di specie, EU, di nazionalità portoghese, lavora in Lussemburgo pur abitando in Francia. Risulta quindi che la sua situazione rientra nell’ambito di applicazione dell’articolo 45 TFUE, che impone l’abolizione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità tra i lavoratori degli Stati membri per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e le altre condizioni di lavoro, e che lo stesso, al pari del figlio, ricade nella sfera di applicazione del regolamento n. 883/2004, il cui articolo 4 garantisce che le persone a cui tale regolamento si applica beneficino delle stesse prestazioni, in forza della legislazione di ciascuno Stato membro, dei cittadini di quest’ultimo. |
45 |
Come risulta dalla domanda di pronuncia pregiudiziale, le autorità lussemburghesi hanno ritenuto che, alla luce delle circostanze del procedimento principale, il figlio di EU non abbia diritto agli assegni familiari né per sé stesso, né in quanto familiare di sua madre, né in quanto familiare di suo padre. |
46 |
Alla luce della giurisprudenza citata ai punti da 38 a 42 della presente ordinanza, non risulta che l’obbligo, per il Granducato di Lussemburgo, di estendere a un lavoratore migrante, in una situazione come quella di cui al procedimento principale, i vantaggi che i suoi cittadini traggono da tale convenzione sia idoneo a rimettere in discussione l’equilibrio e la reciprocità di quest’ultima, nella misura in cui tale estensione non comprometterebbe gli obblighi derivanti dagli impegni assunti dal Granducato di Lussemburgo nei confronti degli Stati Uniti del Brasile (divenuti la Repubblica federativa del Brasile). Infatti, l’estensione ai cittadini di altri Stati membri che lavorano nel territorio lussemburghese del beneficio degli assegni familiari per i figli non residenti in tale territorio, applicata unilateralmente dal Granducato di Lussemburgo, non è tale da compromettere i diritti derivanti, per la Repubblica federativa del Brasile, dalla Convenzione sulla previdenza sociale del 1965 e non impone neppure a tale paese terzo nuovi obblighi. |
47 |
Peraltro, l’argomento relativo alla gravosità degli oneri finanziari e amministrativi che sarebbero sostenuti dall’amministrazione interessata se dovesse estendere ai cittadini degli altri Stati membri il beneficio delle agevolazioni concesse ai propri cittadini non può, di per sé, giustificare in modo oggettivo un rifiuto di tale amministrazione di procedere a tale estensione. |
48 |
A tal riguardo, la Corte ha ripetutamente dichiarato che motivazioni fondate sull’aumento degli oneri finanziari ed eventuali difficoltà amministrative non possono, in ogni caso, giustificare l’inosservanza degli obblighi derivanti dal divieto di discriminazione in base alla nazionalità enunciato all’articolo 45 TFUE (sentenze del 15 gennaio 2002, Gottardo, C‑55/00, EU:C:2002:16, punto 38; del 16 settembre 2004, Merida, C‑400/02, EU:C:2004:537, punto 30; del 28 giugno 2012, Erny, C‑172/11, EU:C:2012:399, punto 48, nonché del 19 giugno 2014, Specht e a., C‑501/12 a C‑506/12, C‑540/12 e C‑541/12, EU:C:2014:2005, punto 77). |
49 |
Ne consegue che, in una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, in cui il figlio di un lavoratore migrante cittadino di uno Stato membro residente con la madre in un paese terzo non ha diritto a prestazioni familiari né per lui stesso, né in qualità di familiare della madre, né in qualità di familiare del padre, lo Stato membro di occupazione è tenuto, in linea di principio, conformemente agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’articolo 45 TFUE e dell’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, a riconoscere a tale figlio il diritto alle prestazioni familiari che sarebbe riconosciuto ai propri cittadini e residenti, in presenza delle stesse condizioni di concessione di detti assegni, in forza di una convenzione internazionale bilaterale conclusa con tale paese terzo, a meno che tale Stato membro non sia in grado di addurre una giustificazione obiettiva del suo rifiuto. Il fatto che l’equilibrio e la reciprocità di una convenzione internazionale bilaterale stipulata da uno Stato membro con un paese terzo vengano messi in discussione può costituire una giustificazione oggettiva del rifiuto opposto da tale Stato membro di estendere ai cittadini degli altri Stati membri i vantaggi che i suoi cittadini ricavano dalla detta convenzione. |
50 |
Alla luce delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni sollevate dichiarando che l’articolo 45 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4 del regolamento n. 883/2004, deve essere interpretato nel senso che esso osta al rifiuto, da parte degli enti competenti di un primo Stato membro, di versare a un cittadino di un secondo Stato membro, che lavora nel primo Stato membro senza risiedervi, le prestazioni familiari per il figlio residente in un paese terzo con la madre quando, a parità di condizioni di concessione di dette prestazioni, suddetti enti riconoscono, in seguito a una convenzione internazionale bilaterale conclusa tra il primo Stato membro e tale paese terzo, il diritto alle prestazioni familiari a favore propri cittadini e residenti, salvo che tali enti siano in grado di addurre una giustificazione oggettiva del loro rifiuto. |
Sulle spese
51 |
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. |
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara: |
L’articolo 45 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 4 del regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, deve essere interpretato nel senso che osta al rifiuto, da parte degli enti competenti di un primo Stato membro, di versare a un cittadino di un secondo Stato membro, che lavora nel primo Stato membro senza risiedervi, le prestazioni familiari per il figlio residente in un paese terzo con la madre quando, a parità di condizioni di concessione di dette prestazioni, suddetti enti riconoscono, in seguito a una convenzione internazionale bilaterale conclusa tra il primo Stato membro e tale paese terzo, il diritto alle prestazioni familiari a favore dei propri cittadini e residenti, salvo che tali enti siano in grado di addurre una giustificazione oggettiva del loro rifiuto. |
Firme |
( *1 ) Lingua processuale: il francese.