SENTENZA DELLA CORTE (Quinta Sezione)

11 novembre 2020 ( *1 )

«Impugnazione – Marchio dell’Unione europea – Regolamento (CE) n. 207/2009 – Opposizione – Impedimento alla registrazione relativo – Articolo 8, paragrafo 3 – Ambito di applicazione – Identità o somiglianza del marchio richiesto con il marchio anteriore – Marchio denominativo dell’Unione Europea MINERAL MAGIC – Domanda di registrazione da parte dell’agente o del rappresentante del titolare del marchio anteriore – Marchio denominativo nazionale anteriore MAGIC MINERALS BY JEROME ALEXANDER»

Nella causa C‑809/18 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 20 dicembre 2018,

Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO), rappresentato da A. Lukošiūtė, in qualità di agente,

ricorrente,

procedimento in cui le altre parti sono:

John Mills Ltd, con sede in Londra (Regno Unito), rappresentata da S. Malynicz, QC,

ricorrente in primo grado,

Jerome Alexander Consulting Corp., con sede in Surfside (Stati Uniti),

interveniente in primo grado,

LA CORTE (Quinta Sezione),

composta da E. Regan (relatore), presidente di sezione, M. Ilešič, E. Juhász, C. Lycourgos e I. Jarukaitis, giudici,

avvocato generale: G. Pitruzzella

cancelliere: R. Schiano, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 16 gennaio 2020,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 30 aprile 2020,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione, l’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 15 ottobre 2018, John Mills/EUIPO – Jerome Alexander Consulting (MINERAL MAGIC) (T‑7/17; in prosieguo: la sentenza impugnata, EU:T:2018:679), con cui quest’ultimo ha annullato la decisione della prima commissione di ricorso dell’EUIPO del 5 ottobre 2016 (procedimento R 2087/2015-1), relativa ad un procedimento di opposizione tra la Jerome Alexander Consulting Corp. e la John Mills Ltd (in prosieguo: la «decisione controversa»).

Contesto normativo

Diritto internazionale

2

La Convenzione di Parigi per la protezione della proprietà industriale è stata firmata a Parigi il 20 marzo 1883, riveduta da ultimo a Stoccolma il 14 luglio 1967 e modificata il 28 settembre 1979 (Recueil des traités des Nations unies, vol. 828, n. 11851, pag. 305; in prosieguo: la «Convenzione di Parigi»). L’articolo 6 septies di tale convenzione prevede:

«1)   Se l’agente o il rappresentante del titolare di un marchio in uno dei paesi dell’Unione domanda, senza esserne autorizzato, la registrazione a suo nome di tale marchio, in uno o più dei suddetti paesi, il titolare avrà il diritto di opporsi alla registrazione richiesta o di domandarne la cancellazione o, se la legge del paese lo permette, il trasferimento a suo favore di detta registrazione, a meno che l’agente o rappresentante non giustifichi il proprio operato.

2)   Il titolare di un marchio avrà, con le riserve di cui al precedente [punto] 1), il diritto di opporsi all’utilizzazione del suo marchio da parte del proprio agente o rappresentante, se egli non abbia autorizzato tale utilizzazione.

3)   Le legislazioni nazionali possono prevedere un equo termine entro il quale il titolare di un marchio dovrà far valere i diritti previsti nel presente articolo».

3

L’articolo 29 di detta convenzione prevede al punto 1:

«a.

Il presente Atto è firmato in un solo esemplare in lingua francese e depositato presso il Governo della Svezia.

b.

Il Direttore generale cura la preparazione di testi ufficiali, previa consultazione dei Governi interessati, nelle lingue tedesca, inglese, spagnola, italiana, portoghese, russa e nelle altre lingue che l’Assemblea dovesse indicare.

c.

In caso di contestazione circa l’interpretazione dei diversi testi, fa fede il testo francese.

(...)».

4

L’articolo 2, paragrafo 1, dell’Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, che figura all’allegato 1 C dell’Accordo di Marrakech che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio e approvato a nome della Comunità europea con la decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU 1994, L 336, pag. 1) (in prosieguo: l’«accordo TRIPS»), prevede quanto segue:

«In relazione alle parti II, III e IV del presente accordo, i membri si conformano agli articoli da 1 a 12 e all’articolo 19 della convenzione di Parigi (1967)».

Diritto dell’Unione

5

L’articolo 8 del regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009, sul marchio [dell’Unione europea] (GU 2009, L 78, pag. 1), intitolato «Impedimenti relativi alla registrazione», al suo paragrafo 1, dispone quanto segue:

«1.   In seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore il marchio richiesto è escluso dalla registrazione se:

a)

è identico al marchio anteriore e i prodotti o servizi per i quali il marchio è stato richiesto sono identici ai prodotti o ai servizi per i quali il marchio anteriore è tutelato;

b)

a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore.

(...)

3.   In seguito all’opposizione del titolare del marchio, un marchio è del pari escluso dalla registrazione se l’agente o il rappresentante del titolare del marchio presenta la domanda a proprio nome e senza il consenso del titolare, a meno che tale agente o rappresentante non giustifichi il suo modo di agire.

(...)

5.   In seguito all’opposizione del titolare di un marchio anteriore ai sensi del paragrafo 2, la registrazione del marchio depositato è altresì esclusa se il marchio è identico o simile al marchio anteriore o se ne viene richiesta la registrazione per prodotti o servizi non simili a quelli per i quali è registrato il marchio anteriore, qualora, nel caso di un marchio [dell’Unione europea] anteriore, quest’ultimo sia il marchio che gode di notorietà nell[’Unione europea] o, nel caso di un marchio nazionale anteriore, quest’ultimo sia un marchio che gode di notorietà nello Stato membro in questione e l’uso senza giusto motivo del marchio richiesto possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o recare pregiudizio agli stessi».

6

Ai sensi dell’articolo 52 del citato regolamento, recante il titolo «Motivi di nullità assoluta»:

«1.   Su domanda presentata all’Ufficio o su domanda riconvenzionale in un’azione per contraffazione, il marchio [dell’Unione europea] è dichiarato nullo, allorché:

(...)

b)

al momento del deposito della domanda di marchio il richiedente ha agito in malafede.

(...)».

Fatti e decisione controversa

7

In data 18 settembre 2013, la John Mills, ricorrente in primo grado, ha presentato una domanda di registrazione di marchio dell’Unione europea presso l’EUIPO, ai sensi del regolamento n. 207/2009.

8

Il marchio di cui è stata chiesta la registrazione è il segno denominativo «MINERAL MAGIC» (in prosieguo: il «marchio contestato»).

9

I prodotti per i quali veniva chiesta la registrazione rientrano nella classe 3 ai sensi dell’Accordo di Nizza relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957, come riveduto e modificato, e corrispondono alla seguente descrizione: «Lozioni per capelli; prodotti esfolianti; saponi; prodotti di profumeria; oli eterici; cosmetici; prodotti per la pulizia e la cura della pelle, del cuoio capelluto e dei capelli; deodoranti per uso personale (profumeria)».

10

La domanda di marchio dell’Unione europea è stata pubblicata nel Bollettino dei marchi comunitari n. 2014/14, del 23 gennaio 2014.

11

Il 23 aprile 2015 la Jerome Alexander Consulting, interveniente in primo grado, ha proposto opposizione, ai sensi dell’articolo 41 del regolamento n. 207/2009, alla registrazione del marchio contestato per tutti i prodotti di cui al punto 9 della presente sentenza.

12

L’opposizione si fondava sui seguenti marchi anteriori:

il marchio denominativo americano MAGIC MINERALS BY JEROME ALEXANDER n. 4274584, designante i seguenti prodotti: «Cipria per il viso contenente minerali»;

il marchio denominativo americano MAGIC MINERALS, non registrato, designante i seguenti prodotti: «Cosmetici».

13

I motivi invocati a sostegno dell’opposizione erano quelli previsti all’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento.

14

Con decisione del 18 agosto 2015, la divisione di opposizione ha respinto tale opposizione.

15

In data 15 ottobre 2015, la Jerome Alexander Consulting ha presentato ricorso presso l’EUIPO, ai sensi degli articoli da 58 a 64 di detto regolamento.

16

Con la decisione impugnata, la prima commissione di ricorso dell’EUIPO (in prosieguo: la «commissione di ricorso») ha annullato la decisione della divisione di opposizione e, in base all’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, ha rifiutato la registrazione del marchio contestato.

17

In primo luogo, la commissione di ricorso ha preso atto del fatto che la Jerome Alexander Consulting rinunciava a fondare la propria opposizione sul marchio americano, non registrato, MAGIC MINERALS e che si limitava pertanto a far valere il marchio americano denominativo MAGIC MINERALS BY JEROME ALEXANDER.

18

In secondo luogo, la commissione di ricorso ha menzionato l’obiettivo dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, ossia evitare la sottrazione di un marchio da parte dell’agente del titolare dello stesso, e ha altresì indicato le condizioni che dovrebbero essere soddisfatte perché un’opposizione possa essere accolta sulla base di tale disposizione, vale a dire che l’opponente sia il titolare del marchio anteriore, che il richiedente il marchio sia o sia stato l’agente o il rappresentante del titolare summenzionato, che la domanda sia stata presentata a nome di tale agente o di tale rappresentante senza il consenso del titolare e senza che ricorrano ragioni legittime a giustificazione del comportamento dell’agente o del rappresentante e che la domanda abbia ad oggetto segni e prodotti identici o simili.

19

In terzo luogo, la commissione di ricorso ha analizzato concretamente se siano state soddisfatte le condizioni per l’accoglimento dell’opposizione sulla base dell’articolo 8, paragrafo 3, del medesimo regolamento. Innanzi tutto, quanto alla sussistenza di una relazione agente/mandante, la commissione di ricorso ha sottolineato che i termini «agente» e «rappresentante» dovevano essere interpretati estensivamente.

20

Nel caso di specie, essa ha osservato che il contratto di distribuzione tra le parti prevedeva che la John Mills si sarebbe fatta carico di distribuire i prodotti della Jerome Alexander Consulting all’interno dell’Unione. Essa ha inoltre rilevato che nel contratto figuravano disposizioni riguardanti l’esclusività del contratto, una clausola di non concorrenza e disposizioni relative ai diritti di proprietà intellettuale della Jerome Alexander Consulting. Essa ha ritenuto che gli elementi di prova, vale a dire buoni d’ordine di cui uno recante una data anteriore di due mesi rispetto al deposito del marchio richiesto, forniti dalla Jerome Alexander Consulting, attestassero l’esistenza di una relazione commerciale significativa che andava oltre la semplice relazione normale tra fornitore e distributore. Essa ha quindi riconosciuto che al momento del deposito del marchio richiesto sussisteva una relazione commerciale reale, effettiva e duratura, tale da far sorgere un generale obbligo di fiducia e lealtà, e che la John Mills era un agente ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009.

21

In quarto luogo, la commissione di ricorso ha evidenziato che l’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento riguardava, oltre alle ipotesi in cui i beni o i servizi confrontati sono identici, quelle in cui sono simili. Essa ha rilevato che, nel caso di specie, i prodotti designati dai segni in conflitto erano identici – atteso che i «cosmetici» oggetto del marchio contestato comprendevano la «cipria per il viso contenente minerali» coperta dal marchio anteriore – o simili – atteso che gli altri prodotti contrassegnati dal marchio contestato presentavano svariati elementi di collegamento con quelli coperti dal marchio anteriore°–, giacché potevano essere composti da identici ingredienti, erano spesso prodotti dalle stesse imprese ed erano offerti congiuntamente nei drugstore e nelle medesime corsie dei punti vendita al dettaglio.

22

Per quanto riguarda i segni in conflitto, la commissione di ricorso ha ritenuto che fossero simili. In primo luogo, la stessa ha rilevato la notevole somiglianza tra, da un lato, i due primi elementi denominativi, ossia «magic» e «minerals» del marchio anteriore e, dall’altro, gli elementi denominativi del marchio contestato.

23

Poi, essa ha sottolineato che il marchio anteriore poteva essere percepito dal pubblico di riferimento dell’Unione come un segno composto da due elementi. Da un lato, l’elemento «by jerome alexander» sarebbe percepito come atto ad identificare l’entità responsabile del prodotto, e, dall’altro, l’elemento «magic minerals» sarebbe probabilmente percepito come diretto ad individuare il prodotto stesso o la linea di prodotti.

24

Infine ha considerato che il fatto che lo United States Patent and Trademark Office (USPTO, Ufficio dei brevetti e dei marchi degli Stati Uniti d’America) non si sia opposto alla registrazione del marchio MAGIC MINERALS BY JEROME ALEXANDER, malgrado l’esistenza del marchio MINERAL MAGIC COSMETICS, non significava peraltro che non esistesse alcun rischio di confusione tra i medesimi. Infatti, la commissione di ricorso ha rilevato che il titolare del marchio MINERAL MAGICS COSMETICS avrebbe dovuto presentare opposizione al riguardo. In considerazione di tutti i suddetti elementi, la commissione di ricorso ha accolto l’opposizione fondata sull’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009.

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

25

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 5 gennaio 2017, la John Mills ha proposto un ricorso diretto all’annullamento della decisione controversa.

26

A sostegno del suo ricorso, ha sollevato un unico motivo, relativo alla violazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, che è stato suddiviso in tre parti. La prima verteva sul fatto che la commissione di ricorso avrebbe erroneamente ritenuto che la John Mills fosse un «agente» o un «rappresentante», ai sensi di tale disposizione, del titolare del marchio anteriore. Nel contesto della seconda parte, la John Mills affermava che la commissione di ricorso aveva commesso un errore nel diritto nel considerare che tale disposizione era applicabile nonostante i segni in conflitto fossero semplicemente simili e non identici. La terza censura poggia sul fatto che la commissione di ricorso avrebbe ritenuto a torto che la disposizione di cui sopra fosse applicabile benché i prodotti oggetto del marchio anteriore non fossero identici a quelli oggetto del marchio contestato.

27

Mediante la sentenza impugnata, il Tribunale, sul solo fondamento della seconda parte, ha confermato il motivo unico e, di conseguenza, ha annullato la decisione contestata.

Conclusioni delle parti

28

L’EUIPO chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata e

condannare la John Mills alle spese.

29

La John Mills chiede alla Corte di:

respingere l’impugnazione e

condannare l’EUIPO alle spese.

Sull’impugnazione

30

A sostegno del suo motivo, l’EUIPO solleva due motivi relativi, il primo, a una violazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 e, il secondo, a una contraddittorietà dei motivi e ad una mancanza di motivazione per quanto riguarda la nozione di «identità».

Argomenti delle parti

31

Con il primo motivo, l’EUIPO rileva che è sul fondamento di un’interpretazione erronea dell’articolo 8, paragrafo 3, del medesimo regolamento che il Tribunale ha affermato, al punto 37 della sentenza impugnata, che tale disposizione è applicabile solo se il marchio anteriore e quello richiesto da parte dell’agente o dal rappresentante del titolare del marchio anteriore sono identici, e non semplicemente simili.

32

Infatti, l’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento mirerebbe a evitare la sottrazione di un marchio da parte dell’agente del titolare di quest’ultimo, poiché l’agente potrebbe sfruttare le conoscenze e l’esperienza acquisite durante la relazione commerciale con tale titolare, traendo, pertanto, un indebito profitto dal lavoro e dagli investimenti effettuati dallo stesso titolare del marchio. Orbene, un siffatto sfruttamento delle conoscenze e un siffatto vantaggio indebito non si limiterebbero alla registrazione e all’uso di un marchio identico ma si verificherebbero anche quando l’agente intende sottrarre gli elementi essenziali del marchio anteriore.

33

Con le dichiarazioni di cui ai punti 25 e 26 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe erroneamente interpretato l’obiettivo perseguito dall’articolo 8, paragrafo 3, di tale medesimo regolamento. Come risulterebbe dal punto 25 di tale sentenza, il Tribunale avrebbe giustamente ritenuto che tale disposizione richieda che vi sia un rapporto diretto tra il marchio del titolare e quello la cui registrazione è richiesta e che tale rapporto sia ipotizzabile soltanto se i marchi in questione «corrispondono». Tuttavia, deducendo da tale osservazione, al punto 26 di detta sentenza, che i marchi dovrebbero essere identici perché si configuri la sottrazione, il Tribunale contraddirebbe uno dei fondamenti del diritto dei marchi secondo cui l’esistenza di un rapporto tra due segni potrebbe essere stabilita in base a gradi di somiglianza diversi, tenuto conto di tutte le altre circostanze del caso, e non solo in caso di identità.

34

Alla luce della finalità perseguita dall’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, il criterio pertinente ai fini dell’applicazione di tale disposizione sarebbe l’equivalenza, sul piano economico e commerciale, dei marchi analizzati nella loro interezza. Occorrerebbe valutare se il marchio richiesto corrisponda, nella sostanza, al marchio anteriore. A questo proposito, sarebbe sufficiente che i segni di cui trattasi coincidessero per degli elementi che contribuiscono essenzialmente al carattere distintivo del marchio anteriore.

35

Tale interpretazione teleologica non sarebbe in contrasto con l’interpretazione letterale dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento.

36

Come osservato dal Tribunale nella sentenza impugnata, tale disposizione, a differenza dell’articolo 8, paragrafo 1, e dell’articolo 8, paragrafo 5, di tale regolamento non indicherebbe espressamente il grado di prossimità tra i marchi in conflitto ai fini della sua applicazione. Il legislatore dell’Unione pertanto non avrebbe inteso indicare che l’articolo 8, paragrafo 3, di detto regolamento doveva limitarsi ai soli casi di stretta identità dei marchi nonché dei prodotti e dei servizi oggetto di tali marchi.

37

Al contrario, tale disposizione faceva riferimento alla formulazione dell’articolo 6 septies della Convenzione di Parigi. Orbene, la spiegazione fornita nei lavori preparatori di tale convenzione sembrerebbe supportare un’interpretazione secondo cui tale disposizione includerebbe i prodotti e i beni non strettamente, ma sostanzialmente identici, che sono equivalenti in termini commerciali ed economici. Mentre tale convenzione definirebbe le norme minime di protezione, il Tribunale avrebbe attribuito una portata all’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 che accorderebbe ai titolari di marchi una protezione inferiore ai livelli di protezione previsti dall’articolo 6 septies della Convenzione di Parigi.

38

Inoltre, l’interpretazione, effettuata dal Tribunale ai punti da 27 a 35 della sentenza impugnata, dei lavori preparatori della disposizione contenuta nell’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento sarebbe contraddittoria, in quanto, segnatamente, invocando il fatto che diverse proposte relative all’aggiunta dei termini «marchi simili» alla formulazione di tale disposizione sarebbero state respinte dal gruppo di lavoro, lo stesso ne avrebbe dedotto che il legislatore dell’Unione intendeva limitare l’applicazione di tale disposizione ai soli marchi identici, laddove invece nemmeno la nozione di «identità» risulterebbe in detta disposizione.

39

Inoltre, anche l’argomento fatto valere dal Tribunale, al punto 35 di tale sentenza, secondo cui non sarebbe possibile basarsi sui lavori preparatori della Convenzione di Parigi tenuto conto del tenore inequivocabile dell’articolo 6 septies di tale convenzione, sarebbe contraddittorio. Infatti, la conclusione alla quale giungerebbe il Tribunale nella citata sentenza si discosterebbe da quella cui sarebbe pervenuto nella sentenza del 13 aprile 2011, Safariland/UAMI – DEF-TEC Defense Technology (FIRST DEFENSE AEROSOL PEPPER PROJECTOR) (T‑262/09, EU:T:2011:171, punto 61). Pertanto, sarebbe evidente che la formulazione dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento non sarebbe sufficientemente chiara per ritenere che il riferimento alla nozione di «identità» sia inequivocabile.

40

Poiché l’articolo 8, paragrafo 3, del medesimo regolamento mira a impedire all’agente di sfruttare le conoscenze e l’esperienza acquisita nel corso dei rapporti commerciali in essere con detto titolare e, di conseguenza, di trarre indebito vantaggio dagli sforzi e dagli investimenti che il legittimo titolare del marchio avrebbe lui stesso fornito, non sarebbe necessario definire l’esatto grado di somiglianza tra i segni interessati o stabilire limiti precisi alle situazioni in cui tale disposizione dovrebbe applicarsi.

41

L’approccio del Tribunale priverebbe tale impedimento alla registrazione della flessibilità necessaria per adeguare il proprio ambito di applicazione ai diversi modi in cui un agente potrebbe tentare di sottrarre il marchio al suo mandante, come rivelerebbe la presente causa in cui l’agente avrebbe chiesto la registrazione, quale marchio dell’Unione europea, solo della prima parte del marchio anteriore, invertendo le parole «MINERAL MAGIC» e omettendo il nome del produttore.

42

Tuttavia, se è vero che in una situazione come quella che si configura nella fattispecie potevano essere ravvisabili gli estremi della malafede e, pertanto, la stessa poteva condurre all’applicazione della causa di nullità di cui all’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, tale circostanza non deporrebbe, tuttavia, a favore di un’interpretazione restrittiva dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento. La scelta del legislatore dell’Unione di prevedere un impedimento distinto in caso di domande di registrazione – non autorizzate – da parte di agenti o rappresentanti del titolare del marchio anteriore si spiegherebbe con la necessità di agire a tale riguardo quanto prima possibile, senza che sia necessario obbligare detto titolare ad attendere che il marchio richiesto sia registrato al fine di poterlo far annullare.

43

La John Mills afferma che l’argomentazione dell’EUIPO prende le mosse da un approccio erroneo in forza del quale, poiché l’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento non contiene una condizione esplicita di identità o somiglianza dei segni, questa disposizione sarebbe neutra al riguardo e, quindi, un’interpretazione letterale della disposizione sarebbe coerente con un’interpretazione teleologica della stessa che consente il confronto dei marchi in conflitto in funzione della loro mera somiglianza.

44

Se è vero che tale disposizione non utilizza espressamente i termini «identici o simili», sia la formulazione dell’articolo 6 septies della Convenzione di Parigi sia quella dell’articolo 8, paragrafo 3, dello stesso regolamento, menzionando soltanto «il marchio», sembrerebbero escludere i marchi meramente simili. Tale seconda disposizione consentirebbe quindi di accogliere, come avrebbe correttamente rilevato il Tribunale ai punti 24 e 25 della sentenza impugnata, soltanto un’opposizione basata sull’identità del marchio di cui è chiesta la registrazione da parte dell’agente o del rappresentante del titolare del marchio anteriore con quella di cui il presunto mandante è titolare.

45

Il Tribunale avrebbe giustamente rilevato, da un lato, ai punti da 26 a 35 della sentenza impugnata, che tale approccio sarebbe sostenuto dai lavori preparatori e dalle altre versioni linguistiche della disposizione in questione e, dall’altra, al punto 36 di detta sentenza, che il fatto che una condizione relativa alla somiglianza figuri espressamente in altre disposizioni del regolamento n. 207/2009 costituirebbe un’ulteriore indicazione che l’articolo 8, paragrafo 3, di detto regolamento non richiederebbe il soddisfacimento di tale condizione.

46

Inoltre, l’EUIPO non può utilmente basarsi sulla sentenza del 13 aprile 2011, Safariland/UAMI – DEF-TEC Defense Technology (FIRST DEFENSE AEROSOL PEPPER PROJECTOR) (T‑262/09, EU:T:2011:171) a sostegno dell’interpretazione che fa valere. Non solo tale sentenza del Tribunale non vincolerebbe la Corte, ma il punto pertinente della stessa, vale a dire il punto 61, non conterrebbe alcuna discussione sulla questione oggetto della presente impugnazione. Come emergerebbe dal punto 74 di tale sentenza, il Tribunale non sarebbe stato chiamato a risolvere la questione relativa a se i marchi debbano essere identici o simili, atteso che il ricorso non sarebbe stato accolto in quanto la condizione relativa all’esistenza di un rapporto di rappresentanza non risultava soddisfatta.

47

Inoltre, nell’ambito dell’approccio teleologico fatto valere a sostegno di un’ampia concezione dell’articolo 8, paragrafo 3, del medesimo regolamento, l’EUIPO fornirebbe solo una definizione evasiva dei presupposti richiesti. Infatti, l’EUIPO afferma al contempo che, da un lato, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, sarebbe sufficiente che i segni coincidano per degli elementi che contribuiscono essenzialmente al carattere distintivo del marchio anteriore e che, dall’altro lato, non sarebbe necessario definire a priori l’esatto grado di somiglianza tra i segni.

48

Tali considerazioni sarebbero erronee. In primo luogo, la valutazione del carattere distintivo non sarebbe una valutazione astratta, ma dovrebbe essere effettuata dal punto di vista del consumatore di riferimento. Orbene, tale consumatore sarebbe quello del paese in cui il marchio anteriore è registrato, il che genererebbe difficoltà per la prova della percezione di tale marchio e del grado di distintività dell’elemento coincidente.

49

In secondo luogo, i criteri stabiliti dall’EUIPO per l’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 sarebbero più ampi di quelli applicati, tra l’altro, nel contesto della valutazione di marchi simili che danno luogo ad un rischio di confusione ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del medesimo regolamento, considerato che una mera somiglianza, e non una coincidenza, sarebbe sufficiente e che non sarebbe nemmeno richiesto il rischio di confusione.

50

Tali criteri sarebbero inoltre più ampi di quelli previsti all’articolo 8, paragrafo 5, di tale regolamento, il quale accorda un’estesa protezione ai marchi notori nell’Unione, considerato che, da un lato, tali criteri richiederebbero non già una notorietà all’interno dell’Unione, ma esclusivamente una registrazione in un paese parte contraente della Convenzione di Parigi e che, dall’altro lato, non imporrebbero nemmeno che si tragga indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio.

51

In terzo luogo, i criteri proposti dall’EUIPO non garantirebbero la certezza del diritto e solleverebbero problemi di prova. Il presupposto relativo a segni che coincidano per degli elementi che contribuiscono essenzialmente al carattere distintivo del marchio anteriore comporterebbe la necessità per le parti del procedimento dinanzi all’EUIPO e per l’EUIPO stesso di far fronte a un compito impossibile consistente nel cercare di stabilire i segni che potrebbero essere registrati nell’Unione, in particolare in ragione del fatto che l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 riguarda marchi che possono figurare in centinaia di registri dei marchi di paesi terzi.

52

Alla luce di tali difficoltà, l’Ufficio afferma che sarebbe possibile ignorare qualsiasi requisito dell’identità o somiglianza dei marchi per soffermarsi unicamente sulla questione se l’agente o il rappresentante abbia imitato o sottratto il marchio del mandato. Orbene, a tal fine, il legislatore dell’Unione avrebbe già adottato una disposizione distinta, ovverosia l’articolo 52, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 207/2009, che riguarderebbe la nullità del marchio qualora il richiedente abbia agito in malafede al momento del deposito della domanda di marchio.

53

In quarto luogo, grazie a un approccio teleologico, occorrerebbe limitare l’ambito di applicazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del medesimo regolamento al caso specifico in cui un agente o un rappresentante cerchi di registrare «il marchio», vale a dire il marchio anteriore, e non un marchio diverso, senza che il suo comportamento possa essere giustificato. Tale approccio faciliterebbe l’applicazione di tale disposizione e consentirebbe sia alle imprese sia all’EUIPO di prevedere le probabili conseguenze di una controversia ai sensi di tale disposizione.

Giudizio della Corte

54

Con il primo motivo, l’EUIPO imputa al Tribunale di aver violato l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, avendo interpretato tale disposizione nel senso che nella stessa rientra soltanto la circostanza secondo cui il marchio anteriore e quello di cui l’agente o il rappresentante del titolare del marchio anteriore ha chiesto la registrazione siano identici.

55

A tale proposito si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, quando si interpreta una disposizione del diritto dell’Unione occorre tenere conto non soltanto della formulazione di quest’ultima, ma anche del suo contesto e degli obiettivi che persegue l’atto di cui fa parte. Anche la genesi di una disposizione del diritto dell’Unione può fornire elementi rilevanti per la sua interpretazione [sentenza del 25 giugno 2020, A e a. (Impianti eolici ad Aalter e Nevele), C‑24/19, EU:C:2020:503, punto 37 e giurisprudenza ivi citata].

56

Con riguardo, in primo luogo, alla formulazione dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento, occorre osservare che tale norma si limita a prevedere che, in seguito all’opposizione del titolare del marchio, un marchio è del pari escluso dalla registrazione se l’agente o il rappresentante del titolare del marchio presenta la domanda a proprio nome e senza il consenso del titolare, a meno che tale agente o rappresentante non giustifichi il suo modo di agire.

57

Pertanto, benché il tenore di tale disposizione suggerisca uno stretto rapporto tra «il» marchio anteriore e quello di cui l’agente o il rappresentante del marchio anteriore ha chiesto la registrazione, tale stessa disposizione non precisa tuttavia in modo esplicito, come ha osservato il Tribunale, in sostanza, al punto 24 della sentenza impugnata, se si applichi soltanto quando il marchio richiesto da tale agente o tale rappresentante è identico al marchio anteriore o se possano rientrare in tale disposizione anche i casi in cui i marchi in conflitto sono simili.

58

Per quanto riguarda, in secondo luogo, la genesi dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento, risulta evidente dai lavori preparatori di detta disposizione che, come ha ricordato il Tribunale ai punti da 26 a 31 della sentenza impugnata, e come del pari osservato dall’avvocato generale ai paragrafi da 27 a 30 delle sue conclusioni, il legislatore dell’Unione ha indubbiamente rifiutato in modo espresso di indicarvi che la stessa si applica in caso di somiglianza tra il marchio anteriore e quello richiesto dall’agente o dal rappresentante del titolare del marchio anteriore.

59

Tuttavia, spettava del pari al Tribunale, da un lato, tenere conto del fatto che il legislatore dell’Unione non ha del resto nemmeno inteso prevedere in tale disposizione l’esplicito riferimento all’identità tra il marchio anteriore e quello richiesto dall’agente o dal rappresentante del titolare del marchio anteriore previsto dal progetto preliminare di regolamento sul marchio dell’Unione.

60

D’altro lato, il Tribunale non poteva considerare, contrariamente a quanto affermato al punto 30 della sentenza impugnata, che la circostanza che il legislatore dell’Unione abbia rinunciato in due occasioni a fare esplicito riferimento al fatto che la disposizione pertinente si applica nell’ipotesi di marchi simili dimostra in modo sufficiente la sua intenzione al riguardo, poiché i lavori preparatori non indicano i motivi che hanno giustificato il rifiuto di un riferimento siffatto alla somiglianza dei marchi di cui trattasi.

61

Ne deriva che non si può desumere dai lavori preparatori dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 che, data la mancata menzione, in tale disposizione, di una somiglianza tra il marchio anteriore e quello richiesto dall’agente o dal rappresentante del titolare del marchio anteriore, l’ambito di applicazione di tale disposizione sia limitato esclusivamente ai casi di identità tra i marchi in conflitto.

62

Per contro emerge dai lavori preparatori che l’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento riflette la scelta del legislatore dell’Unione di riprodurre sostanzialmente l’articolo 6 septies, paragrafo 1, della Convenzione di Parigi.

63

Al riguardo, si deve notare che il documento del Consiglio n. 11035/82 del Consiglio, del 1o dicembre 1982, relativo, tra l’altro, alle conclusioni del gruppo di lavoro in merito alla proposta di regolamento sul marchio comunitario, sul quale il Tribunale si basa, inter alia, al punto 32 della sentenza impugnata, indica che tale gruppo aveva espresso il suo accordo affinché il disposto dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 fosse interpretato in base all’articolo 6 septies della Convenzione.

64

Inoltre, poiché l’Unione è parte contraente dell’accordo TRIPS, è tenuta ad interpretare la sua normativa in materia di marchi quanto più possibile alla luce della lettera e della finalità di detto accordo (sentenza del 16 novembre 2004, causa C‑245/02, Anheuser-Busch, EU:C:2004:717, punto 42 e giurisprudenza ivi citata). In particolare, l’articolo 2, paragrafo 1, dell’accordo TRIPS prevede che, in relazione alle parti II, III e IV di detto accordo, gli Stati contraenti si conformano agli articoli da 1 a 12 e all’articolo 19 della Convenzione di Parigi.

65

Ne consegue che, per quanto riguarda l’interpretazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, occorre tener conto dell’articolo 6 septies di tale convenzione.

66

Al riguardo, nella sua versione linguistica in lingua francese, che fa fede ai sensi dell’articolo 29 di tale convenzione, l’articolo 6 septies della stessa utilizza, al fine di designare il marchio anteriore quando l’agente o il rappresentante del titolare del marchio anteriore a suo nome ne chiedono la registrazione, l’espressione «cette marque» (tale marchio).

67

Tuttavia, il Tribunale non poteva, in base a tale sola constatazione e senza ulteriore giustificazione, affermare, come ha fatto al punto 34 della sentenza impugnata, che la disposizione di cui trattasi, così come è formulata, non può essere interpretata se non nel senso che il marchio anteriore e quello richiesto dall’agente o rappresentante del titolare del marchio devono essere identici e trarne la conseguenza, al punto 35 della sentenza, che, considerato il tenore inequivocabile dell’articolo 6 septies di detta convenzione, non bisognava prendere in considerazione i relativi lavori preparatori.

68

Infatti, dagli atti della conferenza di Lisbona, tenutasi dal 6 al 31 ottobre 1958 ai fini della revisione della Convenzione di Parigi e nel corso della quale è stato introdotto l’articolo 6 septies, emerge che può rientrare in tale disposizione anche un marchio richiesto da un agente o da un rappresentante del titolare del marchio anteriore quando tale marchio richiesto è simile a quello anteriore (atti della conferenza di Lisbona, pag. 681).

69

Ne risulta che non può essere accolta un’interpretazione in base alla quale, dal momento che l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 non menziona l’identità o la somiglianza del marchio anteriore e di quello di cui l’agente o il rappresentante del titolare del marchio anteriore abbiano chiesto la registrazione, l’applicazione di tale disposizione sarebbe limitata alla mera circostanza di un’identità tra i marchi in conflitto, ad esclusione di qualsiasi altro fattore.

70

Tale interpretazione comporterebbe, in terzo luogo, che sia messa in questione la struttura generale di tale regolamento, poiché condurrebbe a che il titolare del marchio anteriore sia privato della possibilità di opporsi, sulla base dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, alla registrazione di un marchio simile da parte del suo agente o del suo rappresentante laddove questi ultimi, in esito a tale registrazione, potrebbero validamente presentare opposizione, in forza, tra l’altro, dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del detto regolamento, avverso la domanda di successiva registrazione del marchio originario da parte di tale titolare, a causa della sua somiglianza con il marchio registrato dall’agente o dal rappresentante del titolare di cui trattasi.

71

In quarto luogo, un’interpretazione secondo cui l’articolo 8, paragrafo 3, del suddetto regolamento consente altresì al titolare del marchio anteriore di opporsi alla registrazione di un marchio simile richiesto dal suo agente o dal suo rappresentante è corroborata dalla finalità perseguita da tale disposizione.

72

Come correttamente ricordato dal Tribunale al punto 25 della sentenza impugnata, tale disposizione ha l’obiettivo di evitare la sottrazione del marchio anteriore da parte dell’agente o del rappresentante del relativo titolare, poiché l’agente o il rappresentante potrebbe sfruttare le conoscenze e l’esperienza acquisite durante la relazione commerciale con il titolare traendo, pertanto, un indebito profitto dal lavoro e dagli investimenti effettuati dallo stesso titolare del marchio.

73

Orbene, non si può ritenere che tale sottrazione possa verificarsi solo nei casi in cui il marchio anteriore e quello richiesto dall’agente o rappresentante del titolare del marchio anteriore siano identici e non anche quando i marchi in conflitto sono simili.

74

Da quanto precedentemente considerato discende che il Tribunale, circoscrivendo l’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 esclusivamente all’ipotesi di un’identità tra il marchio anteriore e quello di cui l’agente o il rappresentante del titolare del marchio anteriore abbiano chiesto la registrazione, escludendo i casi di una somiglianza tra gli stessi, ha commesso un errore nel diritto.

75

Pertanto, occorre accogliere il primo motivo sollevato dall’EUIPO e, di conseguenza, annullare la sentenza impugnata, senza che sia necessario esaminare né gli altri argomenti invocati dall’EUIPO a sostegno di tale motivo né il secondo motivo di impugnazione.

Sul ricorso dinanzi al Tribunale

76

In forza dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quando l’impugnazione è accolta, la Corte annulla la decisione del Tribunale. In tal caso, essa può statuire definitivamente sulla controversia qualora lo stato degli atti lo consenta, oppure rinviare la causa al Tribunale affinché sia decisa da quest’ultimo.

77

Nella fattispecie, alla luce in particolare del fatto che il ricorso di primo grado è basato su un motivo unico, vertente sulla violazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, suddiviso in tre parti che sono state oggetto di un contraddittorio dinanzi al Tribunale e il cui esame non richiede l’adozione di ulteriori misure di organizzazione del procedimento o di istruzione del fascicolo, la Corte ritiene che lo stato degli atti consenta di statuire definitivamente sul ricorso.

Sul primo capo del motivo unico

Argomenti delle parti

78

Nel primo capo del suo motivo unico, la John Mills addebita alla commissione di ricorso di averla, erroneamente, considerata come un «agente» o un «rappresentante» del titolare del marchio anteriore, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009.

79

A tale riguardo, al punto 20 della decisione controversa, la commissione di ricorso ha ritenuto, fondandosi sulla sentenza del 13 aprile 2011, Safariland/UAMI – DEF-TEC Defense Technology (FIRST DEFENSE AEROSOL PEPPER PROJECTOR) (T‑262/09, EU:T:2011:171, punto 64), che i termini «agente» e «rappresentante», previsti in tale disposizione, dovessero essere interpretati in modo ampio.

80

Tuttavia, in tale sentenza, il Tribunale ha poi statuito che l’opponente non aveva fornito la prova della conclusione con il richiedente del marchio contestato di un accordo simile a quello che lega un mandante al suo agente né aveva dimostrato che un siffatto rapporto esistesse nei fatti.

81

Nelle circostanze della presente causa, l’esame delle clausole del contratto di distribuzione in essere tra la John Mills e il titolare del marchio anteriore avrebbe dovuto condurre la commissione di ricorso a considerare che la John Mills non era né l’agente di tale titolare, né parte di un rapporto contrattuale in forza del quale rappresentava gli interessi di tale titolare.

82

L’EUIPO e la Jerome Alexander Consulting sostengono che il primo capo del motivo unico è infondato.

Giudizio della Corte

83

Per quanto riguarda l’addebito della John Mills mosso alla commissione di ricorso secondo cui questa avrebbe erroneamente considerato che la prima fosse un «agente» del titolare del marchio anteriore, ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009, si deve rilevare che, come indicato al punto 72 della presente sentenza, tale disposizione ha l’obiettivo di evitare la sottrazione del marchio anteriore da parte dell’agente o del rappresentante del titolare di detto marchio, poiché l’agente o il rappresentante potrebbe sfruttare le conoscenze e l’esperienza acquisite durante la relazione commerciale con il titolare traendo, pertanto, un indebito profitto dal lavoro e dagli investimenti effettuati dallo stesso titolare del marchio.

84

Ne consegue che il soddisfacimento di tale obiettivo richiede un’interpretazione estensiva delle nozioni di «agente» e di «rappresentante» ai sensi di detta disposizione. Tale considerazione in merito al significato del presupposto relativo alla qualità del richiedente la registrazione del marchio nei confronti del titolare del marchio anteriore è inoltre corroborata dal fatto che, a termini della medesima disposizione, tali due nozioni sono collegate dalla congiunzione coordinativa «o» che dimostra l’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 nei vari casi in cui una parte rappresenta gli interessi di un’altra.

85

La commissione di ricorso, quindi, non è incorsa in alcun errore di diritto nell’enunciare, al punto 20 della decisione controversa, che tali nozioni devono essere interpretate in modo da ricomprendere ogni tipo di rapporto fondato su un accordo contrattuale ai sensi del quale una delle parti rappresenta gli interessi dell’altra, cosicché è sufficiente, ai fini dell’applicazione di tale disposizione, che esista tra le parti un accordo di cooperazione commerciale tale da creare un rapporto di fiducia che imponga al richiedente, esplicitamente o implicitamente, un obbligo generale di fiducia e di lealtà nei riguardi degli interessi del titolare del marchio anteriore.

86

A tale riguardo si deve osservare che, come si evince chiaramente dalle considerazioni formulate dalla commissione di ricorso ai punti 22 e 23 della decisione controversa, esisteva un contratto di distribuzione tra la John Mills e il titolare del marchio anteriore, con il quale gli stessi avevano concordato che tale titolare avrebbe fornito i prodotti recanti la denominazione «Magic Minerals by Jerome Alexander» alla John Mills e che quest’ultima si sarebbe impegnata a distribuire i prodotti di tale titolare all’interno dell’Unione e in tutto il mondo. Inoltre, tale contratto conteneva, circostanza questa non contestata dalla John Mills, disposizioni in forza delle quali la John Mills era, per lo meno, un distributore privilegiato di tali prodotti, nonché una clausola di non concorrenza e disposizioni relative ai diritti di proprietà intellettuale del titolare del marchio anteriore riguardo a tali prodotti. Inoltre, l’ultimo buono d’ordine con cui la John Mills ha ordinato prodotti «Magic Minerals» dal titolare di detto marchio risaliva soltanto a circa due mesi prima del deposito della sua domanda di registrazione del marchio contestato.

87

Da tali elementi risulta che, alla luce delle considerazioni esposte al punto 85 della presente sentenza, la commissione di ricorso ha correttamente concluso, al punto 25 della decisione impugnata, che la John Mills doveva essere considerata un «agente» del titolare del marchio anteriore ai sensi dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009.

88

Di conseguenza, occorre respingere il primo capo del motivo unico in quanto infondato.

Sul secondo capo del motivo unico

Argomenti delle parti

89

Nel secondo capo del suo motivo unico, la John Mills addebita alla commissione di ricorso, da un lato, di aver erroneamente ritenuto che sia sufficiente che il marchio anteriore risulti solo simile, e non identico, al marchio contestato affinché possa essere invocato l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 e, dall’altro lato, di aver adottato, del pari in modo erroneo, la percezione del pubblico dell’Unione ai fini del valutazione di un rischio di confusione tra i marchi in conflitto.

90

L’EUIPO e la Jerome Alexander Consulting sostengono che il secondo capo del motivo unico è infondato.

Giudizio della Corte

91

Per quanto riguarda il fatto che la John Mills addebita alla commissione di ricorso di aver considerato che l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 era applicabile alla fattispecie a causa della somiglianza dei marchi in conflitto, occorre rilevare, da un lato, come emerge dai punti da 54 a 74 della presente sentenza, che tale disposizione si applica alle domande di registrazione dell’agente o del rappresentante del titolare del marchio anteriore sia quando il marchio richiesto è identico a tale marchio anteriore sia quando è ad esso simile.

92

D’altro lato, si deve osservare che, se è vero che l’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 3, di tale regolamento discende, in particolare, dalla somiglianza tra i marchi in conflitto, la specifica condizione della tutela garantita da tale disposizione consiste nel fatto che la domanda di registrazione è stata effettuata dall’agente o dal rappresentante del titolare del marchio anteriore, a suo nome e senza il consenso di quest’ultimo, e senza che tale agente o rappresentante giustifichi il proprio operato. Pertanto, la somiglianza tra i marchi in conflitto ai fini dell’applicazione dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 non viene valutata in funzione della sussistenza di un rischio di confusione, dal momento che tale presupposto è proprio dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), di detto regolamento (v., per analogia, sentenza del 18 giugno 2009, L’Oréal e a., C‑487/07, EU:C:2009:378, punti da 34 a 36).

93

Ciò premesso, nei limiti in cui la commissione di ricorso abbia erroneamente valutato, ai punti 34 e 35 della decisione impugnata, il rischio di confusione tra i marchi in conflitto in funzione della loro percezione da parte del pubblico di riferimento dell’Unione, occorre rilevare che una siffatta considerazione è, in ogni caso, formulata ad abundantiam alla luce del fatto che tale commissione ha constatato, al punto 33 della decisione controversa, che, senza che ciò sia oggetto di contestazione, tenuto conto di ciascuno dei segni in questione nella sua interezza, tali segni dovevano essere riconosciuti come simili.

94

Occorre, pertanto, escludere il secondo capo del motivo unico del ricorso in quanto in parte infondato e, in parte, inoperante.

Sul terzo capo del motivo unico

Argomenti delle parti

95

Con il terzo capo del suo motivo unico, la John Mills rileva, da un lato, che è sul fondamento di un’interpretazione erronea dell’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 che la commissione di ricorso ha ritenuto che tale disposizione sia applicabile non solo nel caso in cui i prodotti o i servizi per i quali viene chiesta la registrazione del marchio e quelli oggetto del marchio anteriore siano identici, ma anche laddove siano simili.

96

D’altro lato, se anche sussistesse un’identità tra i prodotti oggetto del marchio anteriore designati come «cipria per il viso contenente minerali» e i «cosmetici» e i «prodotti per la cura della pelle», previsti dalla domanda di registrazione del marchio contestato, ciò non varrebbe per gli altri prodotti designati da detto marchio contestato. Inoltre, questi ultimi e quelli coperti dal marchio anteriore non sarebbero nemmeno simili o, quanto meno, una tale somiglianza non sarebbe stata dimostrata.

97

L’EUIPO e la Jerome Alexander Consulting sostengono che il terzo capo del motivo unico è infondato.

Giudizio della Corte

98

Per quanto riguarda il fatto che la John Mills addebita alla commissione di ricorso di aver ritenuto che l’articolo 8, paragrafo 3, del regolamento n. 207/2009 fosse applicabile alla fattispecie, sebbene i prodotti cui fa riferimento la domanda di registrazione del marchio contestato non fossero tutti identici a quelli coperti dal marchio anteriore, si deve ricordare che, anche se tale disposizione non indica i prodotti o i servizi per i quali è richiesto il marchio, la funzione essenziale di un marchio è quella di indicare l’origine commerciale dei prodotti o dei servizi considerati [sentenza del 12 settembre 2019, Deutsches Patent- und Markenamt (#darferdas?), C‑541/18, EU:C:2019:725, punto 18].

99

Pertanto, per ragioni analoghe a quelle esposte ai punti da 70 a 73 della presente sentenza, relative all’economia generale di tale disposizione e all’obiettivo perseguito da quest’ultima, l’applicazione di detta disposizione non può essere esclusa dal fatto che i prodotti o i servizi oggetto della domanda di registrazione e quelli coperti dal marchio anteriore sono non già identici ma simili.

100

Inoltre, nella fattispecie, si deve osservare, da un lato, che la John Mills non nega che i prodotti oggetto del marchio anteriore designati come «cipria per il viso contenente minerali» sono identici ai «cosmetici» e ai «prodotti per la cura della pelle», previsti dalla domanda di registrazione del marchio contestato. D’altro canto, al punto 31 della decisione impugnata, la commissione di ricorso ha osservato, in particolare, che, per quanto riguarda gli altri prodotti coperti dai marchi in conflitto, essi potevano essere composti da identici ingredienti, erano spesso prodotti dalle stesse imprese ed erano offerti congiuntamente nei drugstore e nelle medesime corsie dei punti vendita al dettaglio. Orbene, si deve poi rilevare che, secondo la costante giurisprudenza della Corte, per valutare la somiglianza dei prodotti o dei servizi in questione, si deve tener conto di tutti i fattori rilevanti che caratterizzano il rapporto tra i prodotti o i servizi. Tali fattori comprendono, in particolare, la loro natura, la loro destinazione, il loro impiego nonché la loro concorrenzialità o complementarità (sentenza del 20 settembre 2017, The Tea Commissione/EUIPO, cause da C‑673/15 P a C‑676/15 P, EU:C:2017:702, punto 48 e la giurisprudenza ivi citata).

101

Pertanto, la commissione di ricorso ha potuto correttamente considerare, sul fondamento degli elementi indicati al citato punto 31, che tali altri prodotti erano simili.

102

Di conseguenza, si deve respingere il terzo capo del motivo unico in quanto infondato.

103

Ne consegue che il ricorso deve essere respinto in toto.

Sulle spese

104

Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è accolta e la Corte statuisce definitivamente sulla controversia, la Corte statuisce sulle spese.

105

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, di quest’ultimo, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

106

Poiché l’EUIPO e la Jerome Alexander Consulting hanno chiesto che la John Mills fosse condannata alle spese e dal momento che quest’ultima è risultata soccombente, la stessa deve essere condannata a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle dell’EUIPO relative alla presente impugnazione e al procedimento dinanzi al Tribunale nonché quelle della Jerome Alexander Consulting relative al procedimento dinanzi al Tribunale.

 

Per tali motivi, la Corte (Quinta Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

La sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 15 ottobre 2018, John Mills/EUIPO – Jerome Alexander Consulting (MINERAL MAGIC) (T‑7/17, EU:T:2018:679), è annullata.

 

2)

Il ricorso nella causa T‑7/17, proposto dalla John Mills Ltd contro la decisione della prima commissione di ricorso dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) del 5 ottobre 2016 (procedimento R 2087/2015-1), è respinto.

 

3)

La John Mills Ltd sopporta, oltre alle proprie spese, quelle dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale (EUIPO) relative alla presente impugnazione e al procedimento dinanzi al Tribunale nonché quelle della Jerome Alexander Consulting Corp. relative al procedimento dinanzi al Tribunale.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.