SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione)

10 luglio 2019 ( *1 )

«Impugnazione – Concorrenza – Intese – Settore dei derivati sui tassi di interesse in yen – Decisione che constata un’infrazione all’articolo 101 TFUE e all’articolo 53 dell’accordo SEE – Responsabilità di un’impresa per il suo ruolo di facilitatore dell’intesa – Calcolo dell’ammenda – Obbligo di motivazione»

Nella causa C‑39/18 P,

avente ad oggetto l’impugnazione ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 22 gennaio 2018,

Commissione europea, rappresentata da B. Mongin, M. Farley, T. Christoforou et V. Bottka, in qualità di agenti,

ricorrente,

procedimento in cui le altre parti sono:

NEX International Limited, già Icap plc, con sede in Londra (Regno Unito),

Icap Management Services Ltd, con sede in Londra,

Icap New Zealand Ltd, con sede in Wellington (Nuova Zelanda), rappresentate da C. Riis‑Madsen, advokat, e S. Frank, avocat,

ricorrenti in primo grado,

LA CORTE (Terza Sezione),

composta da A. Prechal, presidente di sezione, F. Biltgen, J. Malenovský, C.G. Fernlund (relatore) e L.S. Rossi, giudici,

avvocato generale: E. Tanchev

cancelliere: L. Hewlett, amministratrice principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 febbraio 2019,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 2 maggio 2019,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione, la Commissione europea chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 10 novembre 2017, Icap e a./Commissione (T‑180/15; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2017:795), mediante la quale tale giudice ha parzialmente annullato la decisione C(2015) 432 final della Commissione, del 4 febbraio 2015, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso AT.39861 – Derivati sui tassi di interesse in yen) (in prosieguo: la «decisione controversa»).

Fatti e decisione controversa

2

Dai fatti esposti ai punti da 1 a 21 della sentenza impugnata risulta che l’Icap plc (nei diritti e negli obblighi della quale è subentrata la NEX International Limited), l’Icap Management Services Ltd e l’Icap New Zealand Ltd (in prosieguo, congiuntamente: l’«Icap») fanno parte di un’impresa di servizi di intermediazione attraverso reti vocali ed elettroniche, che è anche fornitrice di servizi di post negoziazione.

3

Con la sua decisione controversa, la Commissione ha dichiarato che l’Icap aveva partecipato alla realizzazione di sei infrazioni dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo sullo Spazio economico europeo, del 2 maggio 1992 (GU 1994, L 1, pag. 3), riguardanti la manipolazione dei tassi di riferimento interbancari London Interbank Offered Rate [LIBOR, tasso interbancario di Londra (Regno Unito)] e Tokyo Interbank Offered Rate [TIBOR, tasso interbancario di Tokyo (Giappone)] sul mercato dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi, le quali erano state precedentemente constatate dalla decisione C(2013) 8602 final della Commissione, del 4 dicembre 2013, relativa a un procedimento a norma dell’articolo 101 TFUE e dell’articolo 53 dell’accordo SEE (Caso AT.39861 – Derivati sui tassi di interesse in yen).

4

Il 29 ottobre 2013, la Commissione ha avviato una procedura di infrazione nei confronti dell’Icap.

5

Il 12 novembre 2013, l’Icap ha informato la Commissione della sua intenzione di non optare per una procedura di transazione.

6

Il 4 febbraio 2015 la Commissione ha adottato la decisione controversa, che infligge all’Icap sei ammende, per un importo complessivo di EUR 14960000, per aver «facilitato» le sei seguenti infrazioni:

l’«infrazione UBS/RBS del 2007», tra il 14 agosto e il 1o novembre 2007;

l’«infrazione UBS/RBS del 2008», tra il 28 agosto e il 3 novembre 2008;

l’«infrazione UBS/DB», tra il 22 maggio e il 10 agosto 2009;

l’«infrazione Citi/RBS», tra il 3 marzo e il 22 giugno 2010;

l’«infrazione Citi/DB», tra il 7 aprile e il 7 giugno 2010, e

l’«infrazione Citi/UBS», tra il 28 aprile e il 2 giugno 2010.

7

I punti da 18 a 21 della sentenza impugnata recitano quanto segue:

«18

La Commissione ha rammentato in via preliminare che, in applicazione degli orientamenti per il calcolo delle ammende inflitte in applicazione dell’articolo 23, paragrafo 2, lettera a), del regolamento (CE) n. 1/2003 (GU 2006, C 210, pag. 2; in prosieguo: gli “orientamenti del 2006”), l’importo di base dell’ammenda deve essere determinato tenuto conto del contesto in cui l’infrazione è stata commessa nonché, segnatamente, della gravità e della durata dell’infrazione e che il ruolo svolto da ciascuno dei partecipanti deve essere oggetto di una valutazione individuale che rispecchi al contempo eventuali circostanze aggravanti o attenuanti (punto 284 della decisione [controversa]).

19

La Commissione ha osservato che gli orientamenti del 2006 fornivano poche indicazioni sul metodo di calcolo dell’ammenda per i facilitatori. Poiché l’Icap era un operatore attivo sul mercato dei servizi d’intermediazione, e non su quello dei derivati sui tassi d’interesse, essa ha ritenuto di non poter sostituire le spese di mediazione con quelle dei prezzi dei derivati sui tassi d’interesse in yen giapponesi per stabilire il fatturato e fissare l’importo dell’ammenda, giacché una siffatta sostituzione non avrebbe rispecchiato la gravità e la natura dell’infrazione. Essa ne ha dedotto, in sostanza, che occorresse applicare il punto 37 degli orientamenti del 2006 che consente di discostarsi da questi ultimi per quanto riguarda la determinazione dell’importo di base dell’ammenda (punto 287 della decisione [controversa]).

20

Tenuto conto della gravità dei comportamenti in discussione e della durata della partecipazione dell’Icap a ciascuna delle sei frazioni di cui trattasi, la Commissione ha fissato, per ognuna di esse, un importo di base dell’ammenda, ossia EUR 1040000 per l’infrazione UBS/RBS del 2007, EUR 1950000 per l’infrazione UBS/RBS del 2008, EUR 8170000 per l’infrazione UBS/DB, EUR 1930000 per l’infrazione Citi/RBS, EUR 1150000 per l’infrazione Citi/DB e EUR 720000 per l’infrazione Citi/UBS (considerando 296 della decisione [controversa]).

21

Per quanto attiene alla determinazione dell’importo definitivo dell’ammenda, la Commissione non ha riconosciuto la sussistenza di alcuna circostanza aggravante o attenuante e ha preso atto che il limite massimo del 10% del fatturato annuo non era stato superato (punto 299 della decisione [controversa]). L’articolo 2 del dispositivo della decisione [controversa] infligge, pertanto, alle ricorrenti ammende il cui importo definitivo equivale a quello del loro importo di base».

Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

8

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 14 aprile 2015, l’Icap ha chiesto l’annullamento della decisione controversa o, in subordine, la riduzione dell’importo delle ammende inflitte.

9

A sostegno della domanda di annullamento, l’Icap deduceva sei motivi di ricorso. Con i primi quattro, essa contestava la legittimità dell’articolo 1 della decisione controversa, relativo all’esistenza delle infrazioni. Il quinto e il sesto motivo di ricorso erano diretti contro l’articolo 2 di tale decisione, relativo alle ammende inflitte.

10

Con la sentenza impugnata, il Tribunale, da un lato, ha parzialmente annullato l’articolo 1 della decisione controversa e, dall’altro, ha annullato l’articolo 2 di tale decisione.

Conclusioni delle parti dinanzi alla Corte

11

La Commissione chiede che la Corte voglia:

annullare la sentenza impugnata nella parte in cui annulla le ammende di cui all’articolo 2 della decisione controversa;

respingere il quinto e il sesto motivo di ricorso proposto dall’Icap dinanzi al Tribunale, relativi alle ammende, e stabilire l’importo adeguato delle ammende irrogate all’Icap esercitando la propria competenza giurisdizionale estesa al merito, e

condannare l’Icap all’integralità delle spese del presente procedimento e adattare la condanna alle spese di cui alla sentenza impugnata al fine di tener conto dell’esito della presente impugnazione.

12

L’Icap chiede che la Corte voglia:

respingere integralmente o parzialmente il ricorso e

condannare la Commissione a tutte le spese del presente procedimento, comprese quelle sostenute nel procedimento di primo grado.

Sull’impugnazione

13

La Commissione deduce un motivo unico di impugnazione, vertente su un errore di diritto nell’interpretazione e nell’applicazione della giurisprudenza relativa alla motivazione delle decisioni che infliggono ammende.

Argomenti delle parti

14

La Commissione sostiene che il Tribunale è incorso in un errore di diritto nel dichiarare che la determinazione dell’importo delle ammende inflitte all’Icap non era sufficientemente motivata nella decisione controversa.

15

Tale istituzione fa valere che il Tribunale, ai punti da 287 a 291 della sentenza impugnata, si è basato su un’interpretazione erronea dell’obbligo di motivazione. Il Tribunale avrebbe travisato la giurisprudenza risultante dalle sentenze dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione (C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 61) e del 22 ottobre 2015, AC‑Treuhand/Commissione (C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punti da 66 a 68), secondo cui la Commissione soddisfa tale obbligo allorché indica a un’impresa ritenuta responsabile di un’infrazione all’articolo 101 TFUE, per il suo ruolo di facilitatore, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione, senza che essa sia tuttavia tenuta ad indicare tutti i dati numerici e i calcoli effettuati per pervenire a determinare l’importo dell’ammenda.

16

Inoltre, il Tribunale, ai punti 295 e 296 della sentenza impugnata, non avrebbe preso in considerazione la sentenza del 28 gennaio 2016, Quimitécnica.com e de Mello/Commissione (C‑415/14 P, non pubblicata, EU:C:2016:58, punto 53), dalla quale tuttavia risulterebbe che la motivazione di un atto della Commissione deve essere valutata alla luce del suo contesto, che includerebbe gli scambi tra quest’ultima e gli interessati che hanno potuto aver luogo prima e dopo l’adozione dell’atto in discussione.

17

La Commissione ritiene che la decisione controversa indichi a sufficienza i fattori di gravità e di durata della partecipazione dell’Icap all’infrazione e che la sua motivazione è, al riguardo, paragonabile a quella della decisione di cui trattasi nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 22 ottobre 2015AC‑Treuhand/Commissione (C‑194/14 P, EU:C:2015:717).

18

La Commissione ritiene di essere andata oltre quanto era tenuta a fare, al fine di rispondere all’Icap, che si riteneva vittima di una disparità di trattamento rispetto all’impresa R.P. Martin, parimenti condannata al pagamento di ammende per il suo ruolo di facilitatore nello stesso cartello, ma che, contrariamente all’Icap, aveva optato per una transazione.

19

La Commissione afferma di aver anzitutto preso come base di calcolo il valore delle vendite e il fatturato mondiale applicato alle banche partecipanti. Essa avrebbe poi tenuto conto della durata della partecipazione dell’Icap e avrebbe, infine, applicato una riduzione all’importo di base ipotetico per ottenere un’ammenda forfettaria, adeguata e proporzionata. Lo stesso metodo sarebbe stato applicato all’impresa R.P. Martin, nel rispetto del principio della parità di trattamento. Tuttavia, quest’ultima impresa avrebbe fruito di una riduzione del 25% a titolo di trattamento favorevole, nonché di una riduzione del 10% a titolo della procedura di transazione. Il suo fatturato sarebbe stato inoltre di quasi venti volte inferiore a quello dell’Icap e la sua partecipazione all’infrazione sarebbe durata circa un mese, mentre quella dell’Icap sarebbe stata superiore a due mesi.

20

Nell’ipotesi in cui la Corte intendesse pronunciarsi sull’importo delle ammende nell’ambito della sua competenza estesa al merito, la Commissione l’invita a fissare l’importo di ciascuna ammenda in proporzione alla riduzione della durata dei periodi presi in considerazione dal Tribunale, i quali sono passati in giudicato.

21

L’Icap sostiene che tale motivo di impugnazione è infondato.

Giudizio della Corte

22

Il motivo di impugnazione solleva essenzialmente la questione se il Tribunale abbia travisato la portata dell’obbligo di motivazione, che incombe alla Commissione, statuendo, in sostanza, ai punti da 287 a 296 della sentenza impugnata, che quest’ultima può limitarsi alla affermazione generica che gli importi di base adottati nei confronti delle imprese responsabili di infrazioni all’articolo 101 TFUE, per aver facilitato un’intesa, riflettono la gravità, la durata e la natura della loro partecipazione alle infrazioni nonché l’effetto dissuasivo delle ammende, mentre è pacifico che tali importi sono stati determinati sulla base di una metodologia specifica, che non è stata divulgata a tali imprese.

23

Come ricordato dal Tribunale ai punti 287 e 288 della sentenza impugnata, secondo una costante giurisprudenza, la motivazione prescritta dall’articolo 296 TFUE deve essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve far apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e da consentire al giudice dell’Unione di esercitare il proprio controllo. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento dell’osservanza, da parte della motivazione di un atto, degli obblighi posti dall’articolo 296 TFUE deve essere effettuato alla luce non solo del suo tenore letterale, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia (v., in particolare, sentenze del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s FranceC‑367/95 P, EU:C:1998:154, punto 63, nonché dell’8 maggio 2019, Landeskreditbank Baden‑Württemberg/BCE, C‑450/17 P, EU:C:2019:372, punto 87).

24

Per quanto riguarda le decisioni che infliggono ammende alle imprese per la violazione dell’articolo 101 TFUE, l’obbligo di motivazione riveste un’importanza del tutto particolare. Spetta alla Commissione motivare la propria decisione e, in particolare, spiegare la ponderazione e la valutazione che essa ha effettuato degli elementi considerati. La presenza di una motivazione deve essere verificata d’ufficio dal giudice (sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 61).

25

Pur se è vero che la Commissione gode di un ampio potere discrezionale per quanto riguarda il metodo di calcolo delle ammende in caso di violazione delle norme dell’Unione in materia di concorrenza (sentenza del 19 dicembre 2012, Heineken Nederland e Heineken/Commissione, C‑452/11 P, non pubblicata, EU:C:2012:829, punto 92 nonché giurisprudenza ivi citata), essa ha nondimeno adottato, per considerazioni attinenti alla trasparenza, gli orientamenti del 2006, in cui indica a quale titolo prenderà in considerazione l’una o l’altra circostanza dell’infrazione e le conseguenze che potranno esserne tratte riguardo all’importo dell’ammenda (sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 59).

26

Gli orientamenti del 2006 si basano, pertanto, sulla presa in considerazione del valore delle vendite dei prodotti interessati in relazione all’infrazione per la fissazione dell’importo di base delle ammende da infliggere. Tali orientamenti prevedono, ai punti 6 e 13, che la combinazione della durata e del valore delle vendite, è diretta a «esprimere l’importanza economica dell’infrazione nonché il peso relativo di ciascuna impresa che vi ha partecipato».

27

Tuttavia, tale metodo può talvolta rivelarsi inadeguato alle circostanze specifiche di una causa. Ciò si verifica in particolare nel caso in cui un’impresa, dichiarata responsabile di un’infrazione all’articolo 101 TFUE per aver facilitato un’intesa, non realizzi alcun fatturato sui mercati dei prodotti pertinenti. In una situazione di tal genere, la Corte ha dichiarato che la Commissione era legittimata a ricorrere a un metodo di calcolo diverso da quello descritto negli orientamenti del 2006 e, conformemente al loro punto 37, a fissare in modo forfettario l’importo di base dell’ammenda inflitta all’impresa che, attraverso la sua attività di consulenza, aveva facilitato un’intesa (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, AC-Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punti da 65 a 67).

28

Per quanto riguarda la determinazione della portata dell’obbligo di motivazione che grava sulla Commissione quando si discosta dalla metodologia generale prevista dagli orientamenti del 2006, occorre ricordare che, secondo una costante giurisprudenza, pur se una decisione della Commissione che rientri nell’ambito di una prassi costante in materia può essere motivata sommariamente, in particolare con un richiamo a tale prassi, nell’ipotesi in cui essa vada notevolmente al di là delle decisioni precedenti, la Commissione è tenuta a sviluppare esplicitamente l’iter logico seguito (v., in particolare, sentenze del 26 novembre 1975, Groupement des fabricants de papiers peints de Belgique e a./Commissione, 73/74, EU:C:1975:160, punto 31, e del 29 settembre 2011, Elf Aquitaine/Commissione, C‑521/09 P, EU:C:2011:620, punto 155).

29

Si deve rammentare parimenti che la giurisprudenza costante ha riconosciuto che detti orientamenti enunciano una regola di condotta indicativa della prassi da seguire, da cui la Commissione non può discostarsi, in un caso specifico, senza fornire giustificazioni che siano compatibili, in particolare, con il principio della parità di trattamento (v., in tal senso, sentenze del 30 maggio 2013, Quinn Barlo e a./Commissione, C‑70/12 P, non pubblicata, EU:C:2013:351, punto 53, e dell’11 luglio 2013, Ziegler/Commissione, C‑439/11 P, EU:C:2013:513, punto 60 e giurisprudenza ivi citata).

30

La Commissione, quando invoca il punto 37 degli orientamenti del 2006, è quindi tenuta ad esporre le ragioni che le consentono di considerare che le peculiarità della causa di cui è investita o la necessità di raggiungere un livello dissuasivo giustifichino che essa si discosti dal metodo indicato nei suddetti orientamenti, come ha dichiarato in sostanza il Tribunale al punto 289 della sentenza impugnata.

31

Peraltro, l’obbligo di motivazione risulta osservato qualora la Commissione indichi, nella sua decisione, gli elementi di valutazione che le hanno consentito di misurare la gravità e la durata dell’infrazione (sentenza del 22 ottobre 2015, AC‑Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punto 68). Benché non sia tenuta ad indicare tutti gli elementi numerici relativi a ciascuna fase intermedia del metodo di calcolo dell’ammenda preso in considerazione, le incombe tuttavia, come il Tribunale ha statuito al punto 291 della sentenza impugnata, l’obbligo di spiegare la ponderazione e la valutazione che essa ha effettuato degli elementi considerati (sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 61).

32

Se la menzione di tali elementi è necessaria, la questione se essa sia sufficiente deve essere valutata alla luce delle circostanze presenti e del contesto nel quale si inserisce la decisione della Commissione.

33

È vero che, in una causa in cui la Commissione aveva fissato in modo forfettario l’importo di base dell’ammenda inflitta all’impresa che aveva facilitato l’intesa, la Corte ha dichiarato che era sufficiente la motivazione che si limitava a dichiarare che si era tenuto conto della gravità e della durata delle infrazioni in sede di determinazione di tale importo (v., in tal senso, sentenza del 22 ottobre 2015, AC‑Treuhand/Commissione, C‑194/14 P, EU:C:2015:717, punti 6869). Tuttavia, da tale sentenza non si può dedurre che una siffatta motivazione sia sempre sufficiente, indipendentemente dalle particolarità della situazione di cui trattasi.

34

Peraltro, nel caso in cui la Commissione si discosti dagli orientamenti del 2006 e applichi un’altra metodologia specificamente adeguata alle particolarità della situazione delle imprese che hanno agevolato un’intesa, è necessario, alla luce dei diritti della difesa, che tale metodo sia divulgato alle interessate affinché queste ultime siano messe in grado di far conoscere il loro punto di vista sugli elementi sui quali la Commissione intende fondare la propria decisione (v., per analogia, sentenza del 22 ottobre 2013, Sabou, C‑276/12, EU:C:2013:678, punto 38 e giurisprudenza ivi citata). Tale divulgazione contribuisce infatti all’equità, all’imparzialità e alla qualità delle decisioni della Commissione da cui dipende, in definitiva, la fiducia che il pubblico e le imprese ripongono nella legittimità dell’attività di tale istituzione in materia di concorrenza (v., in tal senso, sentenza del 16 gennaio 2019, Commissione/United Parcel Service, C‑265/17 P, EU:C:2019:23, punti 31, 33, 3453).

35

Nel caso di specie, è pacifico che la Commissione ha determinato l’importo di base delle ammende inflitte all’Icap e alla R.P. Martin sulla base di uno stesso metodo specificamente elaborato per rispondere alla situazione particolare dei facilitatori e basato su un test in cinque fasi che è atto a misurare la durata e la gravità del loro coinvolgimento nelle infrazioni in discussione. Pertanto, le circostanze della presente causa sono diverse da quelle in esame nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 22 ottobre 2015AC‑Treuhand/Commissione (C‑194/14 P, EU:C:2015:717), in cui la Commissione aveva definito in modo forfettario l’importo di base dell’ammenda inflitta all’unico facilitatore dell’intesa.

36

Inoltre, il Tribunale ha rilevato, al punto 293 della sentenza impugnata, che il considerando 287 della decisione controversa «non fornisce precisazioni circa il metodo alternativo prescelto dalla Commissione, ma si limita ad assicurare in via generale che gli importi di base rispecchino la gravità, la durata e la natura della partecipazione dell’Icap alle infrazioni in discussione nonché la necessità di garantire che le ammende abbiano un effetto sufficientemente dissuasivo».

37

Alla luce degli elementi di diritto ricordati ai punti da 28 a 34 della presente sentenza, il Tribunale ha correttamente approvato la valutazione, figurante al punto 294 della sentenza impugnata, secondo la quale, da un lato, «[r]edatto in tal modo, il punto 287 della [decisione controversa] non consente alle ricorrenti di comprendere la fondatezza della metodologia prescelta dalla Commissione, né al Tribunale di verificarla» e, dall’altro, «[t] ale carenza di motivazione si ritrova altresì ai punti da 290 a 296 di tale decisione, i quali non forniscono le informazioni minime che avrebbero potuto consentire di capire e verificare la pertinenza e la ponderazione degli elementi presi in considerazione dalla Commissione nella determinazione dell’importo di base delle ammende, e ciò in violazione della giurisprudenza» (v., in tal senso, sentenza dell’8 dicembre 2011, Chalkor/Commissione, C‑386/10 P, EU:C:2011:815, punto 61).

38

Contrariamente a quanto sostiene la Commissione, l’obbligo di motivare sufficientemente la pertinenza e la ponderazione degli elementi che essa ha preso in considerazione nella determinazione del metodo alternativo che essa ha privilegiato non implica, alla luce della giurisprudenza ricordata al punto 31 della presente sentenza, che essa sia tenuta a fornire dati numerici relativi alle modalità di calcolo dell’ammenda o che essa debba spiegare in dettaglio i calcoli interni che ha effettuato. Nel caso di specie, la Commissione non ha peraltro asserito che l’elencazione delle cinque fasi che comporta il metodo alternativo considerato, e che essa ha presentato soltanto nella fase del procedimento svoltosi dinanzi al Tribunale, la portasse a rivelare dati numerici o calcoli interni.

39

La Commissione obietta parimenti che il Tribunale ha omesso di prendere in considerazione le informazioni relative alla metodologia di calcolo, fornite alla ricorrente nell’ambito del procedimento amministrativo nonché nella fase contenziosa.

40

Tuttavia, tenuto conto dell’importanza che riveste l’obbligo di motivazione alla luce degli elementi richiamati al punto 34 della presente sentenza, il Tribunale, senza incorrere in errori di diritto, ha statuito al punto 295 della sentenza impugnata che, pur se «la motivazione di un atto impugnato deve essere esaminata prendendo in considerazione il suo contesto, non si può ritenere che lo svolgimento di (…) colloqui esplorativi e informali possa dispensare la Commissione dal suo obbligo di esplicitare, nella decisione impugnata, la metodologia che essa applica per determinare gli importi delle ammende inflitte».

41

Inoltre, alla luce dell’assenza di qualsiasi spiegazione quanto alla pertinenza e alla ponderazione degli elementi presi in considerazione dalla Commissione nella determinazione del metodo di calcolo dell’importo di base dell’ammenda inflitta all’Icap, il Tribunale ha giustamente dichiarato, al punto 296 della sentenza impugnata, che «una spiegazione fornita nella fase del procedimento dinanzi al Tribunale non [poteva] essere presa in considerazione al fine di valutare il rispetto da parte della Commissione del suo obbligo di motivazione».

42

Occorre, pertanto, respingere il motivo unico di impugnazione in quanto infondato.

43

Da tutte le considerazioni che precedono risulta che l’impugnazione deve essere respinta.

Sulle spese

44

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché l’Icap ha concluso chiedendo la condanna della Commissione alle spese e quest’ultima è rimasta soccombente nei motivi proposti, occorre condannarla alle spese.

 

Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’impugnazione è respinta.

 

2)

La Commissione europea è condannata alle spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.