CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

MICHAL BOBEK

presentate il 2 luglio 2020 ( 1 )

Causa C‑826/18

LB,

Stichting Varkens in Nood,

Stichting Dierenrecht,

Stichting Leefbaar Buitengebied

contro

College van burgemeester en wethouders van de gemeente Echt-Susteren,

interveniente:

Sebava BV

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Rechtbank Limburg (Tribunale del Limburgo, Paesi Bassi)]

«Rinvio pregiudiziale – Convenzione di Aarhus – Articolo 6 – Diritti di partecipazione – Procedura di partecipazione del pubblico – Articolo 2, paragrafi 4 e 5 – “Pubblico” e “pubblico interessato” – Ambito di applicazione personale – Articolo 9, paragrafi 2 e 3 – Accesso alla giustizia – Legittimazione – Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – Articolo 47 e articolo 52, paragrafo 1 – Diritto a una tutela giurisdizionale effettiva – Direttiva 2011/92/UE – Articoli 6 e 11 – Direttiva 2010/75/UE – Articoli 24 e 25 – Condizione della previa partecipazione – Autonomia procedurale»

I. Introduzione

1.

Ai sensi del diritto dei Paesi Bassi, chiunque ha il diritto di prendere parte a una procedura di partecipazione del pubblico che sfoci nell’adozione di una decisione concernente un’attività ambientale. Tuttavia, il diritto di accesso a un giudice per contestare qualsiasi decisione amministrativa definitiva resa nell’ambito di tale procedura è subordinato a due condizioni cumulative. In primo luogo, la persona deve essere un interessato, sui cui interessi la decisione in questione abbia inciso direttamente. In secondo luogo, tale persona deve aver partecipato alla procedura di partecipazione del pubblico presentando le proprie osservazioni sul progetto di decisione, salvo che non possa esserle ragionevolmente addebitato il non averlo fatto.

2.

Il risultato di siffatta configurazione delle norme nazionali sembra determinare una notevole discrepanza nell’ambito di applicazione personale di entrambi i quadri procedurali: una fase amministrativa molto aperta e una fase giurisdizionale molto più ristretta. Ciò naturalmente dà adito alla questione concernente la sorte dei soggetti esclusi. Ci si chiede che cosa ne sia di quei membri del pubblico che non sono direttamente interessati o che non hanno presentato osservazioni nella procedura di partecipazione del pubblico. Ci si chiede se l’accesso a un giudice, che è garantito ai sensi della convenzione di Aarhus ( 2 ) o di altre disposizioni del diritto dell’Unione, sia completamente escluso per tali membri del pubblico.

II. Contesto normativo

A.   Convenzione di Aarhus

3.

La convenzione di Aarhus è stata firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 dall’allora Comunità europea e successivamente approvata con decisione 2005/370/CE del Consiglio ( 3 ).

4.

Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della convenzione di Aarhus, le decisioni relative all’autorizzazione delle attività ambientali elencate nell’allegato I sono soggette alla procedura di partecipazione del pubblico di cui all’articolo 6, paragrafi da 2 a 11. L’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus disciplina il diritto di accesso alla giustizia per contestare le decisioni soggette alla procedura di partecipazione del pubblico di cui all’articolo 6. Ai fini della determinazione del loro ambito di applicazione personale, l’articolo 6 e l’articolo 9, paragrafo 2 utilizzano i termini «pubblico» e «pubblico interessato». Tali termini sono definiti all’articolo 2, rispettivamente paragrafi 4 e 5, della convenzione.

B.   Diritto dell’Unione

5.

Prima dell’adozione della decisione 2005/370 del Consiglio, l’allora Comunità europea ha adottato la direttiva 2003/35/CE ( 4 ). Quest’ultima ha modificato due direttive esistenti al fine di allineare correttamente le norme comunitarie alla convenzione di Aarhus, in particolare all’articolo 6 e all’articolo 9, paragrafi 2 e 4, della stessa ( 5 ). Tali direttive sono state successivamente sostituite dalla direttiva 2010/75/UE ( 6 ) e dalla direttiva 2011/92/UE ( 7 ), come modificata dalla direttiva 2014/52/UE (in prosieguo: la «direttiva 2011/92») ( 8 ).

6.

L’articolo 6 e l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus sono stati attuati, rispettivamente, dagli articoli 6 e 11 della direttiva 2011/92 e dall’articolo 24 in combinato disposto con l’allegato IV e l’articolo 25 della direttiva 2010/75. I termini «pubblico» e «pubblico interessato», che figurano anche in tali disposizioni, sono definiti, rispettivamente, all’articolo 1, paragrafo 2, lettere d) ed e), della direttiva 2011/92 e all’articolo 3, paragrafi 16 e 17, della direttiva 2010/75.

C.   Diritto dei Paesi Bassi

7.

Dall’ordinanza di rinvio, come ulteriormente chiarita dal governo dei Paesi Bassi nel corso dell’udienza, intendo le disposizioni pertinenti della legge dei Paesi Bassi nel modo esposto nel prosieguo.

8.

L’attività controversa nel procedimento principale è stata oggetto di una procedura pubblica di preparazione ai sensi della sezione 3.4 della Algemene wet bestuursrecht (legge generale sul diritto amministrativo; in prosieguo: l’«Awb»). Essa costituisce una procedura di partecipazione del pubblico ai sensi dell’articolo 6 della convenzione di Aarhus.

9.

La procedura pubblica di preparazione ai sensi dell’Awb implica che, a seguito della domanda di autorizzazione, l’autorità competente adotti, anzitutto, un progetto di decisione concernente la sua posizione in merito a tale domanda. Il progetto di decisione deve essere messo a disposizione di chiunque, con mezzi adeguati, e, ai sensi dell’articolo 3.12, paragrafo 5, della Wet algemene bepalingen omgevingsrecht (legge recante le disposizioni generali del diritto ambientale; in prosieguo: la «Wabo») chiunque può presentare osservazioni in merito al progetto di decisione.

10.

Desidero sottolineare che il governo dei Paesi Bassi ha espressamente confermato, in udienza, che, ai sensi della Wabo, per chiunque si intende letteralmente chiunque, qualsiasi persona fisica o giuridica, senza alcuna limitazione, territoriale o di altro tipo. Pertanto, in linea di principio, un cittadino ceco residente nella Repubblica ceca, un cittadino danese residente in Danimarca o un cittadino cinese residente in Cina hanno tutti il diritto di partecipare, ai sensi del diritto neerlandese, alla procedura di partecipazione del pubblico concernente l’attività richiesta nel procedimento principale.

11.

Il governo dei Paesi Bassi ha altresì chiarito che, aprendo a chiunque la procedura pubblica di preparazione, esso ha inteso migliorare il più possibile il dibattito tra l’autorità competente e il pubblico. Tale governo ha parimenti voluto ridurre l’onere gravante sulle autorità amministrative (locali) di accertare, in ogni singolo caso, quali membri del pubblico possano essere quelli interessati e quali no.

12.

Inoltre, il governo dei Paesi Bassi ritiene che dall’articolo 6, paragrafo 7, della convenzione di Aarhus discenda, di fatto, che il diritto di prendere parte alla procedura di partecipazione del pubblico è aperto a chiunque ex articolo 6 della convenzione di Aarhus.

13.

Successivamente, una volta espletata la procedura di partecipazione del pubblico, l’autorità amministrativa adotterà una decisione definitiva concernente l’attività richiesta. Nel diritto dei Paesi Bassi, la possibilità di contestare la legittimità procedurale e sostanziale di tale decisione dinanzi a un giudice è soggetta a due condizioni cumulative. Siffatte condizioni restringono notevolmente l’ambito dei ricorrenti rispetto alla fase amministrativa che ha condotto all’adozione di tale decisione.

14.

In primo luogo, ai sensi dell’articolo 8:1 dell’Awb, il ricorrente deve essere un «interessato» nell’accezione dell’articolo 1:2 della stessa, ossia una persona sui cui interessi la decisione ha inciso direttamente. Le associazioni che promuovono la protezione dell’ambiente sono sempre considerate «interessati» ai sensi dell’articolo 1:2, paragrafo 3, dell’Awb.

15.

Rilevo che il termine «interessato» non figura nell’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, che utilizza invece l’espressione «membri del pubblico interessato (…) che vantino un interesse sufficiente o (…) che facciano valere la violazione di un diritto». Dall’ordinanza di rinvio mi pare di capire che il riferimento al termine «interessato» ai sensi dell’Awb costituisce la trasposizione dell’espressione di cui all’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus. Di conseguenza, una persona che non sia un «interessato» ai sensi dell’articolo 1:2 dell’Awb, non è considerata un membro del «pubblico interessato» nell’accezione dell’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus.

16.

In secondo luogo, un «interessato» deve anche aver partecipato alla procedura pubblica di preparazione ai sensi dell’articolo 6:13 dell’Awb, presentando le proprie osservazioni in merito all’attività in questione, salvo che a tale interessato non possa essere ragionevolmente addebitato il non averlo fatto.

17.

Secondo il governo dei Paesi Bassi, la finalità di questo secondo requisito mira a migliorare l’efficienza dei procedimenti amministrativi e, con essa, l’efficienza dei procedimenti giurisdizionali. La partecipazione alla procedura pubblica di preparazione consente di individuare i punti controversi in una fase iniziale del processo decisionale, migliorando così la qualità di tale processo. Essa permette di evitare i procedimenti giurisdizionali e, nell’ipotesi in cui siano instaurati, dovrebbe contribuire a renderli più efficienti.

18.

Per quanto concerne l’eccezione a questa regola (il caso in cui all’interessato non possa essere ragionevolmente addebitata l’omessa partecipazione), il governo dei Paesi Bassi ha spiegato, in udienza, che essa si applica se la mancata partecipazione è giustificata. Alla luce della giurisprudenza nazionale, ciò avviene, ad esempio, se la comunicazione del progetto di decisione è assistita da un vizio; se la decisione adottata è diversa dal progetto di decisione comunicato e tale differenza produce conseguenze negative per l’«interessato»; oppure se una persona, a causa di un trasferimento, diventa «interessato» soltanto a seguito della scadenza del termine per presentare osservazioni sul progetto di decisione.

19.

Infine, per quanto concerne il collegamento tra le due condizioni di legittimazione, il governo dei Paesi Bassi ha chiarito, in udienza, che un soggetto che abbia partecipato alla procedura pubblica di preparazione ai sensi della Wabo, ma non sia un interessato ai sensi dell’Awb, non avrà il diritto di contestare la successiva decisione dinanzi ad un giudice, anche nell’ipotesi in cui abbia partecipato alla fase preparatoria presentando osservazioni.

III. Fatti, procedimento nazionale e questioni pregiudiziali

20.

Nel 2016 la Sebava BV ha presentato una domanda al College van burgemeester en wethouders van de gemeente Echt-Susteren (Consiglio comunale di Echt-Susteren, Paesi Bassi; in prosieguo: il «resistente») per la costruzione di una nuova stalla per 855 scrofe, per lo scambio, nelle stalle esistenti, di scrofe da riproduzione con scrofe allattanti e per la costruzione di uno spazio coperto all’aperto per scrofe.

21.

Detta domanda è stata sottoposta dal resistente a una procedura pubblica uniforme di preparazione ai sensi della sezione 3.4 dell’Awb. Il giudice del rinvio conferma che siffatta procedura costituisce una procedura di partecipazione del pubblico ai sensi dell’articolo 6 della convenzione di Aarhus.

22.

Il resistente ha messo a disposizione del pubblico una copia dell’avviso di presentazione e altri documenti correlati, dandone notizia nello Staatscourant (Gazzetta ufficiale dei Paesi Bassi). La domanda è poi stata pubblicata sul Gemeenteblad (Bollettino comunale) del comune del resistente.

23.

Il 28 settembre 2017 il resistente ha rilasciato l’autorizzazione richiesta e ne ha dato comunicazione nello Staatscourant (Gazzetta ufficiale dei Paesi Bassi).

24.

La decisione di rilascio dell’autorizzazione è stata impugnata dinanzi al giudice del rinvio, il Rechtbank Limburg (Tribunale del Limburgo, Paesi Bassi) da quattro ricorrenti. La prima ricorrente è una persona fisica, veterinaria di professione (in prosieguo: la «prima ricorrente»). Tale persona è altresì membro direttivo, segretario e presidente di diverse organizzazioni interessate che promuovono il benessere animale. Le tre altre ricorrenti sono associazioni ambientaliste (in prosieguo: le «tre associazioni ricorrenti») (collettivamente, in prosieguo: «le quattro ricorrenti»).

25.

Dinanzi al giudice del rinvio, le quattro ricorrenti hanno ammesso di non aver presentato alcuna obiezione al progetto di decisione del resistente. Esse sostengono, tuttavia, che tale omissione non può essere loro ragionevolmente addebitata, poiché il resistente ha comunicato in modo non corretto il progetto di decisione. Su tale base, le quattro ricorrenti chiedono al giudice del rinvio di annullare la decisione impugnata, al fine di consentire loro di presentare le proprie osservazioni sul progetto di decisione.

26.

Per quanto riguarda il ricorso proposto dalla prima ricorrente, il giudice del rinvio ritiene che esso debba essere dichiarato irricevibile sulla base dell’articolo 8:1 e dell’articolo 1:2 dell’Awb. Esso considera che la prima ricorrente non è un «interessato» ai sensi di tali disposizioni. Il giudice del rinvio constata che la prima ricorrente ha proposto ricorso a titolo personale, in quanto ella ha reso nota la sua qualità di membro direttivo, segretario e presidente di diverse organizzazioni interessate solo molto tempo dopo la scadenza del termine per il ricorso. Inoltre la ricorrente abita a grande distanza dalla stalla per suini da costruire, circostanza per cui ella non soffrirà ripercussioni sotto il profilo del territorio o dell’ambiente.

27.

Per quanto riguarda il ricorso proposto dalle tre associazioni ricorrenti, il giudice del rinvio ritiene che, in quanto associazioni ambientaliste, esse costituiscano effettivamente interessati ai sensi dell’articolo 1:2, paragrafo 1, dell’Awb. Tuttavia esse non hanno presentato la propria posizione avverso il progetto di decisione. Dall’articolo 6:13 dell’Awb discende che un interessato, al quale si può ragionevolmente addebitare di non aver fatto valere la propria posizione nel corso della procedura di preparazione, non può presentare ricorso dinanzi al giudice amministrativo.

28.

È nell’ambito di siffatto contesto di fatto e di diritto che il Rechtbank Limburg (Tribunale del Limburgo) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte di giustizia le seguenti questioni pregiudiziali:

«1.

Se il diritto dell’Unione europea, e segnatamente l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, debba essere interpretato nel senso che esso osta a che il diritto di accesso alla giustizia per il pubblico (public) (chiunque) sia totalmente escluso qualora non si tratti del pubblico interessato (public concerned) (gli interessati).

In caso di risposta affermativa alla prima questione:

2.

Se il diritto dell’Unione europea, e segnatamente l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, debba essere interpretato nel senso che da esso discende che il pubblico (public) (chiunque) debba avere accesso alla giustizia in caso di asserita violazione dei requisiti procedurali e dei diritti di partecipazione vigenti per tale pubblico, ai sensi dell’articolo 6 della convenzione stessa.

Se al riguardo sia rilevante che il pubblico interessato (public concerned) (gli interessati) su questo punto gode di accesso alla giustizia ed inoltre può far valere dinanzi al giudice anche censure di merito.

3.

Se il diritto dell’Unione europea, e segnatamente l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, debba essere interpretato nel senso che esso osta a che l’accesso alla giustizia per il pubblico interessato (public concerned) (gli interessati) sia subordinato all’esercizio dei diritti di partecipazione, di cui all’articolo 6 della convenzione stessa.

In caso di risposta negativa alla terza questione:

4.

Se il diritto dell’Unione europea, e segnatamente l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, debba essere interpretato nel senso che esso osta ad una disposizione di diritto nazionale, che esclude l’accesso alla giustizia contro una decisione per il pubblico interessato (public concerned) (gli interessati) per un soggetto al quale possa essere ragionevolmente addebitato di non aver fatto valere le proprie posizioni riguardo al (o a parti del) progetto di decisione.

In caso di risposta negativa alla quarta questione:

5.

Se spetti interamente al giudice nazionale pronunciarsi, sulla base delle circostanze del caso, su quanto si debba intendere per “al quale può essere ragionevolmente addebitato” o se il giudice sia tenuto ad osservare al riguardo talune garanzie poste dal diritto dell’Unione.

6.

In che misura la risposta alle questioni 3, 4 e 5 cambi se si tratta del pubblico (public) (chiunque), nei limiti in cui detto pubblico non coincida con il pubblico interessato (public concerned) (gli interessati)».

29.

I governi danese, l’Irlanda, i governi dei Paesi Bassi e svedese, nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte. Il resistente ha presentato osservazioni a sostegno delle osservazioni del governo dei Paesi Bassi. Le quattro ricorrenti nel procedimento principale, il resistente, l’Irlanda, il governo dei Paesi Bassi e la Commissione hanno partecipato all’udienza svoltasi il 30 gennaio 2020.

IV. Valutazione

30.

Le presenti conclusioni sono strutturate come segue. Inizierò individuando le disposizioni applicabili della convenzione di Aarhus e delle direttive 2010/75 e 2011/92 (A). Mi occuperò, successivamente, della compatibilità con tali strumenti delle due condizioni di legittimazione previste dal diritto dei Paesi Bassi, vale a dire la condizione di essere un «interessato» (B) e la condizione di presentare osservazioni nella procedura di partecipazione del pubblico (C).

A.   Diritto applicabile: convenzione di Aarhus, direttive 2010/75 e 2011/92

31.

Il giudice del rinvio ritiene che le disposizioni sulla partecipazione del pubblico di cui all’articolo 6 della convenzione di Aarhus, all’articolo 6 della direttiva 2011/92 nonché all’articolo 24 della direttiva 2010/75 siano applicabili nel procedimento principale.

32.

Effettivamente, tale ipotesi sembra ricorrere sia per la convenzione di Aarhus, sia per la direttiva 2010/75. Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, lettera a), della convenzione di Aarhus, l’articolo 6 si applica alle decisioni relative all’autorizzazione delle attività elencate nell’allegato I. L’allegato I, punto 15, lettera c), menziona gli impianti per l’allevamento intensivo di suini con oltre 750 posti per le scrofe. Ai sensi dell’articolo 10 della direttiva 2010/75, le disposizioni sulla partecipazione del pubblico di cui all’articolo 24 di tale direttiva si applicano alle attività elencate nell’allegato I. Il punto 6.6, lettera c), di tale allegato menziona l’allevamento intensivo di suini con più di 750 posti scrofe.

33.

Di converso, non è immediatamente evidente che le attività di cui al procedimento principale rientrino nell’ambito di quelle di cui si occupa la direttiva 2011/92. L’allegato I, punto 17, lettera c), e l’allegato II, punto 1, lettera c), della direttiva 2011/92 rendono applicabile tale direttiva agli impianti per l’allevamento intensivo di suini con più di 900 posti per scrofe e ai progetti di gestione delle risorse idriche per l’agricoltura. Ciò detto, tuttavia, la decisione se «la costruzione di una nuova stalla per 855 scrofe, per lo scambio, nelle stalle esistenti, di scrofe da riproduzione con scrofe allattanti e per la costruzione di uno spazio coperto all’aperto per scrofe» rientri anch’essa nell’ambito di applicazione di questa o di un’altra disposizione della direttiva 2011/92, spetta, naturalmente, al giudice nazionale, tenuto conto delle specifiche tecniche dettagliate di tale attività.

34.

Poiché la Corte non dispone di tutti gli elementi di fatto necessari per compiere una valutazione definitiva sull’applicabilità della direttiva 2011/92, parto dal presupposto che, come affermato dal giudice del rinvio, anche tale direttiva sia applicabile nel procedimento principale.

35.

Inoltre, il giudice del rinvio invoca espressamente soltanto l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus nelle sei questioni sottoposte alla Corte. Tuttavia, tenuto conto dell’ordinanza di rinvio, il riferimento al «diritto dell’Unione europea» nella formulazione delle questioni deve essere inteso come comprensivo di un riferimento all’articolo 11 della direttiva 2011/92 e all’articolo 25 della direttiva 2010/75. In sostanza, entrambe queste disposizioni corrispondono all’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus.

36.

Per quanto riguarda l’interpretazione di tali atti di diritto derivato, gli articoli 6 e 11 della direttiva 2011/92 nonché gli articoli 24 e 25 della direttiva 2010/75 devono essere interpretati alla luce delle corrispondenti disposizioni di cui all’articolo 6 e all’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus. Poiché il legislatore dell’Unione ha inteso garantire la coerenza del diritto dell’Unione con la convenzione di Aarhus, ai fini dell’interpretazione di tali direttive occorre tener conto della formulazione e dell’obiettivo di tale convenzione ( 9 ).

37.

Pertanto, in un modo o nell’altro, il diritto derivato dell’Unione in questo settore è legato alla convenzione di Aarhus. Ritengo pertanto più utile valutare le questioni sollevate dal giudice nazionale alla luce delle pertinenti disposizioni della convenzione di Aarhus, in particolare del suo articolo 6 e del suo articolo 9, paragrafo 2, e prendere in considerazione le corrispondenti disposizioni di cui agli articoli 6 e 11 della direttiva 2011/92 e agli articoli 24 e 25 della direttiva 2010/75 soltanto quando queste disposizioni si discostano dal testo della convenzione di Aarhus. In linea di principio, ciò può accadere in due situazioni.

38.

In primo luogo, l’articolo 3, paragrafo 5, della convenzione di Aarhus consente alle sue Parti di introdurre norme che prevedono diritti più ampi rispetto a quelli previsti dalla convenzione. In secondo luogo, potrebbero effettivamente emergere incongruenze tra la convenzione di Aarhus e le norme di diritto derivato dell’Unione per quanto concerne una specifica disposizione. Infatti, il giudice del rinvio ritiene che vi sia un’incongruenza o una contraddizione tra l’ambito di applicazione dei diritti di partecipazione attribuiti al «pubblico» nelle due direttive, da un lato, e nella convenzione di Aarhus, dall’altro.

B.   Accesso alla giustizia per il «pubblico»

39.

Con la prima e la seconda questione, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, nonché l’articolo 11 della direttiva 2011/92 o l’articolo 25 della direttiva 2010/75 ostino a che il diritto di accesso alla giustizia per il «pubblico» sia totalmente escluso qualora non si tratti del «pubblico interessato» ai sensi di tali strumenti.

40.

Tali questioni riguardano la situazione della prima ricorrente, la persona fisica, che il giudice del rinvio considera membro del «pubblico», ma non del «pubblico interessato». Di converso, le tre associazioni ricorrenti sono considerate «interessati» ( 10 ) ai sensi dell’articolo 1:2, paragrafo 3, dell’Awb. In quanto tali, esse vantano un «interesse sufficiente» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, sicché la prima e la seconda questione non le riguardano.

41.

La prima e la seconda questione del giudice del rinvio si fondano sul presupposto che l’articolo 6 della convenzione di Aarhus attribuisca diritti di partecipazione ai membri del «pubblico» in generale, indipendentemente dal fatto che chi ne fa parte appartenga anche al «pubblico interessato». Pertanto, il giudice del rinvio osserva che l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus sembra applicarsi soltanto al «pubblico interessato», il che suggerisce che la prima ricorrente non gode di legittimazione ai sensi di tale disposizione. Il giudice del rinvio si chiede, tuttavia, se una tale interpretazione possa essere mantenuta alla luce del fatto che l’articolo 6 della convenzione attribuisce diversi diritti procedurali non soltanto al «pubblico interessato», ma anche al «pubblico» in generale. A tale riguardo, il giudice del rinvio richiama l’articolo 6, paragrafi 3, 7 e 9, della convenzione.

42.

Al fine di verificare se l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus osti alla totale esclusione del diritto di accesso alla giustizia per il «pubblico» in generale, occorre anzitutto determinare l’ambito di applicazione personale di tale disposizione (1). Poiché l’articolo 9, paragrafo 2, costituisce il meccanismo per far valere in sede giurisdizionale i diritti di partecipazione di cui all’articolo 6, sarà poi necessario occuparsi dell’ambito di applicazione personale dei diritti di partecipazione di cui all’articolo 6.

1. Ambito di applicazione personale dell’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus

43.

La formulazione dell’articolo 9, paragrafo 2, è piuttosto chiara: tale disposizione garantisce un diritto di accesso alla giustizia ai soli membri del «pubblico interessato» e non del «pubblico» (in generale).

44.

La convenzione di Aarhus definisce specificamente entrambe le nozioni. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 4, «pubblico» significa, essenzialmente, chiunque. Ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, il «pubblico interessato» è un sottoinsieme del pubblico. Esso comprende soltanto «il pubblico che subisce o può subire gli effetti dei processi decisionali in materia ambientale o che ha un interesse da far valere al riguardo».

45.

Certamente, per quanto concerne il suo obiettivo, l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus mira a garantire un ampio accesso alla giustizia nell’ambito della convenzione ( 11 ). Tuttavia, tale obiettivo non può essere sradicato dal contesto al fine di riformulare il chiaro testo dell’articolo 9, paragrafo 2. L’impianto sistematico e la logica dell’articolo 9, paragrafo 2, considerati nel contesto di altre disposizioni della convenzione di Aarhus, corroborano tale affermazione.

46.

In primo luogo, i redattori della convenzione di Aarhus hanno scelto di non introdurre un’actio popularis in materia ambientale. Come già sottolineato dall’avvocato generale Sharpston ( 12 ), poiché l’approccio dell’actio popularis è stato scartato nel corso delle negoziazioni della convenzione di Aarhus, i redattori della convenzione hanno scelto di rafforzare il ruolo delle organizzazioni non governative (ONG) per la difesa dell’ambiente le quali, ai sensi degli articoli 2, paragrafo 5, e 9, paragrafo 2, sono sempre considerate membri del «pubblico interessato» e vantano un interesse sufficiente ( 13 ). Se l’articolo 9, paragrafo 2, venisse ora improvvisamente interpretato come un riconoscimento della legittimazione del «pubblico» in generale, detta logica e detto compromesso ne risulterebbero pregiudicati.

47.

In secondo luogo, vi è una differenza tra l’articolo 9, paragrafo 2 e l’articolo 9, paragrafo 3: sembrerebbe che, laddove i redattori della convenzione di Aarhus hanno inteso concedere l’accesso alla giustizia al «pubblico» in generale, e non soltanto al «pubblico interessato», essi lo abbiano fatto espressamente. Tale è il caso della formulazione dell’articolo 9, paragrafo 3, che conferisce diritti ai membri del «pubblico», senza ulteriori condizioni.

48.

In terzo luogo, tuttavia, l’articolo 9, paragrafo 2 e l’articolo 9, paragrafo 3 sono due disposizioni distinte della convenzione. L’articolo 9, paragrafo 2, rimanda all’articolo 6. Inoltre, dall’impianto generale dell’intera disposizione di cui all’articolo 9 emerge chiaramente che la disposizione per la tutela in sede giurisdizionale dell’articolo 6 è l’articolo 9, paragrafo 2, così come l’articolo 9, paragrafo 1 lo è per l’articolo 4.

49.

Inoltre, l’articolo 9, paragrafo 3 si apre con l’affermazione «[i]n aggiunta, e ferme restando le procedure di ricorso di cui ai paragrafi 1 e 2, ciascuna Parte provvede (…)». Tale formulazione e la logica strutturale dell’articolo 9 della convenzione di Aarhus indicano che l’articolo 9, paragrafo 3, non mira a disciplinare la tutela dei diritti di partecipazione ai sensi dell’articolo 6, bensì di altri diritti garantiti da altre disposizioni della convenzione (o del diritto nazionale). Pertanto, a differenza del governo danese e della Commissione, non ritengo che l’articolo 9, paragrafo 3, disciplini il diritto di accesso alla giustizia per quanto riguarda i diritti di partecipazione garantiti dall’articolo 6 della convenzione, né le decisioni risultanti dalla procedura di cui all’articolo 6.

50.

Se così fosse, ci si chiede quale sia la finalità dell’articolo 9, paragrafo 2, nonché delle condizioni e regole previste in tale articolo (o, comunque, nell’articolo 9, paragrafo 1), se tutto ciò che è coperto da tali disposizioni sarebbe immediatamente derogato dall’articolo 9, paragrafo 3, potenzialmente illimitato.

51.

In sintesi, l’articolo 9, paragrafo 2, non conferisce, in sé e per sé, alcun diritto di accesso alla giustizia al «pubblico», ma soltanto al «pubblico interessato». La stessa conclusione vale anche per l’articolo 11 della direttiva 2011/92 e per l’articolo 25 della direttiva 2010/75 che, sul punto, sono entrambi formulati in modo identico all’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus.

52.

Vi è, tuttavia, la questione del collegamento tra l’articolo 9, paragrafo 2 e l’articolo 6. Nel suo testo, infatti, l’articolo 6 fa occasionalmente riferimento al «pubblico» e non soltanto al «pubblico interessato». Mi accingo ora a esaminare tale questione.

2. Ambito di applicazione personale dell’articolo 6 della convezione di Aarhus

53.

La maggior parte delle disposizioni di cui all’articolo 6, compresa la disposizione chiave di cui all’articolo 6, paragrafo 2, attribuisce diritti di partecipazione soltanto al «pubblico interessato». È il «pubblico interessato» che viene informato, nella procedura decisionale in materia ambientale, in merito all’attività proposta ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, e che può quindi consultare tutte le informazioni rilevanti ai fini del processo decisionale ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 6. Inoltre, parimenti, l’articolo 6, paragrafo 5, stabilisce che i potenziali richiedenti dovrebbero individuare il «pubblico interessato», prima di presentare la domanda di autorizzazione, al fine di avviare discussioni e a fornire loro informazioni sugli obiettivi della richiesta.

54.

Tuttavia, come osserva il giudice del rinvio, l’articolo 6, paragrafi 3, 7 e 9, utilizza il termine «pubblico», e non soltanto i termini «pubblico interessato» ( 14 ). Ciò solleva, effettivamente, la questione se l’articolo 6 attribuisca diritti di partecipazione ai membri del «pubblico» in generale, indipendentemente dal fatto che appartengano al «pubblico interessato», e, in caso affermativo, se l’articolo 9, paragrafo 2, nonostante la conclusione preliminare di cui sopra, imponga comunque alle Parti di garantire (almeno parzialmente) la legittimazione del «pubblico» per far valere tali diritti.

a) Articolo 6, paragrafo 3 e articolo 6, paragrafo 9

55.

L’articolo 6, paragrafo 3, impone alle autorità pubbliche l’obbligo di fissare termini ragionevoli per le varie fasi della procedura di partecipazione del pubblico, in modo da prevedere un margine di tempo sufficiente per informare i membri del «pubblico» e consentire loro di prepararsi e di partecipare in modo efficace.

56.

A mio avviso, il riferimento al «pubblico» in tale disposizione si spiega facilmente con la natura di tale disposizione. Essa concerne una fase in cui è necessaria una comunicazione verso l’esterno, in cui può non essere possibile, né ragionevole, insistere sull’individuazione del «pubblico interessato». Di conseguenza, l’informazione è, semplicemente, resa pubblica. Siffatta lettura è ulteriormente corroborata dal riferimento all’articolo 6, paragrafo 3, nell’articolo 6, paragrafo 2, che riguarda soltanto il «pubblico interessato».

57.

Analoghe considerazioni valgono per l’articolo 6, paragrafo 9. Tale disposizione obbliga le autorità a informare prontamente il «pubblico», una volta adottata la decisione, e a renderla accessibile al «pubblico». In un certo senso, tale disposizione rispecchia quella di cui all’articolo 6, paragrafo 3, ma nella fase finale: mentre l’articolo 6, paragrafo 3 richiede una diffusione ragionevolmente ampia delle informazioni sulla procedura di partecipazione del pubblico prima del suo avvio, l’articolo 6, paragrafo 9, esige lo stesso per quanto concerne i risultati, una volta terminata la procedura.

58.

Non vi è ragione di mantenere segrete le autorizzazioni urbanistiche. E ciò non soltanto a causa del requisito generale di trasparenza e apertura della pubblica amministrazione. Oltre al «pubblico interessato» che ha partecipato alla procedura decisionale e che è noto alle autorità pubbliche all’atto di adozione della decisione finale, vi potrebbero essere anche membri del «pubblico interessato» che non hanno partecipato alla procedura, ma che potrebbero comunque voler contestare la decisione da essa risultante.

59.

Pertanto, l’apertura nella fase iniziale e finale, nonché la fattibilità della procedura di partecipazione del pubblico ai sensi dell’articolo 6, chiariscono in modo logico il motivo per cui l’articolo 6, paragrafo 3 e l’articolo 6, paragrafo 9 utilizzano il termine «pubblico».

b) Sul curioso caso dell’articolo 6, paragrafo 7

60.

L’articolo 6, paragrafo 7, prevede che le procedure di partecipazione devono consentire al «pubblico» di presentare per iscritto o, a seconda dei casi, in occasione di audizioni o indagini pubbliche in presenza del richiedente, eventuali osservazioni, informazioni, analisi o pareri da esso ritenuti rilevanti ai fini dell’attività proposta.

61.

Sembra che, basandosi sul tenore letterale dell’articolo 6, paragrafo 7, il governo dei Paesi Bassi consideri, al pari del giudice del rinvio, che al «pubblico» in generale siano concessi diritti di partecipazione alla procedura di partecipazione del pubblico. Infatti, sulla base della sua formulazione, e a differenza dell’articolo 6, paragrafi 3 e 9, il paragrafo 7 di tale articolo concerne la procedura di partecipazione del pubblico in sé. Esso non riguarda la fase preparatoria, né quella della pubblicazione. Esso riguarda, infatti, lo scambio tra i partecipanti alla procedura pubblica e l’autorità pubblica sull’attività proposta.

62.

Sembrano esservi due modi opposti per interpretare l’articolo 6, paragrafo 7, della convenzione di Aarhus.

63.

La prima interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 7 sarebbe quella suggerita dal governo dei Paesi Bassi, almeno per quanto riguarda la sua prima parte: il «pubblico» di cui all’articolo 6, paragrafo 7, dovrebbe significare chiunque. Pertanto, a ogni persona fisica o giuridica, senza alcuna limitazione per quanto concerne il suo interesse o la circostanza che essa sia pregiudicata individualmente, è attribuito il diritto di partecipare al processo decisionale in materia ambientale ai sensi dell’articolo 6 della convenzione di Aarhus.

64.

Tuttavia, per le ragioni esposte in dettaglio qui di seguito ( 15 ), la conseguenza logica di tale proposta non può essere quella prevista dal diritto dei Paesi Bassi, per cui tutti hanno il diritto di partecipare, ma soltanto gli interessati possono essere autorizzati a contestare l’esito di tale partecipazione dinanzi a un giudice. La conseguenza logica di tale interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 7 sarebbe, invece, quella proposta dalla Commissione, e menzionata anche nella Guida all’applicazione ( 16 ): poiché l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione è il mezzo per far valere tutti i diritti di cui all’articolo 6, e poiché l’articolo 9, paragrafo 2, si applica soltanto al «pubblico interessato», ciò significherebbe che ogni membro del «pubblico» che abbia effettivamente partecipato a una procedura di partecipazione del pubblico presentando osservazioni otterrebbe lo status di membro del «pubblico interessato». In altri termini, secondo questa interpretazione, l’articolo 6, paragrafo 7, aprirebbe le porte all’«interesse per effetto della partecipazione» ai fini dell’articolo 9, paragrafo 2.

65.

La seconda interpretazione consisterebbe nell’attribuire all’articolo 6, paragrafo 7, della convenzione il significato secondo cui, mentre chiunque (il «pubblico») ha la possibilità di rivolgersi all’autorità pubblica per manifestarsi e rendere noto il proprio interesse nel processo decisionale, se interpretato nel contesto generale dell’articolo 6 e della convenzione di Aarhus, l’articolo 6, paragrafo 7, conferisce diritti di partecipazione – ossia diritti che creano, in capo alle autorità competenti, il corrispondente obbligo di tener conto di tali osservazioni a norma dell’articolo 6, paragrafo 8, e che sono azionabili in sede giurisdizionale ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2 – soltanto nella misura in cui tali soggetti siano membri del «pubblico interessato».

66.

Per una serie di ragioni che esporrò nelle tre sottosezioni che seguono, non riesco a riconoscere la ragionevolezza della prima interpretazione, in nessuna delle sue possibili varianti.

c) Su un diritto di partecipazione globale

67.

In primo luogo, occorre considerare la logica interna dell’articolo 6. Se l’articolo 6, paragrafo 7 dovesse essere interpretato nel senso che attribuisce un diritto di partecipazione a chiunque, e non soltanto al «pubblico interessato», ci si chiede quali sarebbero le implicazioni per le altre disposizioni del medesimo articolo che sono intrinsecamente limitate al «pubblico interessato». Ci si chiede come si manifesterebbe la loro interazione, ad esempio, in che modo il «pubblico» potrebbe esercitare il suo diritto di presentare commenti e osservazioni concernenti un progetto di decisione ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 7, se non godesse, in primis, del diritto ad essere informato del progetto di decisione, essendo tale diritto limitato al solo «pubblico interessato» ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2. Analogamente, ci si chiede su quale base il «pubblico» potrebbe presentare commenti sull’attività proposta, considerando che non beneficia del diritto di accedere a tutte le informazioni rilevanti concernenti il progetto di decisione, dato che l’articolo 6, paragrafo 6 attribuisce tali diritti al solo «pubblico interessato».

68.

Pertanto, in termini pratici, l’articolo 6 deve costituire un unicum coerente. Ciò significa ampliare l’ambito di applicazione del «pubblico interessato» in tutte le altre disposizioni di cui all’articolo 6, in contrasto con la loro chiara formulazione, come se esse si riferissero, di fatto, al «pubblico», oppure ridimensionare in via interpretativa l’articolo 6, paragrafo 7, nel senso che solo il «pubblico interessato» gode di diritti di partecipazione nel senso menzionato supra, al paragrafo 65, al fine di allinearlo al resto di tale articolo.

69.

A mio parere, l’unicum coerente che dovrebbe essere l’articolo 6 attribuisce diritti di partecipazione soltanto al «pubblico interessato», e non al «pubblico», tanto per ragioni operative, quanto per ragioni di principio.

70.

Dal punto di vista operativo, ho qualche difficoltà a immaginare in che modo le procedure e i diritti concepiti e progettati per una determinata comunità che è ragionevolmente suscettibile di essere pregiudicata dall’attività proposta opererebbero nei confronti di chiunque.

71.

Inizio menzionando l’efficace comunicazione delle informazioni concernenti l’attività proposta ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 3 e dell’articolo 6, paragrafo 2: nell’ipotesi in cui tale comunicazione non fosse destinata al pubblico che potrebbe essere ragionevolmente interessato, bensì, piuttosto, contrariamente alla sua formulazione, al pubblico in generale, senza alcun limite territoriale, ambientale o a livello di interesse, ci si chiede se non si dovrebbe comunicare qualsiasi attività proposta al mondo intero. Ci si chiede se la comunicazione concernente la costruzione (nei Paesi Bassi) di qualsiasi stalla di suini di grandi dimensioni debba essere pubblicata, ad esempio, sul Financial Times, sull’Economist, o su qualsiasi altro strumento di portata realmente globale.

72.

Pertanto, è piuttosto chiaro che il termine «pubblico», utilizzato in varie disposizioni dell’articolo 6, deve essere interpretato entro i confini ragionevoli del risultato che l’intera operazione mira a conseguire: fornire al pubblico potenzialmente interessato una possibilità adeguata, in una fase iniziale e in anticipo, di venire a conoscenza del processo decisionale sulle attività proposte e delle modalità di partecipazione ( 17 ).

73.

A tale operatività si affiancano le questioni di principio: ci si chiede di quali interessi, per non dire diritti, sarebbero portatori un ceco, o un danese, o un cinese ( 18 ), residenti a centinaia o addirittura migliaia di chilometri di distanza dall’attività proposta, in relazione alla costruzione di una nuova stalla per 855 scrofe a Echt-Susteren, nel sud-est dei Paesi Bassi.

74.

Certamente, la convenzione di Aarhus richiama, nel suo preambolo, il diritto di ogni persona di vivere in un ambiente atto ad assicurare la sua salute. Parimenti, e senza alcun dubbio, non mancano neppure teorie concernenti il motivo per cui i diritti ambientali sono diritti speciali, collettivi, che devono poter essere esercitati in modo speciale. Per di più, la stessa convenzione di Aarhus spinge, in una serie di disposizioni generali di cui all’articolo 3, nonché in ulteriori disposizioni specifiche, a favore di una partecipazione del pubblico e di un accesso alla giustizia in materia ambientale più ampi possibile.

75.

Tuttavia, pur tenendo conto di tutte le considerazioni che precedono, dal mio punto di vista, forse tradizionale e positivista, continuo a non comprendere quale interesse possano avere, in una causa quale la presente, cittadini cechi, danesi o cinesi per quanto concerne la specifica attività ambientale di cui al procedimento principale. Soprattutto, non vedo in che modo possano derivare dalle disposizioni della convenzione di Aarhus diritti di questo tipo, azionabili in sede giurisdizionale. Sulla base del suo impianto sistematico, oltre che del suo contesto, la convenzione di Aarhus non può essere interpretata nel senso che attribuisce a chiunque un diritto di partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia ambientale ai sensi dell’articolo 6.

76.

Pertanto, secondo un’interpretazione molto più ragionevole dell’articolo 6, paragrafo 7, considerato di per sé, tale disposizione dovrebbe seguire la stessa logica del resto di tale articolo. Ai fini dell’individuazione del «pubblico interessato» in una determinata procedura di partecipazione, le autorità pubbliche dovrebbero consentire al «pubblico» in generale di rivolgersi alle autorità e di spiegare il loro interesse e la loro posizione nel processo decisionale. In questo senso, l’articolo 6, paragrafo 7, consente al «pubblico» in generale di presentare le proprie osservazioni alle autorità pubbliche. Ciò non significa, tuttavia, che il pubblico in generale possieda diritti per quanto concerne l’effettiva partecipazione a tale procedura, né che sulle autorità pubbliche incombano corrispondenti obblighi. Affinché al «pubblico» spetti tale diritto, esso deve far parte del «pubblico interessato».

77.

Per completezza, non sembra che le relazioni del comitato di controllo, invocate dal giudice del rinvio, suggeriscano una diversa interpretazione. È vero che il comitato ha constatato che una Parte della convenzione, limitando il diritto del «pubblico interessato» di presentare osservazioni, non aveva garantito pienamente i diritti previsti dall’articolo 6, paragrafo 7. Tuttavia, ciò è dovuto anche al fatto che tali osservazioni dovevano essere «proposte motivate», ossia contenere argomentazioni motivate, un obbligo forse troppo oneroso per una procedura (amministrativa) di partecipazione del pubblico ( 19 ). Parimenti, l’articolo 6, paragrafo 8, della convenzione di Aarhus obbliga le autorità pubbliche a «tenere seriamente in considerazione tutte le osservazioni ricevute» ai fini della sua decisione ( 20 ). Queste constatazioni, tuttavia, non riguardano, in realtà, l’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 7 in relazione al «pubblico», né la definizione di tale pubblico nel contesto generale dell’articolo 6 della convenzione di Aarhus.

78.

Infine, e in via del tutto accessoria, l’interpretazione della convenzione di Aarhus qui proposta garantisce anche un’interpretazione allineata e coerente con le direttive 2011/92 e 2010/75. Rilevo che le direttive 2011/92 e 2010/75 attribuiscono diritti di partecipazione soltanto ai membri del «pubblico», nella misura in cui fanno parte del «pubblico interessato». Pertanto, mentre il diritto di essere informato del progetto di decisione è attribuito dalle direttive al «pubblico» in generale ( 21 ), il diritto di presentare osservazioni, insieme a tutti gli altri diritti di partecipazione, sono attribuiti soltanto al «pubblico interessato» ( 22 ).

79.

L’approccio e le distinzioni logiche operate nelle direttive, che riflettono essenzialmente l’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 7, della convenzione di Aarhus da parte del legislatore dell’Unione, appaiono coerenti. Mentre chiunque (il «pubblico») ha il diritto di essere informato di un progetto di decisione, soltanto il «pubblico interessato», cioè il pubblico effettivamente pregiudicato, che potrebbe essere pregiudicato o che vanta un interesse, ha il diritto di partecipare attivamente alla procedura.

80.

Infine, anche se la normativa dell’Unione, in generale, e alcune disposizioni del diritto dell’Unione in particolare, sono talora segnalate come contrastanti con alcune disposizioni della convenzione di Aarhus ( 23 ), è evidente che tale ipotesi non ricorre in questo caso. Al contrario, mi sembra che il legislatore dell’Unione abbia valutato e recepito gli obblighi di diritto internazionale in modo piuttosto razionale, senza scendere al di sotto dei requisiti minimi imposti dall’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus. Pertanto, a differenza del giudice del rinvio, non ritengo che, sul punto, vi siano incongruenze o contraddizioni tra l’ambito di applicazione delle direttive e della convenzione di Aarhus.

d) Se i diritti di partecipazione di cui all’articolo 6 siano leges imperfectae

81.

Va osservato che le norme dei Paesi Bassi in questione sono tuttavia leggermente più sfumate. Da un lato, il governo dei Paesi Bassi afferma che il «pubblico» ai sensi di tale disposizione dovrebbe significare chiunque. Pertanto, come dimostra anche la trasposizione nazionale di tale obbligo, chiunque ha il diritto di presentare osservazioni e di partecipare alla procedura di partecipazione del pubblico di cui all’articolo 6. Tuttavia, solo gli «interessati», vale a dire il «pubblico interessato», hanno accesso a un giudice.

82.

L’utilizzo di tale approccio per l’interpretazione delle pertinenti disposizioni della convenzione di Aarhus significherebbe, quindi, che l’articolo 6, paragrafo 7, o persino l’articolo 6 nel suo complesso, attribuirebbero a chiunque il diritto di partecipare al processo decisionale in materia ambientale. Tuttavia, soltanto le persone che rientrano nell’articolo 9, paragrafo 2, in quanto «pubblico interessato» avrebbero successivamente accesso alla giustizia. Inoltre, l’effettiva partecipazione ai sensi dell’articolo 6 non rileverebbe ai fini della portata dell’articolo 9, paragrafo 2: il «pubblico» ex articolo 6, paragrafo 7 non potrebbe mai ottenere lo status di «pubblico interessato» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, anche se tale pubblico partecipasse pienamente al processo decisionale in materia ambientale.

83.

Ricordo che l’articolo 9, paragrafo 2, disciplina espressamente la legittimità sostanziale e procedurale di decisioni soggette alla procedura di partecipazione di cui all’articolo 6, che l’articolo 9, paragrafo 2, si applica soltanto al «pubblico interessato» e che l’articolo 9, paragrafo 3, non disciplina la legittimità delle decisioni soggette alla procedura di cui all’articolo 6 ( 24 ). In altri termini, ritenere che l’articolo 6 attribuisca diritti di partecipazione al «pubblico» in generale condurrebbe a una situazione in cui la convenzione crea diritti di partecipazione per il «pubblico», senza un corrispondente meccanismo per la tutela di tali diritti nell’articolo 9 della convenzione.

84.

Di conseguenza, vi sarebbero due categorie di partecipanti alla procedura decisionale in materia ambientale dinanzi a un’autorità amministrativa ai sensi della convenzione di Aarhus. I partecipanti con diritti azionabili in giudizio e i partecipanti privi di siffatti diritti. Quest’ultima categoria avrebbe il diritto di presentare osservazioni e impegnarsi nel procedimento. Tuttavia, in termini pratici, non vi sarebbe alcun meccanismo per far valere di tali diritti. Certamente, non si può fare a meno di partire dal presupposto che tutte le autorità amministrative di tutti gli Stati membri si comportino in modo impeccabile. Tuttavia, supponendo che una o più autorità non si dimostrino, occasionalmente, all’altezza di tale aspettativa, non vi sarebbe assolutamente nulla che impedisce a siffatte autorità amministrative non così innocenti di gettare immediatamente nella spazzatura tutto ciò che ricevono dal «pubblico» che non sia «pubblico interessato».

85.

Trovo siffatta posizione insostenibile e, in tal senso, sottoscrivo le osservazioni della Commissione ( 25 ). Ai sensi della convenzione di Aarhus, e soprattutto ai sensi del diritto dell’Unione in generale ( 26 ) o, parimenti, di qualsiasi sistema giuridico degno di questo nome, affinché vi sia un diritto, deve esistere un rimedio. Se non vi è modo di far rispettare il corrispondente obbligo in capo all’altra parte, in questo caso l’autorità pubblica, non vi è, per definizione, alcun diritto. Si può considerare come un omaggio, un favore, o persino un atto di carità, ma difficilmente come un diritto. Pertanto, se il diritto dell’Unione, o, parimenti, una convenzione internazionale di cui l’Unione europea è parte e che essa sostiene e fa rispettare all’interno del suo ordinamento giuridico prevedono un diritto, è necessario che sia previsto l’accesso a un giudice per far valere tale diritto, attraverso lo strumento in questione oppure, in mancanza, ai sensi dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») ( 27 ).

e) Se si tratti di legittimità «procedurale» o di «interesse per effetto della partecipazione»

86.

Probabilmente, almeno in teoria, potrebbero esservi alcune posizioni intermedie per quanto concerne la portata dell’accesso alla giustizia in questione.

87.

In primo luogo, ci si chiede che cosa accadrebbe se si ritenesse che il «pubblico» in generale, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 7, abbia accesso alla giustizia soltanto nella misura in cui abbia partecipato al processo decisionale in materia ambientale. Ci si chiede se tali persone possano salvaguardare così il rispetto dei loro diritti di partecipazione personale soltanto nella misura in cui ne abbiano fatto uso, senza poter contestare l’intera decisione che ne risulti. In alternativa, ci si chiede che cosa accadrebbe se essi fossero legittimati a contestare soltanto la legittimità procedurale, ma non quella sostanziale, delle decisioni risultanti dalla procedura di cui all’articolo 6.

88.

Tali proposte trovano ancor meno fondamento nel testo e nella struttura della convenzione di Aarhus. Esse equivarrebbero, in pratica, all’inserimento, accanto alle categorie del «pubblico» e del «pubblico interessato», di una terza categoria di «pubblico semi-interessato» (o di «pubblico proceduralmente interessato»).

89.

Inoltre, non reputo che tali posizioni intermedie siano, di fatto, possibili. Nel primo scenario, l’ambito del controllo giurisdizionale «à la carte» dipenderebbe interamente dalla scelta personale del ricorrente effettuata nella fase amministrativa ( 28 ). Il secondo scenario si basa su una distinzione immaginaria (e nella pratica difficilmente realizzabile) tra la legittimità procedurale e sostanziale delle decisioni soggette alla procedura di cui all’articolo 6 ( 29 ). Tuttavia, occorre ribadire, soprattutto, che nello stesso articolo 9, paragrafo 2 non si rinviene una tale distinzione. Infatti, l’articolo 9, paragrafo 2 non esige il riconoscimento della legittimazione ad agire di una parte che invochi soltanto un vizio procedurale, nella misura in cui si dimostri che la decisione contestata non sarebbe stata diversa senza tale vizio ( 30 ).

90.

In secondo luogo, se l’articolo 6, paragrafo 7, dovesse essere interpretato nel senso che chiunque partecipi effettivamente alla procedura di partecipazione del pubblico diviene «pubblico interessato», tale requisito dovrebbe essere applicato da tutti gli Stati Parte nel definire ciò che costituisce un interesse sufficiente o la violazione di un diritto ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2 per il «pubblico interessato» diverso dalle ONG. In altri termini, gli Stati Parte sarebbero tenuti a operare con il criterio dell’«interesse per effetto della partecipazione» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2.

91.

Orbene, ciò non può accadere nel caso di specie. L’articolo 9, paragrafo 2, lascia alle Parti un ampio margine di discrezionalità nel definire ciò che costituisce un interesse sufficiente o la violazione di un diritto per il «pubblico interessato» diverso dalle ONG ( 31 ). Inoltre, la nozione di interesse per effetto della partecipazione pregiudicherebbe la ragione stessa dell’imposizione delle condizioni di legittimazione di cui all’articolo 9, paragrafo 2. Se chiunque fosse ammesso a partecipare ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 7, e, così facendo, acquisisse legittimazione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, semplicemente per aver partecipato, l’articolo 9, paragrafo 2, si applicherebbe, essenzialmente, a chiunque, equivalendo a un’actio popularis. Ribadisco, tuttavia, che si tratta di un risultato che i redattori della convenzione di Aarhus hanno espressamente escluso ( 32 ).

f) Conclusione provvisoria

92.

Pur intendendo rispettare pienamente lo spirito e gli sforzi compiuti dalla convenzione di Aarhus per ampliare il processo decisionale e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, non posso, semplicemente, sottoscrivere l’idea secondo cui, sulla base della formulazione dell’articolo 6, paragrafo 7, scissa dal contesto dell’intero articolo, i diritti di partecipazione del pubblico sanciti dall’articolo 6 debbano essere concessi a chiunque. Tale conclusione non si fonda soltanto sulla disposizione in sé, ma altresì, come dimostrato nelle precedenti sezioni delle presenti conclusioni, sulle conseguenze alquanto discutibili che una simile estensione produrrebbe sulle altre disposizioni della convenzione di Aarhus, in particolare sulla questione, successiva, dell’accesso a un giudice. Il lodevole obiettivo di garantire un più ampio accesso in materia ambientale non può essere separato dalla logica complessiva dello strumento e dei suoi limiti.

93.

Alla luce di quanto precede, concludo che l’articolo 6, paragrafo 7 della convenzione di Aarhus debba essere interpretato nel senso che attribuisce diritti di partecipazione ai membri del «pubblico» soltanto nella misura in cui essi appartengano al «pubblico interessato» e che l’articolo 9, paragrafo 2 si applica, parimenti, soltanto al «pubblico interessato». Quest’ultima disposizione, quindi, non osta all’esclusione del diritto di accesso alla giustizia per il «pubblico» in generale che non sia considerato, al contempo «pubblico interessato».

3. Attribuzione di diritti più ampi ai sensi del diritto nazionale

94.

Ci si può interrogare sul significato di tale conclusione per quanto concerne la situazione della prima ricorrente, considerata unicamente alla luce della convenzione di Aarhus, della direttiva 2010/75 e della direttiva 2011/92. La prima ricorrente è una persona fisica, veterinaria di professione. Ella afferma che, a causa della sua professione e del giuramento che ha pronunciato quando è stata ammessa ad esercitarla, ha personalmente a cuore il benessere degli animali. Ciò non equivale, tuttavia, a un’incidenza sui suoi interessi ai sensi del diritto nazionale, che le conferirebbe lo status di interessato.

95.

Secondo l’interpretazione della convenzione di Aarhus delineata supra, la prima ricorrente è un membro del «pubblico», ma non del «pubblico interessato». Essa non gode del diritto di partecipare al processo decisionale in materia ambientale ai sensi dell’articolo 6 della convenzione di Aarhus. Inoltre, essa non sembra appartenere al «pubblico interessato» ai sensi del diritto nazionale ai fini dell’articolo 9, paragrafo 2. Poiché essa non gode di diritti di partecipazione ai sensi dell’articolo 6, lo Stato Parte non è tenuto a concederle alcun diritto di accesso alla giustizia ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2. L’articolo 9, paragrafo 3, non è destinato a includere gli atti o le omissioni che rientrano già nell’articolo 9, paragrafo 2. Pertanto, non vi è un obbligo aggiuntivo nemmeno ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 3. Le direttive 2010/75 e 2011/92 non alterano tali conclusioni.

a) Diritto di accesso per il «pubblico» attribuito dal diritto nazionale

96.

Tuttavia, la presente causa non si esaurisce in tale questione. Ricordo che, ai sensi della normativa dei Paesi Bassi, il diritto del «pubblico» di partecipare al processo decisionale, concesso da tale normativa nazionale, va oltre l’ambito di applicazione dell’articolo 6, paragrafo 7, della convenzione come interpretato supra. In virtù dell’articolo 3.12, paragrafo 5, della Wabo, il diritto di partecipare al processo decisionale si applica a chiunque, senza distinzione tra il «pubblico interessato» e il «pubblico». Ne deduco, quindi, che la normativa nazionale attribuisce a ogni persona fisica e giuridica il diritto di partecipare pienamente alla procedura di partecipazione del pubblico ( 33 ).

97.

Ciò introduce un ulteriore elemento di complessità. Ci si chiede se l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, l’articolo 11 della direttiva 2011/92 e l’articolo 25 della direttiva 2010/75 o, parimenti, altre disposizioni del diritto dell’Unione, ostino all’esclusione del diritto di accesso alla giustizia per il «pubblico» per quanto concerne la legittimità di decisioni soggette alla procedura di cui all’articolo 6, nei casi in cui tali più ampi diritti di partecipazione del pubblico siano stati espressamente concessi a siffatto gruppo in base al diritto nazionale.

98.

Ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 5, della convenzione di Aarhus, le Parti possono introdurre nel diritto nazionale disposizioni più favorevoli di quelle previste dalla convenzione, quali una più ampia partecipazione del pubblico alla procedura decisionale ai sensi dell’articolo 6. La possibilità di prevedere maggiori diritti nella normativa nazionale si riflette anche in una serie di disposizioni specifiche della convenzione.

99.

Alla luce dell’interpretazione dell’articolo 6 della convenzione di Aarhus suggerita nella sezione precedente, ai sensi della quale gli Stati membri sono tenuti a garantire la piena partecipazione del solo «pubblico interessato», e non del «pubblico» in generale, sembrerebbe che i Paesi Bassi abbiano previsto diritti di partecipazione del pubblico più ampi rispetto a quelli previsti dalla convenzione. Tuttavia, tale Stato membro ha agito in tal senso soltanto per quanto riguarda la partecipazione del pubblico ai sensi dell’articolo 6, ma non per quanto concerne i successivi diritti di accesso alla giustizia ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2.

b) Diritti più ampi e ambito di applicazione della Carta

100.

Ci si chiede come si debba valutare una situazione del genere ai sensi del diritto dell’Unione, in particolare se tali disposizioni nazionali «più favorevoli» rientrino «nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione» ai fini dell’applicabilità della Carta e se, di conseguenza, sia obbligatorio garantire l’accesso a un giudice ai sensi del primo comma dell’articolo 47, paragrafo 1, della Carta ai membri del «pubblico» in generale, al fine di munirli di un rimedio giurisdizionale per la tutela dei diritti di partecipazione più ampi concessi dal diritto nazionale, ma nell’ambito di applicazione dello strumento normativo del diritto dell’Unione.

101.

Per rispondere a queste domande è necessaria una valutazione in due fasi. In primo luogo, ci si chiede se uno Stato membro che, su una questione specifica, si spinga oltre quanto necessario e realizzi un’azione non espressamente prescritta dal diritto dell’Unione, agisca nell’ambito del diritto dell’Unione e, quindi, «nell’attuazione del diritto dell’Unione» ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta. In secondo luogo, ci si chiede se l’articolo 47, paragrafo 1, della Carta sia quindi applicabile, dato che sono in gioco i «diritti e le (…) libertà garantiti dal diritto dell’Unione».

102.

In primo luogo, ritenere che le disposizioni nazionali «più favorevoli» in questione rientrino nell’ambito di applicazione della Carta ai sensi dell’articolo 51, paragrafo 1, della stessa sarebbe in linea con l’approccio effettivamente dominante in merito a tale questione. Sebbene le norme nazionali specifiche non siano (in senso stretto) imposte dal diritto dell’Unione, esse rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione nel caso in cui attuino disposizioni più ampie e astratte del diritto dell’Unione ( 34 ).

103.

Si dovrebbe presumibilmente giungere alle stesse conclusioni, a maggior ragione, per quanto concerne uno strumento che prevede chiaramente la possibilità per gli Stati membri di spingersi oltre lo stretto necessario, e che di fatto integra i diritti e la partecipazione più ampi previsti nel suo quadro generale, come nel caso dell’articolo 3, paragrafo 5, dell’articolo 9, paragrafo 2 o dell’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus.

104.

Se così fosse, la logica esposta supra ( 35 ) per quanto concerne i diritti garantiti dalla convenzione di Aarhus sarebbe parimenti applicabile: laddove sia concesso un diritto, anche se non dal diritto dell’Unione, bensì da uno Stato membro, che rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e in linea con un mandato esplicito in tal senso, deve esservi un rimedio per la sua violazione.

105.

Ciò dovrebbe verificarsi, a maggior ragione, nel caso di garanzie di base quali il diritto a un ricorso effettivo e l’accesso a un giudice ai sensi del paragrafo 1 dell’articolo 47 della Carta. Infatti, tale paragrafo conferisce ai singoli un diritto invocabile in quanto tale ( 36 ). Come evidenziato nella giurisprudenza più recente della Corte, l’articolo 47 della Carta non rappresenta un mero elemento di rifinitura, né una ciliegina sulla torta, bensì incarna il nucleo e la quintessenza stessi di qualsiasi sistema governato dallo Stato di diritto ( 37 ).

106.

Tuttavia, nella recente sentenza (Grande Sezione) nella causa TSN e AKT, la Corte ha stabilito che uno Stato membro non attua il diritto dell’Unione ai fini dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta quando adotta disposizioni nazionali che rientrano nelle competenze che gli Stati membri conservano in virtù di una disposizione di diritto dell’Unione in base alla quale una direttiva non pregiudica la facoltà degli Stati membri di applicare disposizioni più favorevoli ( 38 ).

107.

Tale sentenza suggerisce che ciò che conta è la microanalisi di ogni singola disposizione: «[o]rbene, quando le disposizioni del diritto dell’Unione nel settore interessato non disciplinano un aspetto e non impongono agli Stati membri alcun obbligo specifico in relazione a una determinata situazione, la normativa nazionale che uno Stato membro adotta in merito a tale aspetto si colloca al di fuori dell’ambito di applicazione della Carta e la situazione di cui trattasi non può essere valutata alla luce delle disposizioni di quest’ultima (…)» ( 39 ).

108.

Non posso pienamente sottoscrivere la formulazione della causa TSN e AKT al punto di sostenere che, contrariamente a una giurisprudenza in realtà consolidata della Corte, taluni casi sguscerebbe improvvisamente, e in un certo senso bruscamente, dentro e fuori dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e, quindi, della Carta, sulla base di una valutazione a livello di ogni singola disposizione di diritto derivato ( 40 ). Sulla base della medesima logica, varie cause pregresse in cui non vi era alcuna disposizione concreta di diritto dell’Unione che disciplinasse la materia specifica in questione, ma che sono comunque state considerate rientranti nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e quindi, della Carta, si collocherebbero improvvisamente al di fuori dell’ambito di applicazione della Carta ( 41 ). Tale approccio differisce anche da altre correnti giurisprudenziali più recenti, in cui la Carta e le sue garanzie sono rimaste applicabili, mentre è stato riconosciuto che nessuna disposizione concreta di diritto derivato garantiva un diritto specifico di questo tipo che si opponesse alla soluzione legislativa adottata nel diritto nazionale ( 42 ).

109.

Posso comunque abbracciare la logica funzionale di cui alla causa TSN e AKT. La Corte è giunta alla statuizione menzionata al paragrafo 107 delle presenti conclusioni soltanto dopo aver considerato il livello di armonizzazione in un determinato settore, la natura della competenza dell’Unione e, soprattutto, dopo aver enunciato la condizione secondo cui le «disposizioni nazionali più favorevoli» non devono rimettere in discussione la coerenza dell’intervento dell’Unione nel settore in questione ( 43 ).

110.

A mio parere, la questione decisiva in tale contesto non è la questione dell’applicabilità della Carta (e dell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione) bensì, piuttosto, l’individuazione di un diritto specifico che sarebbe previsto dal diritto dell’Unione e che farebbe quindi scattare la protezione di cui al paragrafo 1 dell’articolo 47 della Carta.

111.

Questo è il motivo per cui, in secondo luogo, forse anche senza insistere rigidamente sul fatto che qualsiasi elemento di partecipazione del «pubblico» esuli completamente dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, resta il fatto che non vi è un diritto di partecipazione garantito dal diritto dell’Unione al «pubblico» che possa essere fatto valere ai sensi paragrafo 1 dell’articolo 47 della Carta. Il diritto dell’Unione non osta, quindi, all’esclusione del diritto di accesso alla giustizia per i membri del «pubblico» che non rientrino nel «pubblico interessato». Tuttavia, non è per questo motivo che la Carta o il diritto dell’Unione non sarebbero applicabili al caso in questione, bensì, in primis, per il motivo che il diritto dell’Unione non prevede alcun siffatto diritto di partecipazione per il «pubblico». Se il diritto dell’Unione non attribuisce un diritto o non garantisce una libertà, non vi è un corrispondente diritto di accesso a un giudice ai sensi del paragrafo 1 dell’articolo 47 della Carta per far valere un diritto inesistente.

112.

Infatti, ho già suggerito che l’analisi chiave in questi casi non è necessariamente l’ambito di applicazione della Carta, bensì, piuttosto, l’individuazione di un diritto che scaturisce da una specifica disposizione del diritto dell’Unione ( 44 ). In assenza di siffatto diritto specifico, anche in un caso che si collochi, alla luce della più tradizionale e generosa interpretazione dell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, all’interno di esso, il diritto dell’Unione avrà poco o nulla da dire in materia, poiché in un’area di competenze concorrenti tale spazio normativo è affidato agli Stati membri. In un caso di questo tipo la Corte non perde improvvisamente la sua competenza, ma conclude, piuttosto, che il diritto dell’Unione non osta alla normativa nazionale in questione.

113.

In sintesi, per tutte queste ragioni, la mia proposta di risposta sulla compatibilità dell’esclusione di membri del «pubblico» che non rientrano nel «pubblico interessato» dall’accesso alla giustizia in una situazione in cui a tali membri del pubblico sono stati concessi diritti di partecipazione ai sensi del diritto nazionale è esposta nel prosieguo.

114.

In primo luogo, i diritti di partecipazione ai sensi dell’articolo 6 della convenzione di Aarhus, nella loro pienezza, sono garantiti soltanto al «pubblico interessato». Tali diritti non sono garantiti al «pubblico» ai sensi di tale disposizione, né, a fortiori, ai sensi di qualsiasi altra disposizione del diritto dell’Unione, ivi comprese le direttive 2011/92 e 2010/75.

115.

In secondo luogo, anche se una situazione del genere non esulasse dall’ambito di applicazione del diritto dell’Unione e, quindi, dall’applicabilità della Carta, resta il fatto che, in tale situazione, non esiste alcun diritto previsto e garantito dal diritto dell’Unione. Pertanto, il rispetto dei diritti previsti dalla normativa nazionale rientra nelle garanzie nazionali (in materia di diritti fondamentali). Il diritto dell’Unione non osta a siffatta esclusione poiché, in primis, non ne esige l’estensione al «pubblico» in generale. Spetta al diritto nazionale proteggere i diritti riconosciuti a livello nazionale in tali situazioni.

116.

Si rende necessaria un’ultima osservazione. Tale risultato non soltanto è compatibile con la logica di un ordinamento giuridico composito e di un sistema multilivello di protezione dei diritti fondamentali quale l’Unione europea, ma anche con gli obiettivi generali della convenzione di Aarhus. Incoraggiare e promuovere la partecipazione del pubblico alle questioni ambientali può avvenire in diversi modi. Uno di essi potrebbe essere, forse, anche un sistema di partecipazione del pubblico «a più velocità»: al fine incoraggiare la partecipazione, in una fase è concesso più di quanto richiesto dalla convenzione di Aarhus, senza che ciò avvenga necessariamente nelle fasi successive.

117.

Insistere, in una situazione del genere, su un approccio piuttosto estremo del tipo «o tutto o nulla», nel senso che se si concede qualcosa in più in una fase ( 45 ), si deve concedere anche tutto il resto, sarebbe, in definitiva, controproducente dal punto di vista degli obiettivi che la convenzione di Aarhus persegue. Infatti, nessuna buona azione resta impunita. Sarcasmo a parte, è piuttosto probabile che, se si postulasse una tale opzione di «o tutto o nulla» per quanto concerne questo extra facoltativo, la reazione naturale di alcuni Stati Parte sarebbe probabilmente quella di optare per il «nulla in più». Tuttavia, è difficile che possa essere questo il risultato che un’interpretazione ponderata della portata degli obblighi (giuridicamente vincolanti) previsti da uno strumento teso a incoraggiare la partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia ambientale dovrebbe mirare a conseguire.

c) Conclusione

118.

Alla luce di quanto precede, suggerisco che l’articolo 6 della convenzione di Aarhus, nonché l’articolo 6 della direttiva 2011/92 e l’articolo 24 della direttiva 2010/75 debbano essere interpretati nel senso che garantiscono pieni diritti di partecipazione soltanto al «pubblico interessato» ai sensi di tali strumenti, e non al «pubblico» in generale.

119.

L’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, l’articolo 11 della direttiva 2011/92, l’articolo 25 della direttiva 2010/75 e, parimenti, l’articolo 47 della Carta non ostano a che il «pubblico» che non sia «pubblico interessato» sia escluso dall’accesso alla giustizia.

C.   Condizione della previa partecipazione

120.

Con le questioni dalla terza alla sesta, che è opportuno esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede se l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, o l’articolo 11 della direttiva 2011/92 e l’articolo 25 della direttiva 2010/75 ostino a una condizione del diritto nazionale, come quella di cui all’articolo 6:3, dell’Awb, che subordina l’accesso alla giustizia del «pubblico interessato» alla previa presentazione di osservazioni nella procedura di partecipazione del pubblico, salvo che l’omissione di ciò sia giustificata. In caso di risposta negativa della Corte a tale questione, il giudice del rinvio chiede, inoltre, se le stesse disposizioni ostino a una norma di diritto nazionale secondo cui un giudice nazionale può dichiarare ricevibile un’azione dei membri del «pubblico interessato» soltanto in relazione alle parti della decisione contro le quali sono già state sollevate obiezioni durante la fase preparatoria. Infine, con la sesta questione, il giudice del rinvio chiede se tali questioni meritino una risposta diversa per quanto concerne il «pubblico».

121.

Per le ragioni che esporrò nella presente sezione, mi sembra che la condizione della previa partecipazione al procedimento amministrativo sia effettivamente incompatibile con l’accesso alla giustizia concesso direttamente dall’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus al «pubblico interessato». Tuttavia, seguendo la logica e l’approccio suggerito nella sezione precedente, tale conclusione non si applica al «pubblico» in generale.

1. Condizione della previa partecipazione per il «pubblico interessato»

122.

Non sorprende che la formulazione dell’articolo 9, paragrafo 2 non si pronunci in merito alla condizione della previa partecipazione. Al pari del giudice del rinvio e del governo dei Paesi Bassi, ritengo che la questione sottoposta alla Corte debba essere distinta dalla situazione disciplinata dall’articolo 9, paragrafo 2, terzo comma, della convenzione. Tale disposizione concerne l’esaurimento delle vie di ricorso amministrativo prima dell’avvio di un procedimento giudiziario, qualora tale obbligo sia previsto dal diritto nazionale. Tuttavia, tale disposizione si riferisce chiaramente a un riesame amministrativo, tipicamente una decisione amministrativa di secondo grado. Esso non concerne l’accesso a un giudice ( 46 ).

123.

Il governo dei Paesi Bassi sottolinea poi che l’articolo 9, paragrafo 2, impone alle Parti della convenzione di garantire che i membri del pubblico interessato abbiano accesso alla giustizia «nel quadro della propria legislazione nazionale». Sulla base di siffatto riferimento al quadro normativo nazionale, il governo dei Paesi Bassi sostiene che è lasciata alla discrezionalità degli Stati membri la facoltà di stabilire condizioni di legittimazione come quella di cui al procedimento principale.

124.

In termini generali, concordo con questa tesi, ma con un caveat alquanto rilevante: spetta naturalmente agli Stati membri stabilire condizioni dettagliate di legittimazione, senza tuttavia eliminare ciò che è già stato previsto dallo stesso articolo 9, paragrafo 2.

125.

In mancanza di una disciplina dell’Unione in materia, gli Stati membri godono di autonomia procedurale per stabilire le norme procedurali dettagliate che disciplinano i ricorsi di cui all’articolo 9, paragrafo 2 ( 47 ). Tuttavia, nell’esercizio della loro autonomia procedurale, la discrezionalità degli Stati membri non è vincolata soltanto alla (tradizionale) osservanza dei principi di equivalenza ed effettività. Nello specifico contesto della convenzione di Aarhus, essa è altresì limitata dall’obiettivo, di cui all’articolo 9, paragrafo 2, di garantire al «pubblico interessato» un ampio accesso alla giustizia nell’ambito di applicazione della convenzione ( 48 ).

126.

La Commissione ritiene che l’articolo 9, paragrafo 2, osti alla condizione della previa partecipazione. Essa fonda tale interpretazione sull’obiettivo dell’articolo 9, paragrafo 2, come interpretato nelle cause Commissione/Germania ( 49 ) e Djurgården-Lilla Värtans Miljöskyddsförening (in prosieguo: la «causa Djurgården») ( 50 ). Per contro, il governo dei Paesi Bassi e l’Irlanda traggono da tale giurisprudenza la conclusione opposta e invocano, in tal senso, la sentenza nella causa Protect Natur-, Arten- und Landschaftsschutz Umweltorganisation (in prosieguo: la causa «Protect Natur») ( 51 ). È quindi necessario iniziare la discussione su tale questione con un’analisi dettagliata di tale giurisprudenza.

a) Cause Djurgården, Commissione/Germania e Protect Natur

127.

La causa Djurgården concerneva una domanda di autorizzazione di un progetto che avrebbe potuto produrre un notevole impatto ambientale. Conformemente al diritto svedese, il procedimento di partecipazione del pubblico era stato condotto da un organo giurisdizionale specializzato in materia ambientale. Alla luce di ciò, la Högsta domstolen (Corte suprema, Svezia) ha chiesto alla Corte se, ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2011/92, il diritto a un ricorso poteva considerarsi già esercitato nel procedimento che ha condotto alla decisione, poiché tale procedimento era stato svolto da un organo giurisdizionale, o se il «pubblico interessato» conservava il diritto di impugnare tale decisione dinanzi a un giudice.

128.

La Corte ha risposto che i membri del pubblico interessato devono poter impugnare la decisione a prescindere dal ruolo che hanno potuto svolgere nell’istruzione di detta domanda prendendo parte al procedimento dinanzi a detto organo e facendo valere la propria posizione in tale occasione ( 52 ). La Corte ha addotto due motivi per corroborare tale conclusione: da un lato, il beneficio della legittimazione ad agire ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2011/92 è indipendente dalla natura amministrativa o giurisdizionale dell’autorità che ha adottato la decisione o l’atto contestato. Dall’altro, la partecipazione al processo decisionale in materia ambientale, alle condizioni fissate dalla direttiva 2011/92 è «distinta e persegue una finalità diversa da quella del ricorso giurisdizionale, poiché quest’ultimo può, ove necessario, essere esercitato contro la decisione adottata in esito a tale processo. Tale partecipazione, pertanto, non incide sulle condizioni di esercizio del ricorso» ( 53 ).

129.

La causa Commissione/Germania riguardava, tra l’altro, una norma procedurale del diritto tedesco che limitava i motivi che potevano essere invocati nel procedimento giurisdizionale contro una decisione amministrativa rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 11 della direttiva 2011/92 e dell’articolo 25 della direttiva 2010/75 alle obiezioni già sollevate nel corso del procedimento amministrativo ( 54 ).

130.

La Corte ha ritenuto tale disposizione contraria all’articolo 11 della direttiva 2011/92 e all’articolo 25 della direttiva 2010/75. La Corte ha sottolineato che tali disposizioni non limitano in nessun modo i motivi che possono essere invocati a sostegno di un ricorso ai sensi di tali disposizioni e ha ricordato l’obiettivo, da esse perseguito, di garantire un ampio accesso alla giustizia nel settore della tutela dell’ambiente ( 55 ). Per quanto concerne le disposizioni nazionali in questione, la Corte ha rilevato che esse stabilivano condizioni particolari che limitavano il controllo giurisdizionale e che non erano previste né dall’articolo 11 della direttiva 2011/92 né dall’articolo 25 della direttiva 2010/75 ( 56 ).

131.

In risposta a un argomento addotto dai governi tedesco e austriaco, la Corte ha altresì aggiunto che siffatta limitazione non poteva essere giustificata invocando esigenze di efficienza del procedimento amministrativo. In sostanza, i governi tedesco e austriaco avevano sostenuto che, ai sensi dell’articolo 11 della direttiva 2011/92 e dell’articolo 25 della direttiva 2010/75, rientra nell’autonomia procedurale degli Stati membri la definizione di norme procedurali dettagliate che disciplinano i ricorsi menzionati in tali disposizioni ( 57 ).

132.

La Corte ha tuttavia respinto tali argomenti, affermando che «se è vero che il fatto di sollevare un motivo per la prima volta nell’ambito di un ricorso giurisdizionale può ostacolare, in taluni casi, il corretto svolgimento di tale procedimento [amministrativo] l’obiettivo stesso perseguito dall’articolo 11 della direttiva 2011/92 e dall’articolo 25 della direttiva 2010/75 consiste non solamente nel garantire al singolo il più ampio accesso possibile al controllo giurisdizionale, ma altresì nel consentire che tale controllo verta sulla legittimità sostanziale o procedurale della decisione impugnata nella sua interezza» ( 58 ). La Corte ha aggiunto che, tuttavia, il legislatore nazionale può prevedere norme procedurali specifiche, quali l’irricevibilità di un argomento presentato in modo abusivo o in mala fede, che costituiscono meccanismi adeguati al fine di garantire l’efficacia del procedimento giurisdizionale ( 59 ).

133.

Infine, la causa Protect Natur ( 60 ) riguardava una norma del diritto austriaco che implicava una condizione di previa partecipazione. Più specificamente, la norma procedurale in questione imponeva alle organizzazioni per la tutela dell’ambiente una preclusione, in forza della quale tali organizzazioni perdevano la qualità di parte nel procedimento amministrativo e non potevano quindi proporre ricorso contro la decisione adottata in esito a tale procedimento qualora avessero omesso di sollevare le loro eccezioni entro i termini previsti nel procedimento amministrativo. Tuttavia, occorre rilevare che la causa verteva sulla compatibilità di tale norma con l’articolo 9, paragrafo 3, della convenzione di Aarhus in relazione alle procedure pubbliche soggette alla direttiva 2000/60/CE ( 61 ), e non con l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus e le procedure pubbliche soggette all’articolo 6 di tale convenzione.

134.

La Corte ha ritenuto che la previsione della norma nazionale in questione rientrasse nell’autonomia procedurale degli Stati membri. Essa ha basato la sua conclusione sulla formulazione dell’articolo 9, paragrafo 3, il quale prevede espressamente che i ricorsi contemplati da tale disposizione possono essere assoggettati a «criteri» ai sensi del diritto nazionale. Secondo la Corte, ciò significa che, in linea di principio, gli Stati membri possono, nell’ambito del potere discrezionale loro conferito in proposito, fissare norme di diritto processuale relative alle condizioni da rispettare per proporre tali ricorsi ( 62 ). Pertanto, la compatibilità di una siffatta norma dipende dal rispetto del diritto a un ricorso effettivo di cui all’articolo 47 della Carta, che corrisponde al principio di effettività, e delle condizioni per la limitazione di tale diritto previste dall’articolo 52, paragrafo 1, della Carta ( 63 ).

135.

Al pari della Commissione e del giudice del rinvio, non ritengo che le conclusioni della Corte nella sentenza Protect Natur siano applicabili nel contesto dell’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus. L’articolo 9, paragrafo 3, si differenzia dall’articolo 9, paragrafo 2 sotto diversi aspetti. L’articolo 9, paragrafo 3 ha un ambito di applicazione personale più esteso e copre una gamma più ampia di atti e decisioni rispetto all’articolo 9, paragrafo 2. Inoltre, l’elemento più importante è che l’articolo 9, paragrafo 3 riconosce alle Parti una maggiore flessibilità in relazione alle condizioni di legittimazione, poiché consente loro espressamente di stabilire «criteri» nel diritto nazionale. Quest’ultimo punto ha costituito, infatti, la base del ragionamento della Corte.

136.

Per quanto riguarda le altre due sentenze, Djurgården e Commissione/Germania, ritengo che neppure tale giurisprudenza fornisca una risposta concreta alla questione sollevata nella presente causa. Tuttavia, devo riconoscere che la tendenza generale di tale giurisprudenza è piuttosto chiara. Da essa traggo tre conclusioni che sono effettivamente rilevanti ai fini della presente causa.

137.

In primo luogo, agli occhi della Corte il processo decisionale amministrativo in materia ambientale e il (potenziale) successivo controllo giurisdizionale sono due procedure distinte. Naturalmente, entrambe le procedure condividono lo stesso oggetto, ma devono essere mantenute separate. In secondo luogo, l’articolo 9, paragrafo 2, conferisce al pubblico interessato un diritto di accesso alla giustizia in materia ambientale indipendente e autonomo. La Corte ammette un certo grado di collegamento alla procedura di partecipazione del pubblico, ma non un rapporto di condizionalità. In terzo luogo, le condizioni nazionali che possono essere ragionevolmente previste nel recepimento dell’articolo 9, paragrafo 2 e, quindi, nella fissazione dei criteri per l’accesso al giudice, non possono privare l’accesso stesso del suo contenuto.

b) Condizione della previa partecipazione e della mancata partecipazione giustificata: sul contenuto della regola e dell’eccezione

138.

A mio avviso, la condizione nella legge dei Paesi Bassi secondo cui la legittimazione ad agire in giudizio ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2 esige che il «pubblico interessato» abbia partecipato anche alla procedura di partecipazione del pubblico ai sensi dell’articolo 6 non è compatibile con la prima disposizione. In termini semplici, una tale norma nazionale aggiunge un’ulteriore condizione di legittimazione che non è presente nel testo, né è compatibile con lo spirito dell’articolo 9, paragrafo 2.

139.

Pur riconoscendo pienamente la facoltà degli Stati membri di stabilire le regole per precisare i criteri per l’applicazione dell’articolo 9, paragrafo 2, vi sono criteri e criteri. Il criterio della previa partecipazione intacca l’essenza di ciò che l’articolo 9, paragrafo 2 mira a garantire in modo indipendente e diretto: se una persona è membro del «pubblico interessato» e vanta un «interesse sufficiente o, in alternativa, (…) [fa] valere la violazione di un diritto», l’accesso a un giudice dovrebbe essere garantito. Di converso, il fatto che «tale persona abbia previamente partecipato alla procedura di partecipazione del pubblico» non rappresenta, per sua natura, una condizione che possa essere ragionevolmente inclusa nei punti a) o b) dell’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus. Si tratta, piuttosto, a tutti gli effetti, dell’inserimento di un nuovo punto c) all’interno di tale disposizione.

140.

Del resto, tale condizione è in contrasto con le conclusioni tratte dalla giurisprudenza esposta nella sezione precedente. Con l’introduzione di tale norma, la fase amministrativa e quella giurisdizionale divengono, di fatto, un pacchetto unico: l’accesso alla seconda è subordinato alla partecipazione alla prima. Inoltre, alla luce della natura e dell’impatto dei criteri, non si tratta di una mera precisazione a livello procedurale dell’articolo 9, paragrafo 2, bensì, piuttosto, dell’inizio di un processo di effettivo smantellamento di ciò che è garantito in modo indipendente dall’articolo 9, paragrafo 2.

141.

Questa conclusione è ulteriormente corroborata alla luce delle implicazioni pratiche che il funzionamento di una siffatta norma può produrre su due tipi di «pubblico interessato»: le ONG da un lato, e altre persone, in particolare persone fisiche, dall’altro.

142.

Da un lato, per quanto riguarda le ONG, dall’articolo 9, paragrafo 2, discende che qualsiasi ONG che soddisfi i requisiti di cui all’articolo 2, paragrafo 5, vale a dire il fatto di essere riconosciuta dal diritto nazionale come ONG che promuove la protezione dell’ambiente, e che appartiene, quindi, al «pubblico interessato», deve ritenersi soddisfare la condizione di vantare un interesse sufficiente o far valere la violazione di un diritto. Pertanto, alle ONG è riconosciuto un diritto di accesso automatico ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, se soddisfano la condizione di appartenenza al «pubblico interessato» ( 64 ). Tale considerazione è ulteriormente corroborata dalla constatazione della Corte secondo cui la disposizione equivalente di cui all’articolo 11, paragrafo 2, terzo comma, della direttiva 2011/92 produce effetti diretti nei confronti delle ONG appartenenti al «pubblico interessato», nel senso che tale disposizione stabilisce una norma precisa e non soggetta ad altre condizioni ( 65 ).

143.

In considerazione di ciò, e dell’obiettivo di garantire un ampio accesso al controllo, una condizione di previa partecipazione alla fase preparatoria intacca la legittimazione automatica che l’articolo 9, paragrafo 2 riconosce alle ONG appartenenti al «pubblico interessato». Tale condizione esige, in pratica, che tali ONG partecipino a tutte le procedure pubbliche ai sensi dell’articolo 6 della convenzione di Aarhus nei Paesi Bassi, al fine di garantire il loro diritto di impugnare dinanzi a un giudice, in seguito, le decisioni risultanti da tali procedure. Pertanto, la condizione della previa partecipazione contrasta con l’obiettivo stesso di attribuire un locus standi privilegiato alle ONG appartenenti al «pubblico interessato» ( 66 ).

144.

Dall’altro lato, questioni analoghe sorgono anche per quanto concerne gli altri membri del «pubblico interessato», sebbene per un motivo leggermente diverso. Per quanto concerne tale gruppo, l’articolo 9, paragrafo 2, attribuisce alle Parti, di fatto, un ampio margine di discrezionalità per stabilire ciò che costituisce un interesse sufficiente o la violazione di un diritto ( 67 ). Tuttavia, anche per questa categoria di persone, la condizione della previa partecipazione si spinge, in termini di impatto, ben al di là di quanto potrebbe ragionevolmente ascriversi a una trasposizione di tali concetti a livello nazionale.

145.

Si può ricorrere all’esempio di una persona fisica proprietaria di una casa accanto al sito in cui è prevista la costruzione di una stalla per suini. È lecito supporre che, alla luce di qualsiasi trasposizione a livello nazionale della nozione di «interesse sufficiente» o di «violazione di un diritto», tale persona sarà interessata da tale attività ambientale proposta e dovrebbe avere accesso a un giudice qualora desideri contestare l’autorizzazione ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2. Tuttavia, ci si chiede se, a tal fine, anche questa persona sia sempre tenuta a prendere parte alla procedura di partecipazione del pubblico anche quando tale attività, così come inizialmente proposta, non le poneva alcun problema e perciò essa non aveva ravvisato alcun motivo per farlo. Ci si chiede poi cosa accada se tale persona non abbia presentato osservazioni poiché la sua posizione era già stata espressa da altri partecipanti al processo decisionale. Ci si chiede, inoltre, che cosa accada nel caso in cui membri del «pubblico interessato» siano venuti a conoscenza del progetto di decisione soltanto a seguito della scadenza del termine per la presentazione di osservazioni.

146.

Ci si chiede se, analogamente a quanto accade per le ONG, anche gli altri membri del «pubblico interessato» siano obbligati a registrarsi formalmente nella procedura di partecipazione del pubblico, o persino a prendervi parte, anche qualora, in tale fase, non ritengano di poter fornire un contribuito utile. Ci si chiede se essi debbano semplicemente essere costretti a farlo come misura di precauzione, in modo da non perdere il loro diritto di accesso a un giudice che, comunque, è garantito in modo indipendente dall’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus ( 68 ).

147.

A questo proposito, il giudice del rinvio ha menzionato le eccezioni al dovere di previa partecipazione previste dalla legge dei Paesi Bassi, che sono state ulteriormente chiarite dal governo dei Paesi Bassi in udienza: la condizione della previa partecipazione non si applica se la mancata presentazione di osservazioni da parte del «pubblico interessato» è giustificata ( 69 )

148.

Indubbiamente, l’esistenza di tali eccezioni attenua il problema. Tuttavia, essa non risolve concretamente la questione strutturale discendente dal fatto che l’accesso alla giustizia in materia ambientale, garantito in termini di diritto ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, sia subordinato a una condizione che, per sua stessa natura, va ben oltre la mera attuazione di tale disposizione. Inoltre, essa aggiunge un elemento di discrezionalità e (im)prevedibilità: ci si chiede in quali casi tale eccezione possa trovare applicazione. Nel corso dell’udienza, il governo dei Paesi Bassi ha confermato che la determinazione di cosa costituisca un caso di «mancata partecipazione giustificata» alla procedura di partecipazione del pubblico è basata interamente sulla giurisprudenza (per sua natura casistica), e che il governo stesso può fornire soltanto alcuni esempi illustrativi dei casi in cui tale eccezione potrebbe applicarsi.

149.

Tutto ciò non fa che mettere in evidenza la vera natura della generale difficoltà e delle conseguenze della regola della previa partecipazione: semplicemente, essa capovolge la logica sottesa all’articolo 9, paragrafo 2. Come già riconosciuto dalla Corte, per coloro che soddisfano i criteri previsti da tale disposizione, l’accesso è la regola, in relazione alla quale possono ragionevolmente essere previste delle eccezioni ( 70 ). Secondo il diritto neerlandese, per coloro che non hanno preso parte alla procedura di partecipazione del pubblico, anche se soddisfano tutti i criteri di cui all’articolo 9, paragrafo 2, l’assenza di accesso è la regola, alla quale potrebbero essere ammesse eccezioni. Pertanto, salvo che siano concepite eccezioni così ampie nella pratica da invertire, di fatto, la regola ( 71 ), tale struttura è incompatibile con l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus.

150.

Concludo pertanto che l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, l’articolo 11 della direttiva 2011/92 e l’articolo 25 della direttiva 2010/75 ostano a una condizione che imponga al «pubblico interessato» la previa partecipazione alla procedura di partecipazione ai fini dell’accesso a una procedura di ricorso dinanzi a un giudice ai sensi di tali strumenti.

151.

Alla luce di tale conclusione, non è necessario valutare separatamente la quarta questione proposta dal giudice nazionale. Inoltre, e in ogni caso, poiché nessuna delle quattro ricorrenti ha presentato osservazioni nella procedura di partecipazione del pubblico, non è chiaro in che modo esse possano, per definizione, essere lese da una norma nazionale ai sensi della quale il giudice nazionale può dichiarare un ricorso ricevibile soltanto limitatamente alle parti della decisione contro le quali sono state sollevate obiezioni durante la fase preparatoria. Pertanto, nel contesto della presente causa, tale aspetto della quarta questione appare interamente ipotetico.

152.

Infine, alla luce della proposta di risposta alla seconda questione del giudice nazionale, alla sesta questione si applica la stessa logica ivi descritta. I diritti dei membri del «pubblico» in generale, che non rientrino nel «pubblico interessato» ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 2, rientrano nel diritto nazionale. Pertanto, il diritto dell’Unione non osta a che il diritto nazionale renda applicabile la condizione della previa partecipazione al solo «pubblico».

V. Conclusione

153.

Propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali proposte dal Rechtbank Limburg (Tribunale del Limburgo, Paesi Bassi) nei seguenti termini:

1.

L’articolo 6 della convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 («Convenzione di Aarhus»), l’articolo 6 della direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati, come modificata dalla direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, nonché l’articolo 24 della direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) attribuiscono pieni diritti di partecipazione soltanto al «pubblico interessato» ai sensi di tali strumenti, e non al «pubblico» in generale.

2.

Né l’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, né l’articolo 11 della direttiva 2011/92, né l’articolo 25 della direttiva 2010/75 né l’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ostano a che il «pubblico» che non rientri nel «pubblico interessato» ai sensi di tali strumenti sia escluso dall’accesso alla giustizia.

3.

L’articolo 9, paragrafo 2, della convenzione di Aarhus, l’articolo 11 della direttiva 2011/92 e l’articolo 25 della direttiva 2010/75 ostano a una condizione, prevista dal diritto nazionale, che subordini l’accesso alla giustizia per il «pubblico interessato» ai sensi di tali strumenti alla previa partecipazione alle procedure soggette all’articolo 6 della convenzione di Aarhus, all’articolo 6 della direttiva 2011/92 e all’articolo 24 della direttiva 2010/75.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Convenzione sull’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico ai processi decisionali e l’accesso alla giustizia in materia ambientale, firmata ad Aarhus il 25 giugno 1998 e approvata a nome della Comunità europea con decisione 2005/370/CE del Consiglio, del 17 febbraio 2005 (GU 2005, L 124, pag. 1; in prosieguo: la «convenzione di Aarhus» o la «convenzione»).

( 3 ) V. sopra, nota 2.

( 4 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 maggio 2003, che prevede la partecipazione del pubblico nell’elaborazione di taluni piani e programmi in materia ambientale e modifica le direttive del Consiglio 85/337/CEE e 96/61/CE relativamente alla partecipazione del pubblico e all’accesso alla giustizia (GU 2003, L 156, pag. 17).

( 5 ) Considerando 5 e 11 della direttiva 2003/35.

( 6 ) Direttiva 2010/75/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 novembre 2010, relativa alle emissioni industriali (prevenzione e riduzione integrate dell’inquinamento) (GU 2010, L 334, pag. 17).

( 7 ) Direttiva 2011/92/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU 2012, L 26, pag. 1).

( 8 ) Direttiva 2014/52/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 aprile 2014, che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell’impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati (GU 2014, L 124, pag. 1).

( 9 ) Sentenza del 16 aprile 2015, Gruber (C‑570/13, EU:C:2015:231, punto 34).

( 10 ) V. supra, paragrafi 14 e 27 delle presenti conclusioni.

( 11 ) V., ad esempio, sentenza dell’8 novembre 2016, Lesoochranárske zoskupenie VLK (C‑243/15, EU:C:2016:838, punto 58).

( 12 ) Conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Djurgården-Lilla Värtans Miljöskyddsförening (C‑263/08, EU:C:2009:421, paragrafo 63) e nella causa Protect Natur-, Arten- und Landschaftsschutz Umweltorganisation (C‑664/15, EU:C:2017:760, paragrafo 81).

( 13 ) V., in tal senso, Guida all’applicazione della Convenzione di Aarhus, seconda edizione, 2014 (in prosieguo: la «Guida all’applicazione»), pag. 198; v. anche comitato di controllo dell’osservanza della convenzione di Aarhus (in prosieguo: il «comitato di controllo»), Conclusioni e raccomandazioni del 16 giugno 2006, Belgio (ACCC/C/2005/11, punto 35).

( 14 ) Per esigenze di completezza, il giudice del rinvio menziona anche l’articolo 6, paragrafo 8. Tale disposizione tuttavia, si limita a esigere che le Parti provvedano affinché, al momento dell’adozione della decisione, si tenga adeguatamente conto dei risultati della partecipazione del pubblico. Pertanto, non vedo in che modo siffatta disposizione includerebbe eventuali diritti per il «pubblico».

( 15 ) Paragrafi da 81 a 85 delle presenti conclusioni.

( 16 ) Guida all’applicazione, pagg. 153 e 195. Sebbene la Guida all’applicazione non abbia forza vincolante, essa può essere tenuta in considerazione ai fini dell’interpretazione della convenzione; v. sentenza del 19 dicembre 2013, Fish Legal e Shirley (C‑279/12, EU:C:2013:853, punto 38).

( 17 ) V. sentenza del 7 novembre 2019, Flausch e a. (C‑280/18, EU:C:2019:928, punti 32 e ss.), in cui la Corte ha osservato che l’efficacia della comunicazione deve essere valutata con riferimento al «pubblico interessato» e non al «pubblico» in generale. V. conclusioni dell’avvocato generale Kokott nella causa Flausch e a. (C‑280/18, EU:C:2019:449, paragrafo 62).

( 18 ) Riprendendo gli esempi, introdotti supra, al paragrafo 10, di persone che, per effetto della conferma da parte del governo dei Paesi Bassi, avrebbero diritto di partecipare alla procedura di partecipazione del pubblico ai sensi del diritto neerlandese.

( 19 ) Comitato di controllo, Conclusioni e raccomandazioni del 4 aprile 2008, Lituania (ACCC/C/2006/16, punto 80).

( 20 ) Comitato di controllo, Conclusioni e raccomandazioni dell’8 febbraio 2011, Spagna (ACCC/C/2008/24, punti 99 e 100).

( 21 ) Articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2011/92 e articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2010/75 in combinato disposto con l’allegato IV, punto 1.

( 22 ) Per quanto concerne il diritto di presentare osservazioni, v. articolo 6, paragrafo 4, della direttiva 2011/92 e articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2010/75, in combinato disposto con l’allegato IV, punti 3 e 5. Per quanto concerne gli altri diritti di partecipazione, v. articolo 6, paragrafo 3 e l’articolo 6, paragrafi da 5 a 7 della direttiva 2011/92, nonché l’articolo 24, paragrafo 1, della direttiva 2010/75, in combinato disposto con l’allegato IV, punto 3.

( 23 ) V., ad esempio, Comitato di controllo, Conclusioni e raccomandazioni del 17 marzo 2017 ACCC/C/2008/32 (parte II) concernenti l’adempimento da parte dell’Unione europea, nelle quali il comitato di controllo ha rilevato che il diritto dell’Unione non prevede un controllo amministrativo o giurisdizionale adeguato degli atti non legislativi in materia ambientale ai sensi dell’articolo 263, quarto comma, TFUE.

( 24 ) V. supra, paragrafi da 48 a 50 delle presenti conclusioni.

( 25 ) V. supra, paragrafo 64 delle presenti conclusioni.

( 26 ) V., in tal senso, sentenze del 25 luglio 2002, Unión de Pequeños Agricultores/Consiglio (C‑50/00 P, EU:C:2002:462, punti 3839); del 3 settembre 2008, Kadi e Al Barakaat International Foundation/Consiglio e Commissione (C‑402/05 P e C‑415/05 P, EU:C:2008:461, punto 335); e del 18 marzo 2010, Alassini e a. (da C‑317/08 a C‑320/08, EU:C:2010:146, punto 61).

( 27 ) V., in tal senso, sentenze del 15 aprile 2008, Impact (C‑268/06, EU:C:223, punti da 45 a 47 e giurisprudenza citata) e del 27 settembre 2017, Puškár (C‑73/16, EU:C:2017:725, punti 5758 e giurisprudenza ivi citata).

( 28 ) L’ambito del controllo giurisdizionale potrebbe anche eventualmente contrastare con la giurisprudenza pregressa della Corte in materia, di cui alla sentenza del 15 ottobre 2015, Commissione/Germania (C‑137/14, EU:C:2015:683, punti da 75 a 82), in cui la Corte ha statuito che limitare l’ambito del controllo giurisdizionale ai motivi che sono già stati sollevati nella fase amministrativa è incompatibile con la garanzia del più ampio accesso possibile al controllo giurisdizionale in materia ambientale.

( 29 ) Sulla difficoltà generale di suddividere e differenziare chiaramente i motivi nel quadro di un’azione in materia ambientale v., per analogia, le mie conclusioni nella causa North East Pylon Pressure Campaign e Sheehy (C‑470/16, EU:C:2017:781, paragrafi da 74 a 91).

( 30 ) V., in tal senso, sentenza del 7 novembre 2013, Gemeinde Altrip e a. (C‑72/12, EU:C:2013:712, punti da 49 a 51).

( 31 ) Sentenza del 16 aprile 2015, Gruber (C‑570/13, EU:C:2015:231, punto 38).

( 32 ) V. supra, paragrafo 46 delle presenti conclusioni.

( 33 ) Come descritto supra, ai paragrafi 9 e 10 delle presenti conclusioni.

( 34 ) Così, ad esempio, già nella sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105), le norme nazionali concernenti l’imposizione di sovrattasse nel periodo di imposta successivo a titolo di sanzione per dichiarazioni fiscali infedeli nei periodi di imposta precedenti sono state considerate «attuazione del diritto dell’Unione», in particolare dell’obbligo degli Stati membri di assicurare «l’esatta riscossione dell’imposta e ad evitare le frodi». V. anche, ad esempio, sentenza del 21 dicembre 2011, N.S. e a. (C‑411/10 e C‑493/10, EU:C:2011:865, punti da 64 a 69) e sentenza del 13 giugno 2017, Florescu e a. (C‑258/14, EU:C:2017:448, punto 48).

( 35 ) V. supra, paragrafo 85 delle presenti conclusioni e giurisprudenza ivi citata.

( 36 ) V., ad esempio, la recente sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 56 e giurisprudenza ivi citata).

( 37 ) V., ad esempio, sentenza del 19 novembre 2019, A.K. e a. (Indipendenza della Sezione disciplinare della Corte suprema) (C‑585/18, C‑624/18 e C‑625/18, EU:C:2019:982, punti 120167 e giurisprudenza ivi citata).

( 38 ) Sentenza del 19 novembre 2019, TSN e AKT (C‑609/17 e C‑610/17, EU:C:2019:981, in particolare punti da 49 a 51).

( 39 ) Ibidem, punto 53.

( 40 ) Tutto ciò accadrebbe in una forma alquanto controintuitiva: ci si chiede se, più diviene concreta e specifica la discussione sul merito, più è probabile che la causa si collochi improvvisamente «al di fuori dell’ambito di applicazione» del diritto dell’Unione nel suo complesso, mentre, presumibilmente, tutte le questioni astratte collegate e strutturali rimarrebbero nel suo ambito di applicazione. In termini pratici, ci si chiede se non sia probabile che ciò determini la conseguenza che tutte le discussioni sul merito siano differite alla fase giurisdizionale, con valutazioni di merito lunghe e dettagliate che, improvvisamente, si trasformano in questioni di assenza di competenza/ricevibilità al termine del ragionamento.

( 41 ) In cui termini astratti quali «esatta riscossione dell’IVA» o «risorse finanziarie dell’Unione» potevano virtualmente condurre qualsiasi questione relativa all’applicazione dell’IVA o casi di frode riguardanti risorse finanziarie dell’Unione nell’ambito del diritto dell’Unione. Tuttavia, se questa fosse realmente la logica corretta (e il livello di astrazione corretto), in tal caso anche la causa TSN e AKT si sarebbe collocata saldamente nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione, poiché di «ferie annuali retribuite» si occupano certamente, a tale livello di astrazione, sia il diritto primario, sia il diritto secondario dell’Unione. V. anche, sulla portata di tale «logica dell’attuazione» per quanto concerne l’ambito di applicazione della Carta, le mie conclusioni nella causa Ispas (C‑298/16, EU:C:2017:650, paragrafi da 26 a 56).

( 42 ) V., ad esempio, sentenza del 13 giugno 2019, Moro (C‑646/17, EU:C:2019:489, punti da 66 a 74).

( 43 ) Sentenza del 19 novembre 2019, TSN e AKT (C‑609/17 e C‑610/17, EU:C:2019:981, punti da 47 a 51).

( 44 ) V. le mie conclusioni nella causa El Hassani (C‑403/16, EU:C:2017:659, paragrafi da 74 a 83) e, per quanto concerne il livello di analisi del diritto in questione, le mie conclusioni nella causa Dzivev (C‑310/16, EU:C:2018:623, paragrafi da 70 a 80).

( 45 ) Mentre le ragioni per cui tale extra è concesso in quella fase specifica, quali esposte supra, al paragrafo 11 delle presenti conclusioni, si rivelano una scelta razionale dal punto di vista normativo.

( 46 ) In alcuni casi, in particolare quando vengono in considerazione organi ibridi, si può discutere se tale forma di controllo abbia ancora carattere «amministrativo» o assuma già carattere «giurisdizionale». Tuttavia, non è questa la situazione che si verifica nella presente causa.

( 47 ) V. sentenze del 27 giugno 2013, Agrokonsulting-04 (C‑93/12, EU:C:2013:432, punto 35) e del 18 ottobre 2011, Boxus e a. (da C‑128/09 a C‑131/09, C‑134/09 e C‑135/09, EU:C:2011:667, punto 52).

( 48 ) Sentenze dell’8 novembre 2016, Lesoochranárske zoskupenie VLK (C‑243/15, EU:C:2016:838, punto 58) e del 16 aprile 2015, Gruber (C‑570/13, EU:C:2015:231, punto 39).

( 49 ) Sentenza del 15 ottobre 2015 (C‑137/14, EU:C:2015:683).

( 50 ) Sentenza del 15 ottobre 2009 (C‑263/08, EU:C:2009:631).

( 51 ) Sentenza del 20 dicembre 2017 (C‑664/15, EU:C:2017:987).

( 52 ) Sentenza del 15 ottobre 2009 (C‑263/08, EU:C:2009:631, punto 39).

( 53 ) Ibidem, punto 38.

( 54 ) Sentenza del 15 ottobre 2015 (C‑137/14, EU:C:2015:683).

( 55 ) Ibidem, punti 76 e 77.

( 56 ) Ibidem, punto 78.

( 57 ) Ibidem, punti da 71 a 74.

( 58 ) Ibidem, punto 80.

( 59 ) Ibidem, punto 81.

( 60 ) Sentenza del 20 dicembre 2017 (C 664/15, EU:C:2017:987).

( 61 ) Direttiva 2000/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2000, che istituisce un quadro per l’azione comunitaria in materia di acque (GU 2000, L 327, pag. 1).

( 62 ) Sentenza del 20 dicembre 2017, Protect Nature (C‑664/15, EU:C:2017:987, punto 86).

( 63 ) Ibidem, punti 87 e 90.

( 64 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Sharpston nella causa Djurgården-Lilla Värtans Miljöskyddsförening (C‑263/08, EU:C:2009:421, paragrafi da 42 a 4457), nonché la Guida all’applicazione, pag. 195.

( 65 ) Sentenza del 12 maggio 2011, Bund für Umwelt und Naturschutz Deutschland, Landesverband Nordrhein-Westfalen (C‑115/09, EU:C:2011:289, punti da 55 a 57).

( 66 ) V., nello stesso senso, comitato di controllo, Conclusioni e raccomandazioni del 29 giugno 2012, Repubblica ceca (ACCC/C/2010/50, punto 78).

( 67 ) Sentenza del 16 aprile 2015, Gruber (C‑570/13, EU:C:2015:231, punto 38).

( 68 ) V. anche la Guida all’applicazione, pag. 195, in cui si afferma che, per quanto concerne i membri del «pubblico interessato» diversi dalle ONG, «potrebbe essere eccessivamente restrittivo prevedere che l’accesso ai sensi [dell’articolo 9, paragrafo 2] sia garantito alle sole persone che hanno partecipato alla procedura decisionale».

( 69 ) Come esposto supra, al paragrafo 18 delle presenti conclusioni.

( 70 ) V., segnatamente, sentenza del 15 ottobre 2015, Commissione/Germania (C‑137/14, EU:C:2015:683, punti 8081), discussa supra, ai paragrafi da 129 a 132.

( 71 ) Riconosco, certamente, che alcune eccezioni descritte dal governo dei Paesi Bassi in udienza sono decisamente di ampio respiro. Ci si chiede, tuttavia, se questa fosse realmente l’impostazione a livello di prassi giudiziaria, e tralasciando il problema della prevedibilità, quale sarebbe (poi), in tal caso, il senso di prevedere siffatta regola.