SENTENZA DEL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

30 gennaio 2019 ( *1 )

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate in considerazione della situazione in Ucraina – Congelamento dei capitali – Elenco delle persone, entità e organismi ai quali si applica il congelamento dei capitali e delle risorse economiche – Mantenimento del nome del ricorrente nell’elenco – Obbligo di motivazione – Eccezione di illegittimità – Principio di proporzionalità – Base giuridica – Errore manifesto di valutazione – Principio del ne bis in idem»

Nella causa T‑290/17,

Edward Stavytskyi, residente in Bruxelles (Belgio), rappresentato da J. Grayston, solicitor, P. Gjørtler, G. Pandey e D. Rovetta, avvocati,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da V. Piessevaux e J.‑P. Hix, in qualità di agenti,

convenuto,

sostenuto da:

Commissione europea, rappresentata da E. Paasivirta e L. Baumgart, in qualità di agenti,

interveniente,

avente ad oggetto una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione (PESC) 2017/381 del Consiglio, del 3 marzo 2017, che modifica la decisione 2014/119/PESC relativa a misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2017, L 58, pag. 34), e del regolamento di esecuzione (UE) 2017/374 del Consiglio, del 3 marzo 2017, che attua il regolamento (UE) n. 208/2014 concernente misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2017, L 58, pag. 1), nella parte in cui il nome del ricorrente è stato mantenuto nell’elenco delle persone, entità e organismi ai quali si applicano tali misure restrittive,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione),

composto da G. Berardis (relatore), presidente, D. Spielmann e Z. Csehi, giudici,

cancelliere: P. Cullen, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 12 settembre 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti all’origine della controversia

1

Il sig. Edward Stavytskyi, ricorrente, è un ex Ministro dei combustibili e dell’energia dell’Ucraina.

2

Il 5 marzo 2014 il Consiglio dell’Unione europea ha adottato, sulla base dell’articolo 29 TUE, la decisione 2014/119/PESC, relativa a misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2014, L 66, pag. 26).

3

I considerando 1 e 2 della decisione 2014/119 precisano quanto segue:

«(1)

Il 20 febbraio 2014 il Consiglio ha condannato nel modo più assoluto il ricorso alla violenza in Ucraina. Ha esortato all’immediata cessazione delle violenze in Ucraina e al pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Ha rivolto un appello al governo ucraino affinché dia prova di massima moderazione e ai leader dell’opposizione affinché prendano distanza da quanti ricorrono ad azioni radicali, inclusa la violenza.

(2)

Il 3 marzo 2014 il Consiglio ha convenuto di concentrare le misure restrittive sul congelamento e sul recupero dei beni delle persone identificate come responsabili dell’appropriazione indebita di fondi statali ucraini e delle persone responsabili di violazioni di diritti umani, con l’obiettivo di consolidare e sostenere lo [S]tato di diritto e il rispetto dei diritti umani in Ucraina».

4

L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della decisione 2014/119 dispone quanto segue:

«1.   Sono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti, posseduti, detenuti o controllati da persone identificate come responsabili dell’appropriazione indebita di fondi statali ucraini e dalle persone responsabili di violazioni di diritti umani in Ucraina, e da persone fisiche o giuridiche, entità od organismi a essi associate, elencati nell’allegato.

2.   Nessun fondo o risorsa economica è messo a disposizione, direttamente o indirettamente, o a beneficio delle persone fisiche o giuridiche, delle entità o degli organismi elencati nell’allegato».

5

Le modalità delle misure restrittive di cui trattasi sono definite nei paragrafi successivi del medesimo articolo.

6

Il 5 marzo 2014 il Consiglio ha altresì adottato, sul fondamento dell’articolo 215, paragrafo 2, TFUE, il regolamento (UE) n. 208/2014 concernente misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2014, L 66, pag. 1).

7

Conformemente alla decisione 2014/119, il regolamento n. 208/2014 impone l’adozione di dette misure restrittive e ne definisce le modalità di attuazione in termini identici, sostanzialmente, a quelli di detta decisione.

8

I nomi delle persone cui fanno riferimento la decisione 2014/119 e il regolamento n. 208/2014 figurano nell’elenco contenuto nell’allegato a detta decisione e nell’allegato I del citato regolamento (in prosieguo: l’«elenco di cui trattasi») con, in particolare, la motivazione del loro inserimento. Il nome del ricorrente non compare nell’elenco di cui trattasi.

9

La decisione 2014/119 e il regolamento n. 208/2014 sono stati modificati, rispettivamente, dalla decisione di esecuzione 2014/216/PESC del Consiglio, del 14 aprile 2014, che attua la decisione 2014/119 (GU 2014, L 111, pag. 91), e dal regolamento di esecuzione (UE) n. 381/2014 del Consiglio, del 14 aprile 2014, che attua il regolamento n. 208/2014 (GU 2014, L 111, pag. 33) (in prosieguo: «gli atti dell’aprile 2014»).

10

Con gli atti dell’aprile 2014, il nome del ricorrente è stato aggiunto all’elenco di cui trattasi, con le informazioni identificative «ex Ministro dei [C]ombustibili e dell’[E]nergia dell’Ucraina» e la motivazione seguente:

«Persona sottoposta a procedimento penale in Ucraina allo scopo di indagare su reati connessi alla distrazione di fondi dello Stato ucraino e al loro trasferimento illegale al di fuori dell’Ucraina».

11

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 25 giugno 2014, il ricorrente ha proposto un ricorso volto all’annullamento degli atti dell’aprile 2014, nella parte in cui lo riguardano. Il ricorso è stato registrato con il numero di ruolo T‑486/14.

12

La decisione 2014/119 è stata modificata dalla decisione (PESC) 2015/143 del Consiglio, del 29 gennaio 2015 (GU L 24, pag. 16), entrata in vigore il 31 gennaio 2015. Riguardo ai criteri di designazione delle persone oggetto delle misure restrittive di cui trattasi, risulta dall’articolo 1 della decisione 2015/143 che l’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2014/119 è stato sostituito dal seguente testo:

«1.   Sono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti, posseduti, detenuti o controllati da persone identificate come responsabili dell’appropriazione indebita di fondi statali ucraini e dalle persone responsabili di violazioni di diritti umani in Ucraina, e da persone fisiche o giuridiche, entità od organismi a esse associati, elencati nell’allegato.

Ai fini della presente decisione, le persone identificate come responsabili dell’appropriazione indebita di fondi statali ucraini comprendono persone sottoposte a indagine da parte delle autorità ucraine:

a)

per appropriazione indebita di fondi o beni pubblici ucraini o per essersi rese complici di tale appropriazione, o

b)

per abuso d’ufficio in qualità di titolari di un ufficio o di una carica pubblica per procurare a se stesse o a una parte terza un vantaggio ingiustificato, arrecando in tal modo pregiudizio ai fondi o beni pubblici ucraini, o per essersi rese complici di tale abuso».

13

Il regolamento (UE) 2015/138 del Consiglio, del 29 gennaio 2015, che modifica il regolamento n. 208/2014 (GU 2015, L 24, pag. 1), ha modificato quest’ultimo conformemente alla decisione 2015/143.

14

La decisione 2014/119 e il regolamento n. 208/2014 sono stati successivamente modificati dalla decisione (PESC) 2015/364 del Consiglio, del 5 marzo 2015, che modifica la decisione 2014/119 (GU 2015, L 62, pag. 25), e dal regolamento di esecuzione (UE) 2015/357 del Consiglio, del 5 marzo 2015, che attua il regolamento n. 208/2014 (GU 2015, L 62, pag. 1). Nella decisione 2015/364, l’articolo 5 della decisione 2014/119 è stato sostituito con un nuovo testo, che proroga le misure restrittive fino al 6 marzo 2016. Nel regolamento di esecuzione 2015/357 l’allegato I al regolamento n. 208/2014 è stato sostituito con un nuovo testo, che modifica le menzioni relative a 18 persone.

15

Con la decisione 2015/364 e il regolamento di esecuzione 2015/357, il nome del ricorrente è stato mantenuto nell’elenco con le informazioni identificative «ex ministro dei [C]ombustibili e dell’[E]nergia dell’Ucraina» e la motivazione seguente:

«Persona sottoposta a procedimento penale dalle autorità ucraine per appropriazione indebita di fondi o beni statali».

16

Il ricorrente non ha proposto ricorso contro la decisione 2015/364 e il regolamento di esecuzione 2015/357.

17

Con la sentenza del 28 gennaio 2016, Stavytskyi/Consiglio (T‑486/14, non pubblicata, EU:T:2016:45), il Tribunale ha annullato gli atti dell’aprile 2014, constatando, in sostanza, che il nome del ricorrente era stato inserito nell’elenco di cui trattasi senza che il Consiglio disponesse di prove sufficienti.

18

Il 4 marzo 2016 il Consiglio ha adottato la decisione (PESC) 2016/318, che modifica la decisione 2014/119 (GU 2016, L 60, pag.76) e il regolamento di esecuzione (UE) 2016/311, che attua il regolamento n. 208/2014 (GU 2016. L 60, pag. 1), con i quali ha prorogato fino al 6 marzo 2017 l’applicazione delle misure restrittive di cui trattasi, e ciò senza modificare la motivazione relativa al ricorrente, come ripresa al punto 15 supra.

19

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 17 maggio 2016, il ricorrente ha proposto un ricorso diretto all’annullamento della decisione 2016/318 e del regolamento di esecuzione 2016/311, nella parte in cui lo riguardano. Tale ricorso è stato registrato con il numero di ruolo T‑242/16.

20

Con lettera del 21 ottobre 2016 il ricorrente ha sostenuto dinanzi al Consiglio che quest’ultimo era stato indotto in errore da informazioni asseritamente false fornite dall’Ufficio del procuratore generale dell’Ucraina (in prosieguo: l’«UPG»), e ha richiesto l’accesso a tali documenti.

21

In risposta a tale comunicazione, con lettera del 12 dicembre 2016, in primo luogo, il Consiglio ha informato il ricorrente della sua intenzione di mantenere le misure restrittive nei suoi confronti. In secondo luogo, il Consiglio ha fatto osservare che l’UPG, con lettere del 25 luglio e del 16 novembre 2016, aveva confermato che il ricorrente era oggetto di un procedimento penale per appropriazione indebita di fondi statali. In terzo luogo, il Consiglio ha allegato alla sua lettera tali documenti nonché un altro documento del 18 novembre 2016 che conteneva quesiti che esso aveva rivolto all’UPG e le risposte dello stesso (in prosieguo: le «risposte dell’UPG»). In quarto luogo, il Consiglio ha invitato il ricorrente a presentargli le sue eventuali osservazioni entro il 13 gennaio 2017.

22

Con lettera del 13 gennaio 2017, il ricorrente ha fatto valere dinanzi al Consiglio, in particolare, che l’UPG aveva effettuato manipolazioni del procedimento penale in questione, al solo scopo di mantenerlo in corso e che i fatti oggetto di tale procedimento erano già stati esaminati da altre autorità ucraine, comprese istanze giurisdizionali, le quali avevano constatato che non vi era nulla di illecito. Il ricorrente ha altresì indicato che aveva chiesto alla commissione di controllo dei fascicoli dell’Organizzazione internazionale di polizia criminale (Interpol) di revocare l’iscrizione del suo nome dall’elenco delle persone ricercate a livello internazionale.

23

Con lettera del 6 febbraio 2017 il Consiglio ha trasmesso al ricorrente taluni documenti che le autorità ucraine gli avevano fornito, ovvero una lettera dell’UPG del 27 gennaio 2017 e diverse decisioni di giudici ucraini, e l’ha invitato a pronunciarsi al riguardo entro e non oltre il 13 febbraio 2017.

24

Con lettera del 13 febbraio 2017 il ricorrente ha risposto a tale invito.

25

Il 3 marzo 2017 il Consiglio ha adottato la decisione (PESC) 2017/381, che modifica la decisione 2014/119 (GU 2017, L 58, pag. 34) e il regolamento di esecuzione (UE) 2017/374, che attua il regolamento n. 208/2014 (GU 2017, L 58, pag. 1) (in prosieguo: gli «atti impugnati»), con i quali ha prorogato fino al 6 marzo 2018 l’applicazione delle misure restrittive di cui trattasi, e ciò senza modificare la motivazione relativa al ricorrente, come ripresa al punto 15 supra.

26

Con lettera del 6 marzo 2017, il Consiglio ha notificato al ricorrente gli atti impugnati e ha risposto congiuntamente alle sue lettere del 13 gennaio e del 13 febbraio 2017.

27

Con sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio (T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166), il Tribunale ha respinto il ricorso del ricorrente di cui al punto 19 supra.

Procedimento e conclusioni delle parti

28

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 16 maggio 2017, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

29

Il 28 luglio 2017 il Consiglio ha depositato il controricorso, seguito, il 3 agosto 2017, da una domanda motivata, conformemente all’articolo 66 del regolamento di procedura del Tribunale, volta ad ottenere che il contenuto di taluni documenti allegati al ricorso e a detto controricorso, non fossero citati negli atti relativi a tale causa accessibili al pubblico.

30

Il 5 settembre 2017 la Commissione europea ha chiesto di intervenire nel presente procedimento a sostegno delle conclusioni del Consiglio. Con decisione del 21 settembre 2017 il presidente della Sesta Sezione del Tribunale ha accolto tale domanda, sul fondamento dell’articolo 144, paragrafo 4, del regolamento di procedura, poiché le parti principali non hanno sollevato questioni di riservatezza.

31

La fase scritta del procedimento è stata chiusa il 19 dicembre 2017, dopo il deposito della replica, della controreplica, della memoria d’intervento e delle osservazioni delle parti principali sulla stessa.

32

Con memoria depositata presso la cancelleria il 17 gennaio 2018, il ricorrente ha chiesto lo svolgimento di un’udienza di discussione ai sensi dell’articolo 106, paragrafi 1 e 2, del regolamento di procedura.

33

Su proposta del giudice relatore, il Tribunale (Sesta Sezione) ha deciso di aprire la fase orale del procedimento.

34

Le parti principali hanno esposto le proprie difese orali e hanno risposto ai quesiti posti dal Tribunale all’udienza del 12 settembre 2018, alla quale la Commissione non ha partecipato. Essa ne aveva informato il Tribunale con lettera del 16 agosto 2018.

35

Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

annullare gli atti impugnati, nella parte in cui hanno mantenuto il suo nome nell’elenco di cui trattasi;

condannare il Consiglio alle spese.

36

Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

in via subordinata, nell’ipotesi dell’annullamento degli atti impugnati, mantenere l’effetto della decisione 2017/381, finché l’annullamento del regolamento di esecuzione 2017/374 sia effettivo, conformemente all’articolo 60 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea;

condannare il ricorrente alle spese.

37

La Commissione chiede che il Tribunale voglia respingere il ricorso.

In diritto

38

A sostegno del suo ricorso, il ricorrente deduce quattro motivi, vertenti, rispettivamente, il primo, sull’illegittimità del criterio di designazione di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2014/119, come modificata dalla decisione 2015/143, e all’articolo 3, paragrafo 1bis, del regolamento n. 208/2014, come modificato dal regolamento n. 2015/138 (in prosieguo: il «criterio pertinente»), il secondo, su un errore manifesto di valutazione in quanto il fatto che egli sia oggetto di un procedimento penale dinanzi alle autorità ucraine non costituisce un fondamento di fatto sufficiente, il terzo, sulla violazione dell’obbligo di motivazione e, il quarto, su un errore relativo alla base giuridica, poiché le misure restrittive nei suoi confronti non rientrerebbero nella politica estera e di sicurezza comune (PESC), ma nella cooperazione internazionale in materia penale.

39

Tenuto conto dei collegamenti tra taluni argomenti relativi a motivi diversi, si deve ritenere che il ricorrente deduca, in sostanza, in primo luogo, la violazione dell’obbligo di motivazione, in secondo luogo, l’illegittimità, il carattere sproporzionato e l’assenza di base giuridica del criterio pertinente e, in terzo luogo, errori manifesti di valutazione commessi nell’applicazione di tale criterio al suo caso.

Sulla violazione dell’obbligo di motivazione

40

In primo luogo, il ricorrente sostiene che la motivazione in base alla quale il suo nome è stato mantenuto nell’elenco da parte degli atti impugnati, che coincide con quella ripresa al punto 15 supra, è generica e stereotipata, in quanto si limita a ripetere i termini usati nella definizione del criterio pertinente.

41

In secondo luogo, il ricorrente sostiene che il Consiglio non può integrare detta motivazione con le informazioni contenute nelle lettere che ha inviato al ricorrente nel corso del procedimento sfociato nell’adozione degli atti impugnati (v. punti 21, 23 e 26 supra), dal momento che un atto giuridico dovrebbe contenere esso stesso una motivazione sufficiente. In ogni caso, le informazioni complementari risultanti dalle lettere di cui trattasi non costituirebbero una motivazione sufficiente.

42

Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti del ricorrente.

43

Occorre rammentare che, in forza dell’articolo 296, secondo comma, TFUE «[g]li atti giuridici sono motivati».

44

Ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), alla quale l’articolo 6, paragrafo 1, TUE riconosce lo stesso valore giuridico dei trattati, il diritto a una buona amministrazione comprende in particolare «l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni».

45

Secondo una giurisprudenza costante, la motivazione prescritta dall’articolo 296, secondo comma, TFUE, e dall’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta dev’essere adeguata alla natura dell’atto impugnato e al contesto nel quale è stato adottato. Essa deve far apparire in forma chiara e inequivocabile l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire all’interessato di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice competente di esercitare il proprio controllo. La necessità della motivazione deve essere valutata in funzione delle circostanze del caso di specie (v. sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

46

La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento della sussistenza, in capo alla motivazione di un atto, dei requisiti di cui all’articolo 296, secondo comma, TFUE e all’articolo 41, paragrafo 2, lettera c), della Carta va effettuato alla luce non solo del suo tenore letterale, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia. Così, da un lato, un atto che arreca pregiudizio è sufficientemente motivato quando è stato emanato in un contesto noto all’interessato, che gli consente di comprendere la portata del provvedimento adottato nei suoi confronti. D’altro lato, il grado di precisione della motivazione di un atto dev’essere proporzionato alle possibilità materiali ed alle condizioni tecniche o al tempo disponibile per la sua adozione (v. sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).

47

In particolare, la motivazione di una misura di congelamento dei beni non può, in linea di principio, consistere soltanto in una formulazione generica e stereotipata. Con le riserve di cui al precedente punto 46, una misura di tal genere deve, al contrario, indicare le ragioni specifiche e concrete per le quali il Consiglio considera applicabile all’interessato la normativa pertinente (v. sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).

48

Nella fattispecie, va rilevato che la motivazione accolta al momento del mantenimento del nome del ricorrente nell’elenco di cui trattasi (v. punto 15 supra) è specifica e concreta ed enuncia gli elementi che costituiscono il fondamento del mantenimento suddetto, cioè la circostanza secondo cui egli è oggetto di un procedimento penale avviato dalle autorità ucraine per appropriazione indebita di fondi o beni statali.

49

Inoltre, il mantenimento delle misure restrittive nei confronti del ricorrente è intervenuto in un contesto noto a quest’ultimo, che era stato informato, in occasione delle comunicazioni con il Consiglio, in particolare delle lettere dell’UGP del 25 luglio 2016, del 16 novembre 2016 e del 27 gennaio 2017, nonché delle risposte dell’UPG (v. punti 21 e 23 supra), sulle quali il Consiglio ha fondato il mantenimento delle misure suddette (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 15 novembre 2012, Consiglio/Bamba, C‑417/11 P, EU:C:2012:718, punti 5354 e giurisprudenza ivi citata, e del 6 settembre 2013, Bank Melli Iran/Consiglio, T‑35/10 e T‑7/11, EU:T:2013:397, punto 88). In tali lettere sono indicati il nome dell’autorità incaricata di condurre le indagini, il numero e la data di avvio dei procedimenti penali promossi, in particolare, a carico del ricorrente, i fatti che gli vengono contestati, i nomi delle altre persone e organismi interessati, l’importo dei fondi pubblici che si asserisce siano stati indebitamente sottratti, gli articoli pertinenti del codice penale ucraino nonché la circostanza che il ricorrente è stato informato per iscritto del fatto che era sospettato. In particolare, la lettera del 25 luglio 2016 precisa quanto segue:

[riservato] ( 1 ).

50

Nella lettera del 12 dicembre 2016 il Consiglio ha chiaramente indicato che la lettera dell’UPG del 25 luglio 2016, come confermata da quella del 16 novembre 2016, conteneva le informazioni pertinenti per concludere che il ricorrente era ancora oggetto di un procedimento penale relativo ad un’appropriazione indebita di fondi o beni statali.

51

Peraltro, gli atti impugnati sono stati emanati in un contesto che include anche lo scambio di corrispondenza avvenuto tra il ricorrente e il Consiglio nell’ambito delle cause che hanno dato luogo alle sentenze del 28 gennaio 2016, Stavytskyi/Consiglio (T‑486/14, non pubblicata, EU:T:2016:45), e del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio (T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166).

52

Si deve constatare che tutte queste informazioni sono state ricevute dal ricorrente prima dell’adozione degli atti impugnati.

53

Per quanto riguarda la lettera del 6 marzo 2017, la quale, dal canto suo, è successiva all’adozione degli atti impugnati, si deve rilevare che essa si limita, sostanzialmente, a fare riferimento a elementi contenuti nella corrispondenza che il ricorrente e il Consiglio avevano scambiato prima che tali atti fossero adottati, nonché alla giurisprudenza del Tribunale. Pertanto, tale lettera può essere presa in considerazione nell’esaminare tali atti (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punto 47 e giurisprudenza ivi citata). In ogni caso, si deve rilevare che il contenuto della lettera del 6 marzo 2017 coincide in gran parte con quello degli atti impugnati e della corrispondenza intercorsa tra il Consiglio e il ricorrente (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 15 giugno 2017, Kiselev/Consiglio, T‑262/15, EU:T:2017:392, punti 4849).

54

Alla luce delle suesposte considerazioni, si deve dichiarare che gli atti impugnati, situati nel loro contesto, enunciano in modo giuridicamente sufficiente gli elementi di diritto e di fatto che ne costituiscono, secondo il loro autore, il fondamento.

55

Tale conclusione non può essere messa in discussione dall’argomento del ricorrente vertente sul carattere asseritamente stereotipato della motivazione che lo riguarda.

56

A tale proposito, si deve rilevare che, sebbene le considerazioni contenute in tale motivazione siano le stesse di quelle sulla cui base altre persone fisiche citate nell’elenco sono state sottoposte a misure restrittive, esse sono, tuttavia, volte a descrivere la situazione concreta del ricorrente il quale, secondo il Consiglio, è oggetto, al pari di altre persone, di procedimenti giudiziari che presentano un nesso con indagini vertenti su fatti di appropriazione indebita di fondi pubblici in Ucraina (v., in tal senso, sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 82 e giurisprudenza ivi citata).

57

Si deve rammentare, infine, che l’obbligo di motivare un atto costituisce una formalità sostanziale che va tenuta distinta dalla questione della fondatezza dei motivi, questione che attiene alla legittimità sostanziale dell’atto controverso. Infatti, la motivazione di un atto consiste nell’esprimere formalmente le ragioni su cui si fonda tale atto. Gli errori che vizino tali ragioni inficiano la legittimità nel merito della decisione, ma non la motivazione di quest’ultima, che può essere sufficiente pur illustrando ragioni errate (v. sentenza del 5 novembre 2014, Mayaleh/Consiglio, T‑307/12 e T‑408/13, EU:T:2014:926, punto 96 e giurisprudenza citata).

58

Di conseguenza, anche a supporre, come ha fatto valere il ricorrente durante l’udienza, che il Consiglio, ove mantenga, dopo diversi anni, misure restrittive nei confronti di una stessa persona, sia assoggettato ad un obbligo di diligenza maggiore, tale circostanza non ha alcuna incidenza sul controllo che il Tribunale effettua relativamente alla motivazione degli atti impugnati, mentre essa potrebbe giustificare un controllo più rigido per quanto riguarda l’esistenza di un errore manifesto di valutazione.

59

Alla luce delle considerazioni che precedono, le censure del ricorrente relative alla violazione dell’obbligo di motivazione devono essere respinte.

Sull’illegittimità, sul carattere sproporzionato e sull’assenza di base giuridica del criterio pertinente

60

Il ricorrente fa valere che il criterio pertinente, quale previsto dalla decisione 2015/143 e dal regolamento 2015/138 sarebbe illegittimo, per violazione del principio di proporzionalità e per assenza di base giuridica nell’ambito della PESC, nell’ipotesi in cui potrebbe essere interpretato nel senso che consente di adottare misure restrittive nei confronti di qualsiasi persona oggetto di un’indagine da parte delle autorità ucraine relativa ad una appropriazione indebita di fondi pubblici, a prescindere dalla questione se i fatti contestati a tale persona siano idonei a pregiudicare lo Stato di diritto in Ucraina, e quindi i fondamenti giuridici e istituzionali di tale paese.

61

Secondo il ricorrente, nell’ipotesi in cui il criterio pertinente consentisse di colpire solo persone coinvolte in tali fatti, il Consiglio dovrebbe effettuare esso stesso un controllo di proporzionalità. A tale proposito, il ricorrente ammette che, secondo la giurisprudenza, il Consiglio può, in linea di principio, fondarsi sulle informazioni che gli comunica l’UPG. Tuttavia, il Consiglio non sarebbe per questo esonerato dall’obbligo di valutare se tali informazioni siano sufficienti a considerare che i fatti contestati alla persona oggetto di un’indagine siano idonei a pregiudicare lo Stato di diritto in Ucraina. Solo assicurandosi che può essere fornita una risposta affermativa a tale questione il Consiglio rispetterebbe il principio di proporzionalità. In caso contrario, gli eventuali interventi da parte delle istituzioni dell’Unione legati a procedimenti penali in corso in un paese terzo non potrebbero rientrare nella PESC ma nella cooperazione giudiziaria in materia penale e nella cooperazione di polizia. Di conseguenza, per evitare una violazione dell’articolo 40 TUE, esse dovrebbero essere adottate su basi giuridiche diverse dall’articolo 29 TUE e dall’articolo 215 TFUE, dal momento che il ricorso a quest’ultimo presuppone la previa adozione di una decisione rientrante nella PESC.

62

Il Consiglio e la Commissione contestano gli argomenti del ricorrente.

63

Va osservato, in limine, che le parti concordano sul fatto che la giurisprudenza ha riconosciuto che misure restrittive adottate in applicazione del criterio pertinente possono essere legittimamente adottate sulla base dell’articolo 29 TUE e dell’articolo 215 TFUE, purché i fatti di appropriazione indebita di fondi o di beni pubblici di cui sono sospettate le persone alle quali si riferiscono le misure presentino caratteristiche tali da renderli idonei a pregiudicare i fondamenti istituzionali e giuridici del paese di cui trattasi, tenuto conto degli importi interessati, del tipo di fondi o di beni sottratti, o del contesto nel quale si sono verificati.

64

In tale ambito, è necessario ricordare che gli obiettivi del Trattato UE relativi alla PESC sono enunciati, segnatamente, all’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), TUE, che dispone quanto segue:

«L’Unione definisce e attua politiche comuni e azioni e opera per assicurare un elevato livello di cooperazione in tutti i settori delle relazioni internazionali al fine di: (…) consolidare e sostenere la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti dell’uomo e i principi del diritto internazionale».

65

Tale obiettivo è stato menzionato nel considerando 2 della decisione 2014/119, ripreso al punto 3 supra.

66

A tale riguardo, è necessario rammentare che la giurisprudenza ha stabilito che obiettivi quali quelli menzionati all’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), TUE, potevano essere raggiunti mediante il congelamento di beni il cui ambito di applicazione era, come nella fattispecie, circoscritto alle persone identificate come responsabili di appropriazione di fondi pubblici e alle persone, entità o organismi che sono loro connessi, vale a dire a persone le cui azioni sono atte ad aver ostacolato il buon funzionamento delle istituzioni pubbliche e degli organismi loro collegati (v., in tal senso, sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 95, e giurisprudenza ivi citata).

67

Parimenti, occorre osservare che il rispetto dello Stato di diritto è uno dei principali valori su cui si fonda l’Unione, come emerge dall’articolo 2 TUE, nonché dai preamboli del Trattato UE e della Carta. Il rispetto dello Stato di diritto costituisce, inoltre, una condizione preliminare per l’adesione all’Unione, ai sensi dell’articolo 49 TUE. La nozione di Stato di diritto è parimenti sancita, con la formulazione alternativa di «preminenza del diritto», nel preambolo della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 97).

68

La giurisprudenza della Corte e della Corte europea dei diritti dell’Uomo nonché i lavori del Consiglio d’Europa, mediante la Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto, forniscono un elenco non esaustivo dei principi e delle norme che possono ricomprendersi nella nozione di Stato di diritto. Tra questi figurano i principi di legalità, di certezza del diritto e di divieto di arbitrarietà del potere esecutivo; dell’indipendenza e imparzialità del giudice; un controllo giurisdizionale effettivo, anche per quanto riguarda il rispetto dei diritti fondamentali e l’uguaglianza davanti alla legge [v., a tale riguardo, l’elenco dei criteri dello Stato di diritto adottato dalla Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto in occasione della sua centoseiesima sessione plenaria (Venezia, 11‑12 marzo 2016)]. Inoltre, nell’ambito dell’azione esterna dell’Unione, taluni strumenti giuridici menzionano segnatamente la lotta contro la corruzione quale principio iscritto nella nozione di Stato di diritto [v., ad esempio, il regolamento (CE) n. 1638/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2006, recante disposizioni generali che istituiscono uno strumento europeo di vicinato e partenariato (GU 2006, L 310, pag. 1)] (sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 98).

69

Peraltro, è opportuno rilevare che perseguire reati economici, come l’appropriazione indebita di fondi pubblici, è un importante mezzo di lotta contro la corruzione e che la lotta contro la corruzione costituisce, nel contesto dell’azione esterna dell’Unione, un principio rientrante nella nozione di Stato di diritto (sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 141).

70

Tuttavia, benché non possa escludersi che determinati comportamenti concernenti fatti di appropriazione indebita di fondi pubblici siano in grado di pregiudicare lo Stato di diritto, non si può ammettere che ogni fatto di appropriazione indebita di fondi pubblici, commesso in un paese terzo, giustifichi un intervento dell’Unione al fine di consolidare e sostenere lo Stato di diritto in tale paese, nell’ambito delle sue competenze in materia di PESC. Affinché possa accertarsi che un’appropriazione indebita di fondi pubblici sia idonea a giustificare un’azione dell’Unione nell’ambito della PESC, fondata sull’obiettivo di consolidare e sostenere lo Stato di diritto, è quantomeno necessario che i fatti contestati siano atti a pregiudicare i fondamenti istituzionali e giuridici del paese in questione (sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 99).

71

Ne deriva che il criterio pertinente può essere considerato conforme all’ordinamento giuridico dell’Unione solo nei limiti in cui sia possibile attribuirgli un senso compatibile con i requisiti posti dalle norme di rango superiore alla cui osservanza esso è soggetto, e più precisamente con l’obiettivo di consolidare e sostenere lo Stato di diritto in Ucraina. Peraltro, tale interpretazione consente di rispettare l’ampio margine discrezionale di cui gode il Consiglio nel definire i criteri generali d’inserimento, garantendo al contempo un controllo, in linea di massima completo, della legittimità degli atti dell’Unione rispetto ai diritti fondamentali (v. sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 100 e giurisprudenza ivi citata).

72

Pertanto, il criterio pertinente deve essere interpretato nel senso che esso non riguarda, in modo astratto, qualsiasi atto di appropriazione indebita di fondi pubblici, ma piuttosto fatti di appropriazione indebita di fondi o di beni pubblici che, in considerazione dell’importo o del tipo di fondi o di beni sottratti o del contesto in cui essi si sono verificati, sono quantomeno idonei a pregiudicare i fondamenti istituzionali e giuridici dell’Ucraina, in particolare i principi di legalità, di divieto di arbitrarietà del potere esecutivo, del controllo giurisdizionale effettivo e di uguaglianza davanti alla legge e, in ultima analisi, pregiudicare il rispetto dello Stato di diritto in tale paese. Interpretato in tal modo, detto criterio è conforme e proporzionato agli obiettivi rilevanti del trattato UE (sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 101).

73

Alla luce di tale giurisprudenza, che le parti non mettono in discussione, si deve concludere nel senso che il criterio pertinente, così interpretato, non è illegittimo e poteva essere introdotto da atti fondati sull’articolo 29 TUE e sull’articolo 215 TFUE che costituiscono, quindi, basi giuridiche appropriate.

74

Ne deriva che, con la previsione del criterio pertinente, il Consiglio non ha violato l’articolo 40, primo comma, TUE, ai sensi del quale l’attuazione della PESC lascia impregiudicata l’applicazione delle procedure e la rispettiva portata delle attribuzioni delle istituzioni previste dai trattati per l’esercizio delle competenze dell’Unione di cui agli articoli da 3 a 6 TFUE.

75

In ultimo, si deve ricordare che, secondo la giurisprudenza, l’UPG è una delle più alte autorità giurisdizionali in Ucraina, in quanto agisce, in tale Stato, in qualità di pubblico ministero nell’amministrazione della giustizia penale e conduce indagini preliminari nell’ambio dei procedimenti penali (v., in tal senso, sentenza del 19 ottobre 2017, Yanukovych/Consiglio, C‑598/16 P, non pubblicata, EU:C:2017:786, punto 53). Allo stesso modo, è già stato dichiarato che prove fornite dall’UPG, a condizione che il loro contenuto sia sufficientemente preciso, possono giustificare l’adozione di misure restrittive nei confronti delle persone oggetto di procedimenti penali per appropriazione indebita di fondi pubblici (v., in tal senso, sentenza del 15 settembre 2016, Yanukovych/Consiglio, T‑346/14, EU:T:2016:497, punto 139), come ammette, inoltre, anche il ricorrente.

76

Alla luce delle considerazioni che precedono, le censure del ricorrente vertenti sull’illegittimità, sul carattere sproporzionato e sull’assenza di base giuridica del criterio pertinente devono essere respinte in toto.

77

Si deve, tuttavia, esaminare se il Consiglio, nell’applicare il criterio pertinente al ricorrente, interpretato nel senso indicato, in particolare, al punto 72 supra, non abbia commesso un errore manifesto di valutazione.

Sull’esistenza di errori manifesti di valutazione commessi nell’applicazione del criterio pertinente al ricorrente

78

Il ricorrente sostiene, in sostanza, che, al momento dell’adozione degli atti impugnati, il Consiglio non disponeva di una base fattuale sufficientemente solida.

79

Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, contesta gli argomenti del ricorrente.

80

Prima di esaminare più in dettaglio gli argomenti di quest’ultimo, occorre formulare considerazioni preliminari sul controllo giurisdizionale e sugli obblighi del Consiglio.

Sul controllo giurisdizionale e sugli obblighi del Consiglio

81

Secondo la giurisprudenza, spetta al giudice dell’Unione, nell’esercizio del suo controllo giurisdizionale delle misure restrittive, riconoscere al Consiglio un ampio margine di discrezionalità per la definizione dei criteri generali che delimitano l’ambito delle persone che possono essere oggetto di tali misure (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 81 e giurisprudenza ivi citata).

82

Tuttavia, l’effettività del controllo giurisdizionale garantito dall’articolo 47 della Carta esige che, nell’ambito del controllo della legittimità delle motivazioni su cui si fonda la decisione di iscrivere il nome di una persona nell’elenco di quelle sottoposte a misure restrittive, il giudice dell’Unione si assicuri che detta decisione, la quale riveste portata individuale per tale persona, poggi su una base fattuale sufficientemente solida. Ciò comporta una verifica dei fatti addotti nell’esposizione dei motivi sottesa a tale decisione, cosicché il controllo giurisdizionale non si limiti alla valutazione dell’astratta verosimiglianza dei motivi dedotti, ma consista invece nell’accertare se questi motivi, o per lo meno uno di essi considerato di per sé sufficiente a suffragare la medesima decisione, abbiano un fondamento sufficientemente preciso e concreto (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 82 e giurisprudenza ivi citata).

83

Secondo la giurisprudenza, il Consiglio non è tenuto a svolgere ex officio e sistematicamente le proprie indagini o ad effettuare verifiche al fine di ottenere precisazioni aggiuntive, allorché dispone già di elementi forniti dalle autorità di un paese terzo per adottare misure restrittive nei confronti di persone da esso provenienti e che in esso sono sottoposte a procedimenti giudiziari (sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 83 e giurisprudenza ivi citata).

84

A tale proposito, si deve ricordare, come osservato al punto 75 supra, che l’UPG è una delle più alte autorità giurisdizionali ucraine.

85

Vero è che spettava, nella fattispecie, al Consiglio esaminare con attenzione e imparzialità gli elementi di prova ad esso trasmessi dalle autorità ucraine, alla luce, in particolare, delle osservazioni e degli eventuali elementi a discarico presentati dal ricorrente. Peraltro, nell’ambito dell’adozione di misure restrittive, il Consiglio è soggetto all’obbligo di rispettare il principio di buona amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta, al quale è collegato, secondo costante giurisprudenza, l’obbligo dell’istituzione competente di esaminare, con cura e imparzialità, tutti gli elementi pertinenti della fattispecie (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 85 e giurisprudenza ivi citata).

86

Tuttavia, risulta altresì dalla giurisprudenza che, per valutare la natura, le modalità e l’intensità della prova che può essere richiesta dal Consiglio, occorre tener conto della natura e della portata specifica delle misure restrittive nonché del loro obiettivo (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 86 e giurisprudenza ivi citata).

87

A tale riguardo, come emerge dai considerando 1 e 2 della decisione 2014/119 (v. punto 3 supra), quest’ultima s’inserisce nel quadro più generale di una politica dell’Unione di sostegno alle autorità ucraine, destinata a favorire la stabilità politica dell’Ucraina. Essa risponde quindi agli obiettivi della PESC, definiti, in particolare, all’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), TUE, in forza del quale l’Unione attua una cooperazione internazionale al fine di consolidare e sostenere la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti dell’uomo e i principi del diritto internazionale (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 87 e giurisprudenza ivi citata).

88

È in tale contesto che le misure restrittive controverse prevedono il congelamento dei capitali e delle risorse economiche, segnatamente, di persone identificate come responsabili dell’appropriazione indebita di fondi pubblici statali ucraini. Infatti, l’agevolazione del recupero di tali fondi rafforza e sostiene lo Stato di diritto in Ucraina (v. punti da 68 a 72, supra).

89

Ne consegue che le misure restrittive controverse non mirano a sanzionare azioni illecite che siano state commesse dalle persone ad esse soggette, né a dissuaderle coattivamente dal commettere siffatti reati. Tali misure hanno il solo scopo di agevolare l’accertamento, da parte delle autorità ucraine, delle appropriazioni indebite di fondi statali commesse e di preservare la possibilità, per tali autorità, di recuperare il prodotto di siffatte appropriazioni. Esse rivestono quindi natura puramente conservativa (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 89 e giurisprudenza ivi citata).

90

In tal senso, le misure restrittive controverse, che sono state disposte dal Consiglio sulla base delle competenze ad esso conferite dagli articoli 21 e 29 TUE, sono prive di connotazione penale. Pertanto, esse non possono essere assimilate a una decisione di congelamento di beni adottata da un’autorità giudiziaria nazionale di uno Stato membro nell’ambito del procedimento penale applicabile e nel rispetto delle garanzie offerte da tale procedimento. Conseguentemente, i requisiti che si impongono al Consiglio, per quanto riguarda le prove su cui è basata l’iscrizione del nome di una persona nell’elenco di coloro che sono assoggettati a tale congelamento dei beni, non possono essere esattamente identici a quelli che incombono all’autorità giudiziaria nazionale nel caso suddetto (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 90 e giurisprudenza ivi citata).

91

Nel caso di specie, ciò che spetta al Consiglio verificare è, da un lato, in che misura le informazioni trasmesse dall’UPG sulle quali esso si è basato consentono di dimostrare che, come indicano le motivazioni dell’inserimento del nome del ricorrente nell’elenco di cui trattasi, egli è sottoposto a procedimenti penali, da parte delle autorità ucraine, per fatti che possono rientrare nell’appropriazione indebita di fondi statali e, dall’altro, che i suddetti procedimenti consentano di qualificare le azioni del ricorrente conformemente al criterio pertinente. Solo nel caso in cui tali verifiche restassero infruttuose il Consiglio sarebbe tenuto, alla luce della giurisprudenza rammentata al precedente punto 85, ad effettuare verifiche ulteriori (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 91 e giurisprudenza ivi citata).

92

Peraltro, nell’ambito della cooperazione disciplinata dagli atti di cui trattasi (v. punto 87 supra), non spetta, in linea di principio, al Consiglio esaminare e valutare esso stesso l’esattezza e la pertinenza degli elementi sui quali le autorità ucraine si basano per lo svolgimento di procedimenti penali riguardanti il ricorrente per fatti qualificabili come appropriazione indebita di fondi statali. Infatti, come illustrato al punto 89 supra, il Consiglio, adottando gli atti impugnati, non mira a sanzionare esso stesso le appropriazioni indebite di fondi statali su cui indagano le autorità ucraine, bensì a preservare la possibilità, per le suddette autorità, di accertare tali appropriazioni recuperando, nel contempo, il loro prodotto. È dunque a tali autorità che spetta, nell’ambito di detti procedimenti, verificare gli elementi sui quali esse si fondano ed eventualmente trarne le conseguenze per quanto riguarda l’esito di tali procedimenti. Peraltro, come risulta dal precedente punto 90, gli obblighi del Consiglio nell’ambito degli atti di cui trattasi non possono essere equiparati a quelli di un’autorità giudiziaria nazionale di uno Stato membro nell’ambito di un procedimento penale di congelamento dei beni, avviato in particolare nell’ambito della cooperazione penale internazionale (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 92 giurisprudenza ivi citata).

93

Tale interpretazione è confermata dal punto 77 della sentenza del 5 marzo 2015, Ezz e a./Consiglio (C‑220/14 P, EU:C:2015:147), nella quale la Corte ha dichiarato, in circostanze analoghe a quelle della presente causa, che spettava al Consiglio o al Tribunale verificare non già la fondatezza delle indagini di cui erano oggetto i ricorrenti, bensì unicamente la fondatezza della decisione di congelamento dei capitali alla luce della domanda di assistenza giudiziaria delle autorità egiziane.

94

È vero che il Consiglio non può accettare, in ogni circostanza, le constatazioni delle autorità giudiziarie ucraine contenute nei documenti forniti da queste ultime. Un comportamento siffatto non sarebbe conforme al principio di buona amministrazione né, in generale, all’obbligo che incombe alle istituzioni dell’Unione di rispettare i diritti fondamentali nell’applicazione del diritto dell’Unione, in forza del combinato disposto dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, TUE e dell’articolo 51, paragrafo 1, della Carta (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 94 e giurisprudenza ivi citata).

95

Tuttavia, spetta al Consiglio valutare, in funzione delle circostanze del caso di specie, la necessità di effettuare verifiche supplementari, in particolare di richiedere alle autorità ucraine di trasmettere ulteriori elementi di prova qualora quelli già forniti risultino insufficienti o incoerenti. Non può, infatti, escludersi che elementi portati a conoscenza del Consiglio, dalle stesse autorità ucraine o in un altro modo, inducano la suddetta istituzione a dubitare del carattere sufficiente delle prove già fornite da tali autorità. Peraltro, nell’ambito della facoltà che deve essere riconosciuta alle persone interessate di presentare osservazioni sulle ragioni di cui il Consiglio intende avvalersi per mantenere il loro nome nell’elenco di cui trattasi, dette persone possono presentare elementi siffatti, o addirittura elementi a discarico, che rendano necessario lo svolgimento di ulteriori verifiche da parte del Consiglio. In particolare, anche se non spetta al Consiglio sostituirsi alle autorità giudiziarie ucraine nella valutazione della fondatezza dei procedimenti penali menzionati nelle lettere dell’UPG, non si può escludere che alla luce, in particolare, delle osservazioni del ricorrente, tale istituzione sia tenuta a richiedere alle autorità ucraine chiarimenti in merito agli elementi su cui tali procedimenti sono basati (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 95 e giurisprudenza ivi citata).

96

È alla luce di tali considerazioni che occorre valutare la fondatezza del presente motivo.

Sul carattere sufficiente delle informazioni trasmesse dall’UPG.

97

In primo luogo, il ricorrente fa valere che il Consiglio ha l’onere della prova allorché adotta misure restrittive nei confronti di una persona e che qualsiasi decisione adottata in tale contesto deve poggiare su una base fattuale sufficientemente solida e che consente di dimostrare l’esistenza di un procedimento penale a carico di tale persona e relativo a fatti di appropriazione indebita di fondi, idonei a pregiudicare i fondamenti istituzionali e giuridici dell’Ucraina. In tale contesto, il ricorrente sostiene che l’appropriazione indebita di fondi che gli è contestata nelle lettere dell’UPG sulle quali si è fondato il Consiglio, in particolare in quella del 25 luglio 2016, riguarda beni immobili, i quali, per loro stessa natura, sono ubicati sempre in Ucraina e non possono essere trasferiti all’estero. Tale lettera non fornirebbe dettagli sufficienti e non spiegherebbe in che modo il ricorrente abbia potuto ottenere la somma di [riservato] hrivna ucraine (UAH) ivi menzionata. Di conseguenza, tale asserita appropriazione, potrebbe essere contrastata solo da azioni effettuate dalle autorità ucraine, con la conseguenza che il congelamento di capitali del ricorrente deciso dal Consiglio non produrrebbe alcun effetto su tale asserita appropriazione.

98

Il ricorrente aggiunge che il Consiglio non può dedurre argomenti pertinenti dal fatto che la lettera dell’UPG del 25 luglio 2016 menziona che, nel corso dell’indagine, sono stati sequestrati beni [riservato] su domanda dell’inquirente, con decisioni del tribunale distrettuale [riservato] (in prosieguo: il «tribunale distrettuale») adottate nel 2014 e nel 2015. Infatti, la sola informazione che riguarda direttamente il ricorrente concernerebbe il sequestro [riservato], circostanza che non può costituire un argomento a sostegno convincente per un procedimento penale relativo ad una asserita appropriazione di beni immobili di un valore di UAH [riservato].

99

Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, fa valere che l’appropriazione indebita di fondi contestata al ricorrente ha causato una perdita per i fondi o i beni pubblici dello Stato ucraino. Infatti, quest’ultimo sarebbe privato dei suoi diritti di proprietà, di uso e di godimento sui fondi o beni sottratti, comprese le entrate che essi potrebbero generare, e ciò fino al momento in cui sarà posto fine all’appropriazione, ad esempio mediante una decisione giudiziaria divenuta definitiva. Peraltro, il Consiglio precisa che, con ordinanza del 3 ottobre 2014, il tribunale distrettuale ha ordinato il sequestro [riservato].

100

È pacifico tra le parti che, in occasione dell’adozione degli atti impugnati, il Consiglio si è fondato essenzialmente sulle informazioni contenute nella lettera dell’UPG del 25 luglio 2016 e sulle risposte dello stesso.

101

A tale proposito, va ricordato che tale lettera contiene le informazioni di cui al punto 49 supra.

102

L’UPG ha indicato, altresì, che i fatti descritti nella lettera di cui trattasi integrano il reato definito all’articolo 191, paragrafo 5, del codice penale ucraino, relativo all’appropriazione di beni altrui mediante un piano illecito ordito da un gruppo di persone, relativo ad un importo particolarmente elevato.

103

Inoltre, l’UPG ha rilevato che, nel corso dell’indagine, sono stati sequestrati beni [riservato] su domanda dell’inquirente, con le decisioni del tribunale distrettuale del 2014 e del 2015.

104

In tali circostanze, si deve constatare che il Consiglio, allorché ha adottato gli atti impugnati, disponeva di informazioni sufficientemente precise per quanto riguarda il reato di cui il ricorrente era sospettato e lo stato del procedimento penale ad esso relativo.

105

Per quanto riguarda l’argomento del ricorrente vertente sul fatto che, nella specie, si tratterebbe di appropriazione di beni immobili, che non possono, per loro natura, essere trasferiti al di fuori dell’Ucraina, occorre osservare che il criterio pertinente non prevede che, affinché una persona possa essere designata, debba sussistere un rischio che i fondi pubblici che essa è sospettata di aver sottratto siano trasferiti all’estero. Pertanto, il riferimento all’appropriazione indebita di fondi pubblici, ove fondato, è di per sé sufficiente a giustificare le misure restrittive nei confronti del ricorrente (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 106 e giurisprudenza ivi citata).

106

A tale proposito, risulta dalla giurisprudenza che la nozione di appropriazione indebita di fondi pubblici abbraccia qualsiasi atto che consista nell’uso illecito di risorse appartenenti agli enti pubblici, o che sono collocate sotto il loro controllo, per fini contrari a quelli per i quali tali risorse sono destinate e, in particolare, per fini privati. Per rientrare nella suddetta nozione, tale uso deve quindi avere come conseguenza un pregiudizio arrecato agli interessi finanziari di tali enti e dunque deve aver cagionato un danno che può essere valutato in termini finanziari (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 107 e giurisprudenza ivi citata).

107

Una tale interpretazione, estensiva, della nozione di cui trattasi è necessaria per garantire che la decisione 2014/119 dispieghi in pieno il suo effetto utile, affinché i suoi obiettivi di rafforzamento dello Stato di diritto in Ucraina siano realizzati. Tenuto conto, peraltro, del carattere meramente conservativo della misura controversa, il principio generale di diritto dell’Unione di legalità dei reati e delle pene, sancito dall’articolo 49, paragrafo 1, prima frase della Carta, da un lato, e quello della presunzione d’innocenza, sancito dall’articolo 48, paragrafo 1, della Carta, dall’altro, non sono applicabili nella presente fattispecie e non possono, di conseguenza, ostare ad una tale interpretazione estensiva (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 109 e giurisprudenza ivi citata).

108

Nella specie, come fa notare giustamente il Consiglio, l’appropriazione indebita di fondi o di beni pubblici descritta nella lettera del 25 luglio 2016, finché persiste e non vi è stato rimedio, ad esempio in forza di una decisione giudiziaria divenuta definitiva, causa una perdita per lo Stato ucraino, che è privato dei suoi diritti di proprietà, di uso e di godimento dei fondi o beni sottratti, incluse le entrate che questi ultimi potrebbero generare (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 110 e giurisprudenza ivi citata).

109

Il fatto che, in seguito alle misure restrittive previste negli atti impugnati, i capitali del ricorrente nell’Unione siano provvisoriamente congelati contribuisce a facilitare il compito delle autorità ucraine di recuperare i fondi e i beni pubblici sottratti, nell’ipotesi in cui il ricorrente fosse condannato, e completa le misure adottate a livello nazionale, come il sequestro dei beni ordinato dal tribunale distrettuale (v. punto 103 supra) (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 111 e giurisprudenza ivi citata).

110

Infatti, nell’ipotesi in cui le accuse nei confronti del ricorrente fossero riconosciute come fondate dai giudici ucraini e che essi ordinassero il recupero dei fondi indebitamente sottratti, quest’ultimo potrà avvenire, in particolare, utilizzando i fondi che il ricorrente possa aver collocato nell’Unione. A tale proposito, importa poco sapere se tali eventuali fondi trovano la loro origine nella transazione oggetto dell’indagine nei confronti del ricorrente, poiché ciò che conta è facilitare il recupero da parte dello Stato ucraino di fondi che non avrebbero mai dovuto essergli sottratti (v. sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 112 e giurisprudenza ivi citata).

111

Tenuto conto di quanto precede, occorre respingere tali argomenti del ricorrente.

112

In secondo luogo, il ricorrente ricorda di aver fatto valere, dinanzi al Consiglio, che i fatti che gli sono contestati nella lettera dell’UPG del 25 luglio 2016 risalivano agli anni 2006 e 2007 ed erano già stati esaminati nel 2008 da giudici ucraini, che non avevano riscontrato niente di illecito. Secondo il ricorrente, se è vero che il Consiglio ha reagito a tali argomenti formulando questioni all’UPG in proposito, tuttavia le risposte di quest’ultimo non erano sufficienti, in particolare per quanto riguarda il rispetto del principio del ne bis in idem, con la conseguenza che il Consiglio non poteva considerare di disporre di elementi sufficienti per giustificare il mantenimento del suo nome nell’elenco di cui trattasi. Peraltro, il ricorrente sostiene che il Consiglio non può addebitargli di non aver prodotto documenti a sostegno dei suoi argomenti, poiché spetta al Consiglio assicurarsi di disporre di una base fattuale sufficientemente solida.

113

Il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, ricorda che il ricorrente, allorché ha sostenuto che i fatti addebitatigli erano già stati esaminati dai giudici ucraini, non ha presentato le pertinenti decisioni giudiziarie. A tale proposito, il Consiglio ritiene di essere stato proattivo, in quanto ha chiesto un complemento di informazioni all’UPG il quale, nelle sue risposte ai quesiti del Consiglio, ha fornito le precisazioni necessaire e ha indicato, in particolare, che i fatti in questione non erano stati valutati dal punto di vista del diritto penale. L’applicazione del principio del ne bis in idem sarebbe quindi esclusa. In tali circostanze, il Consiglio avrebbe avuto a disposizione una base fattuale sufficientemente solida per giustificare il mantenimento delle misure restrittive nei confronti del ricorrente.

114

Va ricordato che, in seguito agli argomenti che il ricorrente aveva dedotto nell’ambito della causa che ha dato luogo alla sentenze del 22 marzo 2018. Stavytskyi/Consiglio (T‑242/16, non pubblicata. EU:T:2018:166), il Consiglio ha posto taluni quesiti all’UPG, segnatamente al fine di verificare se, come sosteneva il ricorrente, i fatti che gli erano contestati nell’ambito del procedimento penale di cui ad una lettera dell’UPG del 30 novembre 2015, che coincide con quello di cui alla lettera del 25 luglio 2016, risalivano al periodo 2006-2007 ed erano già stati esaminati da giudici ucraini.

115

Le risposte dell’UPG ai quesiti del Consiglio si ritrovano in un documento di lavoro del Consiglio del 16 novembre 2016. Secondo tale documento, in primo luogo, la transazione immobiliare connessa all’appropriazione indebita di fondi pubblici addebitata al ricorrente è avvenuta nel 2006 e 2007 e si è concretizzata in un accordo di scambio [riservato]:

[riservato].

[riservato].

[riservato].

116

Dopo aver ricevuto dal Consiglio le risposte dell’UPG, il ricorrente, con lettera del 13 gennaio 2017, ha risposto, segnatamente, che l’accordo di scambio [riservato] era stato riconosciuto come legittimo da diverse decisioni di giudici ucraini nel 2008 e nel 2009, [riservato] e dal tribunale distrettuale, che hanno tutti concluso nel senso dell’assenza di comportamenti illegittimi. Inoltre, il ricorrente ha segnalato che, nel 2009, l’UPG aveva verificato la legittimità delle azioni effettuate, segnatamente da lui, durante la conclusione di detto accordo e ha riconosciuto l’assenza di illegittimità.

117

È pacifico tra le parti che il Consiglio, dopo aver letto la lettera del ricorrente del 13 gennaio 2017, non ha chiesto all’UPG ulteriori informazioni. A tale proposito, il Consiglio fa valere che esso poteva limitarsi a fare affidamento sulle informazioni asseritamente circostanziate che l’UPG gli aveva già fornito, poiché il ricorrente non aveva allegato alla sua lettera le decisioni giudiziarie che vi menzionava.

118

Il ricorrente, dal canto suo, ritiene che le risposte dell’UPG fossero molto generiche e poco informative. Infatti, secondo il ricorrente, l’UPG, sebbene avesse confermato che gli atti imputati al ricorrente, risalenti al 2006-2007 sono stati in seguito giudicati legittimi, afferma che l’indagine attualmente in corso ha fornito prove di colpevolezza, senza precisare alcun fatto in rapporto con tale indagine. Peraltro, l’UPG non indicherebbe le ragioni in base alle quali la nuova indagine è compatibile con il principio del ne bis in idem.

119

A tale proposito, si deve considerare, alla luce degli elementi che il ricorrente aveva fatto valere, che il Consiglio doveva rivolgersi nuovamente all’UPG, in applicazione dei principi rammentati ai punti 94 e 95 supra.

120

Infatti, contrariamente a quanto sostiene il Consiglio, gli elementi di cui esso disponeva non consentivano di escludere che il procedimento penale sul quale si era fondato per il mantenimento delle misure restrittive nei confronti del ricorrente violassero il principio del ne bis in idem.

121

In tale contesto, in primo luogo, si deve rilevare che, nella lettera del 13 gennaio 2017, il ricorrente faceva riferimento non soltanto alle decisioni di tribunali economici o amministrativi, ma altresì a una decisione del tribunale distrettuale, vale a dire il medesimo tribunale citato nella lettera dell’UPG del 25 luglio 2016.

122

[riservato].

123

In terzo luogo, va ricordato che il principio del ne bis in idem è un principio generale di diritto dell’Unione, che si applica indipendentemente da ogni testo giuridico (sentenza del 18 ottobre 2001, X/BCE, T‑333/99, EU:T:2001:251, punto 149).

124

Per quanto riguarda i giudici degli Stati membri, tale principio è riconosciuto dall’articolo 50 della Carta.

125

Inoltre, occorre fare riferimento all’articolo 4 del protocollo n. 7 alla Convezione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, rubricato «Diritto di non essere giudicato o punito due volte», il quale dispone quanto segue:

«1.   Nessuno può essere perseguito o condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato per un reato per il quale è già stato assolto o condannato a seguito di una sentenza definitiva conformemente alla legge ed alla procedura penale di tale Stato.

2.   Le disposizioni del paragrafo precedente non impediscono la riapertura del processo, conformemente alla legge ed alla procedura penale dello Stato interessato, se fatti sopravvenuti o nuove rivelazioni o un vizio fondamentale nella procedura antecedente sono in grado di inficiare la sentenza intervenuta».

126

A tale proposito, si deve rilevare che detto protocollo è applicabile all’Ucraina.

127

Secondo la giurisprudenza, è possibile che una decisione, emessa da un’autorità incaricata di amministrare la giustizia penale nell’ordinamento giuridico nazionale interessato, di porre fine ai procedimenti penali a carico di un soggetto, abbia l’effetto, a talune condizioni, di estinguere completamente l’azione penale. In una tale ipotesi, la situazione della persona interessata deve essere considerata come rientrante nell’ambito di applicazione del principio del ne bis in idem, e ciò a prescindere dal fatto che nessun giudice intervenga nel corso di una siffatta procedura e che la decisione presa al termine di quest’ultima non assuma le forme di una sentenza (v., in tal senso, sentenza dell’11 febbraio 2003, Gözütok e Brügge, C‑187/01 e C‑385/01, EU:C:2003:87, punti da 27 a 31). Per contro, il principio del ne bis in idem non si applica ad una decisione mediante la quale un’autorità di uno Stato membro, al termine di un esame nel merito della causa sottopostole, dispone, in una fase precedente all’incriminazione di una persona sospettata di aver commesso un reato, la sospensione del procedimento penale, qualora detta decisione di sospensione, secondo il diritto nazionale di tale Stato, non estingua definitivamente l’azione penale e non costituisca quindi un ostacolo a nuovi procedimenti penali, per gli stessi fatti, in detto Stato (v., in tal senso, sentenza del 22 dicembre 2008, Turanský, C‑491/07, EU:C:2008:768, punto 45).

128

Alla luce delle osservazioni che precedono, si deve constatare che le informazioni di cui disponeva il Consiglio, sulla base delle risposte dell’UPG, al momento dell’adozione degli atti impugnati, non gli consentivano di stabilire se il procedimento penale a carico del ricorrente, la cui esistenza costituiva il fondamento del mantenimento delle misure restrittive nei suoi confronti, violasse il principio del ne bis in idem, dal momento che il Consiglio non sapeva quale era il tenore della decisione del tribunale distrettuale e delle decisioni citate dall’UPG nella sua lettera del 13 gennaio 2017.

129

Orbene, per quanto non spetti al Consiglio verificare la fondatezza del procedimento penale in corso in Ucraina (v. punti da 91 a 93 supra), né tanto meno valutare la conformità di tali procedimenti alle norme processuali applicabili in forza del diritto ucraino (sentenza del 22 marzo 2018, Stavytskyi/Consiglio, T‑242/16, non pubblicata, EU:T:2018:166, punto 134), esso è tuttavia tenuto ad assicurarsi che il procedimento penale sul quale si basa per mantenere misure restrittive nei confronti di una persona non violi il principio del ne bis in idem, purché la persona interessata gli fornisca elementi idonei ad ingenerare un dubbio in proposito.

130

Se è vero che, nella lettera del 13 gennaio 2017 il ricorrente non ha espressamente menzionato il principio del ne bis in idem né ha prodotto le decisioni delle autorità ucraine idonee a dimostrare che il procedimento di cui è oggetto al momento viola tale principio, le informazioni da esso fornite erano tuttavia sufficienti a far sorgere l’obbligo per il Consiglio di chiedere all’UPG informazioni supplementari, tenuto conto altresì del tenore delle risposte che quest’ultimo gli aveva già fornito, e che menzionavano, in particolare, il fatto che gli organi incaricati dei procedimenti avevano deciso di non avviare un’indagine penale (v. punto 115 supra).

131

In tale contesto, va precisato che la questione non è stabilire se, alla luce degli elementi portati a conoscenza del Consiglio, quest’ultimo fosse tenuto a porre fine all’iscrizione del nome del ricorrente nell’elenco in ragione del fatto che il procedimento penale a suo carico violava il principio del ne bis in idem, ma soltanto determinare se esso fosse tenuto a prendere in considerazione tali elementi e a procedere a ulteriori verifiche o a richiedere chiarimenti alle autorità ucraine. Pertanto, è sufficiente che detti elementi siano tali da suscitare perplessità legittime relative allo svolgimento dell’indagine e al carattere sufficiente delle informazioni fornite dall’UPG (v., in tal senso, sentenza del 21 febbraio 2018, Klyuyev/Consiglio, T‑731/15, EU:T:2018:90, punto 242).

132

Peraltro, occorre rilevare che, al momento dell’adozione degli atti impugnati, il ricorrente era oggetto delle misure restrittive di cui trattasi da diversi anni e ciò sempre in ragione dell’esistenza del medesimo procedimento penale avviato dall’UPG. In un tale contesto, da un lato, l’UPG doveva, in linea di principio, essere in grado di fornire al Consiglio tutte le informazioni ulteriori delle quali esso poteva avere bisogno e, dall’altro lato, il Consiglio doveva ritenersi a maggior ragione tenuto ad approfondire la questione di un’eventuale violazione di un principio fondamentale, come il principio del ne bis in idem, da parte delle autorità ucraine a discapito del ricorrente.

133

Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve constatare che, avendo adottato gli atti impugnati senza chiedere alle autorità ucraine ulteriori informazioni, il Consiglio è incorso in un errore manifesto di valutazione, il che basta ad annullare tali atti per quanto riguarda il ricorrente, senza che sia necessario esaminare i suoi altri argomenti.

134

Riguardo alla domanda presentata dal Consiglio in subordine (v. punto 36, secondo trattino, supra), diretta, in sostanza, al mantenimento degli effetti della decisione 2017/381 fino alla scadenza del termine previsto per proporre impugnazione e, qualora sia proposta impugnazione, fino alla decisione che statuisse in proposito, è sufficiente osservare che la decisione 2017/381 ha prodotto effetti soltanto fino al 6 marzo 2018. Di conseguenza, il suo annullamento mediante la presente sentenza non produce effetti sul periodo successivo a tale data, cosicché non è necessario pronunciarsi sulla questione del mantenimento degli effetti di tale decisione (v. sentenza del 6 giugno 2018, Arbuzov/Consiglio, T‑258/17, EU:T:2018:331, punto 107 e giurisprudenza ivi citata).

Sulle spese

135

Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Il Consiglio, rimasto soccombente, va condannato alle spese sostenute dal ricorrente conformemente alle conclusioni di quest’ultimo.

136

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura, le istituzioni intervenute nella causa sopportano le proprie spese. Ne consegue che la Commissione sopporterà le proprie spese.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Sesta Sezione)

dichiara e statuisce:

 

1)

La decisione (PESC) 2017/381 del Consiglio, del 3 marzo 2017, che modifica la decisione 2014/119/PESC relativa a misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina, e il regolamento di esecuzione (UE) 2017/374 del Consiglio, del 3 marzo 2017, che attua il regolamento (UE) n. 208/2014 concernente misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina, sono annullati nella parte in cui il nome del sig. Edward Stavytskyi è stato mantenuto nell’elenco delle persone, entità e organismi ai quali si applicano dette misure restrittive.

 

2)

Il Consiglio sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dal sig. Stavytskyi.

 

3)

La Commissione europea sopporterà le proprie spese.

 

Berardis

Spielmann

Csehi

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 30 gennaio 2019.

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.

( 1 ) Dati riservati omessi.