SENTENZA DELLA CORTE (Quarta Sezione)

18 ottobre 2018 ( *1 )

«Impugnazione – Dumping – Regolamento (CE) n. 397/2004 – Importazioni di biancheria da letto di cotone originarie del Pakistan – Persistenza dell’interesse ad agire»

Nella causa C‑100/17 P,

avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 24 febbraio 2017,

Gul Ahmed Textile Mills Ltd, con sede in Karachi (Pakistan), rappresentata da L. Ruessmann, avocat, e J. Beck, solicitor,

ricorrente,

procedimento in cui le altre parti sono:

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato da J.-P. Hix, in qualità di agente, assistito da R. Bierwagen e C. Hipp, Rechtsanwälte,

convenuto in primo grado,

Commissione europea, rappresentata da J.-F. Brakeland e N. Kuplewatzky, in qualità di agenti,

interveniente in primo grado,

LA CORTE (Quarta Sezione),

composta da T. von Danwitz, presidente della Settima Sezione, facente funzione di presidente della Quarta Sezione, K. Jürimäe, C. Lycourgos, E. Juhász (relatore), e C. Vajda giudici,

avvocato generale: E. Sharpston

cancelliere: L. Hewlett, amministratore principale

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 25 gennaio 2018,

sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 marzo 2018,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

Con la sua impugnazione, la Gul Ahmed Textile Mills Ltd (in prosieguo; la «Gul Ahmed») chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea, del 15 dicembre 2016, Gul Ahmed Textile Mills/Consiglio (T‑199/04 RENV, non pubblicata; in prosieguo: la sentenza impugnata, EU:T:2016:740), con la quale il Tribunale ha respinto il suo ricorso diretto all’annullamento del regolamento (CE) n. 397/2004, del 2 marzo 2004, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di biancheria da letto di cotone originarie del Pakistan (GU 2004, L 66, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento controverso»), nella parte riguardante la ricorrente.

Fatti e regolamento controverso

2

Ai fini del presente procedimento, i fatti possono essere sintetizzati come segue:

3

La Gul Ahmed è una società di diritto pakistano che produce ed esporta biancheria da letto verso l’Unione europea.

4

A seguito di una denuncia depositata il 4 novembre 2002, la Commissione europea avviava un’inchiesta antidumping relativa alle importazioni di biancheria da letto di fibra di cotone, pura o mista con fibre sintetiche o artificiali o con lino (non come fibra principale), imbianchita, tinta o stampata, originarie del Pakistan e concernenti il periodo compreso tra il 1o ottobre 2001 e il 30 settembre 2002. L’esame delle tendenze utili ai fini della valutazione del pregiudizio riguardava il periodo compreso tra il 1999 e la fine del periodo d’inchiesta.

5

Il 10 dicembre 2003 la Commissione trasmetteva alla ricorrente un documento d’informazione finale generale che specificava i fatti e i motivi per i quali essa proponeva l’adozione di misure antidumping definitive, nonché un documento d’informazione finale specifico per la ricorrente. Con lettera del 5 gennaio 2004, la ricorrente contestava le conclusioni della Commissione, quali esposte in tali documenti. Ulteriori informazioni venivano trasmesse dalla ricorrente alla Commissione con lettere del 16 febbraio 2004.

6

Il 17 febbraio 2004 la Commissione rispondeva alla lettera del 5 gennaio 2004. Pur apportando talune rettifiche ai suoi calcoli, tale istituzione confermava le conclusioni alle quali era pervenuta nei documenti d’informazione indicati nel punto precedente. Con lettera del 27 febbraio 2004, la ricorrente insisteva sugli errori in cui la Commissione sarebbe incorsa nella sua analisi.

7

Il 2 marzo 2004 il Consiglio dell’Unione europea adottava il regolamento controverso.

8

Al considerando 70 del regolamento controverso, il Consiglio constatava un margine di dumping medio generale del 13,1%, applicabile a tutti i produttori-esportatori pakistani.

9

Il Consiglio, poi, nella parte riservata all’analisi del prezzo, intervenendo nell’ambito generale dello studio del pregiudizio subito dall’industria dell’Unione, rilevava, in sostanza, al considerando 92 di detto regolamento, che i prezzi medi al kg dei produttori dell’Unione erano aumentati progressivamente nel periodo considerato e che, per valutare tale evoluzione, occorreva tener conto del fatto che tale prezzo medio comprendeva i modelli sia di alta qualità che di bassa qualità del prodotto in questione e che «l’industria [dell’Unione] è stata obbligata a spostare la sua produzione più verso la nicchia dei prodotti di alta qualità, poiché le sue vendite in grandi volumi destinate al mercato di massa sono state soppiantate dalle importazioni a basso prezzo».

10

Al considerando 101 del regolamento controverso, il Consiglio affermava che la situazione dell’industria dell’Unione si era deteriorata, rilevando che, riguardo ai prezzi di vendita medi dei produttori inclusi nel campione, «[essi] avevano registrato una tendenza all’aumento nel periodo considerato, il che è però riconducibile in parte al riorientamento di queste società verso prodotti di nicchia di più alta qualità».

11

Nella parte generale riservata all’analisi del nesso di causalità, il Consiglio, nell’ambito dello studio degli effetti delle importazioni oggetto di dumping, osservava, in sostanza, ai considerando 104 e 105 del regolamento controverso, che sia il volume delle importazioni di biancheria da letto di cotone originaria del Pakistan sia la quota di mercato corrispondente di tale paese erano aumentati all’interno dell’Unione. Il Consiglio rilevava inoltre che «i prezzi delle importazioni in dumping erano notevolmente inferiori a quelli dell’industria [dell’Unione] e a quelli degli esportatori di altri paesi terzi. Si è constatato inoltre che l’industria [dell’Unione] ha dovuto ritirarsi ampiamente dai segmenti di mercato a basso prezzo, nei quali predominano le importazioni dal Pakistan; questo dato mette in evidenza anche il nesso causale tra le importazioni oggetto di dumping e il pregiudizio subito dall’industria [dell’Unione]».

12

Infine, nell’analisi degli effetti di altri fattori, il Consiglio, al considerando 109 del regolamento controverso, rilevava che le importazioni originarie di paesi terzi diversi dall’India e dal Pakistan erano aumentate nel periodo dell’inchiesta. In proposito, il Consiglio sottolineava che, «[g]razie ai collegamenti esistenti tra società turche e società [dell’Unione], vi è una certa integrazione del mercato sotto forma di scambi interaziendali tra i produttori esportatori turchi e gli operatori [dell’Unione], che induce a pensare che la decisione di importare da tale paese non sia legata solo al prezzo dei prodotti. Questa ipotesi è confermata dai prezzi medi del prodotto in esame praticati dai produttori esportatori turchi durante il PI, che superavano quasi del 45% i prezzi indiani e del 34% i prezzi pakistani. È pertanto improbabile che le importazioni originarie della Turchia annullino il nesso causale tra le importazioni in dumping dal Pakistan e il pregiudizio subito dall’industria [dell’Unione]».

13

Al considerando 112 del regolamento controverso, il Consiglio rilevava infine che «[s]i è sostenuto che la domanda di biancheria da letto prodotta dall’industria [dell’Unione] è diminuita in termini di volume perché questa industria si è concentrata sul segmento superiore del mercato, nel quale il volume delle vendite è più basso. Tuttavia, come si è già indicato, il consumo totale di biancheria da letto [nell’Unione] non è diminuito, bensì aumentato nel periodo considerato. La maggior parte dei produttori [dell’Unione] offre linee di prodotti diverse destinate a segmenti diversi del mercato. Le marche superiori generano margini elevati, ma si vendono solo in quantità molto limitate. Per utilizzare al massimo le sue capacità e per coprire i costi di produzione fissi, l’industria [dell’Unione] ha bisogno anche di vendere grandi volumi nel segmento inferiore del mercato. Non vi sono segni di una diminuzione della domanda in tale segmento, nel quale del resto stanno penetrando sempre più le importazioni a basso prezzo, che causano pregiudizio all’industria [dell’Unione]. Alla luce del generale aumento del consumo, che non è limitato ad un segmento particolare del mercato, non si può pertanto ritenere che la situazione della domanda [nell’Unione] annulli il nesso causale tra le importazioni in dumping dal Pakistan e il pregiudizio subito dall’industria [dell’Unione]».

14

Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, del regolamento controverso, è stato istituito un dazio antidumping del 13,1% sulle importazioni di biancheria da letto di fibra di cotone originarie del Pakistan, rientranti nei codici della nomenclatura combinata previsti in tale regolamento.

15

In esito a un riesame intermedio parziale, limitato al dumping, effettuato d’ufficio conformemente all’articolo 11, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1; in prosieguo: il «regolamento di base»), sul fondamento di un nuovo periodo d’inchiesta compreso tra il 1o aprile 2003 e il 31 marzo 2004, il Consiglio modificava il regolamento controverso adottando il regolamento (CE) n. 695/2006, del 5 maggio 2006 (GU 2006, L 121, pag. 14), che ha introdotto nuove aliquote di dazi antidumping oscillanti tra lo 0 e l’8,5%. In considerazione dell’elevato numero di produttori-esportatori che avevano cooperato, era stato preso un campione che includeva la ricorrente. L’aliquota del dazio antidumping definitivo applicabile ai suoi prodotti veniva fissata al 5,6%.

16

Conformemente all’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento di base, il dazio antidumping definitivo così istituito era scaduto il 2 marzo 2009, ossia cinque anni dopo la sua introduzione.

Ricorso dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata

17

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 28 maggio 2004, la Gul Ahmed ha chiesto al Tribunale l’annullamento del regolamento controverso.

18

Tale ricorso si basava su cinque motivi di diritto, concernenti rispettivamente:

la violazione, riguardo all’avvio dell’inchiesta, dell’articolo 5, paragrafi 7 e 9, del regolamento di base, e degli articoli 5.1 e 5.2 dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GATT) (GU 1994, L 336, pag. 103; in prosieguo: il «codice antidumping del 1994»), che figura nell’allegato 1 A dell’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 (GU 1994, L 336, pag. 1);

un errore manifesto di valutazione e la violazione degli articoli 2, paragrafi 3 e 5, e 18, paragrafo 4, del regolamento di base, nonché la violazione del codice antidumping del 1994, per quanto concerne il calcolo del valore normale;

la violazione dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, del codice antidumping del 1994 e dell’obbligo di adeguata motivazione ai sensi dell’articolo 253 CE, per quanto attiene all’adeguamento a titolo di restituzione dei dazi avvenuto in sede di confronto tra il valore normale e il prezzo all’esportazione;

un errore manifesto di valutazione e la violazione dell’articolo 3, paragrafi da 1 a 3 e 5, del regolamento di base, nonché la violazione del codice antidumping del 1994, riguardo all’accertamento della sussistenza di un grave pregiudizio;

un errore manifesto di valutazione e la violazione dell’articolo 3, paragrafi 6 e 7, del regolamento di base, nonché la violazione del codice antidumping del 1994, riguardo all’accertamento di un nesso di causalità tra le importazioni asseritamente oggetto di dumping e il pregiudizio dedotto.

19

Con sentenza del 27 settembre 2011, Gul Ahmed Textile Mills/Consiglio (T‑199/04, non pubblicata, EU:T:2011:535), il Tribunale, senza esaminare gli altri motivi che gli erano stati sottoposti, ha accolto la terza parte del quinto motivo, poiché il Consiglio aveva commesso un errore di diritto astenendosi dall’esaminare se, in applicazione dell’articolo 3, paragrafo 7, del regolamento di base, l’abolizione dei dazi antidumping anteriori e l’istituzione del sistema di preferenze generalizzate a favore del Pakistan avessero avuto l’effetto di spezzare il nesso di causalità tra le importazioni oggetto di dumping originarie del Pakistan e il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione, e ha annullato il regolamento controverso relativamente alla Gul Ahmed.

20

Il Consiglio, con il sostegno della Commissione, ha proposto impugnazione avverso tale sentenza per ottenerne l’annullamento.

21

Con sentenza del 14 novembre 2013, Consiglio/Gul Ahmed Textile Mills (C‑638/11 P, EU:C:2013:732), la Corte ha annullato la sentenza del 27 settembre 2011, Gul Ahmed Textile Mills/Consiglio (T‑199/04, non pubblicata, EU:T:2011:535) e ha rinviato la causa al Tribunale.

22

Il 26 novembre 2015 il Tribunale ha svolto un’udienza nell’ambito della causa T‑199/04 RENV, nel corso della quale il Consiglio, sostenuto dalla Commissione, ha fatto valere che l’interesse ad agire della Gul Ahmed era venuto meno.

23

A sostegno di tale asserzione, le due istituzioni hanno affermato che i dazi antidumping istituiti dal regolamento controverso erano scaduti il 2 marzo 2009, sicché le esportazioni del prodotto in questione non risultavano più assoggettate a tali dazi. Esse hanno altresì sostenuto che, ai sensi dell’articolo 46 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, il termine per proporre un’azione di responsabilità extracontrattuale per un danno causato nell’ambito dell’applicazione di tali dazi era scaduto il 1o marzo 2014 e che anche il diritto al rimborso dei dazi antidumping, in forza dell’articolo 236 del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1), era caduto in prescrizione. Esse hanno affermato che, di conseguenza, l’annullamento richiesto non era più idoneo ad apportare alcun beneficio alla Gul Ahmed.

24

Il Tribunale ha concesso alla Gul Ahmed un termine di due settimane dalla data dell’udienza per presentare le sue osservazioni sull’eccezione relativa al venir meno di un interesse ad agire così sollevata.

25

Con lettera del 10 dicembre 2015, la Gul Ahmed ha presentato le proprie osservazioni, facendo valere la persistenza del suo interesse ad agire. A tal fine, essa ha dedotto, in primo luogo, la persistenza del suo interesse a recuperare le spese presso il Consiglio, in secondo luogo, la possibilità di proporre in futuro un’azione per il risarcimento dei danni causati dall’omessa decisione della controversia da parte del giudice dell’Unione entro un termine ragionevole, in terzo luogo, la possibilità di ottenere il rimborso del dazio antidumping definitivo pagato, in quarto luogo, il suo interesse ad assicurarsi che simili condotte illegittime non si ripetano in futuro e, in quinto luogo, la possibilità di ripristinare la sua reputazione con la prosecuzione del procedimento.

26

Con lettere del 6 e del 20 gennaio 2016, la Commissione e il Consiglio hanno presentato le loro osservazioni. In sostanza, essi hanno chiesto al Tribunale di respingere gli argomenti della Gul Ahmed e di dichiarare che l’impresa aveva perso ogni interesse ad agire.

27

Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il ricorso della Gul Ahmed.

Domande delle parti in sede di impugnazione

28

La ricorrente chiede alla Corte di annullare la sentenza impugnata e di condannare il Consiglio alle spese sostenute nell’ambito dell’impugnazione e del procedimento dinanzi al Tribunale.

29

Il Consiglio e la Commissione chiedono alla Corte di respingere l’impugnazione e di condannare la ricorrente alle spese.

Sull’impugnazione

30

A sostegno della sua impugnazione, la ricorrente deduce due motivi, vertenti sul fatto che, da un lato, il Tribunale, dichiarando che non occorreva più statuire sul suo secondo e terzo motivo giacché essa non aveva più alcun interesse ad agire, avrebbe violato l’articolo 36 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, relativo all’obbligo di motivazione delle sentenze, e avrebbe commesso un errore di diritto, e che, dall’altro, il Tribunale sarebbe incorso in errori di diritto e avrebbe snaturato i fatti riguardo al rigetto del suo quinto motivo.

Sul primo motivo

Argomenti delle parti

31

Il primo motivo verte sulla motivazione della sentenza impugnata, che figura nei punti da 42 a 60 di quest’ultima. Esso è suddiviso in quattro parti.

32

Con la prima parte del primo motivo, la ricorrente contesta, in sostanza, al Tribunale di essere venuto meno, ai punti 49, 57 e 60 della sentenza impugnata, al suo obbligo di motivazione e di aver violato l’articolo 129 del regolamento di procedura del Tribunale, avendole richiesto di fornire la prova della persistenza del suo interesse ad agire nell’ambito del procedimento diretto a ottenere l’annullamento del regolamento controverso, mentre, a suo parere, l’interesse ad agire deve essere dimostrato dal ricorrente solo al momento di presentazione della domanda di annullamento dell’atto in questione e, una volta dimostrato tale interesse, spetta alla parte che si avvale della cessazione di quest’ultimo fornirne la prova. Essa aggiunge che il Tribunale ha violato i diritti della difesa esaminando unicamente gli argomenti sviluppati per dimostrare la persistenza del suo interesse ad agire, senza prendere in considerazione gli altri elementi del fascicolo.

33

Con la seconda parte del primo motivo, la ricorrente fa valere che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale al punto 58 della sentenza impugnata, gli errori relativi alla determinazione del prezzo all’esportazione e a quella del valore normale nonché gli errori concernenti i calcoli di dumping rientravano negli errori di metodo, che avrebbero potuto ripresentarsi in futuro, e non in meri errori sostanziali propri della controversia, il che avrebbe dovuto comportare l’annullamento del regolamento controverso, tanto più che sarebbe nell’interesse generale dell’Unione sanzionare siffatte irregolarità, che violano l’articolo 2 del regolamento di base.

34

Con la terza parte del primo motivo, la ricorrente contesta il punto 58 della sentenza impugnata, nella parte in cui, rilevando che l’adeguamento a titolo di restituzione dei dazi in forza dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base era stato parzialmente respinto in quanto tale domanda non era suffragata da alcun elemento di prova adeguato, il Tribunale è venuto meno al suo obbligo di motivazione.

35

Con la quarta parte del suo primo motivo, la ricorrente contesta al Tribunale di non aver risposto all’argomento secondo cui il fatto di negare un interesse ad agire per l’annullamento di atti che non hanno comportato la riscossione di somme e che scadono prima che il Tribunale si pronunci sulla loro validità sottrarrebbe tali atti a qualsiasi controllo giurisdizionale, costituendo pertanto una violazione dell’articolo 263 TFUE, come già dichiarato dal Tribunale nella sentenza del 18 marzo 2009, Shanghai Excell M&E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio (T‑299/05, EU:T:2009:72).

36

Il Consiglio e la Commissione contestano gli argomenti della ricorrente.

Giudizio della Corte

37

Riguardo alla prima parte del primo motivo, secondo costante giurisprudenza della Corte, un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica è ricevibile solo ove quest’ultima abbia un interesse all’annullamento dell’atto impugnato. Un tale interesse presuppone che l’annullamento di detto atto possa produrre di per sé conseguenze giuridiche e che il ricorso possa pertanto, con il suo esito, procurare un beneficio alla parte che lo ha proposto. La prova di un interesse del genere, che va valutato il giorno di proposizione del ricorso e che costituisce il presupposto essenziale e preliminare di qualsiasi azione giurisdizionale, deve essere fornita dal ricorrente (v., in tal senso, sentenza del 4 giugno 2015, Andechser Molkerei Scheitz/Commissione, C‑682/13 P, non pubblicata, EU:C:2015:356, punti da 25 a 27 e giurisprudenza ivi citata).

38

Inoltre, tale interesse deve sussistere fino all’esito del procedimento e il giudice adito può sollevare d’ufficio e in qualsiasi momento di quest’ultimo la mancanza di interesse di una parte a mantenere la propria domanda a causa del verificarsi di un fatto intervenuto successivamente alla data dell’atto introduttivo del giudizio (v., in tal senso, sentenze del 19 ottobre 1995, Rendo e a./Commissione, C‑19/93 P, EU:C:1995:339, punto 13, e del 17 settembre 2015, Mory e a./Commissione, C‑33/14 P, EU:C:2015:609, punto 57).

39

Il Tribunale, se può sollevare d’ufficio e in qualsiasi momento del procedimento una questione vertente sulla mancata persistenza dell’interesse ad agire del ricorrente, può anche esaminare siffatta questione se essa è stata sollevata in corso di causa da una parte che si avvale a tal fine di elementi sufficientemente seri.

40

Nell’ambito di detto esame, spetta al Tribunale invitare il ricorrente a chiarire tale questione e consentirgli di produrre gli elementi atti a dimostrare adeguatamente la persistenza del suo interesse ad agire.

41

Nel caso di specie, il Consiglio e la Commissione, all’udienza del 15 novembre 2015 dinanzi al Tribunale, hanno fatto valere che non era più necessario statuire a causa del venir meno dell’interesse ad agire della ricorrente, basandosi, a tal fine, su elementi sufficientemente seri. A seguito di detta udienza, la ricorrente è stata invitata a fornire spiegazioni su tale questione e ha avuto la possibilità di produrre ogni elemento di prova che avrebbe contraddetto le argomentazioni delle istituzioni.

42

Pertanto, il Tribunale non ha violato l’onere della prova né è venuto meno al suo obbligo di motivazione nel dichiarare che non occorreva più statuire sul secondo e sul terzo motivo, poiché, dopo aver esaminato l’insieme degli elementi di fatto e di diritto di cui le parti si erano avvalse riguardo alla persistenza dell’interesse ad agire della ricorrente e sui quali esse avevano potuto prendere posizione, il Tribunale ha considerato che la ricorrente non aveva adeguatamente dimostrato di continuare ad avere un interesse per detti due motivi diretti all’annullamento del regolamento controverso.

43

Inoltre, la ricorrente afferma a torto che il Tribunale ha violato i diritti della difesa, sebbene, dopo aver dato a quest’ultima la possibilità di fornire spiegazioni sull’eccezione relativa al venir meno dell’interesse ad agire, il Tribunale avesse risposto a tutti gli elementi di fatto e di diritto sviluppati dalla ricorrente per dimostrare la persistenza di tale interesse, ciò che esso era tenuto a fare, come indicato nei punti 39 e 40 della presente sentenza.

44

Dai suddetti elementi risulta che occorre respingere la prima parte del primo motivo in quanto infondata.

45

Quanto alla seconda parte del primo motivo, si deve rilevare che, per giurisprudenza costante della Corte, un’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’ annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda e non deve costituire in realtà una domanda diretta ad ottenere un semplice riesame dell’atto introduttivo presentato dinanzi al Tribunale (v., in tal senso, ordinanza del 17 settembre 1996, San Marco/Commissione, C‑19/95 P, EU:C:1996:331, punti 3738).

46

Nel caso di specie, la ricorrente si limita a far valere nella sua impugnazione errori di metodo di calcolo, senza definirli, e incoerenze nei risultati dei calcoli di dumping, senza dimostrare i motivi per i quali tali errori potrebbero ripetersi in futuro. Inoltre, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 75 delle sue conclusioni, la ricorrente ha fatto valere, nell’udienza dinanzi alla Corte, che, a suo parere, la Commissione aveva basato le proprie constatazioni su scelte ad hoc e arbitrarie, senza definire una qualsivoglia specifica metodologia di calcolo. Pertanto, la ricorrente ha essa stessa riconosciuto in udienza che i presunti errori erano specificamente attinenti alle circostanze della fattispecie.

47

Occorre quindi respingere la seconda parte in quanto irricevibile.

48

Riguardo alla terza parte del primo motivo, va rilevato che, come sottolineato dall’avvocato generale al paragrafo 78 delle sue conclusioni, essa si fonda su una lettura chiaramente errata del punto 58 della sentenza impugnata, con il quale il Tribunale si limita a constatare che la ricorrente non ha alcun interesse ad agire per il motivo che le conclusioni contenute nel regolamento controverso e di cui la ricorrente contesta la legittimità sono strettamente connesse alle circostanze particolari della causa sottoposta al suo esame. È in tale contesto che il Tribunale, in detto punto 58, ha rilevato unicamente che l’adeguamento a titolo di restituzione dei dazi è stato parzialmente rifiutato dal Consiglio in mancanza di elementi di prova idonei forniti dalla ricorrente.

49

Di conseguenza, la terza parte del primo motivo dev’essere respinta in quanto infondata.

50

Per quanto concerne la quarta parte del primo motivo, va anzitutto rilevato che il ragionamento sviluppato dal Tribunale ai punti 56 e 57 della sentenza del 18 marzo 2009, Shanghai Excell M&E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio (T‑299/05, EU:T:2009:72), mirava direttamente a confutare la tesi elaborata dal Consiglio in detto procedimento, sintetizzata al punto 44 di tale sentenza, secondo la quale le parti ricorrenti in detta causa non avevano più un interesse ad agire, poiché, dopo la proposizione del ricorso di annullamento, il regolamento di cui chiedevano l’annullamento era scaduto ed esse non avevano pagato alcun dazio antidumping sulla base di quest’ultimo.

51

Orbene, va sottolineato che il Tribunale, nella sentenza impugnata, non ha in alcun modo accertato il venir meno dell’interesse ad agire della ricorrente per i soli motivi che il regolamento controverso non aveva più effetto alla data di pronuncia del Tribunale sul ricorso di annullamento e che la ricorrente non aveva dimostrato di aver pagato i dazi antidumping a norma di detto regolamento.

52

Infatti, per constatare che non occorreva più statuire sul secondo e sul terzo motivo, il Tribunale si è basato su cinque motivi, vale a dire, in primo luogo, l’interesse al recupero delle spese del procedimento non può essere considerato idoneo a comprovare la persistenza dell’interesse ad agire della ricorrente (punto 52 della sentenza impugnata), in secondo luogo, nemmeno la presunta durata eccessiva di tale procedimento era idonea a comprovare la persistenza del suo interesse ad agire (punto 53 della sentenza impugnata), in terzo luogo, la ricorrente non ha dimostrato l’effettuazione del pagamento dei dazi antidumping in applicazione del regolamento controverso, in quanto i dazi antidumping pagati dalla sua affiliata non erano stati pagati ai sensi del regolamento controverso, bensì del regolamento n. 695/2006 che lo aveva modificato (punti 54 e 55 della sentenza impugnata), in quarto luogo, le illegittimità di cui il regolamento controverso sarebbe stato inficiato non potevano ripetersi indipendentemente dalle circostanze del caso (punti da 56 a 58) e, in quinto luogo, l’argomento relativo al ripristino della reputazione della ricorrente non era giustificato (punto 59).

53

Va inoltre rilevato che il Tribunale, al punto 54 di detta sentenza, ha considerato che il regolamento n. 695/2006 aveva stabilito un nuovo valore normale e lo aveva raffrontato con il prezzo all’esportazione, per trarne la conclusione che la ricorrente non aveva più un interesse ad agire riguardo al secondo e al terzo motivo, relativi rispettivamente a errori commessi nel regolamento controverso concernenti la determinazione del valore normale e nel confronto di quest’ultimo con il prezzo all’esportazione nel regolamento controverso, in assenza di una richiesta di rimborso dei dazi riscossi sul fondamento di quest’ultimo regolamento.

54

Orbene, il Tribunale ha giustamente tratto una siffatta conclusione, in quanto, come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 99 delle sue conclusioni, la ricorrente non ha dimostrato, entro il termine di tre anni dalla data di notifica dell’obbligazione doganale previsto all’articolo 121, paragrafo 1, lettera a), del regolamento (UE) n. 952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 ottobre 2013, che istituisce il codice doganale dell’Unione (GU 2013, L 269, pag. 1), di aver chiesto alle autorità doganali il rimborso delle somme sul fondamento dell’atto che essa riteneva illegittimo (v., in tal senso, sentenze del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale, C‑351/04, EU:C:2007:547, punto 67, nonché del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma, C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punto 188 e giurisprudenza ivi citata).

55

Di conseguenza, contrariamente a quanto affermato dalla ricorrente a sostegno della quarta parte del suo primo motivo nell’ambito della presente impugnazione, la sentenza impugnata consente di conoscere le ragioni per le quali il Tribunale non ha recepito nel caso di specie il ragionamento esposto nei punti 56 e 57 della sentenza del 18 marzo 2009, Shanghai Excell M&E Enterprise e Shanghai Adeptech Precision/Consiglio (T‑299/05, EU:T:2009:72).

56

Pertanto, anche la quarta parte del primo motivo dev’essere respinta in quanto infondata, cosicché occorre respingere tale motivo nel suo insieme.

Sul secondo motivo

Argomenti delle parti

57

Con il secondo motivo, la ricorrente contesta i punti 162, 163, 168, 169 e 170 della sentenza impugnata, con i quali il Tribunale ha respinto il quinto motivo a sostegno del suo ricorso di annullamento, secondo cui il nesso di causalità esistente tra le importazioni di biancheria da letto originarie del Pakistan e il pregiudizio significativo subito dall’industria dell’Unione in tale settore sarebbe rimesso in discussione, da un lato, dal riorientamento di tale industria verso il settore dei prodotti di alta gamma e, dall’altro, dall’aumento delle importazioni provenienti da produttori turchi collegati a quelli dell’Unione.

58

Con la prima parte del suo secondo motivo, la ricorrente sostiene che il Tribunale ha snaturato i fatti, nel rilevare, ai punti 162 e 163 della sentenza impugnata, che il riorientamento dell’industria dell’Unione verso il settore superiore del mercato non poteva essere considerato idoneo a rimettere in discussione il nesso di causalità esistente tra le importazioni oggetto di dumping originarie del Pakistan e il pregiudizio subito da tale industria, sebbene i considerando 92 e 112 del regolamento controverso avessero constatato una diminuzione dei volumi di vendita in tale settore. Essa aggiunge che il Tribunale ha commesso un errore di diritto nel non rispondere al suo argomento secondo cui il riorientamento dell’industria dell’Unione era già in corso prima dell’avvio del periodo d’inchiesta.

59

Con la seconda parte del suo secondo motivo, la ricorrente fa valere che il Tribunale, al punto 168 della sentenza impugnata, ha snaturato gli elementi contenuti nel regolamento controverso, considerando che il fatto che le istituzioni avessero accertato alcuni collegamenti tra l’industria dell’Unione e quella di altri paesi non comportava di per sé che esse fossero al corrente di una strategia di delocalizzazione, sebbene il considerando 109 del regolamento controverso avesse constatato l’esistenza di collegamenti tra l’industria dell’Unione e l’industria turca, nonché una certa integrazione nel mercato di quest’ultima industria, il che metteva in evidenza l’esistenza di una strategia di delocalizzazione dell’industria dell’Unione verso la Turchia.

60

La ricorrente aggiunge che, riguardo al punto 169 della sentenza impugnata, il Tribunale ha snaturato i fatti nel rilevare che essa aveva affermato che la delocalizzazione della produzione di biancheria da letto dall’industria dell’Unione verso altri paesi aveva annullato il nesso di causalità tra il pregiudizio subito da tale industria e le importazioni originarie del Pakistan. Essa osserva inoltre che il Tribunale non ha motivato l’affermazione contenuta nel punto 170 della sentenza impugnata, secondo cui i considerando da 109 a 111 del regolamento controverso mettevano in evidenza il fatto che il Consiglio avesse valutato in maniera giuridicamente soddisfacente l’impatto delle importazioni dalla Turchia del prodotto in questione. Infine, essa fa valere che la sentenza impugnata non esamina nemmeno l’effetto combinato dell’orientamento dell’industria dell’Unione verso il settore dei prodotti di alta qualità e l’aumento parallelo delle importazioni provenienti da produttori turchi collegati all’industria dell’Unione.

61

Il Consiglio e la Commissione contestano gli argomenti della ricorrente.

Giudizio della Corte

62

Va ricordato che, in forza di una giurisprudenza costante della Corte, lo snaturamento degli elementi di fatto e di prova deve emergere in modo manifesto dagli atti di causa, senza che sia necessario procedere a una nuova valutazione di tali elementi (sentenza del 2 giugno 2016, Photo USA Electronic Graphic/Consiglio, C‑31/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:390, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

63

Inoltre, secondo una giurisprudenza parimenti costante, nel settore della politica commerciale comune e specialmente in materia di misure di difesa commerciale, le istituzioni dell’Unione godono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche e politiche che devono esaminare. Quanto al sindacato giurisdizionale di un siffatto potere discrezionale, esso deve quindi limitarsi all’accertamento del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, nonché dell’assenza di errore manifesto nella valutazione di tali fatti o di sviamento di potere [v., in tal senso, sentenze del 7 maggio 1987, Nachi Fujikoshi/Consiglio, 255/84, EU:C:1987:203, punto 21, e del 14 dicembre 2017, EBMA/Giant (Cina), C‑61/16 P, EU:C:2017:968, punto 68 e giurisprudenza ivi citata].

64

La Corte ha altresì dichiarato che il controllo da parte del Tribunale degli elementi di prova sui quali le istituzioni dell’Unione fondano le proprie constatazioni non costituisce una nuova valutazione dei fatti che sostituisce quella di tali istituzioni. Tale controllo non incide sull’ampio potere discrezionale di tali istituzioni nell’ambito della politica commerciale, ma si limita a rilevare se i suddetti elementi siano idonei a suffragare le conclusioni cui sono giunte le istituzioni. Il Tribunale è quindi tenuto non solo a verificare l’esattezza materiale degli elementi di prova addotti, la loro attendibilità e la loro coerenza, ma altresì ad accertare se tali elementi costituiscano l’insieme dei dati rilevanti che devono essere presi in considerazione per valutare una situazione complessa e se siano di natura tale da corroborare le conclusioni che ne sono state tratte [sentenza del 14 dicembre 2017, EBMA/Giant (Cina), C‑61/16 P, EU:C:2017:968, punto 69 e giurisprudenza ivi citata].

65

Nel caso di specie, per quanto concerne l’addebito relativo allo snaturamento di cui si avvale la ricorrente a sostegno della prima parte del suo secondo motivo, diretta avverso i punti 162 e 163 della sentenza impugnata, occorre sottolineare, riguardo alle considerazioni che figurano nel primo di tali punti, che i considerando 92 e 112 del regolamento controverso hanno rilevato, da un lato, che «l’industria [dell’Unione] è stata obbligata a spostare la sua produzione più verso la nicchia dei prodotti di alta qualità, poiché le sue vendite in grandi volumi destinate al mercato di massa sono state soppiantate dalle importazioni a basso prezzo» e, dall’altro, che «[l]a maggior parte dei produttori [dell’Unione] offre linee di prodotti diverse destinate a segmenti diversi del mercato. Le marche superiori generano margini elevati, ma si vendono solo in quantità molto limitate. Per utilizzare al massimo le sue capacità e per coprire i costi di produzione fissi, l’industria [dell’Unione] avrebbe bisogno anche di vendere grandi volumi nel segmento inferiore del mercato. (…) Alla luce del generale aumento del consumo, che non è limitato ad un segmento particolare del mercato, non si può pertanto ritenere che la situazione della domanda [nell’Unione] annulli il nesso causale tra le importazioni in dumping dal Pakistan e il pregiudizio subito dall’industria [dell’Unione]».

66

Contrariamente a quanto afferma la ricorrente, il punto 162 della sentenza impugnata, secondo cui il grave pregiudizio all’industria dell’Unione non poteva essere riconducibile all’asserita stagnazione della domanda nel settore dei prodotti di alta qualità, poiché la domanda nell’Unione era aumentata in tutti i settori, non contraddice in alcun modo i due considerando menzionati nel punto precedente, ragion per cui si deve respingere tale addebito in quanto infondato.

67

Per quanto concerne l’addebito diretto contro il punto 163 della sentenza impugnata, occorre rilevare che il motivo contenuto nel punto 162 della sentenza impugnata è di per sé sufficiente per giustificare il rigetto dell’argomento della ricorrente.

68

Ne consegue che tale addebito dev’essere respinto in quanto irrilevante. Pertanto, occorre respingere la prima parte del secondo motivo.

69

Riguardo alla seconda parte del secondo motivo, diretta contro i punti da 168 a 170 della sentenza impugnata, va osservato che, ai considerando 109 e 111 del regolamento controverso, il Consiglio ha rilevato la sussistenza di collegamenti tra l’industria dell’Unione e l’industria turca, nonché una certa integrazione del mercato sotto forma di scambi tra imprese, il che induceva a ritenere che la decisione di importare da tale paese non fosse unicamente legata al prezzo. Esso ha concluso che le importazioni provenienti da paesi terzi diversi dal Pakistan non erano tali da rimettere in discussione il nesso di causalità tra le importazioni originarie del Pakistan oggetto di dumping e il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione, dal momento che i prezzi dei prodotti provenienti dall’industria di questi altri paesi terzi erano superiori a quelli dell’industria pakistana.

70

Per quanto concerne anzitutto il punto 168 della sentenza impugnata, secondo cui «il fatto che le istituzioni abbiano constatato alcuni legami economici tra l’industria dell’Unione e quella di altri paesi non comporta di per sé che esse fossero al corrente di una strategia di delocalizzazione avente l’obiettivo di sostituire la produzione dell’Unione con la produzione delocalizzata», da quest’ultimo non si evince in modo manifesto che il Tribunale ha commesso uno snaturamento degli elementi indicati nel punto precedente, in quanto la constatazione dell’esistenza di legami tra l’industria dell’Unione e l’industria turca, nonché di importazioni che non sono unicamente motivate dai prezzi, non è di per sé sufficiente per individuare una strategia volontaria di delocalizzazione da parte dell’industria dell’Unione, tale da rimettere in discussione l’esistenza del pregiudizio subito da detta industria dell’Unione a causa delle importazioni provenienti dal Pakistan.

71

Pertanto, in applicazione della giurisprudenza menzionata al punto 62 della presente sentenza, si deve respingere in quanto infondato l’addebito dedotto dalla ricorrente a sostegno della seconda parte del suo secondo motivo, secondo cui il Tribunale ha commesso, al punto 168 della sentenza impugnata, uno snaturamento dei fatti ad esso sottoposti.

72

Per quanto concerne, poi, l’addebito diretto contro il punto 169 della sentenza impugnata, anch’esso relativo a uno snaturamento da parte del Tribunale dei fatti sottoposti alla sua valutazione, occorre rilevare che, al punto 172 del suo ricorso di annullamento dinanzi al Tribunale, la ricorrente ha affermato che, «poiché la lieve perdita di quote di mercato subita dalla produzione del[l’Unione] è stata compensata dall’aumento della quota di mercato delle importazioni provenienti dalla produzione delocalizzata controllata dall’industria [dell’Unione], qualsiasi eventuale pregiudizio subito dall’industria [dell’Unione] non è causato dalle importazioni dal Pakistan, bensì dalla decisione dei produttori [dell’Unione] di ricorrere alla produzione offshore da questi controllata per rifornirsi di biancheria da letto di scarso valore e venderla nel[l’Unione]».

73

Pertanto, contrariamente a quanto afferma la ricorrente nell’ambito del presente addebito, con le considerazioni esposte nel punto precedente, essa ha rimesso in discussione il nesso di causalità esistente tra il pregiudizio subito dall’industria dell’Unione e le importazioni originarie del Pakistan.

74

Occorre quindi respingere tale addebito in quanto infondato.

75

Per quanto concerne il terzo addebito dedotto dalla ricorrente a sostegno della seconda parte del suo secondo motivo, va rilevato che, nel dichiarare, al punto 170 della sentenza impugnata, che dai considerando da 109 a 111 del regolamento controverso risultava che il Consiglio aveva valutato in maniera giuridicamente soddisfacente l’impatto delle importazioni del prodotto in questione da altri paesi terzi, tra cui la Turchia, e che aveva così potuto concludere, senza commettere errori manifesti di valutazione, che i prezzi relativamente elevati delle importazioni originarie di tali paesi rispetto a quelli delle importazioni provenienti dal Pakistan ostavano a che le importazioni originarie dei paesi terzi annullassero detto nesso di causalità, il Tribunale ha motivato correttamente la propria decisione.

76

Infatti, dopo aver rilevato che la ricorrente non aveva fornito alcun elemento di prova idoneo a rimettere in discussione tale nesso di causalità, il Tribunale ha ritenuto che il Consiglio non avesse commesso alcun errore manifesto nella valutazione dei fatti e che gli elementi contenuti nel regolamento controverso fossero atti a dimostrare in maniera giuridicamente soddisfacente siffatto nesso di causalità.

77

Ne consegue che il presente addebito dev’essere respinto in quanto infondato.

78

Riguardo, infine, all’addebito relativo alla mancanza di analisi dell’effetto combinato di altri fattori, va rilevato che il Tribunale, ai punti da 178 a 181 della sentenza impugnata, ha motivato le ragioni per le quali non occorreva analizzarli, senza che la ricorrente illustrasse nella propria impugnazione i motivi per i quali il Tribunale avrebbe in tal modo commesso un errore di diritto.

79

Pertanto, si deve respingere tale addebito in quanto irricevibile e, di conseguenza, la seconda parte del secondo motivo in quanto, in parte, irricevibile e, in parte, infondata.

80

Dagli elementi che precedono risulta che il secondo motivo dev’essere respinto in quanto, in parte, irricevibile e, in parte, infondato, nonché l’impugnazione nel suo insieme, in quanto, in parte, infondata e, in parte, irricevibile.

Sulle spese

81

Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

82

Poiché la Gul Ahmed è rimasta soccombente, occorre condannarla alle spese, conformemente alla domanda del Consiglio e della Commissione.

 

Per questi motivi, la Corte (Quarta Sezione) dichiara e statuisce:

 

1)

L’impugnazione è respinta.

 

2)

La Gul Ahmed Textile Mills Ltd è condannata alle spese.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’inglese.