CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

GERARD HOGAN

presentate il 19 marzo 2020 ( 1 )

Causa C‑517/17

Milkiyas Addis

contro

Bundesrepublik Deutschland

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania)]

«Rinvio pregiudiziale – Spazio di libertà, sicurezza e giustizia – Politica d’asilo – Direttiva 2013/32/UE – Procedure comuni ai fini della concessione e del rifiuto di protezione internazionale – Articolo 33 – Domande inammissibili – Articolo 33, paragrafo 2, lettera a) –Rigetto di una domanda d’asilo a seguito della concessione di protezione internazionale in un altro Stato membro – Articoli 14 e 34 – Omessa conduzione del colloquio personale – Conseguenze – Procedimenti di impugnazione – Articolo 46 – Diritto a un ricorso effettivo – Esame completo ed ex nunc – Questione della possibilità per un giudice di sanare l’omessa conduzione del colloquio personale da parte di un’autorità accertante»

I. Introduzione

1.

La presente domanda di pronuncia pregiudiziale, nella sua versione attuale, riguarda l’interpretazione dell’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2013/32/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale ( 2 ), e della disposizione che l’ha preceduta, segnatamente l’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2005/85/CE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato ( 3 ). L’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 stabilisce che al richiedente protezione internazionale o status di rifugiato deve essere concesso un colloquio personale prima che l’autorità accertante adotti una decisione.

2.

La domanda scaturisce da un procedimento dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) fra il sig. Milkiyas Addis e la Bundesrepublik Deutschland (Repubblica federale di Germania) vertente, tra l’altro, su una decisione del Bundesamt für Migration und Flüchtlinge (Ufficio federale per l’immigrazione e i rifugiati, Germania; in prosieguo: il «Bundesamt»), adottata nel febbraio 2013, che ha respinto la domanda del sig. Addis di riconoscimento dello status di rifugiato.

3.

La domanda del sig. Addis di riconoscimento dello status di rifugiato in Germania è stata respinta dal Bundesamt in quanto inammissibile, a motivo del fatto che gli era già stato concesso lo status di rifugiato in Italia. È pacifico, tuttavia, che tale decisione è stata adottata in violazione del diritto del sig. Addis, ai sensi delle norme nazionali e dell’Unione, a un colloquio personale condotto dall’autorità accertante, nella fattispecie il Bundesamt, sulla questione dell’ammissibilità della sua domanda. Come vedremo, la questione fondamentale posta dal presente rinvio riguarda le conseguenze dell’inosservanza di una disposizione espressa e obbligatoria della direttiva procedure.

4.

In tale contesto, il giudice del rinvio chiede alla Corte se le eccezioni previste dalla direttiva procedure per quanto riguarda l’obbligo di condurre un colloquio personale siano tassative e, in particolare, se l’omessa conduzione di tale colloquio debba comportare l’annullamento della decisione di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato del sig. Addis in quanto inammissibile. Il giudice del rinvio chiede, inoltre, se l’omessa conduzione del colloquio personale da parte del Bundesamt possa, e, in caso affermativo, a quali condizioni, essere sanata nel corso del procedimento di impugnazione avviato dal sig. Addis per contestare la legittimità della decisione che ha rigettato, in quanto inammissibile, la sua domanda di riconoscimento dello status di rifugiato.

5.

Il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha chiesto altresì se la decisione del Bundesamt in merito all’inammissibilità debba essere annullata qualora un richiedente lo status di rifugiato abbia avuto la possibilità, nel corso di un successivo procedimento di impugnazione, di dedurre motivi o argomenti diretti a contestare la decisione di inammissibilità e, anche nel caso in cui tutti tali motivi o argomenti siano presi in considerazione, non condurrebbero all’adozione di una decisione diversa.

6.

Prima di illustrare le disposizioni giuridiche applicabili e i fatti della presente causa, richiamerò brevemente l’iter procedurale alquanto complesso della presente causa dinanzi alla Corte. Esso è dovuto al fatto che le questioni proposte dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) nella presente causa si sono parzialmente sovrapposte, sebbene non completamente, a quelle proposte nelle cause che hanno condotto alla sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a ( 4 ).

II. Procedimento dinanzi alla Corte

7.

La domanda di pronuncia pregiudiziale nella presente causa C‑517/17, che originariamente si articolava in tre questioni, è stata depositata presso la cancelleria della Corte il 28 agosto 2017. Con decisione del 29 settembre 2017, il presidente della Corte ha riunito le cause C‑517/17 (la presente causa), C‑540/17 e C‑541/17. Il 4 aprile 2018 è stato deciso di sospendere le cause riunite C‑517/17, C‑540/17 e C‑541/17 fino alla pronuncia di una decisione nelle cause riunite C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17.

8.

La sentenza del 19 marzo 2019 nella causa Ibrahim e a. ( 5 ) è stata notificata al giudice del rinvio il 26 marzo 2019. Il 26 aprile 2019 il giudice del rinvio ha parzialmente ritirato le sue questioni nelle cause riunite C‑517/17, C‑540/17 e C‑541/17.

9.

Per quanto concerne più specificamente la causa C‑517/17, il giudice del rinvio ha ritirato le prime due questioni inizialmente sottoposte alla Corte. Tali questioni riguardavano la misura in cui a uno Stato membro è precluso il rigetto, in quanto inammissibile, di una domanda di protezione internazionale qualora al richiedente sia già stato concesso lo status di rifugiato da un altro Stato membro, nel caso in cui le condizioni di vita in tale altro Stato membro non soddisfino le disposizioni degli articoli 20 e segg. della direttiva 2011/95/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 dicembre 2011, recante norme sull’attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta ( 6 ), senza tuttavia violare l’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»).

10.

Il giudice del rinvio ha ritenuto che alle prime due questioni iniziali fosse stata data risposta con la sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. ( 7 ).

11.

Con lettera depositata presso la cancelleria della Corte il 2 maggio 2019, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha tuttavia ritenuto che la sua terza questione nella causa C‑517/17 non fosse stata affrontata in tale sentenza.

12.

Con decisione del presidente della Corte del 16 maggio 2019, la causa C‑517/17 è stata separata dalle cause riunite C‑540/17 e C‑541/17 ed è stata revocata la sospensione in tutte tali cause. Le cause riunite C‑540/17 e C‑541/17 sono state decise con ordinanza del 13 novembre 2019, Hamed e Omar ( 8 ).

13.

Per quanto riguarda la presente causa C‑517/17, a seguito della decisione della Corte del 1o ottobre 2019, il 4 ottobre 2019 è stata inviata al giudice del rinvio una richiesta di chiarimenti. La risposta a tale richiesta è pervenuta alla Corte il 6 novembre 2019 ( 9 ).

14.

Prima della sospensione della causa C‑517/17, i governi tedesco, francese, ungherese e olandese, nonché la Commissione europea hanno presentato osservazioni scritte sulla terza questione proposta dal Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale). I governi tedesco, ungherese e olandese, nonché la Commissione, ritengono che l’articolo 14, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 non osti all’applicazione di una disposizione nazionale per effetto della quale l’omessa conduzione di un colloquio personale con il richiedente in occasione della decisione di rigetto della domanda d’asilo in quanto inammissibile, resa dall’autorità accertante, ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 non determina l’annullamento della decisione medesima per omesso colloquio, nel caso in cui il richiedente abbia la possibilità di presentare, nel procedimento di impugnazione, tutti gli elementi che depongano in senso contrario alla decisione di inammissibilità e, pur in considerazione di tali argomenti, non possa essere adottata una decisione differente.

15.

Di converso, il governo francese ritiene, in sostanza, che l’articolo 14 della direttiva 2013/32, letto alla luce del principio generale del diritto di essere sentito, che costituisce parte integrante dei diritti della difesa, osti a una disposizione di diritto nazionale ai sensi della quale una violazione, in primo grado dinanzi all’autorità accertante, del diritto di essere sentito prima dell’adozione di una decisione di inammissibilità ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), di tale direttiva, non determina l’annullamento di tale decisione, purché il ricorrente abbia la possibilità di presentare le proprie osservazioni nel corso del procedimento di impugnazione.

16.

Il 15 gennaio 2020 si è tenuta un’udienza dinanzi alla Corte, alla quale hanno partecipato il sig. Addis, il Bundesamt, il governo tedesco e la Commissione.

III. Contesto giuridico

A.   Diritto dell’Unione

1. Direttiva 2013/32

17.

I considerando 18 e 22 della direttiva 2013/32 così recitano:

«(18)

È nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti protezione internazionale che sia presa una decisione quanto prima possibile in merito alle domande di protezione internazionale, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo.

(…)

(22)

È altresì nell’interesse sia degli Stati membri sia dei richiedenti garantire un corretto riconoscimento delle esigenze di protezione internazionale già in primo grado (…)».

18.

L’articolo 1 della direttiva 2013/32 stabilisce che l’obiettivo della direttiva è stabilire procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca della protezione internazionale a norma della direttiva 2011/95 (in prosieguo: la «direttiva qualifiche»).

19.

L’articolo 2, lettera b), della direttiva 2013/32 definisce la nozione di «domanda di protezione internazionale» come una richiesta di protezione rivolta a uno Stato membro da un cittadino di un paese terzo o da un apolide di cui si può ritenere che intende ottenere lo status di rifugiato o lo status di protezione sussidiaria, e che non sollecita esplicitamente un diverso tipo di protezione non contemplato nell’ambito di applicazione della direttiva qualifiche e che possa essere richiesto con domanda separata.

20.

L’articolo 14 della direttiva 2013/32, rubricato «Colloquio personale», prevede quanto segue:

«1.   Prima che l’autorità accertante decida, è data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale con una persona competente, a norma del diritto nazionale, a svolgere tale colloquio. I colloqui personali sul merito di una domanda di protezione internazionale sono condotti dal personale dell’autorità accertante (…).

Qualora le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano impossibile all’atto pratico all’autorità accertante svolgere tempestivamente colloqui sul merito di ogni domanda, gli Stati membri possono disporre che il personale di un’altra autorità partecipi temporaneamente allo svolgimento di tali colloqui. In questi casi, il personale di detta altra autorità riceve in anticipo la formazione pertinente, comprendente gli elementi elencati all’articolo 6, paragrafo 4, lettere da a) a e), del regolamento (UE) n. 439/2010 [del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 maggio 2010 che istituisce l’Ufficio europeo di sostegno per l’asilo (GU 2010, L 132, pag. 11)]. Le persone che conducono i colloqui personali con i richiedenti conformemente alla presente direttiva hanno altresì acquisito una conoscenza generale dei problemi che potrebbero compromettere la capacità dei richiedenti di sostenere il colloquio, quali indicazioni che il richiedente potrebbe essere stato torturato nel passato.

(…)

2.   Il colloquio personale sul merito della domanda può essere omesso se:

a)

l’autorità accertante è in grado di prendere una decisione positiva riguardo allo status di rifugiato basandosi sulle prove acquisite; oppure

b)

l’autorità accertante reputa che il richiedente asilo sia incapace o non sia in grado di sostenere un colloquio personale a causa di circostanze persistenti che sfuggono al suo controllo. In caso di dubbio, l’autorità accertante consulta un professionista del settore medico per stabilire se lo stato che rende il richiedente incapace o non in grado di sostenere il colloquio sia temporaneo o di lungo periodo.

Quando non viene sostenuto il colloquio personale a norma della lettera b) oppure, ove applicabile, con la persona a carico, devono essere compiuti ragionevoli sforzi al fine di consentire al richiedente o alla persona a carico di produrre ulteriori informazioni.

3.   La mancanza di un colloquio personale a norma del presente articolo non osta a che l’autorità accertante prenda una decisione sulla domanda di protezione internazionale.

4.   La mancanza di un colloquio personale a norma del paragrafo 2, lettera b), non incide negativamente sulla decisione dell’autorità accertante.

(…)».

21.

L’articolo 15 della direttiva 2013/32, rubricato «Criteri applicabili al colloquio personale», stabilisce quanto segue:

«(…)

2.   Il colloquio personale si svolge in condizioni atte ad assicurare la riservatezza adeguata.

3.   Gli Stati membri adottano le misure necessarie affinché il colloquio personale si svolga in condizioni che consentano al richiedente di esporre in modo esauriente i motivi della sua domanda. A tal fine gli Stati membri:

(…)

b)

se possibile prevedono, su istanza del richiedente, che a condurre il colloquio sia una persona del suo stesso sesso, a meno che l’autorità accertante abbia motivo di ritenere che tale domanda si basi su motivi non connessi alle difficoltà del richiedente di presentare i motivi della sua domanda in modo comprensibile;

(…)

22.

L’articolo 25 della direttiva 2013/32, rubricato «Garanzie per i minori non accompagnati», prevede quanto segue:

«1.   In relazione a tutte le procedure previste dalla presente direttiva e fatti salvi gli articoli da 14 a 17, gli Stati membri:

(…)

b)

provvedono affinché al rappresentante sia data la possibilità di informare il minore non accompagnato sul significato e le eventuali conseguenze del colloquio personale e, laddove opportuno, di informarlo su come prepararsi ad esso. Gli Stati membri provvedono affinché il rappresentante e/o l’avvocato o altro consulente legale ammesso o autorizzato a norma del diritto nazionale partecipino al colloquio e abbiano la possibilità di porre domande o formulare osservazioni, nel quadro stabilito dalla persona che conduce il colloquio.

(…)

3.   Gli Stati membri provvedono affinché:

a)

qualora il minore non accompagnato sia convocato a un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale a norma degli articoli da 14 a 17 e 34, tale colloquio sia condotto da una persona con la competenza necessaria a trattare i particolari bisogni dei minori;

(…)».

23.

L’articolo 33 della direttiva 2013/32, rubricato «Domande inammissibili», così dispone:

«1.   Oltre ai casi in cui una domanda non è esaminata a norma del regolamento (UE) n. 604/2013 [del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (GU 2013, L 180, pag. 31)], gli Stati membri non sono tenuti ad esaminare se al richiedente sia attribuibile la qualifica di beneficiario di protezione internazionale a norma della [direttiva qualifiche], qualora la domanda sia giudicata inammissibile a norma del presente articolo.

2.   Gli Stati membri possono giudicare una domanda di protezione internazionale inammissibile soltanto se:

a)

un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale;

(…)».

24.

L’articolo 34 della direttiva 2013/32, rubricato «Norme speciali in ordine al colloquio sull’ammissibilità» prevede quanto segue:

«1.   Prima che l’autorità accertante decida sull’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale, gli Stati membri consentono al richiedente di esprimersi in ordine all’applicazione dei motivi di cui all’articolo 33 alla sua situazione particolare. A tal fine, gli Stati membri organizzano un colloquio personale sull’ammissibilità della domanda. Gli Stati membri possono derogare soltanto ai sensi dell’articolo 42, in caso di una domanda reiterata.

Il presente paragrafo non pregiudica l’articolo 4, paragrafo 2, lettera a), della presente direttiva e l’articolo 5 del regolamento (UE) n. 604/2013.

(…)».

25.

L’articolo 51, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli articoli da 1 a 30, all’articolo 31, paragrafi 1, 2 e da 6 a 9, agli articoli da 32 a 46, agli articoli 49 e 50 e all’allegato I entro il 20 luglio 2015. Essi comunicano immediatamente alla Commissione il testo di tali disposizioni».

26.

L’articolo 52, primo comma, della direttiva 2013/32 così dispone:

«Gli Stati membri applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di cui all’articolo 51, paragrafo 1, alle domande di protezione internazionale presentate e alle procedure di revoca della protezione internazionale avviate dopo il 20 luglio 2015 o ad una data precedente. Alle domande presentate prima del 20 luglio 2015 e alle procedure di revoca dello status di rifugiato avviate prima di tale data si applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative adottate ai sensi della direttiva 2005/85/CE».

27.

L’articolo 53, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 dispone l’abrogazione della direttiva 2005/85 per gli Stati membri vincolati da tale direttiva con effetto dal 21 luglio 2015, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi al termine di recepimento della direttiva 2005/85 nel diritto interno di cui alla parte B dell’allegato II della direttiva 2013/32.

28.

L’articolo 54 della direttiva 2013/32 prevede che la direttiva entri in vigore il ventesimo giorno successivo alla data di pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea, il 29 giugno 2013.

B.   Diritto nazionale

29.

Secondo il giudice del rinvio, i fatti di cui al procedimento principale sono disciplinati dalle disposizioni dell’Asylgesetz (legge in materia di asilo; in prosieguo: l’«AsylG») nella versione pubblicata il 2 settembre 2008 ( 10 ) e modificata dal Fünfzigste Gesetz zur Änderung des Strafgesetzbuches – Verbesserung des Schutzes der sexuellen Selbstbestimmung (50. modifica al codice penale – Rafforzamento della tutela dell’autodeterminazione sessuale; in prosieguo: la «StrÄndG 50») del 4 novembre 2016. ( 11 )

30.

L’articolo 24 dell’AsylG prevede quanto segue:

«(1)   Il Bundesamt chiarisce i fatti e raccoglie le prove necessarie (…). Esso procede al colloquio personale dello straniero. Il colloquio può essere omesso se il Bundesamt intende riconoscere il diritto d’asilo dello straniero o se lo straniero dichiara di essere entrato nel territorio federale da uno Stato terzo sicuro (…).

(…)».

31.

L’articolo 29 dell’AsylG, come modificato dall’articolo 6 dell’Integrationsgesetz (legge sull’integrazione) del 31 luglio 2016, produttivo di effetti dal 6 agosto 2016 ( 12 ), prevede quanto segue:

«1)   Una domanda di asilo è inammissibile quando:

(…)

2.

Un altro Stato membro dell’Unione europea ha già concesso allo straniero la protezione internazionale (…);

(…)».

32.

L’articolo 36 dell’AsylG, rubricato «Procedura in caso di domande d’asilo inammissibili ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, punti 2 e 4, o manifestamente infondate» così dispone:

«1)   Nei casi in cui la domanda di asilo è inammissibile ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, punti 2 e 4, o manifestamente infondata, allo straniero è concesso il termine di una settimana per lasciare il paese.

2)   Il Bundesamt trasmette alle persone interessate una copia del loro fascicolo d’asilo unitamente alla decisione. Il fascicolo amministrativo è trasmesso senza indugio al tribunale amministrativo competente unitamente alla prova della consegna.

3)   Il ricorso contro il provvedimento di espulsione ai sensi dell’articolo 80, paragrafo 5, del codice di giustizia amministrativa deve essere proposto entro una settimana dalla notificazione; al ricorso deve essere allegato l’avviso del Bundesamt. Lo straniero ne è informato. Si applica l’articolo 58 del codice di giustizia amministrativa. La decisione è adottata mediante procedura scritta; non è ammessa un’udienza orale in cui il ricorso sia esaminato parallelamente. La decisione è adottata entro una settimana dalla scadenza del termine di cui al comma 1. La sezione del tribunale amministrativo può prorogare il termine di cui al comma 5 di una settimana alla volta. La seconda e le ulteriori proroghe del termine sono consentite solo per gravi motivi, in particolare se il tribunale non è in grado di adottare una decisione tempestiva a causa di un carico di lavoro eccezionalmente gravoso. Non è consentita l’espulsione prima della decisione del tribunale se il ricorso è stato proposto nei termini. La decisione si considera adottata quando le disposizioni operative della stessa sono state firmate dal giudice o dai giudici e sono disponibili presso la cancelleria della sezione. Le domande di provvedimenti provvisori avverso decisioni del Bundesamt di fissare termini per il divieto d’ingresso o di soggiorno ai sensi dell’articolo 11, paragrafo 2, della legge sul soggiorno, e l’ordinanza e i termini di cui all’articolo 11, paragrafo 7, della legge sul soggiorno devono anch’esse essere proposte entro una settimana dalla notificazione. È fatta salva l’esecutività del provvedimento di espulsione.

4)   Un’ordinanza di sospensione dell’espulsione può essere pronunciata soltanto ove sussistano seri dubbi in ordine alla legittimità dell’atto amministrativo contro il quale è stato presentato ricorso. Fatti e prove non dedotti dai soggetti interessati non sono tenuti in considerazione, salvo che siano evidenti o noti al tribunale. Il tribunale può omettere di considerare la produzione di fatti e prove che non sono stati valutati nel procedimento amministrativo ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 3, nonché di fatti e circostanze ai sensi dell’articolo 25, paragrafo 2, che lo straniero non abbia dedotto nel procedimento amministrativo, se la decisione sarebbe altrimenti ritardata».

33.

L’articolo 77, paragrafo 1, dell’AsylG prevede quanto segue:

«Nelle controversie disciplinate dalla presente legge, il tribunale basa la propria decisione sulla situazione di fatto e di diritto esistente al momento dell’ultima udienza; se la decisione non è preceduta da un’udienza, il momento rilevante è quello della pronuncia della decisione (…)».

34.

L’articolo 46 del Verwaltungsverfahrensgesetz (legge sulla procedura amministrativa; in prosieguo: la «VwVfG»), del 25 maggio 1976, nella versione da ultimo pubblicata il 23 gennaio 2003 ( 13 ), come modificato dall’articolo 1 della Viertes Gesetz zur Änderung verwaltungsverfahrensrechtlicher Vorschriften (quarta legge di modifica del diritto amministrativo, dell’11 dicembre 2008 ( 14 ), stabilisce quanto segue:

«Non può essere richiesto l’annullamento di un atto amministrativo che non sia nullo (…) con l’unica motivazione che esso sarebbe venuto in essere in violazione di norme procedurali, formali o sulla competenza territoriale, ove sia evidente che la violazione non ha influenzato la decisione di merito».

35.

L’articolo 80 della Verwaltungsgerichtsordnung (codice di giustizia amministrativa; in prosieguo: la «VwGo») nella versione pubblicata il 19 marzo 1991 ( 15 ), modificato da ultimo dall’articolo 9 del Gesetz zur Umsetzung der Dienstleistungsrichtlinie in der Justiz und zur Änderung weiterer Vorschriften (legge di recepimento della direttiva servizi in ambito giudiziario e di modifica di altre disposizioni) del 22 dicembre 2010 ( 16 ), così recita:

«1)   L’opposizione e il ricorso di annullamento hanno effetto sospensivo. Tale disposizione si applica anche agli atti amministrativi costitutivi e dichiarativi, nonché agli atti amministrativi a doppio effetto (articolo 80 bis).

(…)

5)   Su richiesta, il giudice investito della causa principale può disporre la sospensione totale o parziale nei casi di cui al comma 2, punti da 1 a 3, e ripristinarla totalmente o parzialmente nei casi di cui al comma 2, punto 4. La domanda è ricevibile anche prima del deposito del ricorso di annullamento. Se l’atto amministrativo è già stato eseguito al momento della decisione, il tribunale può ordinare l’annullamento dell’esecuzione. Il ripristino dell’effetto sospensivo può essere subordinato alla costituzione di una garanzia o ad altre condizioni. Esso può essere temporalmente limitato.

(…)».

36.

L’articolo 86 del VwGo stabilisce quanto segue:

«1)   Il tribunale accerta i fatti d’ufficio; a tal fine consulta gli interessati. Esso non è vincolato alle osservazioni e alle richieste di assunzione di prova degli interessati.

(…)».

IV. Fatti del procedimento principale e questione pregiudiziale

37.

Il sig. Addis sostiene di essere un cittadino eritreo ( 17 ). Nel 2009, tuttavia, ha presentato una domanda di asilo alle autorità italiane, nella quale ha fornito a tal fine una diversa identità e data di nascita ed è stato registrato come cittadino etiope. La sua domanda è stata accolta: gli è stata fornita una carta d’identità e gli è stato concesso un permesso di soggiorno fino a febbraio 2015. Il richiedente è rimasto in Italia fino al settembre 2011, quando si è recato in Germania e ha ivi richiesto lo status di rifugiato.

38.

Sebbene egli abbia precedentemente negato di aver fatto ingresso in un altro paese europeo, i dettagli della domanda iniziale in Italia sono emersi a seguito di un’analisi delle impronte digitali. Alla luce di tale informazione, il Bundesamt ha respinto la domanda d’asilo del sig. Addis il 18 febbraio 2013, in ragione del fatto che egli aveva fatto ingresso nella Repubblica federale di Germania da un paese terzo sicuro, e ne ha ordinato l’espulsione verso l’Italia.

39.

Prima dell’adozione di tale decisione, tuttavia, il sig. Addis non è stato sottoposto a un colloquio personale, in violazione, tra l’altro, della legge nazionale applicabile in materia di asilo. A tal proposito, il giudice del rinvio ha dichiarato che egli non era stato sentito in merito alle «ragioni per le quali è stato perseguitato, né alla sua residenza in Italia o al suo status di rifugiato ivi riconosciuto».

40.

Il ricorso del sig. Addis contro tale decisione è stato respinto dal Verwaltungsgericht Minden (Tribunale amministrativo di Minden, Germania) il 15 aprile 2013. Egli ha impugnato tale sentenza dinanzi all’Oberverwaltungsgericht Münster (Tribunale amministrativo superiore di Münster, Germania). L’Oberverwaltungsgericht Münster (Tribunale amministrativo superiore di Münster) ha annullato il provvedimento di espulsione del 19 maggio 2016 sulla base del fatto che non era chiaro se l’Italia si sarebbe fatta carico del sig. Addis. Tale giudice ha tuttavia ritenuto che l’impugnazione della decisione di rigetto della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato del sig. Addis doveva essere respinta.

41.

Il sig. Addis ha impugnato la sentenza dell’Oberverwaltungsgericht Münster (Tribunale amministrativo superiore di Münster) presso il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania). Dinanzi a tale Corte egli ha sostenuto, in particolare, che il Bundesamt non era legittimato a omettere il colloquio personale prima di adottare la decisione del 18 febbraio 2013.

42.

La Repubblica federale di Germania ha sostenuto dinanzi al Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) che la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato presentata dal sig. Addis era, in ogni caso, inammissibile ai sensi dell’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG, essendogli già stato concesso lo status di rifugiato in Italia. Essa ha sostenuto che l’omissione del colloquio personale non dovrebbe impedire all’autorità accertante di decidere in merito a una domanda di asilo.

43.

Il giudice del rinvio – il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) – ritiene che sia necessario accertare le conseguenze di una violazione dell’obbligo di condurre un colloquio personale sulla validità di una decisione che dichiara inammissibile una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato. A tale riguardo, il giudice del rinvio reputa necessario chiarire tale questione, in particolare nel caso in cui il richiedente abbia l’opportunità di presentare, nel procedimento di impugnazione, tutti gli elementi di fatto e di diritto che depongano in senso contrario alla decisione impugnata e, ciò nonostante, tali elementi non condurrebbero all’annullamento di tale decisione.

44.

In considerazione del mancato rispetto, da parte del Bundesamt, dell’obbligo di condurre un colloquio personale ai sensi dell’articolo 12, paragrafo 1, della direttiva 2005/85 e degli articoli 14, paragrafo 1, e 34 della direttiva 2013/32, il giudice del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, di interpretare la portata delle eccezioni di cui all’articolo 12, paragrafi 2 e 3, della direttiva 2005/85 e di cui all’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, nonché di indicare se tali eccezioni siano tassative o se, tenuto conto dell’autonomia procedurale degli Stati membri, il diritto dell’Unione consenta ulteriori eccezioni espressamente previste dal diritto nazionale.

45.

A tale riguardo, il giudice del rinvio rileva che, ai sensi del diritto nazionale, l’articolo 46 della VwVfG considera l’omesso svolgimento di un colloquio personale come un’irregolarità minore quando è evidente che siffatta omissione non ha avuto alcun impatto sul contenuto della decisione adottata. Esso afferma, inoltre, che una decisione di inammissibilità adottata sulla base dell’articolo 29, paragrafi 1 e 2, dell’AsylG è una decisione in relazione alla quale non esiste alcun margine di discrezionalità. In questi casi, l’omessa conduzione del colloquio personale non ha alcuna conseguenza, poiché il Bundesamt e, a loro volta, i giudici amministrativi, sono tenuti a esaminare tutte le condizioni relative all’applicazione della disposizione di legge in questione. Tuttavia, il giudice del rinvio ha fatto riferimento alla giurisprudenza di una sezione del Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale, Germania) ( 18 ), secondo la quale l’ambito di applicazione dell’articolo 46 della VwVfG può essere limitato dal fatto che l’articolo 14, paragrafo 2, e l’articolo 34, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 stabiliscono eccezioni al diritto al colloquio personale e costituiscono, quindi, una norma procedurale speciale, di carattere tassativo.

46.

Per quanto riguarda la situazione specifica del sig. Addis, il giudice del rinvio ha rilevato che il Bundesamt e, a loro volta, i giudici amministrativi sono tenuti a esaminare se le condizioni di vita di una persona cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato in Italia siano conformi, tra l’altro, all’articolo 4 della Carta.

47.

Infatti, il giudice del rinvio ha illustrato in dettaglio le modalità con cui i giudici di grado inferiore hanno respinto la domanda del sig. Addis di annullamento della decisione del Bundesamt del 18 febbraio 2013, dopo aver esaminato d’ufficio la questione, nonché le osservazioni del sig. Addis e del Bundesamt ( 19 ) in merito alle condizioni di vita che egli avrebbe dovuto affrontare in Italia.

48.

In tali circostanze, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha sospeso il procedimento e ha sottoposto alla Corte tre questioni pregiudiziali.

49.

La terza questione, che è l’unica che il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) non ha ritirato alla luce della sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. ( 20 ), è formulata nei seguenti termini:

«Se l’articolo 14, paragrafo 1, primo periodo, della [direttiva 2013/32] ovvero la previgente disciplina di cui all’articolo 12, paragrafo 1, primo periodo, della [direttiva 2005/85] osti all’applicazione di una disposizione nazionale, per effetto della quale l’omissione di un colloquio personale con il richiedente in occasione della decisione di rigetto della domanda d’asilo in quanto inammissibile resa dall’autorità accertante, in attuazione della facoltà prevista dall’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della [direttiva 2013/32], ovvero della previgente disciplina di cui all’articolo 25, paragrafo 2, lettera a), della [direttiva 2005/85], non determini l’annullamento della decisione medesima per omesso colloquio, nel caso in cui il richiedente abbia la possibilità di presentare, nel procedimento di impugnazione, tutti gli elementi che depongano in senso contrario alla decisione di inammissibilità e, pur in considerazione di tali argomenti, non possa essere adottata una decisione differente nel merito».

50.

Mi accingerò ora a esaminare tale questione.

V. Applicazione ratione temporis

51.

Occorre ricordare che il sig. Addis ha richiesto lo status di rifugiato in Germania nel settembre 2011 e che tale domanda è stata respinta con decisione del Bundesamt nel febbraio 2013. La legittimità di tale decisione è attualmente oggetto di contestazione dinanzi al giudice del rinvio.

52.

Nella sua domanda di rinvio pregiudiziale, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha fatto riferimento sia alla direttiva 2005/85 sia alla direttiva 2013/32.

53.

Per quanto concerne l’applicazione ratione temporis delle pertinenti disposizioni giuridiche del diritto nazionale nella causa di cui è investito, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha dichiarato che, ai sensi della sua giurisprudenza costante, esso è tenuto a prendere in considerazione, in determinate circostanze, gli sviluppi giuridici intervenuti in seguito all’adozione di una sentenza in sede di impugnazione. Nell’ambito del presente procedimento d’asilo, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha confermato che, ai sensi dell’articolo 77, paragrafo 1, prima frase, dell’AsylG, esso deve considerare la situazione di fatto e di diritto esistente al momento dell’ultima udienza del maggio 2016.

54.

A tale proposito, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha dichiarato che l’articolo 29 dell’AsylG, come modificato con effetto dal 6 agosto 2016 dall’articolo 6 dell’Integrationsgesetz (legge in materia di integrazione), rubricato «Domande inammissibili», è applicabile nel procedimento dinanzi ad esso pendente ( 21 ). Inoltre, risulterebbe che i fatti di cui al procedimento principale sono disciplinati dalle disposizioni dell’AsylG nella versione pubblicata il 2 settembre 2008 e modificata il 4 novembre 2016 ( 22 ).

55.

L’articolo 51, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 impone agli Stati membri di mettere in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi agli articoli da 1 a 30, all’articolo 31, paragrafi 1, 2 e da 6 a 9, agli articoli da 32 a 46, agli articoli 49 e 50 e all’allegato I della direttiva entro il 20 luglio 2015. Tuttavia, a norma della prima frase dell’articolo 52, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, gli Stati membri applicano le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative di cui all’articolo 51, paragrafo 1, alle domande di protezione internazionale presentate «dopo il 20 luglio 2015 o ad una data precedente». Secondo una giurisprudenza costante, aggiungendo l’espressione «o ad una data precedente» alla prima frase dell’articolo 52, paragrafo 1, il legislatore dell’Unione ha inteso consentire agli Stati membri di applicare le disposizioni di attuazione di tale direttiva, con effetto immediato, alle domande di protezione internazionale presentate prima del 20 luglio 2015 ( 23 ).

56.

Poiché il sig. Addis ha richiesto lo status di rifugiato in Germania nel settembre 2011, la sua domanda di protezione internazionale è stata presentata prima dell’entrata in vigore della direttiva 2013/32, il 19 luglio 2013, e, dunque, ben prima della data entro la quale tale direttiva doveva essere recepita nel diritto nazionale, ossia il 20 luglio 2015.

57.

Sembrerebbe tuttavia, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, che, ai sensi dell’articolo 77, paragrafo 1, prima frase, dell’AsylG, alla fattispecie di cui al procedimento principale siano applicabili le disposizioni di diritto nazionale che recepiscono o sono idonee a recepire ( 24 ) le disposizioni della direttiva 2013/32 ( 25 ).

58.

A tale riguardo, va ricordato che al punto 74 della sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. ( 26 ), la Corte ha dichiarato, in particolare, che l’articolo 52, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, che contiene disposizioni transitorie concernenti l’applicazione delle norme di recepimento di tale direttiva, deve essere interpretato nel senso che consente a uno Stato membro di prevedere un’immediata applicazione di una disposizione nazionale che recepisce tale direttiva a domande d’asilo non ancora decise in via definitiva, introdotte prima del 20 luglio 2015 e anteriormente all’entrata in vigore di tale disposizione nazionale ( 27 ). Sebbene la Corte non sia stata invitata a chiarire che cosa significasse esattamente, in tale contesto, il riferimento a domande «decise in via definitiva», interpreterei questa frase come un richiamo a una decisione definitiva adottata dalle autorità amministrative competenti (nella fattispecie, il Bundesamt) sulla domanda di protezione internazionale, e non a un procedimento giurisdizionale successivo in cui la decisione di concedere o meno la protezione sia stata impugnata.

59.

Per quanto riguarda la presente causa, si può osservare che la decisione definitiva in merito alla domanda d’asilo del sig. Addis è stata adottata dal Bundesamt già nel febbraio 2013. Ciò significa diversi mesi prima della pubblicazione della direttiva 2013/32 nella Gazzetta ufficiale, nel giugno 2013, e della sua entrata in vigore il mese successivo ( 28 ). Date siffatte circostanze, ritengo che, nella presente causa l’applicazione anticipata della direttiva 2013/32 nelle modalità consentite dal suo articolo 52 (e come così interpretate da questa Corte nella sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. ( 29 ) semplicemente non sia possibile. Mentre tale sentenza ha consentito l’applicazione anticipata di tale direttiva a decisioni che erano pendenti anche prima del termine per il recepimento, ossia il 20 luglio 2015 ( 30 ), nei casi in cui essa era stata sancita dal diritto nazionale pertinente, tale principio non si applica quando la decisione amministrativa definitiva era già stata adottata prima della pubblicazione di tale direttiva. Ritengo, dunque, che alla presente causa si applichi, ratione temporis, la precedente versione della direttiva procedure, segnatamente la direttiva 2005/85.

60.

Rilevo, tuttavia, che, in udienza, tutte le parti, compreso il sig. Addis, hanno assunto una posizione diversa sull’applicazione ratione temporis delle direttive in questione e hanno sostenuto che la direttiva successiva, vale a dire la direttiva 2013/32, disciplina, di fatto, la presente causa. Pur mantenendo, rispettosamente, la mia posizione secondo cui essa non si applica, dato l’atteggiamento unanime delle parti, unitamente all’approccio adottato dal giudice del rinvio, propongo, di conseguenza, di proseguire le presenti conclusioni sul presupposto che la presente causa sia, di fatto, disciplinata dalla direttiva 2013/32. Presumerò, pertanto, che le disposizioni degli articoli da 1 a 30, dell’articolo 31, paragrafi 1, 2 e da 6 a 9, degli articoli da 32 a 46, degli articoli 49 e 50 e dell’allegato I della direttiva 2013/32 siano applicabili nel contesto del procedimento principale.

VI. Analisi

A.   Osservazioni preliminari

61.

Il diritto al colloquio personale sussiste non soltanto quando l’autorità accertante intende adottare una decisione sul merito di una domanda di protezione internazionale, ma anche quando intende, come nel caso del sig. Addis, adottare una decisione ai sensi dell’articolo 33 della direttiva 2013/32 sull’ammissibilità di siffatta domanda. A tale riguardo, sia l’articolo 14 che l’articolo 34 della direttiva 2013/32 ( 31 ) impongono specificamente all’autorità accertante ( 32 ) di condurre un colloquio personale con il richiedente protezione internazionale prima dell’adozione di una decisione sul merito o sull’ammissibilità della domanda.

62.

Dalla definizione di «autorità accertante» di cui all’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32 risulta chiaramente che tale colloquio deve essere condotto da un organo quasi giurisdizionale o amministrativo designato dallo Stato membro ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, di tale direttiva ( 33 ). La direttiva 2013/32 non contiene disposizioni in merito allo svolgimento del colloquio personale da parte di un giudice. Si può notare che la Corte, al punto 103 della sentenza del 25 luglio 2018, Alheto ( 34 ) ha operato una netta distinzione tra l’«autorità accertante», definita all’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, e il «giudice» di cui all’articolo 46 della suddetta direttiva. Così, il procedimento dinanzi all’autorità accertante è disciplinato dalle disposizioni del capo III della succitata direttiva, intitolato «Procedure di primo grado», mentre il procedimento dinanzi al giudice è retto dalle norme di cui al capo V della medesima, intitolato «Procedure di impugnazione» e costituito dal suo articolo 46.

63.

È pacifico che il diritto del sig. Addis a un colloquio personale condotto dall’autorità accertante ai sensi della direttiva 2013/32 è stato violato ( 35 ).

64.

Dalla domanda di pronuncia pregiudiziale risulta, tuttavia, che, sebbene il sig. Addis non sia stato sentito personalmente dal Bundesamt, tra l’altro, in merito alle condizioni che avrebbe dovuto affrontare in Italia se fosse stato espulso verso tale paese, il giudice del rinvio ritiene, tuttavia, che tale omissione sia stata interamente sanata o compensata dal procedimento giurisdizionale nazionale, condotto in conformità al capo V della direttiva 2013/32.

65.

Pertanto, secondo il giudice del rinvio, nel contesto del ricorso di annullamento avverso la decisione sull’ammissibilità, il sig. Addis ha illustrato dettagliatamente, nell’atto introduttivo, le difficoltà che avrebbe incontrato in Italia. Il Verwaltungsgericht Minden (tribunale amministrativo di Minden) ha deciso che il provvedimento di espulsione emesso nei suoi confronti non poteva essere eseguito. Sulla base della competenza a esso conferita dall’articolo 86, paragrafo 1, del VwGO, ha deciso, d’ufficio, di acquisire informazioni sui diritti di cui beneficia una persona cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato in Italia, in materia di residenza, circolazione, accesso al lavoro e all’assistenza sanitaria. Il giudice del rinvio ha dichiarato che il tribunale amministrativo ha respinto il ricorso del sig. Addis sulla base della sua valutazione dei fatti e delle prove. Esso ha concluso, dopo aver esaminato le osservazioni e la situazione generale del sig. Addis, che, in quanto giovane non sposato, egli avrebbe potuto gradualmente farsi strada in Italia e che avrebbe potuto contare, almeno inizialmente, sull’assistenza di organizzazioni caritatevoli. Ha sottolineato che molti rifugiati, in particolare i giovani di sesso maschile, trovano spesso lavoro stagionale nel settore agricolo.

66.

Secondo il giudice del rinvio, il tribunale amministrativo ha inoltre esaminato, d’ufficio, la questione se, in caso di accompagnamento alla frontiera italiana, il sig. Addis avrebbe potuto essere sottoposto a trattamenti contrari all’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (in prosieguo: la «CEDU»). Dopo aver consultato le pertinenti informazioni relative al paese di origine fornite dal Ministero degli esteri tedesco e dal Consiglio svizzero per i rifugiati, nonché fonti provenienti da ONG quali l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, tale giudice ha concluso che, sebbene le opportunità di accesso dei rifugiati all’assistenza pubblica e privata siano più limitate rispetto a quelle degli italiani, tali opportunità non sono limitate in misura tale da costituire una violazione dell’articolo 3 della CEDU, ad esempio riducendo il sig. Addis a una condizione di totale indigenza.

67.

Nella presente domanda di pronuncia pregiudiziale, la Corte deve esaminare se le eccezioni al diritto a un colloquio personale ai sensi degli articoli 14 e 34 della direttiva 2013/32 abbiano carattere tassativo e, in caso affermativo, quali siano in concreto le conseguenze di una violazione dei diritti procedurali del sig. Addis da parte dell’autorità accertante. In particolare, si chiede alla Corte se l’omessa conduzione di tale colloquio debba determinare l’annullamento della decisione di rigetto, in quanto inammissibile, della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato del sig. Addis o se l’omissione dell’autorità accertante possa ‑ e in tal caso a quali condizioni ‑ essere sanata nel corso di un procedimento di impugnazione ai sensi del capo V della direttiva 2013/32.

B.   Se le eccezioni al diritto a un colloquio personale ai sensi degli articoli 14 e 34 della direttiva 2013/32 abbiano carattere tassativo

68.

L’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 prevede le circostanze in cui l’autorità accertante di uno Stato membro può omettere il colloquio personale. Inoltre, l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 stabilisce che «[l]a mancanza di un colloquio personale a norma del presente articolo non osta a che l’autorità accertante prenda una decisione sulla domanda di protezione internazionale» ( 36 ). Dalla formulazione stessa dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 e dall’uso dell’espressione «[l]a mancanza di un colloquio personale a norma del presente articolo» discende che l’autorità accertante non può adottare una decisione in merito a una domanda di protezione internazionale in assenza di un colloquio personale, salvo che sia applicabile una delle due eccezioni specifiche di cui all’articolo 14. Nulla indica che la presente causa ricada in una di tali eccezioni.

69.

Dalla formulazione stessa di questa disposizione è evidente che le eccezioni contenute nell’articolo 14, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 hanno carattere tassativo. Ne consegue che gli Stati membri non possono prevedere ulteriori eccezioni in base al proprio diritto nazionale.

70.

Per quanto riguarda la decisione sull’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale, l’articolo 34, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 prevede, di fatto, che l’autorità accertante ( 37 ) di uno Stato membro conduca un colloquio personale sull’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale prima di adottare una decisione in materia. Esso dispone altresì che gli Stati membri possono prevedere una deroga a tale diritto soltanto ai sensi dell’articolo 42 della suddetta direttiva, in caso di domanda reiterata. Emerge quindi chiaramente dalla formulazione stessa dell’articolo 34, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 che l’eccezione relativa a una domanda reiterata ha carattere tassativo.

71.

A mio avviso, gli Stati membri non hanno la facoltà di introdurre ulteriori eccezioni al diritto al colloquio personale, diverse da quelle specificamente previste dal legislatore dell’Unione agli articoli 14 e 34 della direttiva 2013/32.

72.

Pertanto, risulta chiaramente dal linguaggio esplicito dell’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 che un’autorità accertante non può adottare una decisione sul merito di una domanda di protezione internazionale senza condurre un colloquio personale, salvo che si applichi una delle eccezioni elencate all’articolo 14, paragrafo 2, di tale direttiva. Lo stesso vale, a mio avviso, per una decisione sull’ammissibilità di una domanda di protezione internazionale ai sensi dell’articolo 33 della direttiva 2013/32 adottata in assenza di un colloquio personale ai sensi dell’articolo 34 di tale direttiva.

73.

Come ho già osservato, dal fascicolo dinanzi alla Corte risulta che nessuna delle eccezioni al diritto al colloquio personale previste dalla direttiva 2013/32 si applica nel caso del sig. Addis. È ovviamente opportuno aggiungere che nessuna delle parti si è espressa in senso contrario.

C.   Sulle conseguenze di una violazione dell’obbligo di condurre un colloquio personale – se sia possibile sanare tale violazione nel corso del procedimento di impugnazione

74.

Questa è la questione centrale della presente controversia tra le parti. Occorre sottolineare che, come indicato dai considerando 11 e 12 e dall’articolo 1 della direttiva 2013/32, il quadro per il riconoscimento della protezione internazionale è fondato sul concetto di procedura unica e si basa su norme minime comuni ( 38 ). Sebbene la direttiva 2013/32 stessa non si pronunci sulle conseguenze che possono derivare dall’omessa conduzione del colloquio personale con un richiedente protezione internazionale da parte dell’autorità accertante, secondo le modalità previste dalla normativa, sembra comunque implicito nel regime normativo istituito da tale direttiva che il requisito esplicito del colloquio personale sia parte integrante ed essenziale dell’intero procedimento di asilo ( 39 ).

75.

Date siffatte circostanze, si chiede alla Corte, in sostanza, se, in caso di omissione del colloquio personale da parte dell’autorità accertante, il giudice che svolge, successivamente, un esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 possa, in linea di principio, sanare la violazione, conducendo esso stesso tale colloquio personale e confermando, in seguito, la decisione dell’autorità accertante. In alternativa, ci si chiede se esso debba comunque annullare la decisione dell’autorità accertante e rinviare il caso a tale autorità affinché essa conduca il colloquio e adotti una decisione, eventualmente diversa.

76.

La questione del giudice del rinvio è nuova e, nonostante alcune analogie, non ha già trovato risposta nelle sentenze del 26 luglio 2017, Sacko ( 40 ), del 25 luglio 2018, Alheto ( 41 ) o del 29 luglio 2019, Torubarov ( 42 ) che, indubbiamente, toccano punti correlati. Tali cause sono tuttavia chiarificatrici per quanto riguarda il rapporto tra le «Procedure di primo grado» di cui al capo III della direttiva 2013/32 e le «Procedure di impugnazione» di cui al capo V di tale direttiva. Esaminerò quindi brevemente siffatta giurisprudenza nel contesto della presente causa.

1. Giurisprudenza pregressa della Corte

a) Sentenza del 26 luglio 2017, Sacko (C‑348/16, EU:C:2017:591)

77.

Ai punti da 33 a 35 della sentenza del 26 luglio 2017, Sacko ( 43 ), la Corte ha ribadito la sua giurisprudenza costante per quanto attiene alle procedure di primo grado di cui al capo III della direttiva 2013/32. Essa ha rammentato che l’obbligo di rispettare i diritti della difesa dei destinatari di decisioni che incidono in modo rilevante sui loro interessi, in linea di principio, grava sulle amministrazioni degli Stati membri ogniqualvolta esse adottano provvedimenti che rientrano nella sfera d’applicazione del diritto dell’Unione. Più in particolare, la Corte ha statuito che il diritto ad essere ascoltato in qualsiasi procedimento, che costituisce parte integrante del rispetto dei diritti della difesa, principio generale del diritto dell’Unione, garantisce a chiunque la possibilità di manifestare, proficuamente ed efficacemente, il proprio punto di vista durante un procedimento amministrativo e prima dell’adozione di qualsiasi decisione che possa incidere in modo negativo sui suoi interessi. A questo riguardo, la regola secondo cui il destinatario di una decisione ad esso lesiva deve essere posto in condizione di far valere le proprie osservazioni prima che la stessa sia adottata, ha lo scopo di consentire, in particolare, che tale persona possa correggere un errore o far valere elementi relativi alla sua situazione personale tali da far sì che la decisione sia adottata o non sia adottata, ovvero abbia un contenuto piuttosto che un altro.

78.

Al punto 49 della sentenza del 26 luglio 2017, Sacko ( 44 ), la Corte ha statuito che la direttiva 2013/32, e in particolare i suoi articoli 12, 14, 31 e 46, letti alla luce dell’articolo 47 della Carta, deve essere interpretata nel senso che non osta a che il giudice nazionale, investito di un ricorso avverso la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata, respinga detto ricorso senza procedere all’audizione del richiedente qualora le circostanze di fatto non lascino alcun dubbio sulla fondatezza di tale decisione. Tuttavia, tale conclusione era subordinata alle seguenti condizioni: anzitutto che, in occasione della procedura di primo grado sia stata data facoltà al richiedente di sostenere un colloquio personale sulla sua domanda di protezione internazionale, conformemente all’articolo 14 di detta direttiva, e che il verbale o la trascrizione di tale colloquio, qualora quest’ultimo sia avvenuto, sia stato reso disponibile unitamente al fascicolo, in conformità dell’articolo 17, paragrafo 2, della direttiva medesima, e, poi, che il giudice adito con il ricorso possa disporre tale audizione ove lo ritenga necessario ai fini dell’esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto contemplato all’articolo 46, paragrafo 3, di tale direttiva.

79.

Orbene, nella causa che ha condotto alla sentenza Sacko, l’autorità accertante aveva, di fatto, condotto un colloquio personale ( 45 ) e ciò che occorreva determinare era se e in quale misura un giudice nazionale investito di un ricorso contro una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale manifestamente infondata potesse basarsi sul verbale di tale colloquio.

80.

A mio avviso, la sentenza del 26 luglio 2017, Sacko sottolinea chiaramente l’importanza di un colloquio personale condotto dall’autorità accertante nel contesto della direttiva 2013/32. La Corte ha inoltre sottolineato che tale obbligo «grava esclusivamente in capo all’autorità incaricata di procedere all’esame delle domande di protezione internazionale e competente a pronunciarsi in primo grado (…) e, pertanto, non si applica alle procedure di impugnazione» ( 46 ).

81.

Anche i fatti di cui alla sentenza del 26 luglio 2017, Sacko ( 47 ), sono rilevanti in questo contesto. In tale causa, il richiedente era stato sottoposto a un colloquio, in primo grado, dal commissario regionale per il riconoscimento della protezione internazionale. Il commissario aveva concluso che si trattava di un migrante economico e che, per questo motivo, egli non aveva diritto all’asilo. Tale conclusione è stata in seguito contestata dinanzi ai giudici italiani, i quali hanno sottoposto a questa Corte la questione se fossero obbligati a sentire personalmente il ricorrente nell’ambito dell’«esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto» che i giudici nazionali sono tenuti a svolgere ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 2 ( 48 ).

82.

Come ho appena osservato, la Corte ha risposto a tale questione in senso negativo (a determinate condizioni), e l’avvocato generale Sanchez Bordona ha affermato quanto segue:

«Poiché la direttiva 2013/32 impone l’espletamento del colloquio nella fase amministrativa di trattazione della domanda di protezione internazionale, ritengo che la necessità di ripeterlo nel procedimento giurisdizionale si imponga solo se il (primo) colloquio non fosse, in definitiva, sufficientemente chiarificatore per il giudice adito del ricorso giurisdizionale e che nutre dubbi sull’esito del ricorso» ( 49 ).

83.

Tuttavia, il punto è che la sentenza del 26 luglio 2017, Sacko ( 50 ) (C‑348/16, EU:C:2017:591) non si è occupata direttamente della situazione che qui interessa, ossia la situazione in cui il colloquio non è stato condotto, in primo grado, dall’autorità accertante competente per l’esame della domanda di asilo del sig. Addis.

b) Sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584)

84.

Nella sua sentenza del 25 luglio 2018, Alheto ( 51 ) la Corte ha statuito che, conformemente all’articolo 47 della Carta, l’esigenza di un esame completo ed ex nunc ( 52 ) ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 comporta che il giudice investito dell’impugnazione proceda all’audizione del richiedente, a meno che ritenga di poter effettuare l’esame sulla base dei soli elementi contenuti nel fascicolo, ivi compreso, se del caso, il verbale o la trascrizione del colloquio personale dinanzi a detta autorità ( 53 ). Tuttavia, in caso di nuovi elementi intervenuti dopo l’adozione della decisione oggetto di impugnazione, il giudice è tenuto, ai sensi dell’articolo 47 della Carta, a offrire al richiedente la possibilità di presentare osservazioni ove tali elementi possano recargli pregiudizio ( 54 ).

85.

Se l’autorità accertante non ha esaminato un motivo d’inammissibilità e, di conseguenza, non ha effettuato il colloquio personale di cui all’articolo 34 della direttiva 2013/32, spetta al giudice, nel caso in cui questi ritenga che un simile motivo avrebbe dovuto essere esaminato da tale autorità o debba adesso esserlo per via della sopravvenienza di elementi nuovi, procedere a una tale audizione ( 55 ). Come osservato dalla Corte nella sentenza Alheto «nel caso in cui il giudice investito dell’impugnazione intenda esaminare un motivo d’inammissibilità che non è stato esaminato dall’autorità accertante, il medesimo deve procedere all’audizione del richiedente al fine di consentirgli di esporre di persona, in una lingua che conosce, il suo punto di vista sull’applicabilità di tale motivo alla sua situazione particolare» ( 56 ).

86.

Dai fatti che hanno dato luogo alla sentenza del 25 luglio 2018, Alheto ( 57 ) (C‑585/16, EU:C:2018:584), emerge quindi chiaramente che l’autorità accertante in tale causa non aveva adottato una decisione di inammissibilità. Non era quindi necessario condurre un colloquio personale ai sensi dell’articolo 34 della direttiva 2013/32. Poiché la questione dell’inammissibilità era stata sollevata per la prima volta da un giudice, nell’ambito di un esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32, la Corte ha ritenuto che spettasse a tale giudice condurre esso stesso un colloquio personale con il richiedente al fine di tutelare i diritti garantiti dall’articolo 47 della Carta ( 58 ). Ne consegue che, qualora un giudice, in sede di impugnazione, sollevi d’ufficio una questione di ammissibilità che non sia stata precedentemente esaminata dall’autorità accertante, tale giudice è tenuto a condurre esso stesso un colloquio personale.

87.

Inoltre, nella sentenza Alheto, la Corte ha dichiarato che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 si riferisce unicamente all’«esame» dell’impugnazione e non riguarda, pertanto, l’esito di un eventuale annullamento della decisione oggetto di tale impugnazione ( 59 ). La Corte ha statuito, in sostanza, che non vi è alcun obbligo, in capo al giudice adito in primo grado che annulli una decisione, di statuire esso stesso sulla domanda di protezione internazionale ( 60 ), poiché il legislatore dell’Unione non ha inteso introdurre una qualsiasi norma comune secondo la quale l’organo quasi giurisdizionale o amministrativo di cui all’articolo 2, lettera f), di tale direttiva dovrebbe perdere la sua competenza dopo l’annullamento della sua decisione iniziale relativa a una domanda di protezione internazionale. Gli Stati membri possono dunque prevedere che il fascicolo debba, in seguito a un tale annullamento, essere rinviato al suddetto organo affinché esso adotti una nuova decisione. Tuttavia, tale organo è tenuto ad adottare una nuova decisione entro un breve termine e a conformarsi alla valutazione contenuta nella sentenza che ha disposto l’annullamento della decisione iniziale ( 61 ).

88.

Questa giurisprudenza dimostra, pertanto, che il giudice adito in primo grado è tenuto, in determinate circostanze, a condurre un colloquio personale quando solleva d’ufficio questioni che non sono state precedentemente esaminate dall’autorità accertante. Inoltre, il giudice adito in primo grado che annulli una decisione di inammissibilità di una domanda di protezione internazionale a motivo della violazione del diritto del richiedente a un colloquio personale da parte dell’autorità accertante può rinviare il fascicolo all’organo quasi giurisdizionale o amministrativo di cui all’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, nel caso di specie il Bundesamt, per una nuova decisione.

89.

Si può tuttavia osservare che la causa che ha condotto alla sentenza del 25 luglio 2018, Alheto ( 62 ) si distingue dalla presente causa almeno sotto due importanti profili. In primo luogo, nella presente causa, l’autorità accertante ha sollevato, in primo grado, la questione dell’ammissibilità, ma non ha condotto un colloquio personale. In secondo luogo, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha confermato che, anche nel caso in cui si ritenga che il giudice dell’impugnazione debba condurre un colloquio, non può essere garantito un colloquio personale del tipo previsto dall’articolo 15 della direttiva 2013/32.

2. Conseguenze da determinare sulla base del diritto nazionale: principio di equivalenza e di effettività

90.

La questione che tale giurisprudenza non ha, ad oggi, ancora affrontato è se il giudice adito con un ricorso diretto all’annullamento di una decisione di inammissibilità di una domanda di protezione internazionale, a motivo della violazione del diritto del richiedente ad un colloquio personale da parte dell’autorità accertante, sia obbligato ad annullare tale decisione e a rinviare il fascicolo a tale autorità per una nuova decisione. In alternativa, si pone la questione se il giudice possa condurre esso stesso il colloquio personale e, sentiti tutti gli argomenti del richiedente che depongono in senso contrario a una decisione di inammissibilità, confermare la decisione dell’autorità accertante.

91.

A mio avviso, da un’analogia con la giurisprudenza costante della Corte in materia di diritto al contraddittorio ( 63 ) discende che quando, come nel procedimento principale, le conseguenze della violazione del diritto al colloquio personale non sono previste dalla direttiva 2013/32, né da altre disposizioni del diritto dell’Unione, la determinazione di tali conseguenze spetta, in via generale, al diritto nazionale. Ciò è tuttavia subordinato alla condizione che le norme adottate in tal senso siano dello stesso genere di quelle di cui beneficiano i singoli in situazioni di diritto nazionale comparabili (principio di equivalenza) e non rendano in pratica impossibile o eccessivamente difficile l’esercizio dei diritti conferiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione (principio di effettività) ( 64 ).

92.

In questo contesto è altresì necessario tenere presente che la direttiva 2013/32 mira a garantire che le domande di protezione internazionale siano trattate «quanto prima possibile (…), fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo» ( 65 ).

93.

Inoltre, occorre ricordare che, nella sentenza del 9 febbraio 2017, M ( 66 ) (C‑560/14, EU:C:2017:101, punto 49 e segg.), la Corte ha dichiarato che lo scopo del colloquio personale è garantire che l’autorità competente sia oggettivamente in grado di determinare con piena cognizione di causa se una domanda di protezione internazionale debba essere accolta o meno. Qualora un richiedente presenti particolari vulnerabilità, un colloquio personale si rende a maggior ragione imperativo.

94.

Al punto 38 e segg. della sentenza del 10 settembre 2013, G. e R ( 67 ). la Corte ha ritenuto che secondo il diritto dell’Unione, una violazione dei diritti della difesa, in particolare del diritto di essere sentiti, determina l’annullamento del provvedimento adottato al termine del procedimento amministrativo di cui trattasi soltanto se, in mancanza di tale irregolarità, tale procedimento avrebbe potuto comportare un risultato diverso. Ne discende che non ogni irregolarità nell’esercizio dei diritti della difesa nell’ambito di un procedimento amministrativo determina l’annullamento della decisione impugnata.

95.

Dal fascicolo dinanzi alla Corte risulta che le disposizioni nazionali applicabili sono, tra l’altro, l’articolo 46 della VwVfG e l’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG. Secondo il giudice del rinvio, l’articolo 46 della VwVfG considera il mancato svolgimento di un colloquio personale come un’irregolarità minore quando è evidente che tale omissione non ha avuto alcun impatto sul merito della decisione adottata. Inoltre, il giudice del rinvio afferma che una decisione di inammissibilità adottata sulla base dell’articolo 29, paragrafo 1, punto 2, dell’AsylG è una decisione in relazione alla quale non esiste alcun margine di discrezionalità. In tali casi, l’omissione di un colloquio personale non produce alcuna conseguenza, poiché il Bundesamt e, a loro volta, i giudici amministrativi sono tenuti a esaminare tutte le condizioni relative all’applicazione della disposizione di legge in questione.

96.

Poiché non vi sono prove, nel fascicolo dinanzi alla Corte, che il procedimento nazionale dinanzi al giudice non rispetti il principio di equivalenza, tale procedimento deve essere esaminato alla luce del principio di effettività.

97.

La questione essenziale che ci si deve ora porre è se il giudice nazionale adito in sede di impugnazione sia in grado di riprodurre un colloquio personale, assicurando al contempo il rispetto di tutti i requisiti obbligatori e delle garanzie previste dalla direttiva 2013/32.

98.

A tale riguardo, occorre considerare, in primo luogo, se un colloquio personale da parte di un giudice sia effettivamente garantito, ai sensi del diritto nazionale, in tutti i casi in cui l’autorità accertante abbia omesso di condurre tale colloquio e, in secondo luogo, nel caso in cui esso sia garantito, se sia conforme ai requisiti obbligatori specifici previsti dalla direttiva 2013/32 per quanto riguarda le modalità di svolgimento di tale colloquio.

a) Se un colloquio personale sia garantito ai sensi del diritto nazionale

99.

L’articolo 46, paragrafo 1, della direttiva 2013/32 riconosce ai richiedenti protezione internazionale il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice avverso le decisioni sulla loro domanda. A tale riguardo, l’articolo 46, paragrafi 1, lettera a), punto ii), e 3, della direttiva 2013/32 prevede, infatti, che gli Stati membri dispongono che il richiedente abbia diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice quando la domanda di protezione internazionale è considerata inammissibile ( 68 ). Il giudice è tenuto a condurre un esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto.

100.

Va tuttavia rilevato che una delle conseguenze per l’interessato la cui domanda sia stata respinta in quanto inammissibile ai sensi dell’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2013/32 ( 69 ), è che, contrariamente a quanto previsto in caso di mero rigetto, può non essergli consentito trattenersi sul territorio dello Stato di proposizione della domanda in attesa dell’esito del suo ricorso. Ciò risulta chiaramente dalle disposizioni di cui all’articolo 46, paragrafi 5 e 6, della direttiva 2013/32 ( 70 ).

101.

Tuttavia, al punto 53 dell’ordinanza del 5 luglio 2018, C e a. ( 71 ) la Corte ha statuito che, conformemente alle prescrizioni dell’articolo 46, paragrafo 6, ultima frase, della direttiva 2013/32, l’interessato deve poter adire un giudice il quale deciderà se egli possa rimanere in tale territorio fino alla decisione nel merito del suo ricorso. L’articolo 46, paragrafo 8, della medesima direttiva prevede che, in attesa dell’esito del procedimento giurisdizionale volto a decidere se l’interessato possa rimanere, lo Stato membro interessato deve concedergli l’autorizzazione a rimanere nel proprio territorio.

102.

A tale riguardo, sembrerebbe, con riserva di verifica da parte del giudice del rinvio, che un ricorso proposto contro una decisione del Bundesamt che respinge in quanto inammissibile, ai sensi dell’articolo 29 dell’AsylG, una domanda di protezione internazionale presentata da un cittadino di un paese terzo, non abbia effetto sospensivo ( 72 ). Inoltre, il giudice del rinvio ha dichiarato, nella sua risposta a un quesito a esso sottoposto dalla Corte ( 73 ), depositata nella cancelleria della Corte il 6 novembre 2019, che, in caso di mancata proposizione di una domanda di misure provvisorie avverso il provvedimento di espulsione del Bundesamt, ai sensi dell’articolo 80, paragrafo 5, del VwGO, la decisione di espulsione può essere eseguita prima che diventi giuridicamente vincolante ( 74 ). Lo stesso vale se una domanda ai sensi del paragrafo 80, paragrafo 5, della VwGO è presentata in tempo utile ma non ha esito positivo. Inoltre, il giudice del rinvio ha indicato che, ai sensi dell’articolo 36, paragrafi 3 e 4, dell’AsylG, quando una domanda d’asilo è inammissibile ai sensi dell’articolo 29 dell’AsylG, a motivo del fatto che al richiedente è stata concessa la protezione internazionale in un altro Stato membro, la procedura è di norma scritta e, almeno in generale, non vi è un’udienza orale, né è concessa al richiedente un’effettiva possibilità di essere ascoltato di persona nella modalità di un colloquio personale.

103.

Dalla risposta del giudice del rinvio sembrerebbe quindi che, nel caso in cui l’autorità accertante – nella fattispecie il Bundesamt – ometta di condurre un colloquio personale e respinge la domanda in quanto inammissibile, non sia garantito un colloquio personale da parte del giudice adito in sede di impugnazione. Ne consegue necessariamente che, sulla base di questo solo motivo, non è rispettato il principio di effettività, poiché i diritti del richiedente non sono stati garantiti in nessuna fase del procedimento, né amministrativo, né giurisdizionale. Una conclusione differente equivarrebbe, infatti, alla quasi abrogazione giudiziaria del diritto del richiedente a un colloquio personale, chiaramente previsto dalla direttiva 2013/23, e vanificherebbe una garanzia ritenuta fondamentale dal legislatore dell’Unione.

104.

Nell’ipotesi in cui il giudice adito in sede di impugnazione conduca un colloquio personale, qualora l’autorità accertante abbia precedentemente omesso un colloquio personale in quanto la domanda è inammissibile, è necessario esaminare se il modo in cui tale colloquio si svolge rispetti il principio di effettività.

105.

Prima di rispondere a tale domanda, può essere utile considerare, anzitutto, le regole per la conduzione di un colloquio personale da parte di un organo amministrativo o quasi giurisdizionale previste dalla direttiva 2013/32.

b) Regole per la conduzione di un colloquio personale previste dalla direttiva 2013/32

106.

Occorre osservare che il legislatore europeo non si è limitato a specificare, agli articoli 14 e 34 della direttiva 2013/32, che il colloquio personale di un richiedente protezione internazionale deve essere condotto dall’autorità accertante per poi lasciare interamente agli Stati membri la disciplina delle relative condizioni. Al contrario: il legislatore europeo ha stabilito norme specifiche, dettagliate e obbligatorie per lo svolgimento di tali colloqui. Ciò è dimostrato dall’uso ripetuto, all’articolo 15 della direttiva 2013/32, di espressioni quali «il colloquio personale si svolge (…)» e «gli Stati membri prevedono (…)» ( 75 ).

107.

Così, l’articolo 15 della direttiva 2013/32, in particolare, stabilisce una serie di requisiti o garanzie per lo svolgimento di un colloquio personale. Vorrei sottolineare, in particolare, il requisito secondo cui, ai sensi dell’articolo 15, paragrafo 2, della direttiva 2013/32, un colloquio personale si svolge in condizioni atte ad assicurare la riservatezza adeguata ( 76 ). L’articolo 15, paragrafo 4, della direttiva 2013/32 stabilisce, tuttavia, che gli Stati membri possono prevedere norme relative alla presenza di terzi durante un colloquio personale.

108.

L’articolo 15, paragrafo 3, lettera a), della direttiva 2013/32 impone agli Stati membri di provvedere affinché la persona incaricata di condurre il colloquio abbia la competenza per tener conto del contesto personale e generale in cui nasce la domanda, compresa l’origine culturale, il genere, l’orientamento sessuale, l’identità sessuale o la vulnerabilità del richiedente ( 77 )

c) Valutazione

109.

Alla luce di tale contesto si può francamente dubitare che, nei casi in cui si è verificata una violazione degli articoli 14 e 34, il giudice sia quindi competente in ogni caso a sostituirsi, di fatto, all’autorità accertante e a condurre un colloquio personale ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2013/32 ( 78 ). Del resto, il legislatore europeo ha chiaramente espresso la volontà che il colloquio personale dettagliato sia condotto, in primo grado, in un ambiente riservato, da amministratori appositamente formati, e non nell’ambito di un interrogatorio da parte del giudice (che potrebbe non possedere tale formazione) in una causa in udienza pubblica. Il principio di effettività di cui all’articolo 47 della Carta richiede che tali requisiti obbligatori non vengano accantonati con leggerezza, poiché il rispetto di questa espressa disposizione legislativa è stato chiaramente inteso dal legislatore europeo come una condizione di validità di qualsiasi successiva decisione negativa in materia di asilo.

110.

A tale riguardo, l’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2013/32 prevede che Stati membri provvedono affinché il personale dell’autorità accertante riceva una formazione adeguata ( 79 ). Il combinato disposto dell’articolo 4, paragrafi 3 e 4, della direttiva 2013/32 e dell’articolo 6, paragrafo 4, lettera c), del regolamento n. 439/2010, conferma che il personale dell’autorità accertante deve ricevere una formazione in tecniche di intervista ( 80 ).

111.

La Corte ha costantemente ribadito che l’esame della domanda di protezione internazionale da parte dell’organo amministrativo o quasi giurisdizionale nazionale competente, dotato di mezzi specifici e di personale specializzato in materia, costituisce una fase essenziale delle procedure comuni istituite dalla direttiva 2013/32 ( 81 ).

112.

Sebbene il giudice sia tenuto a effettuare un esame completo ed ex nunc degli elementi di fatto e di diritto ai sensi dell’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 e possa, a mio avviso, rimediare ad alcune mancanze dell’autorità accertante nel procedimento condotto dinanzi a quest’ultima ( 82 ), si può dubitare che i giudici che potrebbero essere successivamente chiamati a condurre un colloquio personale ai sensi della direttiva 2013/32, in sostituzione, di fatto, dell’autorità accertante, abbiano ricevuto una formazione o acquisito competenze in materia di tecniche di intervista equivalenti a quelle dell’autorità accertante ( 83 ). Tuttavia, in ultima analisi, si tratta di una questione di fatto che deve essere determinata dal giudice del rinvio.

113.

L’articolo 15, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2013/32 stabilisce che gli Stati membri, se possibile, prevedono, su istanza del richiedente, che a condurre il colloquio sia una persona del suo stesso sesso, a meno che l’autorità accertante abbia motivo di ritenere che tale domanda si basi su motivi non connessi alle difficoltà del richiedente di presentare i motivi della sua domanda in modo comprensibile. Tuttavia, vi sono motivi per dubitare che i requisiti di cui all’articolo 15, paragrafo 3, lettera b), della direttiva 2013/32 possano essere soddisfatti in taluni Stati membri, poiché potrebbero esservi norme molto severe in materia di assegnazione dei giudici alle cause e la ricusazione per motivi di genere potrebbe non essere possibile.

114.

Infatti, si può notare che lo stesso giudice del rinvio ha espresso dubbi in merito al fatto che tutti i requisiti e le garanzie di cui all’articolo 15 della direttiva 2013/32 concernenti lo svolgimento di un colloquio personale possano essere soddisfatti nel corso di un procedimento giurisdizionale in Germania.

115.

A mio avviso, se nel corso delle procedure di impugnazione di cui al capo V della direttiva 2013/32 non sono soddisfatti tutti i requisiti e le garanzie pertinenti di cui all’articolo 15 della direttiva 2013/32 ( 84 ) per quanto concerne il colloquio personale, il principio di effettività non è rispettato. Non si tratta di un’analisi astratta bensì, piuttosto, di un’analisi che deve essere adattata al singolo caso in esame, poiché taluni requisiti e garanzie di cui all’articolo 15 della direttiva 2013/32 potrebbero, semplicemente, non essere pertinenti in un determinato caso. Occorre tuttavia ricordare che deve essere effettuato un esame adeguato e completo della situazione del richiedente e che l’omissione di tale esame deve, almeno in termini generali, essere considerata decisiva ai fini della validità di qualsiasi decisione negativa relativa a una domanda di protezione internazionale ( 85 ).

116.

Per quanto riguarda il caso di cui al procedimento principale, spetta al giudice del rinvio valutare se lo svolgimento del colloquio personale del sig. Addis da parte del Verwaltungsgericht Minden (tribunale amministrativo di Minden) abbia rispettato le disposizioni pertinenti dell’articolo 15 della direttiva 2013/32. A tale proposito, rilevo che la sua domanda è stata considerata inammissibile dall’autorità accertante. La portata del colloquio personale da effettuare potrebbe, quindi, essere più limitata, e taluni requisiti e garanzie di cui all’articolo 15 della direttiva 2013/32 potrebbero non essere pertinenti.

117.

Tuttavia, al centro della domanda del sig. Addis vi è l’affermazione secondo cui egli si troverebbe, di fatto, ad affrontare una situazione di indigenza e condizioni di vita degradanti, tali da esporlo, secondo le parole di questa Corte nella sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. ( 86 ), a un’«estrema deprivazione materiale che non [gli] consentirebbe di far fronte ai suoi bisogni più elementari», sicché, in caso di espulsione o trasferimento in Italia, i suoi diritti di cui all’articolo 4 della Carta sarebbero violati. Sebbene la consultazione delle relazioni sui paesi e delle relazioni delle organizzazioni non governative sia, indubbiamente, di notevole ausilio nella valutazione di tale questione, essa non sostituisce un colloquio personale in cui al richiedente è data l’opportunità di descrivere le proprie esperienze e circostanze personali ( 87 ). In ogni caso, questo è quanto il legislatore europeo ha stabilito.

118.

Del resto, l’esperienza umana ci insegna che, spesso, una discussione personale o un dialogo con un’altra persona possono farci cambiare idea. Si tratta di un fatto di cui, certamente, come in tutte le professioni, anche noi come giudici e avvocati dobbiamo essere coscienti e consapevoli. Molte volte lo abbiamo riscoperto nelle immortali parole di un giudice inglese, il giudice Megarry: «Il cammino della legge è disseminato di esempi di casi aperti e chiusi che, in qualche modo, non lo erano; di accuse senza risposta che, alla fine, hanno ricevuto una risposta completa; di comportamenti inspiegabili che sono stati pienamente spiegati; di conclusioni fisse e inalterabili che, con il dialogo, hanno subito un cambiamento» ( 88 ).

119.

È certamente vero che la Corte ha confermato, nella sua sentenza del 10 settembre 2013, G. e R. ( 89 ), che non ogni violazione dei diritti della difesa determina l’annullamento della decisione amministrativa impugnata e che, in genere, è necessario, a tal fine, dimostrare che in assenza di tale violazione, il procedimento amministrativo in questione avrebbe potuto comportare un risultato diverso. Tuttavia, laddove, come nella presente causa, la violazione intacca la sostanza delle principali garanzie procedurali previste dal diritto dell’Unione, in assenza di circostanze speciali e inconsuete, è quasi sempre difficile affermare che la decisione amministrativa non sarebbe stata diversa o non avrebbe potuto essere diversa. Tuttavia, trattasi di una questione che, in ultima analisi, spetta al giudice del rinvio valutare e accertare, alla luce delle specifiche circostanze del caso di specie.

120.

Suggerisco pertanto alla Corte di statuire che il giudice del rinvio dovrebbe valutare se, in conformità alle norme procedurali nazionali, il giudice nazionale adito in sede di impugnazione ai sensi dell’articolo 46 della direttiva 2013/32 sia in grado di replicare integralmente un colloquio personale ai sensi dell’articolo 14 o dell’articolo 34 di tale direttiva, assicurando al contempo il rispetto di tutti i requisiti e le garanzie obbligatori previsti dal legislatore europeo all’articolo 15 di tale direttiva. Qualora tale colloquio personale non possa essere adeguatamente replicato, la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale deve essere annullata su tale base e la causa deve essere rinviata all’autorità accertante per una nuova decisione.

VII. Conclusione

121.

Alla luce delle considerazioni che precedono, suggerisco alla Corte di statuire che il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale, Germania) è tenuto a valutare se, in conformità alle norme procedurali nazionali, il giudice nazionale adito in sede di impugnazione ai sensi dell’articolo 46 della direttiva 2013/32/UE del Consiglio, del 1o dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, sia in grado di replicare integralmente un colloquio personale ai sensi dell’articolo 14 o dell’articolo 34 di tale direttiva, assicurando al contempo il rispetto di tutti i requisiti e le garanzie obbligatori previsti dal legislatore europeo all’articolo 15 di tale direttiva. Qualora tale colloquio personale non possa essere adeguatamente replicato, la decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale deve essere annullata su tale base e la causa deve essere rinviata all’autorità accertante per una nuova decisione.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) GU 2013, L 180, pag. 60.

( 3 ) GU 2005, L 326 pag. 13. Per comodità, farò talora riferimento a tali direttive, in generale, come alla «direttiva procedure».

( 4 ) C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219

( 5 ) C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219.

( 6 ) GU 2011, L 337, pag. 9.

( 7 ) C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219. A tale proposito, vorrei osservare che, al punto 101 della suddetta sentenza, la Corte ha dichiarato, tra l’altro, che «[l]’articolo 33, paragrafo 2, lettera a), della direttiva [2013/32] deve essere interpretato nel senso che esso non osta a che uno Stato membro eserciti la facoltà offerta da tale disposizione di respingere come inammissibile una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato perché al richiedente è già stata concessa da un altro Stato membro la protezione sussidiaria, quando le prevedibili condizioni di vita in cui si troverebbe detto richiedente quale beneficiario di una protezione sussidiaria in tale altro Stato membro non lo esporrebbero ad un grave rischio di subire un trattamento inumano o degradante, nell’accezione dell’articolo 4 della Carta. La circostanza che i beneficiari di tale protezione sussidiaria non ricevano, in detto Stato membro, nessuna prestazione di sussistenza, o siano destinatari di una siffatta prestazione in misura molto inferiore rispetto agli altri Stati membri, pur senza essere trattati diversamente dai cittadini di tale Stato membro, può indurre a dichiarare che tale richiedente sarebbe ivi esposto a un siffatto rischio solo se detta circostanza comporta la conseguenza che quest’ultimo si troverebbe, in considerazione della sua particolare vulnerabilità, indipendentemente dalla sua volontà e dalle sue scelte personali, in una situazione di estrema deprivazione materiale».

( 8 ) C‑540/17 e C‑541/17, non pubblicata, EU:C:2019:964.

( 9 ) V. paragrafo 102 delle presenti conclusioni.

( 10 ) BGB1. 2008 I, pag. 1798.

( 11 ) BGB1. 2016 I pag. 2460.

( 12 ) BGB1. 2016 I, p. 1939.

( 13 ) BGB1 2003, I. pag 102.

( 14 ) BGB1 2008, I pag. 2418.

( 15 ) BGB1 1991, I pag. 686.

( 16 ) BGB1 2010, I. pag. 2248.

( 17 ) Conformemente alle informazioni da esso fornite.

( 18 ) V. sentenza del Bundesverfassungsgericht (Corte costituzionale federale) del 17 gennaio 2017, 2 BvR 2013/16, DE:BVerfG:2017:rk20170117.2bvr201316, punto 20.

( 19 ) Il giudice del rinvio ha sottolineato che, ai sensi della sentenza del 15 ottobre 2015, Commissione/Germania (C‑137/14, EU:C:2015:683, punti da 60 a 62) l’onere della prova spettava al Bundesamt.

( 20 ) C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219.

( 21 ) V., per analogia, sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 67).

( 22 ) V. paragrafo 29 delle presenti conclusioni.

( 23 ) Sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punti 3940 e giurisprudenza ivi citata).

( 24 ) V. sentenza del 25 luglio 2018, Alheto, (C‑585/16, EU:C:2018:584, punti da 77 a 81).

( 25 ) Rilevo che non vi è alcuna prova nel fascicolo che suggerisca che la Repubblica federale di Germania non abbia recepito la direttiva 2013/32, in particolare le disposizioni concernenti il requisito del colloquio personale. Inoltre, il giudice del rinvio ritiene che al procedimento principale sia applicabile la normativa modificata nel 2016, e, dunque, posteriore al 20 luglio 2015.

( 26 ) C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219. V. anche sentenze del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 73) e del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 40).

( 27 ) Ai punti da 70 a 74 della sentenza del 19 marzo 2019, Ibrahim e a. (C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219), la Corte ha tuttavia dichiarato, inter alia, che l’articolo 52, paragrafo 1, della direttiva 2013/32, osta a siffatta applicazione immediata in una situazione in cui tanto la domanda d’asilo quanto la richiesta di ripresa in carico ai sensi del regolamento (CE) n. 343/2003 del Consiglio, del 18 febbraio 2003, che stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda d’asilo presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo (GU 2003, L 50, pag. 1) siano state presentate prima dell’entrata in vigore della direttiva 2013/32. Non vi è alcuna indicazione nel fascicolo dinanzi alla Corte che tale richiesta di ripresa in carico sia stata presentata in relazione al sig. Addis. Infatti, il giudice del rinvio ha dichiarato, al punto 3 della domanda di pronuncia pregiudiziale, che siffatta richiesta non avrebbe potuto essere presentata, ai sensi delle regole di Dublino. A tale riguardo, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha rilevato che il sig. Addis potrebbe essere inviato in Italia in base ad un accordo di riammissione. Tuttavia, al punto 5 della domanda di pronuncia pregiudiziale, il Bundesverwaltungsgericht (Corte amministrativa federale) ha dichiarato che il provvedimento di espulsione verso l’Italia nei confronti del sig. Addis era illegittimo, poiché non era noto se l’Italia fosse ancora disposta a farsi carico del sig. Addis a seguito della scadenza del documento di viaggio rilasciatogli il 5 febbraio 2015.

( 28 ) V. articolo 54 della direttiva 2013/32.

( 29 ) C‑297/17, C‑‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219. V. anche sentenze del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 73 e segg.) e del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 40 e segg.).

( 30 ) V. articolo 51, paragrafo 1, della direttiva 2013/32.

( 31 ) Dato che il procedimento principale concerne l’ammissibilità di una domanda di riconoscimento dello status di rifugiato, si applica l’articolo 34 della direttiva 2013/32 anziché l’articolo 14 di tale direttiva. Tuttavia, per motivi di completezza, farò riferimento, in generale, a entrambe le disposizioni, a meno che non sia necessario evidenziare alcune differenze rilevanti.

( 32 ) Un’eccezione a questo principio è prevista dall’articolo 14, paragrafo 1, secondo comma, e dall’articolo 34, paragrafo 2, della direttiva 2013/32. L’articolo 14, paragrafo 1, secondo comma, di tale direttiva dispone che «[q]ualora le domande simultanee di protezione internazionale da parte di un numero elevato di cittadini di paesi terzi o apolidi rendano impossibile all’atto pratico all’autorità accertante svolgere tempestivamente colloqui sul merito di ogni domanda, gli Stati membri possono disporre che il personale di un’altra autorità partecipi temporaneamente allo svolgimento di tali colloqui. In questi casi, il personale di detta altra autorità riceve in anticipo la formazione pertinente, comprendente gli elementi elencati all’articolo 6, paragrafo 4, lettere da a) a e), del regolamento (UE) n. 439/2010. Le persone che conducono i colloqui personali con i richiedenti conformemente alla presente direttiva hanno altresì acquisito una conoscenza generale dei problemi che potrebbero compromettere la capacità dei richiedenti di sostenere il colloquio, quali indicazioni che il richiedente potrebbe essere stato torturato nel passato». L’articolo 34, paragrafo 2, della direttiva 2013/32 prevede che «[g]li Stati membri possono disporre che il personale di autorità diverse da quella accertante conduca il colloquio personale sull’ammissibilità della domanda di protezione internazionale. In tal caso gli Stati membri provvedono a che tale personale riceva preliminarmente la necessaria formazione basilare, soprattutto in ordine a diritto internazionale dei diritti umani, acquis dell’Unione in materia di asilo e tecniche di conduzione dei colloqui». Il corsivo è mio.

( 33 ) Per un’eccezione a tale regola, v. articolo 4, paragrafo 2, della direttiva 2013/32.

( 34 ) C‑585/16, EU:C:2018:584.

( 35 ) V. articolo 34, paragrafo 1, della direttiva 2013/32.

( 36 ) Il corsivo è mio.

( 37 ) Fatto salvo l’articolo 34, paragrafo 2, della direttiva 2013/32.

( 38 ) Sentenza del 25 luglio 2018, A (C‑404/17, EU:C:2018:588, punto 30).

( 39 ) V. anche, in tal senso, sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punti da 145 a 149) richiamata al paragrafo 87 delle presenti conclusioni.

( 40 ) C‑348/16, EU:C:2017:591.

( 41 ) C‑585/16, EU:C:2018:584

( 42 ) C‑556/17, EU:C:2019:626.

( 43 ) C‑348/16, EU:C:2017:591.

( 44 ) C‑348/16, EU:C:2017:591

( 45 ) Sentenza del 26 luglio 2017 (C‑348/16, EU:C:2017:591). Ai sensi del suo punto 18 «[i]n data 10 marzo 2016, la commissione territoriale presso la Prefettura di Milano (Italia) ha provveduto all’audizione del sig. Sacko in merito alla sua situazione e alle ragioni di tale domanda».

( 46 ) Sentenza del 26 luglio2017, Sacko (C‑348/16, EU:C:2017:591, punto 26).

( 47 ) C‑348/16, EU:C:2017:591.

( 48 ) Sentenza del 26 luglio 2017, Sacko (C‑348/16, EU:C:2017:591, punto 50).

( 49 ) Conclusioni dell’avvocato generale Campos Sánchez-Bordona nella causa Sacko (C‑348/16, EU:C:2017:288, paragrafo 65).

( 50 ) C‑348/16, EU:C:2017:591.

( 51 ) C‑585/16, EU:C:2018:584.

( 52 ) Al punto 52 della sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626), la Corte ha ribadito che l’espressione «ex nunc» mette in evidenza l’obbligo del giudice di procedere a una valutazione che tenga conto, se del caso, dei nuovi elementi intervenuti dopo l’adozione della decisione oggetto dell’impugnazione. Quanto all’aggettivo «completo», esso conferma che il giudice è tenuto a esaminare sia gli elementi di cui l’autorità accertante ha tenuto o avrebbe potuto tenere conto sia quelli intervenuti dopo l’adozione della decisione da parte della medesima Al fine di garantire che le domande siano trattate quanto prima possibile, fatto salvo lo svolgimento di un esame adeguato e completo, il giudice deve essere in grado di esaminare tutti gli elementi di fatto e di diritto che gli consentano di procedere a una valutazione aggiornata del caso, di modo che la domanda di protezione internazionale possa essere trattata in maniera esaustiva, senza che sia necessario rinviare il fascicolo all’autorità accertante. V. punto 53 della stessa sentenza. L’esame completo ed ex nunc incombente al giudice non deve necessariamente vertere sull’esame nel merito delle esigenze di protezione internazionale e può dunque riguardare l’ammissibilità della domanda di protezione internazionale, qualora il diritto nazionale lo consenta in applicazione dell’articolo 33, paragrafo 2, della direttiva 2013/32. V. sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 115).

( 53 ) V. sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 114). Al punto 126 della stessa sentenza, la Corte ha dichiarato che nel caso in cui il motivo d’inammissibilità esaminato dal giudice investito dell’impugnazione sia stato esaminato anche dall’autorità accertante prima dell’adozione della decisione contestata nell’ambito di tale impugnazione, detto giudice può basarsi sul verbale del colloquio personale condotto dall’autorità summenzionata, senza procedere a un’audizione del richiedente, a meno che non la ritenga necessaria. V. anche sentenza del 26 luglio 2017, Sacko (C‑348/16, EU:C:2017:591, punto 48).

( 54 ) Sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 114).

( 55 ) V. sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 127). Inoltre, al punto 128 della stessa sentenza, la Corte ha affermato che, in linea con quanto previsto all’articolo 12, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2013/32 per i colloqui personali condotti dall’autorità accertante, il richiedente, laddove necessario, deve ricevere, durante la sua audizione da parte del giudice, l’assistenza di un interprete per spiegare la propria situazione. V. anche articolo 15, paragrafo 3, lettera c) della direttiva 2013/32.

( 56 ) Sentenza del 25 luglio 2018 (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 130). Il corsivo è mio.

( 57 ) C‑585/16, EU:C:2018:584.

( 58 ) V. sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 130).

( 59 ) Sentenza del 25 luglio 2018 (C‑585/16, EU:C:2018:584,ai punti da 145 a 149). V. anche sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 54).

( 60 ) Al punto 69 della sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626), la Corte ha confermato che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 non impone agli Stati membri di conferire ai giudici competenti a conoscere dei ricorsi ai sensi di questa stessa disposizione il potere, a norma del diritto dell’Unione di sostituire la propria decisione a quella dell’autorità accertante. Tuttavia, gli Stati membri sono tenuti ad assicurare, in ciascun caso, il rispetto del diritto a un ricorso effettivo sancito dall’articolo 47 della Carta.

( 61 ) A tal riguardo, la Corte ha dichiarato, al punto 58 della sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626) che l’articolo 46, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 sarebbe privato di tutto il suo effetto utile se si ammettesse che, dopo la pronuncia di una sentenza con la quale il giudice di primo grado ha proceduto, conformemente a tale disposizione, a una valutazione completa ed ex nunc delle esigenze di protezione internazionale del richiedente, l’organo quasi giurisdizionale o amministrativo, di cui all’articolo 2, lettera f), della direttiva 2013/32, possa adottare una decisione contrastante con la suddetta valutazione.

( 62 ) C‑585/16, EU:C:2018:584.

( 63 ) Nella sua sentenza del 5 novembre 2014, Mukarubega (C‑166/13, EU:C:2014:2336, punto 45), la Corte ha dichiarato che siffatto diritto costituisce parte integrante del rispetto dei diritti della difesa, principio generale del diritto dell’Unione.

( 64 ) Sentenze del 10 settembre 2013, G. e R. (C‑383/13 PPU, EU:C:2013:533, punto 35); del 5 novembre 2014, Mukarubega (C‑166/13, EU:C:2014:2336, punto 51) e dell’11 dicembre 2014, Boudjlida (C‑249/13, EU:C:2014:2431, punto 41).

( 65 ) Considerando 18 della direttiva 2013/32,. il corsivo è mio. V. anche sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 109).

( 66 ) C‑560/14, EU:C:2017:101, punto 49 e segg.

( 67 ) C‑383/13 PPU, EU:C:2013:533.

( 68 ) Sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punti 115120).

( 69 ) Poiché un altro Stato membro ha concesso la protezione internazionale.

( 70 ) V., per analogia, sentenza del 25 luglio 2018, A (C‑404/17, EU:C:2018:588, punto 27). V. anche ordinanza del 5 luglio 2018, C e a. (C‑269/18 PPU, EU:C:2018:544, punto 55).

( 71 ) C‑269/18 PPU, EU:C:2018:544)

( 72 ) V. articolo 75, paragrafo 1, dell’AsylG.

( 73 ) V. paragrafo 13 delle presenti conclusioni.

( 74 ) Il rappresentante del sig. Addis ha sottolineato, all’udienza del 15 gennaio 2020 che, in tali casi, la domanda deve essere proposta nel termine di una settimana.

( 75 ) Le condizioni dettagliate relative allo svolgimento di un colloquio personale previste all’articolo 15 della direttiva 2013/32 si applicano a tutte le domande di protezione internazionale. La direttiva 2013/32 non opera alcuna distinzione tra l’applicazione di tali condizioni a un colloquio personale ai sensi dell’articolo 14 o dell’articolo 34 della stessa.

( 76 ) Ciò potrebbe probabilmente essere garantito se il giudice procedesse al colloquio personale a porte chiuse.

( 77 ) Occorre rilevare che il considerando 29 della direttiva 2013/32 stabilisce che «[t]aluni richiedenti possono necessitare di garanzie procedurali particolari, tra l’altro, per motivi di età, genere, orientamento sessuale, identità di genere, disabilità, grave malattia psichica o in conseguenza di torture, stupri o altre forme gravi di violenza psicologica, fisica o sessuale. Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per individuare i richiedenti che necessitano di garanzie procedurali particolari prima che sia presa una decisione in primo grado». Il corsivo è mio. Inoltre, il considerando 32 della direttiva 2013/32 prevede, inter alia, che «[n]ell’intento di garantire una sostanziale parità tra i richiedenti di entrambi i sessi, è opportuno che le procedure di esame siano sensibili alle specificità di genere. In particolare, i colloqui personali dovrebbero essere organizzati in modo da consentire ai richiedenti di entrambi i sessi che abbiano subito persecuzioni per motivi di genere di parlare delle esperienze passate».

( 78 ) Ciò vale, in particolare, quando il giudice è tenuto a esaminare il merito di una domanda di protezione internazionale.

( 79 ) V. anche il considerando 16 della direttiva 2013/32, ai sensi del quale «[è] indispensabile che le decisioni in merito a tutte le domande di protezione internazionale siano adottate sulla base dei fatti e, in primo grado, da autorità il cui organico dispone di conoscenze adeguate o ha ricevuto la formazione necessaria in materia di protezione internazionale».

( 80 ) L’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva 2013/32 richiama specificamente l’articolo 6, paragrafo 4, lettere da a) a e) del regolamento n. 439/2010.

( 81 ) Sentenza del 29 luglio 2019, Torubarov (C‑556/17, EU:C:2019:626, punto 64 e giurisprudenza ivi citata).

( 82 ) Al fine di non protrarre inutilmente la procedura e compromettere l’obiettivo specifico della direttiva 2013/32 di garantire il trattamento delle domande quanto prima possibile.

( 83 ) A mio avviso, dalla sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584) emerge chiaramente che il giudice, in determinate circostanze, può condurre un colloquio personale, purché siano rispettate determinate garanzie previste dalla direttiva 2013/32, quali il diritto a un interprete.

( 84 ) Tenendo in considerazione anche le disposizioni di cui all’articolo 4, paragrafi 3 e 4 di tale direttiva.

( 85 ) V. considerando 18 della direttiva 2013/32 e sentenza del 25 luglio 2018, Alheto (C‑585/16, EU:C:2018:584, punto 109).

( 86 ) C‑297/17, C‑318/17, C‑319/17 e C‑438/17, EU:C:2019:219, punto 90.

( 87 ) All’udienza del 15 gennaio 2020, l’avvocato del sig. Addis ha osservato che egli soffre di una patologia psichiatrica che lo renderebbe particolarmente vulnerabile se fosse espulso verso l’Italia, dato che, tra l’altro, egli non parla italiano. È chiaro che questa Corte non è in grado di valutare la veridicità di tale affermazione, né l’importanza da attribuire ad essa. Desidero sottolineare, tuttavia, che si tratta precisamente del tipo di questioni che un richiedente protezione internazionale dovrebbe poter sollevare nell’ambito di un colloquio personale ai sensi degli articoli 14 e 34 della direttiva 2013/32. Inoltre, affermazioni di questo tipo devono essere valutate dal personale qualificato ed esperto dell’autorità accertante. Il foro corretto per tali questioni non è certamente questa Corte, né tantomeno, a mio avviso, il giudice di uno Stato membro nei procedimenti di impugnazione ai sensi dell’articolo 46 della direttiva 2013/32. Emerge chiaramente dalla sentenza del 16 febbraio, C.K. e a. (C‑578/16 PPU, EU:C:2017:127, punto 68) che la circostanza che un richiedente protezione internazionale soffra di una patologia fisica o psichiatrica può assumere rilevanza nel contesto del trasferimento di tale richiedente in un altro Stato membro ai sensi del regolamento n. 604/2013. Nello stesso punto di tale sentenza, la Corte ha altresì statuito che dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 3 della CEDU, che deve essere presa in considerazione per interpretare l’articolo 4 della Carta, risulta che la sofferenza dovuta ad una malattia naturalmente sopravvenuta, fisica o mentale, può ricadere nella portata dell’articolo 3 della CEDU se è o rischia di essere esacerbata da un trattamento risultante da condizioni di detenzione, da un’espulsione o da altri provvedimenti, per il quale le autorità possono essere ritenute competenti, purché le sofferenze che ne conseguono raggiungano il minino di gravità richiesto dall’articolo 3 della CEDU.

( 88 ) John c. Rees [1970] Ch. 345, 402.

( 89 ) C‑383/13 PPU, EU:C:2013:533.