CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

NILS WAHL

presentate l’8 maggio 2018 ( 1 )

Causa C‑33/17

Čepelnik d.o.o.

contro

Michael Vavti

[(Domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bezirksgericht Bleiburg/ Okrajno sodišče Pliberk (Tribunale distrettuale di Bleiburg, Austria)]

«Libera prestazione di servizi – Normativa nazionale che impone al destinatario di servizi di costituire una cauzione a titolo di garanzia per il pagamento di una sanzione che potrebbe essere comminata a un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro – Articoli 16 e 19 della direttiva 2006/123/CE – Eccezione relativa alla legislazione del lavoro – Giustificazione – Articolo 56 TFUE – Proporzionalità – Diritto di difesa – Diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo – Direttiva 2014/67/UE»

1.

Nella presente causa, vertente su una domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Bezirksgericht Bleiburg/Okrajno sodišče Pliberk (Tribunale distrettuale di Bleiburg, Austria), la Corte è chiamata a statuire se il diritto dell’Unione osti a che uno Stato membro imponga al destinatario di servizi forniti da un’impresa stabilita in un altro Stato membro, mediante lavoratori distaccati, di costituire una cauzione e di sospendere i pagamenti a tale impresa. Secondo le pertinenti disposizioni della normativa nazionale, una somma pari al corrispettivo dovuto per tali servizi deve essere versata alle autorità dello Stato membro ospitante in qualità di garanzia del pagamento di una sanzione pecuniaria che potrebbe essere comminata, in futuro, al prestatore di servizi, per aver violato determinate disposizioni della legislazione nazionale del lavoro.

2.

Al fine di stabilire se la disposizione nazionale in questione sia contraria al diritto dell’Unione, la Corte dovrà esaminare l’interazione tra le norme dell’Unione relative alla libera prestazione di servizi di cui all’articolo 56 TFUE, alla direttiva 2006/123/CE ( 2 ) e alla direttiva 2014/67/UE ( 3 ) da un lato, e le norme nazionali che, secondo lo Stato membro interessato costituiscono parte della sua legislazione del lavoro, dall’altro lato.

I. Contesto normativo

A.   Diritto dell’Unione

3.

L’articolo 1, paragrafo 6 («Oggetto») della direttiva sui servizi prevede quanto segue:

«La presente direttiva non pregiudica la legislazione del lavoro, segnatamente le disposizioni giuridiche o contrattuali che disciplinano le condizioni di occupazione, le condizioni di lavoro, compresa la salute e la sicurezza sul posto di lavoro, e il rapporto tra datori di lavoro e lavoratori, che gli Stati membri applicano in conformità del diritto nazionale che rispetta il diritto [dell’Unione]. Parimenti, la presente direttiva non incide sulla normativa degli Stati membri in materia di sicurezza sociale».

4.

L’articolo 3, paragrafo 3 della medesima direttiva («Relazione con le altre disposizioni del diritto [dell’Unione]») così dispone:

«Gli Stati membri applicano le disposizioni della presente direttiva nel rispetto delle norme del trattato che disciplinano il diritto di stabilimento e la libera circolazione dei servizi».

5.

L’articolo 16 («Libera prestazione di servizi»), stabilisce quanto segue:

«1.   Gli Stati membri rispettano il diritto dei prestatori di fornire un servizio in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti.

Lo Stato membro in cui il servizio viene prestato assicura il libero accesso a un’attività di servizi e il libero esercizio della medesima sul proprio territorio.

Gli Stati membri non possono subordinare l’accesso a un’attività di servizi o l’esercizio della medesima sul proprio territorio a requisiti che non rispettino i seguenti principi:

a)

non discriminazione: i requisiti non possono essere direttamente o indirettamente discriminatori sulla base della nazionalità o, nel caso di persone giuridiche, della sede,

b)

necessità: i requisiti devono essere giustificati da ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o di tutela dell’ambiente,

c)

proporzionalità: i requisiti sono tali da garantire il raggiungimento dell’obiettivo perseguito e non vanno al di là di quanto è necessario per raggiungere tale obiettivo.

2.   Gli Stati membri non possono restringere la libera circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolare, imponendo i requisiti seguenti:

a)

l’obbligo per il prestatore di essere stabilito sul loro territorio;

b)

l’obbligo per il prestatore di ottenere un’autorizzazione dalle autorità competenti, compresa l’iscrizione in un registro o a un ordine professionale sul loro territorio, salvo i casi previsti dalla presente direttiva o da altri strumenti di diritto [dell’Unione];

c)

il divieto imposto al prestatore di dotarsi sul loro territorio di una determinata forma o tipo di infrastruttura, inclusi uffici o uno studio, necessaria all’esecuzione delle prestazioni in questione;

d)

l’applicazione di un regime contrattuale particolare tra il prestatore e il destinatario che impedisca o limiti la prestazione di servizi a titolo indipendente;

e)

l’obbligo per il prestatore di essere in possesso di un documento di identità specifico per l’esercizio di un’attività di servizi rilasciato dalle loro autorità competenti;

f)

i requisiti, a eccezione di quelli in materia di salute e di sicurezza sul posto di lavoro, relativi all’uso di attrezzature e di materiali che costituiscono parte integrante della prestazione del servizio;

g)

le restrizioni alla libera circolazione dei servizi di cui all’articolo 19.

3.   Allo Stato membro in cui il prestatore si reca non può essere impedito di imporre requisiti relativi alla prestazione di un’attività di servizi qualora siano giustificati da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di sanità pubblica o tutela dell’ambiente, e in conformità del paragrafo 1. Allo stesso modo, a quello Stato membro non può essere impedito di applicare, conformemente al diritto comunitario, le proprie norme in materia di condizioni di occupazione, comprese le norme che figurano negli accordi collettivi.

(…)».

6.

L’articolo 17 della direttiva sui servizi contiene un elenco di «Ulteriori deroghe alla libera prestazione di servizi». Ai sensi del punto 2 di tale elenco, «l’articolo 16 non si applica (…) alle materie disciplinate dalla direttiva 96/71/CE».

7.

La sezione 2 del capo IV della direttiva sui servizi riguarda i «diritti dei destinatari di servizi». L’articolo 19 stabilisce quanto segue:

«Gli Stati membri non possono imporre al destinatario requisiti che limitano l’utilizzazione di un servizio fornito da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolare i requisiti seguenti:

a)

l’obbligo di ottenere un’autorizzazione dalle loro autorità competenti o quello di presentare una dichiarazione presso di esse;

b)

limiti discriminatori alla concessione di aiuti finanziari a causa del fatto che il prestatore è stabilito in un altro Stato membro o in ragione del luogo in cui il servizio è prestato.

(…)».

B.   Normativa austriaca

8.

Il paragrafo 7m dell’Arbeitsvertragsrechts-Anpassungsgesetz (legge sull’adeguamento dei contratti di lavoro) del 1993 (BGBl., 459/1993; in prosieguo: l’ «AVRAG»), dispone quanto segue:

«1.   In caso di ragionevole sospetto di un’infrazione amministrativa ai sensi dei paragrafi 7b, sottoparagrafo 8, 7i o 7k, sottoparagrafo 4, e nel caso in cui, a causa di determinate circostanze, si debba presumere che il procedimento sanzionatorio o l’esecuzione della sanzione saranno seriamente ostacolati, se non addirittura resi impossibili, per motivi inerenti alla persona del datore di lavoro (l’appaltatore) o all’impresa che fornisce manodopera, gli organi dell’autorità fiscale, nell’ambito delle indagini di cui al paragrafo 7f, e il fondo per le ferie retribuite e il licenziamento dei lavoratori dell’edilizia possono richiedere per iscritto al datore di lavoro, in caso di fornitura di manodopera, di non pagare il corrispettivo per il lavoro o la retribuzione per la fornitura di manodopera ancora dovuti, o parte di essi (sospensione dei pagamenti) (…). Gli organi dell’autorità fiscale e il fondo per le ferie retribuite e il licenziamento dei lavoratori dell’edilizia possono imporre una sospensione dei pagamenti solo ove non possa essere fissata o costituita una cauzione ai sensi del paragrafo 7l.

(…)

3.   In caso di ragionevole sospetto di un’infrazione amministrativa ai sensi dei paragrafi 7b, sottoparagrafo 8,7i o 7k, sottoparagrafo 4, e nel caso in cui, a causa di determinate circostanze, si debba presumere che il procedimento sanzionatorio o l’esecuzione della sanzione saranno seriamente ostacolati, se non addirittura resi impossibili, per motivi inerenti alla persona del datore di lavoro (l’appaltatore) o all’impresa che fornisce manodopera, l’autorità amministrativa regionale può richiedere, mediante decisione, al committente o al datore di lavoro, nel caso di fornitura di manodopera al datore di lavoro, il pagamento del corrispettivo per il lavoro o della retribuzione per la fornitura di manodopera ancora dovuti, o parte di essi, a titolo di cauzione, entro un periodo di tempo ragionevole (…).

(…)

5.   Il pagamento di cui al sottoparagrafo 3 ha l’effetto di sollevare il committente o il datore di lavoro dal suo debito nei confronti dell’appaltatore o dell’impresa che fornisce manodopera.

(…)».

9.

I sottoparagrafi 3 e 8 del paragrafo 7b dell’AVRAG stabiliscono quanto segue:

«3.   I datori di lavoro ai sensi del paragrafo 1 devono dichiarare l’impiego dei lavoratori messi a loro disposizione in Austria ai fini dello svolgimento di lavoro in tale Stato, al più tardi una settimana prima dell’inizio delle attività, presso l’Ufficio centrale per il controllo in materia di occupazione illegale, conformemente alla legge sull’occupazione degli stranieri (Ausländerbeschäftigungsgesetz) e all’[AVRAG] del Ministro federale delle Finanze (…).

(…)

8.   Chiunque, in qualità di datore di lavoro ai sensi del paragrafo 1:

1.

ometta di presentare o presenti intempestivamente o in maniera incompleta, in violazione del paragrafo 3, la dichiarazione iniziale o la dichiarazione relativa a modifiche successive (dichiarazione rettificativa) (…).

(…)

commette un’infrazione amministrativa ed è condannato dall’autorità amministrativa regionale al pagamento di una sanzione da EUR 500 a 5000, o in caso di seconda o successiva infrazione, da EUR 1000 a 10000, per ciascun lavoratore interessato (…)».

10.

Il paragrafo 7i, sottoparagrafo 4 dell’AVRAG dispone quanto segue:

«Chiunque,

1.   in qualità di datore di lavoro ai sensi dei paragrafi 7, 7a, sottoparagrafo 1 o 7b, sottoparagrafi 1 e 9, non tiene a disposizione la documentazione attinente ai fogli paga, in violazione del paragrafo 7d

(…)

commette un’infrazione amministrativa è condannato dall’autorità amministrativa regionale, per ciascun lavoratore interessato, al pagamento di una sanzione da EUR 1000 a 10000, o in caso di recidiva, da EUR 2000 a 20000, e, se sono coinvolti più di tre lavoratori, da EUR 2000 a 20000 o, in caso di recidiva, da EUR 4000 a 50000 per ciascun lavoratore interessato».

11.

Le disposizioni di cui ai paragrafi 7b, sottoparagrafo 3, 7b, sottoparagrafo 8, 7i, sottoparagrafo 4 e 7m dell’AVRAG riflettono il quadro normativo vigente fino al 31 dicembre 2016. Il 1o gennaio 2017 tali norme sono state sostituite dai paragrafi 19, 26, 27, 28 e 34 del Lohn- und Sozialdumpingbekämpfungsgesetz (legge per combattere il dumping salariale e sociale), di contenuto identico.

II. Fatti, procedimento e questioni pregiudiziali

12.

La presente causa è sorta nell’ambito di una controversia tra la Čepelnik d.o.o. (in prosieguo: la «Čepelnik») e il sig. Michael Vavti, per quanto concerne il pagamento del corrispettivo ancora dovuto per servizi di costruzione.

13.

La Čepelnik è una società a responsabilità limitata stabilita in Slovenia. Essa ha prestato servizi nel settore edilizio al sig. Vavti per un valore di EUR 12200. I servizi sono stati prestati presso un’abitazione di proprietà del sig. Vavti, situata in Austria, in prossimità del confine con la Slovenia, mediante il distacco di lavoratori. Il sig. Vavti ha versato un anticipo di EUR 7000 alla Čepelnik.

14.

Il 16 marzo 2016, la polizia finanziaria austriaca ha effettuato un’ispezione presso il cantiere e ha addebitato alla Čepelnik due infrazioni amministrative. In primo luogo, per quanto concerne due lavoratori distaccati, la Čepelnik aveva omesso di dare corretta comunicazione di inizio dei lavori a norma del paragrafo 7b, sottoparagrafo 8, numero 1, in combinato disposto con il paragrafo 7b, sottoparagrafo 3, dell’AVRAG. In secondo luogo, la Čepelnik non aveva reso disponibile, in lingua tedesca, la documentazione attinente ai fogli paga di quattro lavoratori distaccati, in violazione del paragrafo 7i, sottoparagrafo 4, numero 1, in combinato disposto con le prime due frasi del paragrafo 7d, sottoparagrafo 1, dell’AVRAG.

15.

Immediatamente a seguito dell’ispezione, la polizia finanziaria ha imposto al sig. Vavti la sospensione dei pagamenti e ha domandato all’autorità amministrativa competente, il Bezirksmannschaft Völkermarkt [autorità amministrativa del distretto di Völkermarkt; Austria, (in prosieguo: la «BHM Völkermarkt»)] l’emissione, nei confronti del sig. Vatvi, di un ordine di costituzione di una cauzione. Tale cauzione era destinata a garantire il pagamento delle sanzioni pecuniarie che avrebbero potuto essere comminate in esito a un procedimento avviato nei confronti della Čepelnik ai sensi dell’AVRAG, sulla base dell’esito dell’ispezione. Conformemente al paragrafo 7m, sottoparagrafo 4 dell’AVRAG, la polizia finanziaria ha richiesto che la garanzia fosse fissata a un importo pari al corrispettivo ancora dovuto, segnatamente EUR 5200. Con decisione del 17 marzo 2016, la BHM Völkermarkt ha ordinato la costituzione della cauzione richiesta, con la motivazione che, «poiché la sede [di stabilimento] della (…) fornitrice dei servizi si trova in Slovenia (…) si deve partire dal presupposto che il procedimento sanzionatorio e l’esecuzione della sanzione siano seriamente ostacolati, se non addirittura resi impossibili». Il sig. Vavti non ha proposto impugnazione avverso tale decisione e ha versato la cauzione il 20 aprile 2016.

16.

È stato avviato un procedimento nei confronti della Čepelnik in relazione alle presunte infrazioni amministrative. Con decisione dell’11 ottobre 2016, è stata inflitta alla Čepelnik una sanzione pecuniaria di EUR 1000 per aver violato il paragrafo 7b, sottoparagrafo 8, numero 1 dell’AVRAG, non avendo registrato due lavoratori presso le autorità austriache competenti prima che questi iniziassero a lavorare presso il cantiere. Inoltre, con decisione di data 12 ottobre 2016, è stata inflitta alla Čepelnik un sanzione pecuniaria di EUR 8000, per aver violato il paragrafo 7i, sottoparagrafo 4, numero 1, dell’AVRAG, non avendo tenuto a disposizione la necessaria documentazione, in lingua tedesca, attinente ai fogli paga di quattro lavoratori. Il 2 novembre 2016, la Čepelnik ha proposto impugnazione avverso tali decisioni. Il giudice del rinvio aggiunge che le impugnazioni erano ancora pendenti al momento della domanda di pronuncia pregiudiziale.

17.

A seguito della conclusione dei lavori, la Čepelnik ha richiesto al sig. Vavti il pagamento di EUR 5000, a titolo di corrispettivo ancora dovuto. Quest’ultimo ha rifiutato il pagamento, sostenendo di aver già versato la somma in questione alla BHM Völkermarkt, conformemente alla decisione amministrativa di tale autorità. Egli ha sostenuto che, in linea con il paragrafo 7m, sottoparagrafo 5 dell’AVRAG, il versamento della cauzione all’autorità amministrativa ha prodotto effetti liberatori quanto al suo debito nei confronti della Čepelnik. Quest’ultima, dunque, ha avviato un procedimento nei confronti del sig. Vavti presso il Bezirksgericht Bleiburg/Okrajno sodišče Pliberk (Tribunale distrettuale di Bleiburg) al fine di ottenere il pagamento del corrispettivo ancora dovuto.

18.

Nutrendo dubbi sulla corretta interpretazione di talune disposizioni del diritto dell’Unione e sulla compatibilità delle norme nazionali in questione con tali disposizioni, il giudice del rinvio ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni:

«Se l’articolo 56 TFUE e la direttiva [2014/67] debbano essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro ordini a un soggetto, in tale Stato, di sospendere i pagamenti e di costituire una cauzione per una somma pari all’importo del corrispettivo ancora dovuto, qualora la sospensione dei pagamenti e la costituzione della cauzione fungano esclusivamente da garanzia per il pagamento di un’eventuale sanzione pecuniaria, da infliggersi solo all’esito di un separato procedimento a carico di un prestatore di servizi avente sede in un altro Stato membro.

In caso di soluzione negativa alla questione di cui sopra:

a)

Se l’articolo 56 TFUE e la direttiva [2014/67] debbano essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro ordini al committente che abbia commissionato lavori in quello stesso Stato la sospensione dei pagamenti e la costituzione di una cauzione per una somma pari all’importo del corrispettivo ancora dovuto, qualora al prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro, nei cui confronti dovrebbe essere comminata una sanzione pecuniaria, non sia dato alcun mezzo di ricorso avverso la decisione che impone la costituzione della cauzione nell’ambito del procedimento relativo alla cauzione stessa, e non sia riconosciuto alcun effetto sospensivo all’impugnazione proposta dal committente avverso tale decisione.

b)

Se l’articolo 56 TFUE e la direttiva [2014/67] debbano essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro imponga al committente che abbia commissionato lavori in quello stesso Stato, la sospensione dei pagamenti e la costituzione di una cauzione per una somma pari all’importo del corrispettivo ancora dovuto per la sola ragione che il prestatore di servizi ha la propria sede in un altro Stato membro.

c)

Se l’articolo 56 TFUE e la direttiva [2014/67] debbano essere interpretati nel senso che ostano a che uno Stato membro imponga al committente che abbia commissionato lavori in quello stesso Stato la sospensione dei pagamenti e la costituzione di una cauzione per una somma pari all’importo del corrispettivo ancora dovuto, benché il corrispettivo dovuto al prestatore non sia ancora esigibile e benché l’importo definitivo non sia ancora definito, stante la sussistenza di controcrediti e di diritti di trattenuta».

19.

La Čepelnik, i governi ceco, ungherese, slovacco, sloveno, austriaco e polacco, nonché la Commissione, hanno presentato osservazioni scritte. Con lettera del 15 dicembre 2017, la Corte, ai sensi dell’articolo 61, paragrafo 1, del suo regolamento di procedura, ha invitato le parti e gli interessati di cui all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia, a rispondere per iscritto ai seguenti quesiti prima dell’udienza:

«1)   Se la [direttiva sui servizi] sia applicabile a decisioni quali quelle di cui al procedimento principale. A tal proposito, si richiama l’attenzione degli interessati sull’articolo 1, paragrafo 6 di tale direttiva.

2)   In caso affermativo, se la [direttiva sui servizi] debba essere interpretata nel senso di ostare a decisioni quali quelle di cui al procedimento principale».

20.

La Čepelnik, i governi ceco, francese, slovacco, sloveno e austriaco, nonché la Commissione, hanno risposto per iscritto a detti quesiti. Inoltre, la Čepelnik, i governi ceco, ungherese, sloveno e austriaco, nonché la Commissione, hanno presentato le proprie argomentazioni nel corso dell’udienza del 26 gennaio 2018.

III. Analisi

21.

Con le sue questioni, il giudice del rinvio chiede alla Corte, in sostanza, se il diritto dell’Unione osti a che uno Stato membro ordini a un destinatario di servizi la sospensione dei pagamenti e la costituzione di una cauzione pari all’importo del corrispettivo ancora dovuto (in prosieguo: il «provvedimento in questione») per un servizio fornito, mediante lavoratori distaccati, da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, quando il provvedimento in questione serve a garantire il pagamento di un’eventuale sanzione pecuniaria che potrebbe successivamente essere comminata al prestatore dallo Stato membro ospitante, per una violazione della legislazione nazionale del lavoro.

22.

In particolare, il giudice del rinvio chiede se il diritto dell’Unione osti al provvedimento in questione quando al prestatore di servizi non sia dato alcun mezzo di ricorso contro tale provvedimento, e/o esso sia imposto per il solo fatto che il prestatore è stabilito in un altro Stato membro, e/o esso sia imposto anche se il corrispettivo contrattuale non sia ancora esigibile nella sua totalità e l’importo residuo di tale corrispettivo non sia ancora stato determinato, stante la sussistenza di controcrediti e di diritti di trattenuta.

23.

Prima di affrontare il merito della causa, tuttavia, è necessario, in primo luogo, analizzare l’eccezione procedurale sollevata dal governo austriaco e, quindi, descrivere brevemente le principali caratteristiche del provvedimento in questione, al fine di individuare le disposizioni del diritto dell’Unione applicabili in tale contesto.

A.   Sulla competenza della Corte

24.

Nelle sue osservazioni, il governo austriaco contesta la competenza della Corte, sostenendo che la soluzione delle questioni sollevate non sia necessaria ai fini della soluzione della controversia nella causa principale. Detto governo sostiene che, poiché la decisione di adottare il provvedimento in questione è di carattere amministrativo, la sua validità può essere esaminata soltanto da un giudice amministrativo. Il giudice del rinvio, tuttavia, non è un giudice amministrativo ed è investito unicamente di una controversia di diritto civile fra Čepelnik e il sig. Vavti. Tale giudice, pertanto, non è competente ad annullare o modificare tale decisione.

25.

Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante, le questioni sull’interpretazione del diritto dell’Unione sollevate da un giudice nazionale sono assistite da una presunzione di rilevanza. La Corte può rifiutare di pronunciarsi su una questione pregiudiziale sollevata da un giudice nazionale soltanto qualora risulti in modo manifesto che l’interpretazione del diritto dell’Unione richiesta non ha alcuna relazione con i fatti della causa principale o il suo oggetto, qualora il problema sia di natura ipotetica o qualora la Corte non disponga degli elementi di fatto o di diritto necessari per fornire una risposta utile alle questioni che le sono sottoposte ( 4 ).

26.

A tale riguardo, risulta dalle indicazioni fornite dal giudice del rinvio che esiste un chiaro nesso tra la decisione amministrativa che impone il provvedimento in questione nei confronti del sig. Vavti, da un lato, e il procedimento civile per il pagamento del corrispettivo ancora dovuto, promosso dalla Čepelnik nei confronti del sig. Vavti, dall’altro lato. Il giudice del rinvio sottolinea che, ai sensi del paragrafo 7m, sottoparagrafo 5 dell’AVRAG, il versamento della cauzione all’autorità amministrativa ha estinto il debito del sig. Vavti nei confronti della Čepelnik. Pertanto, le questioni relative alla legittimità della cauzione non sembrano irrilevanti ai fini della possibilità, per il giudice del rinvio, di statuire nel procedimento principale.

27.

La Corte è quindi competente a rispondere alle questioni sottopostele.

B.   Il provvedimento in questione

28.

Con le sue questioni, il giudice del rinvio chiede di valutare la compatibilità con il diritto dell’Unione di un provvedimento nazionale quale quello in questione. Nella sua domanda di pronuncia pregiudiziale, il giudice nazionale fa riferimento, in particolare, all’articolo 56 TFUE e alle disposizioni della direttiva 2014/67. Inoltre, alcune delle parti che hanno presentato osservazioni nel presente procedimento hanno sostenuto che la direttiva sui servizi sia applicabile al caso in questione, circostanza che ha indotto la Corte a chiedere alle parti di prendere specificamente posizione, per iscritto, sulla questione.

29.

Di conseguenza, si deve anzitutto stabilire quali disposizioni di diritto dell’Unione siano applicabili al procedimento principale, alla luce delle specifiche caratteristiche del provvedimento in questione.

30.

Tale provvedimento consiste in una decisione adottata dalle autorità, che ordina a un destinatario di servizi la sospensione dei pagamenti e la costituzione di una cauzione, in ragione di una possibile violazione, da parte del prestatore di servizi, di obblighi derivanti dalla legislazione nazionale del lavoro. La parte del corrispettivo contrattuale che risulta ancora dovuta dal destinatario al prestatore, nel momento in cui il provvedimento in questione è adottato, deve essere versata all’amministrazione, che la trattiene a titolo di garanzia per il pagamento di sanzioni pecuniarie che potrebbero essere successivamente comminate al prestatore. Di fatto, al momento dell’adozione di tale provvedimento, non è ancora stata comminata alcuna sanzione nei confronti del prestatore.

31.

In questo frangente, devo sottolineare che non si può determinare con certezza se il provvedimento in questione sia (direttamente o indirettamente) discriminatorio. A tale riguardo, il governo austriaco sostiene che il paragrafo 7m dell’AVRAG risulta, a prima vista, una disposizione non discriminatoria, in quanto è applicabile sia ai prestatori di servizi stabiliti in Austria, sia ai prestatori di servizi stabiliti in altri Stati membri.

32.

Tuttavia, non rinvengo alcun elemento a favore di tale tesi nel fascicolo relativo alla causa. Infatti, le infrazioni amministrative che, ai sensi del paragrafo 7m dell’AVRAG, possono determinare l’adozione del provvedimento in questione (le infrazioni di cui ai paragrafi 7b, sottoparagrafo 8, 7i e 7k, sottoparagrafo 4 della medesima normativa) riguardano tutte situazioni relative al distacco di lavoratori. Pertanto, il provvedimento in questione sembra destinato a essere applicato unicamente a prestatori di servizi stranieri.

33.

Quando interpellato, nel corso dell’udienza, relativamente alla questione se, nella normativa austriaca, un simile provvedimento fosse applicabile anche a situazioni puramente interne o per infrazioni più frequentemente commesse dai prestatori di servizi nazionali, il governo austriaco ha risposto, in prima battuta, in senso affermativo. Tuttavia, quando è stato chiesto a tale governo di essere più preciso e di fornire esempi concreti, esso ha avuto difficoltà a indicare le disposizioni giuridiche pertinenti e a menzionare casi in cui un simile provvedimento è stato applicato a situazioni prive di elementi transfrontalieri. Personalmente, non ho riscontrato alcuna disposizione dell’AVRAG, nella versione in vigore all’epoca dei fatti, che prevedesse una misura equivalente in caso di violazione di disposizioni diverse da quelle di cui al paragrafo 7m. In tale contesto, ci si potrebbe chiedere se vi era davvero bisogno di una disposizione di portata così ampia allorché si tratti di una situazione puramente interna.

34.

In ogni caso, se non direttamente discriminatorio, il provvedimento in questione sembra essere, quantomeno, indirettamente discriminatorio. Infatti, il giudice del rinvio rileva che, nel caso di specie, la condizione per la sua applicazione è stata considerata soddisfatta per il semplice motivo che il prestatore di servizi era un’impresa slovena. Se così fosse, tale disposizione è applicata, di fatto, in modo discriminatorio: prestatori stranieri e prestatori locali sono trattati in modo diverso unicamente in ragione del luogo di stabilimento. Tuttavia, nel corso dell’udienza, il governo austriaco ha sostenuto che, nel caso di specie, il paragrafo 7m dell’AVRAG potrebbe semplicemente essere stato applicato in modo errato. A suo avviso, il fatto che un prestatore di servizi sia stabilito all’estero non dovrebbe essere determinante ai fini dell’adozione del provvedimento di cui trattasi.

35.

Alla luce di ciò, e malgrado le riserve che ancora nutro sul punto, procederò all’analisi giuridica sulla base all’assunto che il provvedimento in questione non sia discriminatorio.

36.

In ogni caso, come rileva correttamente il giudice del rinvio, a prescindere dal fatto che tale provvedimento sia o meno discriminatorio, esso è, per sua stessa natura, in grado, da un lato, di dissuadere committenti austriaci dall’acquistare servizi di prestatori con sede all’estero e, dall’altro, di dissuadere i prestatori stabiliti in altri Stati membri dall’offrire, su base temporanea, i propri servizi in Austria.

37.

Per quanto concerne il primo punto, un provvedimento quale quello in questione può, ovviamente, produrre una serie di effetti negativi sui committenti che decidono di acquistare servizi presso prestatori stranieri. In particolare, una volta che il provvedimento in questione sia stato adottato, il committente è tenuto a pagare il corrispettivo ancora dovuto, in anticipo, all’amministrazione, anziché poter attendere fino al completamento del servizio da parte del prestatore. Inoltre, il committente perde la possibilità di trattenere parte del corrispettivo ancora dovuto a titolo di risarcimento in caso di vizi o ritardi nella conclusione dei lavori o di danni verificatisi nel corso dei lavori. Inoltre, il committente si espone al rischio che, nel momento in cui il prestatore venga a conoscenza dell’applicazione del provvedimento, i lavori possano essere sospesi o ritardati.

38.

Quanto al secondo punto, il provvedimento in questione rende meno attrattiva, per le imprese stabilite all’estero, la prestazione dei propri servizi, su base temporanea, in Austria. Infatti, è sufficiente che le autorità austriache nutrano un «ragionevole sospetto» che un prestatore abbia commesso un’infrazione amministrativa ai sensi di determinate disposizioni dell’AVRAG, affinché egli perda il diritto di esigere dal committente il pagamento del corrispettivo ancora dovuto per il servizio prestato. Il provvedimento in questione può, quindi, quanto meno, esporre i prestatori di servizi a un accresciuto rischio di ritardi nel pagamento degli importi che rappresentano, spesso, una parte significativa dell’intero corrispettivo concordato. Il provvedimento in questione può, inoltre, produrre determinate conseguenze finanziarie sfavorevoli, anche nell’ipotesi in cui non sia stata commessa alcuna infrazione, in quanto, per l’intera durata del procedimento sanzionatorio (che può durare diversi anni), la cauzione rimane nel conto dell’amministrazione austriaca nel quale, a quanto mi risulta, non produce interessi.

39.

Alla luce di tale contesto, sembra evidente che, in linea di principio, un provvedimento quale quello in questione rientra nell’ambito di applicazione delle norme del Trattato relative alla libera prestazione di servizi. Inoltre, anche la direttiva sui servizi, a prima vista, sembra rilevante: tale strumento ha introdotto un quadro giuridico generale volto ad eliminare, fra l’altro, gli ostacoli alla libera circolazione dei servizi tra gli Stati membri ( 5 ).

40.

Per contro, altri strumenti giuridici indicati dal giudice del rinvio e da alcune delle parti che hanno presentato osservazioni non mi sembrano pertinenti o applicabili. Anzitutto, sebbene la controversia oggetto del procedimento principale sia sorta in una situazione di distacco di lavoratori, nessuna disposizione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori ( 6 ) è direttamente pertinente. Tale direttiva mira a coordinare le norme nazionali sostanziali relative ai termini e alle condizioni di lavoro dei lavoratori distaccati, indipendentemente dalle disposizioni amministrative accessorie destinate a consentire il controllo dell’osservanza di tali termini e condizioni. Tali misure possono, di conseguenza, essere determinate liberamente dagli Stati membri, nel rispetto del Trattato e dei principi generali del diritto dell’Unione ( 7 ).

41.

Inoltre, la direttiva 2014/67 concernente l’applicazione della direttiva relativa al distacco dei lavoratori, che sarebbe rilevante, in linea di principio, in ragione del suo oggetto ( 8 ), non è applicabile ratione temporis alla controversia in questione ( 9 ). Infatti, il termine di recepimento della direttiva è scaduto soltanto il 18 giugno 2016, mentre i fatti di cui al procedimento principale si sono verificati nel marzo 2016. A quanto mi risulta, l’Austria ritiene che la direttiva 2014/67 sia stata recepita tramite la legge per combattere il dumping salariale e sociale, del 13 giugno 2016, entrata in vigore il 1o gennaio 2017, trattandosi della legge che è stata notificata alla Commissione come misura di trasposizione di tale direttiva.

42.

Pertanto, in questo contesto, la questione fondamentale è quella di determinare se la compatibilità con il diritto dell’Unione di un provvedimento quale quello in esame debba essere analizzata alla luce delle disposizioni del Trattato relative al mercato interno o alla luce delle disposizioni della direttiva sui servizi.

C.   Articolo 56 TFUE o direttiva sui servizi

43.

A partire dalla causa Rina Services ( 10 ), la Corte ha costantemente applicato le norme stabilite nella direttiva sui servizi quale quadro giuridico per stabilire la compatibilità di misure nazionali con la libera circolazione dei servizi, quando tali misure rientravano nell’ambito di applicazione ratione materiae di tale strumento giuridico, senza esaminarle alla luce degli articoli 49 e/o 56 TFUE.

44.

A questo punto, conseguentemente, la questione cruciale è stabilire se un provvedimento quale quello in questione rientri o meno nell’ambito di applicazione della direttiva sui servizi.

45.

La direttiva sui servizi si applica, in linea di principio, a tutti i tipi di attività di servizi ( 11 ) e con riguardo a tutti i tipi di provvedimenti nazionali che possano limitare la libera circolazione dei servizi ( 12 ), ad eccezione delle attività e dei tipi di provvedimenti che sono esplicitamente esclusi dal suo campo di applicazione ( 13 ). In particolare, i servizi di costruzione, vale a dire l’attività oggetto della causa principale, sono espressamente citati nel considerando 33 della direttiva sui servizi nell’elenco esemplificativo delle attività oggetto della medesima direttiva.

46.

La direttiva sui servizi elenca, inoltre, all’articolo 1, alcuni settori che essa «non riguarda» o che «lascia impregiudicat[i]».

47.

Con riferimento a quest’ultima disposizione, il governo austriaco ha sostenuto che la direttiva sui servizi non è applicabile al procedimento principale: il provvedimento in questione rientra nell’ambito della legislazione nazionale del lavoro che, a norma dell’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva, non rientra nel campo di applicazione della direttiva.

48.

Occorre quindi esaminare se tale argomentazione può essere accolta. A tal fine, sembra utile chiarire qual è, a mio avviso, il significato dell’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva sui servizi.

1. Eccezione relativa alla legislazione del lavoro

49.

Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 6, la direttiva sui servizi «non pregiudica la legislazione del lavoro, segnatamente le disposizioni giuridiche o contrattuali che disciplinano le condizioni di occupazione, le condizioni di lavoro, compresa la salute e la sicurezza sul posto di lavoro, e il rapporto tra datori di lavoro e lavoratori, che gli Stati membri applicano in conformità del diritto nazionale che rispetta il diritto [dell’Unione]» ( 14 ). Tale disposizione deve essere letta alla luce del considerando 14 della direttiva, che recita quanto segue: «La presente direttiva non incide sulle condizioni di lavoro e di occupazione, compresi i periodi massimi di lavoro e i periodi minimi di riposo, la durata minima delle ferie annuali retribuite, i salari minimi nonché la salute, la sicurezza e l’igiene sul lavoro, che gli Stati membri applicano in conformità del diritto [dell’Unione]; inoltre, la presente direttiva non incide sulle relazioni tra le parti sociali, compresi i diritti di negoziare e concludere accordi collettivi, di scioperare e di intraprendere azioni sindacali in conformità del diritto e delle prassi nazionali che rispettano il diritto [dell’Unione]».

50.

È importante sottolineare che tali disposizioni non stabiliscono che il settore del diritto del lavoro sia escluso, nel suo complesso, dall’ambito di applicazione della direttiva sui servizi. In effetti, come già rilevato, i settori del diritto (ad esempio, fiscalità) e le attività economiche (quali i servizi di assistenza sanitaria) che non rientrano, nella loro totalità, nel campo di applicazione della direttiva sono elencati all’articolo 2 il quale, infatti, è intitolato «campo di applicazione» e stabilisce espressamente che le disposizioni della direttiva sui servizi «non si applica[no]» ai settori e alle attività ivi elencate ( 15 ).

51.

Dall’altro lato, l’articolo 1 della direttiva sui servizi riguarda l’«oggetto» della direttiva e, fra l’altro, individua settori del diritto su cui tale strumento «non incide». Tale requisito deve essere inteso, a mio avviso, nel senso che le disposizioni della direttiva sui servizi devono essere interpretate e applicate in modo da non limitare i diritti, le libertà e le facoltà di cui beneficiano i privati (ad esempio l’esercizio di diritti fondamentali) o gli Stati membri (ad esempio, la definizione di ciò che essi considerano servizi di interesse economico generale, la disciplina dei settori del diritto penale o del diritto del lavoro), menzionati all’articolo 1 ( 16 ).

52.

Infatti, come risulta dai lavori preparatori della direttiva sui servizi, il legislatore dell’Unione ha inteso evitare che tale strumento potesse condurre a una concorrenza normativa, innescando una corsa al ribasso in termini di norme sociali e del lavoro ( 17 ). Di conseguenza, in parole semplici, la direttiva sui servizi non impedisce agli Stati membri di applicare le loro norme in materia di lavoro a situazioni che, se tali norme non esistessero, ricadrebbero sotto tale strumento.

53.

Tuttavia, la direttiva assoggetta tale potere al rispetto di una condizione. Come espressamente indicato sia all’articolo 1, paragrafo 6, sia al considerando 14 della direttiva sui servizi, il fatto che tale direttiva non incida sulla legislazione del lavoro degli Stati membri vale solo nella misura in cui la normativa nazionale in questione «rispetta il diritto [dell’Unione]». Pertanto, lungi dall’attribuire agli Stati membri carta bianca nell’applicare la propria legislazione del lavoro, a prescindere dal possibile impatto sul mercato interno, la direttiva sui servizi prevede esclusivamente un’eccezione limitata. Altri principi e regole relativi al mercato interno, contenuti in atti di diritto primario o in altri atti di diritto derivato, continuano ad applicarsi alla legislazione del lavoro di uno Stato membro.

54.

Ciò detto, la questione successiva da esaminare è se un provvedimento quale quello in questione rientri nell’«eccezione» relativa alla «legislazione del lavoro» contenuta nella dalla direttiva sui servizi.

2. Natura del provvedimento in questione

55.

A questo punto, devo sottolineare che, a mio avviso, la nozione di «legislazione del lavoro» non può che essere una nozione di diritto dell’Unione. Diversamente, la portata della direttiva varierebbe tra gli Stati membri, in funzione della definizione formale di legislazione del lavoro adottata da ciascuno di essi.

56.

Tale posizione è inoltre confermata da un elemento testuale. L’articolo 1, paragrafo 6 della direttiva sui servizi contiene un chiarimento di ciò che è incluso in tale concetto: «le disposizioni giuridiche o contrattuali che disciplinano le condizioni di occupazione, le condizioni di lavoro, compresa la salute e la sicurezza sul posto di lavoro, e il rapporto tra datori di lavoro e lavoratori». Come chiarito dal considerando 14, le condizioni di occupazione e le condizioni di lavoro comprendono questioni quali «i periodi massimi di lavoro e i periodi minimi di riposo, la durata minima delle ferie annuali retribuite, i salari minimi». Il medesimo considerando chiarisce, inoltre, che l’espressione «rapporto tra datori di lavoro e lavoratori» mira a includere le «relazioni tra le parti sociali», che comprendono questioni quali «i diritti di negoziare e concludere accordi collettivi, di scioperare e di intraprendere azioni sindacali».

57.

Inoltre, la formulazione dell’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva sui servizi, in particolare quando letto nelle varie versioni linguistiche della direttiva ( 18 ), suggerisce che l’elenco degli aspetti ivi considerati sia esaustivo. Ciò è tanto più opportuno, a mio parere, in quanto la definizione di cui all’articolo 1, paragrafo 6 e al considerando 14 sembra sufficientemente ampia da coprire la maggior parte, se non tutti, gli aspetti che sono comunemente concepiti come parte della legislazione del lavoro a livello internazionale e dell’Unione ( 19 ).

58.

Da ciò, tuttavia, non discende, come sostenuto da alcune delle parti che hanno presentato osservazioni nell’ambito del presente procedimento, che solo le norme sostanziali di diritto del lavoro (intese come le norme che fissano diritti e doveri) rientrino in tale nozione. Ritengo che la nozione di «legislazione del lavoro» debba comprendere anche le norme relative alle sanzioni e alle procedure che sono tipiche di tale settore. La facoltà di uno Stato membro di applicare la propria legislazione del lavoro a situazioni che, in linea di principio, sarebbero disciplinate dalla direttiva sui servizi deve necessariamente comprendere il potere di applicare norme il cui obiettivo specifico sia quello di rendere effettiva, verificabile e attuabile l’osservanza delle norme sostanziali del diritto del lavoro.

59.

Tuttavia, non mi sembra che questo sia il caso del paragrafo 7m dell’AVRAG, anche se, in generale, l’AVRAG è uno strumento che fa parte della legislazione del lavoro austriaca.

60.

A mio avviso, il provvedimento in questione non può essere considerato ricadente nell’ambito dell’eccezione relativa alla «legislazione del lavoro» di cui alla direttiva sui servizi. Tale provvedimento è applicato nonostante non sia stata ancora accertata alcuna violazione della legislazione del lavoro e, cosa più importante, essa non è applicato all’autore dell’infrazione, bensì alla sua controparte contrattuale. La posizione giuridica di quest’ultima, su cui il provvedimento in questione incide direttamente e immediatamente, non è, di norma, disciplinata dalle norme del diritto del lavoro, dal momento che, almeno per quanto riguarda tale situazione, egli non è né un datore di lavoro, né un dipendente. Inoltre, le somme riscosse attraverso il provvedimento in questione non sono utilizzate per la tutela dei lavoratori né per qualsiasi altro obiettivo sociale.

61.

Come sottolineato da molte delle parti che hanno presentato osservazioni nel presente procedimento, l’obiettivo del provvedimento in questione è piuttosto quello di garantire, a beneficio dell’erario, l’esecuzione delle sanzioni che le autorità pubbliche potrebbero comminare, in futuro, a un prestatore di servizi. Nell’imporre tale provvedimento, le autorità austriache si avvalgono dei loro poteri di polizia e amministrativi. Come indicato in precedenza, gli effetti del provvedimento, lungi dal limitarsi a indurre i prestatori di servizi a rispettare la legislazione del lavoro nazionale, si spingono ben oltre, disincentivando, di fatto, la prestazione transfrontaliera di servizi.

62.

Siffatta misura non può, quindi, essere considerata parte della «legislazione del lavoro» di uno Stato membro ai fini della direttiva sui servizi. Questa conclusione mi sembra confermata, indirettamente, dalle statuizioni della Corte nella sentenza De Clercq, in cui la Corte ha dichiarato che la nozione di «condizioni di lavoro e di occupazione» dei lavoratori distaccati, ai sensi della direttiva 96/71, non può essere estesa a disposizioni amministrative volte a consentire alle autorità di verificare l’osservanza delle disposizioni in materia di condizioni di lavoro e di occupazione dei lavoratori distaccati ( 20 ).

63.

Alla luce di quanto precede, esaminerò la compatibilità di un provvedimento quale quello in questione principalmente sulla base delle disposizioni della direttiva sui servizi. Tuttavia, per l’ipotesi in cui la Corte non condivida la mia posizione sull’applicabilità della direttiva nel procedimento principale, esaminerò il provvedimento in questione, successivamente, anche alla luce dell’articolo 56 TFUE.

D.   Compatibilità del provvedimento in questione con il diritto dell’Unione

1. Sugli articoli 16 e 19 della direttiva sui servizi

64.

Gli articoli 16 e 19 della direttiva sui servizi sono contenuti nel capo IV della direttiva, intitolato «Libera circolazione dei servizi». L’articolo 16 stabilisce i principi fondamentali della materia e si concentra, in particolare, sulle restrizioni che possono incidere sui prestatori di servizi, mentre l’articolo 19 riguarda le restrizioni che possono interessare i destinatari dei servizi.

65.

Ritengo che entrambe le disposizioni siano applicabili al provvedimento in questione. Come spiegato supra, ai paragrafi da 36 a 38, un siffatto provvedimento risulta, per sua stessa natura, in grado di dissuadere, da un lato, committenti austriaci dall’acquistare servizi di prestatori con sede all’estero e, dall’altro lato, prestatori stabiliti in altri Stati membri dall’offrire, su base temporanea, i propri servizi in Austria.

66.

Di conseguenza, il provvedimento in questione costituisce, in linea di massima, una restrizione vietata dagli articoli 16 e 19 della direttiva sui servizi. La successiva questione da porsi è se un simile provvedimento possa, nondimeno, essere giustificato. Al fine di rispondere a tale questione, mi sembra necessario chiarire il significato e la portata degli articoli 16 e 19 della direttiva sui servizi. Inizierò con l’esaminare il primo che, a sua volta, mi condurrà all’esame del secondo.

a) Corretta interpretazione degli articoli 16 e 19

67.

L’articolo 16 è, probabilmente, la disposizione più controversa contenuta nella direttiva sui servizi e, certamente, una il cui significato è particolarmente opaco ( 21 ). Ciò è dovuto principalmente al fatto che, nella sua versione definitiva, l’articolo 16 ha notevolmente modificato la disposizione contenuta, in origine, nella prima proposta della Commissione. La proposta del 2004 ( 22 ), infatti, ha incluso nel progetto di articolo 16 il «principio del paese di origine», nonché un elenco di deroghe. Tuttavia, l’inclusione di tale principio nel progetto di direttiva ha suscitato un dibattito in tutta Europa, ed è stata criticata da alcuni gruppi di interesse per il fatto di «aprire le porte» ( 23 ) al dumping sociale. Per tale motivo, la proposta modificata della Commissione, presentata nel 2006 ( 24 ), ha eliminato il principio del paese di origine e riformulato in modo sostanziale l’articolo 16.

68.

L’articolo 16 della direttiva sui servizi, nella sua versione definitiva, solleva una serie di questioni interpretative. Ai fini del presente procedimento, tuttavia, vi è solo una questione che deve essere affrontata: se una misura che rientra nel campo di applicazione dell’articolo 16 può essere giustificata e, in caso affermativo, sulla base di quali motivi e a quali condizioni.

69.

A tal riguardo, si deve rilevare che l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva sui servizi stabilisce i principi generali in materia di libera prestazione di servizi, che sono enucleati e costruiti sulla base della regola fondamentale sancita all’articolo 56 TFUE. In particolare, esso impone agli Stati membri di rispettare il diritto dei prestatori di servizi di fornire servizi in uno Stato membro diverso da quello in cui sono stabiliti. Lo Stato membro ospitante è tenuto, dunque, ad assicurare il libero accesso a un’attività di servizi e il libero esercizio della medesima sul proprio territorio. Solo i requisiti nazionali che rispettano i principi di non discriminazione, di necessità e di proporzionalità possono essere giustificati.

70.

A sua volta, l’articolo 16, paragrafo 3, della direttiva sui servizi, limita a quattro i motivi di giustificazione: quelli di cui all’articolo 52 TFUE e la protezione dell’ambiente. Tale paragrafo include anche una deroga per le norme nazionali «in materia di condizioni di occupazione», in applicazione dell’eccezione più generale di cui all’articolo 1, paragrafo 6, della direttiva sui servizi.

71.

Un problema spinoso è quello di stabilire se l’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva sui servizi contenga una «lista nera» di condizioni nazionali (nel senso che tali requisiti non possono mai essere giustificati) o se si limiti ad elencare esempi di requisiti particolarmente sospetti che, tuttavia, possono, in circostanze eccezionali, essere giustificati, qualora le condizioni di cui all’articolo 16, paragrafi 1 e 3 siano soddisfatte ( 25 ). Due avvocati generali, in passato, hanno espresso opinioni differenti sul punto ( 26 ) e anche la dottrina sembra divisa ( 27 ).

72.

Ciò è comprensibile. Vi sono, infatti, argomenti a sostegno di entrambe le letture della disposizione.

73.

Da un lato, la struttura dell’articolo 16 della direttiva sui servizi lascerebbe intendere che i requisiti di cui al paragrafo 2 non sarebbero di per sé proibiti. In effetti, potrebbe sembrare una scelta singolare, da parte del legislatore, quella di includere una lista nera in un paragrafo specifico (paragrafo 2), collocato tra due paragrafi (paragrafi 1 e 3) che stabiliscono le condizioni in cui i requisiti nazionali possono essere giustificati. Ci si attenderebbe, piuttosto, di trovare un elenco del genere all’inizio o alla fine dell’articolo 16 o, meglio ancora, in una disposizione distinta e specifica. Effettivamente, questo è il caso dei requisiti nazionali che incidono sulla libertà di stabilimento; essi sono oggetto di due disposizioni distinte: l’articolo 14, che contempla requisiti inclusi nella «lista nera», e l’articolo 15, che si occupa dei requisiti soggetti a un meccanismo di valutazione e a una regola relativa alla loro giustificazione. Inoltre, l’articolo 16, paragrafo 2, non stabilisce espressamente che esso si applichi «in deroga» a quanto previsto al paragrafo precedente.

74.

Dall’altro lato, tuttavia, la singolare struttura dell’articolo 16 della direttiva servizi può essere spiegata dalle (già ricordate) vicissitudini redazionali ( 28 ). Ciò che è più importante è che ritengo vi siano argomenti più convincenti per sostenere la tesi che i requisiti di cui al paragrafo 2 siano di per sé vietati. In primo luogo, la formulazione dell’articolo 16, paragrafo 2, è molto chiara nell’affermare che «gli Stati membri non possono restringere la libera circolazione dei servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, in particolare, imponendo i requisiti seguenti (…)» ( 29 ). L’articolo 16, paragrafo 2, dunque, ripropone il testo dell’articolo 14 della medesima direttiva, in relazione al quale la Corte ha ritenuto che i requisiti ivi elencati «non possono essere giustificati» ( 30 ).

75.

Inoltre, se il legislatore avesse inteso semplicemente elencare esempi di requisiti nazionali che, come quelli inclusi nelle norme generali di cui ai paragrafi 1 e 3 dell’articolo 16, sono in linea di principio vietati, ma possono essere giustificati, avrebbe probabilmente introdotto, nella parte introduttiva dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva sui servizi, termini quali «in particolare» o «fra cui», come ha fatto in altre disposizioni della stessa direttiva ( 31 ). Di conseguenza, il carattere «chiuso» dell’elenco di cui all’articolo 16, paragrafo 2, induce a ritenere che si tratti di un elenco di requisiti non giustificabili che differiscono, pertanto, da quelli soggetti alle norme (generali) di cui ai paragrafi 1 e 3.

76.

Inoltre, i requisiti elencati all’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva servizi sembrano ispirati dalla giurisprudenza della Corte, che li ha ritenuti particolarmente pregiudizievoli per la libera prestazione dei servizi ( 32 ). In effetti, non è facile immaginare situazioni in cui uno Stato membro possa validamente sostenere la necessità di applicare tali tipi di requisiti.

77.

Infine, significativamente, i requisiti che, ai sensi dell’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva sui servizi, non possono essere imposti includono, alla lettera g), «le restrizioni alla libera circolazione dei servizi di cui all’articolo 19» della medesima direttiva. Quest’ultima disposizione, come indicato al precedente paragrafo 64, riguarda i requisiti nazionali che limitano il diritto dei destinatari di ottenere servizi da fornitori stabiliti all’estero. Mi sembra che il ragionamento seguito dalla Corte nella sentenza Rina Services, secondo cui i requisiti di cui all’articolo 14 della direttiva sui servizi non possono in nessun caso essere giustificati, si debba applicare anche in relazione all’articolo 19 della medesima direttiva. In effetti, analogamente alla prima disposizione, anche la seconda è intitolata «restrizioni vietate» e non contiene alcuna espressione tale da indurre a ritenere che gli Stati membri abbiano la facoltà di giustificare tali restrizioni ( 33 ).

78.

In effetti, l’articolo 19 della direttiva sui servizi elenca solo due categorie di requisiti e qualifica chiaramente tale elenco come non esaustivo. Il carattere aperto di tale disposizione potrebbe, dunque, essere considerato indicativo del fatto che le restrizioni ivi contemplate non sarebbero, di per sé, vietate. Tuttavia, tale considerazione non è, a mio avviso, sufficiente a mettere in discussione il fatto che l’articolo 19 miri a vietare tout court qualsiasi restrizione imposta da uno Stato membro ai destinatari di servizi. Occorre ricordare che solo raramente la normativa di uno Stato membro limita la possibilità, per clienti nazionali, di ottenere servizi da prestatori stabiliti all’estero. Pertanto, il campo di applicazione dell’articolo 19 è piuttosto limitato.

79.

Di conseguenza, se l’articolo 19 della direttiva sui servizi costituisce una «lista nera», l’articolo 16, paragrafo 2, della medesima direttiva, che rinvia espressamente ad esso, deve configurarsi come una disposizione di uguale natura.

80.

Alla luce di quanto precede, ritengo che le misure nazionali che limitino i diritti dei prestatori di servizi possono essere giustificate, in linea di principio, solo per i motivi e alle condizioni di cui all’articolo 16, paragrafi 1 e 3 della direttiva sui servizi, o «graziate» dalle deroghe di cui agli articoli 17 e 18 della stessa direttiva ( 34 ). Tuttavia, misure nazionali quali quelle elencate all’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva sui servizi possono essere introdotte o mantenute solo ricadenti negli articoli 17 e 18 di tale direttiva. Al contrario, ai sensi dell’articolo 19 della direttiva sui servizi, misure nazionali che limitino i diritti dei destinatari di servizi non possono, in linea di principio, essere giustificate.

b) Conclusioni

81.

Alla luce di quanto precede, ritengo che un provvedimento quale quello in questione sia incompatibile con gli articoli 16 e 19 della direttiva sui servizi.

82.

Infatti, per i motivi illustrati supra, ai paragrafi 36 e 37, il provvedimento in questione costituisce una restrizione anche nei confronti del destinatario di servizi e, di conseguenza, rientra nel campo di applicazione dei divieti di cui agli articoli 16, paragrafo 2, lettera g), e 19 della direttiva sui servizi. Tuttavia, ho altresì chiarito che, per quanto riguarda i requisiti di cui a tali disposizioni, non è ammessa, in linea di principio, alcuna giustificazione.

83.

Sulla base di quanto precede, concludo che si debba rispondere alle questioni proposte nel senso che gli articoli 16 e 19 della direttiva sui servizi ostano a che uno Stato membro ordini a un destinatario di servizi la sospensione dei pagamenti e la costituzione di una cauzione pari al corrispettivo ancora dovuto per i servizi forniti da un prestatore stabilito in un altro Stato membro, mediante lavoratori distaccati, quando il provvedimento in questione serva a garantire il pagamento di un’eventuale sanzione pecuniaria che potrebbe successivamente essere comminata al prestatore dallo Stato membro ospitante, in ragione di una violazione della legislazione nazionale del lavoro.

2. Articolo 56 TFUE

84.

A mio avviso, la risposta alle questioni sollevate non sarebbe diversa anche se la Corte dovesse considerare le disposizioni della direttiva sui servizi non applicabili al procedimento principale e, di conseguenza, esaminare la compatibilità di un provvedimento quale quello in questione con l’articolo 56 TFUE.

a) Sull’esistenza di una restrizione

85.

Secondo una giurisprudenza costante, l’articolo 56 TFUE impone non solo l’eliminazione di qualsiasi discriminazione fondata sulla nazionalità, nei confronti di prestatori di servizi stabiliti in un altro Stato membro, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione alla libera prestazione di servizi, anche qualora essa si applichi indistintamente a prestatori di servizi nazionali e a prestatori di altri Stati membri, che sia suscettibile di vietare, ostacolare o rendere meno attrattive le attività di un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro, in cui presta legittimamente servizi analoghi ( 35 ).

86.

Come spiegato supra, ai paragrafi da 36 a 38, il provvedimento in questione è in grado di limitare i diritti attribuiti ai prestatori di servizi e ai destinatari di servizi dall’articolo 56 TFUE.

87.

Resta da esaminare, dunque, se tale restrizione possa essere giustificata.

b) Possibile giustificazione

88.

A tal riguardo, si deve ricordare che, poiché la libera prestazione dei servizi è uno dei principi fondamentali dell’Unione, una restrizione di tale libertà può essere ammessa soltanto se persegue un obiettivo legittimo compatibile con i Trattati ed è giustificata da motivi imperativi di interesse pubblico; se questo è il caso, essa deve essere idonea a garantire la realizzazione dell’obiettivo perseguito e non deve spingersi al di là di quanto necessario per il raggiungimento di tale obiettivo ( 36 ).

89.

A riguardo, ricordo, anzitutto, che lo scopo di consentire alle autorità nazionali di verificare ed imporre il rispetto della legislazione nazionale sul lavoro, adottata per proteggere i lavoratori e evitare concorrenza sleale e dumping sociale, che è la giustificazione invocata dal governo austriaco, costituisce un motivo imperativo di interesse generale che può giustificare una restrizione della libera prestazione di servizi ( 37 ).

90.

Per quanto riguarda l’adeguatezza di un provvedimento quale quello di cui trattasi a garantire la realizzazione di tale obiettivo, osservo quanto segue. È vero che, rendendo più difficile agli imprenditori l’elusione del pagamento di sanzioni che possano essere loro inflitte in ragione della violazione di talune norme sul lavoro, il provvedimento in questione può promuovere il rispetto di tali norme.

91.

Tuttavia, si può dubitare del fatto che il provvedimento in questione persegua genuinamente e in modo coerente l’obiettivo invocato dal governo austriaco. Infatti, la misura in questione è imposta al fine di assicurare il pagamento di sanzioni per violazioni che possono ben essere di natura puramente formale e le cui conseguenze dannose possono essere piuttosto circoscritte, mentre non è applicabile (se ho ben compreso) in relazione a violazioni della legislazione del lavoro che hanno conseguenze più gravi per i lavoratori: ad esempio, il fatto di non rispettare i diritti concernenti il congedo per malattia o maternità, le ferie annuali retribuite, i periodi minimi di riposo o la retribuzione minima, o di non soddisfare le condizioni richieste in materia di salute, sicurezza e igiene sul luogo di lavoro.

92.

Tuttavia, a prescindere da tale aspetto, ritengo che il provvedimento in questione sia, in ogni caso, sproporzionato, in quanto va al di là di quanto necessario per raggiungere l’obiettivo dichiarato. Diverse ragioni supportano la mia opinione.

c) Proporzionalità

93.

In primo luogo, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, qualora uno Stato membro invochi motivi imperativi di interesse pubblico per giustificare norme idonee a ostacolare l’esercizio della libera prestazione dei servizi, tale giustificazione deve essere interpretata alla luce dei principi generali del diritto dell’Unione e, in particolare, dei diritti fondamentali ormai garantiti dalla Carta. Pertanto, le norme nazionali in questione potranno ricadere nelle eccezioni previste solo se conformi ai diritti fondamentali di cui la Corte garantisce il rispetto ( 38 ).

94.

Nella presente causa, ritengo che due disposizioni della Carta siano particolarmente rilevanti: l’articolo 47 («Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale») e l’articolo 48 («Presunzione di innocenza e diritti della difesa»). Il provvedimento in questione risulta problematico alla luce di entrambe.

95.

Da un lato, ai sensi dell’articolo 48 della Carta, quando le autorità nazionali agiscono nell’ambito del diritto dell’Unione, al destinatario di una decisione che lo pregiudichi deve essere data la possibilità di presentare le sue osservazioni prima dell’adozione della decisione, in modo da consentire alla competente autorità amministrativa di tener effettivamente conto di tutte le informazioni pertinenti. In particolare, il destinatario deve poter correggere eventuali errori commessi dall’autorità o fornire informazioni che depongano a favore dell’adozione o della non adozione della decisione o che ne influenzino il contenuto specifico. Tale diritto deve essere garantito anche nel caso in cui la normativa nazionale applicabile non preveda espressamente alcuna procedura specifica a tal fine ( 39 ).

96.

Nella causa in esame, il destinatario formale del provvedimento controverso, è il sig. Vavti. Tuttavia, è innegabile che il provvedimento abbia inciso, in modo diretto e immediato, anche sulla posizione giuridica della Čepelnik, limitando fortemente i diritti derivanti dal contratto con il sig. Vavti. Ciò nonostante, la Čepelnik non è mai stata sentita prima dell’adozione del provvedimento in questione.

97.

Dall’altro lato, inoltre, il provvedimento in questione sembra in contrasto con i requisiti di cui all’articolo 47 della Carta, in forza del quale ogni decisione presa dalle autorità amministrative deve essere impugnabile dinanzi a un giudice che possa riesaminare le questioni di fatto e di diritto fatte valere dal ricorrente. In particolare, a un privato deve essere concesso il diritto di proporre un ricorso dinanzi ai giudici nazionali per contestare la legittimità di qualsiasi decisione o altro provvedimento nazionale relativi all’applicazione, nei suoi confronti, delle norme dell’Unione ( 40 ).

98.

A tal riguardo, osservo che non è chiaro se un’impresa che si trovi nella stessa posizione della Čepelnik abbia il diritto di proporre, presso un giudice austriaco, un ricorso di annullamento del provvedimento controverso. Sulla base dell’ordinanza di rinvio sembrerebbe che ciò non sia possibile, tesi sostenuta anche dalla Čepelnik, mentre il governo austriaco ritiene che sia possibile ( 41 ). La situazione, dunque, è quantomeno ambigua. In ogni caso, non vedo come il diritto a un ricorso effettivo possa essere correttamente esercitato qualora, come nel caso della Čepelnik, il prestatore di servizi non sia neppure stato prontamente informato dall’amministrazione austriaca dell’adozione del provvedimento in questione.

99.

Non è soddisfacente, ovviamente, neppure il fatto che il provvedimento in questione possa essere contestato dal destinatario dei servizi. Infatti, dal momento che la costituzione della cauzione produce effetto liberatorio quanto al suo debito nei confronti del prestatore di servizi, il cliente potrebbe non aver interesse, nella maggior parte dei casi, ad agire giudizialmente, il che gli costerebbe denaro, tempo ed energie.

100.

In secondo luogo, occorre sottolineare che, secondo il giudice del rinvio, il provvedimento in questione è stato applicato esclusivamente sulla base del fatto che la Čepelnik non è stabilita in Austria, motivo per cui l’amministrazione ha ritenuto che l’esecuzione della sanzione pecuniaria che avrebbe eventualmente potuto comminare, in futuro, a tale impresa sarebbe risultata seriamente ostacolata, se non addirittura impossibile.

101.

Pertanto, perlomeno nella causa in esame, le autorità austriache sono partite dal presupposto che il semplice fatto che un’impresa sia stabilita all’estero giustifica l’adozione del provvedimento in questione. Tuttavia, non vedo in che modo l’adozione in via generale e precauzionale di una misura restrittiva nei confronti (potenzialmente) di qualsiasi prestatore di servizi non stabilito in Austria possa essere giustificata ( 42 ). La sua applicazione automatica e incondizionata non consente di tenere adeguatamente in considerazione le circostanze specifiche relative a ciascun prestatore, nonostante il fatto, evidente, che non tutti i prestatori registrati all’estero si trovano in una situazione analoga. In particolare, non si può presumere che tutti i prestatori di servizi possano tentare di trarre profitto dagli ostacoli amministrativi derivanti dall’esecuzione transfrontaliera di una sanzione pecuniaria al fine di sottrarvisi ( 43 ). Vi saranno sicuramente imprese straniere che, in ragione delle loro dimensioni, reputazione, situazione finanziaria e, non da ultimo, clientela in Austria, preferiranno pagare la sanzione pecuniaria loro inflitta, anziché tentare di aggirare il diritto austriaco. Non può eventualmente spettare al prestatore di servizi l’onere di confutare la presunzione avanzata dalle autorità nazionali, soprattutto in quanto egli non è neppure a conoscenza dell’adozione del provvedimento in questione e, in ogni caso, non è del tutto chiaro se e quando questi potrebbe comparire dinanzi alle autorità amministrative e/o al giudice nazionale competente.

102.

Né si può presumere che, qualora si manifestasse la necessità di eseguire la sanzione a livello transfrontaliero, le autorità slovene non sarebbero disposte a fornire l’assistenza necessaria ai loro colleghi austriaci.

103.

Ciò è a maggior ragione vero se si considera che, solo tre mesi dopo l’applicazione del provvedimento in questione nel procedimento principale, è scaduto il termine per il recepimento della direttiva 2014/67 e che le infrazioni amministrative per le quali è stata comminata una sanzione alla Čepelnik sembrano rientrare nell’ambito di applicazione ratione materiae di detta direttiva. Infatti, ai sensi dell’articolo 9, paragrafo 1, della direttiva 2014/67, gli obblighi amministrativi e le misure di controllo necessari per assicurare l’effettiva vigilanza sul rispetto degli obblighi di cui a tale direttiva e alla direttiva 96/71 che gli Stati membri sono autorizzati ad imporre, a condizione che essi siano giustificati e proporzionati, in conformità del diritto dell’Unione, includono gli obblighi del prestatore di servizi relativi alla dichiarazione dell’inizio della prestazione del servizio e della tenuta dei fogli paga in una delle lingue ufficiali dello Stato membro ospitante o qualsiasi altra lingua da questi accettata.

104.

Di conseguenza, le autorità austriache avrebbero potuto utilizzare, in tempi brevi, le procedure e i meccanismi previsti dalla direttiva 2014/67 al fine di eseguire una sanzione che, può essere opportuno sottolinearlo ancora una volta, al momento in cui è stata ordinata la costituzione della cauzione, non era ancora stata comminata. In particolare, gli articoli da 13 a 19 della direttiva 2014/67 (capo VI sull’«esecuzione transfrontaliera delle sanzioni amministrative pecuniarie e/o delle ammende») impone agli Stati membri di assistersi reciprocamente nell’applicazione delle norme nazionali adottate in applicazione della direttiva, il che implica un obbligo di riconoscimento reciproco delle sanzioni e di mutua assistenza nel recupero delle sanzioni amministrative e/o ammende. Tali articoli stabiliscono, inoltre, alcune disposizioni specifiche a tal fine.

105.

Inoltre, è opportuno sottolineare che il provvedimento in questione è stato mantenuto anche a seguito della scadenza del termine per il recepimento della direttiva 2014/67 e che l’Austria ha notificato alla Commissione l’avvenuta trasposizione di tale direttiva.

106.

Ciò rende non necessario, a mio parere, stabilire se le procedure previste dalla decisione quadro 2005/214/GAI del Consiglio, del 24 febbraio 2005, relativa all’applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sanzioni pecuniarie ( 44 ) sia applicabile al caso di specie, come sostenuto da alcune parti che hanno presentato osservazioni nell’ambito del presente procedimento. Mi sembra che la Corte non disponga di sufficienti informazioni al riguardo. In particolare, non è chiaro se la decisione con la quale l’amministrazione austriaca impone sanzioni pecuniarie per violazioni dell’AVRAG, quali quelle di cui la Čepelnik è accusata, sia adottata da una delle autorità menzionate all’articolo 1, lettera a), della decisione quadro 2005/214.

107.

In terzo luogo, e infine, osservo che le sanzioni pecuniarie di cui il provvedimento in questione mira a garantire la riscossione sono particolarmente severe, soprattutto per violazioni che appaiono di natura piuttosto formale (quale la mera omessa presentazione dei documenti attinenti ai fogli paga nella lingua dello Stato membro ospitante) ( 45 ). Ciò è anche dimostrato anche dal fatto che, come osservato dal giudice del rinvio, la sanzione pecuniaria che potrebbe essere comminata alla Čepelnik potrebbe raggiungere EUR 90000. Si tratta di un importo notevole, tenuto conto delle dimensioni e del fatturato della Čepelnik e del valore totale dei lavori realizzati da tale impresa in Austria.

108.

A tale riguardo, si deve ricordare che, secondo una giurisprudenza costante, in assenza di norme comuni che disciplinano una questione specifica, gli Stati membri restano competenti per l’imposizione di sanzioni in caso di violazione degli obblighi derivanti dalla normativa nazionale. Tuttavia, gli Stati membri non possono imporre sanzioni tanto sproporzionate rispetto alla gravità dell’infrazione da renderle un ostacolo alle libertà sancite dai Trattati ( 46 ).

109.

Nel caso di specie, la combinazione di pesanti sanzioni con una cauzione come quella in questione risulta pregiudicare in modo sostanziale l’esercizio della libera prestazione dei servizi garantita dai Trattati. In particolare, considerate nel loro complesso, tali misure alterano, in misura significativa, il delicato equilibrio tra i diversi (e a volte contrastanti) interessi perseguiti dalla direttiva 96/71: promuovere la prestazione transfrontaliera di servizi, garantendo nel contempo una concorrenza leale e assicurando il rispetto dei diritti dei lavoratori, sia nello Stato membro ospitante, sia nello Stato membro di origine ( 47 ).

110.

Alla luce di quanto precede, sono dell’opinione che un provvedimento quale quello in questione costituisca una restrizione ai sensi dell’articolo 56 TFUE che non può essere giustificata, poiché eccede quanto è necessario per il raggiungimento dell’obiettivo perseguito dalla normativa nazionale.

IV. Conclusione

111.

In conclusione, propongo alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Bezirksgericht Bleiburg/Okrajno sodišče Pliberk (Tribunale distrettuale di Bleiburg, Austria) come segue:

Gli articoli 16 e 19 della direttiva n. 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno, ostano a che uno Stato membro ordini al destinatario di servizi la sospensione dei pagamenti e la costituzione di una cauzione per una somma pari all’importo del corrispettivo ancora dovuto per servizi forniti da un’impresa stabilita in un altro Stato membro mediante lavoratori distaccati, qualora il provvedimento in questione funga da garanzia del pagamento di un’eventuale sanzione pecuniaria che potrebbe essere comminata, in futuro, al prestatore, dallo Stato membro ospitante, per una violazione della legislazione nazionale del lavoro.


( 1 ) Lingua originale: l’inglese.

( 2 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (in prosieguo: la «direttiva sui servizi») (GU 2006, L 376, pag. 36).

( 3 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, concernente l’applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi e recante modifica del regolamento (UE) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno (GU 2014, L 159, pag. 11).

( 4 ) V., inter alia, sentenza del 6 settembre 2016, Petruhhin, C‑182/15, EU:C:2016:630, punto 20 e giurisprudenza ivi citata.

( 5 ) V., in particolare, i considerando da 5 a 7 della direttiva sui servizi.

( 6 ) Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 1996, relativa al distacco dei lavoratori nell’ambito di una prestazione di servizi (GU 1997, L 18, pag. 1).

( 7 ) V. sentenza del 3 dicembre 2014, De Clercq e a., C‑315/13, EU:C:2014:2408, punto 47 e la giurisprudenza ivi citata.

( 8 ) Tale direttiva stabilisce, ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, «un quadro comune relativo a un insieme di disposizioni, misure e meccanismi di controllo appropriati, necessari per migliorare e uniformare l’applicazione nella pratica della direttiva [sul distacco dei lavoratori], comprendente anche misure dirette a prevenire e sanzionare ogni violazione ed elusione delle norme vigenti». L’obiettivo perseguito consiste nel garantire il rispetto di un adeguato livello di protezione dei diritti dei lavoratori distaccati per una prestazione transfrontaliera di servizi, facilitando l’esercizio della libera prestazione di servizi e promuovendo una concorrenza leale tra i prestatori di servizi.

( 9 ) V. anche, in tal senso, sentenza del 3 dicembre 2014, De Clercq e a., C‑315/13, EU:C:2014:2408, punti da 49 a 51. Dall’altro lato, le disposizioni della direttiva 2014/67 saranno applicabili per quanto riguarda l’esecuzione dell’ammontare della sanzione che supera l’importo previsto dal provvedimento in questione.

( 10 ) Sentenza del 16 giugno 2015, Rina Services e a., C‑593/13, EU:C:2015:399, punto 23 e seguenti. V. inoltre, in tal senso, sentenze del 30 gennaio 2018, X e Visser, C‑360/15 e C‑31/16, EU:C:2018:44, punto 137, e del 23 febbraio 2016, Commissione/Ungheria, C‑179/14, EU:C:2016:108, punto 118.

( 11 ) V., in particolare, gli articoli 2, paragrafo 1, e 4, punto 1 della direttiva sui servizi.

( 12 ) V., in particolare, l’articolo 4, punto 7 della direttiva sui servizi.

( 13 ) V., rispettivamente, l’articolo 2, paragrafi 2 e 3 della direttiva sui servizi.

( 14 ) Il corsivo è mio.

( 15 ) Il corsivo è mio.

( 16 ) Tale interpretazione è confermata dal fatto che l’articolo 1, paragrafo 7, stabilisce che la direttiva «non pregiudica l’esercizio dei diritti fondamentali». Tuttavia, è ovvio che i diritti conferiti dalla direttiva sui servizi possono avere un’incidenza sull’esercizio di determinati diritti fondamentali (in particolare quelli di carattere economico) riconosciuti dal diritto nazionale e dell’Unione.

( 17 ) Il considerando 58 della proposta iniziale di direttiva, della Commissione [COM(2004) 2 final/3, alla quale in dottrina si fa sovente riferimento come al «progetto Bolkestein»] stabiliva semplicemente che la «direttiva non ha il fine di considerare questioni di diritto del lavoro in quanto tali». Alcune parti interessate, tuttavia, hanno sostenuto che una simile disposizione poteva pregiudicare le norme in materia di protezione sociale e il diritto fondamentale all’azione collettiva e di contrattazione. In risposta a tali preoccupazioni, la proposta modificata di direttiva, della Commissione [COM(2006)160 final, alla quale in dottrina si fa sovente riferimento come al «progetto McCreevy»] ha introdotto, tra l’altro, all’articolo 1, paragrafo 6, l’attuale deroga. Tale progetto di disposizione è stato successivamente adottato, con tale formulazione, nella direttiva sui servizi. Per un’analisi, v. Flower, J., «Negotiating European Legislation: The Services Directive», Cambridge Yearbook of European Legal Studies, vol. 9, Hart Publishing, 2007, pagg. da 217 a 238.

( 18 ) Ad esempio: «labour law, that is» (versione inglese), «das Arbeitsrecht, d.h.» (versione tedesca); «droit du travail, à savoir» (versione francese); «legislazione del lavoro, segnatamente» (versione italiana); «Derecho laboral, es decir» (versione spagnola); «het arbeidsrecht …, datwilzeggen» (versione olandese); «legislação laboral, ou seja» (versione portoghese); «työoikeuteen, toisin sanoen» (versione finlandese) e «arbetsrätten, dvs.» (versione svedese). Il corsivo è mio.

( 19 ) V., ad esempio, gli articoli da 27 a 33 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e gli articoli da 151 a 160 TFUE.V. anche la Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (adottata in occasione della riunione del Consiglio svoltasi a Strasburgo il 9 dicembre 1989) e la Carta sociale europea del Consiglio d’Europa (firmata a Torino il 18 ottobre 1961). V., più di recente, i principi del pilastro europeo dei diritti sociali (proclamazione interistituzionale, da parte della Commissione, del Consiglio e del Parlamento al vertice sociale per l’occupazione equa e la crescita tenutosi il 17 novembre 2017 a Göteborg).

( 20 ) Sentenza del 3 dicembre 2014, De Clercq e a.., C‑315/13, EU:C:2014:2408, punti da 42 a 48.

( 21 ) V. Barnard, C.: «Unravelling the Services Directive», in Common Market Law Review, vol. 45, 2008, pagg. da 323 a 394, pag. 360.

( 22 ) Citata supra, nota 17.

( 23 ) V., ad esempio, Craufurd Smith, R., «Old wine in new bottles? From the “country of origin principle” to “freedom to provide services” in the European Community Directive on services in the internal market», Mitchell Working Paper Series, 2007, pag. 2.

( 24 ) Citata supra, nota 17.

( 25 ) La questione è emersa anche in una causa precedente, ma la Corte non ha avuto bisogno di prendere posizione in merito: v. sentenza del 23 febbraio 2016, Commissione/Ungheria, C‑179/14, EU:C:2016:108, punto 116.

( 26 ) Cfr. conclusioni dell’avvocato generale Cruz Villalón, Rina Services e Rina, C‑593/13, EU:C:2015:159, paragrafo 34 e seguenti, e conclusioni dell’avvocato generale Bot, Commissione/Ungheria, C‑179/14, EU:C:2015:619, paragrafo 153 e seguenti.

( 27 ) Cfr. Barnard, C., op. cit. supra, nota 21, pagg. 364 e 365, e i lavori citati alla nota 57 delle conclusioni dell’avvocato generale Bot, Commissione/Ungheria, C‑179/14, EU:C:2015:619.

( 28 ) V. supra, paragrafo 67 delle presenti conclusioni.

( 29 ) Il corsivo è mio. Sebbene la disposizione non sia formulata in maniera identica nelle varie versioni linguistiche della direttiva, non ho riscontrato alcuna versione che suggerisca un approccio meno restrittivo alla questione.

( 30 ) Sentenza del 16 giugno 2015, Rina Services e a., C‑593/13, EU:C:2015:399, punto 28.

( 31 ) V., ad esempio, articoli 17 e 19. Per completezza, devo rilevare che la versione italiana dell’articolo 16, paragrafo 2, contempla, prima dell’elenco dei requisiti vietati, l’espressione «in particolare», termine che, tuttavia, non ho trovato in alcuna delle altre versioni della direttiva che ho verificato.

( 32 ) V. conclusioni dell’avvocato generale Bot, Commissione/Ungheria, C‑179/14, EU:C:2015:619, paragrafi 153154 e la giurisprudenza ivi citata.

( 33 ) Sentenza del 16 giugno 2015, Rina Services e a., C‑593/13, EU:C:2015:399, punto 30.

( 34 ) Tali disposizioni riguardano, rispettivamente, «ulteriori deroghe alla libera prestazione di servizi» (quali, ad esempio, i servizi di interesse economico generale forniti in un altro Stato membro, fra cui il settore postale, elettrico, della distribuzione idrica e del trattamento dei rifiuti) e «deroghe per casi individuali» (per quanto riguarda le misure relative alla sicurezza dei servizi).

( 35 ) V., inter alia, sentenze del 18 luglio 2013, Citroën Belux, C‑265/12, EU:C:2013:498, punto 35; e dell’11 giugno 2015, Berlington Hungary e a., C‑98/14, EU:C:2015:386, punto 35.

( 36 ) V, inter alia, sentenza del 18 dicembre 2007, Laval un Partneri, C‑341/05, EU:C:2007:809, punto 101 e la giurisprudenza ivi citata.

( 37 ) V., in tal senso, sentenze del 12 ottobre 2004, Wolff & Müller, C‑60/03, EU:C:2004:610, punti 3541, e del 19 dicembre 2012, Commissione/Belgio, C‑577/10, EU:C:2012:814, punto 45.

( 38 ) V., inter alia, sentenza del 30 aprile 2014, Pfleger e a., C‑390/12, EU:C:2014:281, punto 35 e la giurisprudenza ivi citata.

( 39 ) V., in particolare, sentenza del 19 febbraio 2009, Kamino International Logistics, C‑376/07, EU:C:2009:105, punti da 37 a 39.

( 40 ) V., in tal senso, sentenza del 27 febbraio 2018, Associação Sindical dos Juízes Portugueses, C‑64/16, EU:C:2018:117, punto 31 e la giurisprudenza ivi citata.

( 41 ) Osservo che il governo austriaco ha potuto citare, a sostegno della sua tesi, un unico caso in cui un giudice d’appello ha riconosciuto la qualità di parte nel procedimento al prestatore di servizi, capovolgendo la decisione del tribunale di primo grado, che l’aveva negata. La Čepelnik, tuttavia, ha citato un altro caso in cui una posizione analoga è stata respinta da un altro giudice d’appello, nonché un caso (ancora pendente) in cui l’amministrazione austriaca ha sostenuto che il prestatore di servizi non ha diritto di impugnare un provvedimento quale quello in questione. Ancor più eloquentemente, la Čepelnik ha informato la Corte che, nel suo caso, il giudice nazionale competente, malgrado il tempo trascorso, non ha ancora adottato una decisione sulla questione se tale impresa goda della legittimazione a impugnare il provvedimento controverso.

( 42 ) V., per analogia, sentenza del 9 novembre 2006, Commissione/ Belgio, C‑433/04, EU:C:2006:702, punti da 35 a 38.

( 43 ) V., in tal senso, sentenze dell’11 marzo 2004, de Lasteyrie du Saillant, C‑9/02, EU:C:2004:138, punti 5152; del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka, C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 31, e del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding, C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 61.

( 44 ) GU 2005, L 76, pag. 16.

( 45 ) Secondo il giudice del rinvio, i documenti mancanti, attinenti ai fogli paga, sono stati presentati poco dopo l’ispezione dell’organismo di vigilanza.

( 46 ) A tal fine, v., inter alia, sentenze del 29 febbraio 1996, Skanavi e Chryssanthakopoulos, C‑193/94, EU:C:1996:70, punto 36, e del 7 luglio 1976, Watson e Belmann, 118/75, EU:C:1976:106, punto 21.

( 47 ) V., in particolare, il considerando 5 della direttiva 96/71.