SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

11 dicembre 2017 ( *1 )

«Unione doganale – Importazioni di banane provenienti dall’Ecuador – Recupero di dazi all’importazione – Domanda di sgravio di dazi all’importazione – Decisione adottata in seguito all’annullamento da parte del Tribunale di una decisione anteriore – Termine ragionevole»

Nella causa T‑125/16,

Firma Léon Van Parys NV, con sede in Anversa (Belgio), rappresentata da P. Vlaemminck, B. Van Vooren, R. Verbeke e J. Auwerx, avvocati,

ricorrente,

contro

Commissione europea, rappresentata da A. Caeiros, B.-R. Killmann e E. Manhaeve, in qualità di agenti,

convenuta,

avente ad oggetto, da un lato, una domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e tendente all’annullamento della decisione della Commissione C(2016) 95 final, del 20 gennaio 2016, che stabilisce che la contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione è giustificata e che lo sgravio dei dazi è giustificato nei riguardi di un debitore, ma che è giustificato per una parte nei riguardi di un altro debitore in un caso particolare e non è giustificato per un’altra parte nei riguardi di questo specifico debitore, e che modifica la decisione C(2010) 2858 definitivo della Commissione, del 6 maggio 2010, e, dall’altro lato, una domanda diretta a che venga dichiarato che l’articolo 909 del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (GU 1993, L 253, pag. 1), è pienamente applicabile nei confronti della ricorrente in seguito alla sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136),

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione),

composto da H. Kanninen, presidente, J. Schwarcz (relatore) e C. Iliopoulos, giudici,

cancelliere: G. Predonzani, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 4 luglio 2017,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Fatti

1

Tra il 22 giugno 1998 e l’8 novembre 1999 la ricorrente, Firma Léon Van Parys NV, ha depositato presso l’ufficio doganale di Anversa (Belgio), tramite il suo agente doganale, 116 dichiarazioni di importazione di banane provenienti dall’Ecuador.

2

Le dichiarazioni di importazione erano suffragate da 221 certificati di importazione, apparentemente emessi dal Regno di Spagna, che consentivano di importare banane nella Comunità europea, nell’ambito di un contingente tariffario con pagamento di un dazio doganale ridotto di EUR 75 per tonnellata, in forza del regolamento (CEE) n. 404/93 del Consiglio, del 13 febbraio 1993, relativo all’organizzazione comune dei mercati nel settore della banana (GU 1993, L 47, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 3290/94 del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativo agli adattamenti e alle misure transitorie necessarie nel settore dell’agricoltura per l’attuazione degli accordi conclusi nel quadro dei negoziati commerciali multilaterali dell’Uruguay Round (GU 1994, L 349, pag. 105), per il periodo conclusosi il 31 dicembre 1998, e in forza del regolamento n. 404/93 e del regolamento (CE) n. 2362/98 della Commissione, del 28 ottobre 1998, recante modalità d’applicazione del regolamento n. 404/93, con riguardo al regime d’importazione delle banane nella Comunità (GU 1998, L 293, pag. 32), a partire dal 1o gennaio 1999.

3

Con lettera del 1o febbraio 2000, l’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) ha informato le autorità doganali belghe che, per importare banane nella Comunità, erano stati utilizzati falsi certificati di importazione spagnoli, che recavano timbri falsi dell’autorità spagnola competente per il rilascio di tali documenti. Nel corso di un’inchiesta, le autorità doganali hanno scoperto che i 221 certificati di importazione presentati dalla ricorrente presso l’ufficio doganale di Anversa per il periodo compreso tra il 22 giugno 1998 e l’8 novembre 1999 corrispondevano a certificati spagnoli falsi.

4

Il 5 luglio 2002 l’amministrazione belga delle dogane e delle accise ha redatto un verbale che registrava gli accertamenti effettuati, che essa ha inviato, in particolare, alla ricorrente e all’agente doganale. Risulta da tale verbale che 233 certificati di importazione utilizzati dalla ricorrente corrispondono a certificati spagnoli falsi, di cui 221 sono stati presentati ad Anversa e 12 ad Amburgo (Germania). Riguardo al periodo compreso tra il 1o gennaio e l’8 novembre 1999, sarebbero interessati 107 certificati, tutti presentati dalla ricorrente presso l’ufficio doganale di Anversa.

5

Con lettera del 26 luglio 2002, l’amministrazione belga delle dogane e delle accise ha ingiunto alla ricorrente e all’agente doganale il pagamento della somma di EUR 7084967,71 per le importazioni di banane risalenti al periodo tra il 1o gennaio 1998 e l’8 novembre 1999, che corrisponde all’applicazione di un dazio doganale di EUR 850 per tonnellata importata, ai sensi dell’articolo 18, paragrafo 2, del regolamento n. 404/93.

6

Il 28 novembre 2003 l’amministrazione belga delle dogane e delle accise ha redatto un verbale complementare, che attestava, segnatamente, l’adempimento di rogatorie in Spagna, in Italia e in Portogallo, nell’ambito dell’inchiesta sui certificati di importazione spagnoli falsi.

7

In seguito alla contestazione da parte della ricorrente e dell’agente doganale del recupero a posteriori dei dazi doganali loro imposti, l’amministrazione belga delle dogane e delle accise ha ritenuto che occorresse accogliere la domanda di non recupero a posteriori e di sgravio dei dazi e, con lettera del 14 dicembre 2007, ha trasmesso gli atti alla Commissione delle Comunità europee ai fini di una decisione, conformemente agli articoli 871 e 905 del regolamento (CEE) n. 2454/93 della Commissione, del 2 luglio 1993, che fissa talune disposizioni d’applicazione del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio che istituisce il codice doganale comunitario (GU 1993, L 253, pag. 1), come modificato.

8

L’amministrazione belga delle dogane e delle accise, nella sua lettera del 14 dicembre 2007, ha considerato che, nella fattispecie, non si potevano applicare le disposizioni dell’articolo 220, paragrafo 2, lettera b), del regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio, del 12 ottobre 1992, che istituisce un codice doganale comunitario (GU 1992, L 302, pag. 1; in prosieguo: il «CDC»), dato che non esistevano sufficienti elementi di prova per imputare un errore alle autorità degli Stati membri o alla Commissione. Per contro, essa ha ritenuto che occorresse sgravare i dazi, in applicazione dell’articolo 239 del CDC, poiché sussisteva una situazione specifica ai sensi delle disposizioni di tale articolo e la ricorrente, così come l’agente doganale, non avevano commesso alcuna negligenza manifesta.

9

Il 5 maggio 2008, il 18 e il 26 novembre 2008, il 15 gennaio 2009 e il 4 marzo 2010 la Commissione ha inviato richieste di informazioni supplementari all’amministrazione belga delle dogane e delle accise, che ha risposto a ciascuna di esse.

10

Con lettera dell’8 gennaio 2010, la Commissione, sul fondamento dell’articolo 906 bis del regolamento n. 2454/93, ha informato l’amministrazione belga delle dogane e delle accise e la ricorrente che intendeva adottare una decisione sfavorevole in ordine alla domanda di sgravio e di rimborso dei dazi. In una lettera dell’8 febbraio 2010, la ricorrente ha presentato le sue osservazioni.

11

In una riunione del 12 aprile 2010 un gruppo di esperti rappresentanti di tutti gli Stati membri ha esaminato il caso della ricorrente, conformemente agli articoli 873 e 907 del regolamento n. 2454/93.

12

Con decisione C(2010) 2858 definitivo, del 6 maggio 2010, la Commissione ha accolto la contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione (articolo 1, paragrafo 1) e lo sgravio dei dazi nei confronti di un debitore, l’agente doganale (articolo 1, paragrafo 2), ma non nei confronti di un altro debitore, la ricorrente, in un caso specifico (articolo 1, paragrafo 3) (in prosieguo: la «prima decisione»).

13

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale l’11 agosto 2010, la ricorrente ha proposto un ricorso di annullamento avverso la prima decisione.

14

Con sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), il Tribunale ha annullato l’articolo 1, paragrafo 3, della prima decisione, con il quale la Commissione aveva considerato che, ai sensi dell’articolo 239 del CDC, lo sgravio dei dazi nei confronti della ricorrente non fosse giustificato.

15

Con una prima lettera del 16 settembre 2013, la Commissione ha informato l’amministrazione belga delle dogane e delle accise che, in seguito all’annullamento parziale della prima decisione, essa aveva tratto la conclusione che era necessario ottenere informazioni supplementari per adottare una nuova decisione e le ha richiesto talune informazioni relative alle importazioni effettuate dalla ricorrente all’origine della domanda di sgravio dei dazi. La Commissione ha anche chiesto all’amministrazione belga delle dogane e delle accise di comunicare la risposta alla domanda di informazioni alla ricorrente e di richiedere alla stessa una dichiarazione scritta dalla quale risultasse che essa aveva preso atto di detta risposta, che dava il suo accordo e non aveva niente da aggiungere, o che aveva osservazioni da formulare, nonché informazioni supplementari da fornire. Da ultimo, la Commissione ha comunicato che il termine di nove mesi per trattare la domanda di sgravio dei dazi, di cui all’articolo 907 del regolamento n. 2454/93, era stato prorogato del periodo compreso tra il 22 agosto 2013 e la data di ricevimento delle informazioni supplementari.

16

Con una seconda lettera del 16 settembre 2013 la Commissione ha informato la ricorrente che, in seguito all’annullamento parziale della prima decisione, essa aveva concluso per la necessità di ottenere informazioni supplementari ai fini di adottare una nuova decisione e che il termine di nove mesi per trattare la domanda di sgravio dei dazi era prorogato del periodo compreso tra il 22 agosto 2013 e la data di ricevimento delle informazioni supplementari.

17

Il ricorso di annullamento proposto dalla ricorrente contro le due lettere del 16 settembre 2013 è stato respinto come manifestamente irricevibile con ordinanza del 24 giugno 2014, Léon Van Parys/Commissione (T‑603/13, non pubblicata, EU:T:2014:610),

18

Con lettera del 14 gennaio 2014 l’amministrazione belga delle dogane e delle accise ha comunicato alla Commissione che riteneva inusuale la sua domanda di informazioni, poiché era stato dimostrato che tutti i certificati d’importazione controversi erano falsi, e che, di conseguenza, era impossibile dare seguito a tale domanda.

19

Con lettera del 24 gennaio 2014, la Commissione ha confermato alla ricorrente la ricezione della lettera dell’amministrazione belga delle dogane e delle accise del 14 gennaio 2014 e l’ha informata che, alla luce dell’assenza di risposta di tale amministrazione alla sua richiesta di informazioni supplementari, il termine di trattamento continuava ad essere sospeso, conformemente all’articolo 907 del regolamento n. 2454/93.

20

Il ricorso di annullamento proposto dalla ricorrente contro la lettera del 24 gennaio 2014 è stato respinto con ordinanza del 26 novembre 2014, Léon Van Parys/Commissione (T‑171/14, non pubblicata, EU:T:2014:1025).

21

Con lettera del 17 giugno 2014 la Commissione ha nuovamente richiesto all’amministrazione belga delle dogane e delle accise di fornirle le informazioni supplementari che le aveva chiesto con lettera del 16 settembre 2013. La Commissione ha allegato alla sua lettera del 17 giungo 2014 i propri calcoli sotto forma di tabella.

22

Il 10 dicembre 2014 l’amministrazione belga delle dogane e delle accise ha redatto un progetto di risposta alla lettera della Commissione del 16 settembre 2013 contenente un calcolo che detta amministrazione aveva l’intenzione di trasmettere alla Commissione e nella quale invitava la ricorrente a comunicare le proprie osservazioni.

23

Con lettera del 16 febbraio 2015 indirizzata alla Commissione, l’amministrazione belga delle dogane e delle accise ha formulato osservazioni sulla tabella che le aveva trasmesso la Commissione e ha, segnatamente, corretto gli importi di cui alle linee 18, 60, 67 e 99 di detta tabella.

24

Con lettera del 16 luglio 2015 la Commissione ha fatto sapere alla ricorrente che aveva intenzione di adottare una decisione negativa relativamente alla sua domanda di sgravio dei dazi.

25

Il 10 agosto 2015 la ricorrente ha presentato le sue osservazioni sulla lettera della Commissione del 16 luglio 2015.

26

Con decisione C(2016) 95 final, del 20 gennaio 2016, la Commissione ha accolto la contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione (articolo 1, paragrafo 1), lo sgravio dei dazi nei confronti dell’agente doganale (articolo 1, paragrafo 2), lo sgravio dei dazi nei confronti della ricorrente per un importo pari a EUR 632241,28, corrispondente ai certificati tradizionali (articolo 1, paragrafo 3), ma ha respinto lo sgravio dei dazi nei confronti della ricorrente per un importo pari a EUR 2996007,20, corrispondente ai certificati di nuovi arrivati (articolo 1, paragrafo 4) (in prosieguo: la «decisione impugnata»).

27

Nei punti da 18 a 23 della decisione impugnata, la Commissione ha, segnatamente, ricordato che, con la prima decisione, essa aveva accolto la contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione (articolo 1, paragrafo 1, della prima decisione) e lo sgravio dei dazi nei confronti di un debitore, l’agente doganale (articolo 1, paragrafo 2, della prima decisione), ma non nei confronti dell’altro debitore, la ricorrente, in un caso specifico (articolo 1, paragrafo 3, della prima decisione).

28

Essa ha precisato, al punto 20 della decisione impugnata, di aver fondato la propria valutazione nella prima decisione sull’articolo 220, paragrafo 2, lettera b) del CDC e di aver concluso nel senso che non poteva trattarsi di un errore commesso dalle autorità spagnole, dato che esse non avevano partecipato alla predisposizione dei certificati di cui trattasi. Peraltro, al punto 23 della decisione impugnata, la Commissione ha indicato che, nella prima decisione, essa aveva esaminato se i requisiti di cui all’articolo 239 del CDC fossero soddisfatti, e aveva concluso che l’agente doganale non aveva commesso né frode né negligenza e poteva, quindi, beneficiare della non contabilizzazione o dello sgravio dei dazi all’importazione. Nella prima decisione la Commissione aveva anche ritenuto che la ricorrente non avesse dato prova di diligenza e aveva concluso, di conseguenza, che essa non poteva beneficiare del non recupero o dello sgravio dei dazi all’importazione.

29

Ai punti da 25 a 32 della decisione impugnata la Commissione ha rammentato che, poiché il Tribunale aveva annullato l’articolo 1, paragrafo 3, della prima decisione, essa era tenuta, conformemente all’articolo 266 TFUE, ad adottare una nuova decisione entro un termine ragionevole, unico termine applicabile al caso di specie.

30

Per quanto riguarda l’adozione di tale nuova decisione, la Commissione ha indicato, da un lato, al punto 33 della decisione impugnata, che un gruppo di esperti composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri si era riunito il 21 settembre 2015 nell’ambito del comitato del CDC per esaminare il caso. Essa ha spiegato, dall’altro lato, al punto 37 della decisione impugnata, che avrebbe esaminato unicamente se il secondo requisito enunciato all’articolo 239 del CDC, relativo all’assenza di frode o di negligenza, fosse soddisfatto.

31

Al punto 39 della decisione impugnata la Commissione ha peraltro rammentato che, nella sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), il Tribunale aveva ritenuto che doveva affermarsi che il sistema utilizzato dalla ricorrente per ottenere l’uso di certificati di importazione fosse «illecito», poiché contrario all’articolo 21, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 2362/98, che vieta qualunque trasferimento di diritti derivanti da un certificato di importazione di un operatore nuovo arrivato a favore di un operatore tradizionale. Il Tribunale aggiungeva che, su tal punto, fosse giocoforza constatare che la prima decisione, poiché rifiutava lo sgravio dei dazi all’importazione, non fosse basata sull’illegittimità del sistema di acquisto dell’utilizzo dei certificati di importazione, bensì sulla negligenza manifesta della ricorrente. Il Tribunale giungeva alla conclusione che, pertanto, l’argomento della Commissione non potesse avere alcuna incidenza, nel caso di specie, sulla fondatezza del rifiuto di concedere lo sgravio dei dazi all’importazione. La Commissione ne ha tratto la conclusione, nello stesso punto della decisione impugnata, che, nell’ambito di tale nuova decisione, doveva esaminare se il sistema di cui si era servita la ricorrente al fine di utilizzare i certificati di importazione fosse lecito, tenuto conto del fatto che l’articolo 21, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 2362/98 vieta qualunque trasferimento di diritti derivanti da un certificato di importazione di un operatore nuovo arrivato a favore di un operatore tradizionale. Essa ha aggiunto che doveva anche riesaminare i motivi che consentivano di determinare se sussistesse assenza di frode o di negligenza.

32

La Commissione ha ritenuto, ai punti 49 e 50 della decisione impugnata, che, qualora nulla, nel fascicolo, bastasse a dimostrare una mancanza di diligenza per quanto riguarda i certificati di operatori tradizionali acquisiti dalla ricorrente, per quanto attiene ai certificati di nuovi arrivati, un semplice esame dei certificati avrebbe dovuto consentirle di giungere alla conclusione che essa non poteva fare uso dei diritti fondati su tali certificati, poiché un uso del genere sarebbe stato contrario all’articolo 21, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 2362/98.

33

Al punto 60 della decisione impugnata la Commissione, di conseguenza, ha dichiarato da un lato, che, avendo utilizzato diritti di nuovi arrivati, la ricorrente, che è un operatore tradizionale, non aveva rispettato il divieto di cui all’articolo 21, paragrafo 2, secondo comma, del regolamento n. 2362/98 e, dall’altro lato, che sulla base dell’articolo 239 del CDC, nulla giustificava lo sgravio dei dazi per un importo pari a EUR 2996007,20 relativi ai certificati di nuovi arrivati utilizzati dalla ricorrente per il periodo compreso tra il 1o gennaio e l’8 novembre 1999.

34

Infine, al punto 62 della decisione impugnata, la Commissione ha precisato che le disposizioni dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della prima decisione dovevano restare in vigore, poiché non erano state né contestate né annullate dalla sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136).

Procedimento e conclusioni delle parti

35

Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 23 marzo 2016, la ricorrente ha proposto il presente ricorso.

36

La ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

annullare la decisione impugnata;

dichiarare che l’articolo 909 del regolamento n. 2454/93 è pienamente applicabile nei suoi confronti dopo la sentenza del Tribunale del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), cosicché essa beneficia dello sgravio integrale del debito doganale, nonché di tutti gli interessi e le spese ad esso direttamente o indirettamente connessi;

condannare la Commissione al pagamento delle spese.

37

La Commissione chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso;

condannare la ricorrente alle spese.

In diritto

38

A sostegno del suo ricorso, la ricorrente deduce in giudizio cinque motivi. Il primo e il secondo motivo vertono su una violazione degli articoli 907 e 909 del regolamento n. 2454/93 e dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Il terzo, dedotto in giudizio in via subordinata, verte su una violazione del principio di buona amministrazione. Il quarto, dedotto in giudizio in ulteriore subordine, verte su un abuso di potere e il quinto, invocato in estremo subordine, verte su un’interpretazione errata del quadro normativo per l’organizzazione del mercato delle banane e su una violazione del principio di uguaglianza.

Sulla ricevibilità

Sul primo capo delle conclusioni volto all’annullamento della decisione impugnata

39

La Commissione, senza sollevare un’eccezione di irricevibilità, sostiene che il ricorso non è ricevibile per quanto riguarda l’articolo 1, paragrafo 4, della decisione impugnata. A suo avviso, da un lato il ricorso sarebbe irricevibile per quanto riguarda l’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della decisione impugnata, poiché queste due disposizioni sono meramente confermative dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2 della prima decisione. A tale proposito, essa rileva che tali due disposizioni sarebbero identiche, che non conterrebbero elementi nuovi e che non sarebbero state precedute da un nuovo esame della situazione della ricorrente. Dall’altro lato, essa indica che, poiché l’articolo 1, paragrafo 3, della decisione impugnata ha modificato l’articolo 1, paragrafo 3, della prima decisione a favore della ricorrente, tale disposizione non le sarebbe pregiudizievole e non sarebbe impugnabile.

40

La ricorrente risponde che il ricorso è giustamente diretto contro la decisione impugnata nel suo complesso, poiché essa sarebbe viziata da illegittimità in ragione del fatto che sarebbe una decisione adottata in forza del combinato disposto degli articoli 907 e 909 del regolamento n. 2454/93 e che il termine per adottare decisioni del genere era già scaduto al momento della sua adozione.

41

Va ricordato che la ricevibilità di un ricorso di annullamento proposto da una persona fisica o giuridica è subordinata alla condizione che essa dimostri di possedere un interesse all’annullamento dell’atto impugnato. Secondo una costante giurisprudenza, possono formare oggetto di un ricorso di annullamento solo i provvedimenti che producono effetti giuridici obbligatori idonei ad incidere sugli interessi del ricorrente, modificando in misura rilevante la sua situazione giuridica. Orbene, al fine di determinare se un atto o una decisione producano tali effetti, occorre avere riguardo alla loro sostanza (v., in tal senso, sentenza del 22 marzo 2000, Coca‑Cola/Commissione, T–125/97 e T‑127/97, EU:T:2000:84, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

42

Nella specie, la ricorrente non dimostra come l’articolo 1, paragrafi da 1 a 3, della decisione impugnata, modifichi la sua situazione in modo sfavorevole. I paragrafi 1 e 2 che riprendono, per quanto riguarda i diritti di cui trattasi, il dispositivo dell’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della prima decisione, senza che sia stata effettuata una nuova analisi a tale proposito, non modificano la sua situazione anteriore e il paragrafo 3 modifica la sua situazione in modo favorevole, in quanto le concede lo sgravio dei dazi all’importazione per un importo pari a EUR 632241,28, corrispondente ai certificati tradizionali. Non risulta, quindi, che la ricorrente possieda un interesse ad agire contro tali disposizioni, con la conseguenza che il ricorso diretto contro di esse è irricevibile.

43

Per contro, atteso che l’articolo 1, paragrafo 4, della decisione impugnata nega lo sgravio dei dazi nei confronti della ricorrente in seguito a un nuovo esame, e modifica, quindi, la sua situazione in modo sfavorevole, il ricorso di annullamento è ricevibile nella parte in cui è diretto contro tale disposizione.

Sul secondo capo delle conclusioni, volto a che il Tribunale dichiari che l’articolo 909 del regolamento n. 2454/93 è pienamente applicabile nei suoi confronti dopo la sentenza del Tribunale del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136)

44

Va constatato che il contenzioso dell’Unione europea non conosce mezzi di ricorso che autorizzino il giudice a prendere posizione attraverso una dichiarazione generale o di principio (sentenza del 15 dicembre 2005, Infront WM/Commissione, T‑33/01, EU:T:2005:461, punto 171; ordinanze del 3 settembre 2008, Cofra/Commissione, T‑477/07, non pubblicata, EU:T:2008:307, punto 21, e del 24 maggio 2011, Nuova Agricast/Commissione, T‑373/08, non pubblicata, EU:T:2011:237, punto 46).

45

Pertanto, si deve respingere il presente capo delle conclusioni.

Sul merito

46

Va rilevato che, con l’argomento dedotto a sostegno dei suoi primi quattro motivi di ricorso la ricorrente contesta, in sostanza, il modo in cui la Commissione ha dato esecuzione alla sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136). A suo parere, in primo luogo, non era necessaria alcuna nuova decisione. In secondo luogo, anche supponendo che una tale decisione potesse essere adottata, essa ritiene che avrebbe dovuto esserlo entro un termine che non poteva superare il termine di decadenza iniziale di nove mesi di cui all’articolo 907 del regolamento n. 2454/93. In terzo luogo, essa considera che, supponendo che la Commissione avesse disposto di un termine ragionevole per attuare la sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), esso non poteva in nessun modo superare un nuovo termine di decadenza di nove mesi previsto all’articolo 907 del regolamento n. 2454/93. Infine, in quarto luogo, essa afferma che l’annullamento parziale della prima decisione non conferiva alla Commissione una nuova e piena competenza decisionale per condurre una nuova indagine e adottare una nuova decisione fondata, per di più, su motivi già esaminati dal Tribunale.

47

La Commissione contesta la fondatezza dei primi quattro motivi di ricorso.

48

Secondo una costante giurisprudenza, per conformarsi ad una sentenza di annullamento e dare ad essa piena esecuzione, l’istituzione interessata è tenuta a rispettare non solo il dispositivo della sentenza, ma anche la motivazione che lo ha determinato e che ne costituisce il sostegno necessario, nel senso che è indispensabile per determinare il senso esatto di quanto è stato dichiarato nel dispositivo. È infatti questa motivazione che, in primo luogo, identifica la disposizione esatta considerata come illegittima e, in secondo luogo, evidenzia le ragioni esatte dell’illegittimità accertata nel dispositivo e che l’istituzione interessata deve prendere in considerazione nel sostituire l’atto annullato (sentenze del 26 aprile 1988, Asteris e a./Commissione, 97/86, 99/86, 193/86 e 215/86, EU:C:1988:199, punto 27, e del 6 marzo 2003, Interporc/Commissione, C‑41/00 P, EU:C:2003:125, punto 29).

49

Tuttavia, l’articolo 266 TFUE vincola l’istituzione dalla quale promana l’atto annullato soltanto nei limiti di quanto è necessario per garantire l’esecuzione della sentenza di annullamento. In tal senso, detta disposizione impone all’istituzione interessata di evitare che ogni atto destinato a sostituire l’atto annullato sia viziato dalle stesse irregolarità individuate in detta sentenza (sentenza del 6 marzo 2003, Interporc/Commissione, C‑41/00 P, EU:C:2003:125, punto 30). Le istituzioni dispongono comunque di un ampio potere discrezionale per decidere i provvedimenti da attuare al fine di trarre le conseguenze da una sentenza di annullamento o d’invalidità, fermo restando che tali provvedimenti devono essere compatibili con il dispositivo della sentenza di cui trattasi e con la motivazione, che ne costituisce il sostegno necessario (sentenza del 28 gennaio 2016, CM Eurologistik e GLS, C‑283/14 e C‑284/14, EU:C:2016:57, punto 76).

50

Peraltro, si deve ricordare che l’annullamento di un atto dell’Unione non incide necessariamente sugli atti preparatori di quest’ultimo (sentenza del 15 ottobre 2002, Limburgse Vinyl Maatschappij e a./Commissione, da C‑238/99 P, C‑244/99 P, C‑245/99 P, C‑247/99 P, da C‑250/99 P a C‑252/99 P e C‑254/99 P, EU:C:2002:582, punto 73).

51

A tale riguardo, va ricordato che l’obbligo per l’istituzione dell’Unione di dare esecuzione a una sentenza pronunciata dal giudice dell’Unione deriva dall’articolo 266 TFUE. È stato riconosciuto dalla Corte che tale esecuzione esige l’adozione di un certo numero di provvedimenti amministrativi e non può normalmente compiersi nell’immediato e che l’istituzione dispone di un termine ragionevole per conformarsi a una sentenza di annullamento di una delle sue decisioni (sentenza del 19 marzo 1997, Oliveira/Commissione, T‑73/95, EU:T:1997:39, punto 41; v., altresì, in tal senso, sentenza del 12 gennaio 1984, Turner/Commissione, 266/82, EU:C:1984:3, punti 56). La durata ragionevole di un procedimento amministrativo si valuta alla luce delle circostanze proprie di ciascun caso e, in particolare, del contesto in cui esso si inserisce, delle varie fasi procedurali espletate, della complessità del caso nonché degli interessi delle diverse parti interessate (sentenza del 15 luglio 2004, Spagna/Commissione, C‑501/00, EU:C:2004:438, punto 53). Peraltro, la questione se il termine entro il quale è stata eseguita una sentenza di annullamento sia stato ragionevole deve anche essere valutata caso per caso. La durata ragionevole di tale termine dipende dalla natura dei provvedimenti da adottare nonché dalle circostanze contingenti proprie di ciascun caso. Di conseguenza, occorre tenere conto delle varie fasi che il procedimento di decisione ha comportato (sentenza del 19 marzo 1997, Oliveira/Commissione, T‑73/95, EU:C:1997:39, punto 45).

52

Da ultimo, va sottolineato che, fatta salva l’ipotesi in cui l’illegittimità accertata abbia determinato la nullità di tutto il procedimento, le istituzioni interessate possono, al fine di adottare un atto volto a sostituire un precedente atto annullato o dichiarato invalido, riaprire il procedimento alla fase in cui tale illegittimità si è verificata (v., in tal senso, sentenza del 29 novembre 2007, Italia/CommissioneC‑417/06 P, non pubblicata, EU:C:2007:733, punto 52 e giurisprudenza ivi citata).

53

È alla luce di tali considerazioni che vanno esaminati i primi quattro motivi di ricorso, iniziando dall’argomento dedotto nell’ambito del primo, secondo e quarto motivo, che vanno trattati congiuntamente.

Sul primo, secondo e quarto motivo, vertenti su una violazione degli articoli 907 e 909 del regolamento n. 2454/93, dell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali e su un abuso di potere

54

Nella specie va constatato che, con il presente ricorso, la ricorrente contesta una decisione adottata dalla Commissione per sostituire la prima decisione che ha statuito sulla sua domanda di sgravio dei dazi all’importazione, poiché tale decisione è stata parzialmente annullata dalla sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), in quanto gli elementi sui quali si era basata la Commissione non dimostravano una mancanza di diligenza della ricorrente.

55

Di conseguenza, la Commissione era obbligata a riesaminare gli elementi del fascicolo e a adottare una nuova decisione sulla domanda di sgravio dei dazi oggetto dell’annullamento per rimediare all’irregolarità constatata (v., per analogia, sentenza del 19 marzo 1997, Oliveira/Commissione, T‑73/95, EU:T:1997:39, punto 32).

56

Così facendo, essa era tenuta a prendere in considerazione tutti gli elementi di fatto e di diritto disponibili al momento dell’adozione dell’atto. L’obbligo della Commissione di predisporre una decisione con tutta la diligenza richiesta e di adottarla prendendo a fondamento tutti i dati idonei a incidere sul risultato discende, in particolare, dai principi di buona amministrazione, legalità e parità di trattamento. In tali condizioni, contrariamente a quanto allega la ricorrente, non può essere contestato alla Commissione di aver ritenuto che fosse necessario riprendere la sua indagine e completare il fascicolo (v., per analogia, sentenza del 19 marzo 1997, Oliveira/Commissione, T‑73/95, EU:T:1997:39, punto 32).

57

Peraltro, va respinto l’argomento della ricorrente secondo il quale, in sostanza, supponendo che la Commissione fosse autorizzata a adottare una nuova decisione, tale decisione doveva essere limitata ai provvedimenti necessari al fine di dare esecuzione alla sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), e non poteva, in ogni caso, essere basata sul motivo del mancato rispetto dell’articolo 21, paragrafo 2, del regolamento n. 2362/98, che sarebbe già stato discusso.

58

A tale proposito, si deve constatare che tale motivo non compariva nella motivazione della prima decisione e che non è stato, quindi, sottoposto al sindacato del Tribunale nella causa che ha dato luogo alla sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136). Infatti, sebbene la questione del mancato rispetto dell’articolo 21, paragrafo 2, del regolamento n. 2362/98 sia stata sollevata dalla Commissione nel suo controricorso nella causa sopracitata, il Tribunale ha constatato, ai punti 90 e 91 di tale sentenza, che la prima decisione non era fondata su tale questione e che, di conseguenza, l’argomento della Commissione non poteva avere effetto sulla fondatezza del rigetto dello sgravio dei dazi all’importazione. Pertanto, sebbene la questione del mancato rispetto dell’articolo 21, paragrafo 2, del regolamento n. 2362/98 sia stata effettivamente menzionata dal Tribunale al punto 90 della sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), essa non è stata affatto decisa nel merito.

59

Inoltre, per quanto riguarda l’argomento secondo il quale, in sostanza, la Commissione avrebbe potuto, o in ogni caso dovuto, dedurre in giudizio il motivo relativo al mancato rispetto dell’articolo 21, paragrafo 2, del regolamento n. 2362/98, dal momento che tale motivo era già conosciuto al momento dell’adozione della prima decisione, si deve considerare che il motivo attinente alla negligenza manifesta della ricorrente addotto dalla Commissione nella prima decisione era, in teoria, di per sé sufficiente a giustificare il diniego dello sgravio dei dazi all’importazione. Infatti, la Commissione è libera di scegliere il motivo che ritiene più rilevante per giustificare la propria decisione, senza che un eventuale errore commesso nella scelta di tale motivo possa impedirle di scegliere successivamente un motivo che avrebbe potuto far valere in occasione della prima decisione (v. per analogia, sentenza del 14 settembre 2016, National Iranian Tanker Company/Consiglio, T‑207/15, non pubblicata, con impugnazione pendente, EU:T:2016:471, punto 54).

60

Di conseguenza, fatto salvo l’esame della fondatezza del motivo alla base della decisione impugnata, ovvero il mancato rispetto dell’articolo 21, paragrafo 2, del regolamento n. 2362/98, che rientra nel quinto motivo di ricorso, si deve concludere nel senso che la Commissione era autorizzata a fondarsi sul motivo vertente sul mancato rispetto di tale disposizione per negare lo sgravio dei dazi all’importazione nella decisione impugnata. In aggiunta va sottolineato che la circostanza che tale motivo non sia stato sollevato nella prima decisione non impediva per nulla alla Commissione di farlo valere nella decisione impugnata poiché, ai sensi di una costante giurisprudenza, l’autore di un atto annullato può invocare, nella sua nuova decisione, motivi diversi da quelli sui quali aveva fondato la sua prima decisione (v., in tal senso, sentenza del 5 settembre 2014, Éditions Odile Jacob/Commissione, T‑471/11, EU:T:2014:739, punto 125 e giurisprudenza ivi citata).

61

Per quanto attiene alla censura con la quale la ricorrente addebita alla Commissione di aver considerato che la dichiarazione dell’illegittimità della prima decisione nella motivazione della sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136) le consentisse di rimediare a tale illegittimità nella decisione destinata a sostituire tale decisione entro un termine ragionevole, essa deve essere respinta. Infatti, va constatato che un termine del genere è pienamente conforme alla giurisprudenza costante di cui al punto 51 supra.

62

Parimenti, va respinto l’argomento della ricorrente secondo il quale, in sostanza, in seguito all’annullamento parziale della prima decisione con effetto ex tunc, la Commissione disponeva di soli cinque giorni per adottare una decisione sulla sua domanda di sgravio, se voleva rispettare il termine di decadenza di nove mesi di cui all’articolo 907 del regolamento n. 2454/93. Come sostiene correttamente la Commissione, il termine di nove mesi previsto da tale disposizione non può essere applicabile nell’ambito di un procedimento riaperto in forza dell’articolo 266 TFUE.

63

Infatti, a tale proposito, come affermato al punto 52 supra, quando l’illegittimità è avvenuta durante l’inchiesta, le istituzioni interessate devono poter riaprire il procedimento nella fase dell’inchiesta in cui l’illegittimità si è verificata, o avviare un nuovo procedimento nel caso in cui l’illegittimità constatata abbia determinato la nullità di tutto il procedimento. Vero è che deriva dall’articolo 907 del regolamento n. 2454/93 che la decisione che stabilisce che la situazione particolare esaminata giustifica la concessione del rimborso o dello sgravio, oppure non la giustifica, deve intervenire entro un termine di nove mesi. Tuttavia, si deve constatare che il predetto articolo 907 riguarda solo il procedimento iniziale e non i procedimenti che sono stati riaperti in seguito ad una sentenza di annullamento. Ne deriva che, poiché il procedimento di cui trattasi è stato oggetto di una riapertura, non può essere applicato il termine di nove mesi previsto per il procedimento iniziale (v., per analogia, sentenza del 28 gennaio 2016, CM Eurologistik e GLS, C‑283/14 e C‑284/14, EU:C:2016:57, punti da 57 a 61). Si deve, quindi, respingere l’argomento della ricorrente secondo il quale la Commissione, ritenendo di disporre di un termine ragionevole per rimediare all’illegittimità constatata nella sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), e non di un termine di cinque giorni per conformarsi al termine iniziale di nove mesi di cui all’articolo 907 del regolamento n. 2454/93, ha negato l’effetto ex tunc di tale sentenza.

64

Per quanto riguarda, infine, l’argomento secondo il quale, in sostanza, le domande ripetute della Commissione alle autorità belghe erano totalmente superflue e servivano unicamente a sospendere ingiustamente il termine previsto dall’articolo 907 del regolamento n. 2454/93, esso deve essere respinto. Infatti, non può essere validamente sostenuto che la Commissione ha inviato le domande alle autorità belghe al solo scopo di sospendere detto termine, poiché esso, in ogni caso, non era applicabile.

65

Tenuto conto di tutte le considerazioni che precedono, il primo, il secondo e il quarto motivo devono essere respinti.

Sul terzo motivo, vertente sulla violazione del principio di buona amministrazione

66

Con tale motivo la ricorrente censura, in sostanza, la Commissione, perché ha ritenuto, al punto 32 della decisione impugnata, che il termine ragionevole previsto all’articolo 266 TFUE potesse, senza alcuna limitazione, essere più lungo del termine di nove mesi previsto all’articolo 907 del regolamento n. 2454/93 e che, in aggiunta, il beneficio dello scadere di tale termine di cui all’articolo 909 del medesimo regolamento, cessasse anch’esso di essere applicabile. A suo avviso, anche supponendo che la Commissione disponesse di un termine ragionevole per attuare la sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), tale termine non poteva in nessun modo superare un nuovo termine di decadenza di nove mesi previsto all’articolo 907 del regolamento n. 2454/93. Essa ritiene quindi che, anche se la Commissione disponeva di un nuovo termine di nove mesi per adottare una decisione, a far data dalla sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), tale termine scadeva, tenuto conto delle diverse sospensioni dovute alle domande d’informazione della Commissione, l’11 giugno 2015.

67

Peraltro, la ricorrente addebita alla Commissione la violazione del principio della certezza del diritto in quanto essa si è sempre riferita, in un primo tempo e nel corso dell’iter decisionale che ha preceduto l’adozione della decisione impugnata, all’applicazione del termine previsto all’articolo 907 del regolamento n. 2454/93, in combinato disposto con l’articolo 909 di tale regolamento, per affermare invece, in seguito, quando tale nuovo termine, asseritamente inesistente ed erroneamente prorogato, è scaduto, che il solo termine applicabile era il termine ragionevole risultante dall’articolo 266 TFUE.

68

La Commissione contesta la fondatezza di tale motivo.

69

In primo luogo, essa sostiene che è inutile fare riferimento all’articolo 907 del regolamento n. 2454/93 per calcolare il termine di cui disponeva per adottare una nuova decisione a far data dalla sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), poiché né tale disposizione, né l’articolo 909 del regolamento n. 2454/93 erano applicabili nell’ambito di un procedimento ai sensi dell’articolo 266 TFUE. In secondo luogo, essa afferma che non può escludersi che il termine ragionevole possa essere più lungo del termine previsto agli articoli 907 e 909 del regolamento n. 2454/93. In terzo luogo, essa considera che la decisione impugnata era il provvedimento appropriato per eliminare entro un termine ragionevole l’illegittimità constatata dal Tribunale con riferimento alla prima decisione alla luce delle circostanze peculiari di tale causa. Essa sostiene a tale proposito che la maggior parte del tempo che si è rivelato necessario per adottare la decisione controversa è trascorsa per il fatto che le autorità doganali belghe non hanno risposto alla domanda della Commissione, nonostante diversi richiami, nonché al fatto che queste ultime disponevano della competenza esclusiva a pronunciarsi su tale debito doganale. Inoltre, la Commissione aggiunge che, prima di adottare la sua decisione, ha ascoltato la ricorrente e un gruppo di esperti, rappresentanti di tutti gli Stati membri, che si è riunito il 21 settembre 2015 per esaminare il caso.

70

In quarto luogo, essa sottolinea che, in ogni caso, anche se fosse dimostrato che aveva agito al di là di un termine ragionevole, ciò non avrebbe comunque comportato l’annullamento della decisione impugnata. Infatti, da un lato la ricorrente non afferma che il termine intercorso le abbia arrecato un danno e abbia pregiudicato i suoi diritti della difesa. La Commissione ricorda che una parte del ritardo è stata provocata, in particolare, dal fatto che essa riteneva di dover ascoltare la ricorrente prima di adottare la sua decisione, allo scopo di tutelare pienamente i suoi diritti della difesa. Dall’altro lato, essa ritiene che il mancato rispetto di una norma processuale come quella del termine ragionevole non può costituire nella presente fattispecie una violazione di una disposizione processuale sostanziale, poiché, anche in mancanza di una tale violazione, il contenuto della decisione impugnata non sarebbe stato diverso.

71

Va rilevato, in limine, che, poiché, in seguito alla sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), che ha parzialmente annullato la prima decisione, l’articolo 907 del regolamento n. 2454/93 non era più applicabile nell’ambito del procedimento riaperto ai fini dell’adozione della decisione impugnata, destinata a sostituire la prima decisione, era applicabile solo il termine ragionevole ai sensi della giurisprudenza (v., supra, punto 63).

72

Orbene, come sostiene la ricorrente, risulta dalle circostanze della presente fattispecie che il termine ragionevole è stato superato.

73

Il termine rilevante nella specie, ai fini dell’esame del rispetto del termine ragionevole, è quello intercorso tra la pronuncia della sentenza di annullamento, il 19 marzo 2013, e la data di adozione della decisione impugnata, il 20 gennaio 2016, ovvero un periodo di 34 mesi, cioè più di due anni e mezzo. Più precisamente, cinque mesi dopo la pronuncia della sentenza di annullamento, vale a dire il 21 agosto 2013, data in cui la prima domanda d’informazione supplementare è stata inviata dalla Commissione alle autorità belghe, la Commissione ha iniziato la ricostituzione e il riesame del fascicolo, il quale, dopo la ricezione delle informazioni richieste presso le autorità belghe, ha portato, 29 mesi più tardi, alla decisione impugnata.

74

Per giustificare tale termine la Commissione fa valere, da un lato, che la maggior parte del tempo che si è rivelato necessario per adottare la decisione impugnata è trascorsa per il fatto che le autorità doganali belghe non hanno risposto alla domanda della Commissione, nonostante diversi richiami e, dall’altro, che prima di adottare la sua decisione, essa, il 21 settembre 2015, ha ascoltato la ricorrente e un gruppo di esperti composto da rappresentanti di tutti gli Stati membri che si è riunito al fine di esaminare il caso.

75

A tale proposito, è sufficiente constatare che, anche supponendo che le domande di informazione rivolte alle autorità doganali belghe dalla Commissione fossero state idonee a sospendere il termine di nove mesi – il che non può essere, poiché il meccanismo previsto all’articolo 907 del regolamento n. 2454/93 non poteva essere di nuovo applicabile – sarebbero trascorsi più di dieci mesi tra la risposta di tali autorità e l’adozione della decisione impugnata.

76

Nella specie, si deve considerare che nessun provvedimento da adottare da parte della Commissione o da essa adottato può giustificare il trascorrere di un tale periodo. Vero è che la sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), ha obbligato la Commissione a riesaminare gli elementi del caso (v., supra, punto 55). Tuttavia, si deve constatare, come fa la ricorrente, che non risulta affatto che, in seguito a tale sentenza, la Commissione abbia costituito un nuovo fascicolo né, a maggior ragione, fornito o scoperto nuovi elementi di fatto.

77

Inoltre, si deve sottolineare che la Commissione aveva già una buona conoscenza del fascicolo. Come risulta, segnatamente, da un confronto tra la prima decisione e la decisione impugnata, le cui esposizioni dei fatti sono completamente identiche, il lavoro della Commissione è consistito, da un lato, nel fondare la negligenza della ricorrente non già sul modo in cui ha ottenuto i certificati d’importazione, ma sul fatto di aver utilizzato certificati destinati agli operatori nuovi arrivati, il che sarebbe chiaramente vietato ai sensi dell’articolo 21, paragrafo 2, del regolamento n. 2362/98, e, dall’altro, nel calcolare la ripartizione tra gli importi corrispondenti ai certificati degli operatori tradizionali e quelli corrispondenti ai certificati degli operatori nuovi arrivati. La Commissione ha sostenuto, durante l’udienza, che il punto essenziale del suo riesame era consistito nell’effettuare tale ripartizione, che non le era stata comunicata prima dell’adozione della decisione impugnata, e che essa non aveva potuto determinare sulla base delle informazioni che le erano state comunicate dalle autorità doganali belghe.

78

Tuttavia, non risulta, e la Commissione non l’ha, del resto, affatto sostenuto, che essa abbia ripreso integralmente l’esame del fascicolo. Essa ha in particolare indicato, nelle sue memorie, da un lato, che, dopo la sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), «essa poteva limitarsi a verificare se l’operatore non si fosse reso responsabile di frode o negligenza manifesta conformemente alla seconda condizione di cui all’articolo 239 del CDC» e, dall’altro lato, che «[p]oiché non è stato contestato [in tale sentenza] che si tratta[va] di una situazione particolare, occorreva unicamente sapere se la ricorrente fosse colpevole o meno di frode o negligenza manifesta».

79

Alla luce di quanto precede si deve, quindi, considerare che, tenuto conto della natura dei provvedimenti da adottare nonché delle circostanze contingenti del caso di specie, la Commissione non ha osservato un termine ragionevole nello svolgimento del procedimento che ha preceduto l’adozione della decisione impugnata.

80

La Commissione ha tuttavia fatto valere, nel corso della fase scritta e della fase orale del procedimento, che tale circostanza non può comportare l’annullamento della decisione impugnata, per il motivo che la ricorrente non aveva dimostrato che un termine più breve avrebbe portato ad una decisione diversa da quella che è stata adottata, e che essa non aveva dimostrato neppure l’esistenza di un pregiudizio ai suoi diritti della difesa risultante dalla durata eccessiva del procedimento amministrativo. (v. supra, punto 70).

81

A tale proposito, si deve osservare che, da una giurisprudenza costante, deriva in effetti che la violazione del principio del termine ragionevole giustifica l’annullamento di una decisione adottata a seguito di un procedimento amministrativo solo qualora comporti anche una violazione dei diritti della difesa dell’interessato. Infatti, quando non è dimostrato che il decorso di un lasso di tempo eccessivo abbia pregiudicato la capacità delle persone interessate di difendersi in modo efficace, il mancato rispetto del principio del termine ragionevole non incide sulla validità del procedimento amministrativo (v. sentenza del 13 dicembre 2016, Al-Ghabra/Commissione, T‑248/13, EU:T:2016:721, punto 62 e giurisprudenza ivi citata).

82

Parimenti, si deve rilevare che la violazione del principio del rispetto del termine ragionevole non giustifica, in linea di massima, l’annullamento della decisione adottata all’esito di un procedimento amministrativo. Infatti, solo quando il decorso di tempo eccessivo può incidere sul contenuto stesso della decisione adottata in esito al procedimento amministrativo l’inosservanza del principio del termine ragionevole pregiudica la validità del procedimento amministrativo (v. sentenza del 7 giugno 2013, Italia/Commissione, T‑267/07, EU:T:2013:305, punto 80 e giurisprudenza ivi citata).

83

Nella specie, al fine di pronunciarsi sulla questione se il superamento del termine ragionevole possa comportare l’annullamento della decisione impugnata, si deve, in particolare, fare riferimento alle disposizioni procedurali in materia di sgravio dei dazi doganali rilevanti nel presente caso, ovvero agli articoli da 235 a 239 del CDC e agli articoli da 878 a 909 del regolamento n. 2454/93.

84

Secondo tali disposizioni, qualsiasi sgravio dei dazi all’importazione deve essere oggetto di una domanda specifica da parte dell’interessato (articolo 878, paragrafo 1, del regolamento n. 2454/93). Tale domanda deve essere presentata all’autorità doganale competente (articolo 879, paragrafo 1, del regolamento n. 2454/93). Una volta in possesso di tutti gli elementi necessari, l’autorità doganale competente delibera per iscritto sulla domanda di sgravio (articolo 886, paragrafo 1, del regolamento n. 2454/93).

85

Tuttavia, qualora l’autorità doganale non sia in grado di prendere una decisione sulla base degli articoli 899 e seguenti del regolamento n. 2454/93, che definiscono un determinato numero di situazioni nelle quali lo sgravio può o non può essere accordato, e «la domanda sia corredata di giustificazioni tali da costituire una situazione particolare risultante da circostanze che non implicano alcuna manovra fraudolenta o negligenza manifesta da parte dell’interessato», lo Stato membro da cui dipende tale autorità trasmette il caso alla Commissione (articolo 905, paragrafo 1, del regolamento n. 2454/93). La pratica trasmessa alla Commissione deve contenere tutti gli elementi necessari per un attento esame del caso (articolo 905, paragrafo 3, del regolamento n. 2454/93). Entro quindici giorni dalla data di ricevimento della pratica, la Commissione ne trasmette copia agli Stati membri (articolo 906, primo comma, del regolamento n. 2454/93). L’articolo 906 bis del regolamento n. 2454/93 precisa che la Commissione, quando intenda adottare una decisione negativa nei confronti del richiedente il rimborso o lo sgravio, gli comunica le proprie obiezioni per iscritto, unitamente a tutti i documenti sui quali poggiano dette obiezioni; il richiedente dispone di un mese per presentare le proprie osservazioni.

86

Poi, previa consultazione di un gruppo di esperti, rappresentanti di tutti gli Stati membri riuniti nell’ambito del comitato delle dogane per esaminare il caso in oggetto, la Commissione adotta una decisione che stabilisce che la situazione particolare esaminata giustifica la concessione del rimborso o dello sgravio oppure non la giustifica (articolo 907, primo comma, del regolamento n. 2454/93). Tale decisione deve essere presa entro un termine di nove mesi dalla data di ricezione, da parte della Commissione, della pratica trasmessa dallo Stato membro (articolo 907, secondo comma, del medesimo regolamento) e deve essere comunicata allo Stato membro interessato al più presto (articolo 908, paragrafo 1, dello stesso regolamento). In base a tale decisione della Commissione l’autorità di decisione dovrà deliberare sulla domanda di sgravio presentatale (articolo 908, paragrafo 2, del regolamento n. 2454/93).

87

Quando la Commissione debba chiedere allo Stato membro elementi d’informazione complementari per deliberare, il termine di nove mesi è prorogato del tempo intercorrente tra la data di invio da parte della Commissione della richiesta di elementi d’informazione complementari e la data in cui questi ultimi pervengono alla Commissione. Il richiedente il rimborso o lo sgravio è informato di tale proroga (articolo 907, terzo comma, del regolamento n. 2454/93). Quando la Commissione abbia comunicato le proprie obiezioni al richiedente il rimborso o lo sgravio, conformemente all’articolo 906 bis, il termine di nove mesi è prorogato di un mese.

88

Ai sensi dell’articolo 909 del regolamento n. 2454/93, se la Commissione non ha adottato alcuna decisione nel termine di nove mesi di cui all’articolo 907 di tale regolamento, l’autorità doganale nazionale dà seguito favorevole alla domanda di rimborso o di sgravio.

89

Dalle disposizioni sopracitate deriva che il regolamento n. 2454/93 ha, segnatamente, lo scopo di precisare alcune regole per garantire una maggiore certezza del diritto all’atto della loro applicazione, come risulta dai suoi considerando, e che ha previsto termini rigidi da rispettare sia per il richiedente sia per la Commissione al fine di trattare una domanda di sgravio dei dazi all’importazione.

90

Risulta dall’articolo 907 del regolamento n. 2454/93 che, se il termine di nove mesi di cui dispone la Commissione per adottare la sua decisione può essere sospeso a talune condizioni, la decisione sulla domanda di sgravio dei dazi deve essere adottata nel termine fissato dall’articolo 907, secondo comma, del regolamento n. 2454/93, con la precisazione che l’assenza di risposta entro tale termine equivale obbligatoriamente all’accoglimento della domanda da parte dell’autorità doganale competente, ai sensi dell’articolo 909 del medesimo regolamento.

91

Nella specie, se la Commissione avesse agito nell’ambito del regolamento n. 2454/93, si deve rilevare che la sua decisione adottata al di là del termine di decadenza di nove mesi, incluse le sospensioni, di cui all’articolo 907 dello stesso, avrebbe valso accoglimento della domanda della ricorrente da parte dell’autorità doganale.

92

Nelle circostanze del caso di specie, è vero che il sistema predisposto, e in particolare il termine di nove mesi previsto dall’articolo 907 del regolamento n. 2454/93, non era più obbligatorio per la Commissione nell’ambito del procedimento avviato ai sensi dell’articolo 266 TFUE (v. supra, punti 63 e 71). Tuttavia, rimane il fatto che, avendo adottato la decisione impugnata senza rispettare un termine ragionevole, la Commissione si è affrancata dalle garanzie sancite dal regolamento n. 2454/93 e ha privato la ricorrente dell’effetto utile di tale regolamento, della possibilità di ottenere una decisione nei termini previsti, nonché della garanzia di beneficiare di una decisione favorevole in assenza di risposta entro tale termine.

93

Di conseguenza, si deve considerare che, avendo adottato la decisione impugnata 34 mesi dopo la pronuncia della sentenza del 19 marzo 2013, Firma Van Parys/Commissione (T‑324/10, EU:T:2013:136), la Commissione ha violato il principio del termine ragionevole, il che costituisce, nelle circostanze proprie del presente caso di specie, un motivo di annullamento della decisione impugnata.

94

Alla luce delle considerazioni che precedono, si deve quindi accogliere il terzo motivo di ricorso e annullare la decisione impugnata, senza che sia necessario esaminare il quinto motivo.

Sulle spese

95

Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura del Tribunale, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

96

Nel caso di specie, la Commissione, essendo rimasta sostanzialmente soccombente, dev’essere condannata a sopportare le proprie spese e quelle sostenute dalla ricorrente.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quarta Sezione)

dichiara e statuisce:

 

1)

L’articolo 1, paragrafo 4, della decisione C(2016) 95 final della Commissione, del 20 gennaio 2016, che stabilisce che la contabilizzazione a posteriori dei dazi all’importazione è giustificata e che lo sgravio dei dazi è giustificato nei riguardi di un debitore, ma che è giustificato per una parte nei riguardi di un altro debitore in un caso particolare e non è giustificato per un’altra parte nei riguardi di questo specifico debitore, e che modifica la decisione C(2010) 2858 definitivo della Commissione, del 6 maggio 2010, è annullato.

 

2)

Il ricorso è respinto quanto al resto.

 

3)

La Commissione europea sopporterà le proprie spese nonché quelle sostenute dalla Firma Léon Van Parys NV.

 

Kanninen

Schwarcz

Iliopoulos

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo l’11 dicembre 2017.

Firme


( *1 ) Lingua processuale: il neerlandese.