Edizione provvisoria
ORDINANZA DELLA CORTE (Sesta Sezione)
9 marzo 2017 (*)
«Impugnazione – Articolo 181 del regolamento di procedura della Corte – Aiuti di Stato – Settore dei trasporti – Servizi di trasporto interregionale tramite autobus – Regolamento (CEE) n. 1191/69 – Diritto a una compensazione degli oneri derivanti dall’esecuzione di obblighi di servizio pubblico – Decisione giudiziaria nazionale – Aiuto incompatibile con il mercato interno»
Nella causa C‑232/16 P,
avente ad oggetto l’impugnazione, ai sensi dell’articolo 56 dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, proposta il 20 aprile 2016,
Simet SpA, con sede in Rossano Calabro (Italia), rappresentata da A. Clarizia, C. Varrone e P. Clarizia, avvocati,
ricorrente,
procedimento in cui l’altra parte è:
Commissione europea, rappresentata da G. Conte, D. Grespan e P.‑J. Loewenthal, in qualità di agenti, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta in primo grado
LA CORTE (Sesta Sezione),
composta da E. Regan (relatore), presidente di sezione, J.-C. Bonichot e S. Rodin, giudici,
avvocato generale: M. Wathelet
cancelliere: A. Calot Escobar
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di statuire con ordinanza motivata, conformemente all’articolo 181 del regolamento di procedura della Corte,
ha emesso la seguente
Ordinanza
1 Con la sua impugnazione, la Simet SpA chiede l’annullamento della sentenza del Tribunale dell’Unione europea del 3 marzo 2016, Simet/Commissione (T‑15/14; in prosieguo: la «sentenza impugnata», EU:T:2016:124), con cui è stato respinto il suo ricorso diretto all’annullamento della decisione 2014/201/UE della Commissione, del 2 ottobre 2013, relativa alla compensazione di Simet SpA per l’esercizio di servizi di trasporto pubblico dal 1987 al 2003 [Aiuto di Stato SA.33037 (2012/C) Italia] (GU 2014, L 114, pag. 48; in prosieguo: la «decisione controversa»).
Diritto dell’Unione
2 Il regolamento (CEE) n. 1191/69 del Consiglio, del 26 giugno 1969, relativo all’azione degli Stati membri in materia di obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile (GU 1969, L 156, pag. 1) è stato abrogato dal regolamento (CE) n. 1370/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70 del Consiglio (GU 2007, L 315, pag. 1), entrato in vigore il 3 dicembre 2009. L’articolo 1 del regolamento n. 1191/69 così disponeva:
«1. Gli Stati membri sopprimono gli obblighi inerenti alla nozione di servizio pubblico, definiti nel presente regolamento, nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile.
2. Tali obblighi potranno tuttavia essere mantenuti nella misura in cui siano indispensabili a garantire la fornitura di sufficienti servizi di trasporto.
3. Il paragrafo 1 non si applica, nel settore dei trasporti di persone, ai prezzi e [alle] condizioni di trasporto imposti da uno Stato membro a favore di una o più categorie sociali particolari.
4. Gli oneri gravanti sulle imprese di trasporto in conseguenza del mantenimento degli obblighi di cui al paragrafo 2 (...) formano oggetto di compensazioni determinate in base a metodi comuni indicati nel presente regolamento».
3 L’articolo 2 di tale regolamento così disponeva:
«1. Per obblighi di servizio pubblico si intendono gli obblighi che l’impresa di trasporto, ove considerasse il proprio interesse commerciale, non assumerebbe o non assumerebbe nella [stessa] misura né alle stesse condizioni.
2. Gli obblighi di servizio pubblico ai sensi del paragrafo 1 comprendono l’obbligo di esercizio, l’obbligo di trasporto e l’obbligo tariffario.
3. Per obbligo di esercizio, ai sensi del presente regolamento, si intende l’obbligo fatto alle imprese di trasporto di adottare, per le linee o gli impianti il cui esercizio sia stato loro affidato mediante concessione od autorizzazione equivalente, tutte le misure atte a garantire un servizio di trasporto conforme a determinate norme di continuità, di regolarità e di capacità. Tale nozione comprende anche l’obbligo di garantire l’esercizio di servizi complementari, nonché l’obbligo di mantenere in buono stato, dopo la soppressione dei servizi di trasporto, linee, impianti e materiale, nella misura in cui quest’ultimo sia eccedente rispetto all’insieme della rete.
4. Per obbligo di trasporto, ai sensi del presente regolamento, si intende l’obbligo fatto alle imprese di trasporto di accettare e di effettuare qualsiasi trasporto di persone o di merci a prezzi e condizioni di trasporto determinati.
5. Per obbligo tariffario, ai sensi del presente regolamento, si intende l’obbligo per le imprese di trasporto di applicare prezzi stabiliti od omologati dalle pubbliche autorità, in contrasto con l’interesse commerciale dell’impresa e derivanti dall’imposizione o dal rifiuto di modificare misure tariffarie particolari, soprattutto per talune categorie di viaggiatori, per talune categorie di prodotti o per talune relazioni.
Le disposizioni del comma precedente non si applicano agli obblighi derivanti da misure generali di politica dei prezzi applicabili al complesso delle attività economiche o da misure adottate in materia di prezzi e di condizioni generali di trasporto per l’organizzazione del mercato dei trasporti o di una parte di questo».
4 Ai sensi dell’articolo 4 di detto regolamento:
«1. Spetta alle imprese di trasporto di presentare alle autorità competenti degli Stati membri domanda per la soppressione totale o parziale di un obbligo di servizio pubblico, qualora tale obbligo comporti per esse svantaggi economici.
2. Le imprese di trasporto possono proporre, nella loro domanda, di sostituire con un’altra tecnica di trasporto quella attualmente impiegata. Le imprese determinano le economie che possono migliorare i risultati della loro gestione finanziaria, applicando le disposizioni dell’articolo 5».
5 L’articolo 5 del medesimo regolamento era redatto nei seguenti termini:
«1. Un obbligo di esercizio o di trasporto comporta svantaggi economici se la diminuzione delle spese che potrebbe essere realizzata con la soppressione totale o parziale di tale obbligo riguardo a una prestazione o ad un complesso di prestazioni soggette a tale obbligo, [è] superiore alla diminuzione degli introiti risultante da detta soppressione.
(...)
Gli svantaggi economici vengono determinati tenendo conto delle ripercussioni dell’obbligo sul complesso dell’attività dell’impresa.
2. L’obbligo tariffario comporta svantaggi economici quando la differenza fra gli introiti e gli oneri del traffico soggetto all’obbligo [è] inferiore alla differenza fra gli introiti e gli oneri del traffico risultante da una gestione commerciale che tenga conto dei costi delle prestazion[i] soggette a detto obbligo nonché della situazione del mercato».
6 In forza dell’articolo 6, paragrafo 2, del regolamento n. 1191/69, «[l]e decisioni di mantenere o di sopprimere a termine, totalmente o parzialmente, un obbligo di servizio pubblico, prevedono, per gli oneri che ne derivano, la concessione di una compensazione determinata secondo i metodi comuni di cui agli articoli 10, 11, 12 e 13».
7 L’articolo 10 di tale regolamento prevedeva quanto segue:
«1. Per quanto riguarda l’obbligo d’esercizio o di trasporto, l’ammontare della compensazione prevista all’articolo 6 è pari alla differenza tra la diminuzione degli oneri e la diminuzione degli introiti dell’impresa che può derivare, per il periodo di tempo considerato, dalla soppressione totale o parziale della parte corrispondente dell’obbligo in questione.
Tuttavia, se gli svantaggi economici sono stati calcolati suddividendo i costi complessivi sostenuti dall’impresa per la sua attività di trasporto fra le varie parti di questa attività di trasporto, l’ammontare della compensazione è pari alla differenza fra i costi imputabili alla parte dell’attività dell’impresa interessata dall’obbligo di servizio pubblico e l’introito corrispondente.
2. Per determinare gli oneri e gli introiti di cui al paragrafo 1 si tiene conto delle ripercussioni che la soppressione dell’obbligo in questione avrebbe sul complesso dell’attività dell’impresa».
8 L’articolo 14 di detto regolamento era così formulato:
«1. A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento, gli Stati membri possono imporre obblighi di servizio pubblico a una impresa di trasporto soltanto se tali obblighi sono indispensabili a garantire la fornitura di sufficiente servizi di trasporto, a condizione che non si tratti dei casi previsti al paragrafo 3 dell’articolo 1.
2. Se gli obblighi cos[ì] imposti comportano per le imprese di trasporto svantaggi economici ai sensi dell’articolo 5, paragrafi 1 e 2, ovvero oneri ai sensi dell’articolo 9, le autorità competenti degli Stati membri prevedono, nelle loro decisioni relative all’imposizione di nuovi obblighi, la concessione di una compensazione degli oneri che ne derivano. Sono applicabili le disposizioni degli articoli da 10 a 13».
9 L’articolo 17, paragrafo 2, del medesimo regolamento stabiliva quanto segue:
«Le compensazioni risultanti dall’applicazione del presente regolamento sono dispensate dalla procedura di informazione preventiva di cui all’articolo [108], paragrafo 3, [TFUE]».
10 Prima di essere abrogato dal regolamento n. 1370/2007, il regolamento n. 1191/69 è stato modificato dal regolamento (CEE) n. 1893/91 del Consiglio, del 20 giugno 1991 (GU 1991, L 169, pag. 1), entrato in vigore il 1° luglio 1992.
11 Ai sensi dell’articolo 1, paragrafi 4 e 5, del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91:
«4. Per garantire servizi di trasporto sufficienti tenendo conto segnatamente dei fattori sociali, ambientali e di assetto del territorio o per offrire particolari condizioni tariffarie a favore di determinate categorie di passeggeri le competenti autorità degli Stati membri possono concludere contratti di servizio pubblico con un’impresa di trasporto. (...)
5. Tuttavia, le competenti autorità degli Stati membri possono mantenere o imporre gli obblighi di servizio pubblico di cui all’articolo 2 per i servizi urbani, extraurbani e regionali di trasporto di passeggeri. (...)
Quando un’impresa di trasporto svolge contemporaneamente servizi soggetti ad obblighi di servizio pubblico ed altre attività, i servizi pubblici devono formare oggetto di sezioni distinte che rispondano come minimo ai seguenti requisiti:
a) separazione di conti corrispondenti a ciascuna attività di esercizio e ripartizione delle relative quote di patrimonio in base alle norme contabili vigenti;
b) spese bilanciate dalle entrate di esercizio e dai versamenti dei poteri pubblici, senza possibilità di trasferimento da o verso altri settori d’attività dell’impresa».
12 L’articolo 14, paragrafo 1, del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, così disponeva:
«Per “contratto di servizio pubblico” s’intende un contratto concluso fra le autorità competenti di uno Stato membro e un’impresa di trasporto allo scopo di fornire alla collettività servizi di trasporto sufficienti.
(...)».
Fatti e decisione controversa
13 La ricorrente è una società che presta servizi di trasporto di passeggeri su strada e la maggior parte delle sue attività consiste nella gestione di una rete di collegamenti interregionali regolari tramite autobus tra la Calabria (Italia) e altre regioni d’Italia.
14 Il 22 ottobre 1999 la ricorrente ha presentato al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (in prosieguo: il «Ministero») domanda di versamento di una compensazione a fronte degli obblighi di servizio pubblico che, a suo avviso, essa aveva assunto nell’ambito dell’esercizio di tali collegamenti interregionali per il periodo compreso tra il 1987 e il 1999, in forza di concessioni annuali rilasciate dal Ministero in applicazione della legge del 28 settembre 1939, n. 1822, recante Disciplina degli autoservizi di linea (autolinee) per viaggiatori, bagagli e pacchi agricoli in regime di concessione all’industria privata (GURI n. 292, del 18 dicembre 1939; in prosieguo: la «legge n. 1822/1939»).
15 Poiché il Ministero ha rifiutato di versare la suddetta compensazione, motivando che tale domanda non soddisfaceva le condizioni previste all’articolo 4 del regolamento n. 1191/69, la ricorrente ha esperito avverso la decisione di cui trattasi un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica italiana. Detto ricorso è stato respinto mediante un decreto di quest’ultimo in data 10 ottobre 2002.
16 Nel 2004, la ricorrente ha adito il Tribunale amministrativo regionale del Lazio (Italia) per ottenere il riconoscimento del proprio diritto a percepire la somma di EUR 66 891 982 quale contropartita degli oneri che essa riteneva di aver assunto per l’adempimento degli obblighi di servizio pubblico a partire dal 1987, a titolo di compensazione annua ai sensi del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, o di risarcimento danni, oppure mediante azione di indebito arricchimento in forza dell’articolo 2041 del codice civile.
17 Con sentenza del 12 gennaio 2009 (n. 112/2009), il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha respinto in quanto irricevibili le domande della ricorrente fondate sul regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, nonché sull’articolo 2041 del codice civile.
18 Il Consiglio di Stato (Italia), con sentenza del 3 marzo 2010 (n. 1405/2010; in prosieguo: la «sentenza del Consiglio di Stato»), ha riformato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, dichiarando che la ricorrente aveva diritto, nella sua qualità di operatore di servizio pubblico, al versamento di una compensazione in ragione dei costi sostenuti per la prestazione di detto servizio, ai sensi degli articoli 6, 10 e 11 del regolamento n. 1191/69. Il Consiglio di Stato ha precisato che l’ammontare di tale compensazione dovrebbe essere determinato, a norma dell’articolo 35 del decreto legislativo del 31 marzo 1998, n. 80, recante Nuove disposizioni in materia di organizzazione e di rapporti di lavoro nelle amministrazioni pubbliche, di giurisdizione nelle controversie di lavoro e di giurisdizione amministrativa, emanate in attuazione dell’articolo 11, comma 4, della legge 15 marzo 1997, n. 59 (supplemento ordinario alla GURI n. 82, dell’8 aprile 1998), dalle autorità pubbliche sulla base di dati attendibili ricavabili dalla contabilità della ricorrente, che permettano di calcolare la differenza fra i costi imputabili alla parte dell’attività di quest’ultima interessata dall’obbligo di servizio pubblico e gli introiti generati da tale attività.
19 Il Consiglio di Stato ha, invece, sospeso il procedimento quanto alla domanda di risarcimento danni presentata dalla ricorrente, con la motivazione che solo all’esito del calcolo, da parte delle autorità pubbliche italiane, delle somme spettanti a titolo di compensazione sarà possibile determinare ogni perdita residua, non coperta da detto calcolo, che dovrà quindi essere rivendicata e dimostrata dalla ricorrente.
20 Il 1° aprile 2011, il Consiglio di Stato ha emesso un’ordinanza volta a costringere il Ministero a procedere al calcolo della compensazione dovuta in applicazione della sua sentenza.
21 Il 18 maggio 2011, le autorità italiane hanno notificato alla Commissione europea di avere concesso, in esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, una compensazione a favore della ricorrente per la prestazione di servizi interregionali di trasporto di passeggeri tramite autobus prestati tra il 1987 e il 2003, nell’ambito di un obbligo di servizio pubblico (in prosieguo: la «misura notificata»).
22 Il 17 gennaio 2012, tenuto conto delle difficoltà riscontrate dal Ministero nel calcolo della compensazione e su richiesta della ricorrente, il Consiglio di Stato ha emesso una nuova ordinanza, mediante la quale ha nominato un collegio formato da tre esperti indipendenti incaricati di calcolare l’importo di tale compensazione.
23 Poiché tale collegio di consulenza non è giunto a una conclusione unanime, esso ha presentato, il 20 agosto 2012, una relazione di maggioranza, sottoscritta da due dei suoi membri, la quale concludeva che la compensazione dovuta alla ricorrente ammontava a EUR 22 049 796, e, il 29 agosto 2012, una relazione di minoranza, sottoscritta dal terzo membro, nonché presidente, del collegio di consulenza, la quale concludeva che i dati disponibili non erano sufficienti a determinare la compensazione da riconoscere alla ricorrente e che quindi non le si poteva concedere alcuna compensazione.
24 Con lettera del 31 maggio 2012 la Commissione ha notificato alle autorità italiane la propria decisione di avviare, con riferimento alla misura notificata, il procedimento formale di esame previsto all’articolo 108, paragrafo 2, TFUE.
25 Il 2 ottobre 2013 la Commissione ha adottato la decisione controversa, nella quale ha dichiarato che la misura notificata costituiva un aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno.
26 In tale decisione, la Commissione ha anzitutto constatato che la misura notificata rispondeva a tutti i criteri necessari per essere considerata una misura d’aiuto, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 1, TFUE. In tale contesto, la stessa ha osservato che la misura notificata non rispondeva al secondo criterio stabilito dalla Corte nella sentenza del 24 luglio 2003, Altmark Trans e Regierungspräsidium Magdeburg (C‑280/00, EU:C:2003:415), secondo cui i parametri sulla base dei quali viene calcolata la compensazione devono essere previamente definiti in modo obiettivo e trasparente.
27 Inoltre, la Commissione ha concluso che la misura notificata non poteva essere considerata, alla luce dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1191/69, una compensazione dispensata dall’obbligo di informazione preventiva di cui all’articolo 108, paragrafo 3, del TFUE. A tal riguardo, essa ha constatato che le autorità italiane non avevano imposto unilateralmente alla ricorrente un obbligo di servizio pubblico, ai sensi dell’articolo 1 del regolamento n. 1191/69, e che, in ogni caso, la compensazione concessa alla ricorrente non era conforme al metodo comune di compensazione previsto dal suddetto regolamento.
28 Infine, la Commissione ha dichiarato che la misura notificata non era compatibile con la normativa vigente al momento dell’adozione della decisione controversa, vale a dire il regolamento n. 1370/2007. In tale contesto, la Commissione ha considerato che dalla sentenza del Consiglio di Stato emergeva che quest’ultimo aveva riconosciuto alla ricorrente il diritto a percepire una compensazione per l’esecuzione di obblighi di servizio pubblico ai sensi del regolamento n. 1191/69 e non, come sosteneva la ricorrente, un risarcimento conseguente all’imposizione illegittima di siffatti obblighi.
Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata
29 Con atto introduttivo depositato presso la cancelleria del Tribunale il 6 gennaio 2014, la ricorrente ha proposto un ricorso diretto all’annullamento della decisione controversa. A sostegno di tale domanda, ha dedotto cinque motivi.
30 Con la sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto ciascuno di tali motivi e, di conseguenza, il ricorso nel suo insieme.
Domande delle parti
31 Con la sua impugnazione, la ricorrente chiede alla Corte di:
– annullare la sentenza impugnata;
– annullare la decisione controversa e
– condannare la Commissione alle spese sostenute dinanzi alla Corte e al Tribunale.
32 La Commissione chiede il rigetto dell’impugnazione e la condanna della ricorrente alle spese.
Sull’impugnazione
33 In forza dell’articolo 181 del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è in tutto o in parte manifestamente irricevibile o manifestamente infondata, la Corte, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, può respingere in qualsiasi momento, totalmente o parzialmente, l’impugnazione con ordinanza motivata.
34 Occorre applicare detta disposizione nel caso di specie.
Sulla ricevibilità dell’impugnazione
35 La Commissione esprime dubbi in merito alla ricevibilità dell’impugnazione nel suo insieme, poiché la ricorrente, a seconda dei casi, solleva critiche generiche, senza neppure individuare le parti della sentenza impugnata oggetto di contestazione, chiede alla Corte di sindacare la valutazione dei fatti e degli elementi di prova effettuata dal Tribunale, senza mai invocare lo snaturamento degli stessi, o, ancora, sottopone alla Corte gli stessi argomenti presentati dinanzi al Tribunale. Inoltre, la ricorrente farebbe valere un certo numero di argomenti nuovi, che dovrebbero essere dichiarati irricevibili, non essendo stati oggetto di contraddittorio in primo grado.
36 Si deve constatare che certamente, come sottolinea la Commissione, l’impugnazione contiene un grande numero di motivi e di argomenti che sono irricevibili.
37 Tuttavia, non si può ritenere che la presente impugnazione sia irricevibile nel suo insieme. Infatti, un certo numero di motivi in essa sollevati individuano con la necessaria precisione gli elementi della sentenza impugnata oggetto di contestazione ed espongono con sufficiente chiarezza gli argomenti giuridici invocati.
38 Pertanto, nonostante le numerose mancanze che saranno di seguito constatate, si devono respingere i dubbi sollevati dalla Commissione in merito alla ricevibilità dell’impugnazione nel suo insieme.
39 Per contro, con riferimento alla replica, occorre osservare che l’argomentazione in essa sviluppata relativa, da un lato, al terzo, quarto e quinto motivo nonché all’ottavo e al nono, e, dall’altro, al sesto, settimo e decimo motivo è diretta, rispettivamente, per una parte significativa e nel suo insieme, a rispondere, mediante la reiterazione lunga e pedante di argomenti già esposti nell’impugnazione, all’argomentazione sviluppata dalla Commissione nel suo controricorso relativamente alla fondatezza di tali motivi.
40 Orbene, con decisione del 3 agosto 2016, il presidente della Corte aveva autorizzato la ricorrente a produrre una replica, conformemente alla domanda di quest’ultima volta ad essere autorizzata a depositarla, limitandone il contenuto, ai sensi dell’articolo 175, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, alla questione della ricevibilità dei motivi d’impugnazione, nella misura in cui essa era stata messa in discussione dalla Commissione nel suo controricorso.
41 Di conseguenza, dato che l’argomentazione presentata dalla ricorrente nella sua replica riguardante la fondatezza dei motivi d’impugnazione dal terzo al decimo va oltre il contenuto della replica in tal modo delimitato, non vi è luogo ad esaminarla (v., per analogia, ordinanza del 5 ottobre 2016, Diputación Foral de Bizkaia/Commissione, C‑426/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:757, punti 54 e 55).
42 Di conseguenza, la suddetta argomentazione dev’essere respinta in quanto manifestamente irricevibile.
Sul merito
Sul primo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 107 TFUE e sulla non configurabilità di un aiuto di Stato
– Argomenti delle parti
43 La ricorrente critica il Tribunale per aver affermato, al punto 38 della sentenza impugnata, che le autorità italiane avevano notificato alla Commissione di avere concesso una compensazione, quando invece il Consiglio di Stato aveva nominato un collegio di consulenza ai fini della determinazione dell’importo di quest’ultima. Il Tribunale avrebbe in tal modo equiparato, in violazione dell’articolo 107 TFUE, la relazione dei suddetti esperti, redatta in corso di causa dinanzi a tale giudice nazionale, a una decisione adottata dalle autorità competenti dello Stato membro di cui trattasi. Orbene, contrariamente a quanto affermato dal Ministero, nel caso di specie non sarebbe stata versata né anche solo decisa alcuna compensazione a favore della ricorrente.
44 La Commissione sostiene che il primo motivo è irricevibile e, comunque, infondato.
– Giudizio della Corte
45 Si deve osservare che, al punto 38 della sentenza impugnata, il Tribunale si è limitato a rilevare, nell’ambito della parte di tale sentenza relativa alla descrizione dei fatti, che, a seguito dell’ordinanza del Consiglio di Stato del 1° aprile 2011, le autorità italiane hanno notificato alla Commissione di avere concesso, in esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato, una compensazione a favore della ricorrente per la fornitura di servizi interregionali di trasporto di passeggeri tramite autobus prestati tra il 1987 e il 2003 nell’ambito di un obbligo di servizio pubblico.
46 Tale constatazione di natura puramente fattuale non è stata in alcun modo contestata, né dinanzi al Tribunale né nell’ambito della presente impugnazione, dato che è pacifico che le autorità italiane hanno effettivamente notificato alla Commissione di avere concesso una compensazione in favore della ricorrente, la quale ha dato origine all’adozione della decisione controversa e alla sentenza impugnata. Poiché quindi il punto 38 della sentenza impugnata non contiene alcuna valutazione di diritto operata dal Tribunale riguardo a tale notifica o alla suddetta compensazione, esso non può essere inficiato di un errore di diritto tale da comportare l’annullamento di detta sentenza.
47 In realtà, come giustamente osservato dalla Commissione, mediante il motivo d’impugnazione qui esaminato la ricorrente mira soprattutto a imputare un errore non già al Tribunale ma alle autorità italiane, dato che esse avrebbero notificato un fatto non ancora avvenuto.
48 Occorre dunque respingere il primo motivo d’impugnazione in quanto inconferente.
Sui motivi d’impugnazione secondo, terzo e quarto, vertenti, rispettivamente, sulla violazione dell’articolo 17 TUE, dell’articolo 17 del regolamento n. 1191/69 e del regolamento di procedura del Tribunale, nella versione applicabile ratione temporis, in materia di onere della prova, sulla non conformità della legge n. 1822/1939 al suddetto regolamento e sulla violazione dell’articolo 5 TUE per erronea qualificazione giuridica della sentenza del Consiglio di Stato
– Argomenti delle parti
49 Con il secondo motivo d’impugnazione, la ricorrente fa valere che il Tribunale ha respinto a torto il primo motivo del ricorso di primo grado, vertente sul fatto che la decisione controversa era inficiata dal mancato accertamento preliminare della non conformità della legge n. 1822/1939 al regolamento n. 1191/69.
50 A tal proposito, la ricorrente ritiene che ingiustamente il Tribunale ha dichiarato, «ai punti 73 e ss.» della sentenza impugnata, che detto motivo era tardivo, perché essa sarebbe stata tenuta a formulare una tale censura nel corso dell’istruttoria svolta dalla Commissione. Infatti, secondo la ricorrente, in forza dei principi che disciplinano l’onere della prova e dell’articolo 17 TUE, dato che in sede di notifica il Ministero aveva dichiarato di avere applicato la legge n. 1822/1939, mentre il Consiglio di Stato, dal canto suo, aveva applicato il regolamento n. 1191/69, la Commissione era tenuta a verificare se tale legge fosse conforme al citato regolamento, dal momento che, a differenza delle disposizioni del regolamento, detta legge non prevedeva il diritto a una compensazione a favore dell’impresa di trasporto assoggettata ad obblighi di servizio pubblico. Orbene, la ricorrente avrebbe potuto avere conoscenza di un siffatto vizio soltanto a seguito dell’esame della decisione controversa in sede di ricorso giurisdizionale. Di conseguenza, sarebbe erronea anche la pronuncia del Tribunale relativa all’irricevibilità della produzione in corso di causa, da parte della ricorrente, delle leggi italiane interessate.
51 Con il terzo motivo d’impugnazione, la ricorrente critica il Tribunale per non avere esaminato il motivo del ricorso di primo grado vertente sulla non conformità della legge n. 1822/1939 al regolamento n. 1191/69, mentre un siffatto esame era necessario, dato che, in caso di violazione del diritto dell’Unione, l’amministrazione italiana sarebbe stata obbligata a disapplicare detta legge per applicare tale regolamento. Poiché tale motivo non è stato esaminato dal Tribunale, la ricorrente avrebbe titolo per farlo valere in sede d’impugnazione.
52 Secondo la ricorrente, a differenza del regolamento n. 1191/69, che riconosce all’impresa il diritto di esercitare in piena autonomia l’attività di trasporto e obbliga l’amministrazione a compensare l’eventuale imposizione di obblighi di servizio, la legge n. 1822/1939 non riconosce un siffatto diritto e consente lo svolgimento di tale attività solo in quanto concessionario di un servizio pubblico. Tale legge non sarebbe dunque conforme al regolamento n. 1191/69 per il duplice motivo che, da un lato, obbligherebbe l’impresa interessata ad esercitare la sua attività economica sotto forma di servizio pubblico, e, dall’altro, non prevedrebbe alcuna compensazione per l’adempimento di obblighi di servizio pubblico.
53 Con il quarto motivo d’impugnazione, la ricorrente contesta al Tribunale di aver compiuto uno sdoppiamento del motivo da essa sollevato in primo grado, con il quale deduceva che, se la Commissione avesse esaminato la conformità della legge n. 1822/1939 al regolamento n. 1191/69, sarebbe pervenuta alla conclusione che il Consiglio di Stato aveva condannato il Ministero a risarcire la ricorrente per il pregiudizio subìto a seguito dell’imposizione, da parte delle autorità nazionali, di obblighi di servizio pubblico in violazione del diritto dell’Unione. Tale motivo sarebbe stato ingiustamente considerato dal Tribunale come relativo a un errore di fatto, mentre in realtà era volto a mettere in discussione la qualificazione giuridica operata dal Consiglio di Stato, nel rilevare che l’esame della normativa nazionale applicata dal Ministero faceva emergere in modo palese la sua non conformità al regolamento n. 1191/69.
54 La ricorrente sostiene che, quando ha interpretato la sentenza del Consiglio di Stato, il Tribunale ha fatto prevalere, al punto 95 della sentenza impugnata, la motivazione di tale sentenza sul suo dispositivo, sebbene quest’ultimo si riferisse all’articolo 35 del decreto legislativo n. 80/1998, il quale è specificamente applicabile alla liquidazione del danno derivante da una sentenza di condanna pronunciata dal giudice amministrativo. Inoltre, il Tribunale non avrebbe tenuto conto del fatto che il riconoscimento, da parte del Consiglio di Stato, del diritto della ricorrente al risarcimento degli ulteriori danni dimostrava che il riconoscimento ex post della compensazione trasformava quest’ultima in una misura risarcitoria. Inoltre, il Tribunale si sarebbe contraddetto, poiché, da un lato, al punto 188 della sentenza impugnata, avrebbe constatato che la violazione, da parte del Ministero, degli articoli 1 e 14 del regolamento n. 1893/91 rientra nella giurisdizione del giudice nazionale, mentre, dall’altro, nell’interpretare la sentenza del Consiglio di Stato, avrebbe qualificato come «aiuto di Stato» la misura compensativa riconosciuta a seguito della violazione di dette disposizioni. Infine, il Tribunale avrebbe ignorato il fatto che la compensazione prevista dal regolamento n. 1191/69 fosse volta a prevenire il danno connesso alla perdita di competitività che l’impresa interessata subirebbe in mancanza del riconoscimento dei maggiori oneri sopportati a causa dell’imposizione di obblighi di servizio pubblico.
55 La Commissione ritiene che i motivi d’impugnazione dal secondo al quarto siano irricevibili. In ogni caso, il secondo e il terzo motivo sarebbero infondati, mentre il quarto motivo sarebbe inconferente.
– Giudizio della Corte
56 Per quanto riguarda la ricevibilità di tali motivi d’impugnazione, occorre anzitutto rammentare, riguardo al quarto motivo, che, secondo una costante giurisprudenza della Corte, qualora il Tribunale abbia constatato o valutato i fatti, la Corte è competente soltanto, ai sensi dell’articolo 256 TFUE, ad effettuare un controllo sulla qualificazione giuridica degli stessi e sulle conseguenze di diritto che ne sono state tratte. La valutazione dei fatti non costituisce dunque, salvo il caso dello snaturamento degli elementi di prova addotti dinanzi al Tribunale, una questione di diritto, come tale soggetta al sindacato della Corte (v., segnatamente, sentenza del 3 aprile 2014, Francia/Commissione, C‑559/12 P, EU:C:2014:217, punto 78 e giurisprudenza ivi citata).
57 Quindi, per quanto riguarda l’esame, nell’ambito di un’impugnazione, delle valutazioni del Tribunale in merito al diritto nazionale, la Corte è competente soltanto a verificare se vi sia stato uno snaturamento di tale diritto (v. sentenza del 3 aprile 2014, Francia/Commissione, C‑559/12 P, EU:C:2014:217, punto 79 e giurisprudenza ivi citata).
58 A tale proposito, occorre ricordare che uno snaturamento deve risultare in modo manifesto dai documenti del fascicolo, senza che sia necessario effettuare una nuova valutazione né dei fatti né delle prove (sentenza del 3 aprile 2014, Francia/Commissione, C‑559/12 P, EU:C:2014:217, punto 80).
59 Nel caso di specie, si deve ricordare che, ai punti da 76 a 101 della sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto l’argomentazione con cui la ricorrente aveva fatto valere che la Commissione era incorsa in un errore quando aveva ritenuto che il Consiglio di Stato avesse condannato il Ministero a versarle una compensazione a norma del regolamento n. 1191/69, e non a risarcirla per il danno asseritamente subìto a seguito della dedotta violazione del diritto dell’Unione.
60 Orbene, nel caso di specie, si deve constatare che la ricorrente, col pretesto di addebitare al Tribunale di essere incorso in un errore di diritto nella qualificazione dei suoi argomenti e di avere violato l’articolo 5 TUE, si limita, senza dedurre qualsivoglia snaturamento, a criticare l’interpretazione del diritto nazionale, vale a dire, della sentenza del Consiglio di Stato, accolta dal Tribunale ai punti da 76 a 101 della sentenza impugnata, allo scopo di sostituirvi un’interpretazione alternativa e, in tal modo, di ottenere una nuova valutazione dei fatti. Essa non cerca in alcun modo di dimostrare che il Tribunale si è limitato a constatazioni che si pongono in aperto contrasto col contenuto del diritto nazionale o che ha attribuito a quest’ultimo una portata che manifestamente non gli è propria, tenuto conto degli elementi presenti nel fascicolo di causa.
61 Di conseguenza, il quarto motivo d’impugnazione dev’essere dichiarato manifestamente irricevibile.
62 Per contro, il secondo e il terzo motivo d’impugnazione, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, sono ricevibili.
63 Riguardo al secondo motivo, si deve ricordare che certamente, secondo una costante giurisprudenza della Corte, dall’articolo 256, paragrafo 1, secondo comma, TFUE, dall’articolo 58, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, e dall’articolo 168, paragrafo 1, lettera d), del regolamento di procedura della Corte deriva che un’impugnazione deve indicare in modo preciso gli elementi contestati della sentenza di cui si chiede l’annullamento nonché gli argomenti di diritto dedotti a specifico sostegno di tale domanda. A tale proposito, l’articolo 169, paragrafo 2, di detto regolamento prescrive che i motivi e gli argomenti di diritto dedotti individuino con precisione le parti della motivazione della decisione del Tribunale oggetto di contestazione (sentenze del 28 luglio 2016, Tomana e a./Consiglio e Commissione, C‑330/15 P, non pubblicata, EU:C:2016:601, punto 34, nonché del 20 settembre 2016, Mallis e a./Commissione e BCE, da C‑105/15 P a C‑109/15 P, EU:C:2016:702, punti 33 e 34).
64 Tuttavia, nel caso di specie, sebbene, come rilevato dalla Commissione, il punto 73 della sentenza impugnata, il solo espressamente menzionato dalla ricorrente nella sua impugnazione, sia privo di qualsiasi rapporto con gli argomenti dedotti nell’ambito del secondo motivo d’impugnazione e da essa invocati a sostegno dello stesso, resta il fatto che il riferimento ivi compiuto al «primo motivo» del ricorso di primo grado consente di dedurre senza maggiore difficoltà che la ricorrente mira, in realtà, a contestare i punti 117 e 118 di tale sentenza.
65 Quanto al terzo motivo d’impugnazione, non si può rimproverare alla ricorrente di ripetere l’argomentazione svolta in primo grado senza che identifichi i punti della sentenza impugnata inficiati da un errore di diritto, dato che la stessa rimprovera al Tribunale proprio di avere omesso di esaminare la suddetta argomentazione.
66 Quanto alla fondatezza del secondo e del terzo motivo d’impugnazione, va ricordato che il Tribunale ha dichiarato, ai punti da 76 a 101 della sentenza impugnata – i quali, come risulta dai punti da 56 a 61 della presente ordinanza, sono stati inutilmente criticati nell’ambito del quarto motivo – che la Commissione aveva giustamente ritenuto che la sentenza del Consiglio di Stato avesse lo scopo di riconoscere alla ricorrente una compensazione a norma del regolamento n. 1191/69 e non di risarcirla per il danno asseritamente subìto a seguito della dedotta violazione del diritto dell’Unione.
67 Ciò posto, il Tribunale non ha commesso errori di diritto quando, al punto 116 della sentenza impugnata, ha respinto gli argomenti della ricorrente vertenti sulla non conformità della legge n. 1822/1939 al regolamento n. 1191/69 in quanto infondati, sulla base dell’unico motivo che questi ultimi costituivano la mera reiterazione dell’argomentazione respinta ai punti da 76 a 101 della medesima sentenza. Infatti, è pacifico che, mediante siffatti argomenti, la ricorrente mirava, ancora una volta, a dimostrare, come risulta segnatamente dai punti 79 e 112 di detta sentenza, che la sentenza del Consiglio di Stato aveva lo scopo di risarcirla per il danno asseritamente subìto a causa dell’imposizione, da parte del Ministero, di obblighi di servizio pubblico in violazione del diritto dell’Unione, il che risulterebbe dal fatto che il Consiglio di Stato ha constatato il difetto di conformità della legge n. 1822/1939 al regolamento n. 1191/69 ed escluso l’applicabilità di tale legge nazionale a vantaggio del diritto dell’Unione. Dato che il Tribunale ha deciso in modo sovrano, di fatto, che la portata della sentenza del Consiglio di Stato non era di questo tipo, esso non era affatto tenuto ad esaminare la questione della conformità del diritto nazionale al diritto dell’Unione.
68 Analogamente, essendo incontestabile che la ricorrente non aveva sollevato, nell’ambito del procedimento amministrativo dinanzi alla Commissione, la questione della conformità della legge n. 1822/1939 al regolamento n. 1191/69, giustamente il Tribunale ha considerato, ai punti 117 e 118 della sentenza impugnata, che non si poteva rimproverare a tale istituzione di non aver esaminato detta questione nella decisione controversa. Infatti, come sostanzialmente ricordato dal Tribunale al punto 117 di detta sentenza, la Commissione non ha l’obbligo di esaminare d’ufficio elementi di fatto o di diritto ulteriori rispetto a quelli che sono presentati dalle parti durante il procedimento amministrativo, quanto meno laddove siffatti elementi siano manifestamente privi di pertinenza (v., in tal senso, sentenza del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, EU:C:1998:154, punti da 60 a 62).
69 Per il resto, nei limiti in cui la ricorrente critica il Tribunale per avere dichiarato irricevibili i documenti da essa prodotti in corso di causa, segnatamente talune leggi italiane, è sufficiente constatare che tale censura è inconferente, dato che il Tribunale non ha statuito, come espressamente indicato al punto 118 della sentenza impugnata, sulla ricevibilità di tali documenti.
70 Di conseguenza, occorre respingere il secondo motivo d’impugnazione in quanto, in parte, manifestamente infondato, e, in parte, inoperante, e il terzo motivo d’impugnazione in quanto manifestamente infondato.
Sul quinto motivo d’impugnazione, vertente sulla violazione degli articoli 5 e 17 TUE, dell’articolo 17 del regolamento n. 1191/1969 e dei principi enunciati dalla Corte in merito all’obbligo degli Stati membri di disapplicare la normativa interna contraria al diritto dell’Unione
– Argomenti delle parti
71 La ricorrente deduce che il Tribunale, quando ha giudicato, al punto 124 della sentenza impugnata, che il secondo motivo del ricorso di primo grado non doveva essere esaminato, si è basato su una premessa erronea, dato che quel motivo non concerneva, contrariamente alla sintesi fattane al punto 121 di tale sentenza, la non conformità al diritto dell’Unione della legge n. 1822/1939, bensì quella delle decisioni che avevano rilasciato concessioni di servizio pubblico annuali alla ricorrente, e riguardo alle quali il Consiglio di Stato aveva dichiarato che esse violavano il diritto della ricorrente di ricevere una compensazione a titolo del regolamento n. 1191/69.
72 Inoltre, secondo la ricorrente, l’affermazione secondo cui il Consiglio di Stato non ha constatato l’assenza di conformità della legge n. 1822/1939 al diritto dell’Unione è errata. Infatti, se il giudice nazionale avesse dichiarato tale legge conforme al regolamento n. 1191/69 non avrebbe accolto il ricorso. Così, i precedenti ricorsi proposti dalla ricorrente sarebbero stati respinti, dai giudici nazionali aditi, proprio ai sensi della normativa interna che non prevedeva alcun diritto a compensazione. Nell’ambito di un procedimento amministrativo, la normativa applicabile rientrerebbe nella competenza dell’amministrazione, essendo il giudice amministrativo tenuto soltanto a verificare la legittimità di tale applicazione. Pertanto, se, al termine di tale controllo, il giudice nazionale decide di applicare il diritto dell’Unione, ciò sarebbe la conseguenza della constatazione che la norma applicata dall’amministrazione non è conforme a tale diritto. Peraltro, essendo i giudici italiani «soggetti soltanto alla legge», ai sensi dell’articolo 101, secondo comma, della Costituzione italiana, l’unico caso in cui essi possono direttamente disapplicare una legge nazionale sarebbe quello in cui essa contrasta con il diritto dell’Unione.
73 La Commissione ritiene tale motivo irricevibile e, in ogni caso, infondato.
– Giudizio della Corte
74 Occorre anzitutto respingere il quinto motivo d’impugnazione in quanto manifestamente irricevibile, nella parte in cui con esso si addebita al Tribunale di avere giudicato, al punto 124 della sentenza impugnata, che la sentenza del Consiglio di Stato non ha constatato l’assenza di conformità della legge n. 1822/1939 al regolamento n. 1191/69, dato che tale censura mira, analogamente al quarto motivo, ad ottenere una nuova interpretazione del diritto nazionale e, in tal modo, una nuova valutazione dei fatti, senza dedurre o dimostrare in alcun modo il benché minimo snaturamento. Siffatta argomentazione deve dunque essere respinta in quanto irricevibile per gli stessi motivi esposti ai punti da 56 a 61 della presente ordinanza.
75 Per il resto, occorre constatare che il Tribunale non ha commesso alcun errore di diritto quando non ha esaminato l’argomentazione di primo grado volta a dimostrare che la sentenza del Consiglio di Stato aveva statuito sulla conformità al diritto dell’Unione non soltanto della legge n. 1822/1939, ma altresì delle varie concessioni che erano state rilasciate annualmente alla ricorrente. Infatti, tale argomentazione – che, come risulta dal punto 121 della sentenza impugnata, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, è stata pienamente compresa dal Tribunale – si fonda, come giustamente rilevato da quest’ultimo al punto 124 della medesima sentenza, sulla premessa secondo cui la sentenza del Consiglio di Stato avrebbe condannato il Ministero a risarcire alla ricorrente il danno asseritamente subìto a seguito della dedotta violazione del diritto dell’Unione. Dato che il Tribunale ha deciso in modo sovrano, di fatto, che la portata della sentenza del Consiglio di Stato non era di questo tipo, esso non era affatto tenuto ad esaminare la questione della conformità di tali concessioni al diritto dell’Unione.
76 Di conseguenza, occorre respingere il quinto motivo d’impugnazione in quanto in parte manifestamente irricevibile e in parte manifestamente infondato.
Sul sesto motivo d’impugnazione, vertente sulla violazione degli articoli 1, 2, 5, 9 e 10 del regolamento n. 1191/69 per quanto riguarda il riconoscimento della misura compensativa
– Argomenti delle parti
77 La ricorrente ritiene che, al punto 138 della sentenza impugnata, il Tribunale sia incorso in un errore quando ha motivato la sua decisione sulla base del fatto che la stessa non aveva rispettato, nella propria contabilità, l’effettiva separazione dei conti, in tal modo violando l’articolo 5 del regolamento n. 1191/69 che non imporrebbe affatto una tale separazione. Inoltre, per quanto riguarda gli svantaggi economici conseguenti all’imposizione di obblighi di servizio pubblico, ai sensi di tale disposizione, spetterebbe alla Commissione e al Tribunale, e non alla ricorrente, contrariamente a quanto sarebbe stato dichiarato al punto 178 di tale sentenza, tenere conto delle ripercussioni di tali obblighi sul complesso dell’attività dell’impresa. Allo stesso modo, i punti 136 e 139 di detta sentenza respingerebbero ingiustamente la censura vertente su un difetto di motivazione dedotta in primo grado, poiché la ricorrente avrebbe avuto diritto alla compensazione sulla base dell’articolo 10, paragrafo 2, del regolamento n. 1191/69.
78 Inoltre, la ricorrente deduce che, ai punti da 161 a 173 della sentenza impugnata, il Tribunale avrebbe ingiustamente considerato che la presentazione annuale della sua domanda per lo svolgimento dell’attività di trasporto in regime di concessione di pubblico servizio dimostra la sua adesione volontaria ad un rapporto di tipo contrattuale, che, sia pure definito in funzione dell’interesse pubblico, non darebbe luogo ad alcuna compensazione. Infatti, conformemente al regolamento n. 1191/69, la compensazione sarebbe dovuta in caso di mantenimento reiterato degli obblighi di servizio pubblico. Sarebbe quindi inerente alle stesse modalità con le quali l’attività doveva essere esercitata dalla ricorrente il fatto che le prescrizioni vincolanti dettate nel disciplinare integrassero la nozione di «obblighi di servizio pubblico». Pertanto, l’articolo 1 del regolamento n. 1191/69, che obbligava gli Stati membri a sopprimere gli obblighi di servizio pubblico, sarebbe stato manifestamente violato, cosicché la legge n. 1822/1939 avrebbe dovuto essere abrogata.
79 La Commissione ritiene che questo motivo d’impugnazione sia inoperante o, in ogni caso, infondato.
– Giudizio della Corte
80 Occorre ricordare che i motivi vertenti, rispettivamente, sulla violazione dell’articolo 296 TFUE e sull’errore manifesto di valutazione sono due motivi distinti che possono essere invocati nell’ambito di un ricorso ai sensi dell’articolo 263 TFUE. Il primo, il quale si riferisce a un difetto o un’insufficienza di motivazione, rientra nella violazione delle forme sostanziali, ai sensi di tale disposizione, e costituisce un motivo di ordine pubblico che deve essere sollevato d’ufficio dal giudice dell’Unione. Per contro, il secondo, il quale verte sulla legittimità nel merito della decisione controversa, è sussumibile nella violazione di una norma di diritto relativa all’applicazione del Trattato, ai sensi del medesimo articolo 263, e può essere esaminato dal giudice dell’Unione soltanto qualora sia dedotto dal ricorrente (v., in particolare, sentenza del 2 aprile 1998, Commissione/Sytraval e Brink’s France, C‑367/95 P, EU:C:1998:154, punto 67).
81 Orbene, nel caso di specie, è pacifico che, ai punti da 128 a 149 della sentenza impugnata, il Tribunale si è limitato, come risulta dal punto 128 di tale sentenza, ad esaminare gli argomenti mediante i quali la ricorrente rimproverava alla Commissione una violazione dell’obbligo di motivazione prescritto all’articolo 296 TFUE.
82 Pertanto, il sesto motivo d’impugnazione, nella parte in cui con esso si addebita al Tribunale di aver violato, ai punti 136, 138 e 139 della sentenza impugnata, gli articoli 5 e 10 del regolamento n. 1191/69, dev’essere respinto in quanto inconferente.
83 Per quanto riguarda le censure della ricorrente nei confronti dei punti da 161 a 173 della sentenza impugnata, si deve ricordare che il Tribunale ha esposto, in detti punti, le ragioni per le quali la Commissione aveva, a suo avviso, ritenuto a giusto titolo che le autorità italiane non avessero imposto in maniera unilaterale obblighi di servizio pubblico alla ricorrente, ragioni tra le quali figurava la circostanza che quest’ultima aveva scelto di chiedere il rinnovo delle sue diverse concessioni annuali. In tale contesto, il Tribunale ha, inoltre, indicato, al punto 163 di tale sentenza, in risposta agli elementi prodotti dalla ricorrente al fine di dimostrare che ad essa incombevano vari obblighi ai sensi delle decisioni di rilascio della concessione, che l’imposizione unilaterale di obblighi di servizio pubblico che dà luogo a compensazione ai sensi del regolamento n. 1191/69 non può essere confusa con l’adesione volontaria ad un rapporto di tipo contrattuale che preveda la prestazione di determinati servizi di trasporto definiti in funzione dell’interesse pubblico, nel qual caso nessun obbligo di compensazione è previsto dal menzionato regolamento.
84 Orbene, è necessario constatare che, mediante tale argomentazione rivolta, in modo generale, avverso i punti da 161 a 173 della sentenza impugnata, la ricorrente si limita a far valere, come ha fatto in primo grado, che le sono stati proprio imposti obblighi di servizio pubblico da parte delle autorità italiane, così che le sarebbe stata dovuta una compensazione ai sensi del regolamento n. 1191/69. Essa mira quindi a ottenere una nuova valutazione dei fatti, senza tuttavia far valere il benché minimo errore di diritto, né del resto identificare in modo preciso i motivi di tale parte della sentenza impugnata che sarebbero errati. Ne consegue che, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 56 della presente ordinanza, un siffatto motivo d’impugnazione dev’essere, in tale parte, dichiarato manifestamente irricevibile.
85 Pertanto, il sesto motivo dev’essere respinto in quanto, in parte, inoperante e, in parte, manifestamente irricevibile.
Sul settimo motivo d’impugnazione, concernente la violazione dell’articolo 5 TUE nonché degli articoli 1, 2, da 4 a 6, 9, 10 e 14 del regolamento n. 1191/69
– Argomenti delle parti
86 Con il primo capo del settimo motivo d’impugnazione, la ricorrente rimprovera al Tribunale di aver giudicato, al punto 165 della sentenza impugnata, che la stessa non aveva diritto alla compensazione prevista dal regolamento n. 1191/69 poiché non aveva chiesto al Ministero, ai sensi degli articoli 4 e 6 di tale regolamento, di essere esonerata dalla prestazione di obblighi di servizio pubblico. In tal modo, il Tribunale avrebbe violato dette disposizioni, come interpretate dalla sentenza della Corte del 3 aprile 2014, CTP (da C‑516/12 a C‑518/12, EU:C:2014:220), in cui quest’ultima avrebbe affermato che il sorgere di un diritto a compensazione in contropartita all’imposizione di obblighi di servizio pubblico derivante dall’esecuzione di detti obblighi sorti in epoca successiva all’entrata in vigore di detto regolamento non è subordinato alla presentazione di una domanda di soppressione degli obblighi stessi.
87 Con il secondo capo del settimo motivo d’impugnazione, la ricorrente contesta le osservazioni formulate al punto 173 della sentenza impugnata, nella parte in cui il Tribunale ha giudicato che gli obblighi di servizio pubblico ai quali essa era soggetta rientravano nel regime contrattuale previsto dall’articolo 14 del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, a partire dal 1° luglio 1992. In tal modo, il Tribunale avrebbe erroneamente riconosciuto effetto retroattivo a tale disciplina, ritenendo che quest’ultima potesse applicarsi anche al periodo durante il quale la situazione della ricorrente era assoggettata alle disposizioni del regolamento n. 1191/69 nella sua versione originale e, in aggiunta, avrebbe ingiustamente assimilato la ricorrente ad un’impresa di trasporti regionali.
88 Infine, con il terzo capo del settimo motivo d’impugnazione, la ricorrente rimprovera al Tribunale di avere applicato la giurisprudenza della Corte relativa all’obbligo di separazione contabile, introdotto dal regolamento n. 1893/91, mentre tale obbligo si applicherebbe unicamente alle imprese di trasporto regionale e locale. Essa censura inoltre il Tribunale per avere affermato che, poiché tale regolamento vieta agli Stati membri di imporre obblighi di servizio pubblico alle imprese di trasporto interregionale, la ricorrente non aveva diritto ad alcuna compensazione. La conclusione alla quale perverrebbe il Tribunale violerebbe l’articolo 5 TUE, in quanto la pretesa della ricorrente era quella di ottenere il riconoscimento della lesione patrimoniale subita a causa della violazione, da parte del Ministero, del regolamento n. 1893/91, dato che quest’ultimo regolamento vietava di imporle obblighi di servizio pubblico, con conseguente diritto della stessa al risarcimento del danno subìto per effetto di tale violazione. Il Tribunale avrebbe quindi dovuto concludere, conformemente a quanto affermato al punto 188 della medesima sentenza, che rientrava nella giurisdizione dei giudici nazionali accertare tale violazione e condannare il Ministero al risarcimento del danno conseguente.
89 La Commissione ritiene che questo motivo debba essere respinto.
– Giudizio della Corte
90 Per quanto riguarda il primo capo del settimo motivo d’impugnazione, diretto contro il punto 165 della sentenza impugnata, si deve ricordare che il Tribunale ha esposto, ai punti da 161 a 173 della medesima, le ragioni per le quali la Commissione aveva, a suo avviso, ritenuto a giusto titolo che le autorità italiane non avessero imposto in maniera unilaterale un obbligo di servizio pubblico alla ricorrente, tra le quali figurava la circostanza che quest’ultima aveva scelto di chiedere il rinnovo delle sue diverse concessioni.
91 In tale contesto il Tribunale ha rilevato, al punto 165 di tale sentenza, che l’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento n. 1191/69 permetteva alla ricorrente di presentare alle autorità competenti domande per la soppressione totale o parziale di un obbligo di servizio pubblico, qualora tale obbligo comportasse per la stessa svantaggi economici, il che era diretto a dimostrare che la ricorrente aveva volontariamente e sistematicamente accettato gli obblighi contenuti nelle decisioni di rilascio di concessioni annuali.
92 Ne risulta che, contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente, il Tribunale, al suddetto punto 165, non ha affatto giudicato che quest’ultima non aveva diritto alla compensazione prevista dal regolamento n. 1191/69 perché non aveva introdotto una siffatta domanda di soppressione, bensì che una tale mancanza era atta a confermare che le autorità italiane non le avevano imposto in modo unilaterale obblighi di servizio pubblico. Inoltre, si deve osservare che la ricorrente non critica il punto 168 della sentenza impugnata, nel quale il Tribunale ha rilevato che essa aveva domandato il rinnovo delle sue concessioni annuali.
93 Ne consegue che il primo capo del settimo motivo si basa su una lettura erronea della sentenza impugnata e che, pertanto, dev’essere respinto.
94 Riguardo al secondo capo di tale motivo d’impugnazione, diretto contro il punto 173 di tale sentenza, è sufficiente constatare che esso riguarda un punto accessorio della motivazione di tale sentenza, relativo agli obblighi ai quali la ricorrente era soggetta, in forza delle decisioni di attribuzione di concessioni annuali, tra il 1° luglio 1992 e l’anno 2003.
95 Infatti, a detto punto 173, il Tribunale si è limitato a rilevare che «anche volendo supporre che i servizi forniti dalla ricorrente consentano di assimilarla ad un’impresa di trasporto regionale», gli obblighi cui quest’ultima era assoggettata rientravano nel regime contrattuale previsto dall’articolo 14 del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, dato che non le erano stati unilateralmente imposti.
96 Orbene, dato che il Tribunale aveva constatato, ai punti da 170 a 172 della sentenza impugnata, che era pacifico che l’attività di trasporto della ricorrente fosse relativa allo sfruttamento di linee interregionali, esso aveva già considerato, per quanto riguarda detto periodo, che la ricorrente non aveva, in nessun caso, diritto a una compensazione, tenuto conto del fatto che, in forza dall’articolo 1 del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, applicabile a partire dal 1° luglio 1992, solo le imprese di trasporto urbano, extraurbano o regionale potevano percepire una siffatta compensazione.
97 Poiché la ricorrente non critica tali valutazioni, il secondo capo del settimo motivo d’impugnazione, diretto contro il punto 173, dev’essere respinto in quanto inoperante.
98 Per quanto concerne il terzo capo del settimo motivo d’impugnazione, esso non risponde ai requisiti minimi di chiarezza e di precisione richiesti dall’articolo 169, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, ricordati al punto 63 della presente ordinanza, dato che, in tale capo, la ricorrente si limita ad esporre generiche affermazioni e non indica i punti della sentenza impugnata che sarebbero eventualmente inficiati da un errore di diritto, così che non è possibile determinare le parti di tale sentenza oggetto di contestazione, né tantomeno tale asserito errore.
99 Di conseguenza, occorre respingere il settimo motivo d’impugnazione in quanto, in parte, manifestamente irricevibile e, in parte, manifestamente infondato, nonché, per il resto, inoperante.
Sull’ottavo motivo, vertente sulla violazione degli articoli da 1 a 3, 5, 9, 10 e 14 del regolamento n. 1191/69
– Argomenti delle parti
100 La ricorrente fa valere che è inesatto interpretare la presentazione della sua domanda annuale di rilascio di una concessione di servizio pubblico come una volontaria accettazione dello svolgimento di obblighi di servizio pubblico, con conseguente rinuncia al diritto di percepire la relativa compensazione. Dato che, ai sensi del regolamento n. 1191/69, gli obblighi di servizio pubblico sarebbero inerenti, precisamente, alla nozione di «servizio pubblico», la presentazione di detta domanda di concessione non avrebbe affatto esonerato il Ministero dall’obbligo di rispettare detto regolamento e di riconoscere, pertanto, alla ricorrente il diritto a una compensazione. Dalla sentenza del 3 aprile 2014, CTP (da C‑516/12 a C‑518/12, EU:C:2014:220) risulterebbe che, sotto tale profilo, il Tribunale avrebbe commesso un errore di interpretazione del diritto dell’Unione. Il verificarsi di tale errore sarebbe ancora più evidente per quanto riguarda il periodo compreso tra il 1992 e il 2003, dato che, a partire dall’entrata in vigore del regolamento n. 1893/91, da un lato, le autorità nazionali competenti avrebbero dovuto stipulare, conformemente all’articolo 14 del regolamento n. 1191/69, come modificato dal regolamento n. 1893/91, un contratto di servizi con la ricorrente, e, dall’altro, quest’ultima non poteva più essere soggetta a obblighi di servizio pubblico.
101 La Commissione sostiene che siffatto motivo è irricevibile.
– Giudizio della Corte
102 È sufficiente constatare che l’ottavo motivo d’impugnazione si limita a reiterare diverse censure e argomenti che sono già stati sollevati dalla ricorrente nell’ambito di altri motivi della presente impugnazione, senza neppure indicare i punti della sentenza impugnata che sarebbero eventualmente inficiati da un errore di diritto.
103 Un motivo di questo tipo non risponde dunque ai requisiti minimi di chiarezza e di precisione richiesti dall’articolo 169, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, che sono stati ricordati al punto 63 della presente ordinanza.
104 Di conseguenza, l’ottavo motivo d’impugnazione dev’essere respinto in quanto manifestamente irricevibile.
Sul nono motivo d’impugnazione, vertente sulla violazione degli articoli da 1 a 3, 9 e 14 del regolamento n. 1191/69 per quanto riguarda la determinazione degli obblighi di servizio pubblico imposti alla ricorrente
– Argomenti delle parti
105 Mediante il primo capo di tale motivo d’impugnazione, la ricorrente fa valere che il Tribunale, avendo considerato a torto che essa aveva volontariamente accettato gli obblighi previsti dalle decisioni di rilascio della concessione, ha, in tal modo, ignorato che il Parlamento italiano non aveva adottato una normativa di soppressione degli obblighi di servizio pubblico previsti dalla legge n. 1822/1939 a carico delle imprese di trasporto interregionale, al fine di conformarsi all’articolo 1 del regolamento n. 1191/69.
106 Mediante il secondo capo del nono motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene che il Tribunale ha interpretato in modo erroneo la nozione di «obblighi di servizio pubblico» prevista all’articolo 2 del regolamento n. 1191/69. Infatti, tutte le decisioni di rilascio di concessione di cui essa ha beneficiato le avrebbero imposto il rispetto di prescrizioni in materia di capacità, di trasporto e di tariffe. Così, relativamente all’obbligo di trasporto, la ricorrente sarebbe stata tenuta a trasportare gratuitamente talune categorie di passeggeri. Analogamente, per quanto riguarda l’obbligo tariffario, erroneamente il Tribunale avrebbe giudicato, ai punti 159 e 160 della sentenza impugnata, che la ricorrente non era soggetta a un tale obbligo, quando invece, nell’ambito della concessione di talune tratte maggiori, essa era obbligata a rilasciare abbonamenti a tariffa ridotta a talune categorie di passeggeri oppure ad offrire biglietti a tariffa ridotta, a prescindere da qualsiasi abbonamento. Inoltre, il Tribunale avrebbe applicato un’interpretazione erronea dell’articolo 2, paragrafo 5, secondo comma, del regolamento n. 1191/69 quando ha considerato che l’obbligo di fissare per i viaggiatori un prezzo di biglietto inferiore a quello fissato dalle ferrovie italiane non costituiva un obbligo tariffario, bensì una misura di politica generale dei prezzi o una misura adottata in materia di organizzazione del mercato dei trasporti. Orbene, tale affermazione sarebbe priva di fondamento in quanto, in forza della Costituzione italiana, l’adozione di misure di questo tipo rientra nella competenza del potere legislativo, e non dell’esecutivo.
107 Mediante il terzo capo del nono motivo d’impugnazione, la ricorrente rimprovera al Tribunale di avere giudicato, al punto 169 della sentenza impugnata, che giustamente la Commissione aveva considerato legittimo il diniego opposto dal Ministero alle richieste di prolungare talune linee già concesse alla ricorrente, perché si trattava di richieste «espansionistiche» che pregiudicavano i diritti delle concorrenti. Secondo la ricorrente, infatti, è possibile parlare di «diritti» di terzi solo nell’ottica dell’attività di trasporto come servizio pubblico. Analogamente, il Tribunale avrebbe commesso un errore quando ha constatato che il Ministero non aveva respinto richieste di questo tipo, dato che la ricorrente aveva fornito alla Commissione numerosi esempi di dinieghi di richieste di cambiamenti di fermate o di orari poiché siffatte richieste non sarebbero state rispondenti all’interesse pubblico. Quanto all’affermazione secondo cui non sarebbe credibile che la ricorrente abbia potuto chiedere il rinnovo annuale delle concessioni senza trovarvi un interesse commerciale, essa sarebbe in contrasto con il regolamento n. 1191/69, perché l’imposizione degli obblighi di servizio pubblico non farebbe necessariamente venir meno l’interesse commerciale.
108 Infine, mediante il quarto capo del nono motivo d’impugnazione, la ricorrente sostiene, per quanto riguarda le osservazioni critiche relative al tasso di rendimento che le è stato applicato nella relazione di maggioranza degli esperti, che, a seguito della rinuncia al ricorso dinanzi al Consiglio di Stato, il Tribunale avrebbe dovuto dichiarare detta relazione irricevibile per carenza d’interesse ad agire, dato che nel frattempo la stessa, in quanto atto endoprocessuale, aveva perso interamente la sua capacità di produrre effetti giuridici.
109 La Commissione sostiene che il nono motivo d’impugnazione è sostanzialmente irricevibile e, per il resto, inoperante.
– Giudizio della Corte
110 Per quanto concerne il primo capo del nono motivo d’impugnazione, vertente sulla mancanza di adozione, da parte del Parlamento italiano, di una normativa che sopprimesse gli obblighi di servizio pubblico per le imprese di trasporto interregionale, si deve constatare che esso non risponde ai requisiti minimi di chiarezza e di precisione richiesti dall’articolo 169, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, ricordati al punto 63 della presente ordinanza, dato che si limita ad esporre generiche affermazioni e non indica i punti della sentenza impugnata che sarebbero eventualmente inficiati da un errore di diritto, così che non è possibile determinare le parti di tale sentenza oggetto di contestazione, né tantomeno tale asserito errore.
111 Per quanto riguarda il secondo capo del motivo d’impugnazione in esame, vertente sulla critica secondo cui il Tribunale avrebbe interpretato in modo erroneo la nozione di «obbligo di servizio pubblico» di cui all’articolo 2 del regolamento n. 1191/69, è sufficiente rilevare che, mediante tale critica, la ricorrente invita la Corte ad esaminare nuovamente le decisioni di rilascio di concessione da essa prodotte in primo grado, senza tuttavia invocare uno snaturamento di tali elementi di prova. Pertanto, l’esame di una tale censura, conformemente alla giurisprudenza richiamata al punto 56 della presente ordinanza, sfugge alla competenza della Corte nell’ambito della presente impugnazione.
112 Per quanto concerne la censura riguardante l’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 5, secondo comma, del regolamento n. 1191/69, essa si fonda su una lettura errata dei punti 159 e 160 della sentenza impugnata.
113 Infatti, non risulta in alcun modo dai suddetti punti che il Tribunale abbia deciso che l’obbligo per il quale i prezzi dei biglietti di autobus non potevano superare quelli dei biglietti di seconda classe delle ferrovie italiane costituisse una misura generale di politica dei prezzi oppure una misura adottata in materia di organizzazione del mercato dei trasporti, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, secondo comma, del regolamento n. 1191/69.
114 Invece, il Tribunale ha giudicato che un simile obbligo non costituiva un obbligo tariffario, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 5, del regolamento n. 1191/69, poiché, da un lato, un obbligo giuridico di portata generale, che sottopone le tariffe di trasporto all’omologazione da parte della pubblica autorità, non può essere considerato, di per sé solo, costitutivo di un simile obbligo tariffario, e, dall’altro, la ricorrente non aveva dimostrato che la fissazione delle tariffe nelle decisioni di rilascio di concessione interessasse categorie determinate di passeggeri o di prodotti, oppure relazioni determinate.
115 Se, in tale contesto, il Tribunale si è riferito, al punto 159 della sentenza impugnata, alle misure generali di politica dei prezzi e alle misure adottate in materia di organizzazione del mercato dei trasporti di cui all’articolo 2, paragrafo 5, secondo comma, del regolamento n. 1191/69, è soltanto allo scopo di confermare quest’ultima conclusione. Pertanto, gli argomenti della ricorrente a tal riguardo sono inoperanti.
116 Per quanto concerne il terzo capo del nono motivo d’impugnazione, diretto contro il punto 169 della sentenza impugnata, si deve constatare che, come giustamente dedotto dalla Commissione, gli argomenti della ricorrente invitano la Corte a procedere ad una nuova valutazione delle prove, senza tuttavia invocare il benché minimo snaturamento, e che, pertanto, tali argomenti sono irricevibili alla luce della giurisprudenza ricordata al punto 56 della presente ordinanza.
117 Infine, per quanto riguarda il quarto capo del nono motivo d’impugnazione, relativo al tasso di rendimento applicato nella relazione degli esperti, quest’ultimo deve parimenti essere respinto in quanto irricevibile, dato che la ricorrente non indica, in violazione dell’articolo 169, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, il punto o i punti della sentenza impugnata che sarebbero eventualmente inficiati da un errore di diritto.
118 Di conseguenza, occorre respingere il nono motivo d’impugnazione in quanto, in parte, manifestamente irricevibile e, in parte, inoperante.
Sul decimo motivo d’impugnazione, vertente sulla violazione delle norme del Trattato e dell’articolo 44 del regolamento di procedura del Tribunale, nella sua versione applicabile ratione temporis, che riservano alla giurisdizione degli Stati membri la cognizione delle controversie aventi ad oggetto la violazione dei diritti soggettivi dei cittadini dell’Unione
– Argomenti delle parti
119 La ricorrente rimprovera al Tribunale di avere, ai punti 195 e seguenti della sentenza, respinto in quanto tardivo il motivo del ricorso di primo grado secondo cui la decisione controversa aveva indebitamente interferito con l’esercizio, da parte del Consiglio di Stato, del suo potere giurisdizionale. Infatti, l’interesse a sollevare siffatto motivo si sarebbe concretizzato soltanto nel momento in cui detto giudice ha espresso la scelta di sospendere il procedimento in attesa della decisione del Tribunale.
120 La Commissione ritiene che tale motivo d’impugnazione debba essere respinto.
– Giudizio della Corte
121 Occorre ricordare che, secondo l’articolo 48, paragrafo 2, primo comma, del regolamento di procedura del Tribunale, nella sua versione applicabile ratione temporis, è vietata la deduzione di motivi nuovi in corso di causa, a meno che essi si basino su elementi di diritto e di fatto emersi durante il procedimento.
122 Nel caso di specie, si deve rilevare che la ricorrente non contesta che, come osservato dal Tribunale al punto 197 della sentenza impugnata, il motivo di primo grado vertente sul fatto che la Commissione aveva interferito con l’attività giurisdizionale del giudice nazionale non era stato formulato nell’atto introduttivo del ricorso e che detto motivo non costituiva un ampliamento di un motivo già dedotto, direttamente o implicitamente, in tale atto introduttivo. Orbene, come giustamente dedotto dalla Commissione, se la ricorrente riteneva che la decisione impugnata costituisse una simile ingerenza, essa avrebbe potuto farlo valere sin dall’adozione di tale decisione.
123 È necessario constatare che né dinanzi al Tribunale, né allo stadio della presente impugnazione, la ricorrente ha potuto giustificare tale tardività mediante la sopravvenienza di elementi di diritto o di fatto nuovi. Benché la ricorrente suggerisca, a tal riguardo, che l’interesse a far valere detto motivo si sarebbe concretizzato solo quando il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento in attesa della decisione del Tribunale, essa continua a non dimostrare in cosa tale decisione, anche supponendo che il Consiglio di Stato abbia effettivamente adottato una tale decisione, il che non risulta da alcun elemento del fascicolo agli atti della Corte, abbia potuto incidere sulla possibilità di far valere il suddetto motivo.
124 Ne consegue che il Tribunale ha potuto, senza commettere errori di diritto, respingere tale motivo del ricorso di primo grado in quanto irricevibile, conformemente all’articolo 48, paragrafo 2, primo comma, del suo regolamento di procedura, nella sua versione applicabile ratione temporis.
125 Di conseguenza, occorre respingere il decimo motivo d’impugnazione in quanto manifestamente infondato.
126 Ne consegue che l’impugnazione deve essere respinta in toto.
Sulle spese
127 Ai sensi dell’articolo 184, paragrafo 2, del regolamento di procedura della Corte, quando l’impugnazione è respinta la Corte statuisce sulle spese. Ai sensi dell’articolo 138, paragrafo 1, del medesimo regolamento, applicabile al procedimento di impugnazione in forza dell’articolo 184, paragrafo 1, del medesimo regolamento, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.
128 La ricorrente, rimasta soccombente, dev’essere condannata alle spese, conformemente alla domanda della Commissione.
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) così provvede:
1) L’impugnazione è respinta.
2) La Simet SpA è condannata alle spese.
Lussemburgo, 9 marzo 2017
Il cancelliere |
Il presidente della Sesta Sezione |
A. Calot Escobar |
E. Regan |
* Lingua processuale: l'italiano.