SENTENZA DELLA CORTE (Seconda Sezione)

20 dicembre 2017 ( *1 )

«Rinvio pregiudiziale – Proprietà intellettuale e industriale – Diritto dei brevetti – Medicinali per uso umano – Regolamento (CE) n. 469/2009 – Articolo 18 – Prodotti fitosanitari – Regolamento (CE) n. 1610/96 – Articolo 17, paragrafo 2 – Certificato protettivo complementare – Durata – Fissazione della data di scadenza – Effetti di una sentenza della Corte – Possibilità o obbligo di rettifica della data di scadenza»

Nella causa C‑492/16,

avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Fővárosi Törvényszék (Corte di Budapest Capitale, Ungheria), con decisione del 31 agosto 2016, pervenuta in cancelleria il 14 settembre 2016, nel procedimento

Incyte Corporation

contro

Szellemi Tulajdon Nemzeti Hivatala,

LA CORTE (Seconda Sezione),

composta da M. Ilešič, presidente di sezione, A. Rosas, C. Toader (relatore), A. Prechal e E. Jarašiūnas, giudici,

avvocato generale: Y. Bot

cancelliere: I. Illéssy, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza dell’11 ottobre 2017,

considerate le osservazioni presentate:

per la Incyte Corporation, da J. K. Tálas, E. Szakács e Zs. Lengyel, ügyvédek, nonché da W. Devroe, advocaat;

per il governo ungherese, da M. Z. Fehér e E. E. Sebestyén, in qualità di agenti;

per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Fiorentino e F. De Luca, avvocati dello Stato;

per il governo lituano, da D. Kriaučiūnas e G. Taluntytė, in qualità di agenti;

per il governo portoghese, da L. Inez Fernandes, M. Figueiredo, M. Rodrigues e S. Duarte Afonso, in qualità di agenti;

per la Commissione europea, da J. Samnadda e A. Sipos, in qualità di agenti,

vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di trattare la causa senza conclusioni,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

1

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 18 del regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali (GU 2009, L 152, pag. 1), letto alla luce dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1610/96 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 1996, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari (GU 1996, L 198, pag. 30), nonché sugli effetti della sentenza del 6 ottobre 2015, Seattle Genetics (C‑471/14, EU:C:2015:659).

2

Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra la Incyte Corporation e lo Szellemi Tulajdon Nemzeti Hivatala (Ufficio nazionale per la proprietà intellettuale, Ungheria; in prosieguo: l’«Ufficio») in merito al rifiuto opposto da quest’ultimo alla domanda di rettifica della data di scadenza di un certificato protettivo complementare (CPC) per un medicinale presentata dalla Incyte.

Contesto normativo

Diritto dell’Unione

Il regolamento n. 1610/96

3

I considerando 9 e 10 del regolamento n. 1610/96 sono così formulati:

«(9)

considerando che è opportuno prevedere una soluzione uniforme a livello comunitario e prevenire in tal modo una evoluzione eterogenea delle legislazioni nazionali che comporti ulteriori differenze tali da ostacolare la libera circolazione dei prodotti fitosanitari all’interno della Comunità e da incidere, di conseguenza, direttamente sul funzionamento del mercato interno; che ciò è conforme al principio di sussidiarietà, definito all’articolo [5 TUE];

(10)

(…) è pertanto necessaria la creazione di un [CPC] per i prodotti fitosanitari la cui immissione in commercio sia stata autorizzata, il quale possa essere ottenuto dal titolare di un brevetto nazionale o europeo alle stesse condizioni in ciascuno Stato membro; che, di conseguenza, il regolamento costituisce lo strumento giuridico più appropriato».

4

Il considerando 17 di tale regolamento così recita:

«(…) le modalità che figurano nei considerando 12, 13 e 14 nonché agli articoli 3, paragrafo 2, 4, 8, paragrafo 1, lettera c), e 17, paragrafo 2, del presente regolamento valgono anche, mutatis mutandis, per l’interpretazione segnatamente del considerando 9 e degli articoli 3, 4, 8, paragrafo 1, lettera c), e 17 del regolamento (CEE) n. 1768/92 del Consiglio, [del 18 giugno 1992, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i medicinali (GU 1992, L 182, pag. 1)]».

5

L’articolo 2 del regolamento n. 1610/96, intitolato «Campo di applicazione», prescrive quanto segue:

«Ogni prodotto protetto da un brevetto nel territorio di uno Stato membro e soggetto, in quanto prodotto fitosanitario, prima dell’immissione in commercio, ad una procedura di autorizzazione amministrativa ai sensi dell’articolo 4 della direttiva 91/414/CEE [del Consiglio, del 15 luglio 1991, relativa all’immissione in commercio dei prodotti fitosanitari (GU 1991, L 230, pag. 1)] - o in base ad una disposizione equivalente di diritto nazionale se si tratta di un prodotto fitosanitario per il quale la domanda di autorizzazione è stata depositata prima della attuazione della direttiva 91/414/CEE da parte del rispettivo Stato membro -, può formare oggetto di un certificato, alle condizioni e secondo le modalità previste nel presente regolamento».

6

L’articolo 17 di tale regolamento, intitolato «Ricorsi», così dispone:

«1.   Le decisioni dell’autorità di cui all’articolo 9, paragrafo 1, o dell’organo di cui all’articolo 15, paragrafo 2, adottate in applicazione del presente regolamento, sono soggette agli stessi ricorsi previsti dalla legislazione nazionale contro decisioni analoghe in materia di brevetti nazionali.

2.   La decisione di rilascio del certificato può essere oggetto di ricorso per ottenere la rettifica della durata del certificato, quando la data della prima autorizzazione di immissione in commercio nella Comunità, contenuta nella domanda di certificato di cui all’articolo 8, non è corretta».

Il regolamento n. 469/2009

7

I considerando 1, da 3 a 5 e da 7 a 9 del regolamento n. 469/2009 così recitano:

«(1)

Il regolamento (…) n. 1768/92 (…) ha subito diverse e sostanziali modificazioni (…). È opportuno, per motivi di chiarezza e di razionalizzazione procedere alla sua codificazione.

(…)

(3)

I medicinali, in particolare quelli derivanti da una ricerca lunga e costosa, potranno continuare a essere sviluppati nella Comunità e in Europa solo se potranno beneficiare di una normativa favorevole che preveda una protezione sufficiente a incentivare tale ricerca.

(4)

Attualmente, il periodo che intercorre fra il deposito di una domanda di brevetto per un nuovo medicinale e l’autorizzazione di immissione in commercio dello stesso riduce la protezione effettiva conferita dal brevetto a una durata insufficiente ad ammortizzare gli investimenti effettuati nella ricerca.

(5)

Tali circostanze determinano una protezione insufficiente che penalizza la ricerca farmaceutica.

(…)

(7)

È opportuno prevedere una soluzione uniforme a livello comunitario e prevenire in tal modo un’evoluzione eterogenea delle legislazioni nazionali che comporti ulteriori differenze tali da ostacolare la libera circolazione dei medicinali all’interno della Comunità e da incidere, di conseguenza, direttamente sul funzionamento del mercato interno.

(8)

È pertanto necessario prevedere un [CPC] per i medicinali la cui immissione in commercio sia stata autorizzata, il quale possa essere ottenuto dal titolare di un brevetto nazionale o europeo alle stesse condizioni in ciascuno Stato membro. Di conseguenza, il regolamento costituisce lo strumento giuridico più appropriato.

(9)

La durata della protezione conferita dal certificato dovrebbe essere fissata in modo da permettere una protezione effettiva sufficiente. A tal fine, il titolare che disponga contemporaneamente di un brevetto e di un certificato deve poter beneficiare complessivamente di quindici anni al massimo di esclusività, a partire dalla prima autorizzazione di immissione in commercio nella Comunità del medicinale in questione».

8

L’articolo 2 del regolamento n. 469/2009 è così formulato:

«Ogni prodotto protetto da un brevetto nel territorio di uno Stato membro e soggetto, in quanto medicinale, prima dell’immissione in commercio a una procedura di autorizzazione amministrativa ai sensi della direttiva 2001/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano [GU 2001, L 311, pag. 67] o della direttiva 2001/82/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 novembre 2001, recante un codice comunitario relativo ai medicinali veterinari [GU 2001, L 311, pag. 1], può formare oggetto di un certificato alle condizioni e secondo le modalità previste dal presente regolamento».

9

L’articolo 8, paragrafo 1, del citato regolamento precisa quanto segue:

«La domanda di certificato deve contenere:

a)

una richiesta per il rilascio di un certificato che contenga in particolare:

i)

il nome e l’indirizzo del richiedente;

ii)

il nome e l’indirizzo del mandatario, se del caso;

iii)

il numero del brevetto di base nonché il titolo dell’invenzione;

iv)

il numero e la data della prima autorizzazione di immissione in commercio del prodotto di cui all’articolo 3, lettera b) e, qualora non sia la prima autorizzazione di immissione in commercio nella Comunità, anche il numero e la data di detta autorizzazione;

b)

una copia dell’autorizzazione di immissione in commercio di cui all’articolo 3, lettera b), da cui risulti l’identità del prodotto e che contenga, in particolare, il numero e la data dell’autorizzazione, nonché il riassunto delle caratteristiche del prodotto, come previsto dall’articolo 11 della direttiva 2001/83/CE o dall’articolo 14 della direttiva 2001/82/CE;

(…)».

10

L’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 469/2009 così dispone:

«Il certificato ha efficacia a decorrere dal termine legale del brevetto di base per una durata uguale al periodo intercorso tra la data del deposito della domanda del brevetto di base e la data della prima autorizzazione di immissione in commercio nella Comunità, ridotto di cinque anni».

11

Ai sensi dell’articolo 14, lettera a), di tale regolamento, il certificato si estingue al termine della durata prevista dall’articolo 13.

12

L’articolo 18 di detto regolamento, recante il titolo «Ricorsi», prevede quanto segue:

«Le decisioni dell’autorità di cui all’articolo 9, paragrafo 1, o degli organi di cui all’articolo 15, paragrafo 2, e dell’articolo 16, paragrafo 2, adottate in applicazione del presente regolamento, sono soggette agli stessi ricorsi previsti dalla legislazione nazionale contro decisioni analoghe in materia di brevetti nazionali».

13

L’articolo 19 del medesimo regolamento stabilisce quanto segue:

«1.   In mancanza di disposizioni di procedura stabilite nel presente regolamento si applicano al certificato le disposizioni di procedura applicabili in virtù della legislazione nazionale al brevetto di base corrispondente, a meno che la legislazione nazionale non contempli disposizioni di procedura speciali in merito ai certificati.

2.   Fatto salvo il paragrafo 1, è esclusa la procedura di opposizione a un certificato già rilasciato».

14

L’articolo 22 del regolamento n. 469/2009 dispone quanto segue:

«Il regolamento (CEE) n. 1768/92, così come modificato dagli atti indicati nell’allegato I, è abrogato.

I riferimenti al regolamento abrogato si intendono fatti al presente regolamento e si leggono secondo la tavola di concordanza contenuta nell’allegato II».

Diritto ungherese

15

L’articolo 22/A, paragrafi da 1 a 3, dell’a találmányok szabadalmi oltalmáról szóló 1995. évi XXXIII. törvény (legge n. XXXIII del 1995, sulla protezione delle invenzioni mediante brevetto), prevede quanto segue:

«1.   L’oggetto dell’invenzione gode della protezione complementare nei casi, alle condizioni e per la durata previsti nei regolamenti della Comunità europea dal momento in cui cessa la protezione conferita dal brevetto per decorso del periodo di protezione.

2.   Le modalità di attuazione dei regolamenti della Comunità europea di cui al paragrafo 1 sono oggetto di una normativa specifica.

3.   Se i regolamenti della Comunità europea di cui al paragrafo 1 o la normativa specifica di cui al paragrafo 2 non prevedono altrimenti, le disposizioni della presente legge si applicano mutatis mutandis in materia di [CPC]».

16

L’articolo 45, paragrafo 1, di tale legge così dispone:

«Salvo eccezioni previste dalla presente legge, l’[Ufficio] agisce nelle cause in materia di brevetti che rientrano nella sua competenza in conformità delle norme di legge recanti disposizioni generali sul procedimento amministrativo».

17

L’articolo 81/A, paragrafo 1, dell’a közigazgatási hatósági eljárás és szolgáltatás általános szabályairól szóló 2004. évi CXL. törvény (legge n. CXL del 2004, recante disposizioni generali sulle prestazioni e sul procedimento amministrativo; in prosieguo: la «legge sul procedimento amministrativo»), prevede quanto segue:

«Laddove la decisione contenga un errore di scrittura di un nome, di un numero o di altro dato, o contenga un errore di calcolo, l’autorità rettifica l’errore – previa eventuale audizione della parte interessata – purché una siffatta correzione non influisca sul merito della causa, sull’ammontare delle spese di procedimento o sull’obbligo di assunzione delle spese».

Procedimento principale e questioni pregiudiziali

18

La Incyte è una società farmaceutica con sede a Wilmington (Delaware, Stati Uniti). Essa è titolare del brevetto europeo n. E013235 (in prosieguo: il «brevetto di base»).

19

Il 24 gennaio 2013, tale società ha depositato una domanda di CPC presso l’Ufficio, facendo riferimento al brevetto di base succitato, e ad un’autorizzazione di immissione in commercio (in prosieguo: l’«AIC») concessa dalla Commissione europea per l’intero territorio dell’Unione europea, recante la data del 23 agosto 2012, relativa al prodotto farmaceutico «Jakavi», utilizzato nel trattamento della mielofibrosi.

20

Con decisione emessa il 7 ottobre 2014, l’Ufficio ha rilasciato il CPC richiesto. Tale decisione conteneva informazioni riguardanti detto brevetto di base e l’AIC, in particolare la data in cui tale autorizzazione è stata concessa, cioè il 23 agosto 2012, e la data di scadenza del CPC rilasciato, cioè il 24 agosto 2027.

21

Detta decisione indicava che la Incyte poteva presentare ricorso dinanzi al Fővárosi Törvényszék (Corte della capitale, Ungheria) entro 30 giorni dalla sua notifica.

22

Il 6 ottobre 2015 è stata pronunciata la sentenza Seattle Genetics (C‑471/14, EU:C:2015:659).

23

Il 18 novembre 2015, la Incyte ha chiesto, conformemente all’articolo 81/A della legge sul procedimento amministrativo, di rettificare il CPC di cui trattasi nel procedimento principale in modo che vi apparisse, come data di scadenza di tale certificato, il 28 agosto 2027. A suo parere, l’Ufficio ha commesso un errore di calcolo nell’assumere come data d’inizio della durata di detto CPC non quella della notifica al destinatario dell’AIC, bensì la data di emissione di quest’ultima, in contrasto quindi con l’interpretazione fornita nella sentenza del 6 ottobre 2015, Seattle Genetics (C‑471/14, EU:C:2015:659).

24

L’Ufficio ha respinto tale domanda in quanto l’articolo 81/A della legge sul procedimento amministrativo non era applicabile, poiché la decisione di concessione del CPC di cui trattasi nel procedimento principale non conteneva errori di calcolo o di scrittura.

25

La Incyte ha chiesto al giudice del rinvio di riformare la citata decisione e di rettificare la data di scadenza del suddetto CPC.

26

Tale giudice evidenzia che è un dato di fatto che la Incyte, nella sua domanda di CPC, ha indicato, come data della prima AIC nell’Unione, la data di rilascio di tale autorizzazione e non quella della notifica di quest’ultima al suo destinatario. Esso fa tuttavia osservare che la possibilità di modificare a posteriori la data di scadenza del CPC di cui trattasi può derivare dall’applicazione di due norme, una norma di procedura nazionale e una norma di procedura di diritto dell’Unione, nella specie, rispettivamente, l’articolo 81/A della legge sul procedimento amministrativo e l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96.

27

In tale ambito, il giudice del rinvio solleva dubbi, segnatamente, sulla questione se si tratti, nella specie, di una data indicata in modo «non corretto»«nella domanda di certificato di cui all’articolo 8», ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96, allorché da una decisione pregiudiziale pronunciata successivamente al deposito della domanda di CPC di cui trattasi risulti che la data in questione è stata indicata sulla base di un’errata interpretazione del diritto. Esso si chiede parimenti quale sia la portata della locuzione «può essere oggetto di ricorso per ottenere la rettifica», utilizzata in tale disposizione stessa, e, segnatamente, se escluda o meno l’obbligo in capo alle autorità nazionali competenti di rettificare d’ufficio le date di scadenza dei CPC che non siano conformi alla sentenza del 6 ottobre 2015, Seattle Genetics (C‑471/14, EU:C:2015:659).

28

Alla luce di quanto sopra, il Fővárosi Törvényszék (Corte della capitale) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le questioni pregiudiziali seguenti:

«1)

Se l’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento (…) n. 1610/96 (…), debba essere interpretato nel senso che «la data della prima [AIM] [nell’Unione]» in una domanda di [CPC] ai sensi di detto regolamento e del regolamento (…) n. 469/2009 (…) non è corretta qualora sia stata stabilita senza considerare l’interpretazione del diritto offerta dalla Corte nella sentenza del 6 ottobre 2015, Seattle Genetics (C‑471/14, EU:C:2015:659), così che si giustifica la rettifica della data di scadenza del [CPC] anche se il medesimo sia stato rilasciato antecedentemente alla pronuncia di tale sentenza e il termine previsto per proporre un ricorso avverso la decisione sia già scaduto.

2)

Se l’ufficio della proprietà industriale di uno Stato membro, competente per il rilascio dei [CPC], sia tenuto a rettificare d’ufficio la data di scadenza di un tale certificato affinché la medesima sia conforme all’interpretazione del diritto offerta nella sentenza Seattle Genetics (C‑471/14, EU:C:2015:659)».

Sulle questioni pregiudiziali

Sulla prima questione

29

In via preliminare, occorre rilevare che la prima questione verte espressamente sull’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96, mentre il CPC di cui trattasi nel procedimento principale è stato rilasciato non per un prodotto fitosanitario, bensì per un medicinale. Orbene, un CPC rilasciato per un medicinale rientra nell’ambito di applicazione del regolamento n. 469/2009.

30

Tuttavia, la circostanza che, formalmente, un giudice nazionale abbia formulato la sua domanda di pronuncia pregiudiziale facendo riferimento a talune disposizioni del diritto dell’Unione non osta a che la Corte fornisca a tale giudice tutti gli elementi di interpretazione che possono essere utili per la soluzione della causa di cui è investito, indipendentemente dal fatto che esso vi abbia fatto o meno riferimento nella formulazione delle sue questioni (sentenza del 10 settembre 2014, Kušionová, C‑34/13, EU:C:2014:2189, punto 71).

31

Nella specie, occorre includere nell’esame da operare anche l’articolo 18 del regolamento n. 469/2009.

32

Va dunque considerato che, con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se l’articolo 18 del regolamento n. 469/2009, letto alla luce dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96, debba essere interpretato nel senso che la data della prima AIC, quale indicata in una domanda di CPC, in base alla quale l’autorità nazionale competente a rilasciare un siffatto certificato ha calcolato la durata di quest’ultimo non sia corretta in una situazione, come quella oggetto del procedimento principale, in cui essa abbia implicato una modalità di calcolo della durata di detto certificato non conforme alle prescrizioni dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 469/2009, come interpretato in una sentenza successiva della Corte.

33

Sulla rilevanza dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96 in una situazione, come quella oggetto del procedimento principale, in cui il CPC sia stato rilasciato non per un prodotto fitofarmaceutico, bensì per un medicinale, si deve rilevare che, secondo il considerando 17 di tale regolamento, le modalità che figurano, in particolare, nell’articolo 17, paragrafo 2, dello stesso, valgono anche, mutatis mutandis, per l’interpretazione, segnatamente, dell’articolo 17 del regolamento n. 1768/92.

34

Il regolamento n. 1768/92, che era stato modificato più volte, è stato codificato, abrogato e sostituito dal regolamento n. 469/2009, e l’articolo 22 di quest’ultimo precisa che i riferimenti al regolamento abrogato si intendono fatti al regolamento n. 469/2009. Secondo la tavola di concordanza contenuta nell’allegato II di quest’ultimo, l’articolo 17 del regolamento n. 1768/92 corrisponde all’articolo 18 del regolamento n. 469/2009.

35

In forza dell’articolo 18 del regolamento n. 469/2009, le decisioni di rilascio del CPC sono soggette agli stessi ricorsi previsti dalla legislazione nazionale contro decisioni analoghe in materia di brevetti nazionali.

36

Quindi, l’articolo 18 del regolamento n. 469/2009, che riprende la formulazione dell’articolo 17 del regolamento n. 1768/92, non prevede espressamente un procedimento come quello contenuto nell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96.

37

Ciononostante, tenuto conto del considerando 17 del regolamento n. 1610/96, l’articolo 18 del regolamento n. 469/2009 va interpretato alla luce dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96.

38

Ai sensi dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96, la decisione di rilascio del CPC può essere oggetto di ricorso per ottenere la rettifica della durata di tale certificato, quando la data della prima AIC nell’Unione, contenuta nella domanda di certificato, non è corretta.

39

Sebbene risulti dal fascicolo che è conformemente alla prassi all’epoca in vigore che il richiedente ha indicato, nella sua domanda di CPC, come data della prima AIC nell’Unione la data della decisione recante l’AIC e che tale data è stata presa in considerazione in quanto tale dall’Ufficio, ciononostante, detta indicazione non era corretta.

40

Infatti, al punto 40 della sentenza del 6 ottobre 2015, Seattle Genetics (C‑471/14, EU:C:2015:659), la Corte ha dichiarato che l’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 469/2009 dev’essere interpretato nel senso che la «data della prima [AIC] nel[l’Unione]», ai sensi di tale disposizione, è quella della notifica della decisione di AIC al suo destinatario.

41

In proposito si deve ricordare che, conformemente ad una giurisprudenza costante, l’interpretazione che la Corte dà di una norma di diritto dell’Unione, nell’esercizio della competenza attribuitale dall’articolo 267 TFUE, chiarisce e precisa il significato e la portata della norma stessa, come deve o avrebbe dovuto essere intesa ed applicata dal momento della sua entrata in vigore. Ne consegue che la norma così interpretata può e deve essere applicata a rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza che statuisce sulla domanda d’interpretazione, sempreché d’altro canto sussistano i presupposti per sottoporre ai giudici competenti una controversia relativa all’applicazione della suddetta norma (sentenza del 14 aprile 2015, Manea, C‑76/14, EU:C:2015:216, punto 53 e giurisprudenza ivi citata).

42

Di conseguenza, l’interpretazione fornita dalla Corte, nella sentenza Seattle Genetics, alla nozione di «data della prima [AIC] nel[l’Unione]», contenuta nell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 469/2009, chiarisce e precisa il senso e la portata di tale norma, come deve o avrebbe dovuto essere intesa e applicata dal momento della sua entrata in vigore.

43

Ne consegue che la data che avrebbe dovuto essere indicata nella domanda di CPC presentata dalla Incyte, e che avrebbe dovuto essere presa in considerazione dall’Ufficio per il calcolo della durata del CPC, è la data della notifica della decisione di AIC al suo destinatario e che qualunque altra data indicata nella domanda di CPC dev’essere considerata non corretta.

44

Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 18 del regolamento n. 469/2009, letto alla luce dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96, dev’essere interpretato nel senso che la data della prima AIC, come indicata in una domanda di CPC, in base alla quale l’autorità nazionale competente al rilascio di un siffatto certificato ha calcolato la durata di quest’ultimo non è corretta in una situazione, come quella oggetto della causa principale, nella quale essa ha implicato una modalità di calcolo della durata di detto certificato non conforme alle prescrizioni dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 469/2009, come interpretato in una sentenza successiva della Corte.

Sulla seconda questione

45

Con la sua seconda questione, il giudice del rinvio chiede, sostanzialmente, se il diritto dell’Unione debba essere interpretato nel senso che l’autorità nazionale competente al rilascio di un CPC ha l’obbligo di rettificare d’ufficio la data di scadenza di tale CPC, rilasciato prima della pronuncia della sentenza del 6 ottobre 2015, Seattle Genetics (C‑471/14, EU:C:2015:659), affinché essa sia conforme all’interpretazione del diritto dell’Unione accolta dalla citata sentenza, in una situazione, come quella oggetto del procedimento principale, in cui il termine previsto dalla normativa nazionale per presentare un ricorso avverso la decisione di rilascio di detto CPC sia già scaduto.

46

A tale proposito occorre rammentare che, secondo costante giurisprudenza, il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza di termini ragionevoli di ricorso o in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce alla certezza del diritto e da ciò deriva che il diritto dell’Unione non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquisito tale carattere definitivo (v., in particolare, sentenze del 13 gennaio 2004, Kühne & Heitz, C‑453/00, EU:C:2004:17, punto 24; del 12 febbraio 2008, Kempter, C‑2/06, EU:C:2008:78, punto 37, nonché del 4 ottobre 2012, Byankov, C‑249/11, EU:C:2012:608, punto 76).

47

Tuttavia, la Corte ha dichiarato che un organo amministrativo, investito di una richiesta in tal senso, ha l’obbligo, in forza del principio di leale cooperazione, di riesaminare una decisione per tener conto dell’interpretazione della disposizione pertinente del diritto dell’Unione nel frattempo accolta dalla Corte qualora, in primo luogo, disponga, secondo il diritto nazionale, del potere di ritornare su tale decisione; in secondo luogo, la decisione in questione sia divenuta definitiva in seguito ad una sentenza di un giudice nazionale che statuisce in ultima istanza; in terzo luogo, tale sentenza, alla luce di una giurisprudenza della Corte successiva alla medesima, risulti fondata su un’interpretazione errata del diritto dell’Unione adottata senza che la Corte fosse adita in via pregiudiziale alle condizioni previste dall’articolo 267, paragrafo 3, TFUE, e, in quarto luogo, l’interessato si sia rivolto all’organo amministrativo immediatamente dopo essere stato informato di detta giurisprudenza (v., in tal senso, sentenza del 13 gennaio 2004, Kühne & Heitz, C‑453/00, EU:C:2004:17, punto 28).

48

Come emerge da tale giurisprudenza, particolari circostanze possono, in forza del principio di leale cooperazione derivante dall’articolo 4, paragrafo 3, TUE, imporre ad un organo amministrativo nazionale il riesame di una decisione amministrativa divenuta definitiva per tener conto, in particolare, dell’interpretazione di una pertinente disposizione del diritto dell’Unione nel frattempo accolta dalla Corte. In tal modo è garantito l’equilibrio tra l’esigenza di certezza del diritto e quella della legittimità nei confronti del diritto dell’Unione (sentenza del 4 ottobre 2012, Byankov, C‑249/11, EU:C:2012:608, punto 77 e giurisprudenza ivi citata).

49

Orbene, contrariamente ai procedimenti che hanno portato alla giurisprudenza citata nei punti da 46 a 48 della presente sentenza, il presente caso non verte sulla questione se l’organo amministrativo nazionale di cui trattasi debba riesaminare la propria decisione, bensì sulla questione se tale organo debba procedere ad una rettifica della durata del certificato, quando la data della prima AIC nell’Unione, contenuta nella domanda di certificato di cui all’articolo 8, non sia corretta. L’equilibrio tra l’esigenza di certezza del diritto e quella della legittimità nei confronti del diritto dell’Unione non è, in una siffatta ipotesi, identico a quello ricordato nei punti 46 e 47 della presente sentenza. Infatti, una siffatta modifica, come la sostituzione, richiesta dalla Incyte sul fondamento della sentenza del 6 ottobre 2015, Seattle Genetics (C‑471/14, EU:C:2015:659), dell’indicazione della data del 24 agosto 2027 quale data di scadenza del CPC con la data del 28 agosto 2027, è per sua stessa natura meno idonea a pregiudicare la certezza del diritto rispetto a modifiche più sostanziali che dipendono da un riesame.

50

A tale proposito occorre rilevare, inoltre, che, come emerge dall’analisi della prima questione, l’articolo 18 del regolamento n. 469/2009, alla luce del considerando 17 e dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96, dev’essere interpretato nel senso che un ricorso per ottenere la rettifica della decisione di rilascio del certificato volta a correggere la durata di quest’ultimo dev’essere possibile quando la data della prima AIC nell’Unione, contenuta nella domanda di certificato, non è corretta. Emerge parimenti dalla citata analisi che tale ipotesi ricorre nell’ambito del procedimento principale.

51

Di conseguenza, l’articolo 18 del regolamento n. 469/2009 dev’essere interpretato nel senso che quando la data della prima AIC nell’Unione, contenuta nella domanda di certificato non è corretta e da ciò consegue che anche la durata di tale certificato non è corretta, il titolare del certificato dispone, in forza della citata disposizione, della possibilità di presentare un ricorso per ottenere la rettifica direttamente presso l’autorità che ha rilasciato detto certificato. Peraltro, in assenza di menzione contraria nell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96, occorre considerare che un siffatto ricorso per ottenere la rettifica deve poter essere presentato dinanzi alla citata autorità fintanto che la durata del certificato di cui trattasi non sia estinta.

52

Una siffatta interpretazione è corroborata sia dal contesto della normativa del diritto dell’Unione nel quale essa si situa sia dagli scopi perseguiti da tale normativa.

53

Relativamente al contesto, occorre, infatti, rilevare che emerge dall’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 469/2009 che il certificato ha efficacia per una durata uguale al periodo intercorso tra la data del deposito della domanda del brevetto di base e la data della prima AIC nell’Unione, ridotto di cinque anni. Emerge quindi dalla citata disposizione che il periodo in cui il CPC rilasciato «ha efficacia» è interamente determinato mediante applicazione dei criteri precisi formulati nella citata disposizione senza che l’autorità incaricata del rilascio del citato CPC disponga di un qualsivoglia margine di discrezionalità a riguardo.

54

Analogamente, l’articolo 14, paragrafo 1, del citato regolamento prevede che il CPC si estingue alla data prevista nell’articolo 13 e non ad una data che dovrebbe essere stabilita dall’autorità che rilascia il certificato.

55

Relativamente agli scopi perseguiti dal regolamento n. 469/2009, occorre rammentare, da un lato, che il suo scopo fondamentale, menzionato, fra l’altro, nei considerando da 3 a 5, 8 e 9 di tale regolamento, è di ristabilire una durata di protezione effettiva sufficiente per un brevetto di base, consentendo al suo titolare di beneficiare di un periodo di esclusiva aggiuntivo alla scadenza del suo brevetto, destinato a compensare, almeno parzialmente, il ritardo accumulato nello sfruttamento commerciale della sua invenzione a causa del lasso di tempo intercorso tra la data di deposito della domanda di tale brevetto e quella del rilascio della prima AIC nell’Unione (v., in particolare, sentenza del 6 ottobre 2015, Seattle Genetics, C‑471/14, EU:C:2015:659, punto 32 e giurisprudenza ivi citata).

56

Peraltro, come emerge dai considerando 7 e 8 del medesimo regolamento, esso introduce una soluzione uniforme a livello dell’Unione, in quanto crea un CPC che può essere ottenuto dal titolare di un brevetto nazionale o europeo alle stesse condizioni in ciascuno Stato membro. Esso mira dunque a prevenire un’evoluzione eterogenea delle legislazioni nazionali che comporti ulteriori differenze tali da ostacolare la libera circolazione dei medicinali all’interno dell’Unione e da incidere, di conseguenza, direttamente sulla creazione e sul funzionamento del mercato interno (v., in particolare, sentenza del 6 ottobre 2015, Seattle Genetics, C‑471/14, EU:C:2015:659, punto 26 e giurisprudenza ivi citata).

57

Orbene, è importante sottolineare che è conforme a tale duplice scopo di tutela del titolare e di applicazione uniforme delle condizioni in cui detta protezione è garantita, la possibilità offerta al titolare di esigere la rettifica dell’atto di rilascio di un CPC per quanto riguarda la durata di quest’ultimo, in qualsiasi momento, fintanto che la durata del certificato non sia estinta.

58

Peraltro, e come sottolineato nel punto 49 della presente sentenza, una rettifica che interviene in siffatte condizioni non è idonea a pregiudicare la certezza del diritto.

59

Infine, nei limiti in cui è pacifico che, nel procedimento principale, la Incyte ha investito l’autorità che ha rilasciato il CPC di un ricorso per rettifica della durata di quest’ultimo, non è necessario determinare, ulteriormente, se tale autorità possa essere obbligata a procedere d’ufficio ad una siffatta rettifica in assenza di un simile ricorso presentato dal titolare.

60

Alla luce di tutto quanto precede, occorre rispondere alla seconda questione dichiarando che l’articolo 18 del regolamento n. 469/2009, letto alla luce del considerando 17 e dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96, dev’essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella descritta nel punto 44 della presente sentenza, il titolare di un CPC dispone, sul fondamento del citato articolo 18, di un ricorso per ottenere la rettifica della durata indicata nel CPC, fintanto che quest’ultimo non sia scaduto.

Sulle spese

61

Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

 

Per questi motivi, la Corte (Seconda Sezione) dichiara:

 

1)

L’articolo 18 del regolamento (CE) n. 469/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 maggio 2009, sul certificato protettivo complementare per i medicinali, letto alla luce dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1610/96 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 luglio 1996, sull’istituzione di un certificato protettivo complementare per i prodotti fitosanitari, dev’essere interpretato nel senso che la data della prima autorizzazione di immissione in commercio, come indicata in una domanda di certificato protettivo complementare, in base alla quale l’autorità nazionale competente al rilascio di un siffatto certificato ha calcolato la durata di quest’ultimo, non è corretta in una situazione, come quella oggetto della causa principale, nella quale essa ha implicato una modalità di calcolo della durata di detto certificato non conforme alle prescrizioni dell’articolo 13, paragrafo 1, del regolamento n. 469/2009, come interpretato in una sentenza successiva della Corte.

 

2)

L’articolo 18 del regolamento n. 469/2009, letto alla luce del considerando 17 e dell’articolo 17, paragrafo 2, del regolamento n. 1610/96, dev’essere interpretato nel senso che, in una situazione come quella descritta nel punto 1 del presente dispositivo, il titolare di un certificato protettivo complementare dispone, sul fondamento del citato articolo 18, di un ricorso per ottenere la rettifica della durata indicata in tale certificato, fintanto che quest’ultimo non sia scaduto.

 

Firme


( *1 ) Lingua processuale: l’ungherese.