Causa C‑365/16

Association française des entreprises privées (AFEP) e altri

contro

Ministre des Finances et des Comptes publics

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Conseil d’État (Francia)]

«Rinvio pregiudiziale – Regime fiscale comune applicabile alle società capogruppo e controllate di Stati membri diversi – Direttiva 2011/96/UE – Prevenzione della doppia imposizione – Contributo aggiuntivo del 3% all’imposta sulle società»

Massime – Sentenza della Corte (Prima Sezione) del 17 maggio 2017

  1. Procedimento giurisdizionale–Domanda di riapertura della fase orale–Istanza di deposito di osservazioni su punti di diritto sollevati dalle conclusioni dell’avvocato generale–Presupposti per la riapertura

    (Art. 252, comma 2, TFUE; Statuto della Corte di giustizia, art. 23; regolamento di procedura della Corte, art. 83)

  2. Ravvicinamento delle legislazioni–Regime fiscale comune applicabile alle società capogruppo e controllate di Stati membri diversi–Direttiva 2011/96–Prevenzione della doppia imposizione economica–Misura fiscale adottata dallo Stato membro della società madre che prevede la riscossione di un’imposta in sede di distribuzione dei dividendi da parte della società madre e la cui base imponibile è costituita dagli importi dei dividendi distribuiti, compresi quelli percepiti dalle società figlie non residenti di tale società–Inammissibilità

    [Direttiva del Consiglio 2011/96, come modificata dalla direttiva 2014/86, considerando 7 e 9, e art. 4, § 1, a)]

  1.  V. il testo della decisione.

    (v. punti 17, 18)

  2.  L’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi, come modificata dalla direttiva 2014/86/UE del Consiglio, dell’8 luglio 2014, dev’essere interpretato nel senso che tale disposizione osta ad una misura fiscale prevista dallo Stato membro di una società madre, quale quella di cui al procedimento principale, che prevede la riscossione di un’imposta in sede di distribuzione dei dividendi da parte della società madre e la cui base imponibile è costituita dagli importi dei dividendi distribuiti, compresi quelli percepiti dalle società figlie non residenti di tale società.

    A tal fine, l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva madri-figlie rimette agli Stati membri la scelta tra due sistemi, ossia tra il sistema di esenzione e quello d’imputazione. Infatti, conformemente ai considerando 7 e 9 di detta direttiva, tale disposizione precisa che quando una società madre o una sua stabile organizzazione, in virtù del rapporto societario tra società madre e società figlia, ricevono utili distribuiti non in sede di scioglimento di quest’ultima, lo Stato membro della società madre e quello della sua stabile organizzazione si astengono dal sottoporre tali utili a imposizione nella misura in cui essi non sono deducibili per la società figlia e sottopongono tali utili a imposizione nella misura in cui essi sono deducibili per la società figlia, oppure li sottopongono a imposizione, autorizzando però la società madre e la sua stabile organizzazione a dedurre dall’imposta la frazione dell’imposta relativa ai suddetti utili e pagata dalla società figlia e da qualsiasi sub-affiliata (sentenza del 17 maggio 2017, X, C ‑68/15, punto 71 e giurisprudenza ivi citata).

    Pertanto l’articolo 4 della direttiva mira ad evitare che gli utili distribuiti ad una società madre residente da parte di una società figlia non residente siano tassati in un primo tempo in capo alla società figlia nello Stato di residenza della stessa, ed in un secondo tempo in capo alla società madre nello Stato di residenza di quest’ultima.

    La Corte ha precisato, ai punti 79 e 80 della citata sentenza X, da un lato, che, nel prevedere che lo Stato membro della società madre e lo Stato membro della stabile organizzazione «si astengono dal sottoporre tali utili a imposizione», tale disposizione vieta agli Stati membri di sottoporre ad imposizione la società madre o la sua stabile organizzazione a titolo di utili distribuiti dalla società figlia alla società madre, senza distinguere a seconda che l’imposizione della società madre abbia come fatto generatore la percezione di tali utili o la loro ridistribuzione. Dall’altro lato, poiché la direttiva madri-figlie persegue, in conformità al suo considerando 3, l’obiettivo di eliminare la doppia imposizione degli utili distribuiti da una società figlia alla società madre a livello della società madre, una tassazione di tali utili da parte dello Stato membro della società madre in capo a tale società al momento della ridistribuzione di questi ultimi, che produca l’effetto di assoggettare detti utili ad una tassazione che eccede la soglia del 5% prevista dall’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva in parola, comporterebbe una doppia imposizione a livello di tale società, vietata dalla suddetta direttiva.

    Peraltro, si deve osservare, in tale contesto, che poco rileva che la misura fiscale nazionale sia o meno qualificata come imposta sulle società. A tal proposito, è sufficiente constatare che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a), della direttiva madri‑figlie non limita la propria applicazione a una determinata imposta. Infatti, detta disposizione prevede che lo Stato membro della società madre si astenga dal sottoporre ad imposizione gli utili distribuiti dalla società figlia non residente. La disposizione in parola mira quindi ad evitare che gli Stati membri adottino misure fiscali che comportino una doppia imposizione degli utili in questione in capo alle società madri.

    (v. punti 22, 24, 31 33, 35 e dispositivo)