CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

JULIANE KOKOTT

presentate il 1o marzo 2018 ( 1 )

Causa C‑117/16

Skatteministeriet

contro

Y Denmark Aps

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dall’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est, Danimarca)]

«Domanda di pronuncia pregiudiziale – Direttiva 2011/96/UE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (cosiddetta direttiva sulle società madri e figlie) – Necessità di un beneficiario effettivo nel caso di pagamenti di dividendi – Abuso delle costruzioni ammesse dal diritto tributario – Criteri per la sussistenza di un abuso in caso di elusione di una ritenuta alla fonte – Rilevanza dei commentari del modello di convenzione OCSE sull’interpretazione di una direttiva UE – Applicazione diretta di una disposizione non trasposta di una direttiva – Interpretazione conforme al diritto dell’Unione di principi nazionali in materia di repressione degli abusi»

I. Introduzione

1.

Nel caso in esame e nella causa C‑116/16, la Corte – al pari di altri quattro procedimenti paralleli ( 2 ) attinenti alla direttiva interessi e canoni – è chiamata a determinare le circostanze in presenza delle quali possa essere negata l’esenzione dalla ritenuta alla fonte risultante dalla direttiva 90/435/CEE ( 3 ) (in prosieguo: la «direttiva sulle società madri e figlie») ad una controllata che abbia distribuito dividendi alla propria società madre.

2.

Il caso in esame verte sull’«elusione» di una ritenuta alla fonte sui dividendi all’interno di un gruppo. In tale gruppo, i dividendi vengono versati da una società operativa danese al proprio azionista a Cipro e da quest’ultimo al proprio azionista alle Bermuda (a titolo di interessi per un finanziamento), per essere infine nuovamente distribuiti come dividendi alla società capogruppo residente negli Stati Uniti. La ragione di tale modus operandi va a sua volta ricondotta alle agevolazioni fiscali previste negli Stati Uniti per dividendi che le società capogruppo statunitensi riportano in America e impiegano in tale paese per determinati scopi (ricerca).

3.

Con la questione cruciale che si pone nella specie ci si chiede fino a qual punto un gruppo multinazionale possa spingersi nella configurazione di strutture societarie al fine di ridurre una ritenuta alla fonte definitiva sulle distribuzioni di dividendi all’interno del gruppo. Ci si chiede dove corra esattamente il confine fra una costruzione fiscale lecita e una costruzione fiscale parimenti legale, ma abusiva. Quando, e sulla base di quali criteri, possa essere presunta l’esistenza di una costruzione abusiva qualora una società residente in un paese terzo costituisca una società figlia in uno Stato membro dell’Unione (nella specie, a Cipro), non assoggettata alla ritenuta alla fonte nel caso di distribuzione di dividendi. Solo una fattispecie del genere consente di raccogliere i dividendi provenienti dalle società europee del gruppo e di ridistribuirli nel paese terzo sempre in regime di esenzione di ritenuta alla fonte.

4.

Le questioni giuridiche riguardano tutte, in definitiva, il fondamentale conflitto esistente nel diritto tributario fra la tassazione di situazioni economiche, l’autonomia contrattuale civilistica dei contribuenti e la difesa a fronte di costruzioni valide sotto il profilo civilistico ma ciononostante, in determinate circostanze, abusive.

II. Contesto normativo

A. Diritto dell’Unione

5.

Il contesto di diritto dell’Unione in cui si colloca il caso di specie è rappresentato dalla direttiva sulle società madri e figlie e dagli articoli 49, 54 e 63 TFUE.

6.

Ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, la direttiva sulle società madri e figlie dev’essere applicata da ogni Stato membro, in particolare, per quanto attiene alla distribuzione degli utili percepiti da società dello Stato membro medesimo e provenienti da loro controllate di altri Stati membri.

7.

L’articolo 1 della direttiva medesima così dispone:

«1.   Ogni Stato membro applica la presente direttiva:

alla distribuzione degli utili percepita da società di questo Stato membro e provenienti dalle loro filiali di altri Stati membri;

alla distribuzione degli utili effettuata da società di questo Stato a società di altri Stati membri di cui esse sono filiali; (…)

2   La presente direttiva non pregiudica l’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi».

8.

Il successivo articolo 4 della direttiva così recita:

«1.   Quando una società madre o la sua stabile organizzazione, in virtù del rapporto di partecipazione tra la società madre e la sua società figlia, riceve utili distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione della società figlia, lo Stato della società madre e lo Stato della sua stabile organizzazione:

si astengono dal sottoporre tali utili ad imposizione, o

li sottopongono ad imposizione, autorizzando però detta società madre o la sua stabile organizzazione a dedurre dalla sua imposta la frazione dell’imposta societaria relativa ai suddetti utili e pagata dalla società figlia e da una sua sub-affiliata, a condizione che a ciascun livello la società e la sua sub-affiliata soddisfino i requisiti di cui agli articoli 2 e 3 entro i limiti dell’ammontare dell’imposta corrispondente dovuta.

2.   Ogni Stato membro ha tuttavia la facoltà di stipulare che oneri relativi alla partecipazione e minusvalenze risultanti dalla distribuzione degli utili della società figlia non siano deducibili dall’utile imponibile della società madre. In tal caso, qualora le spese di gestione relative alla partecipazione siano fissate forfettariamente, l’importo forfettario non può essere superiore al 5% degli utili distribuiti dalla società figlia. (…)».

9.

A termini del successivo articolo 5, paragrafo 1,:

«1.   Gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte».

B. Diritto internazionale

10.

La convenzione contro le doppie imposizioni conclusa fra la Danimarca e Cipro (in prosieguo: la «CDI») del 26 maggio 1981 contiene, all’articolo 10, paragrafi 1 e 2, la seguente disposizione relativa alla ripartizione della potestà impositiva per i dividendi:

«1.   I dividendi corrisposti da una società residente di uno Stato contraente ad un residente dell’altro Stato contraente sono imponibili in tale altro Stato.

2.   Tuttavia, i dividendi sono imponibili anche nello Stato contraente in cui la società distributrice dei dividendi è residente, conformemente alla legislazione di detto Stato; se il destinatario è il beneficiario effettivo dei dividendi, l’imposta non può peraltro eccedere:

a)

il 10% dell’importo lordo dei dividendi, se il beneficiario effettivo è una società (non di persone) direttamente detentrice quantomeno del 25% del capitale della società distributrice dei dividendi;

(…)

d)

il 15% dell’importo lordo dei dividendi in tutti gli altri casi».

11.

Ne consegue che lo Stato della ritenuta alla fonte, nella fattispecie la Danimarca, può tassare ad aliquota ridotta i dividendi corrisposti a una società madre residente a Cipro solo qualora detta società sia «il beneficiario effettivo» degli interessi. La nozione di «beneficiario effettivo» non è definita nella CDI.

C. La normativa danese

12.

Secondo quanto esposto dal giudice del rinvio, il contesto normativo danese negli esercizi controversi risulta essere il seguente:

13.

La tassazione dei dividendi delle società madri residenti è disciplinata all’articolo 13, paragrafo 1, punto 2, del Selskabsskattelov (legge in materia di imposta sulle società), il quale, per gli esercizi fiscali 2005 e 2006, figurava nel decreto del 19 febbraio 2004, n. 111, nella versione modificata dalla legge del 20 dicembre 2004, n. 1375:

«§ 13. Il reddito imponibile non comprende: (…)

2)   (…) i dividendi ricevuti dalle società o associazioni ecc., di cui all’articolo 1, paragrafo 1, punti da 1) a 2a), da 2d) a 2i), da 3a) a 5b), sotto forma di azioni o partecipazioni in società di cui all’articolo 1, paragrafo 1, punti da 1) a 2a), da 2d) a 2i), da 3a) a 5b) o in società non residenti in Danimarca. Tuttavia tali disposizioni si applicano solo qualora la società beneficiaria dei dividendi, la società madre, detenga almeno il 10% del capitale sociale della società distributrice dei dividendi, la società figlia, per un periodo ininterrotto di almeno un anno prima della distribuzione dei dividendi. Per le distribuzioni di dividendi effettuate negli anni civili 2005 e 2006, tuttavia, la quota di partecipazione di cui al secondo periodo è pari al 20%, e per le distribuzioni di dividendi effettuate negli anni civili 2007 e 2008, la partecipazione di cui al secondo periodo è pari al 15% (…)».

14.

L’imponibilità parziale delle società straniere per i dividendi è disciplinata all’articolo 2, paragrafo 1, lettera c) della legge in materia di imposta sulle società. In ultima analisi, l’imponibilità parziale non riguardava, nel 2005 e nel 2006, i dividendi distribuiti ad una società madre, i quali risultano esenti da imposta ovvero soggetti soltanto ad imposta ridotta ai sensi della direttiva sulle società madri e figlie o di una CDI. Ciò a condizione che tale società detenga almeno il 20% del capitale azionario della controllata in un periodo di tempo senza soluzione di continuità di un anno, nel quale deve collocarsi il momento della distribuzione.

15.

I dividendi distribuiti da una società danese ad una società madre cipriota (la quale viene considerata il «beneficiario effettivo» dei dividendi) sono pertanto esenti da imposta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), dello Selskabsskattelov (legge in materia di imposta sul reddito), dal momento che, per effetto della CDI, si applica unicamente un’aliquota ridotta.

16.

Per contro, nel caso di imponibilità parziale dei dividendi in uscita dalla Danimarca ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettera c), della legge in materia di imposta sulle società, il soggetto danese distributore dei dividendi è tenuto ad applicare, a norma della legge danese in materia di ritenuta alla fonte ( 4 ), una ritenuta alla fonte del 28%. In caso di versamento tardivo della ritenuta alla fonte (in caso di imponibilità parziale) si applicano interessi di mora. Il debitore degli interessi di mora è il soggetto tenuto ad applicare la ritenuta alla fonte.

17.

Nel 2005 e nel 2006, non vi era nessuna norma generale di legge in materia di repressione degli abusi. Nella giurisprudenza è stato per contro elaborato il cosiddetto «criterio sostanziale», in base al quale l’imposizione dev’essere effettuata sulla base di una valutazione specifica dei fatti concreti. Ciò significa, inter alia, che, in presenza di determinate circostanze, possono essere considerate nulle le operazioni fiscalmente rilevanti che risultino fittizie e artificiose procedendo ad una tassazione fondata sulla realtà sostanziale («substance‑over‑form»). Le parti concordano sul fatto che il criterio sostanziale non costituisce un fondamento per considerare nulle le operazioni realizzate nella specie.

18.

Inoltre, nella giurisprudenza danese è stato sviluppato il cosiddetto principio del «beneficiario legittimo dei redditi». Tale principio è basato sulla disposizione fondamentale relativa alla tassazione dei redditi di cui all’articolo 4 della legge generale danese sulle imposte (statsskatteloven), e stabilisce che l’amministrazione finanziaria non è tenuta a riconoscere una separazione artificiale tra l’operazione/attività economica generatrice del reddito e la localizzazione del reddito che ne deriva. Occorre pertanto accertare – indipendentemente dalla struttura esterna – l’identità dell’effettivo beneficiario di determinati redditi e, quindi, il debitore dell’imposta. Si tratta, pertanto, di individuare il soggetto al quale devono essere imputati i redditi a fini fiscali. Il «beneficiario legittimo dei redditi» è quindi il soggetto debitore dell’imposta relativamente ai redditi di cui trattasi.

III. Controversia principale

19.

Nel procedimento a quo, la Y Denmark Aps (in prosieguo: la «Y Denmark») si oppone all’attribuzione della responsabilità per omessa applicazione della ritenuta alla fonte in occasione di una distribuzione di dividendi alla propria società madre, residente a Cipro (Y Cyprus). Essa era partita dal presupposto che la distribuzione fosse esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva sulle società madri e figlie. L’amministrazione finanziaria, per contro, ritiene che i dividendi siano stati in realtà versati alla «società capogruppo» residente nelle Bermuda, ossia alla Y Global Ltd. (Bermuda) (in prosieguo: la «Y Bermuda»), in quanto la Y Cyprus sarebbe unicamente una cosiddetta società interposta. Di conseguenza, avrebbe dovuto essere applicata la ritenuta alla fonte. I fatti da cui è scaturita la controversia possono essere così riassunti.

20.

La società madre al vertice del gruppo Y, la Y Inc., USA (in prosieguo: la «Y USA»), è una società americana quotata in borsa. Le controllate straniere della Y USA sono attualmente detenute dalla Y Bermuda, la cui unica attività – a parte quella di operare come holding – consiste nella detenzione di taluni diritti di proprietà intellettuale relativi ai prodotti del gruppo. La gestione corrente della società è affidata a una società di gestione (indipendente). La Y Denmark – costituita dalla Y USA nel 2000 – ha da allora circa 20 dipendenti ed opera nel settore della vendita e dell’assistenza. La Y Denmark svolge altresì la funzione di holding per il ramo europeo del Gruppo Y, ad esempio per la Y Netherlands.

21.

A seguito di una modifica legislativa americana – l’American Jobs Creation Act of 2004 – è stata data la possibilità alle società americane di percepire dividendi dalle società controllate straniere a condizioni fiscali particolarmente vantaggiose, a fronte dell’impegno ad utilizzare tali dividendi negli Stati Uniti per motivi specifici, quali ad es. ricerca e sviluppo.

22.

Pertanto, la Y USA decideva, per l’esercizio finanziario 2005/06 (dal 1o maggio 2005 al 28 aprile 2006), di far distribuire dalla Y Bermuda (sua controllata al 100%) più dividendi possibili. La capacità complessiva di ricavo di dividendi – realizzabile, fra l’altro, per mezzo la distribuzione di dividendi provenienti dalle varie società figlie alla Y Bermuda – è stata stimata in 550 dollari statunitensi (USD).

23.

Anteriormente alla distribuzione dei dividendi, veniva operato un riassetto nel ramo europeo del gruppo. Il 9 maggio 2005, la Y Bermuda costituiva la Y Cyprus, alla quale cedeva le azioni della Y Denmark. L’importo dell’acquisto veniva corrisposto attraverso l’emissione di un titolo di debito. In tal modo, la Y Cyprus è stata interposta fra la Y Bermuda e la Y Denmark.

24.

La Y Cyprus funge da holding con determinate attività di tesoreria (concessione di finanziamenti alle controllate). Il recapito della società, priva di dipendenti, era quello della società di gestione. Dalle relazioni del consiglio di amministrazione di accompagnamento al bilancio per il 2005/06 e il 2006/07 risulta che l’attività principale della Y Cyprus consiste nell’essere una holding e che la remunerazione corrisposta ai membri del consiglio d’amministrazione ammontava a USD 571 e USD 915. Dai bilanci emerge che sono stati versati USD 0 di imposte, in quanto la società non evidenziava un reddito imponibile positivo.

25.

Il 26 settembre 2005, la Y Netherlands decideva di distribuire, per l’esercizio fiscale 2004/05, dividendi alla Y Denmark pari a EUR 76 milioni. Il 28 settembre 2005, l’assemblea dei soci della Y Denmark approvava parimenti, per il medesimo esercizio finanziario, una proposta di distribuzione di dividendi alla Y Cyprus per EUR 76 milioni. I dividendi venivano versati alla Y Denmark il 25 ottobre 2005. Il 27 ottobre seguente, i dividendi venivano versati per identico importo alla Y Cyprus, la quale li trasferiva il 28 ottobre 2005 alla Y Bermuda per ripianare il debito sorto in relazione alla sua acquisizione della Y Denmark. Il 3 aprile 2006, la Y Bermuda distribuiva dividendi alla Y USA per un importo pari a USD 550 milioni. La Y Bermuda aveva finanziato i dividendi in parte attraverso risorse proprie e in parte attraverso un mutuo bancario. Il 13 ottobre 2006, l’assemblea della Y Denmark approvava, per l’esercizio finanziario 2005/06, l’ulteriore distribuzione di dividendi alla Y Cyprus proposta, pari a 92 milioni di corone danesi (DKK).

26.

Con avviso di accertamento del 17 settembre 2010, lo SKAT (amministrazione finanziaria danese) contestava alla Y Denmark l’omessa ritenuta alla fonte in relazione a dividendi distribuiti nel 2005 e nel 2006 a favore della propria società madre, la Y Cyprus, e che la stessa era responsabile per la ritenuta alla fonte.

27.

L’avviso di accertamento veniva impugnato dinanzi al Landsskatteret (commissione di tributaria di ultimo grado), il quale, con decisione del 16 dicembre 2011, accoglieva la posizione dello SKAT (amministrazione finanziaria danese) nella parte in cui esso riteneva che la Y Cyprus non fosse il «beneficiario effettivo» dei dividendi ai sensi della CDI conclusa fra la Danimarca e Cipro, ma concordava con la Y Denmark sull’asserita assenza di un fondamento che giustificasse l’applicazione della ritenuta alla fonte, applicandosi alla Y Cyprus l’esenzione in forza della direttiva sulle società madri e figlie.

28.

Lo Skatteministeriet (ministero delle Finanze) impugnava la decisione del Landsskatteretten (commissione di tributaria di ultimo grado) dinanzi all’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est, Danimarca). L’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est) ha quindi deciso di procedere ad un rinvio pregiudiziale.

IV. Procedimento dinanzi alla Corte

29.

L’Østre Landsret (Corte regionale dell’Est) ha sollevato le seguenti questioni:

1.

Se, affinché lo Stato membro possa invocare l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435/CEE, concernente l’applicazione di disposizioni nazionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi, sia necessario che lo Stato membro in questione abbia adottato una disposizione nazionale specifica di attuazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva, o che il diritto nazionale preveda disposizioni o principi generali sulle frodi e gli abusi che possano essere interpretati conformemente all’articolo 1, paragrafo 2.

1.1.

In caso di risposta affermativa alla questione 1, se l’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della legge danese sull’imposta sulle società, secondo il quale «l’esenzione dei dividendi dall’imposta costituisce una condizione preliminare (…) ai sensi della direttiva del Consiglio 90/435/CEE concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi», possa essere considerato quale disposizione nazionale specifica ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva.

2.

Se una disposizione di una convenzione contro le doppie imposizioni stipulata fra due Stati membri e redatta secondo il modello di convenzione fiscale dell’OCSE, in base alla quale la tassazione dei dividendi distribuiti è subordinata al fatto che il soggetto percettore ne sia considerato il beneficiario effettivo, costituisca una disposizione convenzionale contro gli abusi ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva.

2.1.

In caso affermativo, se il termine «convenzionali» di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva, debba essere interpretato nel senso che esso presuppone che uno Stato membro possa, secondo il proprio diritto interno, invocare la convenzione sulle doppie imposizioni a detrimento del contribuente.

3.

Qualora la Corte risponda affermativamente alla questione sub 2, se spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di «beneficiario effettivo» ovvero se, nell’applicazione della direttiva 90/435, tale nozione debba essere interpretata nel senso che occorra attribuirle un significato proprio secondo il diritto dell’Unione, soggetto al controllo della Corte di giustizia.

4.

Nel caso in cui la Corte dovesse rispondere alla questione sub 2 in senso affermativo e alla questione sub 3 nel senso che non spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di «beneficiario effettivo», ovvero se tale nozione debba essere interpretata nel senso che una società residente in uno Stato membro che, in circostanze come quelle di specie, percepisca dividendi da una società figlia residente in un altro Stato membro, costituisca il «beneficiario effettivo» di detti dividendi, nel senso che detta nozione debba essere interpretata secondo il diritto dell’Unione.

a)

Se la nozione di «beneficiario effettivo» debba essere interpretata conformemente alla nozione corrispondente di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della direttiva 2003/49/CE del Consiglio del 3 giugno 2003, concernente il regime fiscale comune applicabile ai pagamenti di interessi e di canoni fra società consociate di Stati membri diversi (GU 2003, L 157, pag. 49) («direttiva interessi e canoni»), in combinato disposto con l’articolo 1, paragrafo 4, della direttiva stessa.

b)

Se tale nozione tale nozione debba essere interpretata esclusivamente alla luce dei commentari all’articolo 10 del modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977 (paragrafo 12), ovvero se nell’interpretazione possa tenersi conto dei commentari successivi, comprese le aggiunte effettuate nel 2003 relativamente alle «società interposte», nonché le aggiunte effettuate nel 2014 relativamente alle «obbligazioni contrattuali o legali».

c)

Ai fini della valutazione della questione se il percettore dei dividendi debba esserne considerato quale «beneficiario effettivo», quale rilevanza debba essere attribuita al fatto che detto percettore sia tenuto a trasferire tali dividendi a terzi in forza di un’obbligazione contrattuale o legale.

d)

Ai fini della valutazione della questione se il percettore dei dividendi debba esserne considerato il «beneficiario effettivo», quale rilevanza debba essere attribuita al fatto che il giudice del rinvio, dopo avere accertato i fatti di causa, concluda che il percettore – senza essere tenuto in forza di un’obbligazione contrattuale o legale a trasferire a terzi i dividendi percepiti – non avesse il «pieno» diritto di «utilizzo e fruizione» dei dividendi stessi, ai sensi dei commentari del 2014 al modello di convenzione fiscale dell’OCSE del 1977.

5.

Qualora debba ritenersi, nella specie, l’esistenza di «disposizioni nazionali (…) necessarie per evitare le frodi e gli abusi» (v. articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435/CEE), che una società A, residente in uno Stato membro, abbia corrisposto dividendi alla propria società madre B, residente in un altro Stato membro, che li ha poi a sua volta trasferiti alla propria società madre C, residente al di fuori dell’UE/SEE, che a sua volta li ha trasferiti alla sua società madre D, anch’essa residente al di fuori dell’UE/SEE, che non sia stata stipulata nessuna convenzione sulle doppie imposizioni fra il primo Stato e lo Stato di residenza della società C, che sia stata stipulata una convenzione contro le doppie imposizioni fra il primo Stato e lo Stato di residenza della società D, che il primo Stato, ai sensi della propria legislazione, non possa esigere una ritenuta alla fonte sui dividendi corrisposti dalla società A alla società D, nel caso in cui la società D detenesse direttamente la società A: se sussista, in tal caso, un abuso ai sensi della direttiva, con la conseguenza che la società B non possa avvalersi della tutela conferita da tale direttiva.

6.

Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435, relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società figlia), se l’articolo 43 CE, in combinato disposto con l’articolo 48 CE (e/o l’articolo 56 CE), osti a una normativa in base alla quale quest’ultimo Stato membro assoggetta a imposta i dividendi della società madre residente nell’altro Stato membro, laddove lo Stato membro in questione consideri, in circostanze altrimenti simili, che le società madri residenti sono esenti dall’imposta su detti dividendi.

7.

Qualora che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società figlia) e che quest’ultimo Stato consideri che la società madre sia parzialmente imponibile relativamente a tali dividendi nello Stato membro medesimo, se l’articolo 49 TFUE, in combinato disposto con l’articolo 54 TFUE, osti a una normativa per effetto della quale quest’ultimo Stato membro imponga alla società tenuta ad applicare la ritenuta alla fonte (società figlia) di versare, in caso di versamento tardivo della ritenuta medesima, interessi moratori ad un tasso più elevato rispetto a quello applicato dallo Stato membro stesso ai crediti relativi all’imposta sulle società nei confronti di una società residente nel medesimo Stato membro.

8.

Nel caso in cui la Corte risponda affermativamente alla questione sub 2 e risponda alla questione sub 3 nel senso che non spetti ai giudici nazionali definire il contenuto della nozione di «beneficiario effettivo», e, di conseguenza, una società (società madre) residente in uno Stato membro non possa essere considerata, di fatto, esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società figlia), se quest’ultimo Stato membro sia dunque tenuto, ai sensi della direttiva 90/435 o dell’articolo 10 CE, a dichiarare quale sia il soggetto che esso considera beneficiario effettivo.

9.

Qualora si ritenga che, di fatto, una società residente in uno Stato membro (società madre) non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi percepiti da una società residente in un altro Stato membro (società figlia), se l’articolo 43 CE, in combinato disposto con l’articolo 48 (e/o, in subordine, l’articolo 56 CE), separatamente o congiuntamente, osti a una normativa in base alla quale:

a)

l’ultimo Stato membro imponga alla società figlia l’applicazione della ritenuta alla fonte sui dividendi attribuendole la responsabilità nei confronti dell’amministrazione per omessa applicazione della ritenuta alla fonte, laddove l’obbligo di applicazione della ritenuta alla fonte non sussista nell’ipotesi in cui la società madre sia residente in tale Stato membro.

b)

l’ultimo Stato membro calcoli gli interessi moratori sulla ritenuta alla fonte dovuta.

Si chiede alla Corte di giustizia di tener conto, nella risposta alla questione sub 9, della risposta data alle questioni sub 6 e 7.

10.

In una situazione in cui:

1)

una società residente in uno Stato membro (società madre) soddisfi il requisito di cui alla direttiva 90/435 di detenere (nel 2005 e nel 2006) una partecipazione pari quantomeno al 20% del capitale di una società (società figlia) residente in un altro Stato membro;

2)

debba ritenersi che, di fatto, la società madre non sia esente dalla ritenuta alla fonte ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 90/435 relativamente ai dividendi distribuiti dalla società figlia;

3)

l’azionista o gli azionisti (diretti o indiretti) della società madre, residenti in un paese non appartenente all’UE/SEE, siano considerati i beneficiari effettivi dei dividendi in questione;

4)

l’azionista o gli azionisti (diretti o indiretti) soddisfino parimenti tale requisito relativo alla partecipazione al capitale;

se l’articolo 56 CE osti a una normativa per effetto della quale lo Stato membro di residenza della società figlia assoggetti ad imposta i dividendi in questione, quando detto Stato membro consideri che le società residenti che soddisfino i requisiti di partecipazione al capitale di cui alla direttiva 90/435, ossia che negli esercizi fiscali 2005 e 2006 detenessero una partecipazione quantomeno pari al 20% (negli esercizi 2007 e 2008 al 15% e successivamente al 10%) del capitale sociale della società distributrice dei dividendi, siano esenti da imposta sui dividendi medesimi.

30.

Con ordinanza del 13 luglio 2016, le cause C‑116 e C‑117 sono state riunite. Hanno presentato osservazioni scritte in relazione alle questioni pregiudiziali nelle cause riunite dinanzi alla Corte la T Danmark, la Y Denmark, il Regno di Danimarca, la Repubblica federale di Germania, il Regno di Svezia, la Repubblica italiana, il Regno dei Paesi Bassi, nonché la Commissione europea. Hanno partecipato all’udienza del 10 ottobre 2017 – la quale ha riguardato anche le cause C‑115/16, C‑118/16, C‑119/16 e C‑299/16 – la T Danmark, la Y Denmark, il Regno di Danimarca, la Repubblica di Germania, il Granducato del Lussemburgo e la Commissione europea.

V. Analisi

A. Sulla determinazione del beneficiario dei dividendi nel caso di un abuso da parte del contribuente (questioni da 1 a 5)

31.

È pacifico inter partes che la distribuzione dei dividendi in questione ricada sostanzialmente nella sfera di applicazione della direttiva sulle società madri e figlie. Di conseguenza, la Danimarca, quale Stato di stabilimento della società distributrice, dovrebbe esentare, ai sensi dell’articolo 5 della direttiva, i dividendi dalla ritenuta alla fonte. Tuttavia, la Danimarca sembra ritenere che il diniego dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte sia giustificato dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie. Ai sensi di tale disposizione, la direttiva non osta all’applicazione di disposizioni nazionali necessarie per evitare le frodi e gli abusi.

32.

Con le questioni pregiudiziali dalla prima alla quinta, il giudice del rinvio chiede effettivamente, principalmente, se uno Stato membro possa fondarsi sull’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, solo qualora lo stesso abbia adottato una disposizione nazionale ai fini della sua attuazione (B.1) e, in caso di risposta affermativa, se l’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), della legge in materia di imposta sulle società o una disposizione di una CDI, la quale utilizzi la nozione di beneficiario effettivo, debba essere considerato quale sufficiente attuazione (B.2). In tal caso, il giudice del rinvio chiede chi e in qual modo debba interpretare la nozione di beneficiario effettivo, e in che modo.

33.

Tuttavia, tutte queste questioni hanno un senso solo qualora ricorrano effettivamente i requisiti di cui all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie. Quest’ultimo esige una frode o un abuso dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte da parte della Y Cyprus nel caso di specie. Occorre pertanto risolvere anzitutto la quinta questione.

34.

Verranno dunque illustrati i requisiti necessari per concludere nel senso della sussistenza di un abuso nell’ambito di applicazione della direttiva sulle società madri e figlie (2). Preliminarmente verrà esaminata in dettaglio la portata del divieto di imposizione alla fonte risultante dall’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie (1).

1.   La ratio del divieto di imposizione alla fonte di cui all’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie

35.

La direttiva sulle società madri e figlie, come risulta dal suo terzo considerando, mira ad eliminare, mediante l’istituzione di un regime fiscale comune, qualsiasi penalizzazione della cooperazione tra società di Stati membri diversi rispetto alla cooperazione tra società di uno stesso Stato membro e a facilitare in tal modo il raggruppamento di società a livello dell’Unione. La direttiva tende così ad assicurare, sotto il profilo fiscale, la neutralità della distribuzione di utili da parte di una società controllata con sede in uno Stato membro alla sua controllante stabilita in un altro Stato membro ( 5 ).

36.

A tal fine, l’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie, rimette agli Stati membri la scelta tra due sistemi, ossia tra il sistema di esenzione e quello di imputazione. Infatti, come si legge nei considerando 7 e 9 della direttiva medesima, tale disposizione precisa che quando una società madre, in virtù del rapporto di partecipazione tra la società madre e la sua società figlia, riceve utili distribuiti in occasione diversa dalla liquidazione della società figlia, lo Stato membro della società madre o si astiene dal tassare tali utili laddove questi non siano deducibili per la società figlia, e li tassa invece laddove siano deducibili per la società figlia, oppure li sottopone a imposizione, autorizzando però la società madre a dedurre dal quantum dell’imposta la frazione dell’imposta societaria relativa a detti utili e assolta dalla società figlia e da una sua sub‑affiliata, nei limiti del corrispondente importo del debito fiscale ( 6 ).

37.

L’articolo 4 della direttiva mira in tal modo ad evitare che gli utili distribuiti ad una società madre residente da parte di una società figlia non residente siano tassati in un primo momento in capo alla società figlia nello Stato di residenza della stessa, ed in un secondo momento in capo alla società madre nello Stato di residenza di quest’ultima ( 7 ).

38.

L’articolo 4 della direttiva sulle società madri e figlie riguarda la doppia imposizione economica, in quanto i dividendi provengono, di norma, da redditi già tassati della controllata (ossia previamente assoggettati all’imposta sulle società di uno Stato membro) e facenti parte, in capo alla società madre, dei redditi della medesima (e pertanto assoggettati nuovamente all’imposta sulle società di un altro Stato membro). All’interno di un gruppo di una certa rilevanza, l’onere fiscale dipende dunque dal numero dei livelli del gruppo, i quali, nella maggior parte dei casi, sono dovuti a motivi di natura meramente organizzativa. L’articolo 4 della direttiva sulle società madri e figlie tiene pertanto conto anche della circostanza che le persone giuridiche possono essere liberamente moltiplicate, senza che ciò implichi un mutamento delle persone operanti dietro alle medesime né dunque degli utili da esse ricavati agendo tramite tali persone giuridiche.

39.

L’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie, completa tale concetto, prevedendo al contempo, per garantire la neutralità fiscale della controllata, che debbano essere esentati dalla ritenuta alla fonte gli utili distribuiti dalla società figlia alla società madre ( 8 ). In tal modo, l’articolo 5, paragrafo 1, di tale direttiva, al fine di evitare la doppia imposizione, sancisce il divieto fondamentale di applicare una ritenuta alle fonte sugli utili distribuiti da una società figlia con sede in uno Stato membro alla sua società madre con sede in un altro Stato membro ( 9 ).

40.

Nel vietare agli Stati membri di operare una ritenuta alla fonte sugli utili distribuiti da una società figlia residente alla sua società madre non residente, l’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie, limita la giurisdizione degli Stati membri quanto all’imposizione degli utili distribuiti dalle società stabilite nel proprio territorio nazionale alle società stabilite in un altro Stato membro ( 10 ). Di conseguenza, gli Stati membri non possono istituire unilateralmente provvedimenti restrittivi e subordinare ad una serie di condizioni il diritto di beneficiare dell’esenzione dalla ritenuta alla fonte previsto dal suddetto articolo 5, paragrafo 1 ( 11 ). Il diritto all’esenzione dalla ritenuta alla fonte non è pertanto subordinato al requisito della residenza degli azionisti della società madre nel territorio nazionale oppure dell’indicazione, da parte del soggetto distributore dei dividendi, del successivo impiego di questi ultimi da parte del loro beneficiario.

41.

Nel caso dell’articolo 5, paragrafo 1, della direttiva sulle società madri e figlie, si tratta di prevenire un’ulteriore doppia imposizione (qui piuttosto di carattere giuridico). Come la Corte ha, infatti, già avuto modo di dichiarare, nel caso di un prelievo alla fonte viene tassato, in realtà, il beneficiario dei redditi (nella specie, dei dividendi) ( 12 ). Un prelievo alla fonte nello Stato di stabilimento del distributore dei dividendi non costituisce, pertanto, una forma d’imposta autonoma, bensì unicamente una particolare tecnica impositiva. Un prelievo alla fonte presso il soggetto pagatore tramite il rispettivo Stato di stabilimento e una tassazione «normale» in capo al beneficiario dei dividendi attraverso il suo Stato di stabilimento sfocia di per sé in una doppia imposizione e, generalmente, anche in una penalizzazione rispetto ad una fattispecie interna.

42.

Proprio nel caso di strutture di gruppo transfrontaliere estese, in assenza di un’esenzione ad entrambi i livelli, tale effetto a cascata verrebbe moltiplicato, qualora, al contempo, operasse ogni volta anche una ritenuta alla fonte. Che in ciò sia ravvisabile un ostacolo al funzionamento del mercato interno appare innegabile.

43.

Al fine di prevenire tale doppia imposizione a cascata, economica e giuridica, è tuttavia irrilevante se il beneficiario dei dividendi sia anche il «beneficiario effettivo» dei dividendi o una figura analoga. Decisivo è, piuttosto, se l’imposta sulle società gravi sul distributore dei dividendi e se il beneficiario dei dividendi sia tenuto a corrispondere nuovamente l’imposta sulle società sui dividendi. Lo stesso ragionamento vale per il divieto di ritenuta alla fonte. A tal fine, è determinante se i redditi da dividendi siano assoggettati all’imposta sulle società nello Stato di stabilimento.

44.

Pertanto, è senz’altro sensato che la direttiva sulle società madri e figlie (diversamente dalla direttiva interessi e canoni ( 13 )) faccia riferimento «unicamente» al fatto che vengano distribuiti utili da una controllata alla propria società madre (a partire da una determinata quota di partecipazione). Poiché i dividendi – diversamente dagli interessi – non costituiscono, in linea di principio, spese di esercizio che riducono gli utili, è altresì ipotizzabile che la direttiva sulle società madri e figlie non contenga, alla luce del suo tenore, ulteriori criteri sostanziali (quali la riscossione di dividendi in nome proprio e per proprio conto o criteri analoghi).

45.

Il diritto di percepire i dividendi consegue, in definitiva, dalla posizione societaria quale società madre, la quale può essere ricoperta soltanto in nome proprio. Anche un’attività per conto altrui mi sembra, nella specie, difficilmente ipotizzabile. Essa non può in ogni caso essere desunta unicamente dall’esistenza di una «società capogruppo». Di conseguenza, sono ricomprese, in linea di principio, tutte le corresponsioni di dividendi di una società figlia alla propria società madre residente in un altro Stato membro, qualora la società – circostanza pacifica nel caso di specie – soddisfi i requisiti di cui all’articolo 2 della direttiva sulle società madri e figlie.

46.

Taluni limiti vengono posti unicamente dall’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, il quale prevede che la direttiva non osti all’applicazione di disposizioni nazionali o convenzionali necessarie al fine di evitare le frodi e gli abusi.

2.   La nozione di abuso nel diritto dell’Unione

47.

L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, riflette il principio generale del diritto dell’Unione secondo il quale nessuno può avvalersi abusivamente o fraudolentemente dei diritti derivanti dall’ordinamento giuridico dell’Unione ( 14 ). L’applicazione di una normativa di diritto dell’Unione non può, infatti, estendersi fino a comprendere i comportamenti abusivi degli operatori economici, vale a dire operazioni realizzate non nell’ambito di normali transazioni commerciali, bensì al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione ( 15 ).

48.

Al riguardo, la formulazione letterale della disposizione non fornisce contorni più precisi al significato di abuso che ne è alla base ( 16 ). Tuttavia, in quanto disposizione derogatoria, l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, va interpretato restrittivamente ( 17 ). Per quanto attiene ai provvedimenti volti ad evitare gli abusi, ciò è parimenti imposto, in particolare, dal principio della certezza del diritto. Infatti, laddove il singolo soddisfi tutti i requisiti formali per far valere un diritto, solo in casi particolari potrà essere ammissibile negare tale diritto eccependo la sussistenza di un abuso.

49.

Indizi in tal senso ai fini della qualificazione come abuso si evincono tuttavia da altre direttive UE. Così, nella direttiva in materia di fusioni ( 18 ), quale esempio tipico della sussistenza di un obiettivo di tal genere, il secondo periodo del suo articolo 11, paragrafo 1, lettera a), menziona l’assenza di valide ragioni economiche che giustifichino l’operazione in questione. Inoltre, l’articolo 6 definisce, nella direttiva recante norme contro le pratiche di elusione fiscale ( 19 ) (in prosieguo: la «direttiva 2016/1164») – non ancora applicabile agli esercizi controversi –, la nozione di abuso. Ai sensi di tale disposizione, è determinante la sussistenza di una costruzione che, essendo stata posta in essere allo scopo principale o a uno degli scopi principali di ottenere un vantaggio fiscale che è in contrasto con l’oggetto o la finalità della normativa tributaria applicabile, non è genuina. Ai sensi del paragrafo 2, una costruzione è considerata non genuina nella misura in cui non sia stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchiano la realtà economica.

50.

Non da ultimo la Corte ha dichiarato, in più occasioni, che per essere giustificata da motivi di lotta a pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale ( 20 ). Come la Corte ha avuto modo, medio tempore, di dichiarare ripetutamente, è sufficiente, a tal fine, che la costruzione sia intesa non esclusivamente non esclusivamente ( 21 ), bensì essenzialmente ad ottenere un vantaggio fiscale ( 22 ).

51.

Tale giurisprudenza della Corte contiene pertanto due elementi interdipendenti. Da un lato, viene negato a priori il riconoscimento a costruzioni meramente artificiose, esistenti in fin dei conti solo sulla carta. Inoltre, viene accordata un’importanza decisiva all’elusione della normativa fiscale, la quale può essere realizzata anche con l’ausilio di costruzioni esistenti nella realtà economica. Quest’ultima ipotesi è probabilmente la più frequente ed è adesso contemplata espressamente anche nel nuovo articolo 6 della direttiva 2016/1164. La Corte stessa, in una recente decisione, ravvisa parimenti nel carattere puramente fittizio soltanto un indizio del fatto che l’ottenimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale perseguito ( 23 ).

52.

La sussistenza di un abuso dipende da una valutazione globale di tutte le circostanze del caso concreto, che è compito delle autorità nazionali competenti effettuare e che deve poter essere oggetto di controllo giurisdizionale ( 24 ). È pur vero che tale valutazione globale dev’essere effettuata dal giudice del rinvio ( 25 ). Al fine di valutare se le operazioni vengano realizzate nell’ambito di normali operazioni commerciali ovvero al solo scopo di beneficiare abusivamente dei vantaggi previsti dal diritto dell’Unione ( 26 ), la Corte può tuttavia fornire indizi utili al giudice del rinvio ( 27 ).

3.   Criteri per il caso di specie

a)   Sull’esistenza di una costruzione meramente artificiosa

53.

La Corte non è in grado di stabilire se possa ritenersi sussistente una costruzione meramente artificiosa, priva di effettività economica. Da un lato, i fatti esposti dal giudice del rinvio sono lungi dall’essere sufficienti a tal fine. Dall’altro, la valutazione di tali fatti spetta al giudice del rinvio. La Corte può fornire unicamente delle indicazioni.

54.

Una costruzione meramente artificiosa, priva di effettività economica, potrebbe eventualmente essere ritenuta sussistente nella specie. Depongono in tal senso le circostanze esposte dal giudice del rinvio. Così, la Y Cyprus non ha dipendenti e apparentemente neanche uffici propri. Di conseguenza, tale società non aveva né costi di personale né spese per l’uso degli uffici. Neanche la remunerazione dei membri del consiglio di amministrazione è indice di attività significative. Inoltre, neppure la gestione patrimoniale sembra aver generato redditi autonomi. Tutto il complesso risulta estremamente artificioso. In circostanze del genere, una persona fisica avrebbe da tempo cessato la propria attività economica.

55.

Sebbene la Corte abbia recentemente dichiarato che la circostanza che l’attività consista unicamente nell’amministrazione di beni economici e che i redditi derivino esclusivamente da tale amministrazione non implica l’esistenza di una costruzione puramente artificiosa, priva di qualsiasi effettività economica ( 28 ), sussistono tuttavia dubbi, nella specie, se le attività delle società cipriota non abbiano luogo, in realtà, unicamente sulla carta, considerato che non risulta neppure un qualsivoglia reddito dalla «funzione di tesoreria» della società.

56.

Alla luce della circostanza che particolarmente le società che svolgono attività di gestione patrimoniale esercitano (possono esercitare) di per sé poche attività, tale criterio dovrebbe essere subordinato a requisiti poco rigorosi. Qualora una società validamente costituita non dovesse tuttavia disporre in loco neanche delle corrispondenti risorse materiali e personali al fine di realizzare essa stessa, con i propri mezzi, i propri obiettivi (nella specie, le «attività di tesoreria»), si può senz’altro parlare di una costruzione puramente artificiosa, priva di qualsiasi effettività economica. Ciò vale, in particolare, qualora essa non dovesse essere in grado, sotto il profilo strutturale, di generare redditi propri che la pongano nelle condizioni di farlo.

57.

Una persona giuridica a tal punto passiva che qualsiasi ipotizzabile partecipazione ai rapporti giuridici avviene al massimo tramite terzi; che non svolge attività proprie e che non genera pertanto neanche redditi e costi propri, potrebbe essere definita, a mio avviso, una costruzione meramente artificiosa. Si tratta tuttavia, in definitiva, di una questione di fatto, la cui soluzione spetta al giudice del rinvio.

b)   Motivi rilevanti estranei al diritto tributario

58.

Inoltre, indipendentemente da tale valutazione dei fatti, una costruzione fiscale abusiva può sussistere anche al di là di una costruzione meramente artificiosa, priva di qualsiasi effettività economica, come emerge dal testo del nuovo articolo 6 della direttiva 2016/1164. Al riguardo, possono rivestire un’importanza decisiva, nella specie, anche altri criteri, in particolare motivi rilevanti estranei al diritto tributario.

59.

Come la Corte di giustizia ha già avuto modo di dichiarare in ordine alla direttiva sulle società madri e figlie, i meccanismi di partecipazione diretti al solo scopo di approfittare dei vantaggi fiscali previsti nella direttiva costituiscono una forma di abuso ( 29 ). In tal senso, anche per la direttiva sulle società madri e figlie vale l’esigenza che sussistano motivi economici che abbiano determinato la scelta di quella determinata struttura. Al mero intento di conseguire un vantaggio puramente fiscale privo di alcuna relazione con una realtà economica non viene riconosciuta tutela ( 30 ).

60.

Rivestono pertanto un’importanza decisiva, nella specie, altri criteri, in particolare motivi rilevanti estranei al diritto tributario.

61.

Secondo la giurisprudenza della Corte, il fatto di stabilire la sede, legale o effettiva, di una società, in conformità alla legislazione di uno Stato membro, al fine di beneficiare di una legislazione più vantaggiosa, non costituisce di per sé un abuso ( 31 ). La merca circostanza che nella catena di partecipazioni siano state coinvolte anche società residenti a Cipro, non è pertanto sufficiente per concludere nel senso di un abuso.

62.

Inoltre, il contribuente, laddove possa scegliere tra due alternative, non è obbligato ad optare per quella fiscalmente più onerosa, ma, piuttosto, ha il diritto di scegliere la forma di conduzione degli affari che gli consenta di contenere i propri oneri fiscali ( 32 ). In tal modo – sempre secondo la Corte – i contribuenti sono generalmente liberi di scegliere le strutture organizzative e le modalità operative che ritengano più idonee per le loro attività economiche nonché al fine di limitare i loro oneri fiscali ( 33 ). neanche la mera circostanza che, nel caso in esame, si sia optato per un’operazione strutturata in modo tale da evitare l’onere fiscale massimo (nella specie, una tassazione alla fonte supplementare e definitiva) può essere definita un abuso.

63.

Inoltre, – al di là di una costruzione meramente artificiosa, priva di effettività economica – un cittadino dell’Unione, persona fisica o giuridica, non può essere privato della possibilità di avvalersi delle disposizioni del Trattato solo perché abbia inteso approfittare dei vantaggi fiscali offerti dalle norme in vigore in uno Stato membro diverso da quello in cui risiede ( 34 ). Pertanto, un’operazione – come quella in esame nella specie – strutturata in modo tale da includere uno Stato membro che abbia rinunciato alla tassazione alla fonte, non può per questo solo fatto essere considerata.

64.

In tal senso, la libertà di stabilimento comprende anche la scelta dello Stato membro che offre all’impresa in questione le condizioni a suo avviso più favorevoli sotto il profilo fiscale. Se tale principio vale già nel diritto in materia di IVA, manifestamente più armonizzato ( 35 ), esso deve valere, a maggior ragione, nel diritto in materia di imposte sui redditi, scarsamente armonizzato, nel quale una divergenza fra le normative tributarie ( 36 ) dei rispettivi Stati membri è voluta a livello di diritto dell’Unione ovvero viene consapevolmente accettata a livello politico.

65.

Inoltre, la Corte ha precisato che l’esenzione fiscale dei dividendi prevista nel diritto dell’Unione non dipende dall’origine o dalla residenza degli azionisti, in quanto ciò resta irrilevante nella direttiva sulle società madri e figlie ( 37 ). Pertanto, neanche la circostanza che l’azionista della Y Denmark sia residente a Cipro ovvero che l’azionista della sua società madre sia residente in un paese terzo (nella specie, le Bermuda), è, considerata isolatamente, abusiva.

c)   Sull’elusione della finalità normativa

66.

Particolare rilievo assume il fatto che i beneficiari ultimi delle distribuzioni abbiano spesso la propria sede in determinati paesi terzi (di norma, su talune piccole isole, come le isole Cayman ( 38 ), Jersey ( 39 ) oppure, come nelle specie, alle Bermuda), noti per la mancanza di cooperazione con altre amministrazioni finanziarie. Ciò potrebbe essere eventualmente indice di un modus operandi inusuale nel suo complesso, la cui motivazione economica non è, prima facie, comprensibile.

67.

Pertanto, nel caso di specie, nella costruzione complessiva la natura abusiva potrebbe essere ravvisata in considerazione non tanto dell’«intervento» di una società cipriota, quanto piuttosto dello «stabilimento» del beneficiario finale delle distribuzioni in determinati paesi terzi. A questo punto, importanza particolare potrebbe rivestire l’obiettivo della costruzione ovvero la finalità della normativa tributaria elusa (nella specie, della tassazione in Danimarca).

1) Elusione dell’imposta danese sul reddito?

68.

Occorre anzitutto rilevare che la Danimarca non è stata privata della tassazione degli utili della società operativa (Y Danmark). Tali utili sono stati regolarmente assoggettati ad imposta nello Stato di stabilimento (ossia in Danimarca). I dividendi sono pertanto assoggettati all’imposta danese sulle società.

69.

La società cipriota è integralmente imponibile a Cipro e ai suoi redditi viene ivi applicata l’imposta sulle società. La situazione non cambia per il fatto che tale società non disponga di redditi positivi negli esercizi controversi. Ricorrono pertanto i presupposti di cui all’articolo 2 della direttiva sulle società madri e figlie. L’esenzione fiscale dei dividendi a Cipro è conforme alla ratio della direttiva e tiene conto dell’imposta danese sulle società assolta a monte.

70.

La circostanza che Cipro non proceda ad una tassazione alla fonte qualora i dividendi vengano versati ad azionisti in paesi terzi è, al riguardo, irrilevante. Tale decisione è la conseguenza dell’autonomia fiscale di ciascuno Stato. Se già nell’Unione, a causa dell’assenza di armonizzazione delle imposte sui redditi, il diritto dell’Unione consente la concorrenza fiscale fra gli Stati membri, ad un contribuente non può essere contestato di essersi effettivamente avvalso anche in concreto (vale a dire non solo sulla carta), dei vantaggi connessi all’ubicazione offerti da singoli Stati membri.

2) Prevenzione dello sfruttamento di lacune informative transfrontaliere

71.

In ultima analisi, per mezzo dell’intervento della società cipriota viene elusa, in definitiva, «soltanto» una tassazione alla fonte dei pagamenti dei dividendi corrisposti in Danimarca. Tuttavia, come già menzionato supra (paragrafo 41), nel caso dell’imposizione alla fonte viene tassato, in realtà, il beneficiario dei redditi (nella specie, dei dividendi) ( 40 ). Ciò avviene mediante l’applicazione della ritenuta alla fonte, ad opera del soggetto pagatore, su una parte dei redditi al momento del pagamento.

72.

La tassazione alla fonte nello Stato di stabilimento del debitore dei dividendi non costituisce pertanto un tipo di imposta autonoma, bensì unicamente una particolare tecnica impositiva, finalizzata ad assicurare, in sostanza, una tassazione (minima) del beneficiario dei dividendi. Infatti, in particolare nel caso di fattispecie estere, non sempre vi è la garanzia che il beneficiario assoggetti debitamente ad imposta i propri redditi. In genere, lo Stato di stabilimento del beneficiario dei dividendi raramente viene a conoscenza dei redditi del medesimo provenienti dall’estero, qualora fra le amministrazioni finanziarie non esistano sistemi funzionanti di scambio dei dati, come ormai avviene nell’Unione.

73.

Di conseguenza, per concludere nel senso di un’elusione abusiva della ratio della normativa (garanzia della tassazione del beneficiario dei dividendi), dovrebbero ricorrere due requisiti. Da un lato, nel caso di un versamento diretto, deve sussistere in generale una pretesa impositiva della Danimarca (cfr. al riguardo paragrafi 88 e segg.). Dall’altro, deve esistere un rischio di non assoggettamento ad imposta per effetto dell’omessa considerazione di tali redditi nello Stato effettivamente destinatario.

74.

Pertanto, qualora un motivo alla base della scelta della struttura dell’operazione dovesse essere individuato nella corresponsione di dividendi agli investitori facendoli fluire attraverso uno paese terzo, affinché gli Stati in cui essi risiedono non ricevano alcuna informazione sui loro redditi, in tale costruzione complessiva dovrà essere allora ravvisato, a mio avviso, un abuso di diritto.

75.

Tale contestazione di abuso potrebbe a sua volta essere confutata nel caso in cui i fondi di investimento mettano a disposizione degli Stati di stabilimento degli investitori le corrispondenti informazioni fiscali oppure qualora lo Stato di stabilimento dei fondi di investimento sia in possesso delle corrispondenti informazioni e le trasmetta ai relativi Stati. Una simile struttura imprenditoriale non eluderebbe, in tal caso, l’obiettivo della ritenuta alla fonte evasa (cfr. al riguardo supra, paragrafo 72). Anche tale considerazione dev’essere inclusa dal giudice nella propria valutazione complessiva.

76.

Qualora l’obiettivo della costruzione dovesse consistere nel raggruppare, in maniera neutrale sotto il profilo fiscale, i dividendi delle società europee del gruppo, per poi trasferirli alla società capogruppo, la quale li assoggetta debitamente ad imposta nel proprio Stato di stabilimento (nella specie, gli Stati Uniti), sembra essere difficile poter concludere nel senso della sussistenza di un abuso. Ciò vale, in particolare, qualora, nel caso di una distribuzione diretta alla società capogruppo statunitense, non fosse stata operata una ritenuta alla fonte, data l’esistenza di una corrispondente CDI.

d)   Conclusione sulla quinta questione

77.

Nel caso dell’elusione di una tassazione alla fonte in relazione alla distribuzione di dividendi a favore di società residenti in paesi terzi rileva, in via principale, l’elusione della tassazione dei dividendi presso i loro beneficiari effettivi (ossia gli investitori). Nel caso di specie, è possibile concludere nel senso della sussistenza di un abuso in particolare qualora la struttura imprenditoriale scelta miri a sfruttare talune lacune informative fra gli Stati coinvolti al fine di impedire una tassazione effettiva di tali investitori. Tale eventualità dovrà essere valutata dal giudice del rinvio.

4.   Questione dell’interpretazione della direttiva sulle società madri e figlie in conformità ai commentari ai modelli di convenzione OCSE (terza e quarta questione)

78.

Con la terza e con la quarta questione, il giudice del rinvio chiede se, al fine di negare l’esenzione dalla ritenuta alla fonte risultante dalla direttiva sulle società madri e figlie ai sensi di un accordo di diritto internazionale concluso dalla Danimarca con un altro Stato (nella specie, una CDI), occorra assumere un’interpretazione di fondo del diritto dell’Unione, soggetta al sindacato della Corte. Il giudice a quo chiede, inoltre, se, ai fini di un’interpretazione conforme al diritto dell’Unione, occorra parimenti tener conto dei commentari ai modello di convenzione OCSE e, in caso di risposta affermativa, anche dei commentari relativi ad un modello di convenzione OCSE elaborato successivamente all’adozione della direttiva.

79.

Nei commentari al modello di convenzione OCSE posteriori, le cosiddette società interposte non vengono infatti solitamente considerate come beneficiarie effettive, qualora esse – pur essendo beneficiarie effettive sotto il profilo formale – abbiano in pratica competenze estremamente ristrette, che ne fanno, in relazione ai redditi controversi, unicamente un fiduciario o un amministratore che agisce per conto delle parti interessate.

80.

Qualora uno Stato membro intenda limitare un’esenzione fiscale risultante dal diritto dell’Unione a scapito del singolo, una simile disciplina restrittiva dev’essere interpretata sempre alla luce del diritto dell’Unione. Pertanto, al fine di fornire una risposta utile al giudice del rinvio, dev’essere interpretata la direttiva sulle società madri e figlie. Ai fini di tale interpretazione, potrebbe farsi riferimento anche ai modelli di convenzione OCSE e ai commentari a siffatti modelli di convenzione.

81.

I modelli di convenzione OCSE non sono, tuttavia, diritto dell’Unione né sono giuridicamente vincolanti per la Corte. Essi non sono trattati di diritto internazionale multilaterali, bensì atti unilaterali di un’organizzazione internazionale sotto forma di raccomandazioni ai propri Stati membri. Anche la stessa OCSE ritiene che tali raccomandazioni non siano vincolanti; piuttosto, gli Stati membri sono tenuti, secondo il regolamento di procedura dell’OCSE, a verificare l’opportunità di aderirvi ( 41 ). Ciò vale, a maggior ragione, per i commentari adottati al riguardo dall’OCSE, i quali si limitano a contenere, in definitiva, opinioni giuridiche.

82.

Tuttavia, secondo una giurisprudenza costante, non è irragionevole che gli Stati membri, in sede di ripartizione equilibrata del potere impositivo ad essi incombente, si ispirino alla prassi internazionale, quale si riflette nei modelli di convenzione ( 42 ). Ciò vale anche qualora ci si ispiri all’opinio juris internazionale che può riflettersi nei commentari al modello di convenzione OCSE.

83.

I commentari ai modelli di convenzione OCSE non possono tuttavia incidere direttamente sull’interpretazione di una direttiva UE (e pertanto neanche su un’interpretazione del diritto nazionale conforme al diritto dell’Unione). Al riguardo, tali commentari si limitano a riprodurre l’opinione di coloro che hanno lavorato ai modelli di convenzione OCSE, ma non quella del legislatore parlamentare o persino del legislatore dell’Unione. Un’interpretazione in tal senso potrebbe semmai risultare opportuna qualora dal tenore e dalla genesi della direttiva dovesse emergere che il legislatore dell’Unione si è ispirato al testo di un modello di convenzione OCSE e ai commentari (dell’epoca) inerenti a tale modello di convenzione OCSE.

84.

Pertanto, la Corte ha altresì già avuto modo di dichiarare che una disposizione di una CDI, interpretata alla luce dei commentari dell’OCSE al proprio pertinente modello di convenzione, non può limitare il diritto dell’Unione ( 43 ). Ciò vale, in particolare, per le modifiche del modello di convenzione OCSE e dei commentari poste in essere successivamente all’adozione della direttiva. In caso contrario, gli Stati contraenti dell’OCSE avrebbero la possibilità di decidere sull’interpretazione di una direttiva UE.

85.

Di conseguenza, la terza e la quarta questione possono essere risolte nel senso che la direttiva sulle società madri e figlie dev’essere interpretata in maniera autonoma sulla scorta del diritto dell’Unione e indipendentemente dall’articolo 10 del modello di convenzione del 1977 oppure di versioni successive.

86.

Inoltre, viene chiesto, in ultima analisi, se la nozione di beneficiario dei dividendi ai sensi della direttiva sulle società madri e figlie debba essere interpretata alla stregua della nozione di beneficiario effettivo ai sensi della direttiva interessi e canoni. Anche tale questione dev’essere risolta negativamente; infatti, come esposto supra (paragrafo 35), la direttiva sulle società madri e figlie segue un approccio diverso dalla direttiva interessi e canoni, e volutamente non utilizza pertanto la nozione di beneficiario effettivo.

B. Sull’indicazione del beneficiario effettivo dei dividendi (ottava questione)

87.

Con l’ottava questione, il giudice del rinvio chiede se lo Stato membro che non intenda riconoscere che il beneficiario dei dividendi sia parimenti il beneficiario ai sensi della direttiva sulle società madri e figlie, in quanto si tratterebbe soltanto una cosiddetta società interposta fittizia, sia tenuto a dichiarare quale sia il beneficiario effettivo dei dividendi. In tal modo, il giudice del rinvio solleva, in sostanza, la questione dell’onere della prova della sussistenza di un abuso.

88.

Un abuso delle costruzioni giuridiche possibili presuppone che si sia optato per una costruzione legale che deroghi alla costruzione normalmente scelta, la quale comporti un risultato più favorevole rispetto alla costruzione «normale». Quale «costruzione normale» dovrebbe essere considerata, nel caso di specie, una distribuzione diretta dei dividendi fra i fondi di investimento e la ricorrente nel procedimento principale. Tale «costruzione normale» dovrebbe avere come conseguenza anche un onere fiscale più elevato.

89.

Spetta, in linea di principio, all’amministrazione finanziaria dimostrare che l’approccio scelto è più vantaggioso, sotto il profilo fiscale, rispetto alla costruzione normale, fermo restando che al contribuente può incombere un certo obbligo di cooperazione. In tal caso, il contribuente può tuttavia produrre «eventualmente (…) elementi relativi alle ragioni commerciali soggiacenti alla transazione in questione» ( 44 ). Qualora emerga che lo scopo essenziale ( 45 ) non consista nell’elusione di imposte normalmente applicabili, l’approccio scelto non può essere considerato abusivo, tanto più che è lo Stato stesso che offre al contribuente la possibilità di ricorrere a costruzioni di tal genere.

90.

Dalla giurisprudenza della Corte ( 46 ) risulta inoltre che la presunzione di una pratica abusiva implica la determinazione della situazione quale sarebbe esistita senza le operazioni che hanno realizzato tale pratica e, successivamente, la valutazione di tale situazione ridefinita alla luce delle disposizioni pertinenti del diritto nazionale e del diritto dell’Unione. A tal fine deve tuttavia essere certa l’identità del beneficiario effettivo dei dividendi.

91.

Pertanto, dal punto di vista danese, un abuso ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, può sussistere soltanto se, nel caso di versamento diretto dei dividendi, dovesse avere luogo un corrispondente assoggettamento ad imposta in Danimarca. Ciò è tuttavia escluso dal diritto danese qualora, non prendendo in considerazione la cosiddetta società interposta, il beneficiario effettivo dei dividendi sia parimenti un’impresa con sede in un altro Stato membro oppure il beneficiario dei dividendi sia residente in uno Stato con il quale la Danimarca abbia concluso una CDI. Qualora, ad esempio, non la Y Bermudas, né la Y Cyprus, dovessero essere considerate quale beneficiario effettivo dei dividendi, bensì la società capogruppo statunitense, tale fattispecie, in base al diritto danese, sarebbe parimenti esente dalla ritenuta alla fonte.

92.

Di conseguenza, l’ottava questione può essere risolta nel senso che lo Stato membro che non intenda riconoscere che una società residente in un altro Stato membro – alla quale siano stati versati i dividendi – sia il beneficiario dei dividendi stessi, deve dichiarare, ai fini della presunzione di un abuso, quale sia, a suo avviso, il beneficiario effettivo dei dividendi. Ciò è necessario per poter accertare se, tramite la costruzione qualificata come abusiva, venga anzitutto conseguito un risultato più favorevole sotto il profilo fiscale. In particolare nel caso di fattispecie collocate all’estero, può tuttavia gravare sul contribuente un obbligo di collaborazione rafforzato.

C. Sul ricorso all’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie (questioni sub 1, 1.1 e 2)

93.

Con le questioni 1, 1.1 e 2., il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se (1) la Danimarca possa far valere direttamente l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, al fine di negare al contribuente l’esenzione dalla ritenuta alla fonte prevista all’articolo 5, paragrafo 1, della summenzionata direttiva. Se così non fosse, occorre chiarire se (2) la Danimarca abbia comunque sufficientemente attuato, con la normativa nazionale in esame, l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie.

1.   Esclusione dell’applicazione diretta di una direttiva al fine di fondare obblighi a carico del singolo

94.

Nell’ipotesi in cui, sulla scorta dei criteri indicati supra, dovesse sussistere un abuso ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, la fattispecie in esame si contraddistinguerebbe per la peculiarità che nel diritto danese non figurava nessuna disposizione specifica intesa ad attuare tale disposizione. Non sussisterebbe neanche – in tal senso il giudice del rinvio – una disposizione legislativa generale sulla repressione degli abusi. Talune parti ritengono pertanto che non possa essere preclusa loro l’esenzione fiscale risultante dal diritto nazionale persino nel caso in cui dovesse essere presunta la sussistenza di un abuso.

95.

Tuttavia, non sempre è necessaria una formale riproduzione delle disposizioni di una direttiva (nella specie, dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie) in specifiche norme del diritto nazionale. Invero, per la trasposizione di una direttiva può essere già sufficiente, a seconda del suo contenuto, un contesto normativo generale – compresi i principi generali del diritto costituzionale o amministrativo nazionale –, purché in tal modo sia garantita la piena applicazione della direttiva in termini sufficientemente chiari e precisi ( 47 ).

96.

Nel procedimento pregiudiziale, il giudice del rinvio richiama l’esistenza di due principi (il cosiddetto criterio sostanziale e il principio del «beneficiario legittimo dei redditi»). Le parti concordano peraltro sul fatto che tali principi non sono pertinenti nella specie se, in realtà, i dividendi, dal punto di vista formale, sono stati effettivamente corrisposti, in un primo momento, alla società cipriota.

97.

L’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie consente tuttavia agli Stati membri di procedere corrispondentemente alla repressione degli abusi, repressione che è parimenti conforme ad una prassi a livello dell’Unione. Così, la stragrande maggioranza degli Stati membri ha elaborato una serie di strumenti per fronteggiare l’abuso del diritto finalizzato all’evasione fiscale ( 48 ). Esiste pertanto anche nei sistemi tributari nazionali un consenso sul fatto che l’applicazione della legge non può estendersi fino a dover tollerare comportamenti abusivi degli operatori economici. Tale principio, riconosciuto a livello dell’Unione ( 49 ), è ora parimenti sancito all’articolo 6 della direttiva 2016/1164.

98.

In tal senso, tutte le disposizioni nazionali, siano esse state emanate o meno per trasporre la direttiva sulle società madri e figlie, devono essere interpretate ed applicate ogni volta in conformità con tale principio generale e, in particolare, con la lettera e con gli scopi della direttiva sulle società madri e figlie, nonché del suo articolo 1, paragrafo 2 ( 50 ). Non osta ad un’interpretazione del diritto nazionale in senso conforme al diritto dell’Unione il fatto che questa possa eventualmente risolversi a danno del singolo. Infatti, è consentita un’applicazione del diritto dell’Unione a danno del singolo operata tramite di disposizioni del diritto interno, ossia in forma indiretta ( 51 ).

99.

Alle autorità danesi sarebbe preclusa soltanto un’applicazione diretta dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, a danno della ricorrente, anche per motivi di certezza del diritto ( 52 ). Uno Stato membro, infatti, non può far valere contro un singolo una disposizione di una direttiva che esso stesso non ha trasposto ( 53 ). Secondo costante giurisprudenza, infatti, una direttiva non può di per sé creare obblighi a carico di un singolo e non può quindi essere fatta valere in quanto tale nei suoi confronti ( 54 ). Uno Stato membro si comporterebbe, in tal caso, esso stesso «abusivamente». Da un lato, esso non trasporrebbe (pur potendo) una direttiva ad esso rivolta; dall’altro, lo stesso farebbe valere una possibilità di combattere un abuso contenuta nella direttiva non trasposta.

100.

Le autorità competenti nel procedimento a quo non potrebbero tantomeno invocare direttamente nei confronti del singolo il principio generale di diritto dell’Unione che vieta l’abuso del diritto. Infatti, perlomeno in relazione ai casi che rientrano nell’ambito d’applicazione della direttiva sulle società madri e figlie, tale principio ha già trovato specifica espressione e realizzazione nell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie ( 55 ). Se infatti, accanto a tale norma, si consentisse anche il ricorso diretto ad un principio generale del diritto dal contenuto decisamente meno chiaro e preciso, vi sarebbe il rischio di frustrare l’obiettivo di armonizzazione della direttiva sulle società madri e figlie, e di tutte le altre direttive contenenti disposizioni concrete in materia di prevenzione degli abusi (come ad es. l’articolo 6 della direttiva 2016/1164). Inoltre, risulterebbe compromesso in tal modo anche il già menzionato divieto di applicare direttamente a danno del singolo disposizioni di direttive non trasposte ( 56 ).

2.   Non trasponibilità della giurisprudenza in materia di IVA

101.

A tali considerazioni non ostano le decisioni pronunciate dalla Corte ( 57 ) nelle cause Italmoda e Cussens. In tali cause, la Corte ha dichiarato che il principio del divieto di pratiche abusive dev’essere interpretato nel senso che, indipendentemente da una misura nazionale che gli dia attuazione nell’ordinamento giuridico interno, può essere direttamente applicato al fine di escludere l’esenzione dall’imposta sul valore aggiunto, senza che vi ostino i principi della certezza del diritto e di tutela del legittimo affidamento.

102.

Peraltro, queste due decisioni vertono peraltro esclusivamente sul diritto in materia di IVA. Quest’ultimo è diverso dalla materia in esame. Da un lato, il diritto in materia di IVA è molto più armonizzato dal diritto dell’Unione e tocca in misura maggiore interessi di diritto dell’Unione attraverso la dotazione finanziaria dell’Unione ad esso abbinata, rispetto alle normative degli Stati membri in materia di imposte sui redditi.

103.

Dall’altro, il diritto dell’Unione, ai sensi dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2 TFUE, obbliga gli Stati membri alla riscossione (effettiva) di un’imposta sul valore aggiunto ( 58 ), diversamente da quanto avviene nel caso del diritto in materia di imposte sui redditi. A ciò si aggiunge la particolare vulnerabilità alla frode del diritto in materia di IVA, che esige un’attuazione particolarmente efficace dei diritti impositivi. Al riguardo, anche la stessa Corte, nella propria più recente giurisprudenza, distingue fra il diritto in materia di IVA e il diritto derivato dell’Unione, il quale contiene espressamente un’autorizzazione a combattere gli abusi ( 59 ). Un’applicazione diretta dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie a detrimento del contribuente non viene pertanto in considerazione ( 60 ).

3.   Sull’esistenza di una specifica disposizione nazionale di repressione degli abusi

104.

Il giudice del rinvio dovrà tuttavia verificare se non siano già applicabili al caso di specie disposizioni o principi generali del diritto interno (tra i quali si annoverano anche i principi elaborati dalla giurisprudenza), interpretati in maniera conforme al diritto dell’Unione, dai quali potrebbe ad esempio risultare l’irrilevanza, ai fini fiscali, dei negozi simulati o il divieto di un ricorso abusivo a determinate agevolazioni fiscali.

105.

È pur vero che, secondo la giurisprudenza della Corte, perché sia giustificata da motivi di repressione delle pratiche abusive, una restrizione alla libertà di stabilimento deve avere lo scopo specifico di ostacolare comportamenti consistenti nel creare costruzioni puramente artificiose, prive di effettività economica e finalizzate a eludere la normale imposta sugli utili generati da attività svolte nel territorio nazionale ( 61 ).

106.

Per questo motivo, le questioni sub 1.1 e 2 possono essere risolte nel senso che né l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d) della legge danese relativa all’imposta sulle società né una disposizione di una CDI, la quale faccia riferimento, ai fini della tassazione dei dividendi distribuiti, al beneficiario effettivo, sono sufficienti per poter essere considerati quale trasposizione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie.

107.

Una diversa valutazione dovrebbe tuttavia imporsi nel contesto dell’applicazione conforme al diritto dell’Unione del cosiddetto criterio sostanziale e del principio del «beneficiario legittimo dei redditi» in Danimarca. Essi sono stati elaborati esattamente al fine di fronteggiare la problematica consistente nel fatto che il diritto civile consente numerose costruzioni, ma il diritto tributario assoggetta ad imposta situazioni economiche. Tali principi di diritto sono pertanto specificamente diretti avverso costruzioni artificiose oppure avverso l’abuso del diritto da parte dei singoli, e costituiscono dunque, in linea di principio, anche un fondamento sufficientemente specifico per una restrizione della libertà di stabilimento. Il fatto che la Danimarca non abbia proceduto ad una trasposizione esplicita dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie, sarebbe pertanto privo di conseguenze. Una valutazione dettagliata al riguardo spetta, tuttavia, al giudice nazionale.

108.

Il «criterio sostanziale» elaborato in Danimarca, interpretato in modo conforme al diritto dell’Unione, potrebbe dunque essere sufficiente quale fondamento per ignorare al momento della tassazione, qualora esistano, costruzioni puramente artificiose o anche abusive (al riguardo, in dettaglio, paragrafi 52 e segg.). Anche il «criterio sostanziale» altro non mi sembra se non una forma particolare dell’approccio economico sotteso alla maggior parte delle disposizioni in materia di tutela contro gli abusi dei singoli Stati membri ( 62 ). Ciò risulta in maniera evidente anche a livello di diritto dell’Unione, ad es. all’articolo 6, paragrafo 2, della direttiva 2016/1164, ai sensi del quale una costruzione è considerata non genuina nella misura in cui non sia stata posta in essere per valide ragioni commerciali che rispecchino la realtà economica. Quest’ultima valutazione spetta, tuttavia, al giudice nazionale.

109.

Qualora l’obiettivo della costruzione consista nell’impedire una tassazione degli investitori effettivi, la distribuzione dei dividendi, pur se formalmente effettuata a favore della società madre cipriota, viene dunque in realtà eseguita, dal punto di vista economico, a favore del suo azionista, ossia della Y Cyprus (o eventualmente persino della società capogruppo Y USA). La distribuzione alla società madre cipriota rispecchia quindi non la realtà economica, bensì unicamente la realtà (formale) sotto il profilo civilistico.

D. Violazione delle libertà fondamentali (sesta, settima, nona e decima questione)

110.

Poiché nel caso di specie non sono ravvisabili elementi che indichino la ragione per cui il divieto d’imposizione alla fonte di cui all’articolo 5 della direttiva sulle società madri e figlie non dovrebbe operare, può soprassedersi all’esame delle questioni sesta, settima, nona e decima questione sollevate dal giudice del rinvio.

111.

Laddove il giudice del rinvio, procedendo ad un’applicazione conforme al diritto dell’Unione dei principi vigenti nell’ordinamento giuridico nazionale, dovesse pervenire cionondimeno alla conclusione che ricorre una costruzione abusiva, troverà effettivamente applicazione, peraltro subordinatamente a determinate circostanze, la tassazione alla fonte. Tuttavia, le questioni, nel caso di specie, non si pongono più, anche perché tale imposizione è una conseguenza dell’abuso, e i singoli non possono avvalersi abusivamente delle norme del diritto dell’Unione ( 63 ).

112.

A prescindere da tali considerazioni, tuttavia, la Corte ha già avuto modo di dichiarare che la differenza di trattamento tra i beneficiari di interessi nazionali ed esteri a causa di una diversa tecnica impositiva riguarda già situazioni che non sono analoghe ( 64 ). Ciò vale anche per i beneficiari di dividendi nazionali ed esteri. Persino qualora dovesse ritenersi che si sia presenza di una situazione analoga, secondo la giurisprudenza della Corte, una restrizione della libertà fondamentale sarebbe giustificata fintantoché la ritenuta alla fonte danese gravante sul beneficiario dei dividendi residente all’estero non sia superiore all’imposta sulle società danese di un beneficiario dei dividendi nazionale ( 65 ).

113.

Lo stesso ragionamento vale per quanto attiene, con riguardo all’imposta sulle società danese, all’applicazione di una differente aliquota ovvero al sorgere debito fiscale nei confronti del beneficiario degli interessi e nei confronti della ritenuta alla fonte danese gravante sul soggetto distributore dei dividendi. Non si tratta di fattispecie analoghe, in quanto in un caso viene dovuta una propria imposta (imposta sulle società), mentre nell’altro viene riscossa e versata per il beneficiario dei dividendi un’imposta in realtà altrui (la sua imposta sul reddito o sulle società). Una disparità sotto il profilo del sorgere e dell’aliquota d’imposta discende dalla diversa tecnica e funzione della tassazione alla fonte (cfr. al riguardo paragrafo 72).

VI. Conclusione

114.

Suggerisco pertanto alla Corte di rispondere alle questioni pregiudiziali sollevate dal Østre Landsret (Corte regionale dell’Est, Danimarca) nei termini seguenti:

1)

La prima questione dev’essere risolta nel senso che uno Stato membro non può invocare l’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva 2011/96/UE, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi sulle società madri e figlie, qualora non lo abbia trasposto.

2)

Le questioni sub 1.1 e 2 devono essere risolte nel senso che né l’articolo 2, paragrafo 2, lettera d), della legge danese relativa all’imposta sulle società né una disposizione di una convenzione diretta a prevenire le doppie imposizioni analoga all’articolo 10 del modello di convenzione OCSE, possono essere considerati quale sufficiente attuazione dell’articolo 1, paragrafo 2, della direttiva sulle società madri e figlie. Ciò non preclude, tuttavia, un’interpretazione e un’applicazione conformi al diritto dell’Unione dei principi fondamentali dell’ordinamento giuridico nazionale, la cui finalità consiste nella possibilità di una specifica repressione delle costruzioni artificiose ovvero dell’abuso del diritto da parte dei singoli.

3)

La terza e la quarta questione devono essere risolte nel senso che una società madre residente in un altro Stato membro, la quale percepisca i dividendi della propria controllata, dev’essere considerata quale beneficiaria dei dividendi ai sensi della direttiva sulle società madri e figlie. Le nozioni della direttiva sulle società madri e figlie devono essere interpretate in maniera autonoma sulla scorta del diritto dell’Unione, unicamente in conformità alla direttiva sulle società madri e figlie e indipendentemente dai commentari all’articolo 10 del modello di convenzione OCSE del 1977 o di versioni successive.

4)

La quinta questione dev’essere risolta nel senso che l’accertamento di un abuso dipende da una valutazione complessiva di tutte le circostanze del singolo caso concreto, spettante al giudice nazionale.

a)

Un abuso nel diritto tributario può ricorrere nel caso di costruzioni meramente artificiose, prive di effettività economica oppure finalizzate sostanzialmente ad eludere un’imposta, altrimenti applicabile alla luce dell’obiettivo della legge. Al riguardo, l’amministrazione finanziaria deve dimostrare che, in presenza di una costruzione adeguata, sarebbe stata esigibile una corrispondente imposta, mentre il contribuente deve dimostrare che la costruzione scelta si fondi su motivi rilevanti estranei al diritto tributario.

b)

Nel caso dell’elusione di una tassazione alla fonte della distribuzione dei dividendi tramite società residenti in altri Stati membri a favore di società residenti in paesi terzi rileva principalmente, l’elusione di una tassazione dei dividendi in capo ai beneficiari effettivi dei dividendi stessi. Nel caso di specie, è possibile concludere nel senso della sussistenza di un abuso in particolare qualora la struttura imprenditoriale scelta serva a sfruttare talune lacune informative fra gli Stati coinvolti al fine di impedire un’effettiva tassazione del beneficiario effettivo dei dividendi.

5)

L’ottava questione dev’essere risolta nel senso che lo Stato membro che non intenda riconoscere che una società residente in un altro Stato membro sia la beneficiaria dei dividendi, deve dichiarare, ai fini della presunzione di un abuso, chi sia il beneficiario effettivo dei dividendi stessi. Nel caso di fattispecie collocate all’estero, può tuttavia gravare sul contribuente un obbligo di collaborazione rafforzato.

6)

Alla luce delle risposte fornite alla prima e alla quinta questione, non occorre rispondere alla sesta, alla settima, alla nona e alla decima questione.


( 1 ) Lingua originale: il tedesco.

( 2 ) Si tratta, specificamente, delle cause C‑118/16, C‑119/16 (entrambe riunite con la causa C‑115/16) e C‑299/16.

( 3 ) Direttiva del Consiglio, del 23 luglio 1990, concernente il regime fiscale comune applicabile alle società madri e figlie di Stati membri diversi (GU 1990, L 225, pag. 6), nel frattempo abrogata e sostituita dalla direttiva 2011/96/UE del Consiglio, del 30 novembre 2011 (GU 2011, L 345, pag. 8).

( 4 ) Kildeskatteloven – Lovbekendtgørelse nr. 1086 af 14. november 2005 (decreto del 14 novembre 2005, n. 1086).

( 5 ) Sentenze del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 20); del 17 maggio 2017, AFEP e a. (C‑365/16, EU:C:2017:378, punto 21), nonché dell’8 marzo 2017, Wereldhave Belgium e a. (C‑448/15, EU:C:2017:180, punto 25 e la giurisprudenza ivi citata).

( 6 ) Sentenze del 17 maggio 2017, X (C‑68/15, EU:C:2017:379, punto 71); del 17 maggio 2017, AFEP e a. (C‑365/16, EU:C:2017:378, punto 22), nonché del 12 dicembre 2006, Test Claimants in the FII Group Litigation (C‑446/04, EU:C:2006:774, punto 44).

( 7 ) Sentenza del 17 maggio 2017, AFEP e a. (C‑365/16, EU:C:2017:378, punto 24).

( 8 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 21).

( 9 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 22); v., in tal senso, anche sentenze del 17 ottobre 1996, Denkavit e a. (C‑283/94, C‑291/94 e C‑292/94, EU:C:1996:387, punto 22), e del 25 settembre 2003, Océ van der Grinten (C‑58/01, EU:C:2003:495, punto 83).

( 10 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 23); in tal senso anche la sentenza del 1o ottobre 2009, Gaz de France – Berliner Investissement (C‑247/08, EU:C:2009:600, punto 38).

( 11 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 24); ordinanza del 4 giugno 2009, KBC Bank e Beleggen, Risicokapitaal, Beheer (C‑439/07 e C‑499/07, EU:C:2009:339, punto 38 e la giurisprudenza ivi citata).

( 12 ) Sentenze del 24 giugno 2010, P. Ferrero e General Beverage Europe (C‑338/08 e C‑339/08, EU:C:2010:364, punti 2634), nonché del 26 giugno 2008, Burda (C‑284/06, EU:C:2008:365, punto 52).

( 13 ) Direttiva 2003/49.

( 14 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 26), nonché le mie conclusioni nella causa Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:34, paragrafo 24).

( 15 ) Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27); del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 38); del 6 aprile 2006, Agip Petroli (C‑456/04, EU:C:2006:241, punto 20); del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 35); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punti 6869), e del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 24, e la giurisprudenza ivi citata); v., al riguardo, anche le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 57).

( 16 ) V., per contro, ad es., l’articolo 15 della direttiva 2009/133/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009 (direttiva in materia di fusioni) (GU 2009, L 310, pag. 34).

( 17 ) V. sentenze del 17 ottobre 1996, Denkavit e a. (C‑283/94, C‑291/94 e C‑292/94, EU:C:1996:387, punto 27); del 17 luglio 1997, Leur-Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punti 3839); del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 37); dell’11 dicembre 2008, A.T. (C‑285/07, EU:C:2008:705, punto 31), del 20 maggio 2010, Zwijnenburg (C‑352/08, EU:C:2010:282, punto 46), nonché del 10 novembre 2011, FOGGIA-Sociedade Gestora de Participações Sociais (C‑126/10, EU:C:2011:718, punto 44).

( 18 ) Direttiva 90/434/CEE del Consiglio, del 23 luglio 1990, relativa al regime fiscale comune da applicare alle fusioni, alle scissioni, ai conferimenti d’attivo ed agli scambi d’azioni concernenti società di Stati membri diversi (GU 1990, L 225, pag. 1).

( 19 ) Direttiva (UE) 2016/1164 del Consiglio, del 12 luglio 2016 recante norme contro le pratiche di elusione fiscale che incidono direttamente sul funzionamento del mercato interno (GU 2016, L 193, pag. 1).

( 20 ) Sentenze del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding (C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 60); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 35); del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C‑303/07, EU:C:2009:377, punto 64), nonché del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 74); in senso analogo, sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 55).

( 21 ) In tal senso anche sentenze del 20 giugno 2013, Newey (C‑653/11, EU:C:2013:409, punto 46); del 12 luglio 2012, J.J. Komen en Zonen Beheer Heerhugowaard (C‑326/11, EU:C:2012:461, punto 35); del 27 ottobre 2011, Tanoarch (C‑504/10, EU:C:2011:707, punto 51), nonché del 22 maggio 2008, Ampliscientifica e Amplifin (C‑162/07, EU:C:2008:301, punto 28).

( 22 ) In relazione al diritto in materia di imposte indirette: sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 53); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 36), nonché del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 45); nell’ambito di applicazione della cosiddetta direttiva in materia di fusioni, analogamente: sentenza del 10 novembre 2011, FOGGIA-Sociedade Gestora de Participações Sociais (C‑126/10, EU:C:2011:718, punti 3536).

( 23 ) In tal senso, esplicitamente, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 60).

( 24 ) Sentenza del 17 luglio 1997, Leur-Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punto 41), nonché le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 60).

( 25 ) Parimenti, sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 59), e del 20 giugno 2013, Newey (C‑653/11, EU:C:2013:409, punto 49).

( 26 ) Sentenze del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 35); del 6 aprile 2006, Agip Petroli (C‑456/04, EU:C:2006:241, punto 20); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punti 6869), nonché del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 24, e la giurisprudenza ivi citata); v. anche le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 57).

( 27 ) Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 34); del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 56), nonché del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 77).

( 28 ) Sentenza del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding (C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 73).

( 29 ) V. sentenza del 17 ottobre 1996, Denkavit e a. (C‑283/94, C‑291/94 e C‑292/94, EU:C:1996:387, punto 31).

( 30 ) Sentenza del 7 settembre 2017, Eqiom e Enka (C‑6/16, EU:C:2017:641, punto 26); v., sulla direttiva in materia di fusioni, sentenze del 17 luglio 1997, Leur-Bloem (C‑28/95, EU:C:1997:369, punto 47), e del 10 novembre 2011, FOGGIA‑Sociedade Gestora de Participações Sociais (C‑126/10, EU:C:2011:718, punto 34).

( 31 ) V. sentenze del 25 ottobre 2017, Polbud – Wykonawstwo (C‑106/16, EU:C:2017:804, punto 40); del 30 settembre 2003, Inspire Art (C‑167/01, EU:C:2003:512, punto 96), nonché del 9 marzo 1999, Centros (C‑212/97, EU:C:1999:126, punto 27).

( 32 ) Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 42); del 22 dicembre 2010, Weald Leasing (C‑103/09, EU:C:2010:804, punto 27); del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 47), nonché del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 73).

( 33 ) Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 42) e del 22 dicembre 2010, RBS Deutschland Holdings (C‑277/09, EU:C:2010:810, punto 53).

( 34 ) Sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 36); v., in tal senso, sentenza dell’11 dicembre 2003, Barbier (C‑364/01, EU:C:2003:665, punto 71).

( 35 ) Sentenze del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 42), e del 22 dicembre 2010, RBS Deutschland Holdings (C‑277/09, EU:C:2010:810, punto 53).

( 36 ) V. sentenza del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 36); sulla divergenza, ammessa dal diritto dell’Unione, delle aliquote d’imposta persino nel diritto tributario armonizzato, v., parimenti, sentenza del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punti 3940).

( 37 ) Sentenza del 20 dicembre 2017, Deister Holding e Juhler Holding (C‑504/16 e C‑613/16, EU:C:2017:1009, punto 66).

( 38 ) Così nella causa C‑119/16.

( 39 ) Così nella causa C‑299/16.

( 40 ) Sentenze del 24 giugno 2010, P. Ferrero e General Beverage Europe (C‑338/08 e C‑339/08, EU:C:2010:364, punti 2634), nonché del 26 giugno 2008, Burda (C‑284/06, EU:C:2008:365, punto 52).

( 41 ) Rule 18 lit. b del regolamento di procedura dell’OCSE: «Recommendations of the Organisation, made by the Council in accordance with Articles 5, 6 and 7 of the Convention, shall be submitted to the Members for consideration in order that they may, if they consider it opportune, provide for their implementation». Disponibile all’indirizzo https://www.oecd.org/legal/rules%20of%20Procedure%20OECD%20Oct%202013.pdf.

( 42 ) Sentenze del 15 maggio 2008, Lidl Belgium (C‑414/06, EU:C:2008:278, punto 22); del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 49); del 7 settembre 2006, N (C‑470/04, EU:C:2006:525, punto 45); del 12 maggio 1998, Gilly (C‑336/96, EU:C:1998:221, punto 31); del 23 febbraio 2006, van Hilten-van der Heijden (C‑513/03, EU:C:2006:131, punto 48); v. tuttavia, al riguardo, anche la sentenza del 16 maggio 2017, Berlioz Investment Fund (C‑682/15, EU:C:2017:373, punto 67).

( 43 ) Sentenza del 19 gennaio 2006, Bouanich (C‑265/04, EU:C:2006:51, punti 5056).

( 44 ) Sentenza del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 92).

( 45 ) Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 53); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 36), nonché del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 45).

( 46 ) Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 47); del 17 dicembre 2015, WebMindLicenses (C‑419/14, EU:C:2015:832, punto 52), nonché del 21 febbraio 2008, Part Service (C‑425/06, EU:C:2008:108, punto 58).

( 47 ) In tal senso la giurisprudenza costante, v., ad es., le sentenze del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 44); del 6 aprile 2006, Commissione/Austria (C‑428/04, EU:C:2006:238, punto 99); del 16 giugno 2005, Commissione/Italia (C‑456/03, EU:C:2005:388, punto 51), nonché le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 62).

( 48 ) Gli Stati membri dispongono in parte di clausole generali per fronteggiare pratiche abusive, come nella Repubblica federale di Germania con l’articolo 42 dell’Abgabenordnung (codice tributario), nel Lussemburgo con l’articolo 6 dello Steueranpassungsgesetz (legge di adeguamento fiscale), in Belgio con l’articolo 344, §1 del Code des impôts sur les revenus (legge in materia di imposte sui redditi), in Svezia con l’articolo 2 della legge 1995:575 oppure in Finlandia con l’articolo 28 della legge in materia di imposte sui redditi; talvolta vi sono disposizioni speciali [come in Danimarca in relazione ai prezzi di trasferimento ai sensi dell’articolo 2 del Ligningslovens (legge relativa agli investimenti)], oppure principi generali del diritto (come nella Repubblica federale di Germania il principio della «prevalenza della sostanza sulla forma», desumibile, inter alia, dall’articolo 39 e seguenti dell’Abgabenordnung).

( 49 ) V., ex multis, sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68); del 3 marzo 2005, Fini H (C‑32/03, EU:C:2005:128, punto 32); del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C‑110/99, EU:C:2000:695, punto 51), nonché del 23 marzo 2000, Diamantis (C‑373/97, EU:C:2000:150, punto 33).

( 50 ) Sull’obbligo dei giudici nazionali di interpretare il diritto interno in conformità con le direttive, v. la costante giurisprudenza e, in particolare, le sentenze del 4 luglio 2006, Adeneler e a. (C‑212/04, EU:C:2006:443, punto 108 e segg.); del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 113 e segg.), nonché del 10 aprile 1984, von Colson e Kamann (14/83, EU:C:1984:153, punto 26).

( 51 ) Sentenze del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 45); del 7 gennaio 2004, Wells (C‑201/02, EU:C:2004:12, punto 57); del 14 luglio 1994, Faccini Dori (C‑91/92, EU:C:1994:292, punti 20, 2526), e del 13 novembre 1990, Marleasing (C‑106/89, EU:C:1990:395, punti 68), nonché le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 65).

( 52 ) In tal senso, espressamente, sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42).

( 53 ) Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 49); del 21 settembre 2017, DNB Banka (C‑326/15, EU:C:2017:719, punto 41); del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42); del 19 novembre 1991, Francovich e a. (C‑6/90 e C‑9/90, EU:C:1991:428, punto 21); v. anche le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 66).

( 54 ) Sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42), e le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 65); v., ex multis, anche la sentenza del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a. (da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 108 e la giurisprudenza ivi citata).

( 55 ) V. le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 67) e la sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 38 e segg.). Analogamente anche le mie conclusioni nella causa Satakunnan Markkinapörssi e Satamedia (C‑73/07, EU:C:2008:266, paragrafo 103).

( 56 ) Non chiara, al riguardo, la sentenza del 22 novembre 2005, Mangold (C‑144/04, EU:C:2005:709, punti da 74 a 77); v. al riguardo già le mie conclusioni nella causa Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:86, paragrafo 67), nonché in maniera specifica anche la sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42).

( 57 ) Sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881) e del 18 dicembre 2014, Schoenimport Italmoda Mariano Previti (C‑131/13, C‑163/13 e C‑164/13, EU:C:2014:2455).

( 58 ) Sentenze dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555, punto 36 e segg.), e del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson (C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 26).

( 59 ) In tal senso, espressamente, sentenza del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punti 28, 3138).

( 60 ) In tal senso già la Corte nella sentenza del 5 luglio 2007, Kofoed (C‑321/05, EU:C:2007:408, punto 42).

( 61 ) Sentenze del 18 giugno 2009, Aberdeen Property Fininvest Alpha (C‑303/07, EU:C:2009:377, punto 64); del 12 settembre 2006, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas (C‑196/04, EU:C:2006:544, punto 55), nonché del 13 marzo 2007, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation (C‑524/04, EU:C:2007:161, punto 74).

( 62 ) Viene fatto spesso riferimento, negli Stati membri, al contenuto effettivo di un atto o di una transazione – così, ad es., in Finlandia, in Ungheria, in Irlanda, in Italia, in Lituania, nei Paesi Bassi, nel Portogallo e in Slovenia.

( 63 ) V., ex multis, sentenze del 22 novembre 2017, Cussens e a. (C‑251/16, EU:C:2017:881, punto 27); del 21 febbraio 2006, Halifax e a. (C‑255/02, EU:C:2006:121, punto 68), nonché del 14 dicembre 2000, Emsland-Stärke (C‑110/99, EU:C:2000:695, punto 51 e la giurisprudenza ivi citata).

( 64 ) Sentenza del 22 dicembre 2008, Truck Center (C‑282/07, EU:C:2008:762, punto 41); confermata dalla sentenza del 18 ottobre 2012, X (C‑498/10, EU:C:2012:635, punto 26).

( 65 ) V. sentenze del 17 settembre 2015, Miljoen e a. (C‑10/14, C‑14/14 e C‑17/14, EU:C:2015:608, punto 90), e del 18 ottobre 2012, X (C‑498/10, EU:C:2012:635, punto 42 e segg.).