SENTENZA DEL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

5 ottobre 2017 ( *1 )

«Politica estera e di sicurezza comune – Misure restrittive adottate nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione in Tunisia – Misure adottate nei confronti di persone responsabili di distrazione di fondi pubblici e di persone ed entità associate – Congelamento dei capitali – Elenco delle persone, entità e organismi soggetti a congelamento dei capitali – Mantenimento dell’inserimento del nominativo del ricorrente – Insufficiente fondamento in fatto – Errore manifesto di valutazione – Errore di diritto – Diritto di proprietà – Principio di buona amministrazione – Termine ragionevole di giudizio – Presunzione d’innocenza – Domanda di adeguamento del ricorso – Atto confermativo – Irricevibilità»

Nella causa T‑175/15,

Mohamed Marouen Ben Ali Ben Mohamed Mabrouk, residente a Tunisi (Tunisia), rappresentato da J.-R. Farthouat, J.-P. Mignard, N. Boulay, avvocati, e S. Crosby, solicitor,

ricorrente,

contro

Consiglio dell’Unione europea, rappresentato inizialmente da A. de Elera-San Miguel Hurtado e G. Étienne, successivamente da A. de Elera-San Miguel Hurtado, in qualità di agenti,

convenuto,

avente ad oggetto la domanda fondata sull’articolo 263 TFUE e diretta all’annullamento della decisione (PESC) 2015/157 del Consiglio, del 30 gennaio 2015, che modifica la decisione 2011/72/PESC concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione in Tunisia (GU 2015, L 26, pag. 29), nella parte riguardante il ricorrente, della decisione del Consiglio del 16 novembre 2015 che respinge la domanda del ricorrente in data 29 maggio 2015 di cancellare il suo nominativo dall’elenco allegato alla decisione 2011/72/PESC del Consiglio, del 31 gennaio 2011, concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione in Tunisia (GU 2011, L 28, pag. 62), e della decisione (PESC) 2016/119 del Consiglio, del 28 gennaio 2016, che modifica la decisione 2011/72 (GU 2016, L 23, pag. 65), nella parte riguardante il ricorrente,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione),

composto da D. Gratsias (relatore), presidente, I. Labucka e I. Ulloa Rubio, giudici,

cancelliere: L. Grzegorczyk, amministratore

vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 14 dicembre 2016,

ha pronunciato la seguente

Sentenza

Origini della controversia e contesto in fatto

1

A seguito delle vicende politiche verificatesi in Tunisia nel corso dei mesi di dicembre 2010 e gennaio 2011, il Consiglio dell’Unione europea adottava, il 31 gennaio 2011, sulla base, in particolare, dell’articolo 29 TUE, la decisione 2011/72/PESC, concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità in considerazione della situazione in Tunisia (GU 2011, L 28, pag. 62).

2

I considerando 1 e 2 della decisione 2011/72 così recitano:

«(1)

Il 31 gennaio 2011 il Consiglio ha ribadito la sua piena solidarietà e il suo pieno sostegno alla Tunisia e al popolo tunisino negli sforzi intesi a istituire una democrazia stabile, lo stato di diritto, il pluralismo democratico e il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

(2)

Il Consiglio ha inoltre deciso di adottare misure restrittive nei confronti di persone che sono responsabili di distrazione di fondi pubblici tunisini e che in tal modo privano il popolo tunisino dei benefici dello sviluppo sostenibile della sua economia e della sua società e compromettono lo sviluppo della democrazia nel paese».

3

L’articolo 1, paragrafi 1 e 2, della decisione medesima dispone quanto segue:

«1.   Sono congelati tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, posseduti, detenuti o controllati da persone responsabili di distrazione di fondi pubblici tunisini e da persone fisiche, da persone giuridiche o da entità ad essi associate, elencate nell’allegato.

2.   Nessun fondo o risorsa economica è messo a disposizione, direttamente o indirettamente, alle, o a beneficio delle, persone fisiche, persone giuridiche o entità elencate nell’allegato».

4

Il successivo articolo 2 così prevede:

«1.   Il Consiglio, deliberando su proposta di uno Stato membro o dell’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, predispone e modifica l’elenco riportato nell’allegato.

2.   Il Consiglio trasmette la sua decisione e i motivi dell’inserimento nell’elenco alla persona o all’entità interessata direttamente, se l’indirizzo è noto, o mediante la pubblicazione di un avviso, dando alla persona o all’entità la possibilità di presentare osservazioni.

3.   Qualora siano presentate osservazioni o siano addotte nuove prove sostanziali, il Consiglio riesamina la decisione e ne informa la persona o l’entità interessata».

5

Ai sensi del successivo articolo 3, paragrafo 1:

«L’allegato indica i motivi dell’inserimento delle persone ed entità nell’elenco».

6

L’articolo 5 della decisione medesima, nel testo iniziale, così recitava:

«La presente decisione si applica per un periodo di 12 mesi. Essa è costantemente riesaminata. È prorogata o modificata, a seconda del caso, qualora il Consiglio ritenga che i suoi obiettivi non siano stati raggiunti».

7

Nell’elenco inizialmente allegato alla decisione 2011/72, comparivano soltanto il nominativo del sig. Zine el‑Abidine Ben Hamda Ben Ali, ex presidente della Repubblica di Tunisia, e quello della sig.ra Leïla Bent Mohammed Trabelsi, suo coniuge.

8

Il 4 febbraio 2011, sulla base dell’articolo 2, paragrafo 1, della decisione 2011/72 e dell’articolo 31, paragrafo 2, TUE, il Consiglio adottava la decisione di esecuzione 2011/79/PESC, che attua la decisione 2011/72 (GU 2011, L 31, pag. 40). L’articolo 1 di tale decisione di esecuzione disponeva che l’allegato della decisione 2011/72 fosse sostituito dal testo che figura nell’allegato della decisione di esecuzione suddetta. Tale allegato citava il nominativo di 48 persone fisiche tra le quali, in particolare, alla prima e seconda linea, il nominativo delle due persone di cui al punto 7 supra, e alla ventottesima linea, il nominativo del ricorrente, sig. Mohamed Marouen Ben Ali Ben Mohamed Mabrouk. Sempre alla ventottesima linea di tale allegato, era indicato, nella colonna rubricata «Informazioni per l’identificazione»: «Tunisino, nato a Tunisi l’11 marzo 1972, figlio di Jaouida El BEJI, coniugato con Sirine BEN ALI, presidente-direttore generale di società, domicilio presso 8 rue du Commandant Béjaoui – Carthage – Tunisi, titolare della CNI n. 04766495» e, nella colonna rubricata «Motivi»: «Persona sottoposta ad indagine giudiziaria dalle autorità tunisine per acquisizione di beni mobili e immobili, apertura di conti bancari e detenzione di capitali in diversi paesi nel quadro di operazioni di riciclaggio del denaro».

9

L’inserimento iniziale del nominativo del ricorrente nell’allegato della decisione 2011/72, come modificata dalla decisione di esecuzione 2011/79, veniva successivamente prorogato con le decisioni 2012/50/PESC del Consiglio, del 27 gennaio 2012 (GU 2012, L 27, pag. 11), 2013/72/PESC del Consiglio, del 31 gennaio 2013 (GU 2013, L 32, pag. 20), e 2014/49/PESC del Consiglio, del 30 gennaio 2014 (GU 2014, L 28, pag. 38).

10

In seguito alle sentenze del 28 maggio 2013, Trabelsi e a./Consiglio (T‑187/11, EU:T:2013:273), del 28 maggio 2013, Chiboub/Consiglio (T‑188/11, non pubblicata, EU:T:2013:274), e del 28 maggio 2013, Al Matri/Consiglio (T‑200/11, non pubblicata, EU:T:2013:275), il Consiglio modificava le ragioni che avevano determinato l’inserimento del nominativo delle persone menzionate nell’elenco di cui all’allegato della decisione 2011/72, come modificata dalla decisione di esecuzione 2011/79. Per quanto riguarda il ricorrente, i motivi alla base dell’inserimento del suo nominativo venivano modificati dalla decisione 2014/49 nei seguenti termini: «Persona sottoposta a indagine giudiziaria dalle autorità tunisine per concorso in distrazione di denaro pubblico da parte di un funzionario pubblico, complicità in usurpazione di titolo da parte di un funzionario pubblico per procurare a un terzo un vantaggio ingiustificato e arrecare pregiudizio all’amministrazione, e complicità in influenza indebita presso un funzionario pubblico per ottenere direttamente o indirettamente vantaggi per un’altra persona».

11

Con lettera del 12 gennaio 2015 il Consiglio informava il ricorrente del proprio intendimento di prorogare ulteriormente le misure restrittive adottate nei suoi confronti, allegando alla medesima un certificato del 19 dicembre 2014 fornito dalle autorità tunisine e relativo a un procedimento giudiziario nei confronti del ricorrente all’epoca pendente in Tunisia. Con lettera del 15 gennaio 2015 il ricorrente presentava proprie osservazioni, chiedendo al Consiglio di cancellarlo dall’elenco allegato alla decisione 2011/72, come modificata dalla decisione 2014/49, per i motivi esposti in detta lettera.

12

Il 30 gennaio 2015 il Consiglio adottava la decisione (PESC) 2015/157 che modifica la decisione 2011/72 (GU 2015, L 26, pag. 29). Ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, di tale decisione, il testo dell’articolo 5 della decisione 2011/72 è sostituito dal seguente: «La presente decisione si applica fino al 31 gennaio 2016. Essa è costantemente riesaminata. Può essere prorogata o modificata, a seconda del caso, qualora il Consiglio ritenga che i suoi obiettivi non siano stati raggiunti». Il nominativo del ricorrente e i relativi motivi che ne avevano determinato l’inserimento venivano mantenuti nell’elenco allegato alla decisione 2011/72, come modificata dalla decisione 2014/49.

13

Con lettera del 4 febbraio 2015, il Consiglio rispondeva alle osservazioni del ricorrente del 15 gennaio 2015, ritenendo, in sostanza, che per i motivi ivi enunciati, le misure restrittive adottate nei confronti del ricorrente dovessero restare in vigore ed allegando alla medesima una copia della decisione 2015/157. Tuttavia, il Consiglio faceva presente che, alla luce delle osservazioni del ricorrente sullo stato dell’indagine giudiziaria in corso di cui era oggetto in Tunisia, avrebbe proceduto ad un nuovo esame di tali misure restrittive prima del 31 luglio 2015.

14

Il ricorrente presentava proprie osservazioni il 18 febbraio, il 29 maggio e il 7 settembre 2015. Il Consiglio rispondeva a tali osservazioni con lettera del 16 novembre 2015. In primo luogo, il Consiglio respingeva la domanda di accesso agli atti relativi al ricorrente, da questi presentata nella propria lettera del 18 febbraio 2015, facendo presente che il certificato di cui al punto 11 supra costituiva la base sulla quale era stata decisa la proroga delle misure nei confronti del ricorrente e che non possedeva altri documenti. In secondo luogo, il Consiglio richiamava l’attenzione sui due documenti datati 11 maggio 2015, allegati alla propria lettera, provenienti dalle autorità tunisine e relativi ai procedimenti giudiziari nei confronti del ricorrente. In terzo luogo, dopo aver risposto agli argomenti di quest’ultimo esposti nelle osservazioni del 29 maggio 2015 e aver respinto la sua domanda di audizione, il Consiglio dichiarava che le misure restrittive adottate nei suoi confronti dovevano essere mantenute.

15

Il 30 novembre 2015 il ricorrente presentava nuove osservazioni cui il Consiglio rispondeva con lettera del 18 dicembre 2015. Il Consiglio sottolineava, in conclusione di tale lettera, il proprio intendimento di prorogare le misure restrittive nei confronti del ricorrente e di modificare le ragioni che avevano determinato l’inserimento del suo nominativo nei seguenti termini: «Persona sottoposta a indagine giudiziaria dalle autorità tunisine per concorso in distrazione di denaro pubblico da parte di un funzionario pubblico, complicità in usurpazione di titolo da parte di un funzionario pubblico per procurare a un terzo un vantaggio ingiustificato e arrecare pregiudizio all’amministrazione, e influenza indebita presso un funzionario pubblico per ottenere direttamente o indirettamente vantaggi per un’altra persona». Il 5 gennaio 2016 il ricorrente presentava nuove osservazioni in risposta a tale lettera.

16

Il 28 gennaio 2016 il Consiglio adottava la decisione (PESC) 2016/119, che modifica la decisione 2011/72 (GU 2016, L 23, pag. 65), che proroga, ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, la decisione 2011/72 fino al 31 gennaio 2017. Ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 2, l’allegato di tale decisione sostituisce l’allegato della decisione 2011/72. Il nominativo del ricorrente compare alla ventottesima linea di tale nuovo allegato. La formulazione dei motivi alla base dell’inserimento corrispondenti è identica a quella comunicata dal Consiglio al ricorrente con lettera del 18 dicembre 2015. Come indicato dal Consiglio al ricorrente nella lettera del 29 gennaio 2016, tale nuova formulazione è fondata su un certificato delle autorità tunisine datato 20 ottobre 2015, allegato alla lettera stessa.

Procedimento e conclusioni delle parti

17

Con atto introduttivo depositato nella cancelleria del Tribunale il 10 aprile 2015, il ricorrente ha proposto il presente ricorso.

18

Il 2 luglio 2015 il Consiglio ha depositato controricorso.

19

La replica e la controreplica sono state depositate, rispettivamente, il 14 settembre 2015 e l’8 gennaio 2016.

20

Il 25 gennaio 2016, sulla base dell’articolo 86 del regolamento di procedura del Tribunale, il ricorrente ha presentato una prima memoria di adeguamento, volta ad estendere le conclusioni del ricorso alla decisione del Consiglio del 16 novembre 2015, con cui è stata respinta la domanda del ricorrente del29 maggio 2015 di cancellare il proprio nominativo dall’elenco allegato alla decisione 2011/72. Il 4 aprile 2016 il ricorrente ha presentato una seconda memoria di adeguamento, in cui si chiede che le conclusioni del ricorso siano estese alla decisione 2016/119.

21

Il 30 marzo 2016 il Consiglio ha presentato osservazioni sulla prima memoria di adeguamento e, il 4 maggio 2016 osservazioni sulla seconda memoria.

22

A seguito della modifica dalla composizione delle sezioni del Tribunale, la causa è stata riattribuita alla Quinta Sezione con decisione del 3 ottobre 2016.

23

Su proposta del giudice relatore, il Tribunale ha deciso di aprire la fase orale del procedimento.

24

Le parti hanno svolto le loro difese e hanno risposto ai quesiti del Tribunale all’udienza del 14 dicembre 2016.

25

Il ricorrente chiede che il Tribunale voglia:

annullare la decisione 2015/157, nella parte riguardante il medesimo, la decisione del Consiglio del 16 novembre 2015, con cui è stata respinta la domanda del ricorrente in data 29 maggio 2015 di cancellare il suo nominativo dall’elenco allegato alla decisione 2011/72, e la decisione 2016/119, nella parte riguardante il medesimo;

condannare il Consiglio alle spese.

26

Il Consiglio chiede che il Tribunale voglia:

respingere il ricorso in toto;

condannare il ricorrente alle spese.

In diritto

Per quanto riguarda la domanda di annullamento della decisione 2015/157

27

A sostegno del ricorso il ricorrente deduce, formalmente, sei motivi. Con il primo motivo, vertente, in sostanza, su un errore di diritto, il ricorrente sostiene che l’indagine giudiziaria in corso di cui è oggetto in Tunisia non costituisce un fondamento di fatto sufficiente per il mantenimento dell’inserimento del suo nominativo nell’allegato alla decisione 2011/72. Tale primo motivo si articola su due capi vertenti, l’uno, sulla mancata considerazione da parte del Consiglio degli sviluppi favorevoli dei diversi procedimenti giurisdizionali che riguardano il ricorrente in Tunisia, e, l’altra, sulla mancata considerazione da parte dell’Istituzione della violazione del principio del termine ragionevole di giudizio nell’ambito dell’indagine giudiziaria medesima. Il secondo motivo verte sulla violazione dell’articolo 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta»), per aver il Consiglio violato il principio del termine ragionevole di giudizio. Con il terzo motivo il ricorrente sostiene che la decisione 2015/157 è priva di oggetto. Il primo capo di tale motivo attiene ad errori manifesti di valutazione relativi allo sviluppo del processo democratico in Tunisia e alla necessità di misure restrittive nei confronti dei cittadini di tale paese terzo responsabili di distrazione di fondi pubblici. In via subordinata, il ricorrente deduce il difetto di motivazione. Il secondo capo di tale motivo riguarda un errore di diritto, nella parte in cui il Consiglio avrebbe ritenuto che gli elementi prodotti dalle autorità tunisine dimostravano l’esistenza di procedimenti nei confronti del ricorrente. Il quarto motivo si articola su due capi, vertenti, da un lato, sulla violazione dell’articolo 48 della Carta e, dall’altro, sulla violazione dell’articolo 41, paragrafo 1, della stessa. Con il primo capo di tale motivo il ricorrente deduce la violazione della presunzione d’innocenza in ragione di un comunicato stampa del Consiglio in data 31 gennaio 2011. Con il secondo capo di tale motivo il ricorrente deduce la violazione del principio di buona amministrazione, in particolare del diritto a un trattamento imparziale. In via subordinata, nell’ipotesi in cui detti motivi fossero respinti, il ricorrente deduce un quinto motivo vertente su un «errore manifesto di valutazione», relativo all’insufficiente considerazione, da parte del Consiglio, dell’«elemento [di] diritto penale» della decisione 2015/157. Il sesto motivo riguarda la violazione del diritto di proprietà e dell’articolo 17 della Carta.

28

Si deve ricordare, in limine, che il secondo capo del terzo motivo, relativo a un errore del Consiglio nella valutazione della sussistenza di elementi di prova sufficienti forniti dalle autorità tunisine, rientra, in realtà, nel primo motivo. Si deve quindi ritenere che formi il terzo capo dello stesso. Parimenti, la totalità del quarto motivo si ricollega, in realtà, al secondo motivo, riferendosi alla violazione dei diritti fondamentali del ricorrente di cui sarebbe viziato il procedimento che ha condotto all’adozione della decisione 2015/157. Si deve ritenere, quindi, che il secondo motivo si articola su tre capi, vertenti sulla violazione, da parte del Consiglio, rispettivamente degli articoli 47, 48 e 41, paragrafo 1, della Carta. In conclusione, dai suesposti rilievi risulta che il quinto e il sesto motivo devono essere considerati rispettivamente, come il quarto e il quinto motivo.

Sul primo motivo, vertente su un errore di diritto, laddove il Consiglio avrebbe erroneamente ritenuto che l’indagine giudiziaria in corso a carico del ricorrente in Tunisia costituisse un fondamento in fatto sufficiente

29

Con il primo motivo il ricorrente sostiene, in sostanza, che, all’epoca dell’adozione della decisione 2015/157, l’indagine giudiziaria a suo carico in corso in Tunisia non poteva più servire come fondamento al mantenimento delle misure restrittive adottate dal Consiglio nei suoi confronti. A suo avviso, l’Istituzione ha commesso un errore di diritto non tenendo conto degli elementi che egli aveva portato a sua conoscenza. Come esposto in limine a tale motivo, il ricorrente riconosce che, ai sensi dei punti 77 e 84 della sentenza del 5 marzo 2015, Ezz e a./Consiglio (C‑220/14 P, EU:C:2015:147), il Consiglio è legittimato ad adottare misure restrittive in materia di politica estera di sicurezza comune (PESC) in ragione dell’esistenza di un procedimento giudiziario in corso per distrazione di fondi pubblici. Tuttavia, a suo avviso, l’evoluzione di tale procedimento giudiziario e il suo carattere irregolare sono rilevanti ai fini della valutazione della legittimità del mantenimento delle misure medesime.

30

A tal proposito, si deve ricordare, in limine, che la sentenza del 27 febbraio 2014, Ezz e a./Consiglio (T‑256/11, EU:T:2014:93), confermata su impugnazione con sentenza del 5 marzo 2015, Ezz e a./Consiglio (C‑220/14 P, EU:C:2015:147), ha accolto un’interpretazione estensiva dei criteri generali fissati all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/172/PESC, concernente misure restrittive nei confronti di determinate persone, entità ed organismi in considerazione della situazione in Egitto (GU 2011, L 76, pag. 63) (sentenza del 27 febbraio 2014, Ezz e a./Consiglio, T‑256/11, EU:T:2014:93, punto 67, confermata su impugnazione con sentenza del 5 marzo 2015, Ezz e a./ConsiglioC‑220/14 P, EU:C:2015:147, punti 72, 77, 8284).

31

Si deve peraltro ricordare che, in diverse sentenze relative a cause aventi ad oggetto l’annullamento di misure restrittive adottate dal Consiglio alla luce della situazione in Tunisia, il Tribunale ha applicato il medesimo principio d’interpretazione estensiva all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/72, formulato in termini pressoché identici all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/172 (sentenze del 14 aprile 2016, Ben Ali/Consiglio, T‑200/14, non pubblicata, EU:T:2016:216, punto 114; del 30 giugno 2016, CW/Consiglio, T‑224/14, non pubblicata, EU:T:2016:375, punto 91; del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 85, e del 30 giugno 2016, CW/Consiglio, T‑516/13, non pubblicata, EU:T:2016:377, punto 71).

32

A tal proposito, come risulta dall’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/72, il suo oggetto è il congelamento di fondi delle persone responsabili di distrazione di fondi pubblici tunisini e dei loro associati, i cui nominativi figurano nell’allegato a detta decisione. Infatti, tali distrazioni di fondi pubblici, ostacolando il funzionamento delle istituzioni pubbliche tunisine e degli organismi che da esse dipendono, «privano», secondo i termini del considerando 2 di tale decisione, «il popolo tunisino dei benefici dello sviluppo sostenibile della sua economia e della sua società e compromettono lo sviluppo della democrazia nel paese».

33

Peraltro, secondo la giurisprudenza, dall’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/72, letto alla luce dei considerando 1 e 2 della stessa, deriva che il congelamento dei fondi previsto da tale decisione non è diretto a sanzionare reati commessi dalle persone ad esse soggette, né a dissuaderle coattivamente dal commettere siffatti reati. Tale congelamento di fondi ha il solo obiettivo di facilitare l’accertamento da parte delle autorità tunisine delle distrazioni di fondi pubblici commesse e di conservare la possibilità, per le autorità medesime, di recuperare i proventi di tali distrazioni. Per tale ragione, esso presenta natura meramente conservativa ed è privo di connotazione penale (sentenze del 14 aprile 2016, Ben Ali/Consiglio, T‑200/14, non pubblicata, EU:T:2016:216, punti 8182, e del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punti 6264; v., altresì, in tal senso e per analogia, sentenza del 27 febbraio 2014, Ezz e a./Consiglio, T‑256/11, EU:T:2014:93, punti 77, 78206).

34

In particolare, tenuto conto degli obiettivi della decisione 2011/72, la nozione di persona responsabile di distrazione di fondi pubblici tunisini, ai sensi del suo articolo 1, paragrafo 1, deve comprendere non soltanto le persone già giudicate responsabili di tali fatti, ma anche quelle oggetto d’indagini giudiziarie in corso tendenti a stabilire tale responsabilità (sentenze del 14 aprile 2016, Ben Ali/Consiglio, T‑200/14, non pubblicata, EU:T:2016:216, punto 124; del 30 giugno 2016, CW/Consiglio, T‑224/14, non pubblicata, EU:T:2016:375, punto 100; del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 86, e del 30 giugno 2016, CW/ConsiglioT‑516/13, non pubblicata, EU:T:2016:377, punto 80).

35

É, quindi, sulla base di tale interpretazione dell’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/72, oltretutto non contestata dal ricorrente (v. punto 29 supra), che vanno esaminate i singoli capi del primo motivo. Va altresì sottolineato che, malgrado talune variazioni nella terminologia nel ricorso, il presente motivo dev’essere inteso come vertente su un errore di qualificazione giuridica degli elementi che costituiscono il fondamento in fatto delle misure restrittive controverse e non sull’assenza di fondamento giuridico delle misure stesse.

– Per quanto riguarda il primo capo del primo motivo, vertente sulla mancata considerazione da parte del Consiglio degli sviluppi favorevoli dei diversi procedimenti giurisdizionali riguardanti il ricorrente in Tunisia

36

Nell’ambito del primo capo del primo motivo il ricorrente sostiene, in sostanza, che gli sviluppi giurisdizionali a suo favore rendono improbabile un suo rinvio a giudizio. A sostegno di tale argomento deduce tre elementi. In primo luogo, viene richiamata una sentenza della Corte di Cassazione tunisina del 1o luglio 2014 secondo cui i beni ereditati dal padre, ai sensi del decreto legge tunisino n. 2011-47 del 31 maggio 2011, comprenderebbero i frutti provenienti dai beni medesimi e il loro reinvestimento. A suo avviso, tale sentenza dimostra la legittimità dei suoi beni tunisini. In secondo luogo vengono richiamate tre sentenze di giudici tunisini, datate, rispettivamente 28 maggio 2013, 21 agosto 2014 e 17 dicembre 2014, che hanno revocato il divieto di lasciare la Tunisia già disposto nei suoi confronti. In terzo luogo, egli sostiene di non essere accusato di detenzione di fondi illeciti al di fuori della Tunisia. Egli aggiunge, nella replica, che il Consiglio era tenuto ad assicurarsi della sussistenza di una prospettiva ragionevole di processo, e, in mancanza, a revocare le misure restrittive controverse, salvo cooperare nell’illecito comportamento delle autorità tunisine consistente, a suo avviso, nel prolungare sine die i procedimenti giudiziari a suo carico.

37

Il Consiglio risponde, nella controreplica, che la sentenza della Corte di Cassazione tunisina del 1o luglio 2014, contrariamente alle affermazioni del ricorrente, non dichiara che tutti i suoi beni in Tunisia sono legittimi. Il Consiglio afferma, poi, che gli argomenti del ricorrente relativi, da un lato, alla revoca del divieto di viaggiare all’estero nei suoi confronti e, dall’altro, all’assenza di collegamento tra le accuse di cui è oggetto e i beni posseduti al di fuori della Tunisia, sono privi di rilevanza. Secondo il Consiglio, così facendo il ricorrente assimila erroneamente le misure restrittive controverse a misure di assistenza giudiziaria.

38

A tal proposito, va rilevato che, alla luce della giurisprudenza rammentata ai punti 33 e 34 supra, l’argomento del ricorrente nell’ambito del presente capo dev’essere necessariamente respinto.

39

Infatti, ciò che il Consiglio è tenuto a verificare, nella specie, è se, da un lato, gli elementi di prova di cui dispone consentano di dimostrare che il ricorrente sia soggetto a uno o più procedimenti giudiziari in corso per fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici e, dall’altro, se tale o tali procedimenti consentano di qualificare il ricorrente come persona responsabile di tale distrazione o come associato al responsabile stesso, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1 della decisione 2011/72 (v., in tal senso, sentenze del 14 aprile 2016, Ben Ali/Consiglio, T‑200/14, non pubblicata, EU:T:2016:216, punto 156, e del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 65).

40

Di conseguenza, nell’ambito di tale decisione non spetta, in linea di principio, al Consiglio esaminare e valutare esso stesso la pertinenza e l’esattezza degli elementi sui quali si fondano i procedimenti giurisdizionali a carico delle persone il cui nominativo sia iscritto nell’allegato a tale decisione. Infatti, come esposto al punto 33 supra, con l’adozione di tale decisione e delle decisioni successive, il Consiglio non intende sanzionare esso stesso le distrazioni di fondi pubblici sulle quali indagano le autorità tunisine, ma intende conservare la possibilità per tali autorità di recuperarne i proventi. Spetta, quindi, alle autorità tunisine competenti verificare detti elementi e trarne le dovute conseguenze (v., in tal senso, sentenze del 14 aprile 2016, Ben Ali/Consiglio, T‑200/14, non pubblicata, EU:T:2016:216, punto 158, e del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 66). Di conseguenza, non spetta, in linea di principio, al Consiglio verificare la fondatezza di tali procedimenti, bensì unicamente la fondatezza della decisione di congelamento dei capitali alla luce degli elementi presentati dalle autorità tunisine (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 5 marzo 2015, Ezz e a./Consiglio, C‑220/14 P, EU:C:2015:147, punto 77).

41

Vero è che il Consiglio non può accettare, in ogni circostanza, gli accertamenti compiuti dalle autorità giudiziarie tunisine che compaiono nei documenti da esse forniti. Infatti, emerge dalla giurisprudenza che esso è tenuto ad esaminare con attenzione e imparzialità gli elementi di prova trasmessi dalle autorità competenti, nella specie le autorità tunisine, alla luce, segnatamente, delle osservazioni e degli eventuali elementi a discarico presentati dal ricorrente. Tale obbligo deriva altresì dal principio di buona amministrazione sancito dall’articolo 41 della Carta (v., in tal senso e per analogia, sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punti 99114; del 14 aprile 2016, Ben Ali/Consiglio, T‑200/14, non pubblicata, EU:T:2016:216, punti 158159, e del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punti 5867).

42

Tuttavia, dalla medesima giurisprudenza deriva che spetta al Consiglio, al fine di adempiere al proprio obbligo di esame attento e imparziale, valutare la necessità di ottenere o meno la comunicazione di informazioni o di elementi di prova aggiuntivi da parte delle autorità competenti in funzione delle osservazioni del ricorrente e degli elementi di fatto dallo stesso presentati. In particolare, se non spetta al Consiglio sostituirsi alle autorità giudiziarie tunisine nella valutazione della fondatezza dell’indagine giudiziaria di cui è oggetto il ricorrente, non può escludersi che l’Istituzione stessa sia tenuta a richiedere chiarimenti sugli elementi sui quali è fondata tale indagine (v., in tale senso e per analogia, sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 115, e del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 68).

43

Nella specie, va ricordato, come rilevato al punto 11 supra, che il Consiglio, per prorogare l’inserimento del nominativo del ricorrente nell’elenco allegato alla decisione 2011/72, si è fondato su un certificato delle autorità tunisine, datato 19 dicembre 2014, relativo all’indagine giudiziaria in corso relativa al ricorrente. Tale certificato, allegato all’atto introduttivo, proviene dal Tribunale di primo grado di Tunisi ed è firmato dal cancelliere del primo giudice istruttorio (gabinetto n. 1). Esso attesta che «il procedimento istruttorio recante il n. 19592/1, seguito contro Zine El Abidine Ben Haj Hamda Ben Haj Hassen Ben Ali e consorti, è in via di istruzione e riguarda il denominato Mohamed Marouen Ben Ali Ben Mohamed Mabrouk, perseguito, in particolare, per [c]oncorso in distrazione di fondi pubblici da parte di un funzionario pubblico, [c]omplicità in usurpazione di titolo da parte di un funzionario pubblico per procurare a un terzo un vantaggio ingiustificato e arrecare pregiudizio all’amministrazione, e [c]omplicità in influenza indebita presso un funzionario pubblico per ottenere direttamente o indirettamente vantaggi per un’altra persona».

44

Il ricorrente non contesta il fatto che tale certificato sia sufficiente a stabilire che egli è oggetto, in Tunisia, di un’indagine giudiziaria in corso, volta ad accertare il suo coinvolgimento in fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici. Infatti, gli elementi a discarico prodotti dal ricorrente intendono soltanto, come indica egli stesso, stabilire che non sussiste, per quanto lo riguarda, una ragionevole prospettiva di rinvio a giudizio in esito a tale indagine. In altri termini, sembra che il ricorrente affermi che detta indagine si risolverebbe in un affievolimento degli elementi a carico nei suoi confronti, ovvero nel loro venir meno. Per contro, egli non sostiene affatto di disporre di elementi che dimostrino che le autorità giudiziarie tunisine avrebbero archiviato l’indagine per il motivo per non luogo a procedere per i fatti che ne costituivano l’oggetto.

45

Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, essendo ancora in corso l’indagine giudiziaria, l’esistenza di sviluppi giurisdizionali da cui emerga un affievolimento degli elementi a carico nei suoi confronti, anche ammesso che sia dimostrata, non può imporre al Consiglio, dal momento in cui ha conoscenza di tali elementi, di cancellare il nominativo dell’interessato dall’elenco allegato alla decisione 2011/72.

46

Infatti, come rilevato al punto 40 supra, non spetta al Consiglio, ma alle autorità tunisine competenti, verificare gli elementi sui quali si fonda l’indagine giudiziaria e trarne le dovute conseguenze per quanto ne riguarda l’esito. In caso contrario, potrebbe verificarsi che il Consiglio sia indotto a trarre conclusioni premature per quanto riguarda la fondatezza dell’indagine stessa, eventualmente divergenti da quelle tratte dalle autorità tunisine stesse. Una situazione del genere potrebbe portare al risultato paradossale che, nel momento del rinvio al giudizio dell’interessato e dell’eventuale riconoscimento, da parte delle autorità medesime, come responsabile di distrazione di fondi pubblici, non sussisterebbe più congelamento dei suoi capitali nell’Unione europea che consenta di recuperare il frutto di tali sottrazioni che gli sono contestate. É evidente che l’effetto utile della decisione 2011/72 non sarebbe garantito (v. in tal senso e per analogia, sentenze del 14 aprile 2016, Ben Ali/Consiglio, T‑200/14, non pubblicata, EU:T:2016:216, punto 124, e del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 86).

47

Peraltro, secondo la giurisprudenza, sebbene, in caso di contestazione, spetti all’autorità competente dell’Unione, dimostrare la fondatezza dei motivi posti a carico della persona interessata, e non già a quest’ultima di produrre la prova negativa dell’infondatezza di tali motivi, al fine di valutare la natura, le modalità e l’intensità della prova che può essere richiesta al Consiglio, si deve tenere conto della natura e della portata specifica delle misure restrittive e del loro obiettivo (v., in tal senso, sentenze del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 121; del 28 novembre 2013, Consiglio/Manufacturing Support & Procurement Kala Naft, C‑348/12 P, EU:C:2013:776, punti da 74 a 85, e del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punti 5074).

48

Nella specie, poiché il Consiglio ha fornito prove dell’esistenza di un’indagine giudiziaria in corso a carico del ricorrente e che l’affidabilità di tali prove non è contestata, spetta al ricorrente indicare gli elementi concreti volti a contestare la fondatezza dell’indagine (v. in tal senso e per analogia, sentenza del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 74). Vero è che, come rilevato dal ricorrente nella replica, l’obbligo del Consiglio di effettuare verifiche può essere giustificato dall’esigenza, per l’Istituzione, di evitare di partecipare ad eventuali comportamenti illegittimi delle autorità tunisine consistenti nel lasciare indefinitamente aperta detta indagine in assenza di qualsiasi elemento a suo carico. Tuttavia, ciò non può verificarsi in assenza di elementi concreti tali da suscitare, nel Consiglio, legittime perplessità sui motivi della mancata chiusura di tale indagine.

49

Orbene, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, gli elementi a discarico dal medesimo prodotti non sono tali da suscitare legittime perplessità sulla prospettiva di un rinvio a giudizio in esito all’indagine giudiziaria cui è sottoposto o sulle ragioni della mancata chiusura di tale indagine.

50

In primo luogo, il ricorrente non ha fornito alcun elemento che consenta di comprendere in qual modo la sentenza della Corte di cassazione tunisina del 1o luglio 2014 possa incidere sulla valutazione del suo coinvolgimento nei reati sui quali verte l’indagine giudiziaria a suo carico attualmente pendente.

51

A tal proposito, secondo le indicazioni del difensore del ricorrente in Tunisia esposte nella sua lettera del 2 settembre 2014 allegata all’atto introduttivo di ricorso, la Corte di cassazione tunisina, nella sentenza del 1o luglio 2014, ha ritenuto che i beni provenienti dalla successione e conseguentemente esclusi dalla confisca prevista dal decreto legge n. 2011-47, in data 31 maggio 2011, comprendevano non solo i beni trasmessi per via di successione ma altresì i frutti dei beni medesimi e i frutti del loro reinvestimento in tutte le forme. In detta lettera, il difensore del ricorrente in Tunisia deduce dalla sentenza de qua che «[la sua] applicazione dovrebbe comportare che tutti i beni [del ricorrente] siano esclusi dal campo di applicazione del decreto legge di confisca, poiché tali beni provengono sia direttamente dalla successione del padre, [sia] dal reinvestimento di beni provenienti dalla successione e dai loro frutti».

52

Orbene, è sufficiente rilevare, al riguardo, che le menzionate considerazioni della sentenza della Corte di cassazione tunisina del 1o luglio 2014 non consentono in nessun modo, di per sé, di escludere che l’indagine giudiziaria pendente, cui è sottoposto il ricorrente, concluda nel senso della sua responsabilità nei fatti di distrazione di fondi pubblici tunisini.

53

Infatti, da tali considerazioni può solamente dedursi che i proventi dei beni del ricorrente trasmessigli iure hereditario e i frutti del loro reinvestimento non possono essere oggetto della confisca prevista dal decreto legge n. 2011-47 datato 31 maggio 2011. Per contro, non può essere tratta alcuna conclusione riguardo all’esito dell’indagine giudiziaria stessa. Di conseguenza, anche supponendo che sia dimostrata, l’affermazione del ricorrente secondo la quale, in seguito a detta sentenza, egli potrebbe liberamente gestire i propri beni tunisini, non pregiudica affatto l’esito di tale indagine, che, alla luce dei fatti che ne costituiscono l’oggetto, è idonea a mettere in discussione la legittimità del possesso da parte del ricorrente di parte del suo patrimonio.

54

Inoltre, il ricorrente non è stato in grado di spiegare la relazione intercorrente, da un lato, tra detto decreto e il procedimento civile nell’ambito del quale è stata pronunciata la sentenza della Corte di cassazione tunisina del 1o luglio 2014 e, dall’altro, l’indagine giudiziaria de qua. Infatti, interrogato in merito all’udienza, si è limitato a confermare che il decreto legge n. 2011-47 del 31 maggio 2011 era applicabile, oltre che al medesimo, a talune persone sottoposte ad indagini giudiziarie analoghe e che era possibile che il procedimento giudiziario nell’ambito del quale era stata pronunciata tale sentenza, che lo riguardava, interessasse parimenti alcune di queste persone. Orbene, il fatto che, parallelamente alle indagini giudiziarie a carico del ricorrente e di altre persone, il campo di applicazione delle misure amministrative di confisca dei beni adottate dalle autorità tunisine nei loro confronti sia stato ridotto da una decisione della Corte di cassazione tunisina, non è sufficiente a suscitare perplessità legittime sul fondamento di tali indagini giudiziarie.

55

In secondo luogo, la revoca del divieto di lasciare la Tunisia di cui era oggetto il ricorrente, in seguito a tre sentenze di giudici tunisini del 28 maggio 2013, del 21 agosto 2014 e del 17 dicembre 2014, non appare tale da suscitare perplessità del genere. Infatti, dalle affermazioni del ricorrente e dagli atti di causa risulta che le sentenze di cui trattasi sono state pronunciate nell’ambito di procedimenti differenti da quello penale che ha dato luogo a tale indagine, il quale, alla data di adozione della decisione 2015/157 era ancora in corso. Il ricorrente, inoltre, non sostiene affatto che tali sentenze sarebbero state pronunciate in cause aventi un qualunque collegamento con tale indagine. Inoltre, la circostanza che, in seguito alle sentenze medesime, il ricorrente sia libero di lasciare la Tunisia, a supporre che sia dimostrata, risulta totalmente irrilevante.

56

Vero è che la revoca del divieto di lasciare il territorio tunisino, pronunciata con la prima delle menzionate sentenze, fa seguito, come emerge dagli atti di causa, all’assoluzione del ricorrente pronunciata nella medesima sentenza, in un procedimento nel quale il ricorrente era stato chiamato dinanzi al giudice de quo per fatti di natura analoga a quelli oggetto dell’indagine giudiziaria in questione. Tuttavia, non è dimostrato e nemmeno affermato, che dall’assoluzione del ricorrente in tale procedimento deriverebbe la sua assoluzione nel procedimento oggetto dell’indagine o che costituisca un elemento a discarico in quest’ultimo.

57

In terzo luogo, per quanto riguarda l’argomento del ricorrente secondo il quale egli non è «accusato» di detenzione di capitali illeciti al di fuori della Tunisia, va ricordato che il fatto che l’indagine giudiziaria in questione riguardi fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici costituisce un fondamento in fatto sufficiente a giustificare il congelamento dei suoi capitali nell’Unione. Infatti, come rilevato al punto 33 supra, tale misura ha il solo obiettivo di facilitare l’accertamento, da parte delle autorità tunisine, delle distrazioni di fondi pubblici commesse mantenendo la possibilità, per le autorità medesime, di recuperare i proventi di tali distrazioni. Il suo oggetto non consiste, quindi, nel consentire l’accertamento di un reato di detenzione di capitali illeciti al di fuori della Tunisia e, più specificamente, nell’Unione. Peraltro, non è contestato che i fatti oggetto di detta indagine, in particolare i fatti di concorso in distrazione di fondi pubblici da parte di un funzionario pubblico, presentino un nesso diretto ed evidente con la nozione di distrazione di fondi pubblici ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/72. Di conseguenza, è irrilevante la circostanza che il certificato delle autorità tunisine del 19 dicembre 2014, sul quale si fonda il Consiglio, e, di conseguenza, le ragioni alla base dell’inserimento del nominativo del ricorrente non si riferiscano a fatti di detenzione di capitali illeciti al di fuori della Tunisia e, in particolare, nell’Unione (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 116).

58

Alla luce delle suesposte considerazioni, il primo capo del primo motivo dev’essere necessariamente respinto.

– Per quanto riguarda il secondo capo del primo motivo, vertente sulla mancata considerazione da parte del Consiglio della violazione del principio del termine ragionevole di giudizio nell’ambito dell’indagine giudiziaria pendente a carico del ricorrente

59

Nell’ambito del secondo capo del primo motivo il ricorrente sostiene che l’indagine giudiziaria in corso cui è sottoposto in Tunisia non rispetta il principio del termine ragionevole di giudizio. Egli sottolinea, a tal proposito, che tale principio è sancito all’articolo 7, paragrafo 1, lettera d) della Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, adottata il 27 giugno 1981 a Nairobi (Kenya) (in prosieguo: la «Carta africana»), ratificata dalla Repubblica di Tunisia. Egli deduce, inoltre, che nella specie tale indagine è durata più di quattro anni senza alcuna prospettiva quanto al suo esito. Aggiunge che tale termine è imputabile soltanto alle autorità tunisine. Infine, conclude rilevando che erroneamente tale indagine non è stata conclusa, tenuto conto della durata della stessa e degli sviluppi intervenuti in suo favore. Tali argomenti risulterebbero confermati dalla sentenza della Corte EDU del 3 maggio 2012, Masár. c. Slovacchia (CE:ECHR:2012:0503JUD006688209). Nella replica, il ricorrente precisa, in sostanza, che il controllo che, a suo avviso, deve esercitare il Consiglio sulla regolarità del procedimento giudiziario in Tunisia deve determinare la cancellazione del suo nominativo dall’elenco allegato alla decisione 2011/72 in considerazione del prolungamento di tale procedimento oltre un termine ragionevole.

60

Il Consiglio, dal canto suo, replica di non essere tenuto a valutare i comportamenti di Stati terzi, bensì soltanto a valutare la rilevanza e la sufficienza degli elementi di prova prodotti dalle autorità di tali Stati. A suo avviso, è sulla base di tali principi che, nella lettera ad esso indirizzata il 4 febbraio 2015, ha indicato al ricorrente che avrebbe preso nota dei suoi argomenti e che la sua situazione sarebbe stata riesaminata prima del mese di luglio 2015. Nella controreplica, il Consiglio aggiunge di disporre di elementi da cui risulterebbe che il procedimento giudiziario in Tunisia cui è sottoposto il ricorrente è in corso e che i termini di tale procedimento non sono irragionevoli alla luce della complessità di tutte le cause in questione. Allega alla controreplica i documenti nei quali figurano tali elementi.

61

Si deve ricordare, in limine, che, secondo giurisprudenza costante, la legittimità di un atto dell’Unione dev’essere valutata in funzione della situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato (v. sentenze del 3 settembre 2015, Inuit Tapiriit Kanatami e a./Commissione, C‑398/13 P, EU:C:2015:535, punto 22 e giurisprudenza ivi citata, e del 4 settembre 2015, NIOC e a./Consiglio, T‑577/12, non pubblicata, EU:T:2015:596, punto 112 e giurisprudenza ivi citata). Nella specie, le censure del ricorrente enunciate nell’ambito del presente capo non possono essere esaminate alla luce di elementi successivi alla decisione 2015/157. Orbene, ciò vale per quanto riguarda la lettera del 4 febbraio 2015 indirizzata al ricorrente dal Consiglio, nonché, a fortiori, per il riesame della situazione del ricorrente che il Consiglio si è impegnato, in tale lettera, ad effettuare nel prosieguo. Parimenti, i documenti allegati alla controreplica e ivi richiamati dal Consiglio per dimostrare che la durata del procedimento giudiziario a carico del ricorrente in Tunisia non sarebbe irragionevole provengono dalle autorità tunisine l’11 maggio 2015. Di conseguenza, tali documenti non erano conosciuti dal Consiglio alla data dell’adozione della decisione 2015/157 e non possono essere presi in considerazione dal Tribunale.

62

Nel merito, nell’ambito del presente capo, il ricorrente sostiene, in sostanza, che poiché il procedimento giudiziario cui è sottoposto non è conforme al principio del termine ragionevole di giudizio ed è, di conseguenza, illegittimo, il Consiglio non poteva mantenere l’inserimento del suo nominativo nell’allegato della decisione 2011/72 sul fondamento di tale procedimento. Di conseguenza, nell’ambito del presente capo, il controllo del Tribunale deve limitarsi a verificare se il Consiglio abbia ritenuto, correttamente o meno, che la durata di tale procedimento giudiziario costituisse un motivo per porre fine alle misure restrittive nei confronti del ricorrente.

63

A tal proposito, per ragioni identiche a quelle enunciate al punto 46 supra, si deve rilevare che spetta ai giudici tunisini pronunciarsi su un’eventuale violazione del principio del termine ragionevole di giudizio nell’ambito del procedimento giudiziario cui è sottoposto il ricorrente. In particolare, come rileva il ricorrente stesso, la Repubblica di Tunisia è parte della Carta africana e l’articolo 7, paragrafo 1, lettera d), di tale convenzione internazionale sancisce il diritto di essere giudicato entro un termine ragionevole da un giudice imparziale. Di conseguenza, spetta ai giudici tunisini, eventualmente aditi dal ricorrente, accertare se le disposizioni di tale articolo siano state rispettate nell’ambito del procedimento giudiziario de quo. Inoltre, né l’Unione né gli Stati membri sono parti della Carta africana, con la conseguenza che il Consiglio e il Tribunale non possono interpretare tale convenzione internazionale o applicarla (v., in tal senso, sentenza del 21 dicembre 2011, Air Transport Association of America e a., C‑366/10, EU:C:2011:864, punti 5262).

64

Vero è che, secondo la giurisprudenza, il rispetto dei principi dello Stato di diritto e dei diritti dell’Uomo e della dignità umana si impone a qualsiasi azione dell’Unione, compreso nel settore della PESC, come risulta dal combinato disposto dell’articolo 21, paragrafo 1, primo comma, paragrafo 2, lettera b), e paragrafo 3, TUE e dell’articolo 23 TUE (v., in tal senso, sentenza del 14 giugno 2016, Parlamento/Consiglio, C‑263/14, EU:C:2016:435, punto 47). In particolare, si deve rilevare che l’articolo 21, paragrafo 1, TUE, dispone che l’azione dell’Unione sulla scena internazionale si prefigge di promuovere nel resto del mondo, in particolare, lo Stato di diritto, l’universalità e l’indivisibilità dei diritti dell’uomo e il rispetto del diritto internazionale. Orbene, il principio del termine ragionevole di giudizio è un componente del diritto a un equo processo che è tutelato dalle disposizioni di diversi strumenti di diritto internazionale giuridicamente vincolanti, in particolare, dall’articolo 14, paragrafo 3, lettera c), del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici, approvato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1966, di cui fanno parte tutti gli Stati membri e la Repubblica di Tunisia. Inoltre, come emerge dal considerando 1 della decisione 2011/72, tale decisione e le decisioni successive sono state adottate nell’ambito di un apolitica di sostegno alla Tunisia, fondata, segnatamente, sugli obiettivi di promozione del rispetto dei diritti dell’uomo e dello Stato di diritto di cui all’articolo 21, paragrafo 2, lettera b), TUE.

65

Di conseguenza, non può essere escluso che, in presenza di elementi obiettivi affidabili, precisi e concordanti tali da suscitare perplessità legittime relative al rispetto del diritto del ricorrente ad un termine ragionevole di giudizio nell’ambito dell’indagine giudiziaria in corso nei suoi confronti e assunti a fondamento al congelamento dei suoi capitali nell’Unione, il Consiglio effettui le necessarie verifiche.

66

Tuttavia, il presente capo del primo motivo si basa sul postulato secondo il quale, tenuto conto della durata eccessiva di detta indagine giudiziaria, che avrebbe dovuto, secondo il ricorrente, essere già chiusa, e quindi del carattere illegittimo dell’indagine stessa, il Consiglio sarebbe stato tenuto a porre fine immediatamente al congelamento dei suo capitali nell’Unione. Orbene, tale postulato non merita accoglimento.

67

Infatti, in primo luogo, si deve rilevare che non risulta dimostrato né tanto meno affermato che, in forza della legge tunisina, dalla violazione del principio del termine ragionevole di giudizio nell’ambito di un procedimento penale derivi l’archiviazione o l’annullamento del procedimento stesso.

68

Peraltro, il ricorrente si richiama alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’Uomo (in prosieguo la «Corte EDU») relativa all’applicazione nei procedimenti pensali del principio del termine ragionevole di giudizio sancito all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»). Vero è che tale giurisprudenza costituisce un elemento di paragone pertinente nel caso di specie, in quanto l’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU tutela detto principio in modo analogo all’articolo 14, paragrafo 3, lettera c), del patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e all’articolo 7, paragrafo 1, lettera d), della Carta africana. Tuttavia, si deve rilevare che, nell’ambito di tale giurisprudenza, la Corte EDU non ha dedotto da tale principio l’obbligo per le autorità nazionali di porre fine a un procedimento penale la cui durata si riveli eccessiva (v., in tal senso, Corte EDU, 28 giugno 2016, O’Neill e Lauchlan c. Regno Unito, CE:ECHR:2016:0628JUD004151610, punto 87).

69

Inoltre, si deve rilevare che, anche nell’ambito dell’applicazione dell’articolo 5, paragrafo 3, della CEDU, che condiziona il mantenimento della custodia cautelare o preventiva di una persona all’intervento di una decisione giudiziaria entro un termine ragionevole, la Corte EDU non ritiene che dalla violazione di tale requisito debba derivare l’archiviazione dell’indagine giudiziaria de qua. Vero è che essa ritiene che il trattamento del caso della persona interessata debba essere oggetto, in tal caso, di una particolare rapidità. Tuttavia, essa ritiene altresì che tale rapidità particolare alla quale un imputato detenuto ha diritto nell’ambito dell’esame del proprio caso, non debba nuocere agli sforzi dei magistrati di svolgere il loro compito con la voluta accortezza (Corte EDU, 11 dicembre 2007, Pecheur c. Lussemburgo, CE:ECHR:2007:1211JUD001630802, punto 62, e 5 novembre 2009, Shabani c. Svizzera, CE:ECHR:2009:1105JUD002904406, punto 65).

70

Di conseguenza, nulla consente di ritenere che dall’eventuale violazione del diritto del ricorrente a un termine ragionevole di giudizio nell’ambito del procedimento giudiziario nei suoi confronti in Tunisia debba derivare l’archiviazione o l’annullamento del procedimento medesimo.

71

In secondo luogo, va rilevato che, alla luce della giurisprudenza della Corte EDU, il rispetto del diritto al termine ragionevole di giudizio, come sancito dal diritto internazionale, dev’essere esaminato alla luce delle circostanze del caso di specie, le quali richiedono una valutazione globale, sulla base in particolare di criteri relativi alla complessità della causa, al comportamento del ricorrente e a quello delle autorità competenti (v. Corte EDU, 28 giugno 2016, O’Neill e Lauchlan c. Regno Unito, CE:ECHR:2016:0628JUD004151610, punto 86 e giurisprudenza ivi citata). Principi analoghi disciplinano, nella giurisprudenza dei giudici dell’Unione, l’esame del rispetto del diritto al termine ragionevole di giudizio, quale sancito dall’articolo 47 della Carta (v., in tal senso, sentenza del 26 novembre 2013, Groupe Gascogne/Commissione, C‑58/12 P, EU:C:2013:770, punti 8586 e giurisprudenza ivi citata).

72

Orbene, il Consiglio, anche ammesso che possa procedere a tale valutazione globale alla luce delle circostanze del caso di specie, sarebbe necessariamente indotto, a tal fine, a richiedere informazioni complementari relative al procedimento giudiziario di cui trattasi presso le autorità tunisine. Infatti, come risulta dai punti da 43 a 45 supra, per mantenere l’inserimento del nominativo del ricorrente nell’allegato della decisione 2011/172, il Consiglio è tenuto soltanto, nella specie, a disporre delle prove dell’esistenza di un procedimento giudiziario in corso a carico del ricorrente per fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici. Orbene, alla luce dei requisiti enunciati al punto 71 supra, tali prove non sarebbero sufficienti ad accertare l’esistenza di un’eventuale violazione, nell’ambito di tale procedimento, del diritto del ricorrente a un termine ragionevole di giudizio. Peraltro, anche ammesso che gli elementi prodotti dal ricorrente fossero tali da suscitare perplessità legittime relative al rispetto di tale diritto, essi non erano, in ogni caso, sufficienti per consentire al Consiglio di affermare l’esistenza di una violazione di tale diritto.

73

Di conseguenza, il Consiglio non poteva essere tenuto a porre fine all’inserimento del nominativo del ricorrente senza aver effettuato le idonee verifiche presso le autorità tunisine.

74

In particolare, si deve rilevare che è nelle sue osservazioni del 15 gennaio 2015 che il ricorrente ha presentato al Consiglio gli elementi dedotti, nell’ambito del presente ricorso, per sostenere che il proprio diritto a un termine ragionevole di giudizio sarebbe stato violato dalle autorità tunisine. Orbene, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2014/49 la proroga delle misure restrittive nei confronti del ricorrente e risultanti da tale decisione scadeva il 31 gennaio 2015. Peraltro, la decisione 2015/157 è entrata in vigore lo stesso giorno. Di conseguenza, anche ammesso che detti elementi fossero tali da giustificare, da parte del Consiglio, verifiche presso le autorità tunisine, non poteva pretendersi che l’Istituzione stessa effettuasse tali verifiche e ne traesse le conseguenze nel termine di cui disponeva prima dello scadere degli effetti della decisione 2014/49 nei confronti del ricorrente e l’adozione di una nuova decisione analoga, che era di sole due settimane.

75

Di conseguenza, risulta dai suesposti rilievi che erroneamente il ricorrente sostiene che il Consiglio era tenuto, sulla base di tali soli elementi, a porre fine all’inserimento del suo nominativo nell’allegato della decisione 2011/172.

76

In ogni caso, tali elementi non erano idonei a suscitare legittime perplessità da parte del Consiglio tali da giustificare verifiche complementari presso le autorità tunisine.

77

Infatti, la durata del procedimento giudiziario in questione, che, secondo il ricorrente è di quattro anni, non riveste, a prima vista, carattere manifestamente eccessivo, trattandosi, come risulta da documenti allegati all’atto introduttivo, di un’indagine relativa a fatti di distrazione di fondi pubblici, in relazione ad altri procedimenti giudiziari connessi che riguardano numerose altre persone e che necessitano di indagini all’estero. Peraltro, l’esempio richiamato dal ricorrente a sostegno del suo argomento, relativo al trattamento da parte delle autorità tunisine della sua domanda diretta a che la sua causa fosse disgiunta da quella relativa ad altre persone, non può costituire, da solo, un indizio significativo di una durata eccessiva dell’istruttoria del procedimento giudiziario nel suo complesso. Si deve aggiungere che, nelle proprie osservazioni del 15 gennaio 2015, il ricorrente indica che la qualificazione dei fatti sui quali indagano le autorità giudiziarie tunisine a suo carico, è stata modificata nel corso dell’istruttoria. Una circostanza del genere può costituire un elemento di contesto supplementare tale da spiegare la durata del medesimo procedimento. Inoltre, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, i vari sviluppi giurisdizionali a suo favore, dei quali si avvale nell’ambito del primo capo del presente motivo, non risultano idonei a giustificare la chiusura di tale procedimento, per i motivi di cui ai punti da 49 a 58 supra.

78

La sentenza della Corte EDU del 3 maggio 2012, Masár c. Slovacchia (CE:ECHR:2012:0503JUD006688209), alla quale fa riferimento il ricorrente a sostegno di tale capo, non è tale da rimettere in discussione le considerazioni che precedono. Infatti, detta causa verte su un procedimento penale per fatti che non presentano alcuna analogia con quelli sui quali verte l’indagine giudiziaria in corso a carico del ricorrente in Tunisia. Non è, quindi, significativo il fatto che la Corte EDU abbia considerato, in tale sentenza che la durata del procedimento penale di cui trattasi, che era paragonabile a quella dell’indagine in questione, non fosse conforme al principio del termine ragionevole di giudizio sancito dall’articolo 6, paragrafo 1, della CEDU. Il medesimo ragionamento è applicabile alle sentenze dello stesso giudice menzionate dal ricorrente in udienza.

79

Dalle considerazioni che precedono risulta che il secondo capo del primo dev’essere respinto.

– Sul terzo capo del primo motivo, vertente su un errore di diritto del Consiglio, laddove quest’ultimo avrebbe erroneamente ritenuto che gli elementi prodotti dalle autorità tunisine dimostrassero l’esistenza di procedimenti a carico del ricorrente

80

A sostegno del presente capo il ricorrente sostiene che il Consiglio ha erroneamente ritenuto che il certificato delle autorità tunisine del 19 dicembre 2014, dimostrasse l’esistenza di procedimenti a suo carico in Tunisia, mentre tale certificato cita soltanto un’istruttoria in corso. Di conseguenza, tale certificato non fornirebbe un fondamento in fatto sufficiente per la decisione 2015/157.

81

È giocoforza respingere tale argomentazione.

82

Infatti, in primo luogo, l’argomento del ricorrente si riferisce alla lettera del Consiglio del 4 febbraio 2015, nella quale quest’ultimo indica che il certificato delle autorità tunisine del 19 dicembre 2014 attesta che il ricorrente è perseguito per concorso in distrazione di fondi pubblici tunisini sulla base degli articoli 32, 87, 96 e 99 del codice penale tunisino. Orbene, da un lato, si tratta di un documento successivo all’adozione della decisione 2015/157. Dall’altro lato, i motivi alla base dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’allegato della decisione 2011/72, come modificata dalla decisione 2014/49 e prorogata dalla decisione 2015/157, non menzionano l’esistenza di procedimenti a carico del ricorrente ma soltanto l’esistenza di indagini giudiziarie che lo riguardano. Il mantenimento di misure restrittive nei confronti del ricorrente che deriva dalla decisione 2015/157 non si basa, quindi, sul fatto che il ricorrente sia perseguito per i fatti menzionati nei detti motivi d’iscrizione.

83

In secondo luogo, come già ricordato al punto 34 supra e come riconosce il ricorrente stesso nell’ambito del presente motivo, l’esistenza di procedimenti giudiziari in corso per fatti di distrazione di fondi pubblici, sui quali si fondano i detti motivi d’iscrizione, costituiva, in linea di principio, un fondamento sufficiente per adottare misure restrittive. Ciò detto, anche nell’ipotesi in cui il Consiglio avesse erroneamente ritenuto che il certificato delle autorità tunisine del 19 dicembre 2014 consentisse di stabilire che il ricorrente era sottoposto a procedimenti giudiziari, tale errore sarebbe irrilevante.

84

In ogni caso, si deve rilevare che detto certificato, che il ricorrente stesso ha allegato all’atto introduttivo, menziona l’esistenza di procedimenti a carico del ricorrente. Infatti, il testo di tale certificato, redatto in francese, indica che «il procedimento istruttorio di cui al n. 19592/1, (…) è in via di istruzione e riguarda il denominato Mohamed Marouen Ben Ali Ben Mohamed Mabrouk, perseguito in particolare per [c]oncorso in distrazione di fondi pubblici da parte di un funzionario pubblico, [c]omplicità in usurpazione di titolo da parte di un funzionario pubblico per procurare a un terzo un vantaggio ingiustificato e arrecare pregiudizio all’amministrazione, e [c]omplicità in influenza indebita presso un funzionario pubblico per ottenere direttamente o indirettamente vantaggi per un’altra persona». Di conseguenza, la premessa in fatto sulla quale si basa il presente capo del primo motivo è errata.

85

É giocoforza, quindi respingere il terzo capo del primo motivo e, di conseguenza, il primo motivo in toto.

Sul secondo motivo, vertente su violazioni dei diritti fondamentali del ricorrente di cui sarebbe viziato il procedimento che ha condotto all’adozione della decisione 2015/157

– Sul primo capo del secondo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 47 della Carta per inosservanza, da parte del Consiglio stesso, del principio del termine ragionevole di giudizio

86

A sostegno del primo capo del secondo motivo il ricorrente sostiene, in sostanza, che l’articolo 47 della Carta è applicabile nel caso di specie per il motivo che le misure adottate dal Consiglio nei suoi confronti sono state adottate in collegamento con un procedimento giudiziario. Per dimostrare una violazione del principio del termine ragionevole di giudizio egli si riferisce al suo argomento esposto nell’ambito del primo motivo. L’obbligo del Consiglio di rispettare il principio del termine ragionevole di giudizio sancito dall’articolo 47 della Carta sarebbe confermato dalla giurisprudenza della Corte. Nella replica, il ricorrente afferma, in risposta agli argomenti del Consiglio, che non rileva il fatto che il Consiglio non abbia agito, nella specie, nell’ambito di competenze giudiziarie. Non rileverebbe, peraltro, che il procedimento di riesame del Consiglio soddisfi i requisiti di cui all’articolo 47 della Carta, poiché il Consiglio non sarebbe un organo giurisdizionale imparziale e indipendente.

87

Il Consiglio, dal canto suo, fa valere a propria difesa di non aver agito nell’ambito dell’esercizio di funzioni giurisdizionali, essendo tali funzioni riservate, nel quadro del sistema istituzionale dell’Unione, alla Corte di giustizia dell’Unione europea. Peraltro, il Tribunale ha già dichiarato che misure come le misure restrittive controverse non presentavano carattere giurisdizionale. Inoltre, il Consiglio ritiene che, anche a supporre che il principio del termine ragionevole di giudizio sancito dall’articolo 47 della Carta gli sia applicabile, la durata del procedimento dinanzi a tale istituzione non ha violato l’esigenza del termine ragionevole, nella misura in cui esso avrebbe effettuato, ogni anno, un riesame della questione se vi era luogo di mantenere il nominativo del ricorrente nell’elenco allegato alla decisione 2011/72.

88

Si deve, innanzitutto, rilevare che l’argomento del ricorrente nell’ambito del presente motivo non può essere esaminato alla luce dell’articolo 47 della Carta.

89

A tal proposito, occorre ricordare che, ai sensi del testo dell’articolo 47, paragrafo 2, prima frase, della Carta, ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Peraltro, si deve altresì ricordare che, ai sensi del suo articolo 51, paragrafo 1, la Carta si rivolge alle istituzioni, organi e organismi dell’Unione, come pure agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione. Inoltre, in virtù del paragrafo 2 di quest’ultimo articolo, la Carta non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l’Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati.

90

Orbene, alla luce dell’articolo 51, paragrafi 1 e 2 della Carta, le disposizioni del suo articolo 47 devono essere interpretate nel senso che esse riguardano il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva unicamente nei procedimenti nei quali sono in gioco i diritti e le libertà garantiti dal diritto dell’Unione (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 6 settembre 2016, Petruhhin, C‑182/15, EU:C:2016:630, punto 52).

91

Di conseguenza, nella presente fattispecie, l’articolo 47 della Carta è applicabile nel senso che garantisce al ricorrente che il congelamento dei capitali controverso sarà oggetto di un controllo giurisdizionale effettivo da parte del Tribunale, il che comporta, in particolare, la verifica se la decisione di adozione di tali misure poggi su un fondamento in fatto sufficientemente solido (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./KadiC‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 119). Tale obbligo di verifica, ai sensi dell’articolo 47 della Carta, spetta, quindi al Tribunale e non al Consiglio.

92

Per contro, le disposizioni dell’articolo 47 della Carta non possono essere applicate al diritto del ricorrente a una tutela giurisdizionale effettiva nell’ambito del procedimento giudiziario di cui è oggetto in Tunisia, che è un paese terzo. Peraltro, il fatto che la decisione di adozione di misure restrittive nei confronti del ricorrente sia fondata su tale procedimento giudiziario non può avere l’effetto di giustificare un controllo della sua legittimità alla luce di tali disposizioni. Infatti, da un lato, tale decisione emana da un’istituzione dell’Unione che non è abilitata dal Trattato ad esercitare funzioni giurisdizionali. Dall’altro lato, detta decisione, adottata oltretutto nell’ambito della PESC, non riveste un carattere giurisdizionale, non avendo lo scopo di giudicare un ricorso né decidere di una controversia (v., in tal senso e per analogia, ordinanza del 24 marzo 2011, Bengtsson, C‑344/09, EU:C:2011:174, punti da 22 a 24 e giurisprudenza ivi citata).

93

Tale interpretazione non è messa in discussione dai punti da 178 a 184 e 188 della sentenza del 16 luglio 2009, Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione (C‑385/07 P, EU:C:2009:456), citati dal ricorrente a sostegno del presente capo. Infatti, deriva chiaramente da tali punti, in particolare dal punto 188, che la Corte si è limitata ad applicare il principio del termine ragionevole di giudizio, di cui all’articolo 47, paragrafo 2, prima frase, della Carta, al trattamento di un ricorso giurisdizionale da parte del Tribunale, nell’ambito del procedimento seguito dinanzi a tale giudice, e non ha voluto estendere tale applicazione a istituzioni dell’Unione che non hanno competenza giurisdizionale [v., in tal senso, sentenza del 16 luglio 2009, Der Grüne Punkt – Duales System Deutschland/Commissione (C‑385/07 P, EU:C:2009:456), punti da 178 a 184188 e giurisprudenza ivi citata].

94

Si deve, certamente, rilevare che il Consiglio è tenuto a trattare le questioni delle persone cui si riferiscono le misure restrittive che ha adottato in un termine ragionevole, ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta, che sancisce il diritto di ciascuno a una buona amministrazione.

95

Tuttavia, ammesso che, nonostante l’argomento del ricorrente, il presente capo possa essere interpretato come vertente sulla violazione da parte del Consiglio dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta, dagli elementi esposti ai punti da 62 a 78 supra risulta che esso dovrebbe essere, in ogni caso, respinto come infondato.

96

Infatti, da un lato, per i motivi esposti ai punti da 66 a 75 supra, anche nell’ipotesi in cui tali elementi avessero giustificato che il Consiglio effettuasse verifiche presso le autorità tunisine per quanto riguarda l’indagine giudiziaria in corso a carico del ricorrente, detti elementi non potevano avere la conseguenza di obbligarlo a porre fine al congelamento dei suoi capitali nell’Unione. Dall’altro lato, come esposto ai punti da 76 a 78 supra, gli elementi prodotti dal ricorrente precedentemente all’adozione della decisione 2015/157 non erano tali da suscitare perplessità legittime relative al rispetto del principio del termine ragionevole di giudizio da parte delle autorità tunisine. In ultimo, si deve aggiungere che, per le medesime ragioni, non può essere contestato al Consiglio, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, di non aver informato le autorità tunisine dei limiti che si imponevano alla durata del congelamento dei suoi capitali nell’Unione e della necessità di un’istruttoria giudiziaria rapida.

97

Orbene, come risulta dai termini stessi dell’atto introduttivo e della replica, nell’ambito del presente motivo, il ricorrente contesta al Consiglio soltanto di aver violato il suo diritto a un termine ragionevole di giudizio non avendo adottato le misure rientranti nella sua competenza per evitare che la durata del procedimento giudiziario in Tunisia nei suoi confronti eccedesse una durata ragionevole.

98

Di conseguenza, poiché dagli elementi presentati dal ricorrente al Consiglio, non risulta che la durata di tale procedimento giudiziario sia inficiata da un tale vizio, esso non può, a maggior ragione, viziare la durata del congelamento dei capitali del ricorrente nell’Unione.

99

Peraltro, il ricorrente non sostiene di aver presentato al Consiglio, precedentemente alla sua lettera del 15 gennaio 2015, elementi che avrebbero giustificato che tale istituzione intraprendesse azioni presso le autorità tunisine per assicurarsi del rispetto del suo diritto ad un termine ragionevole di giudizio nell’ambito dell’indagine giudiziaria in corso nei suoi confronti. Di conseguenza, il ricorrente non può contestare al Consiglio di aver dimostrato un difetto di diligenza a tal proposito per il periodo precedente alla lettera del 15 gennaio 2015.

100

Dalle considerazioni che precedono risulta che il primo capo del secondo motivo dev’essere respinto.

– Sul secondo capo del secondo motivo, vertente sulla violazione della presunzione d’innocenza in conseguenza di un comunicato stampa del Consiglio del 31 gennaio 2011

101

A sostegno del secondo capo del secondo motivo il ricorrente sostiene che il comunicato stampa del Consiglio del 31 gennaio 2011 viola la presunzione d’innocenza, in quanto incoraggia il pubblico a credere alla colpevolezza delle persone designate in tale comunicato stampa quali responsabili di distrazione di fondi pubblici. Al punto 126 dell’atto introduttivo, egli chiede al Tribunale di «dichiarare che tale affermazione viola la presunzione della sua innocenza, in violazione all’articolo 48 della Carta». Nella replica, risponde agli argomenti del Consiglio a sua difesa che il fatto che tale comunicato stampa costituisca un documento distinto dalla decisione 2015/157 non mette in discussione l’esistenza di una violazione, «anche se la constatazione giudiziaria è fatta separatamente». Parimenti, l’assenza di un ricorso di annullamento contro tale comunicato stampa non modificherebbe il suo effetto. In ultimo, sarebbe irrilevante il fatto che il comunicato stampa di cui trattasi sia anteriore di quattro anni a detta decisione, poiché essa prevede il mantenimento di misure restrittive adottate lo stesso giorno del comunicato stampa in questione. Il ricorrente aggiunge che la violazione della presunzione d’innocenza menzionata è tale da compromettere la celebrazione di un processo equo in Tunisia, poiché potrebbe influenzare il comportamento delle autorità tunisine nei suoi confronti.

102

Dal canto suo il Consiglio fa valere a propria difesa, adottando la decisione 2015/157, di non aver dichiarato il ricorrente colpevole di distrazione di fondi pubblici e di non aver pregiudicato la valutazione dei fatti da parte del giudice competente in Tunisia. Aggiunge che il comunicato stampa oggetto della censura del ricorrente nell’ambito del presente capo è distinto da tale decisione e non è oggetto di un ricorso di annullamento. Aggiunge che, in ogni caso, la natura giuridica di detto comunicato stampa è diversa da quella di detta decisione e che la loro legittimità dev’essere esaminata separatamente. Nella controreplica fa valere, in sostanza, che nel contesto globale di tale comunicato stampa, la frase citata dal ricorrente a sostegno della presente censura non può essere ritenuta una violazione della presunzione d’innocenza.

103

A tal proposito si deve rilevare che il documento sul quale verte il presente capo del secondo motivo, allegato all’atto introduttivo, è un comunicato stampa del Consiglio del 31 gennaio 2011 (5881/1/2011 REV 1), nel quale il Consiglio ha reso pubbliche le conclusioni della riunione del Consiglio degli affari esteri dello stesso giorno. Il primo capo di tale documento comporta un riquadro il cui secondo comma contiene la dichiarazione seguente:

«Il Consiglio ha altresì discusso degli avvenimenti in Tunisia e ha adottato delle conclusioni che indicano che l’UE è pronta a sostenere la transizione democratica, in particolare la preparazione di elezioni. Ha altresì adottato misure restrittive di congelamento di capitali delle persone che hanno distratto fondi pubblici tunisini».

104

Inoltre, alla pagina 8, punto 6, del comunicato stampa di cui al punto 103 supra, il Consiglio indica che, «in consultazione con le autorità tunisine, [esso] ha adottato misure restrittive nei confronti di persone responsabili di distrazione di fondi pubblici».

105

Sono queste due dichiarazioni che il ricorrente ritiene viziate da una violazione della presunzione d’innocenza. Infatti, per quanto riguarda la prima di tali dichiarazioni, il ricorrente ritiene che essa sia formulata in termini tali da suscitare l’impressione che le persone interessate siano già state condannate per distrazione di fondi pubblici. Per quanto riguarda la seconda, il ricorrente, pur ammettendo che il Tribunale ha già affermato che dichiarazioni del genere non pregiudicherebbero la valutazione dei fatti da parte del giudice competente (sentenza del 27 febbraio 2014, Ezz e a./Consiglio, T‑256/11, EU:T:2014:93, punto 83), contesta, in sostanza, al Consiglio di aver conferito all’espressione «persone responsabili di distrazione di fondi pubblici» un carattere «assoluto» non precisando che esso si fondava su procedimenti nei quali la responsabilità penale di tali persone non era ancora stata constatata.

106

Occorre rilevare, in limine, che in risposta a una questione del Tribunale in udienza, il ricorrente ha precisato che la domanda formulata al punto 126 dell’atto introduttivo, tendente a che il Tribunale accerti che le due dichiarazioni in questione avevano violato la presunzione d’innocenza, non costituiva un capo della domanda diverso da quello tendente all’annullamento della decisione 2015/157, ma doveva essere interpretata come un sostegno di tale ultimo capo della domanda. Se ne deve necessariamente dedurre che il ricorrente considera che la pretesa violazione del suo diritto al rispetto della presunzione d’innocenza, per l’effetto di tali dichiarazioni, è idonea a inficiare la legittimità della decisione 2015/157.

107

A tal proposito, si deve rilevare che, come fa valere in sostanza il Consiglio, il comunicato stampa controverso costituisce un atto distinto dalla decisione 2011/72 e dalla decisione 2015/157 e il cui unico oggetto consiste nell’informare il pubblico sul contenuto della prima di tali decisioni. Inoltre, non si tratta di un atto compiuto nell’ambito del procedimento che ha condotto all’adozione di una o l’altra di tali decisioni. In ultimo, il ricorrente non contesta che tali decisioni non violino, di per sé, la presunzione d’innocenza nei suoi confronti. Di conseguenza, non può avvalersi utilmente di una pretesa violazione di tale presunzione d’innocenza in ragione di tali dichiarazioni che compaiono nel comunicato stampa controverso per contestare la legittimità della decisione 2015/157 (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 5 aprile 2006, Degussa/Commissione, T‑279/02, EU:T:2006:103, punti 413423). Il presente capo del secondo motivo è quindi inconferente.

108

In ogni caso, il presente capo del secondo motivo poggia su una interpretazione letterale delle due dichiarazioni citate ai punti 103 e 104 supra, che non tiene conto del contesto nel quale rientrano.

109

Infatti, la lettura del contenuto del comunicato stampa in questione conferma che, come indica il titolo, esso ha per oggetto di informare il pubblico delle conclusioni della riunione del Consiglio degli affari esteri del 31 gennaio 2011, in particolare dell’adozione della decisione 2011/72.

110

Di conseguenza, le due dichiarazioni in questione devono essere interpretate in riferimento al contenuto della decisione 2011/72. A tal proposito, si deve ricordare che l’articolo 1, paragrafo 1, di tale decisione prevede che sono congelati i capitali delle persone responsabili di distrazione di fondi pubblici tunisini e delle persone fisiche, persone giuridiche o entità ad essi associate. Tuttavia, come già esposto al punto 34 supra, la nozione di «persone responsabili di distrazione di fondi pubblici tunisini», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, di tale decisione, deve comprendere non solo le persone già giudicate responsabili di tali fatti, ma anche quelle oggetto di indagini giudiziarie tendenti a stabilire la loro responsabilità.

111

Peraltro, tali dichiarazioni devono anche essere intese in riferimento ai motivi alla base dell’inserimento del nominativo delle persone che compaiono nell’elenco allegato alla decisione 2011/72. Orbene, per quanto riguarda il ricorrente, tali motivi menzionano espressamente, sin dal primo inserimento del suo nominativo nell’elenco, che egli è sottoposto a indagini giudiziarie relative a fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici.

112

Di conseguenza, il ricorrente afferma erroneamente che tali dichiarazioni inducono a credere nella colpevolezza delle persone il cui nominativo compare nell’elenco allegato alla decisione 2011/72, poiché il loro contenuto rinvia a quello di detta decisione e che quest’ultima, come è appena stato rilevato, non riguarda il ricorrente in quanto persona già giudicata responsabile di distrazione di fondi pubblici tunisini, ma in quanto persona sottoposta a indagini giudiziarie relative a tali distrazioni. Per le medesime ragioni, tali dichiarazioni non possono essere considerate idonee ad influenzare le autorità tunisine competenti, né tali da pregiudicare la valutazione dei fatti da parte del giudice competente. In ogni caso, non si può ritenere, quindi che esse costituiscano una violazione del principio della presunzione d’innocenza.

113

Alla luce di tutti i suesposti rilievi, il secondo capo del secondo motivo dev’essere respinto.

– Sul terzo capo del secondo motivo, vertente su una violazione del diritto ad una buona amministrazione e, in particolare, a un trattamento imparziale delle questioni che lo riguardano, ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta

114

A sostegno di tale capo, il ricorrente si fonda su una serie di circostanze che dimostrano, a suo avviso, che non ha ricevuto un trattamento imparziale da parte del Consiglio. In primo luogo, nell’ambito della sua «dichiarazione pubblica iniziale», il Consiglio avrebbe affermato che tutte le persone i cui nomi erano stati iscritti nell’elenco allegato alla decisione 2011/72 erano colpevoli di distrazione di fondi pubblici «senza alcuna caratterizzazione di alcun tipo». In secondo luogo, gli attuali motivi alla base dell’inserimento del nominativo del ricorrente in tale elenco non comporterebbero più una «dimensione su scala dell’Unione» il che avrebbe dovuto condurre al ritiro del congelamento dei capitali in questione. In terzo luogo, il Consiglio, in risposta agli elementi a discarico prodotti dal ricorrente, avrebbe erroneamente rifiutato di verificare la materialità dei fatti affermati. In quarto luogo, la decisione 2015/157 sarebbe stata adottata nonostante l’inazione delle autorità giudiziarie tunisine che ha portato a quattro anni di procedimento. In quinto luogo, il Consiglio avrebbe adottato tale decisione omettendo di prendere in considerazione gli elementi che stabiliscono un ritorno alla democrazia in Tunisia. Infine, in sesto e ultimo luogo, il Consiglio avrebbe adottato tale decisione senza verificare, in particolare, l’obiezione secondo la quale tale atto violava il diritto del ricorrente a un termine ragionevole di giudizio.

115

Dal canto suo, il Consiglio contesta tutti questi argomenti e afferma, in maniera generale, che il disaccordo del Consiglio con il ricorrente relativamente alla valutazione degli elementi di fatto e di diritto che quest’ultimo ha dedotto a titolo di elementi a discarico non può essere analizzato come difetto d’imparzialità da parte sua.

116

A tal proposito, si deve ricordare che, nell’ambito dell’adozione di misure restrittive, il Consiglio è tenuto all’obbligo di rispettare il principio della buona amministrazione, sancito dall’articolo 41 della Carta, al quale si ricollega, secondo una giurisprudenza costante, l’obbligo, per l’istituzione competente, di esaminare in modo accurato e imparziale, tutti gli elementi rilevanti della fattispecie (v. sentenza del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto58 e giurisprudenza ivi citata).

117

Nella specie, si deve rilevare che, a sostegno del presente capo del secondo motivo, il ricorrente riprende, in sostanza, le varie censure enunciate nell’ambito del primo e del terzo motivo nonché degli altri capi del secondo motivo. Orbene, per i motivi esposti nell’ambito dell’esame di tali motivi e di tali capi, tali censure vanno respinte.

118

In primo luogo, anche a supporre che, con l’espressione «dichiarazione pubblica iniziale» il ricorrente si riferisca al comunicato stampa di cui contesta la legittimità nell’ambito del secondo capo del presente motivo, dai punti da 107 a 112 supra risulta che l’argomento del ricorrente relativo alla pretesa violazione della presunzione d’innocenza in ragione di tale comunicato stampa dev’essere respinto.

119

In secondo luogo, per le ragioni esposte ai punti 39 e 57 supra, il fatto che i motivi alla base dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’elenco allegato alla decisione 2011/72 non si riferiscano a fatti che sarebbero avvenuti nell’Unione, è irrilevante, poiché tali motivi si riferiscono a un’indagine giudiziaria relativa a fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici.

120

In terzo luogo, per le ragioni esposte ai punti da 49 a 57 supra, gli elementi a discarico prodotti dal ricorrente e tendenti, in particolare, a dimostrare l’assenza di prospettiva di processo nei suoi confronti non obbligavano il Consiglio a effettuare verifiche supplementari sullo stato dell’indagine giudiziaria di cui era oggetto in Tunisia.

121

In quarto luogo, per le ragioni esposte ai punti da 63 a 78 supra, gli elementi prodotti da ricorrente al fine di stabilire la violazione del suo diritto a un termine ragionevole di giudizio da parte delle autorità tunisine non potevano giustificare che fosse posto fine al congelamento dei suoi capitali nell’Unione.

122

In quinto luogo, per le ragioni che saranno esposte ai punti da 127 a 134 in prosieguo, nell’ambito del terzo motivo, il Consiglio non è incorso in alcun errore mantenendo le misure restrittive controverse nonostante gli sviluppi del processo democratico in Tunisia. Infine, per le ragioni esposte ai punti da 88 a 96 supra nell’ambito del primo capo del secondo motivo, il sesto argomento vertente sul non rispetto da parte del Consiglio stesso del diritto del ricorrente a un termine ragionevole di giudizio, dev’essere respinto.

123

Di conseguenza, risulta dai suesposti rilievi che il ricorrente sostiene, a torto, che il Consiglio ha violato il principio della buona amministrazione, in particolare il principio d’imparzialità. Di conseguenza, il presente capo e, quindi, il secondo motivo in toto devono essere respinti.

Sul terzo motivo, vertente sulla mancanza di oggetto della decisione 2015/157, alla luce degli sviluppi del processo di democratizzazione in Tunisia

124

A sostegno del terzo motivo il ricorrente afferma che il Consiglio è incorso in errori manifesti di valutazione per quanto riguarda lo sviluppo del processo di democratizzazione in Tunisia e la necessità di misure restrittive nei confronti di cittadini tunisini responsabili di distrazione di fondi pubblici tunisini. A suo avviso, da un lato, dal 31 gennaio 2011 una serie di avvenimenti di natura giudiziaria, costituzionale ed elettorale testimonierebbe il completamento del processo di transizione democratica in Tunisia. Orbene, mantenendo le misure restrittive alla luce della «situazione in Tunisia», secondo i termini della decisione 2011/72, il Consiglio non avrebbe correttamente valutato la natura di tali sviluppi o, per lo meno, avrebbe omesso di prenderli in considerazione. Dall’altro lato, il ricorrente ritiene che, ammesso che il Consiglio abbia considerato che la transizione verso la democrazia fosse stata realizzata in Tunisia, esso non avrebbe più potuto fondarsi su un obiettivo di tutela del processo di democratizzazione per giustificare il mantenimento delle misure restrittive di cui trattasi. In via subordinata, egli sostiene che, non esponendo le ragioni per le quali, nonostante gli sviluppi del processo democratico in Tunisia, le misure restrittive controverse sono state mantenute, il Consiglio ha viziato la decisione 2015/157 di un difetto di motivazione.

125

Il Consiglio risponde, in difesa, che l’argomento del ricorrente poggia su un postulato errato secondo il quale il processo di transizione democratica in Tunisia sarebbe completato. Orbene, esso fa rilevare che, come risulta, segnatamente, dalle sue conclusioni del 19 gennaio 2015, ha considerato che tale processo fosse ancora in corso alla data dell’adozione della decisione 2015/157.

126

In limine, si deve rilevare che, sebbene il ricorrente non deduca espressamente l’articolo 277 TFUE, il presente motivo dev’essere interpretato come vertente su un’eccezione di illegittimità relativa all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/72, come prorogata dalla decisione 2015/157. Infatti, i pretesi errori manifesti di valutazione contestati nell’ambito del presente motivo, non riguardano il mantenimento dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’allegato alla decisione 2011/72 in quanto tale, ma il mantenimento, in linea generale, del congelamento dei capitali delle persone responsabili di distrazione di fondi pubblici tunisini e dei loro associati, disposto dall’articolo 1, paragrafo 1, di tale decisione (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 27 febbraio 2014, Ezz e a./Consiglio, T‑256/11, EU:T:2014:93, punto 31). Di conseguenza, ciò che contesta il ricorrente è la possibilità per il Consiglio di continuare a mantenere, nel loro complesso, le misure restrittive adottate nell’ambito della decisione 2011/72 tenuto conto degli obiettivi di tale decisione e dello sviluppo del procedimento democratico in Tunisia.

127

A tal proposito si deve, innanzitutto, rammentare che, come risulta dal suo considerando 1, la decisione 2011/72, che è fondata sull’articolo 29 TUE, intende sostenere gli «sforzi [del popolo tunisino] intesi a istituire una democrazia stabile, lo stato di diritto, il pluralismo democratico e il pieno rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali». Essa intende, segnatamente, secondo il suo considerando 2, aiutare le autorità tunisine nella loro lotta contro le distrazioni di fondi pubblici, congelando i capitali di persone «responsabili» di tali distrazioni, che privano pertanto il popolo tunisino dei benefici dello sviluppo sostenibile della sua economia e della sua società e compromettono lo sviluppo della democrazia nel paese.

128

Di conseguenza, come è già stato affermato, la decisione 2011/72 si iscrive nel quadro più generale di una politica dell’Unione di sostegno alle autorità tunisine destinata a favorire la stabilizzazione tanto politica quanto economica della Repubblica di Tunisia e risponde quindi agli obiettivi della PESC che sono definiti, in particolare, nell’articolo 21, paragrafo 2, lettere b) e d), TUE, in forza del quale l’Unione attua una cooperazione internazionale al fine, da un lato, di consolidare e sostenere la democrazia, lo stato di diritto, i diritti dell’uomo e i principi del diritto internazionale, e dall’altro, favorire lo sviluppo sostenibile, in particolare economico, dei paesi in via di sviluppo (v. sentenze del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 60 e giurisprudenza ivi citata, e del 30 giugno 2016, CW/Consiglio, T‑516/13, non pubblicata, EU:T:2016:377, punto 67 e giurisprudenza ivi citata).

129

Secondo costante giurisprudenza, in materia della PESC il Consiglio dispone di un ampio margine discrezionale, trattandosi di un settore che implica, da parte sua, l’adozione di scelte di carattere politico, economico e sociale e che gli impone il compimento di valutazioni complesse, di conseguenza, solo la manifesta inidoneità di un provvedimento adottato in tale ambito, in relazione allo scopo che l’istituzione competente intende perseguire, può inficiare la legittimità di tale provvedimento (v. sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Manufacturing Support & Procurement Kala Naft, C‑348/12 P, EU:C:2013:776, punto 120 e giurisprudenza ivi citata).

130

Nella specie, come dedotto dal Consiglio con riferimento alla propria domanda del 19 gennaio 2015, esso non ha ritenuto, contrariamente al ricorrente, che il processo di transizione democratica in Tunisia fosse completato al momento dell’adozione della decisione 2015/157. Orbene, i diversi sviluppi di ordine giudiziario, costituzionale ed elettorale messi in rilievo dal ricorrente non dimostrano che il Consiglio sarebbe incorso in un errore manifesto nella valutazione che ha effettuato tale processo. Infatti, sebbene tali sviluppi testimonino progressi, essi non consentirebbero di concludere, in modo evidente, nel senso del completamento di tale processo, essendo quest’ultimo subordinato, in particolare, come indica il Consiglio nelle sopracitate conclusioni, alla consolidazione dello stato di diritto e delle conquiste democratiche della nuova Costituzione tunisina.

131

In ogni caso, il presente motivo poggia, implicitamente ma necessariamente, sulla premessa errata secondo la quale il completamento della transizione democratica in Tunisia avrebbe dovuto condurre il Consiglio a porre fine alle misure restrittive previste dalla decisione 2011/72. Infatti, come è stato ricordato al paragrafo 33 supra, il congelamento di capitali di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/72, letto alla luce dei considerando 1 e 2, ha il solo scopo di facilitare la constatazione da parte delle autorità tunisine delle distrazioni di fondi pubblici commesse e di conservare la possibilità, per tali autorità, di recuperare i proventi di tali distrazioni. Di conseguenza, l’eventuale abrogazione di tali misure restrittive può dipendere solo dal completamento dei procedimenti giudiziari sui quali si fondano, e non dal completamento del processo di transizione democratica in Tunisia, poiché il sostegno a tale processo rappresenta solo un obiettivo finale della politica nel cui ambito si iscrive detto congelamento di capitali e non un requisito supplementare per il suo mantenimento (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 27 febbraio 2014, Ezz e a./Consiglio, T‑256/11, EU:T:2014:93, punto 143).

132

Va aggiunto che, anche ammesso che detto processo di transizione sia completato, tale congelamento di capitali non rappresenterebbe, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, un’ingerenza del «potere legislativo» in questioni che rientrano in una competenza giurisdizionale.

133

Infatti, a prescindere dal fatto che, ai sensi dell’articolo 24 TUE, il Consiglio non adotta atti legislativi nell’ambito della PESC, il completamento del processo di transizione democratica in Tunisia, come indicato al punto 131 supra, non può avere l’effetto di obbligare il Consiglio a revocare le misure restrittive adottate nell’ambito della decisione 2011/72. Infatti, il ritiro di tali misure prima del completamento delle indagini giudiziarie in corso, poiché potrebbe ostacolare la constatazione da parte delle autorità tunisine delle distrazioni di fondi pubblici commesse e il recupero dei proventi di tali distrazioni, sarebbe tale da compromettere l’obiettivo di consolidamento del sostegno della democrazia e dello stato di diritto in Tunisia, a cui tende tale decisione. Pertanto, il mantenimento di tali misure, che, come già ricordato al punto 33 supra, rivestono un carattere conservativo e sono prive di connotazione penale, continua ad essere giustificato alla luce degli obiettivi della PESC. Di conseguenza, se l’argomento del ricorrente dev’essere inteso come rivolto ad un’ingerenza di un’autorità politica, come il Consiglio, in questioni che rientrano nella sola competenza delle autorità giurisdizionali tunisine, si deve rilevare che il mantenimento di tali misure non costituisce un’ingerenza del genere.

134

Di conseguenza, il motivo vertente su errori manifesti di valutazione del Consiglio per quanto riguarda gli sviluppi della situazione politica in Tunisia dev’essere respinto.

135

Per quanto riguarda il motivo vertente, in via subordinata, sul difetto di motivazione, è sufficiente rilevare che dai punti da 127 a 133 supra emerge che gli sviluppi della situazione politica in Tunisia dall’adozione della decisione 2011/72 non giustificavano una motivazione specifica del mantenimento, con la decisione 2015/157, delle misure restrittive adottate nell’ambito di tale decisione 2011/72 alla luce di dette evoluzioni. Anche tale motivo dev’essere quindi respinto.

136

Alla luce di tutte le suesposte considerazioni, il terzo motivo dev’essere necessariamente respinto.

Sul quarto motivo, vertente, in via subordinata, su un «errore manifesto di valutazione» relativo alla insufficiente considerazione, da parte del Consiglio, dell’«elemento [di] diritto penale» della decisione 2015/157

137

A sostegno del quarto motivo il ricorrente sostiene che il Consiglio non ha effettuato una valutazione obiettiva degli argomenti che ha presentato «da un punto di vista penale» nella sua lettera del 15 gennaio 2015. A tal proposito, egli sostiene che il Consiglio ha respinto le sue spiegazioni relative all’indebolimento degli elementi a suo carico in Tunisia fondandosi su considerazioni speculative e basate esclusivamente sugli obiettivi della PESC. Il Consiglio avrebbe quindi escluso l’esame dei suoi diritti in qualità di persona sottoposta a un’indagine giudiziaria, alla luce del diritto dell’Unione. Nella replica, sostiene che la decisione 2015/157 riveste una dimensione penale o, per lo meno, produce effetti di diritto penale o persegue un obiettivo penale, poiché ha lo stesso effetto di una misura di assistenza giudiziaria disposta da un giudice penale sulla base della Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, adottata dall’assemblea delle Nazioni Unite il 31 ottobre 2003.

138

A propria difesa, il Consiglio risponde che la decisione 2015/157 è stata adottata sul fondamento normativo possibile, che è l’articolo 29 TUE e che essa non comporta alcuna dimensione penale.

139

Con il presente motivo, si deve ritenere che il ricorrente solleva, in sostanza, un errore di diritto in quanto il Consiglio ha riesaminato il mantenimento delle misure restrittive nei confronti del ricorrente, nell’ambito dell’adozione della decisione 2015/157, unicamente alla luce degli obiettivi della PESC, e di conseguenza. senza applicare le esigenze e le garanzie che si impongono nell’ambito di un procedimento penale. Tuttavia, tale motivo è evidentemente destituito di fondamento.

140

Da un lato, per le ragioni esposte ai punti 127 e 128 supra, la decisione 2011/72 e, di conseguenza, la decisione 2015/157 che la proroga, rispondono agli obiettivi fissati, nell’ambito della PESC, dall’articolo 21, paragrafo 2, lettere b) e d), TUE. Dall’altro lato, come esposto al punto 33 supra, il congelamento dei capitali del ricorrente nell’Unione, che non intende sanzionare i suoi comportamenti in Tunisia, è privo di qualsiasi connotazione penale. Correttamente, quindi, il Consiglio, nell’ambito dell’adozione della decisione 2015/157, si è unicamente preoccupato di verificare se gli elementi di cui disponeva costituivano, tenuto conto degli obiettivi della decisione 2011/72, che rientrano nella PESC, un fondamento sufficiente per mantenere detto congelamento di capitali. Non poteva quindi essere tenuto ad esaminare tale mantenimento alla luce dei requisiti di diritto penale in modo da far beneficiare il ricorrente di garanzie specifiche analoghe a quelle previste nell’ambito di procedimenti penali.

141

Gli argomenti del ricorrente nella replica, volti a dimostrare la natura penale del congelamento di capitali controverso, non possono rimettere in discussione tale conclusione.

142

In primo luogo, la natura conservativa del congelamento di capitali controverso e il fatto che il suo mantenimento dipenda dall’esito di procedimenti penali in Tunisia non possono conferirgli, allo stesso tempo, carattere penale.

143

Infatti, come risulta dai punti 33, 127 e 128 supra, nell’ambito di una politica di sostegno alle autorità tunisine al fine di favorire la stabilizzazione della democrazia e dello stato di diritto fondata sull’articolo 29 TUE, il Consiglio ha la facoltà di adottare misure che contribuiscono al completamento effettivo di procedimenti penali aperti in Tunisia per fatti di distrazione di fondi pubblici. Pertanto, come ha fatto giustamente valere il Consiglio, i procedimenti penali in Tunisia non costituiscono la base giuridica del congelamento dei capitali controverso, bensì il fondamento in fatto sul quale esso poggia. Peraltro, come dimostrano i motivi alla base dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’allegato della decisione 2011/72 che si riferiscono alle indagini giudiziarie in corso a carico del ricorrente, il Consiglio non ha adottato la decisione 2015/157 fondandosi sulla convinzione che il ricorrente avesse distratto fondi pubblici.

144

In secondo luogo, il paragone operato dal ricorrente tra gli effetti del congelamento dei suoi capitali e gli effetti di una misura di assistenza giuridica nell’ambito della cooperazione penale internazionale non appare convincente.

145

Infatti, vero è che il congelamento dei capitali del ricorrente disposto dal Consiglio produce il risultato concreto di una immobilizzazione di detti capitali nell’Unione che è analoga a quella che potrebbe derivare da un congelamento di tali capitali disposto da un’autorità giudiziaria nazionale nell’ambito della cooperazione penale internazionale. Tuttavia, resta il fatto che la natura di tali due misure è diversa.

146

Da un lato, il congelamento di capitali del ricorrente, adottato sulla base dell’articolo 29 TUE, costituisce una misura autonoma tendente a realizzare gli obiettivi della PESC e non una misura tendente a rispondere a una domanda di assistenza giudiziaria delle autorità tunisine (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 26 ottobre 2015, Portnov/Consiglio, T‑290/14, EU:T:2015:806, punto 45).

147

D’altro lato, le competenze del Consiglio nel caso di specie, sulla base dell’articolo 21, paragrafo 2, lettere b) e d) e dell’articolo 29 TUE, si limitano all’adozione di un congelamento dei capitali della persona interessata, a titolo conservativo avente, per definizione, carattere temporaneo e reversibile. Per contro, le competenze delle autorità giudiziarie nazionali nell’ambito della cooperazione penale internazionale non si limitano necessariamente all’adozione di misure del genere.

148

Alla luce di tutti i suesposti rilievi, il quarto motivo non può che essere respinto.

Sul quinto motivo, concernente una violazione del diritto di proprietà e dell’articolo 17 della Carta

149

A sostegno del quinto motivo il ricorrente fa valere che, poiché la decisione 2015/157 non è giustificata ed è illegittima, le limitazioni al diritto di proprietà del ricorrente sono altrettanto ingiustificate e violano l’articolo 17 della Carta. Il Consiglio contesta tale argomento.

150

A tal proposito, si deve ricordare che per essere conforme al diritto dell’Unione, una limitazione all’esercizio del diritto di proprietà deve rispondere a tre condizioni. In primo luogo, la limitazione dev’essere «prevista dalla legge». In altri termini, la misura in questione deve avere un fondamento normativo. In secondo luogo, la limitazione deve perseguire un obiettivo di interesse generale, riconosciuto come tale dall’Unione. In terzo luogo, la limitazione non dev’essere eccessiva. Da un lato, essa dev’essere necessaria e proporzionata allo scopo perseguito. Dall’altro, la sostanza del diritto o della libertà in questione non dev’essere lesa (v. sentenze del 27 febbraio 2014, Ezz e a./Consiglio, T‑256/11, EU:T:2014:93, punti da 197 a 200 e giurisprudenza ivi citata, e del 30 giugno 2016, CW/Consiglio, T‑516/13, non pubblicata, EU:T:2016:377, punti da 165 a 168 e giurisprudenza ivi citata).

151

Nell’ambito del presente motivo il ricorrente si limita a sostenere che, avendo dimostrato, con i precedenti motivi, l’illegittimità e l’assenza di giustificazioni del congelamento dei suoi capitali nell’Unione, tale limitazione del suo diritto di proprietà presenterebbe altresì, conseguentemente, carattere ingiustificato. Di conseguenza, contesta soltanto il fatto che tale limitazione non risponda alle prime due condizioni menzionate al punto 150 supra. Orbene, dai punti da 36 a 148 supra, risulta che, nell’ambito dei motivi esaminati in precedenza, il ricorrente non è riuscito a stabilire né il carattere illegittimo di tale congelamento di capitali né il suo carattere ingiustificato. Di conseguenza, non ha nemmeno dimostrato che le limitazioni imposte al suo diritto di proprietà in ragione di tale congelamento di capitali siano prive di fondamento normativo o non siano giustificate alla luce degli obiettivi della decisione 2011/72 e della PESC. Il presente motivo di ricorso dev’essere pertanto respinto.

152

Risulta da tutti i suesposti rilievi che, poiché nessuno dei motivi dedotti nell’atto introduttivo è fondato, la domanda diretta all’annullamento della decisione 2015/157 dev’essere respinta.

Per quanto riguarda le conclusioni della prima memoria di adeguamento, tendente all’annullamento della «decisione» del Consiglio del 16 novembre 2015, mediante la quale quest’ultimo ha respinto la domanda del ricorrente del 29 maggio 2015 di ritirare il proprio nominativo dall’elenco allegato alla decisione 2011/72

153

Ai sensi dell’articolo 86, paragrafo 1, del regolamento di procedura, quando l’atto inizialmente impugnato viene sostituito o modificato, nel corso del procedimento, da un altro atto avente lo stesso oggetto, il ricorrente può, prima della chiusura della fase orale o prima della decisione del Tribunale di statuire senza fase orale, adeguare il ricorso per tener conto di questo elemento nuovo. Ai sensi dell’articolo 86, paragrafo 2, di detto regolamento, un tale adeguamento è effettuato con atto separato ed entro il termine previsto dall’articolo 263, sesto comma, TFUE entro il quale può essere chiesto l’annullamento dell’atto che giustifica l’adeguamento del ricorso.

154

Peraltro, risulta dalla giurisprudenza che l’adeguamento del ricorso dev’essere diretto contro un atto suscettibile di formare oggetto di un ricorso di annullamento, ai sensi dell’articolo 263 TFUE, vale a dire un atto che produce effetti giuridici obbligatori idonei a incidere sugli interessi del ricorrente, modificando in modo rilevante la sua situazione giuridica (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 3 luglio 2014, Alchaar/Consiglio, T‑203/12, non pubblicata, EU:T:2014:602, punti 5859 e giurisprudenza ivi citata). A tal proposito, secondo costante giurisprudenza, non costituisce un atto di tal genere un atto meramente confermativo di un atto precedente, in altre parole, un atto che non contenga alcun elemento nuovo rispetto a un atto precedente e che non sia stato preceduto da un riesame della situazione dell’interessato (v. ordinanze del 7 dicembre 2004, Internationaler Hilfsfonds/Commissione, C‑521/03 P, non pubblicata, EU:C:2004:778, punto 47 e giurisprudenza ivi citata, e del 29 giugno 2009, Cofra/Commissione, C‑295/08 P, non pubblicata, EU:C:2009:407, punto 35 e giurisprudenza ivi citata).

155

In particolare, secondo la giurisprudenza, non costituisce un atto meramente confermativo un atto adottato in seguito a un riesame dell’atto precedente richiesto dall’esistenza di fatti nuovi e rilevanti. Un fatto dev’essere considerato, da un lato, nuovo se non esisteva al momento dell’adozione dell’atto anteriore o se non era stato preso in considerazione al momento di tale adozione e, dall’altro, rilevante se modifica in modo rilevante la situazione giuridica del ricorrente, quale si presentava al momento dell’adozione dell’atto anteriore, come un fatto idoneo a suscitare dubbi sulla fondatezza di detto atto (v., in tal senso, sentenza del 13 novembre 2014, Commissione/Spagna, T‑481/11, EU:T:2014:945, punti da 34 a 39 e giurisprudenza ivi citata).

156

In materia di misure restrittive, da un lato, dalla giurisprudenza emerge che un ricorrente è autorizzato, in linea di principio, ad adattare le sue conclusioni e i motivi dell’atto introduttivo diretti contro una decisione di congelamento di capitali adottata nei suoi confronti alla luce dell’adozione di una decisione successiva di proroga di detto congelamento di capitali. Infatti, in tal caso, tale decisione successiva non si limita a confermare la decisione anteriore, poiché essa proroga il congelamento di capitali nei confronti dell’interessato per un nuovo periodo oltre la durata di detta decisione anteriore in seguito al riesame della sua situazione (v., in tal senso e per analogia, ordinanza del 15 febbraio 2005, PKK e KNK/Consiglio, T‑229/02, EU:T:2005:48, punto 44, confermata su impugnazione con sentenza del 18 gennaio 2007, PKK e KNK/Consiglio, C‑229/05 P, EU:C:2007:32, punto 103).

157

Dall’altro lato, come risulta dall’articolo 2, paragrafo 3 e dall’articolo 5, paragrafo 6, della decisione 2011/72, il Consiglio può essere indotto, in qualsiasi momento, a riesaminare l’inserimento del nominativo di una persona all’allegato di tale decisione in funzione degli elementi di prova rilevanti o delle osservazioni che gli sono presentate, con la conseguenza che tale inserimento è costantemente riesaminato. Tali disposizioni intendono garantire che le persone che non soddisfano più i criteri per rientrare all’allegato di detta decisione vengano radiate non solo all’esito del riesame periodico effettuato ogni anno, ma, se del caso, in modo immediato (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 15 novembre 2012, Al-Aqsa/Consiglio e Paesi Bassi/Al-Aqsa, C‑539/10 P e C‑550/10 P, EU:C:2012:711, punto 129). Di conseguenza, una decisione del Consiglio di non rimuovere il nominativo di una persona iscritta all’allegato della decisione 2011/72 adottata in seguito a un riesame della sua situazione fondato su fatti nuovi e rilevanti, ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 155 supra, non costituisce un atto meramente confermativo, anche se tale decisione non proroga detta iscrizione, ma mantiene soltanto l’applicazione della decisione anteriore (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 13 novembre 2014, Commissione/Spagna, T‑481/11, EU:T:2014:945, punto 40 e giurisprudenza ivi citata).

158

Nella specie, da un lato, va rilevato che la decisione del Consiglio del 16 novembre 2015, contestata nella prima memoria di adeguamento, non ha sostituito o modificato la decisione 2015/157, oggetto del ricorso. Infatti, nella sua lettera del 16 novembre 2015, il Consiglio si limita a respingere la sua domanda tendente, in sostanza, a che fosse abrogata la decisione 2015/157 nella parte in cui lo riguarda. Essa non contiene quindi elementi nuovi ai sensi della giurisprudenza ricordata al punto 154 supra.

159

Dall’altro lato, tale rigetto non è intervenuto in seguito a un riesame giustificato da fatti che presentavano contemporaneamente un carattere nuovo e rilevante, ai sensi della giurisprudenza richiamata al punto 155 supra.

160

Infatti, in primo luogo, le osservazioni del ricorrente presentate il 29 maggio e il 7 settembre 2015 si riferiscono, sostanzialmente, a fatti anteriori all’adozione della decisione 2015/157 nonché a questioni già sollevate nelle sue osservazioni del 15 gennaio 2015, e quindi a elementi privi di carattere nuovo.

161

Peraltro, i soli fatti successivi alla decisione 2015/157 dedotti in tali osservazioni, vale a dire una sentenza della Corte d’appello di Tunisi, del 25 febbraio 2015, e tre decisioni del giudice amministrativo tunisino, che si è pronunciato nell’ambito di un procedimento sommario, in data 30 marzo 2015, non costituiscono fatti rilevanti, cioè fatti idonei a modificare in modo sostanziale la situazione del ricorrente alla luce delle misure restrittive prorogate nei suoi confronti dalla decisione 2015/157.

162

A tal proposito, come già ripetutamente ricordato, tali misure restrittive sono fondate sull’esistenza di un’indagine giudiziaria in corso a carico del ricorrente per fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici. Orbene, se, da un lato, risulta dalla nota del difensore del ricorrente in Tunisia del 24 aprile 2015 che la sentenza della Corte di appello di Tunisi del 25 febbraio 2015, ha accolto la domanda del ricorrente tendente alla separazione del procedimento istruttorio penale nell’ambito di tale indagine, tale sviluppo del procedimento non risulta, di per sé, tale da rimettere in discussione lo svolgimento di detta indagine. Dall’altro lato, dalla nota del difensore del ricorrente in Tunisia, allegata alle sue osservazioni del 29 maggio 2015, risulta che le tre decisioni giurisdizionali del 30 marzo 2015 hanno disposto la sospensione dell’esecuzione di tre decisioni amministrative di confisca di taluni beni del ricorrente, il cui collegamento con l’indagine giudiziaria sulla quale poggiava il congelamento di capitali del ricorrente nell’Unione non risultava chiaramente.

163

In secondo luogo, da tali atti processuali risulta che i documenti provenienti dalle autorità tunisine dell’11 maggio 2015 sui quali si fonda il Consiglio nella propria lettera del 16 novembre 2015 si limitano a confermare che l’indagine giudiziaria a carico del ricorrente in Tunisia è in corso e che sono stati prodotti dal Consiglio solo al fine di rispondere agli argomenti del ricorrente tendenti a contestare il fondamento di tale indagine. Di conseguenza, tali documenti, che pur costituiscono elementi nuovi, non possono tuttavia essere considerati rilevanti. Infatti, essi non rivelano alcuna modifica sostanziale della situazione del ricorrente rispetto a quella che sussisteva alla data dell’adozione della decisione 2015/157.

164

Tale conclusione non è rimessa in discussione dal fatto che tali documenti siano stati prodotti dal Consiglio in seguito a verifiche che, nella sua lettera del 4 febbraio 2015 quest’ultimo aveva indicato voler effettuare in seguito alle osservazioni del ricorrente.

165

Infatti, l’articolo 2, paragrafo 3, e l’articolo 5, paragrafo 6, della decisione 2011/72 conferiscono al Consiglio un ampio margine di valutazione per decidere dell’opportunità di effettuare verifiche di elementi che gli vengono presentati dalle autorità tunisine o dal ricorrente, segnatamente per informarsi sullo stato dell’indagine giudiziaria di cui quest’ultimo è oggetto. Di conseguenza, ogni elemento nuovo ottenuto in seguito a verifiche effettuate dal Consiglio d’ufficio o su richiesta del ricorrente, non costituisce necessariamente un fatto rilevante idoneo a giustificare un riesame dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’allegato a detta decisione e a condurre, in caso di rifiuto di rimettere in causa tale inserimento, a una decisione che arreca pregiudizio.

166

Nella specie, risulta dagli atti di causa che, nella sua lettera del 4 febbraio 2015, il Consiglio ha indicato, in sostanza, che pur ritenendo giustificato mantenere l’inserimento del nominativo del ricorrente nell’allegato della decisione 2011/72, prendeva nota delle osservazioni del ricorrente sullo stato dell’indagine giudiziaria in corso a cui era sottoposto in Tunisia e che avrebbe effettuato un nuovo esame delle misure restrittive nei suoi confronti prima del 31 luglio 2015. Risulta che, in seguito a tale lettera, il Consiglio ha altresì preso in considerazione osservazioni presentate dal ricorrente il 18 febbraio, il 29 maggio e il 7 settembre 2015 e gli ha risposto nella sua lettera del 16 novembre 2015 rendendo conto dei risultati delle verifiche che aveva intrapreso nel frattempo presso le autorità tunisine e, in particolare, comunicandogli i documenti di cui al punto 163 supra. Così facendo, avendo ritenuto utile effettuare tali verifiche, il Consiglio si è limitato a utilizzare il margine di valutazione che gli è conferito dalle disposizioni menzionate ai punti 157 e 165 supra, e non ha effettuato un riesame della situazione del ricorrente richiesto dal sopravvenire di fatti tali da modificare in modo sostanziale tale situazione.

167

Indicando, quindi, nella propria lettera del 16 novembre 2015, che le misure restrittive nei confronti del ricorrente dovevano essere mantenute a suo carico, il Consiglio non ha adottato una nuova decisione distinta dalla decisione 2015/157, ma ha solo confermato quest’ultima. Tale lettera, respingendo la domanda del ricorrente di ritirare il suo nominativo dall’allegato della decisione 2011/72, costituisce un atto meramente confermativo che non arreca pregiudizio al ricorrente. Di conseguenza, le conclusioni della prima memoria di adeguamento tendenti all’annullamento di tale atto devono essere respinte come irricevibili.

168

Gli argomenti del ricorrente tendenti a dimostrare la ricevibilità della memoria di adeguamento non possono rimettere in discussione tale conclusione.

169

In primo luogo, è privo di fondamento il ragionamento del ricorrente secondo il quale la decisione del Consiglio del 16 novembre 2015 ha modificato la decisione 2015/157, in quanto ha trasformato quest’ultima decisione, che era fino a quel momento, una «decisione condizionale» in una «decisione incondizionale». Infatti, da un lato, come indica, in sostanza, il Consiglio nelle sue osservazioni su tale memoria di adeguamento, tale argomento poggia sulla premessa errata che la lettera del Consiglio del 4 febbraio 2015, nella quale tale istituzione aveva indicato che avrebbe riesaminato la situazione del ricorrente anteriormente al 31 luglio 2015, avrebbe conferito alla decisione 2015/157 un carattere condizionale. D’altro lato, la facoltà del Consiglio di riesaminare le misure restrittive adottate nell’ambito della decisione 2011/72, ai sensi delle disposizioni di quest’ultima citate al punto 157 supra, al fine, se del caso, di abrogarle o modificarle, non produce assolutamente l’effetto di conferire a tali misure un carattere «condizionale». Di conseguenza, la circostanza che, nella propria lettera del 16 novembre 2015, il Consiglio abbia indicato che le misure restrittive nei confronti del ricorrente dovevano essere mantenute a suo carico, non ha per nulla l’effetto di trasformare la decisione 2015/157 in atto incondizionato. Inoltre, si deve rilevare che, in funzione di eventuali fatti nuovi e rilevanti portati a sua conoscenza, il Consiglio era in grado di abrogare o modificare dette misure successivamente a tale lettera del 16 novembre 2015.

170

In secondo luogo, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, la ricevibilità di tale memoria di adeguamento non può essere giustificata dalla necessità di accordargli, conformemente al principio della parità delle armi, la possibilità di commentare gli elementi prodotti dal Consiglio nella controreplica.

171

Infatti, da un lato, il principio della parità delle armi non può avere, nella specie, l’effetto di riaprire il termine di ricorso contro la decisione 2015/157. Inoltre, l’impugnabilità di un atto dev’essere determinata alla luce soltanto di una valutazione obiettiva della sua sostanza e non del rispetto del principio della parità delle armi (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 20 settembre 2012, Francia/Commissione, T‑154/10, EU:T:2012:452, punti da 37 a 40).

172

Dall’altro lato e in ogni caso, il ricorrente ha avuto la possibilità, nel corso dell’udienza del 14 dicembre 2016, di presentare proprie osservazioni in merito agli elementi prodotti dal Consiglio nella controreplica. Inoltre, come risulta dal punto 61 supra, il Tribunale ha ritenuto che tali elementi, che erano successivi alla decisione 2015/157, non potevano essere presi in considerazione nell’ambito della valutazione della legittimità di tale decisione. Di conseguenza, il rigetto delle conclusioni della prima memoria di adeguamento in quanto irricevibili non può arrecare pregiudizio alla parità delle armi.

173

Da tutto quanto precede consegue che tali conclusioni sono infondate e devono essere respinte come irricevibili.

Per quanto riguarda le conclusioni della seconda memoria di adeguamento, dirette all’annullamento della decisione 2016/119

174

Nell’ambito della seconda memoria di adeguamento, vertente sulla decisione 2016/119, il ricorrente solleva, in sostanza, cinque motivi. Il primo di tali motivi verte sulla violazione della presunzione d’innocenza e del principio della buona amministrazione, il secondo, sull’assenza di fondamento in fatto sufficientemente solido delle misure controverse, il terzo, sul venir meno dell’oggetto di detta decisione, il quarto, sulla violazione del principio del termine ragionevole, e, il quinto, sull’ingerenza manifestamente sproporzionata del Consiglio nel diritto di proprietà del ricorrente.

175

In limine, va ricordato che, come rilevato al punto 16 supra, la decisione 2016/119 ha prorogato l’applicazione della decisione 2011/72 fino al 31 gennaio 2017 e ha modificato i motivi alla base dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’elenco allegato a tale decisione fondandosi sul certificato delle autorità tunisine del 20 ottobre 2015, di cui al punto 16 supra. Tale modifica è consistita nel sostituire la menzione del reato di complicità in influenza indebita presso un funzionario pubblico per ottenere direttamente o indirettamente vantaggi per un’altra persona, con la menzione del reato di influenza indebita presso un funzionario pubblico per ottenere direttamente o indirettamente vantaggi per un’altra persona.

176

Di conseguenza, conformemente alla giurisprudenza ricordata al punto 156 supra, va rilevato che le conclusioni della seconda memoria di adeguamento, tendente all’annullamento della decisione 2016/119, che proroga la decisione 2011/72 per un nuovo periodo oltre la durata prevista dalla decisione 2015/157, sono ricevibili.

Sul primo motivo, vertente sulla violazione della presunzione d’innocenza e del principio della buona amministrazione

177

Nell’ambito del primo motivo il ricorrente riprende, in sostanza, l’argomento già sviluppato nel secondo e nel terzo capo del secondo motivo di ricorso, relativo alla pretesa violazione della presunzione d’innocenza. A sostegno di tale argomento deduce, da un lato, un comunicato stampa del 25 gennaio 2016, proveniente dall’organizzazione non governativa Transparency International, nel quale è indicato che un congelamento di capitali era stato imposto a 48 persone in Tunisia «sulla base di elementi di prova che dimostrano che esse avevano distratto fondi pubblici e abusato delle loro funzioni». Dall’altro lato, si richiama altresì alla nota delle autorità tunisine del 15 gennaio 2016 che risponde alle domande di chiarimenti del Consiglio sulla situazione del ricorrente e che dimostra, a suo avviso, che «non ci sarà accoglimento nel merito» nell’ambito dell’indagine giudiziaria di cui è oggetto in Tunisia.

178

Dal canto suo, il Consiglio contesta, in sostanza, la rilevanza dei nuovi elementi di prova.

179

Si deve rilevare che il ragionamento seguito ai punti da 107 a 112 e 118 supra nell’ambito dell’esame del secondo e del terzo capo del secondo motivo di ricorso è applicabile nel caso di specie. Infatti, da un lato, il comunicato stampa del Consiglio, del 31 gennaio 2011, di cui al punto 103 supra, costituisce un atto distinto dalla decisione 2011/72 e dalla decisione 2016/119 e che non è stato redatto nell’ambito del procedimento di adozione di tali decisioni. Il ricorrente, che non contesta il fatto che queste due decisioni non violino, di per sé, la presunzione d’innocenza, non può utilmente far valere tale violazione che vizierebbe, a suo avviso, detto comunicato stampa, al fine di mettere in discussione la loro legittimità. Dall’altro lato, in ogni caso, tale censura poggia su un’interpretazione letterale dello stesso comunicato stampa, mentre quest’ultimo dev’essere interpretato in riferimento al contenuto della decisione 2011/72, avendo lo scopo di annunciare al pubblico l’adozione di tale decisione. Orbene, poiché il contenuto di tale ultima decisione non si riferisce al ricorrente in quanto persona giudicata responsabile di distrazione di fondi pubblici tunisini, ma in quanto persona oggetto di indagini giudiziarie per tali fatti, il contenuto di detto comunicato stampa, che ad essi si riferisce, non viola il diritto del ricorrente al rispetto della presunzione d’innocenza.

180

Di conseguenza, anche ammesso che le dichiarazioni contenute nel comunicato stampa di Transparency International di cui al punto 177 supra, abbiano violato il diritto del ricorrente al rispetto della presunzione d’innocenza, tale violazione non può essere imputata al comunicato stampa del Consiglio del 31 gennaio 2011 sopracitato, né in ogni caso, inficiare la legittimità della decisione 2016/119.

181

Per quanto riguarda la nota del 15 gennaio 2016 delle autorità tunisine, si deve rilevare che le affermazioni del ricorrente su di essa sono, in ogni caso, meramente speculative. Infatti, tale nota si limita ad esporre le ragioni di ordine processuale per le quali il magistrato incaricato dell’istruttoria del caso non ha separato la causa del ricorrente dalle cause relative alle altre persone coinvolte. Di conseguenza, nulla indica, in tale nota, quali conclusioni saranno tratte dalle autorità tunisine dall’indagine giudiziaria relativa al ricorrente, né che sussisterebbe un legame plausibile tra le considerazioni che contiene e il comunicato stampa del Consiglio in questione.

182

Pertanto, il primo motivo dev’essere respinto.

Sul secondo motivo, vertente sull’assenza di fondamento in fatto sufficientemente solido delle misure controverse

183

Il secondo motivo si articola, in sostanza, su quattro capi, vertenti, per quanto riguarda il primo, sul carattere eccessivamente vago delle affermazioni sulle quali poggia il mantenimento dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’allegato della decisione 2011/72, per quanto riguarda il secondo, sull’assenza di esame separato del suo caso da parte delle autorità tunisine, che ha creato, a suo parere, l’illusione di un fondamento in fatto solido, relativamente al terzo, sull’assenza di attività significativa nell’ambito del procedimento giudiziario in Tunisia per quanto lo riguarda e, quanto al quarto, sull’insufficiente grado di precisione di dette affermazioni per quanto riguarda i fatti contestatigli e la sua responsabilità individuale.

184

Il Consiglio contesta, dal canto suo, la rilevanza degli elementi dedotti dal ricorrente richiamandosi alla sentenza del 14 aprile 2016Ben Ali/Consiglio (T‑200/14, non pubblicata, EU:T:2016:216).

– Sul primo capo del secondo motivo, vertente sul carattere eccessivamente vago delle affermazioni sulle quali poggia l’inserimento del nominativo del ricorrente nell’allegato alla decisione 2011/72

185

Va rilevato, in limine, che il primo capo del secondo motivo poggia su una censura nuova che non è stata presentata nell’ambito del ricorso, in particolare nel suo primo capo. Tale censura non può quindi essere considerata come l’ampliamento di una censura già esposta nell’ambito di detto motivo (v. sentenza del 15 marzo 2006Italia/Commissione, T‑226/04, EU:T:2006:85, punti 6465 e giurisprudenza ivi citata). Tuttavia, il ricorrente può legittimamente formulare per la prima volta tale censura, nell’ambito dell’adeguamento del suddetto primo motivo, alla luce dei nuovi motivi alla base dell’inserimento del suo nominativo introdotti con la decisione 2016/119 nonché del certificato delle autorità tunisine del 20 ottobre 2015, che costituiscono elementi nuovi (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 13 settembre 2013, Anbouba/Consiglio, T‑563/11, non pubblicata, EU:T:2013:429, punto 52).

186

Ciononostante, per le ragioni esposte ai successivi punti da 187 a 195, tale censura non è fondata.

187

In primo luogo, il ricorrente fa valere, da un lato, divergenze tra il certificato delle autorità tunisine del 20 ottobre 2015 e i motivi alla base dell’inserimento del suo nominativo nell’allegato della decisione 2011/72, modificata dalla decisione 2016/119, per quanto riguarda la natura dei reati summenzionati, e, dall’altro, l’insufficienza delle precisioni relative a tali reati e agli elementi concreti che consentono di stabilirli.

188

A tal proposito, si deve rilevare che, sebbene i motivi alla base dell’inserimento del nominativo del ricorrente nell’allegato della decisione 2011/72, modificata dalla decisione 2016/119, che sono stati accolti dal Consiglio, enuncino i reati sui quali porta l’indagine giudiziaria in corso a carico del ricorrente in Tunisia in modo più conciso rispetto al certificato delle autorità tunisine, tali motivi e tale certificato non presentano alcuna divergenza significativa. Inoltre, il Consiglio non sarebbe tenuto a riprodurre, nei motivi alla base dell’inserimento del nominativo del ricorrente, gli elementi di prova sui quali sono fondati tali motivi, poiché, del resto, ha comunicato al ricorrente detti elementi di prova (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punti 132133).

189

In secondo luogo, va rilevato che, sebbene il certificato di cui trattasi non menzioni le circostanze concrete alle quali si riferiscono i reati in questione, esso menziona, in modo sufficientemente specifico, detti reati e il grado di coinvolgimento presunto del ricorrente in tali reati, sia in quanto autore dei reati, sia in quanto complice, in modo da consentire al Consiglio di determinare se il ricorrente soddisfa i criteri generali definiti all’articolo 1, paragrafo 2, della decisione 2011/72 (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punto 123).

190

Inoltre, come evidenzia, in particolare, il ricorso da parte del ricorrente alla nozione di actus reus, il suo argomento poggia sulla errata premessa secondo cui gli elementi di prova sui quali si fonda il Consiglio dovrebbero presentare la precisione richiesta per dimostrare la sua responsabilità nei reati summenzionati. Orbene, il ricorrente non contesta, peraltro, che il Consiglio abbia la facoltà di fondarsi su indagini giudiziarie relative a tali reati, vale a dire su una fase del procedimento penale nella quale, per definizione, gli elementi che consentono di stabilire l’esistenza di tale responsabilità o, al contrario, di escluderla, sono in corso di determinazione (v., in tal senso, sentenza del 30 giugno 2016, Al Matri/Consiglio, T‑545/13, non pubblicata, EU:T:2016:376, punti da 83 a 90).

191

Per le medesime ragioni è irrilevante la mancata indicazione dell’identità delle persone diverse dal ricorrente che si presumono coinvolte in detti reati e alle quali si riferiscono i motivi alla base dell’inserimento del nominativo del ricorrente e il certificato delle autorità tunisine del 20 ottobre 2015. Infatti, come rilevato al punto 189 supra, è sufficiente che tale certificato dimostri, in modo sufficientemente specifico, detti reati e il grado di coinvolgimento presunto del ricorrente negli stessi. Così è dell’assenza, in tale certificato, di indicazioni di tempo e di luogo relative ai reati in questione.

192

É altresì irrilevante la qualificazione asseritamente errata dell’ex presidente della Repubblica di Tunisia quale funzionario pubblico. Infatti, si deve constatare che né il certificato di cui al punto 16 supra, né i motivi alla base dell’inserimento del nominativo del ricorrente di cui all’allegato alla decisione 2011/72, come modificata dalla decisione 2016/119, si riferiscono a tale persona. Va, inoltre, rilevato che, poiché le funzioni esercitate da detta persona possono comportare la gestione di fondi pubblici, esse possono, in ogni caso, essere assimilate alle funzioni esercitate da un funzionario pubblico, ai fini della constatazione di un reato qualificabile come distrazione di fondi pubblici, ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 1, della decisione 2011/72 (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 14 aprile 2016, Ben Ali/Consiglio, T‑200/14, non pubblicata, EU:T:2016:216, punti 120178).

193

In terzo luogo, il ricorrente osserva che, nonostante gli elementi nuovi prodotti dal Consiglio prima dell’adozione della decisione 2016/119, in particolare il documento del 18 gennaio 2016, recante il riferimento MD 7/16 EXT 1 RELEX, allegato alla lettera del Consiglio del 29 gennaio 2016, l’Istituzione non dispone e non ha mai disposto di elementi di prova idonei ad avvalorare le asserzioni che lo riguardano. Per quanto riguarda il documento sopracitato, il ricorrente indica, in particolare, che la menzione di commissioni rogatorie internazionali, che figura in tale documento, non contiene nessuna delle precisioni necessarie che consentono di determinare l’oggetto di tali commissioni rogatorie, le altre persone a cui si riferiscono, o i loro destinatari.

194

A tal proposito, va innanzitutto rilevato che il ricorrente non può utilmente affermare, contro la decisione 2016/119, che, fino alla produzione del documento MD 7/16 EXT 1 RELEX del 18 gennaio 2016, il Consiglio non disponeva di alcun elemento di prova riguardante il suo coinvolgimento nei reati su cui vertono le indagini giudiziarie a suo carico in Tunisia. Infatti, come ricordato al punto 61 supra, la legittimità di un atto dell’Unione dev’essere valutata in funzione della situazione di fatto e di diritto esistente al momento in cui l’atto è stato adottato. Di conseguenza, è alla luce degli elementi di prova detenuti dal Consiglio al momento dell’adozione della decisione 2016/119, ovvero alla data del 28 gennaio 2016, che dev’essere valutata la legittimità di tale decisione.

195

Peraltro, il ricorrente non produce alcun elemento di prova tale da mettere in causa l’esattezza materiale degli elementi presentati nel documento MD 7/16 EXT 1 RELEX, e in particolare, nel suo punto 3, la menzione di cinque commissioni rogatorie internazionali che lo riguardano, datate 19 gennaio 2011, 21 gennaio 2011, 10 gennaio 2012, 22 ottobre 2013 e 5 maggio 2015. In ogni caso, poiché il certificato delle autorità tunisine del 20 ottobre 2015 dimostra l’esistenza di indagini giudiziarie a carico del ricorrente per fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici, esso costituisce, a tale titolo, un elemento di prova sufficiente sul quale il Consiglio poteva fondarsi per mantenere l’inserimento del nominativo del ricorrente nell’allegato della decisione 2011/72. Di conseguenza, anche a supporre che detta menzione di commissioni rogatorie internazionali difetti di precisione, tale circostanza non è determinante.

196

Il primo capo del secondo motivo dev’essere dunque respinto.

– Sul secondo capo del secondo motivo, vertente sull’assenza di esame separato del caso del ricorrente da parte delle autorità tunisine

197

A sostegno del presente capo, il ricorrente deduce che l’istruttoria del suo caso avrebbe dovuto essere effettuata dalle autorità giudiziarie tunisine separatamente da quella dei casi delle altre persone e mette in discussione la decisione del magistrato istruttorio che, come esposto dalle autorità tunisine nella nota datata 15 gennaio 2016, ha ritenuto necessario non effettuare una tale separazione, malgrado la sentenza della Corte d’appello di Tunisi del 25 febbraio 2015.

198

Tuttavia, tali circostanze non possono inficiare la legittimità della decisione 2016/119. Infatti, esse sollevano questioni di diritto processuale tunisino sulle quali spetta soltanto alle giurisdizioni tunisine pronunciarsi, se del caso nell’ambito di un nuovo ricorso dei ricorrenti contro la sopracitata decisione del magistrato istruttorio. Inoltre, le spiegazioni fornite dalle autorità tunisine nella nota sopracitata, in risposta alle domande di chiarimenti del Consiglio, confermano che il trattamento da parte di tali autorità della questione della separazione del caso del ricorrente poggiava su considerazioni meramente giuridiche e che non vi erano elementi tali da suscitare perplessità legittime su un possibile sviamento di potere da parte delle autorità che metteva in discussione il mantenimento delle misure restrittive nei confronti del ricorrente.

199

Peraltro, la circostanza che il ricorrente non abbia legami familiari con il coniuge dell’ex presidente della Repubblica di Tunisia è irrilevante nel caso di specie. Infatti, il nominativo del ricorrente è iscritto nell’elenco allegato alla decisione 2011/72, come modificata dalla decisione 2016/119, non in ragione di tali legami familiari, bensì in ragione di un’indagine giudiziaria da parte delle autorità tunisine relativa al suo coinvolgimento personale in fatti qualificabili come distrazione di fondi pubblici.

200

Inoltre, sebbene il ricorrente si sforzi di dimostrare che, a differenza di altre persone interessate da indagini giudiziarie connesse, le giurisdizioni tunisine lo hanno progressivamente liberato dalle misure coercitive adottate nell’ambito dell’indagine giudiziaria nei suoi confronti, gli elementi che mette in rilevo a sostegno di tale dimostrazione non sono significativi. Infatti, come è stato rilevato, in sostanza, ai punti da 49 a 56 supra, le diverse decisioni giurisdizionali di revoca del divieto di lasciare il territorio tunisino e di annullamento delle decisioni di confisca di beni del ricorrente non possono pregiudicare la posizione finale dei giudici tunisini per quanto riguarda l’esito dei procedimenti penali sui quali si fonda il Consiglio. In aggiunta, il ricorrente non definisce in nessun momento il nesso che esisterebbe tra tali diverse decisioni giurisdizionali e i procedimenti penali in questione. In tali circostanze, il Consiglio non è incorso in errori nella valutazione di elementi forniti dalle autorità tunisine e non si è associato a un’«attività illegittima» delle stesse, avendo considerato che detti elementi consentivano di prorogare le misure restrittive nei confronti del ricorrente.

201

Il secondo capo del secondo motivo dev’essere dunque respinto.

– Sul terzo capo del secondo motivo, vertente sull’assenza di attività significativa nell’ambito del procedimento giudiziario in Tunisia per quanto riguarda il ricorrente

202

Il ricorrente sostiene che il documento del 10 dicembre 2015 recante il riferimento MD 745/15 ADD 1 EXT 1, che contiene una scheda redatta dalle autorità tunisine che riprende i principali elementi della causa n. 19592/1 nella quale egli è coinvolto, rivela un’assenza di attività delle autorità giudiziarie per quanto riguarda l’istruzione di tale causa.

203

Questo argomento non può essere accolto.

204

Infatti, da un lato, la scheda in questione indica che, nell’ambito della causa n. 19592/1, il ricorrente è stato sottoposto a un interrogatorio da parte del giudice dell’istruzione, in data 14 maggio 2014, circostanza che egli non contesta. Peraltro, come risulta dalla nota del difensore del ricorrente in Tunisia del 4 febbraio 2016, allegata alla seconda memoria di adeguamento, il ricorrente è stato anche sottoposto, in precedenza, a due interrogatori, in data 15 e 21 febbraio 2012, nell’ambito della stessa causa.

205

D’altro lato, risulta chiaramente dalla scheda in questione che la causa n. 19592/1 si riferisce non solo al ricorrente, ma anche a tutte le persone interessate da una denuncia il cui oggetto è l’uso del legame di parentela o di matrimonio con l’ex presidente della Repubblica tunisina per la conclusione di contratti fittizi e di appalti pubblici illegittimi. Risulta altresì da tale scheda che, tra il 14 maggio 2014 e il 4 marzo 2015, è stato adottato un gran numero di atti istruttori nell’ambito di tale causa dal o dai magistrati competenti. Inoltre, nulla, in tale scheda, indica che non è stato adottato alcun atto istruttorio al di fuori di tale periodo.

206

Di conseguenza, tenuto conto di tutti questi elementi, il fatto che, nell’ambito di detta causa, l’ultimo atto istruttorio riguardante il ricorrente e menzionato nella scheda di cui trattasi abbia avuto luogo il 14 maggio 2014, non è tale, da solo, da indicare un trattamento dilatorio di tale causa e una mancanza di diligenza da parte delle autorità tunisine. In ogni caso, anche a supporre che così fosse, per le ragioni esposte ai punti da 67 a 75 supra, il Consiglio non può essere tenuto, per tale solo motivo, a porre fine al congelamento di capitali nei confronti del ricorrente. Il terzo capo del secondo motivo deve dunque essere respinto.

– Sul quarto capo del secondo motivo, vertente sul difetto di precisione richiesta dalla giurisprudenza per quanto riguarda i fatti contestati al ricorrente e la sua responsabilità individuale

207

A sostegno del presente capo il ricorrente si fonda sul punto 44 della sentenza del 26 ottobre 2015, Portnov/Consiglio (T‑290/14, EU:T:2015:806), nonché sui punti 44 e 48 della sentenza del 28 gennaio 2016, Stavytskyi/Consiglio (T‑486/14, non pubblicata, EU:T:2016:45), per sostenere che il Consiglio ha l’obbligo non soltanto di indicare i reati precisi che le persone il cui nominativo è iscritto nell’elenco in questione sono sospettate aver commesso, ma anche di fornire dettagli riguardanti la responsabilità individuale negli atti in questione. Tali criteri non sarebbero soddisfatti nel caso di specie. Inoltre, alla luce di tale sentenza, il Consiglio non potrebbe limitarsi a considerare che può congelare i capitali nell’Unione di un cittadino di un paese terzo per il solo motivo che è sottoposto a procedimenti penali nel paese terzo considerato. Infine, secondo il ricorrente, in assenza di progressi nel procedimento penale nei suoi confronti, egli non può essere considerato sottoposto a procedimento penale.

208

A tal proposito, va ricordato che le sentenze del 26 ottobre 2015, Portnov/Consiglio (T‑290/14, EU:T:2015:806) e del 28 gennaio 2016, Stavytskyi/Consiglio (T‑486/14, non pubblicata, EU:T:2016:45), si riferiscono a ricorsi contro la decisione 2014/119/PESC del Consiglio, del 5 marzo 2014, concernente misure restrittive nei confronti di talune persone, entità e organismi in considerazione della situazione in Ucraina (GU 2014, L 66, pag. 26).

209

Al punto 44 della sentenza del 26 ottobre 2015, Portnov/Consiglio (T‑290/14, EU:T:2015:806) e al punto 44 della sentenza del 28 gennaio 2016, Stavytskyi/Consiglio (T‑486/14, non pubblicata, EU:T:2016:45), il Tribunale ha constatato che il solo elemento di prova sul quale si fondavano le decisioni controverse, pur provenendo da un’alta autorità giudiziaria di un paese terzo, vale a dire dall’ufficio del Procuratore generale dell’Ucraina, conteneva solamente un’affermazione generale e generica che collegava il nominativo dei ricorrenti, fra altri ex alti funzionari, a un’indagine che, in sostanza, intendeva verificare l’esistenza stessa di fatti di distrazione di fondi pubblici. Peraltro, sempre negli stessi punti, il Tribunale ha rilevato che la lettera de qua, sebbene indichi il reato che i ricorrenti erano sospettati aver commesso ai sensi del codice penale ucraino, ovvero un’appropriazione indebita di fondi dello Stato ucraino sanzionata dall’articolo 191 di detto codice, non forniva alcuna precisione sull’accertamento dei fatti che l’indagine condotta dalle autorità ucraine stava verificando e, ancor meno sulla responsabilità individuale, anche solo presunta, del ricorrente per tali fatti.

210

Inoltre, al punto 48 della sentenza del 28 gennaio 2016, Stavytskyi/Consiglio (T‑486/14, non pubblicata, EU:T:2016:45), il Tribunale ha rilevato che, a prescindere dalla fase in cui si trovava il procedimento di cui si riteneva che il ricorrente fosse oggetto, il Consiglio non poteva adottare misure restrittive nei suoi confronti senza conoscere i fatti di appropriazione indebita di fondi pubblici che gli erano specificamente contestati dalle autorità ucraine, poiché solo avendo avuto conoscenza di tali fatti, il Consiglio sarebbe stato in grado di dimostrare che essi potevano, da un lato, essere qualificati come appropriazione indebita di fondi pubblici e, dall’altro, rimettere in discussione lo stato di diritto in Ucraina, il cui consolidamento e il cui sostegno costituiscono l’obiettivo perseguito dall’adozione delle misure restrittive di cui trattasi (sentenza del 28 gennaio 2016, Stavytskyi/Consiglio, T‑486/14, non pubblicata, EU:T:2016:45, punto 48).

211

A prescindere dalla questione se le misure restrittive adottate nell’ambito della decisione 2014/119 siano in tutto comparabili a quelle adottate nell’ambito della decisione 2011/72, è sufficiente rilevare che dal punto 44 della sentenza del 26 ottobre 2015, Portnov/Consiglio (T‑290/14, EU:T:2015:806), e dai punti 44 e 48 della sentenza del 28 gennaio 2016, Stavytskyi/Consiglio (T‑486/14, non pubblicata, EU:T:2016:45), risulta che il contesto in fatto delle cause che hanno dato luogo a tali sentenza differisce in modo significativo da quello della presente causa.

212

Infatti, da un lato, il contesto della presente causa si caratterizza dall’esistenza di un’indagine giudiziaria in corso d’istruzione a carico del ricorrente, dimostrata da certificati provenienti dal giudice in seno al quale sono condotte tali istruzioni e che precisano in modo dettagliato i riferimenti della causa in questione nonché la natura esatta dei reati sui quali porta l’istruzione e il grado di coinvolgimento presunto del ricorrente in tali reati. Di conseguenza, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, le misure restrittive nei suoi confronti poggiano su elementi fattuali concreti relativi a reati che si sospetta abbia commesso e alla sua presunta responsabilità individuale in tali reati. In aggiunta, dagli atti di causa emerge che, oltre a tali certificati, il Consiglio disponeva anche, al momento dell’adozione della decisione 2016/119, di documenti provenienti dalle autorità tunisine e che contengono precisioni supplementari per quanto riguarda la natura dei fatti sui quali verte l’indagine a carico del ricorrente nonché sullo stato di tale indagine (v. i documenti citati ai punti 193 e 202 supra).

213

Dall’altro lato, come rilevato dal Tribunale al punto 44 della sentenza del 26 ottobre 2015, Portnov/Consiglio (T‑290/14, EU:T:2015:806) e al punto 44 della sentenza del 28 gennaio 2016, Stavytskyi/Consiglio (T‑486/14, non pubblicata, EU:T:2016:45), le misure restrittive di cui a tali sentenze, si fondavano soltanto su una lettera del procuratore generale d’Ucraina, che conteneva solo un’affermazione generale e generica che collegava il nominativo dei ricorrenti, fra altri ex alti funzionari, a un’indagine che, in sostanza, intendeva verificare l’esistenza stessa di fatti di appropriazione indebita di fondi pubblici.

214

Il ricorrente non può, quindi, sostenere che, nell’ambito dell’adozione della decisione 2016/119, il Consiglio non ha rispettato i requisiti definiti nelle sentenze del 26 ottobre 2015, Portnov/Consiglio (T‑290/14, EU:T:2015:806) e del 28 gennaio 2016, Stavytskyi/Consiglio (T‑486/14, non pubblicata, EU:T:2016:45).

215

Per quanto riguarda l’argomento del ricorrente secondo il quale egli non poteva essere considerato come perseguito dalla autorità tunisine, per le ragioni esposte ai punti da 82 a 84 supra, è privo di fondamento.

216

Alla luce dei suesposti rilievi, il quarto capo del secondo motivo e, di conseguenza, tale motivo in toto, devono essere respinti.

Sul terzo motivo, vertente sul fatto che la decisione 2016/119 sarebbe priva di oggetto

217

Nell’ambito di tale motivo il ricorrente si limita ad adattare al contesto della decisione 2016/119 l’argomento che ha esposto nell’ambito del terzo motivo di ricorso e che poggia, in sostanza, sulla tesi secondo la quale gli sviluppi del processo democratico in Tunisia priverebbero di base giuridica tale decisione. Orbene, per le stesse ragioni esposte ai punti da 127 a 133 supra, tale argomento dev’essere respinto.

Sul quarto motivo, relativo alla violazione del principio del termine ragionevole di giudizio

218

Nell’ambito del quarto motivo il ricorrente adatta l’argomento relativo al termine ragionevole di giudizio che ha presentato nell’ambito del ricorso, a sostegno del secondo capo del primo motivo e del primo capo del secondo motivo. A suo avviso, l’argomento del Consiglio nella controreplica, secondo il quale la durata dell’indagine giudiziaria delle autorità tunisine si giustifica in ragione della natura dei reati che ne costituiscono l’oggetto e dell’esistenza di procedimenti di assistenza giudiziaria, non poggerebbe su alcun elemento in fatto per quanto lo riguarda. Peraltro, il mantenimento di misure restrittive poggerebbe su un «vizio di circolarità». Infatti, le autorità tunisine avrebbero interesse a non accelerare il procedimento penale nei confronti del ricorrente in modo da conferire un «massimo effetto punitivo» al congelamento di capitali nell’Unione, mentre il Consiglio potrebbe giustificare la durata di tale congelamento di capitali deducendo la durata del procedimento penale in Tunisia.

219

Nelle proprie osservazioni sulla seconda memoria di adeguamento il Consiglio replica affermando di agire in modo indipendente dalle autorità tunisine e di non essere tenuto a fondare le proprie valutazioni della situazione del ricorrente su una decisione delle autorità giudiziarie tunisine, ma che ne ha solo la facoltà. Ne trae la conclusione che nel caso di specie non sussiste «vizio di circolarità» e che la sentenza del 9 settembre 2010, Al-Aqsa/Consiglio (T‑348/07, EU:T:2010:373), richiamata dal ricorrente, non è rilevante in proposito.

220

A tal proposito, va ricordato che, per respingere il secondo capo del primo motivo di ricorso, è stato rilevato, da un lato, ai punti da 61 a 75 supra, che, anche nell’ipotesi in cui gli elementi prodotti dal ricorrente prima dell’adozione della decisione 2015/157, avessero giustificato verifiche del Consiglio per quanto riguarda lo stato delle indagini giudiziarie a cui era sottoposto, tali elementi non potevano obbligare il Consiglio a porre fine al congelamento dei suoi capitali nell’Unione. Dall’altro lato, è stato esposto ai punti 77 e 78 supra, che tali elementi non erano tali da suscitare perplessità legittime relative ad un’eventuale violazione del suo diritto a un termine ragionevole di giudizio da parte delle autorità tunisine. Al punto 96 supra, segnatamente, il Tribunale si è fondato sul medesimo ragionamento per respingere il primo capo del secondo motivo del ricorso.

221

Peraltro, si deve rilevare che il Consiglio, come fatto valere nella controreplica, afferma di disporre di elementi atti a dimostrare che il procedimento giudiziario in Tunisia non soffrirebbe di indebiti ritardi e che tale procedimento rientrerebbe nel quadro di una causa particolarmente complessa che coinvolge numerosi sospettati. A tal proposito si fonda sui documenti recanti i riferimenti MD 2015/552 EXT 2 e MD 2015/553 EXT 2, che contengono rispettivamente un rapporto delle autorità tunisine sullo stato di avanzamento delle indagini giudiziarie in data 11 maggio 2015 e una scheda relativa alla causa n. 19592/1, dello stesso giorno, proveniente dal primo ufficio istruttorio del Tribunale di grande istanza di Tunisi.

222

Orbene, si deve rilevare che i documenti di cui al punto 221 supra, tendono a sottolineare l’esistenza d un’attività processuale effettiva nell’ambito dell’istruttoria della causa in cui è coinvolto il ricorrente nonché della complessità di tale causa per il gran numero di persone interessate e delle misure istruttorie richieste, in particolare delle commissioni rogatorie internazionali.

223

Se è pur vero che tali documenti fanno pochi riferimenti alla situazione personale del ricorrente, quest’ultimo non può, tuttavia, sostenere che l’argomento del Consiglio a tal proposito non poggia su alcun elemento in fatto che lo riguarda. Infatti, nella misura in cui l’indagine relativa ai reati che si sospetta abbia commesso rientra nell’ambito di un’istruttoria più vasta che coinvolge numerose altre persone e che ha una portata internazionale, la complessità di tale istruttoria può avere un effetto sulla durata del procedimento per quanto riguarda in particolare il ricorrente. Tale analisi è confermata dal documento del 10 dicembre 2015 recante il riferimento MD 745/15 ADD 1 EXT 1, di cui al punto 202 supra. Ciò premesso, non risulta dagli atti di causa che il Consiglio sia incorso in un errore di valutazione relativamente al rispetto del termine ragionevole di giudizio da parte della autorità tunisine.

224

In ogni caso, da tutti questi documenti risulta che il Consiglio, alla luce delle osservazioni del ricorrente, ha effettuato, prima di adottare la decisione 2016/119, una verifica approfondita dello stato dell’indagine giudiziaria relativa al ricorrente e che non può, di conseguenza, essergli contestato di non aver preso in considerazione la questione della durata dei procedimenti penali in Tunisia. Inoltre, per le ragioni esposte ai punti da 61 a 75 supra, anche ammesso che tali procedimenti siano viziati da ritardi ingiustificati per quanto riguarda il trattamento del caso del ricorrente, tali ritardi non possono necessariamente obbligare il Consiglio a porre fine al congelamento dei capitali del ricorrente nell’Unione.

225

L’argomento del ricorrente vertente su un preteso vizio di circolarità risultante dalla relazione tra i procedimenti giudiziari in Tunisia e il congelamento dei suoi capitali nell’Unione non è tale da mettere in discussione tali conclusioni.

226

Infatti, tale argomento poggia sulla premessa che le autorità tunisine adotterebbero, volontariamente, un comportamento dilatorio nel trattamento dell’indagine giudiziaria a carico del ricorrente al fine di mantenere la proroga del congelamento dei suoi capitali nell’Unione a scopo punitivo e che il Consiglio contribuisca scientemente a tale abuso. Orbene, da un lato, si deve rilevare che il ricorrente non produce in proposito alcun elemento che possa indicare l’esistenza di un’intenzione del genere da parte delle autorità tunisine o di un consenso del Consiglio a tale abuso. Dall’altro lato, il congelamento dei capitali del ricorrente nell’Unione non può avere un carattere punitivo, essendo privo di connotazione penale e sottoposto a taluni limiti. Infatti, si deve ricordare che, oltre al suo carattere temporaneo e reversibile, tale congelamento di capitali, che è oggetto di diverse deroghe in applicazione dell’articolo 1, paragrafi 3 e 4 della decisione 2011/72 e ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 5, di tale decisione, non priva il ricorrente dei proventi derivanti dalla remunerazione dei suoi conti o dal pagamento di contratti, accordi o obbligazioni conclusi prima del sopravvenire di tale congelamento di capitali. Gli effetti di tale congelamento di capitali sul ricorrente non equivalgono, quindi, a quelli di una sanzione penale. L’argomento riveste pertanto un carattere puramente speculativo.

227

Di conseguenza, il quarto motivo dev’essere respinto.

Sul quinto motivo, vertente sulla violazione del diritto di proprietà

228

Nell’ambito del quinto motivo, il ricorrente adatta il quinto motivo di ricorso e sostiene che, poiché non sussiste un fondamento in fatto sufficiente che giustifichi il congelamento dei suoi capitali nell’Unione e che esso è durato oltre un termine ragionevole, tale congelamento costituisce un’ingerenza manifestamente sproporzionate nel suo diritto di proprietà.

229

Il Consiglio contesta, dal canto suo, tale argomento.

230

Va rilevato, in limine, che, come già rilevato al punto 151 supra, nell’ambito del quinto motivo di ricorso, il ricorrente ha soltanto messo in discussione il fatto che il congelamento dei suoi capitali nell’Unione non risponde alle prime due condizioni per la limitazione dell’esercizio del diritto di proprietà definite dalla giurisprudenza, vale a dire da un lato, che tale limitazione abbia un fondamento giuridico e, dall’altro, che corrisponda a obiettivi di interesse generale riconosciuti dall’Unione. Per contro, nell’ambito del presente motivo, il ricorrente mette altresì in discussione il fatto che sia soddisfatta la terza di tali condizioni, ovvero il carattere necessario e proporzionato allo scopo perseguito di detta limitazione. Orbene, la deduzione di quest’ultima censura, che non può essere considerata un ampliamento delle censure esposte nell’ambito del quinto motivo di ricorso e che è quindi nuova, non risulta giustificata da elementi nuovi sopravvenuti prima dell’adozione della decisione 2016/119 (v., in tal senso e per analogia, sentenza del 13 settembre 2013, Anbouba/Consiglio, T‑563/11, non pubblicata, EU:T:2013:429, punti 5253). Ciò detto, tale censura è, in ogni caso, infondata.

231

A tal proposito, va ricordato che il congelamento dei capitali delle persone a cui si riferisce una decisione adottata sul fondamento delle disposizioni della PESC non deve costituire, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile tale da ledere la sostanza stessa del diritto di proprietà (v., in tal senso, sentenza del 28 novembre 2013, Consiglio/Manufacturing Support & Procurement Kala Naft, C‑348/12 P, EU:C:2013:776, punti 121122 e giurisprudenza ivi citata). Peraltro, la Corte ha già dichiarato che le restrizioni all’esercizio del diritto di proprietà di persone alle quali si riferisce una misura restrittiva come il congelamento dei capitali di cui trattasi nel presente caso, derivano non soltanto dalla portata generale della misura in questione, ma, se del caso, anche dalla durata effettiva della sua applicazione (v., in tal senso, sentenza del 18 luglio 2013, Commissione e a./Kadi, C‑584/10 P, C‑593/10 P e C‑595/10 P, EU:C:2013:518, punto 132 e giurisprudenza ivi citata). Infatti, la durata del periodo durante il quale una misura come la misura controversa è applicata costituisce uno degli elementi di cui il giudice dell’Unione deve tenere conto al fine dell’esame della proporzionalità di detta misura (sentenza del 30 giugno 2016, CW/Consiglio, T‑516/13, non pubblicata, EU:T:2016:377, punto 172).

232

Nella specie, poiché il ricorrente fonda il presente motivo unicamente sulla pretesa mancanza di fondamento in fatto del congelamento di capitali controverso e sulla sua durata eccessiva, è sufficiente constatare che, come riusata dalla considerazioni enunciate, da un lato, ai punti da 186 a 216 supra nell’ambito dell’esame del primo capo del primo motivo e, dall’altro, ai punti da 220 a 226 supra nell’ambito dell’esame del quarto motivo, il congelamento dei capitali del ricorrente poggia su una fondamento in fatto sufficiente e non è stato applicato per una durata eccessiva. Di conseguenza, la proporzionalità di tale misura non ne può essere inficiata.

233

Il quinto motivo, pertanto, dev’essere necessariamente respinto. Poiché nessuno dei motivi sollevati nella seconda memoria di adeguamento risulta fondato, la domanda del ricorrente volta all’annullamento della decisione 2016/119 e, di conseguenza, il ricorso in toto, devono essere respinti.

Sulle spese

234

Ai sensi dell’articolo 134, paragrafo 1, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda.

235

Poiché il Consiglio ne ha fatto domanda, il ricorrente, risultato soccombente, va condannato alle spese.

 

Per questi motivi,

IL TRIBUNALE (Quinta Sezione)

dichiara e statuisce:

 

1)

Il ricorso è respinto.

 

2)

Il sig. Mohamed Marouen Ben Ali Ben Mohamed Mabrouk è condannato a sopportare, oltre alle proprie spese, quelle sostenute dal Consiglio dell’Unione europea.

 

Gratsias

Labucka

Ulloa Rubio

Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 ottobre 2017.

Firme

Indice

 

Origini della controversia e contesto in fatto

 

Procedimento e conclusioni delle parti

 

In diritto

 

Per quanto riguarda la domanda di annullamento della decisione 2015/157

 

Sul primo motivo, vertente su un errore di diritto, laddove il Consiglio avrebbe erroneamente ritenuto che l’indagine giudiziaria in corso a carico del ricorrente in Tunisia costituisse un fondamento in fatto sufficiente

 

– Per quanto riguarda il primo capo del primo motivo, vertente sulla mancata considerazione da parte del Consiglio degli sviluppi favorevoli dei diversi procedimenti giurisdizionali riguardanti il ricorrente in Tunisia

 

– Per quanto riguarda il secondo capo del primo motivo, vertente sulla mancata considerazione da parte del Consiglio della violazione del principio del termine ragionevole di giudizio nell’ambito dell’indagine giudiziaria pendente a carico del ricorrente

 

– Sul terzo capo del primo motivo, vertente su un errore di diritto del Consiglio, laddove quest’ultimo avrebbe erroneamente ritenuto che gli elementi prodotti dalle autorità tunisine dimostrassero l’esistenza di procedimenti a carico del ricorrente

 

Sul secondo motivo, vertente su violazioni dei diritti fondamentali del ricorrente di cui sarebbe viziato il procedimento che ha condotto all’adozione della decisione 2015/157

 

– Sul primo capo del secondo motivo, vertente su una violazione dell’articolo 47 della Carta per inosservanza, da parte del Consiglio stesso, del principio del termine ragionevole di giudizio

 

– Sul secondo capo del secondo motivo, vertente sulla violazione della presunzione d’innocenza in conseguenza di un comunicato stampa del Consiglio del 31 gennaio 2011

 

– Sul terzo capo del secondo motivo, vertente su una violazione del diritto ad una buona amministrazione e, in particolare, a un trattamento imparziale delle questioni che lo riguardano, ai sensi dell’articolo 41, paragrafo 1, della Carta

 

Sul terzo motivo, vertente sulla mancanza di oggetto della decisione 2015/157, alla luce degli sviluppi del processo di democratizzazione in Tunisia

 

Sul quarto motivo, vertente, in via subordinata, su un «errore manifesto di valutazione» relativo alla insufficiente considerazione, da parte del Consiglio, dell’«elemento [di] diritto penale» della decisione 2015/157

 

Sul quinto motivo, concernente una violazione del diritto di proprietà e dell’articolo 17 della Carta

 

Per quanto riguarda le conclusioni della prima memoria di adeguamento, tendente all’annullamento della «decisione» del Consiglio del 16 novembre 2015, mediante la quale quest’ultimo ha respinto la domanda del ricorrente del 29 maggio 2015 di ritirare il proprio nominativo dall’elenco allegato alla decisione 2011/72

 

Per quanto riguarda le conclusioni della seconda memoria di adeguamento, dirette all’annullamento della decisione 2016/119

 

Sul primo motivo, vertente sulla violazione della presunzione d’innocenza e del principio della buona amministrazione

 

Sul secondo motivo, vertente sull’assenza di fondamento in fatto sufficientemente solido delle misure controverse

 

– Sul primo capo del secondo motivo, vertente sul carattere eccessivamente vago delle affermazioni sulle quali poggia l’inserimento del nominativo del ricorrente nell’allegato alla decisione 2011/72

 

– Sul secondo capo del secondo motivo, vertente sull’assenza di esame separato del caso del ricorrente da parte delle autorità tunisine

 

– Sul terzo capo del secondo motivo, vertente sull’assenza di attività significativa nell’ambito del procedimento giudiziario in Tunisia per quanto riguarda il ricorrente

 

– Sul quarto capo del secondo motivo, vertente sul difetto di precisione richiesta dalla giurisprudenza per quanto riguarda i fatti contestati al ricorrente e la sua responsabilità individuale

 

Sul terzo motivo, vertente sul fatto che la decisione 2016/119 sarebbe priva di oggetto

 

Sul quarto motivo, relativo alla violazione del principio del termine ragionevole di giudizio

 

Sul quinto motivo, vertente sulla violazione del diritto di proprietà

 

Sulle spese


( *1 ) Lingue processuali: l’inglese e il francese.