26.10.2015   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 354/15


Impugnazione proposta il 15 luglio 2015 dalla Skype avverso la sentenza del Tribunale (Prima Sezione) del 5 maggio 2015, causa T-423/12, Skype/Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI)

(Causa C-383/15 P)

(2015/C 354/18)

Lingua processuale: l’inglese

Parti

Ricorrente: Skype (rappresentanti: A. Carboni, M. Browne, Solicitors)

Altre parti nel procedimento: Ufficio per l’armonizzazione nel mercato interno (marchi, disegni e modelli) (UAMI), Sky IP International Ltd, Sky plc

Conclusioni della ricorrente

La ricorrente chiede che la Corte voglia:

annullare integralmente la decisione del Tribunale del 5 maggio 2015 nella causa T-423/12 e rinviare la domanda all’UAMI ai fini della prosecuzione del procedimento; e

condannare l’UAMI e gli eventuali intervenienti nel presente procedimento alle proprie spese e a quelle sostenute dalla ricorrente per il presente procedimento nonché quelle (i) del ricorso dinanzi al Tribunale nella causa T-423/12; (ii) del ricorso dinanzi alla quarta commissione di ricorso nel procedimento R 1561/2010-4; e (iii) dell’opposizione B 1 023 680 dinanzi alla divisione di opposizione.

Motivi e principali argomenti

L’unico motivo di ricorso dedotto dalla ricorrente verte sulla violazione da parte del Tribunale dell’articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del Regolamento (CE) n. 207/2009 del Consiglio, del 26 febbraio 2009 sul marchio comunitario (1) nel pronunciarsi sulla causa T-423/12 relativa alla domanda di marchio comunitario n. 4 546 248 (il «marchio controverso»). In particolare, il Tribunale ha commesso i seguenti errori nel decidere di confermare le conclusioni del convenuto circa il rischio di confusione:

1.

ha valutato in modo inesatto le caratteristiche del pubblico di riferimento, non considerando il fatto che il servizio Skype della ricorrente si basava su una forma di tecnologia nuovissima e innovativa alla data di priorità del marchio controverso (la «data di riferimento»), e quindi che il pubblico di riferimento aveva un livello di competenza tecnica al di sopra della media e una maggiore capacità di operare distinzioni tra marchi;

2.

avrebbe erroneamente dedotto che il riconoscimento da parte della ricorrente della circostanza che i prodotti e servizi contrassegnati dal marchio controverso sono identici a taluni prodotti e servizi contrassegnati dal marchio anteriore costituisse anche un riconoscimento della circostanza che il marchio anteriore aveva carattere distintivo accresciuto e/o notorietà in relazione alle aree che si sovrappongono a quelle specificate per il marchio controverso alla data di riferimento;

3.

ha applicato erroneamente la legge sotto vari aspetti nell’esame della valutazione effettuata dal convenuto della somiglianza visiva, fonetica e concettuale dei marchi di cui trattasi, in particolare, facendo riferimento all’erronea finzione giuridica secondo cui il consumatore medio legge le singole parole corte da sinistra a destra, attribuendo indebita importanza alla coincidenza delle lettere S-K-Y all’inizio di entrambi i marchi; non prendendo in considerazione l’elemento grafico del marchio controverso; e non valutando il fatto che la differenza concettuale tra i marchi neutralizza ogni somiglianza visiva o fonetica;

4.

ha commesso due errori rilevanti nel confermare le conclusioni del convenuto secondo le quali il marchio anteriore ha un carattere distintivo accresciuto in relazione a prodotti e servizi diversi dai servizi «principali» di radiodiffusione televisiva degli intervenienti: in primo luogo, si è basato erroneamente sull’uso del marchio anteriore in relazione ai servizi «principali» degli intervenienti per dedurre il carattere distintivo per altri servizi e in secondo luogo ha tenuto conto della prova dell’uso successiva alla data di riferimento;

5.

ha applicato erroneamente la legge sotto vari aspetti nell’effettuare la valutazione complessiva del rischio di confusione non prendendo in considerazione:

i.

la significativa notorietà di cui godeva il marchio controverso alla data di riferimento; e

ii.

la prova effettiva della coesistenza pacifica nel mercato tra i marchi di cui trattasi per oltre dieci anni, senza che gli intervenienti proponessero alcuna azione per violazione, circostanza che è fortemente indicativa dell’insussistenza di rischio di confusione alla data di riferimento.

Pertanto, la ricorrente chiede che la Corte: (1) annulli la decisione del Tribunale nella causa T-423/12 e rinvii la domanda al convenuto ai fini della prosecuzione del procedimento; e (2) ordini che siano rimborsate le spese alla ricorrente.


(1)  GU L 78, pag. 1.