CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE

HENRIK SAUGMANDSGAARD ØE

presentate il 27 ottobre 2016 ( 1 )

Causa C‑406/15

Petya Milkova

contro

Izpalnitelen direktor Agentsiata za privatizatsia i sledprivatizatsionen kontrol

[domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa, Bulgaria)]

«Rinvio pregiudiziale — Politica sociale — Parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro — Normativa nazionale che accorda una tutela speciale ai lavoratori disabili in caso di licenziamento — Mancanza di norme analoghe a favore dei pubblici impiegati disabili — Ammissibilità — Direttiva 2000/78/CE — Articoli 4 e 7 — Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità — Articolo 5, paragrafo 2 — Estensione delle norme nazionali di tutela ai pubblici impiegati disabili»

I – Introduzione

1.

La domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa, Bulgaria) verte sull’interpretazione della direttiva 2000/78/CE, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro ( 2 ), e in particolare dei suoi articoli 4 e 7, nonché sull’articolo 5, paragrafo 2, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (in prosieguo: la «Convenzione dell’ONU sulla disabilità») ( 3 ).

2.

Tale domanda fa seguito a un ricorso proposto dalla sig.ra Petya Milkova contro una decisione che ha comportato la risoluzione del suo rapporto di lavoro, fondata sulla soppressione del posto che l’interessata, portatrice di una disabilità, occupava in qualità di pubblica impiegata. Ella contesta all’amministrazione presso la quale era occupata di non avere applicato in suo favore la normativa bulgara che accorda una particolare tutela a talune categorie di persone malate in caso di licenziamento, ma solo quando si tratti di lavoratori subordinati.

3.

Il giudice del rinvio chiede alla Corte se una normativa nazionale di questo tipo sia compatibile con le menzionate disposizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità e della direttiva 2000/78. In caso di risposta negativa, detto giudice chiede se l’obbligo di rispettare questi due strumenti, incombente a uno Stato membro, implichi che, in una situazione come quella oggetto della controversia principale, il beneficio delle norme nazionali che tutelano esclusivamente taluni lavoratori subordinati disabili ( 4 ) debba estendersi ai pubblici impiegati portatori dello stesso tipo di disabilità.

4.

Preciso subito che, a mio avviso, tale situazione non rientra nell’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 2000/78, di cui pertanto non occorrerà interpretare le disposizioni nella presente causa, neppure alla luce della Convenzione dell’ONU sulla disabilità. Nondimeno, svolgerò alcune osservazioni a tale riguardo, in via subordinata.

II – Contesto normativo

A – Diritto internazionale

5.

La Convenzione dell’ONU sulla disabilità è stata approvata a nome della Comunità europea con la decisione 2010/48/CE del Consiglio ( 5 ) ed è stata ratificata nel 2012 dalla Repubblica di Bulgaria ( 6 ).

6.

Ai sensi del suo articolo 1, primo comma, lo scopo di detta Convenzione «è promuovere, proteggere e garantire il pieno ed uguale godimento di tutti i diritti umani e di tutte le libertà fondamentali da parte delle persone con disabilità e promuovere il rispetto per la loro intrinseca dignità». Il secondo comma del medesimo articolo definisce le persone con disabilità come «coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri».

7.

L’articolo 4 della Convenzione ONU sulla disabilità, intitolato «Obblighi generali», enuncia al paragrafo 1 che «[g]li Stati parti si impegnano a garantire e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza discriminazioni di alcun tipo sulla base della disabilità. (…)».

8.

Ai sensi dell’articolo 5 di tale Convenzione, intitolato «Uguaglianza e non discriminazione»:

«1.   Gli Stati parti riconoscono che tutte le persone sono uguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, a uguale protezione e uguale beneficio dalla legge.

2.   Gli Stati parti vietano ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilità e garantiscono alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione giuridica contro ogni discriminazione qualunque ne sia il fondamento.

(…)».

9.

L’articolo 27 di detta Convenzione, intitolato «Lavoro e occupazione», dispone quanto segue:

«1.   Gli Stati parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, su base di uguaglianza con gli altri; segnatamente il diritto di potersi mantenere attraverso un lavoro liberamente scelto o accettato in un mercato del lavoro e in un ambiente lavorativo aperto, inclusivo e accessibile alle persone con disabilità. Gli Stati parti garantiscono e favoriscono l’esercizio del diritto al lavoro, anche a coloro i quali hanno acquisito una disabilità durante l’impiego, prendendo appropriate iniziative, anche legislative, in particolare al fine di:

a)

vietare la discriminazione fondata sulla disabilità per tutto ciò che concerne il lavoro in ogni forma di occupazione, in particolare per quanto riguarda le condizioni di reclutamento, assunzione e impiego, la continuità dell’impiego, l’avanzamento di carriera e le condizioni di sicurezza e di igiene sul lavoro.

(…)».

B – Diritto dell’Unione

10.

A termini del considerando 27 della direttiva 2000/78: «[n]ella sua raccomandazione 86/379/CEE del 24 luglio 1986 concernente l’occupazione dei disabili nella Comunità [ ( 7 )], il Consiglio ha definito un quadro orientativo in cui si elencano alcuni esempi di azioni positive intese a promuovere l’occupazione e la formazione di portatori di handicap, e nella sua risoluzione del 17 giugno 1999 relativa alle pari opportunità di lavoro per i disabili [ ( 8 )], ha affermato l’importanza di prestare un’attenzione particolare segnatamente all’assunzione e alla permanenza sul posto di lavoro del personale e alla formazione e all’apprendimento permanente dei disabili».

11.

Conformemente al suo articolo 1, detta direttiva «mira a stabilire un quadro generale per la lotta alle discriminazioni fondate sulla religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali, per quanto concerne l’occupazione e le condizioni di lavoro al fine di rendere effettivo negli Stati membri il principio della parità di trattamento».

12.

L’articolo 2 della direttiva 2000/78, intitolato «Nozione di discriminazione», enuncia al paragrafo 1 che, ai fini di tale direttiva, «per “principio della parità di trattamento” si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1». Il paragrafo 2 dello stesso articolo definisce le nozioni di «discriminazione diretta» e «discriminazione indiretta» ai sensi di detta direttiva.

13.

L’articolo 3 della medesima direttiva, intitolato «Campo d’applicazione», prevede, al paragrafo 1, lettera c), che essa si applica, «[n]ei limiti dei poteri conferiti alla Comunità, (…) a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene (…) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e la retribuzione».

14.

L’articolo 4 di tale direttiva è intitolato «Requisiti per lo svolgimento dell’attività lavorativa» e dispone al paragrafo 1 che, «[f]atto salvo l’articolo 2, paragrafi 1 e 2, gli Stati membri possono stabilire che una differenza di trattamento basata su una caratteristica correlata a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1 non costituisca discriminazione laddove, per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato».

15.

L’articolo 7 della direttiva 2000/78, intitolato «Azione positiva e misure specifiche», è così redatto:

«1.   Allo scopo di assicurare completa parità nella vita professionale, il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure specifiche dirette a evitare o compensare svantaggi correlati a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1.

2.   Quanto ai disabili, il principio della parità di trattamento non pregiudica il diritto degli Stati membri di mantenere o adottare disposizioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul posto di lavoro né alle misure intese a creare o mantenere disposizioni o strumenti al fine di salvaguardare o promuovere il loro inserimento nel mondo del lavoro».

C – Diritto bulgaro

1. Il Kodeks na truda (codice del lavoro)

16.

Ai sensi dell’articolo 328, paragrafo 1, punto 2, del Kodeks na truda (codice del lavoro) ( 9 ), «[i]l datore di lavoro può risolvere il contratto di lavoro mediante preavviso di licenziamento in forma scritta inviato al lavoratore o all’impiegato nel rispetto dei termini previsti dall’articolo 326, paragrafo 2, (…) in caso di (…) riduzione del personale».

17.

L’articolo 333, intitolato «Tutela in caso di licenziamento», di detto codice prevede al paragrafo 1, punto 3, che, «[n]elle ipotesi di cui all’articolo 328, paragrafo 1, punti 2, 3, 5 e 11 (…), il datore di lavoro può risolvere il contratto di lavoro solo con il previo consenso dell’Inspektsiata po truda [autorità per le ispezioni sul lavoro] nei seguenti casi:

(…)

3.   [nel caso di] un lavoratore o impiegato, che soffre di una malattia definita da un regolamento del Ministro per la Salute».

2. La naredba n. 5/1987 (regolamento n. 5/1987)

18.

Ai sensi dell’articolo 1 della naredba n. 5/1987 za bolestite, pri koito rabotnitsite, boleduvashti ot tyah, imat osobena zakrila saglasno chl. 333, al. 1, ot kodeksa na trud, izdadena ot Ministerstvoto na narodnoto zdrave i Tsentralniyat savet na balgarskite profesionalni sayrééduzi (regolamento n. 5/1987 sulle malattie per le quali i lavoratori che ne soffrono godono di una particolare tutela in applicazione dell’articolo 333, paragrafo 1, del codice del lavoro, adottato dal Ministero della Salute nazionale e dal Consiglio centrale dei sindacati bulgari) ( 10 ):

«In caso di scioglimento parziale, licenziamento del personale o sospensione del lavoro per più di trenta giorni, l’impresa può licenziare solo previo consenso del competente ispettorato distrettuale per la sicurezza sui luoghi di lavoro i lavoratori che soffrono di una delle seguenti malattie»: la «cardiopatia ischemica», la «forma attiva di tubercolosi», la «patologia tumorale», la «malattia professionale», la «malattia psichiatrica» e il «diabete».

3. Lo Zakon za administratsiata (legge sull’amministrazione)

19.

L’articolo 12 dello Zakon za administratsiata (legge sull’amministrazione) ( 11 ) è così formulato:

«1.   L’attività dell’amministrazione è svolta da pubblici impiegati e lavoratori subordinati.

2.   Il sistema delle assunzioni e lo statuto dei pubblici impiegati sono stabiliti per legge.

3.   Gli impiegati nell’amministrazione in forza di un contratto di lavoro sono assunti conformemente alle norme del codice del lavoro».

4. Lo Zakon za darzhavnia sluzhitel (legge sul pubblico impiego)

20.

Ai sensi dell’articolo 1 dello Zakon za darzhavnia sluzhitel (legge sul pubblico impiego) ( 12 ), detta legge disciplina «il contenuto e la cessazione del rapporto di impiego tra lo Stato e il pubblico impiegato all’atto e in occasione dello svolgimento delle funzioni, purché non sia altrimenti disposto in una legge speciale».

21.

L’articolo 106, paragrafo 1, punto 2, di detta legge stabilisce che «l’autorità avente il potere di nomina può porre fine al rapporto di impiego mediante licenziamento, previo preavviso di un mese, (…) in caso di riduzione del personale».

5. Lo Zakon za zashtita ot diskriminatsia (legge sulla tutela contro le discriminazioni)

22.

Secondo la decisione di rinvio, lo Zakon za zashtita ot diskriminatsia (legge sulla tutela contro le discriminazioni) ( 13 ) è l’atto normativo che disciplina la tutela contro tutte le forme di discriminazione e contribuisce alla loro eliminazione trasponendo le direttive comunitarie in materia di parità di trattamento.

23.

Ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 1, di detta legge, «[è] vietata qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata (…) [su]gli handicap (…), ovvero [su] ogni altra caratteristica stabilita da una legge o da un trattato internazionale, di cui sia parte la Repubblica di Bulgaria».

24.

L’articolo 21 della medesima legge prevede che, «[n]ell’esercizio del suo diritto alla risoluzione unilaterale del contratto di lavoro di cui agli articoli 328, paragrafo 1, punti da 2 a 5, 10 e 11, e 329 del codice del lavoro, oppure del rapporto di impiego ai sensi dell’articolo 106, paragrafo 1, punti 2, 3 e 5, della legge sul pubblico impiego, il datore di lavoro applica criteri uniformi, indipendentemente dalle caratteristiche personali di cui all’articolo 4, paragrafo 1».

III – Controversia principale, questioni pregiudiziali e procedimento dinanzi alla Corte

25.

La sig.ra Milkova è affetta da una patologia psichiatrica che comporta un’invalidità del 50%.

26.

Dal 10 ottobre 2012 ella lavorava in qualità di pubblico impiegato presso un’amministrazione bulgara, la Agentsia za privatizatsia i sledprivatizatsionen kontrol (Agenzia per la privatizzazione e il controllo postprivatizzazione; in prosieguo: l’«Agenzia»).

27.

Poiché il numero dei membri del personale dell’Agenzia era stato ridotto da 105 a 65 unità, con lettera di preavviso veniva comunicato alla sig.ra Milkova che il suo rapporto di impiego sarebbe cessato alla scadenza di un termine di un mese a causa della soppressione del posto da lei occupato. La cessazione del rapporto di impiego diventava effettiva il 1o marzo 2014 a seguito di un provvedimento del direttore generale dell’Agenzia fondato sull’articolo 106, paragrafo 1, punto 2, della legge sul pubblico impiego.

28.

La sig.ra Milkova impugnava detta decisione dinanzi all’Administrativen sad Sofia‑grad (Tribunale amministrativo di Sofia, Bulgaria), sostenendo che l’articolo 333, paragrafo 1, punto 3, del codice del lavoro bulgaro era applicabile alla sua situazione, cosicché si sarebbe dovuta chiedere la previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro prima di poter procedere alla cessazione del suo rapporto di impiego. Il direttore generale dell’Agenzia sosteneva a propria difesa che detta autorizzazione non era necessaria e che la decisione controversa era quindi legittima.

29.

Il giudice di primo grado respingeva il ricorso in ragione del fatto che la sig.ra Milkova, pur essendo portatrice di disabilità, non poteva beneficiare della speciale tutela di cui all’articolo 333, paragrafo 1, punto 3, del codice del lavoro, poiché detta disposizione non era applicabile alla cessazione del rapporto di lavoro di un pubblico impiegato.

30.

La sig.ra Milkova ha adito il giudice del rinvio con un ricorso per cassazione avverso tale sentenza. Ritenendo che, per risolvere la controversia principale, occorresse un’interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione, con decisione del 16 luglio 2015, pervenuta alla Corte il 24 luglio 2015, il Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa) ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:

«1)

Se l’articolo 5, [paragrafo] 2, della Convenzione [dell’ONU sulla disabilità] consenta agli Stati membri di stabilire per legge una specifica tutela preventiva contro il licenziamento solo nel caso di disabili che sono lavoratori subordinati, ma non nel caso di pubblici impiegati con le medesime disabilità.

2)

Se l’articolo 4 e le altre disposizioni della direttiva [2000/78] non ostino ad una normativa nazionale che garantisce una specifica tutela preventiva contro il licenziamento esclusivamente a disabili che siano lavoratori subordinati, ma non anche a favore di pubblici impiegati con le medesime disabilità.

3)

Se l’articolo 7 della direttiva 2000/78 consenta che una specifica tutela preventiva contro il licenziamento sia prevista solo a favore di disabili che siano lavoratori subordinati ma non anche di pubblici impiegati con le medesime disabilità.

4)

In caso di risposta negativa alla prima e alla terza questione: se, sulla scorta dei fatti e delle circostanze che caratterizzano la presente causa, il rispetto delle norme di diritto internazionale e [dell’Unione] esiga che la specifica tutela preventiva contro il licenziamento prevista dal legislatore nazionale per i disabili che siano lavoratori subordinati debba essere applicata anche ai pubblici impiegati con le medesime disabilità».

31.

Il governo bulgaro e la Commissione europea hanno depositato osservazioni scritte dinanzi alla Corte. Con lettera del 27 maggio 2016, gli interessati di cui all’articolo 23 dello Statuto della Corte di giustizia sono stati invitati a rispondere per iscritto a taluni quesiti posti dalla Corte. La sig.ra Milkova, il governo bulgaro e la Commissione hanno presentato osservazioni complementari in risposta a tali quesiti. Non si è svolta udienza.

IV – Analisi

A – Osservazioni preliminari

1. Sul tenore e la portata delle norme di diritto bulgaro pertinenti

32.

Nella motivazione della sua decisione, il giudice del rinvio sottolinea il fatto che il sistema di diritto bulgaro garantisce, per principio, la tutela delle persone con disabilità ed esclude qualsiasi discriminazione fondata sulla disabilità ( 14 ), ma, in pratica, gli unici meccanismi che funzionano concretamente riguardano solo una cerchia ristretta di persone con disabilità, e non tutte queste ultime allo stesso modo.

33.

Dall’articolo 12, paragrafi da 1 a 3, della legge sull’amministrazione risulta che le funzioni amministrative espletate dall’ente pubblico presso cui la sig.ra Milkova era occupata prima della cessazione del suo rapporto di lavoro possono essere affidate sia a pubblici impiegati sia ad agenti a contratto, aventi la qualità di lavoratori subordinati soggetti all’applicazione del codice del lavoro.

34.

È altresì pacifico che la malattia psichiatrica di cui soffre la sig.ra Milkova rientra tra le patologie elencate all’articolo 1 del regolamento n. 5/1987 sulle malattie per le quali gli impiegati che ne soffrono godono di una particolare tutela ai sensi dell’articolo 333, paragrafo 1, del codice del lavoro. Ella avrebbe quindi beneficiato di tale tutela qualora fosse stata occupata presso l’Agenzia in qualità di lavoratrice subordinata, e non di pubblica impiegata.

35.

Ai sensi di detto articolo 333, in combinato disposto con l’articolo 328, paragrafo 1, punto 2, del medesimo codice, per poter licenziare un lavoratore subordinato portatore di un certo tipo disabilità a motivo della soppressione del suo posto di lavoro, il datore di lavoro deve chiedere la previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, che è incaricato di valutare le ripercussioni del licenziamento previsto sulla stato di salute dell’interessato e, se del caso, vietarlo ( 15 ).

36.

Il Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa) precisa che la legge sul pubblico impiego non prevede un dispositivo analogo per i pubblici impiegati disabili e che neppure la giurisprudenza nazionale consente alla sig.ra Milkova di beneficiare di detta tutela preventiva. Secondo tale giurisprudenza costante, poiché la legge citata non rinvia espressamente all’articolo 333, paragrafo 1, del codice del lavoro, un pubblico impiegato non può beneficiare delle misure di tutela previste da quest’ultimo, nemmeno per analogia.

37.

Il giudice del rinvio osserva che alla tutela supplementare garantita da tale codice, a partire dal 1987, a tutte le persone con un determinato tipo di disabilità, sono stati sottratti, per effetto dell’adozione della legge sul pubblico impiego del 1999, i pubblici impiegati, senza un’espressa motivazione da parte del proponente della legge. Siffatta tutela è stata invece mantenuta per tutti i lavoratori subordinati, compresi quelli che esercitano la loro attività nell’ambito di una pubblica amministrazione, e tale situazione giuridica è perdurata dopo l’adesione della Repubblica di Bulgaria all’Unione, sopravvenuta il 1o gennaio 2007.

38.

Pertanto, il criterio fondante della differenza di trattamento controversa, tra persone portatrici della medesima disabilità, consiste nel possesso dello status di pubblico impiegato o della qualità di lavoratore subordinato, dato che tutti i titolari di un contratto di lavoro possono beneficiare della misura di tutela in questione, a prescindere dalla circostanza che siano occupati presso un ente pubblico o presso un ente privato. Sottolineo che, a tale proposito, le memorie della Commissione possono indurre in confusione laddove indicano che la differenziazione si basa sulla circostanza che le suddette persone lavorino nel settore pubblico o in quello privato ( 16 ).

39.

Il giudice del rinvio aggiunge che la legge sulla tutela contro le discriminazioni, adottata per trasporre le direttive comunitarie che disciplinano tale materia ( 17 ), fornisce un argomento a sostegno del trattamento differenziato, a seconda che il datore di lavoro sia un soggetto pubblico o privato, in caso di cessazione del rapporto di lavoro fondato sulla soppressione del posto occupato dalla persona con disabilità. A tal riguardo, detto giudice rileva che l’articolo 21 della legge citata mantiene distinte queste due ipotesi, nonostante il requisito comune secondo cui il datore di lavoro deve applicare criteri identici quando esercita il proprio diritto di risolvere unilateralmente il contratto o rapporto di lavoro con una di tali persone.

40.

Il giudice a quo afferma di ignorare in quale misura le disposizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») e della direttiva 2000/78, che, a suo parere, hanno posto condizioni comuni riguardo alla parità di trattamento di tutte le persone con disabilità, autorizzino il mantenimento in Bulgaria di siffatta situazione giuridica, dalla quale risulta un trattamento differenziato tra due categorie di lavoratori vulnerabili che, tuttavia, si trovano in un’analoga situazione di cessazione del loro rapporto di lavoro.

2. Sull’oggetto e l’ordine di trattazione delle questioni pregiudiziali

41.

Sebbene il giudice del rinvio interroghi la Corte anzitutto in merito all’eventuale incidenza sul caso di specie dell’articolo 5, paragrafo 2, della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, mi sembra più opportuno, come suggerito dalla Commissione, risolvere tale questione solo dopo aver esaminato la duplice problematica dell’applicabilità e dell’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2000/78, che costituisce l’oggetto comune della seconda e della terza questione pregiudiziale.

42.

Infatti, la prima questione pregiudiziale deve essere intesa nel senso che verte, in sostanza, sull’eventuale interpretazione della direttiva 2000/78 alla luce di detta Convenzione, ed è pertinente solo se tale direttiva risulta effettivamente applicabile, circostanza che a mio avviso non ricorre, per i motivi che esporrò nel prosieguo.

43.

Infine, rilevo che la quarta questione pregiudiziale, che è introdotta da una formula condizionale, ha carattere subordinato rispetto a quelle precedenti e non occorrerà risolverla, tenuto conto delle risposte che a mio parere occorre dare a queste ultime.

B – Sull’interpretazione richiesta delle disposizioni della direttiva 2000/78 (questioni seconda e terza)

1. Sull’inapplicabilità della direttiva 2000/78 nel caso di specie

44.

La seconda e la terza questione pregiudiziale vertono entrambe sul punto se le disposizioni della direttiva 2000/78, e più precisamente i suoi articoli 4 e 7, consentano a uno Stato membro di adottare una normativa, quale la legislazione bulgara oggetto del procedimento principale, che conferisce ai lavoratori subordinati che soffrono di determinate patologie una speciale tutela preventiva in caso di licenziamento, ma non si applica ai pubblici impiegati portatori degli stessi tipi di disabilità.

45.

È quindi opportuno esaminare tali questioni congiuntamente, verificando anzitutto se la direttiva 2000/78 possa trovare applicazione in circostanze come quelle della controversia principale.

46.

È vero che, come rilevano il governo bulgaro e la Commissione, tale direttiva si applica, ai sensi del suo articolo 3, paragrafo 1, lettera c), «[n]ei limiti dei poteri conferiti all[’Unione]», «a tutte le persone, sia del settore pubblico che del settore privato, compresi gli organismi di diritto pubblico, per quanto attiene (…) all’occupazione e alle condizioni di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento». Pertanto, il regime cui la sig.ra Milkova è stata sottoposta dall’ente pubblico presso il quale era occupata, al momento della cessazione del suo rapporto di pubblico impiego, potrebbe rientrare, entro tali limiti, nell’ambito di applicazione ratione materiae di detta direttiva. Inoltre, è pacifico che la malattia psichiatrica di cui soffre l’interessata rientra nella nozione di «handicap» ai sensi della direttiva 2000/78, quale definita dalla Corte ( 18 ).

47.

Tuttavia, sono dell’avviso, al pari della Commissione, che la direttiva 2000/78 non sia applicabile a una controversia che presenta le particolarità della situazione della sig.ra Milkova, dato che il criterio su cui si basa la differenza di trattamento lamentata da quest’ultima non ricade nell’ambito di applicazione delle disposizioni di tale direttiva.

48.

Infatti, dalla decisione di rinvio risulta che la controversia principale è caratterizzata dal fatto che l’interessata è stata privata del beneficio della normativa bulgara che tutela in particolare i lavoratori subordinati affetti da patologie quali la malattia psichiatrica, in caso di risoluzione del loro contratto di lavoro, non a motivo della sua disabilità, ma solo perché ella aveva la qualità di pubblica impiegata e non quella di lavoratrice subordinata richiesta da detta normativa ( 19 ).

49.

Il giudice del rinvio ammette che, nella fattispecie, la differenza di trattamento controversa non è fondata sulla «caratteristica personale» rappresentata dalla «disabilità» ( 20 ), ma sulla circostanza che i due gruppi di persone con disabilità qui contrapposti – lavoratori subordinati disabili, da una parte, e pubblici impiegati disabili, dall’altra – esercitano le loro attività professionali in contesti giuridici diversi – gli uni in forza di un contratto di lavoro e gli altri in base a uno status di pubblico impiegato.

50.

Tuttavia, detto giudice ritiene che una normativa e una giurisprudenza nazionali come quelle applicabili alla controversia principale potrebbero essere incompatibili con l’obiettivo del diritto dell’Unione di garantire la parità in materia di occupazione e condizioni di lavoro a tutte le persone con disabilità. Proprio per questo motivo esso chiede un’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2000/78.

51.

A tale proposito ricordo che, conformemente a una giurisprudenza costante della Corte, come risulta sia dal titolo e dal preambolo, sia dal contenuto e dalla finalità della direttiva 2000/78, quest’ultima si propone di fissare un quadro generale per garantire ad ogni individuo la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, offrendo una protezione efficace contro le discriminazioni fondate su uno dei motivi di cui all’articolo 1 ( 21 ), fra i quali sono menzionati gli handicap. Così, l’articolo 2 di tale direttiva prevede espressamente che l’asserita discriminazione, per rientrare nell’ambito di applicazione di tale strumento, deve essere «basata su uno dei motivi di cui all’articolo 1».

52.

Orbene, fra tali motivi di discriminazione che costituiscono l’oggetto specifico della direttiva 2000/78 non rientra la natura particolare del rapporto di lavoro, criterio in base al quale la ricorrente nel procedimento principale ha ricevuto un trattamento differenziato che ne ha comportato l’esclusione dalla tutela prevista dall’articolo 333, paragrafo 1, del codice del lavoro bulgaro a favore dei lavoratori subordinati con disabilità, di cui la giurisprudenza nazionale nega l’applicabilità per analogia ai pubblici impiegati.

53.

Inoltre, dalla giurisprudenza della Corte risulta che, tenuto conto della formulazione dell’articolo 13 CE (divenuto articolo 19 TFUE), da cui discende la direttiva 2000/78 ( 22 ), il campo di applicazione di quest’ultima non può essere ampliato per analogia, neppure mediante richiamo al principio generale di non discriminazione ( 23 ), al di là delle discriminazioni fondate sui motivi elencati tassativamente all’articolo 1 della stessa ( 24 ).

54.

Così, un criterio di differenziazione nuovo, quale, nella fattispecie, il tipo di rapporto di lavoro di una persona con disabilità, non può aggiungersi ai motivi tassativi con riferimento ai quali detta direttiva vieta qualsiasi discriminazione. Ne consegue che l’eventuale differenza di trattamento tra il personale di ruolo di un ente pubblico e gli agenti contrattuali del settore pubblico o del settore privato, come quella di cui, secondo l’ordinanza di rinvio, è stata oggetto la sig.ra Milkova, non rientrano nell’ambito di applicazione del principio di non discriminazione come concretizzato nella direttiva 2000/78. In tal senso, ricordo che la Corte ha già escluso dall’ambito di applicazione di tale direttiva le differenze di trattamento fondate sulla categoria socio‑professionale cui appartengono le persone interessate ( 25 ).

55.

Preciso che, a mio parere, il solo fatto che l’interessata sia una persona con disabilità non è sufficiente a rendere applicabile la direttiva 2000/78 nel presente procedimento. A tale proposito, rilevo che la Corte ha dichiarato che «il principio della parità di trattamento sancito da detta direttiva [nell]’ambito [dell’occupazione e delle condizioni di lavoro] si applica non in relazione ad una determinata categoria di persone[, quali le persone con disabilità], bensì sulla scorta dei motivi indicati [all’articolo] 1 [di tale strumento]» ( 26 ).

56.

Anche se è stato ammesso che la portata della direttiva 2000/78 non deve essere interpretata, per quanto riguarda i suddetti motivi, in maniera restrittiva, ciò non toglie, a mio avviso, che le sue disposizioni disciplinano solo le violazioni del principio di non discriminazione come concretizzato da detta direttiva, che sono effettivamente fondate, se non altro per associazione ( 27 ), su uno dei possibili fattori di discriminazione di cui tale atto contiene l’elenco tassativo. Ciò non si verifica tuttavia nella controversia principale, dato che, come ha constatato lo stesso giudice del rinvio, la sig.ra Milkova ha ricevuto un trattamento diverso non in ragione della sua disabilità, l’unico di tali motivi elencati ipotizzabile nel caso di specie, bensì per il suo status di pubblica impiegata.

57.

Aggiungo che i lavori legislativi avviati nel 2008 per modificare l’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 2000/78 non rimettono in discussione tale analisi ( 28 ). Infatti, è stato previsto di estendere «al di fuori del mercato del lavoro» ( 29 ) l’attuazione del principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale, ma non di ampliare l’elenco dei motivi di discriminazione previsti tassativamente da tale direttiva, con la precisazione che si è proceduto allo stesso modo per le altre due direttive concernenti la non discriminazione, sulla cui scia si pone anche il menzionato progetto di modifica ( 30 ).

58.

In conclusione, dal momento che la differenza di trattamento oggetto del procedimento principale, tra lavoratori subordinati disabili e pubblici impiegati disabili, si basa sulla natura dei rapporti di lavoro che legano queste due categorie di lavoratori vulnerabili al loro datore di lavoro, e poiché tale criterio di distinzione non figura nell’elenco tassativo dei motivi di discriminazione contenuto nell’articolo 1 della direttiva 2000/78, detto strumento non è applicabile, a mio avviso, in una situazione come quella che ha dato luogo alla controversia di cui è investito il giudice del rinvio.

59.

Pertanto, ritengo che non occorra procedere all’interpretazione delle disposizioni della direttiva 2000/78 citate nella seconda e nella terza questione pregiudiziale. Le osservazioni che seguono saranno quindi presentate solo per il caso in cui la Corte decidesse di procedere all’interpretazione richiesta.

2. Sull’eventuale incidenza della Carta nel presente procedimento

60.

Il giudice del rinvio menziona brevemente la Carta nella motivazione della sua decisione, senza però precisare quale rilevanza potrebbe assumere tale strumento di diritto dell’Unione in relazione agli elementi della controversia principale. Esso non espone alcun argomento circa l’incidenza che potrebbero avere nella fattispecie l’una o l’altra delle disposizioni di tale atto, che peraltro non forma oggetto delle questioni pregiudiziali. Neppure le osservazioni scritte presentate alla Corte le menzionano ( 31 ).

61.

Orbene, secondo costante giurisprudenza, i diritti fondamentali garantiti dalla Carta sono destinati ad essere applicati solo nelle situazioni disciplinate dal diritto dell’Unione e la Corte deve disporre di tutte le informazioni che le consentano di concludere che la situazione controversa rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione per potersi pronunciare sull’interpretazione delle disposizioni della Carta ( 32 ). Poiché il giudice del rinvio non ha affermato che le norme nazionali atte a disciplinare il merito della controversia principale ( 33 ) hanno lo scopo di attuare direttamente e specificamente determinate disposizioni di diritto dell’Unione, conformemente all’articolo 51 della Carta ( 34 ), la Corte, a mio avviso, dovrebbe ritenere che non occorra esaminare la conformità delle suddette norme con i diritti fondamentali sanciti da tale atto ( 35 ).

62.

Inoltre, l’eventuale interpretazione di disposizioni del diritto dell’Unione – nella fattispecie, degli articoli della direttiva 2000/78 citati nella seconda e nella terza questione pregiudiziale – alla luce delle disposizioni della Carta – e più in particolare dei suoi articoli 20, 21, 26 o 30 ( 36 ) – è possibile solo nei limiti delle competenze attribuite alla Corte, che dipendono nella fattispecie dall’ambito di applicazione ratione materiae di tale direttiva. Infatti, le disposizioni della Carta eventualmente invocate non possono giustificare, di per sé stesse, la competenza della Corte a conoscere di una situazione giuridica che non rientra nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione ( 37 ).

63.

Rilevo che la decisione di rinvio evoca implicitamente un principio che vieta qualsiasi tipo di discriminazione nei confronti delle persone con disabilità. A tale proposito, ricordo che, quando è stata sottoposta alla Corte una questione pregiudiziale avente ad oggetto l’interpretazione del principio generale di non discriminazione in ragione dell’età, sancito dall’articolo 21 della Carta e concretizzato dalla direttiva 2000/78 ( 38 ), tale questione è stata esaminata esclusivamente alla luce di detta direttiva ( 39 ), in particolare nel contesto di controversie tra un singolo e un’amministrazione nazionale, come nel caso di specie. Lo stesso approccio dovrebbe logicamente essere adottato per quanto riguarda il principio di non discriminazione in ragione della disabilità, parimenti sancito dall’articolo 21 della Carta e concretizzato dalla direttiva 2000/78.

64.

Poiché quest’ultima, a mio avviso, non è applicabile in circostanze come quelle della causa principale, in cui la differenziazione controversa si fonda su un criterio diverso da quelli elencati tassativamente al suo articolo 1, come precedentemente rilevato ( 40 ), sono dell’avviso che, nel presente procedimento, le disposizioni di detta direttiva non possano essere interpretate alla luce delle disposizioni della Carta.

65.

Per tutto quanto sopra esposto, ritengo, in via principale, che nel presente procedimento non occorra interpretare gli articoli 4 e 7 della direttiva 2000/78, neppure alla luce delle disposizioni della Carta. Tuttavia, presenterò alcune osservazioni in via subordinata, per il caso in cui la Corte non accogliesse tale suggerimento.

3. Sull’interpretazione in subordine delle disposizioni della direttiva 2000/78 di cui trattasi

66.

In limine, rilevo che il governo bulgaro, nelle sue osservazioni, ha dedicato una lunga argomentazione all’articolo 2, paragrafo 5, della direttiva 2000/78 ( 41 ) per sostenere che una normativa come quella oggetto del procedimento principale risulta ammissibile alla luce di detta disposizione ( 42 ). Tuttavia, poiché il giudice del rinvio non ha specificamente chiesto l’interpretazione di quest’ultima ( 43 ), né nelle questioni pregiudiziali sottoposte alla Corte né nella motivazione della sua decisione di rinvio, e non ha fornito alcun elemento a tale riguardo, nemmeno implicitamente ( 44 ), non ritengo necessario pronunciarmi, unicamente in subordine, su questo punto. Mi limiterò a rilevare che, come ammesso dal governo bulgaro, il menzionato articolo 2, paragrafo 5, è stato interpretato restrittivamente nella giurisprudenza della Corte, in quanto tale disposizione istituisce una deroga al divieto di discriminazioni ( 45 ).

67.

Per quanto attiene all’articolo 4 della direttiva 2000/78, espressamente citato nella seconda questione pregiudiziale, osservo che il giudice del rinvio non ha fornito alcuna spiegazione circa l’utilità, per risolvere la controversia di cui è investito, dell’interpretazione di tale disposizione da parte della Corte ( 46 ). Solo il governo bulgaro ha presentato osservazioni in merito al paragrafo 1 di detto articolo, nelle quali rammenta che la Corte ha dichiarato che tale disposizione deve essere interpretata restrittivamente, in quanto consente di derogare al principio di non discriminazione ( 47 ), e afferma che detto paragrafo autorizza la normativa nazionale in parola ( 48 ).

68.

Per quanto mi riguarda, alla luce dei dati della controversia principale, non vedo come si possa ipotizzare nel caso di specie l’eventuale applicazione dell’articolo 4 della direttiva 2000/78, né, pertanto, quale utilità avrebbe la sua interpretazione nel merito. Infatti, detta disposizione stabilisce che una differenza di trattamento può non costituire una discriminazione «laddove, per la natura di un’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene espletata, tale caratteristica costituisca un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa, purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato» ( 49 ). Orbene, la normativa bulgara di cui trattasi introduce una differenza di trattamento in quanto conferisce una particolare tutela ai lavoratori subordinati, e non ai pubblici impiegati, ma presenta la particolarità di essere applicabile anche ai lavoratori subordinati del settore pubblico, i quali possono quindi svolgere le medesime attività lavorative dei pubblici impiegati. Pertanto, il fattore di differenziazione di cui qui si dibatte non riguarda una «caratteristica» che sia «legata a uno dei motivi di cui all’[articolo] 1 della direttiva 2000/78» e costituisca «un requisito “essenziale e determinante”», conformemente alle condizioni di applicazione di detto articolo 4 definite dalla giurisprudenza della Corte ( 50 ).

69.

In ogni caso, mi sembra che il tenore di tale articolo 4, quale interpretato nelle precedenti sentenze della Corte, non consenta affatto di ritenere che siffatta normativa nazionale sia incompatibile con le esigenze del diritto dell’Unione.

70.

Per quanto riguarda l’articolo 7 della direttiva 2000/78, oggetto della terza questione pregiudiziale, il giudice del rinvio indica che «[n]on è (…) chiaro in che misura le norme adottate dalla Repubblica di Bulgaria, che costituiscono misure specifiche per la tutela di disabili, ma applicabili ai soli lavoratori subordinati, nel caso in cui si applicassero anche al settore pubblico, possano rappresentare un’azione positiva legittima ai sensi [del menzionato] articolo 7».

71.

A tale proposito, rilevo che il paragrafo 1 del suddetto articolo 7 enuncia che «il principio della parità di trattamento non osta a che uno Stato membro mantenga o adotti misure specifiche dirette a evitare o compensare svantaggi correlati a uno qualunque dei motivi di cui all’articolo 1», e ciò allo scopo di «assicurare completa parità nella vita professionale» ( 51 ). Il paragrafo 2 del medesimo articolo 7 conferma tale possibilità di adottare misure d’azione positive più in particolare a favore dei disabili ( 52 ), quando siffatte misure siano intese a tutelarne la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro o a promuoverne l’inserimento nel mondo del lavoro ( 53 ).

72.

Tali disposizioni, che preservano la sovranità degli Stati membri ( 54 ), riconoscono loro la facoltà, e non l’obbligo, di correggere positivamente le disparità di fatto esistenti. Infatti, come è stato rilevato nel contesto dei lavori preparatori della direttiva 2000/78 ( 55 ), «[l]a parità di trattamento può non bastare di per sé se non porta a una reale uguaglianza» ( 56 ) e «può anche implicare il riconoscimento di diritti speciali per gruppi specifici di persone» ( 57 ).

73.

Al pari del governo bulgaro e della Commissione, ritengo che, supponendo che una normativa come quella oggetto del procedimento principale sia considerata dalla Corte come rientrante nell’ambito di applicazione dell’articolo 7 della direttiva 2000/78, e in particolare del suo paragrafo 2, come sostiene detto governo ( 58 ), nulla indica in tali disposizioni che uno Stato membro non possa limitare a un gruppo specifico di persone, nella fattispecie quello dei lavoratori subordinati, il beneficio delle misure da esso adottate a fini di tutela della loro salute ( 59 ).

74.

Ritengo pertanto, in subordine, che, qualora la Corte decidesse di procedere all’interpretazione degli articoli 4 e 7 della direttiva 2000/78, tali disposizioni dovrebbero essere interpretate nel senso che non ostano ad una siffatta normativa.

C – Sull’incidenza limitata delle disposizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità (prima questione)

1. Sul testo della prima questione pregiudiziale

75.

A prima vista, la prima questione pregiudiziale, con cui si chiede se «l’articolo 5, [paragrafo] 2, della Convenzione [dell’ONU sulla disabilità] consenta [una] legge [nazionale come quella oggetto del procedimento principale], sembra consistere in una domanda diretta a che la Corte interpreti una disposizione che non rientra né nell’ambito del diritto primario né in quello del diritto derivato dell’Unione. Orbene, tale operazione esula dalla competenza conferita alla Corte dall’articolo 267, primo comma, TFUE.

76.

Tuttavia, dalla motivazione della decisione di rinvio risulta che detta questione è giustificata dalla necessità di interpretare la direttiva 2000/78 conformemente alla Convenzione dell’ONU sulla disabilità, alla luce della giurisprudenza della Corte ( 60 ). Secondo il giudice del rinvio, tale Convenzione, e più in particolare il suo articolo 5, paragrafo 2 ( 61 ), richiederebbe «una tutela legale equa ed efficace contro ogni discriminazione delle persone con disabilità, a prescindere dal tipo di handicap, e tuttavia non solo sulla base di determinate caratteristiche personali meritevoli di tutela stabilite nel diritto derivato dell’Unione» ( 62 ).

77.

La prima questione va quindi intesa nel senso che è diretta a stabilire, in sostanza, se un’interpretazione della direttiva 2000/78 alla luce di detta Convenzione consenta di affermare che il diritto dell’Unione osta a una normativa come quella oggetto del procedimento principale, nella parte in cui determina una disparità di trattamento tra un lavoratore subordinato e un pubblico impiegato portatori del medesimo tipo di disabilità, sebbene il criterio di distinzione applicato in detta normativa non sia la disabilità, bensì la diversa natura del rapporto che vincola queste due categorie di persone con disabilità al loro datore di lavoro, e ancorché tale criterio non figuri nell’elenco tassativo dei motivi di discriminazione vietati contenuto nell’articolo 1 della direttiva in parola.

78.

Preciso subito che tale esigenza di riformulazione ( 63 ) vale del pari per una parte della quarta questione pregiudiziale, laddove quest’ultima menziona «il rispetto delle norme di diritto internazionale», espressione con cui il giudice del rinvio sembra evocare – pur non avendo esplicitato la sua domanda al riguardo – più in particolare la Convenzione dell’ONU sulla disabilità e l’incidenza che l’obbligo di conformarsi a tale normativa avrebbe sui mezzi da adottare per porre rimedio all’eventuale esistenza di una discriminazione in circostanze come quelle della controversia principale ( 64 ).

2. Sulla portata limitata degli effetti della Convenzione dell’ONU sulla disabilità rispetto al diritto dell’Unione

79.

Nella sua risposta scritta ai quesiti posti dalla Corte, il governo bulgaro ha sostenuto che dall’articolo 5, paragrafi 2 e 4, in combinato disposto con l’articolo 27, paragrafo 1, lettere g) e h) ( 65 ), e con l’articolo 4, paragrafo 1, lettere d) ed e) ( 66 ), della Convenzione dell’ONU sulla disabilità risulta che quest’ultima distingue tra gli obblighi che incombono agli Stati in relazione ai diritti dei disabili nel settore pubblico e i loro obblighi in relazione ai diritti di questa stessa categoria di persone nel settore privato, e che pertanto sarebbe legittimo applicare un tale criterio di distinzione nelle norme giuridiche nazionali ( 67 ). Secondo detto governo, date le particolarità del rapporto di lavoro dei pubblici impiegati ( 68 ), la normativa bulgara non determinerebbe una lacuna giuridica tale da richiedere l’applicazione per analogia di tale misura di tutela a loro vantaggio nell’ipotesi prevista dall’articolo 106, paragrafo 1, punto 2, della legge sul pubblico impiego.

80.

Nelle sue osservazioni scritte, la Commissione ha sostenuto che, dal momento che le disposizioni della normativa nazionale in causa non rientrano nell’ambito di applicazione della direttiva 2000/78, e in mancanza di altre norme applicabili adottate dall’Unione, spetta allo Stato membro interessato, vale a dire la Repubblica di Bulgaria, garantire il rispetto delle prescrizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, che sono opponibili nei suoi confronti in quanto parte contraente di detta Convenzione.

81.

A tale proposito, ricordo, al pari del governo bulgaro e della Commissione, che la Corte ha già ripetutamente dichiarato che, poiché l’Unione europea ha approvato la Convenzione dell’ONU sulla disabilità, le disposizioni di quest’ultima formano parte integrante dell’ordinamento giuridico dell’Unione ( 69 ), a partire dalla data di entrata in vigore di detta Convenzione ( 70 ).

82.

Contrariamente a quanto indicato dalla sig.ra Milkova nella sua risposta scritta ai quesiti posti dalla Corte ( 71 ), risulta da una giurisprudenza costante che gli obblighi imposti dalla menzionata Convenzione riguardano le parti contraenti e che, siccome le disposizioni della stessa sono subordinate, quanto ad esecuzione o a effetti, all’intervento di atti ulteriori che competono alle parti contraenti ( 72 ), tali disposizioni non sono, dal punto di vista del contenuto, incondizionate e sufficientemente precise, dal che discende che esse sono prive di effetto diretto nel diritto dell’Unione ( 73 ).

83.

Tuttavia, la Corte ha rilevato che l’appendice dell’allegato II della decisione 2010/48 menziona espressamente la direttiva 2000/78 tra gli «atti [dell’Unione] relativi alle materie disciplinate dalla Convenzione [dell’ONU sulla disabilità]», più in particolare per quanto riguarda la «[v]ita indipendente e [l’]inclusione nella società, [il] lavoro e [l’]occupazione». Come rileva il governo bulgaro nelle sue osservazioni scritte, la Corte ne ha dedotto che detta Convenzione può essere invocata al fine di interpretare la direttiva 2000/78, la quale deve essere oggetto, per quanto possibile, di un’interpretazione conforme a tale Convenzione, in ragione del primato degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sulle norme di diritto derivato ( 74 ).

84.

Così, in seguito alla ratifica da parte dell’Unione della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, la Corte ha adeguato la sua definizione di «handicap» ai sensi della direttiva 2000/78, riprendendo la terminologia utilizzata all’articolo 1, secondo comma, di detta Convenzione ( 75 ), e ha definito la nozione di «soluzioni ragionevoli» ai sensi dell’articolo 5 di tale direttiva ( 76 ), tenendo conto del testo dell’articolo 2, quarto comma, della medesima Convenzione ( 77 ).

85.

Tuttavia, ritengo che nel presente procedimento non occorra interpretare la direttiva 2000/78 alla luce della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, dato che, a mio avviso, la controversia principale non rientra nell’ambito di applicazione di tale direttiva, per i motivi sopra esposti ( 78 ). Le osservazioni che seguono saranno quindi formulate unicamente in via subordinata, per scrupolo di completezza.

3. Sull’interpretazione in subordine della direttiva 2000/78 alla luce della Convenzione dell’ONU sulla disabilità

86.

Con la prima questione, il giudice del rinvio invita la Corte, in sostanza, a stabilire se l’ambito di applicazione ratione materiae della direttiva 2000/78 possa essere inteso in senso ampio alla luce della formulazione dell’articolo 5, paragrafo 2, della Convenzione dell’ONU sulla disabilità ( 79 ).

87.

Nella sua risposta scritta ai quesiti posti dalla Corte, la Commissione ha indicato che il paragrafo 2 di detto articolo 5 è diretto ad esplicitare, per quanto riguarda la disabilità, i principi di uguaglianza e di non discriminazione enunciati al paragrafo 1 del medesimo articolo. Essa ha affermato che tale disposizione non conferisce una tutela più ampia rispetto a quella già offerta dagli articoli 2 e 5 della direttiva 2000/78 ( 80 ). Inoltre, ha sostenuto che il principio della «uguale ed effettiva protezione giuridica [delle persone con disabilità] contro ogni discriminazione» formulato nel suddetto paragrafo 2 si applica solo quando la discriminazione è fondata sulla disabilità, ipotesi che a suo parere non ricorrerebbe nel caso di specie.

88.

Da parte mia, rilevo che tanto dall’articolo 2 ( 81 ) quanto dall’articolo 4 ( 82 ) della Convenzione dell’ONU sulla disabilità risulta che la stessa vieta specificamente le discriminazioni di qualsiasi tipo sulla base della disabilità ( 83 ). Lo stesso vale, in particolare ( 84 ), per l’articolo 27 di tale Convenzione, il cui paragrafo 1, lettera a), vieta «la discriminazione fondata sulla disabilità per tutto ciò che concerne il lavoro», segnatamente per quanto riguarda la «continuità dell’impiego», il che include l’eventuale tutela in caso di cessazione del rapporto di lavoro. Orbene, la differenza di trattamento determinata dalle disposizioni di diritto bulgaro oggetto della controversia principale si basa sulla natura del rapporto di lavoro, e non sulla disabilità della sig.ra Milkova.

89.

Inoltre, ritengo che la Convenzione dell’ONU sulla disabilità miri a garantire un trattamento paritario non fra tutte le categorie di persone disabili, bensì tra le persone disabili e quelle che non lo sono. Infatti, da numerose disposizioni di detta Convenzione risulta che essa mira a favorire l’uguaglianza delle persone con disabilità«con gli altri» ( 85 ). Tale elemento di confronto esterno ( 86 ) compare all’articolo 1, paragrafo 2, che definisce l’oggetto di detta Convenzione e in particolare indica che cosa debba intendersi per «persone con disabilità», evocando espressamente «l’uguaglianza con [le] altr[e] [persone]» ( 87 ). Una variante è declinata all’articolo 7, che menziona l’«uguaglianza con gli altri minori» ( 88 ). Del pari, l’articolo 2 fornisce una definizione della «discriminazione fondata sulla disabilità» riferendosi all’esercizio da parte delle persone con disabilità dei diritti e delle libertà ivi indicati «su base di uguaglianza con gli altri» ( 89 ). Quest’ultima espressione è ripresa in una lunga serie di articoli di detta Convenzione concernenti i diritti delle persone con disabilità che la Convenzione stessa è intesa a promuovere e tutelare garantendone il pieno ed uguale godimento ( 90 ), più specificamente, nella fattispecie, all’articolo 27 relativo al lavoro e all’occupazione ( 91 ).

90.

Una formula analoga è stata adottata dalla Corte nelle sentenze relative a nozioni contenute nella direttiva 2000/78 che sono state oggetto di un’interpretazione conforme alle disposizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità, quali la nozione di «handicap» o quella di «soluzioni ragionevoli». A tal riguardo, la Corte ha ripetutamente fatto riferimento a ciò che può «ostacolare la piena ed effettiva partecipazione [di una persona con disabilità] alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori» ( 92 ), e non all’uguaglianza tra categorie diverse di persone con disabilità. Mi sembra che l’Unione abbia ratificato detta Convenzione in questa stessa ottica ( 93 ).

91.

Ritengo pertanto che le disposizioni della Convenzione dell’ONU sulla disabilità non siano intese ad includere una situazione come quella di cui alla controversia principale e che, in ogni caso, un’interpretazione della direttiva 2000/78 conforme a tali disposizioni non possa indurre a rimettere in discussione il carattere tassativo dei motivi di discriminazione enunciati all’articolo 1 di detta direttiva ( 94 ), in modo da aggiungervi il motivo concernente la diversa natura dei rapporti di lavoro di due categorie di persone con disabilità.

92.

Pertanto, qualora la Corte ritenesse necessario, nel caso di specie, interpretare la direttiva 2000/78 conformemente alla Convenzione dell’ONU sulla disabilità, dalle considerazioni sopra svolte discenderebbe, a mio parere, che la nozione di «discriminazione fondata sull’handicap» ai sensi di tale direttiva deve essere definita nel senso che si riferisce all’ipotesi in cui talune persone disabili siano oggetto di un trattamento meno favorevole o subiscano un determinato svantaggio rispetto agli «altri», vale a dire alle persone che non presentano tale caratteristica ma si trovano per il resto in una situazione equiparabile a quella delle prime. Analogamente, sempre ai fini dell’applicazione della suddetta direttiva, «il principio della parità di trattamento» dovrebbe essere inteso, per quanto riguarda le persone disabili, nel senso che mira a garantire la parità di tale gruppo di persone rispetto a quelle che non presentano tale disabilità duratura.

93.

Rilevo infine, per quanto attiene più in particolare al caso di specie, che non risulta da alcuna disposizione della Convenzione citata che gli Stati contraenti siano tenuti a mantenere per quanto possibile una persona con disabilità nel suo posto di lavoro quando il medesimo sia stato soppresso, così che la sig.ra Milkova potrebbe beneficiare del trattamento più favorevole da lei richiesto.

94.

Anche supponendo che l’articolo 5, paragrafo 2, della Convenzione dell’ONU sulla disabilità riguardi situazioni non coperte dalla direttiva 2000/78, come sembra ipotizzare il giudice del rinvio, ciò a mio avviso sarebbe irrilevante, dato che le disposizioni di tale Convenzione non sono direttamente applicabili nel diritto dell’Unione ( 95 ) e pertanto possono avere un’incidenza, riguardo a detta direttiva, solo a titolo di interpretazione conforme delle disposizioni di quest’ultima, che definiscono esse stesse il suo ambito di applicazione.

95.

In conclusione, ritengo, in via principale, che nel caso di specie non occorra interpretare la direttiva 2000/78 alla luce della Convenzione dell’ONU sulla disabilità e, in via subordinata, che, qualora la Corte non condividesse il mio parere, essa dovrebbe procedere a tale interpretazione tenendo presente che la menzionata Convenzione ha lo scopo di garantire la parità di trattamento non tra le diverse categorie di persone disabili, ma fra tutte queste ultime e le persone che non presentano disabilità.

D – Sull’eventuale estensione dell’ambito di applicazione ratione personae delle norme nazionali a tutela dei lavoratori disabili (quarta questione)

96.

La quarta questione pregiudiziale viene sollevata in subordine, poiché riguarda l’ipotesi in cui la Corte fornisca una «risposta negativa alla prima e alla terza questione».

97.

In sostanza, il giudice del rinvio si interroga sulla questione se l’obbligo di rispettare sia le suddette norme di diritto internazionale sia quelle del diritto dell’Unione – che incombe alle autorità della Repubblica di Bulgaria – implichi che, in una situazione come quella della controversia principale, occorra estendere l’ambito di applicazione delle norme nazionali che tutelano i lavoratori disabili, siano essi occupati nel settore privato o nel settore pubblico, in caso di licenziamento ( 96 ), cosicché possano beneficiare di tali norme di tutela anche i pubblici impiegati portatori del medesimo tipo di disabilità, al fine di conformarsi al principio della parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro. La sig.ra Milkova si è espressa in questo senso ( 97 ).

98.

Dalla decisione di rinvio risulta che tale interrogativo trae origine dal fatto che la normativa bulgara in questione viene applicata restrittivamente dai giudici nazionali ( 98 ) e che siffatto approccio rigoroso potrebbe risultare non conforme alle disposizioni del diritto dell’Unione, come interpretate in particolare alla luce della Convenzione dell’ONU sulla disabilità ( 99 ), le quali richiederebbero una tutela equa ed effettiva attraverso la lotta alle discriminazioni nei confronti di qualsiasi persona con disabilità.

99.

Al pari del governo bulgaro e della Commissione, ritengo che, tenuto conto delle risposte limitative che suggerisco di dare alle precedenti questioni pregiudiziali e considerato il carattere condizionato della quarta questione, non occorra rispondere a quest’ultima né, quindi, dedicarle specifiche osservazioni.

100.

In ulteriore subordine, e ad ogni buon conto, per quanto riguarda il ruolo spettante ai giudici nazionali per garantire il pieno rispetto da parte di uno Stato membro degli obblighi imposti dal diritto dell’Unione, problematica che mi sembra implicita nella quarta questione pregiudiziale, rinvierei semplicemente alla giurisprudenza della Corte relativa a tale questione, e più in particolare alle sentenze in materia di discriminazioni introdotte da norme di diritto nazionale nel settore del diritto del lavoro ( 100 ).

V – Conclusione

101.

Alla luce delle suesposte considerazioni, propongo alla Corte di rispondere nei termini seguenti alle questioni pregiudiziali sollevate dal Varhoven administrativen sad (Corte suprema amministrativa, Bulgaria):

La direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, deve essere interpretata nel senso che non è applicabile a una situazione in cui la differenza di trattamento, introdotta dalla normativa nazionale in questione, tra lavoratori subordinati e pubblici impiegati portatori degli stessi tipi di disabilità non si basa sul criterio della disabilità, ma su quello della natura del rapporto di lavoro che lega queste due categorie di persone con disabilità ai rispettivi datori di lavoro.


( 1 ) Lingua originale: il francese.

( 2 ) Direttiva del Consiglio del 27 novembre 2000 (GU 2000, L 303, pag. 16).

( 3 ) Convenzione adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008.

( 4 ) Preciso che la normativa bulgara in questione menziona una serie di «malattie» che danno diritto a tale tutela, e non soltanto la «disabilità», ma la problematica sollevata nella presente causa viene esaminata dal giudice del rinvio più specificamente sotto il profilo di quest’ultima nozione, poiché la controversia che gli è stata sottoposta verte su una persona disabile.

( 5 ) Decisione del 26 novembre 2009 relativa alla conclusione, da parte della Comunità europea, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità (GU 2010, L 23, pag. 35). Conformemente a detta Convenzione, l’Unione intrattiene un dialogo periodico con il comitato delle Nazioni Unite incaricato di tale materia (v. Commissione, «Relazione 2015 sull’applicazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea», COM(2016) 265 final, pag. 8, nota 30).

( 6 ) Legge adottata il 26 gennaio 2012 e pubblicata nel DV n. 12, del 10 febbraio 2012.

( 7 ) GU 1986, L 225, pag. 43.

( 8 ) GU 1999, C 186, pag. 3.

( 9 ) Pubblicato nel DV n. 26, del 1o aprile 1986, e nel DV n. 27, del 4 aprile 1986, entrato in vigore il 1o gennaio 1987.

( 10 ) Regolamento adottato il 20 febbraio 1987, pubblicato nel DV n. 33, del 28 aprile 1987.

( 11 ) Pubblicata nel DV n. 130, del 5 novembre 1998, entrata in vigore il 6 dicembre 1998.

( 12 ) Pubblicata nel DV n. 67, del 27 luglio 1999, entrata in vigore il 27 agosto 1999.

( 13 ) Pubblicata nel DV n. 86, del 30 settembre 2003, entrata in vigore il 1o gennaio 2004.

( 14 ) Conformemente agli articoli 6 e 48 della Costituzione bulgara e all’articolo 4 della legge sulla tutela contro le discriminazioni.

( 15 ) Nelle sue osservazioni scritte, il governo bulgaro aggiunge che l’Ispettorato del lavoro presenta il vantaggio di essere un terzo indipendente dalle parti del contratto di lavoro e che esso valuta l’opportunità di autorizzare o meno il licenziamento tenendo conto non solo dell’impatto sullo stato di salute del lavoratore, ma anche di altri fattori, quali l’esistenza di un altro impiego adatto presso il medesimo datore di lavoro.

( 16 ) Tale inesattezza è stata rilevata anche dalla sig.ra Milkova nella sua risposta ai quesiti posti dalla Corte.

( 17 ) Rilevo che l’articolo 4, paragrafo 1, di detta legge non contiene un elenco tassativo dei motivi di discriminazione vietati, dato che menziona «ogni (…) caratteristica personale stabilita da una legge o da un trattato internazionale, di cui sia parte la Repubblica di Bulgaria».

( 18 ) Vale a dire «una limitazione risultante segnatamente da menomazioni fisiche, mentali o psichiche durature, la quale, in interazione con barriere di diversa natura, può ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori». V., in particolare, sentenze del 4 luglio 2013, Commissione/Italia (C‑312/11, non pubblicata, EU:C:2013:446, punto 56), e del 18 dicembre 2014, FOA (C‑354/13, EU:C:2014:2463, punto 53 e giurisprudenza citata).

( 19 ) V. paragrafi da 35 a 38 delle presenti conclusioni.

( 20 ) Il termine «caratteristica personale» è utilizzato negli articoli 4 e 21 della legge bulgara sulla tutela contro le discriminazioni. Nel considerando 23 e nell’articolo 4 della direttiva 2000/78 ricorre il termine «caratteristica», segnatamente in riferimento alla disabilità.

( 21 ) V. sentenze dell’11 aprile 2013, HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punto 35); del 18 dicembre 2014, FOA (C‑354/13, EU:C:2014:2463, punto 50); del 21 maggio 2015, SCMD (C‑262/14, non pubblicata, EU:C:2015:336, punto 18), e del 28 luglio 2016, Kratzer (C‑423/15, EU:C:2016:604, punto 32 e giurisprudenza citata).

( 22 ) L’articolo 13 CE (divenuto articolo 19 TFUE), che costituisce la base giuridica di detta direttiva, ha conferito alla Comunità la competenza a «prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l’origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l’età o le tendenze sessuali» e tale elenco è quindi tassativo. V., in particolare, sentenze del 17 luglio 2008, Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punti 3846), e del 7 luglio 2011, Agafiţei e a. (C‑310/10, EU:C:2011:467, punto 35).

( 23 ) Fermo restando che il principio di non discriminazione costituisce uno dei principi generali del diritto dell’Unione. V. sentenze dell’11 luglio 2006, Chacón Navas (C‑13/05, EU:C:2006:456, punto 56), e del 18 dicembre 2014, FOA (C‑354/13, EU:C:2014:2463, punto 32).

( 24 ) V., in particolare, sentenze del 17 luglio 2008, Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punto 46); del 18 dicembre 2014, FOA (C‑354/13, EU:C:2014:2463, punto 36), e del 21 maggio 2015, SCMD (C‑262/14, non pubblicata, EU:C:2015:336, punti 2829).

( 25 ) V. sentenze del 7 luglio 2011, Agafiţei e a. (C‑310/10, EU:C:2011:467, punti da 31 a 36), e del 21 maggio 2015, SCMD (C‑262/14, non pubblicata, EU:C:2015:336, punti da 25 a 31), nelle quali la Corte ha dichiarato che la direttiva 2000/78 non riguarda le discriminazioni fondate sulla categoria socio‑professionale, quale lo status di pensionato, o sul luogo di lavoro degli interessati. V., per analogia, ordinanza del 7 marzo 2013, Rivas Montes (C‑178/12, non pubblicata, EU:C:2013:150, punti 4344), da cui risulta che le differenze di trattamento tra il personale di ruolo e gli agenti contrattuali esulano dal principio di non discriminazione sancito dall’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE, concernente detto accordo quadro (GU 1999, L 175, pag. 43).

( 26 ) V. sentenza del 17 luglio 2008, Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punti 38 e segg.), in cui la Corte ha rilevato che dalle disposizioni della direttiva 2000/78 non risulta che il principio della parità di trattamento che essa mira a garantire sia limitato alle persone esse stesse disabili ai sensi di tale direttiva.

( 27 ) Nella sentenza del 17 luglio 2008, Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punti 43 e segg.), la Corte ha considerato che il licenziamento di un lavoratore non disabile può rientrare nell’ambito di applicazione ratione personae della direttiva 2000/78 se è dimostrato che il trattamento sfavorevole di cui è stato vittima, rispetto ad altre persone che si trovano in una situazione analoga alla sua, è causato dalla disabilità del figlio, al quale l’interessato presta la parte essenziale delle cure di cui quest’ultimo ha bisogno.

( 28 ) V. proposta di direttiva del Consiglio, del 2 luglio 2008, recante applicazione del principio di parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla religione o le convinzioni personali, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale [COM(2008) 426 definitivo, pagg. 2 e 7]. Preciso nel a giugno 2016 tale proposta è stata oggetto di ulteriori discussioni in seno al Consiglio.

( 29 ) Vale a dire in settori esterni alla sfera professionale, quali la protezione sociale, le prestazioni sociali, l’istruzione, l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura, inclusi gli alloggi [v. considerando 9 e articolo 3 della proposta di direttiva, COM(2008) 426 definitivo, pagg. 14 e 19].

( 30 ) Anche la direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall’origine etnica (GU 2000, L 180, pag. 22), e la direttiva 2004/113/CE del Consiglio, del 13 dicembre 2004, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne per quanto riguarda l’accesso a beni e servizi e la loro fornitura (GU 2004, L 373, pag. 37), vietano le discriminazioni fondate sui motivi che le stesse direttive menzionano specificamente nei rispettivi titoli.

( 31 ) Il governo bulgaro si limita a richiamare l’articolo 26 della Carta, relativo all’«[i]nserimento delle persone con disabilità», nella sezione delle sue osservazioni scritte intitolata «Quadro normativo», mentre la sezione corrispondente della decisione di rinvio contiene la citazione degli articoli 21 e 30 della Carta, che riguardano rispettivamente la «[n]on discriminazione» e la «[t]utela in caso di licenziamento ingiustificato».

( 32 ) V., in particolare, sentenza del 13 giugno 2013, Hadj Ahmed (C‑45/12, EU:C:2013:390, punti 5657).

( 33 ) Vale a dire l’articolo 333, paragrafo 1, punto 3, in combinato disposto con l’articolo 328, paragrafo 1, punto 2, del codice del lavoro, nonché l’articolo 106, paragrafo 1, punto 2, della legge sul pubblico impiego, quali interpretati dalla giurisprudenza bulgara.

( 34 ) Detto articolo 51, che definisce l’«[a]mbito di applicazione» della Carta, enuncia al paragrafo 1 che le disposizioni della stessa «si applicano (…) agli Stati membri esclusivamente nell’attuazione del diritto dell’Unione» e al paragrafo 2 che la Carta «non estende l’ambito di applicazione del diritto dell’Unione al di là delle competenze dell’Unione». A tale proposito, la Corte ha precisato che, «[p]er stabilire se una normativa nazionale rientri nell’attuazione del diritto dell’Unione ai sensi dell’articolo 51 della Carta occorre verificare, tra le altre cose, se essa abbia lo scopo di attuare una disposizione del diritto dell’Unione, quale sia il suo carattere e se essa persegua obiettivi diversi da quelli contemplati dal diritto dell’Unione, anche se è in grado di incidere indirettamente su quest’ultimo, nonché se esista una normativa di diritto dell’Unione che disciplini specificamente la materia o che possa incidere sulla stessa» (sentenza del 6 marzo 2014, Siragusa, C‑206/13, EU:C:2014:126, punto 25).

( 35 ) V, in particolare, sentenze dell’8 maggio 2013, Ymeraga e a. (C‑87/12, EU:C:2013:291, punti da 40 a 43); del 6 marzo 2014, Siragusa (C‑206/13, EU:C:2014:126, punti da 20 a 33), e del 10 luglio 2014, Julián Hernández e a. (C‑198/13, EU:C:2014:2055, punti da 32 a 37).

( 36 ) Ai sensi, rispettivamente, dei citati articoli 20, «[t]utte le persone sono uguali davanti alla legge», 21, paragrafo 1, «[è] vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, [sulla] disabilità», 26, «[l]’Unione riconosce e rispetta il diritto delle persone con disabilità di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità», e 30, «[o]gni lavoratore ha il diritto alla tutela contro ogni licenziamento ingiustificato, conformemente al diritto dell’Unione e alle legislazioni e prassi nazionali».

( 37 ) V., in particolare, sentenze dell’8 maggio 2013, Ymeraga e a. (C‑87/12, EU:C:2013:291, punto 40), e del 10 luglio 2014, Julián Hernández e a. (C‑198/13, EU:C:2014:2055, punto 32 e giurisprudenza citata), nonché ordinanza del 23 febbraio 2016, Garzón Ramos e Ramos Martín (C‑380/15, non pubblicata, EU:C:2016:112, punto 25).

( 38 ) Nella sentenza del 19 aprile 2016, DI (C‑441/14, EU:C:2016:278, punti 2324), la Corte ha precisato che «siccome la direttiva 2000/78 non sancisce di per sé il principio generale della non discriminazione in ragione dell’età, ma lo esprime soltanto concretamente in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, la portata della tutela conferita da tale direttiva non eccede quella accordata da detto principio. Il legislatore dell’Unione europea ha inteso, tramite l’adozione della citata direttiva, definire un quadro più preciso, destinato a facilitare l’attuazione concreta del principio della parità di trattamento e, in particolare, a determinare diverse possibilità di deroga allo stesso, delimitandole mediante una definizione più chiara del loro ambito di applicazione». Ha poi aggiunto che, «affinché [detto principio] si applichi a una situazione come quella di cui trattasi nel procedimento principale, è necessario pure che tale situazione rientri nell’ambito del divieto delle discriminazioni stabilito dalla direttiva 2000/78» (il corsivo è mio).

( 39 ) V., in particolare, sentenze dell’11 novembre 2014, Schmitzer (C‑530/13, EU:C:2014:2359, punti 2324); del 13 novembre 2014, Vital Pérez (C‑416/13, EU:C:2014:2371, punto 25); del 21 gennaio 2015, Felber (C‑529/13, EU:C:2015:20, punti 1617), e del 2 giugno 2016, C (C‑122/15, EU:C:2016:391, punti 18 e da 28 a 30).

( 40 ) V. paragrafi 51 e segg. delle presenti conclusioni.

( 41 ) Ai sensi di detto paragrafo 5, la direttiva 2000/78 «lascia impregiudicate le misure previste dalla legislazione nazionale che, in una società democratica, sono necessarie alla sicurezza pubblica, alla tutela dell’ordine pubblico, alla prevenzione dei reati e alla tutela della salute e dei diritti e delle libertà altrui».

( 42 ) Tale governo sostiene, in particolare, che «la stabilità, sancita dalla legge sul pubblico impiego, del rapporto di lavoro statutario garantisce l’effettivo e prevedibile espletamento dei compiti dell’amministrazione pubblica nell’interesse della società nonché il mantenimento dell’ordine pubblico».

( 43 ) È vero che, come indicato da detto governo, con la seconda questione pregiudiziale si chiede alla Corte se «l’articolo 4 e le altre disposizioni della direttiva [2000/78] non ostino» a siffatta normativa, ma ritengo che tale espressione si riferisca principalmente all’interpretazione dell’articolo 4, in combinato disposto con altre disposizioni della medesima direttiva.

( 44 ) Infatti, la Corte può estrarre dall’insieme degli elementi forniti dal giudice nazionale e, in particolare, dalla motivazione della decisione di rinvio, gli elementi del diritto dell’Unione che richiedano un’interpretazione, tenuto conto dell’oggetto della controversia (v., segnatamente, sentenze del 1o ottobre 2015, Doc Generici, C‑452/14, EU:C:2015:644, punto 34, e del 29 settembre 2016, Essent Belgium, C‑492/14, EU:C:2016:732, punto 43), ma mi sembra che nella fattispecie tali elementi difettino rispetto all’eventuale interpretazione del menzionato articolo 2, paragrafo 5.

( 45 ) V., in particolare, sentenza del 12 dicembre 2013, Hay (C‑267/12, EU:C:2013:823, punto 46 e giurisprudenza citata).

( 46 ) Orbene, conformemente all’articolo 94 del regolamento di procedura della Corte, è indispensabile che il giudice nazionale fornisca un minimo di spiegazioni sui motivi della scelta delle disposizioni del diritto dell’Unione di cui chiede l’interpretazione e sul nesso a suo avviso intercorrente tra tali disposizioni e la normativa nazionale applicabile alla controversia principale (v., in particolare, sentenze del 10 marzo 2016, Safe Interenvíos, C‑235/14, EU:C:2016:154, punto 115, e del 5 luglio 2016, Ognyanov, C‑614/14, EU:C:2016:514, punti 1920).

( 47 ) V. sentenza del 13 novembre 2014, Vital Pérez (C‑416/13, EU:C:2014:2371, punto 47 e giurisprudenza citata).

( 48 ) Detto governo basa il suo argomento a tale riguardo sulla «tutela esistente dei diritti dei disabili, sancita dalla legge sul pubblico impiego» e sulla «necessità di garantire le condizioni necessarie affinché la pubblica amministrazione possa espletare le sue funzioni in modo efficace e prevedibile nell’interesse della società».

( 49 ) Il corsivo è mio. Analogamente, il considerando 17 della direttiva 2000/78 enuncia che questa «non prescrive l’assunzione, la promozione o il mantenimento dell’occupazione né prevede la formazione di un individuo non competente, non capace o non disponibile ad effettuare le funzioni essenziali del lavoro in questione».

( 50 ) V. sentenza del 13 settembre 2011, Prigge e a. (C‑447/09, EU:C:2011:573, punto 66 e giurisprudenza citata).

( 51 ) V. altresì considerando 26 della direttiva 2000/78.

( 52 ) Nella sentenza del 17 luglio 2008, Coleman (C‑303/06, EU:C:2008:415, punti 4042), la Corte ha indicato che si tratta di «disposizioni riguardanti (…) misure di discriminazione positiva a favore della persona essa stessa disabile».

( 53 ) Dall’articolo 2, paragrafo 2, lettera b), punto ii), della direttiva 2000/78 risulta che tali misure adottate a vantaggio delle persone portatrici di handicap non costituiscono una discriminazione indiretta.

( 54 ) Mi sembra che l’articolo 7 della direttiva 2000/78 collochi al di fuori della sfera di intervento di quest’ultima le misure di discriminazione positiva, riguardo alle quali il considerando 27 di detta direttiva ricorda che «[n]ella sua raccomandazione [86/379], il Consiglio ha definito un quadro orientativo in cui si elencano alcuni esempi di azioni positive intese a promuovere l’occupazione e la formazione di portatori di handicap».

( 55 ) V. le spiegazioni della Commissione sull’articolo 6 (divenuto articolo 7) della proposta sfociata nell’adozione della direttiva 2000/78 [COM(1999) 565 def.], che fanno riferimento alla giurisprudenza della Corte relativa alle azioni positive a favore delle donne (a tale proposito v., segnatamente, sentenze dell’11 novembre 1997, Marschall, C‑409/95, EU:C:1997:533, punto 28 e giurisprudenza citata, e del 28 marzo 2000, Badeck e a., C‑158/97, EU:C:2000:163, punto 23).

( 56 ) Nella sua proposta diretta alla modifica della direttiva 2000/78 [COM(2008) 426 definitivo, pag. 10], la Commissione ricorda che spesso «l’uguaglianza formale non comporta nella prassi la parità» e sottolinea che disposizioni equivalenti, concernenti l’«azione positiva», figurano in tutte le direttive fondate sull’articolo 13 CE (divenuto articolo 19 TFUE) relative alla non discriminazione.

( 57 ) È stato altresì rilevato che «le azioni positive consentono di conseguire non una uguaglianza formale, “intesa come parità di trattamento fra individui appartenenti a gruppi diversi”, bensì una uguaglianza sostanziale, intesa come una uguaglianza tra i gruppi, un uguaglianza collettiva» (v. Martin, D., Morsa, M., Gosseries, P. e Buelens, J., (coord.), Droit du travail européen: questions spéciales, Larcier, Bruxelles, 2015, pag. 539).

( 58 ) A tale proposito, ricordo tuttavia che le disposizioni di diritto bulgaro in questione sono dirette a tutelare i lavoratori che soffrono di una delle malattie menzionate in dette disposizioni, e non specificamente le persone con disabilità in quanto tali (v. paragrafi 17 e 18 nonché nota 4 delle presenti conclusioni).

( 59 ) V. paragrafo 35 delle presenti conclusioni.

( 60 ) A tale proposito, il giudice del rinvio fa espressamente riferimento alla sentenza del 18 marzo 2014, Z. (C‑363/12, EU:C:2014:159).

( 61 ) Ai sensi di detto paragrafo 2, «[g]li Stati parti [non solo] vietano ogni forma di discriminazione fondata sulla disabilità[, ma altresì] garantiscono alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione giuridica contro ogni discriminazione qualunque ne sia il fondamento» (il corsivo è mio).

( 62 ) Il corsivo è mio.

( 63 ) Tenuto conto del fatto che, secondo costante giurisprudenza, la Corte dispone di tale facoltà di riformulare le questioni poste, al fine di fornire al giudice nazionale una risposta utile che gli consenta di dirimere la controversia di cui è investito (v., in particolare, sentenza del 17 gennaio 2013, Hewlett‑Packard Europe, C‑361/11, EU:C:2013:18, punto 35).

( 64 ) V. anche paragrafi 96 e segg. delle presenti conclusioni.

( 65 ) I punti g) e h) citati dispongono che le parti di detta Convenzione devono adottare misure adeguate in particolare al fine di «assumere persone con disabilità nel settore pubblico» e di «favorire l’impiego di persone con disabilità nel settore privato».

( 66 ) I punti d) ed e) citati prevedono che le parti di detta Convenzione si impegnano, in particolare, a «garantire che le autorità pubbliche e le istituzioni agiscano in conformità con [la stessa]» e ad «adottare tutte le misure adeguate ad eliminare la discriminazione sulla base della disabilità da parte di qualsiasi persona, organizzazione o impresa privata».

( 67 ) A tale proposito, rilevo subito che è erroneo ritenere che la discriminazione invocata nella controversia principale si basi su una distinzione tra le persone disabili che esercitano funzioni nel settore pubblico e quelle che lavorano nel settore privato (v. anche paragrafo 38 delle presenti conclusioni).

( 68 ) Nelle sue osservazioni scritte relative alla prima questione pregiudiziale, il governo bulgaro ha sostenuto che la situazione dei pubblici impiegati non è comparabile a quella dei lavoratori subordinati, per dedurne che non sarebbe quindi «necessario esaminare le altre questioni pregiudiziali». A tal riguardo, rileverei semplicemente che il test della comparabilità fra le situazioni delle categorie di persone interessate sarebbe pertinente per verificare se nel caso di specie sussista una discriminazione diretta ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera a), della direttiva 2000/78. Tuttavia, tali argomenti sono inconferenti e ritengo quindi che non occorra esaminarli, dato che, a mio avviso, la direttiva citata non è affatto applicabile a un controversia come quella principale.

( 69 ) Diversamente dalle disposizioni di accordi internazionali ai quali l’Unione non ha aderito, come il Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato il 16 dicembre 1966 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (v. sentenza del 28 luglio 2016, Ordre des barreaux francophones et germanophone e a., C‑543/14, EU:C:2016:605, punto 23).

( 70 ) V., in particolare, sentenze dell’11 aprile 2013, HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punto 30); del 18 marzo 2014, Z. (C‑363/12, EU:C:2014:159, punto 73), e del 22 maggio 2014, Glatzel (C‑356/12, EU:C:2014:350, punto 68).

( 71 ) A parere della sig.ra Milkova, l’articolo 5, paragrafo 2, della Convenzione dell’ONU sulla disabilità – che garantisce alle persone con disabilità uguale ed effettiva protezione giuridica contro ogni discriminazione qualunque ne sia il fondamento – sarebbe applicabile in quanto detta disposizione porrebbe obblighi sufficientemente precisi, chiari e incondizionati e ne conseguirebbe che la legge bulgara sul pubblico impiego dovrebbe essere modificata.

( 72 ) Così, per quanto riguarda l’Unione europea, l’allegato II della decisione 2010/48 contiene una dichiarazione relativa all’estensione della competenza dell’Unione nell’ambito disciplinato dalla Convenzione dell’ONU sulla disabilità e un’appendice contenente un elenco degli atti di diritto dell’Unione relativi alle materie disciplinate da detta Convenzione.

( 73 ) Tale accordo internazionale presenta un carattere programmatico per le parti contraenti, cosicché, in particolare, è impossibile procedere a un controllo della validità di un atto di diritto dell’Unione, quale la direttiva 2000/78, in riferimento alla Convenzione dell’ONU sulla disabilità. V. sentenze del 18 marzo 2014, Z. (C‑363/12, EU:C:2014:159, punti da 85 a 90), e del 22 maggio 2014, Glatzel (C‑356/12, EU:C:2014:350, punto 69).

( 74 ) V., segnatamente, sentenze dell’11 aprile 2013, HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punti 29, 3132); del 18 marzo 2014, Z. (C‑363/12, EU:C:2014:159, punti 72, 7475), e del 22 maggio 2014, Glatzel (C‑356/12, EU:C:2014:350, punti 6870).

( 75 ) V., segnatamente, sentenze dell’11 aprile 2013, HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punti da 36 a 39); del 18 dicembre 2014, FOA (C‑354/13, EU:C:2014:2463, punto 53), e del 26 maggio 2016, Invamed Group e a. (C‑198/15, EU:C:2016:362, punto 33), nonché conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa Daouidi (C‑395/15, EU:C:2016:371, paragrafo 40 e dottrina citata). Nella sua «Relazione 2014 sull’applicazione della [Carta]» (COM[2015] 191 final, pag. 14), la Commissione ha inoltre sottolineato che «[b]enché non esista alcun obbligo giuridico nella Carta di allineare l’interpretazione con i trattati delle Nazioni Unite, la Corte di giustizia dell’Unione europea fa riferimento a strumenti dell’ONU per l’interpretazione dei diritti sanciti dalla legislazione dell’UE», e in particolare alla Convenzione dell’ONU sulla disabilità.

( 76 ) Ai sensi di detto articolo 5, il datore di lavoro è tenuto a prendere i provvedimenti appropriati per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato.

( 77 ) V. sentenze dell’11 aprile 2013, HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punti 48 e segg.), e del 4 luglio 2013, Commissione/Italia (C‑312/11, non pubblicata, EU:C:2013:446, punto 58).

( 78 ) V. paragrafi 44 e segg. delle presenti conclusioni.

( 79 ) V., a tale riguardo, paragrafi 76 e 77 delle presenti conclusioni.

( 80 ) Gli articoli 2 e 5 riguardano rispettivamente la «[n]ozione di discriminazione» e le «[s]oluzioni ragionevoli per i disabili».

( 81 ) Che definisce unicamente la «discriminazione fondata sulla disabilità» (il corsivo è mio).

( 82 ) Ai sensi di detto articolo 4, paragrafo 1, primo periodo, «[g]li Stati Parti si impegnano a garantire e promuovere la piena realizzazione di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali per tutte le persone con disabilità senza discriminazioni di alcun tipo sulla base della disabilità» (il corsivo è mio). Il punto e) di detto paragrafo conferma tale impostazione.

( 83 ) Sebbene talune disposizioni della menzionata Convenzione evochino altri potenziali motivi di discriminazione [v. segnatamente, punti p) e s) del preambolo nonché articolo 8, paragrafo 1, lettera b)].

( 84 ) V. altresì, in particolare, punto h) del preambolo, articolo 25, primo comma, e articolo 28, paragrafi 1 e 2, di detta Convenzione.

( 85 ) Rilevo che talune disposizioni del progetto di Convenzione (v. allegato I della Relazione del gruppo di lavoro al comitato incaricato di elaborare la convenzione in parola, pubblicata il 27 gennaio 2004, UN Doc. A/AC.265/2004/WG.1) contenevano la formula «su un piano di parità», che è meno esplicita rispetto a quelle che figurano nel testo definitivo. Era così nel caso degli articoli 1 e 7, paragrafo 2, nonché 18, 21 e 24 del menzionato progetto. Per contro, gli articoli 9, 13 e 14 dello stesso precisavano «su un piano di parità con gli altri» (il corsivo è mio).

( 86 ) La «natura relativa» del diritto di uguaglianza quale previsto da detta Convenzione è stata sottolineata da Waddington, L., «Equal to the Task? Re‑Examining EU Equality Law in the Light of the United Nations Convention on the Rights of Persons with Disabilities», European Yearbook of Disability Law, Volume 4, diretto da Quinn, G., Waddington, L. e Flynn, E., Intersentia, Cambridge, 2013, pag. 177.

( 87 ) Una definizione analoga di tale nozione è contenuta nel punto e) del preambolo di detta Convenzione.

( 88 ) V. altresì punto r) del preambolo di detta Convenzione.

( 89 ) «Per “discriminazione fondata sulla disabilità” si intende qualsivoglia distinzione, esclusione o restrizione sulla base della disabilità che abbia lo scopo o l’effetto di pregiudicare o annullare il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali» (il corsivo è mio).

( 90 ) Si tratta degli articoli 9, sull’accessibilità; 10, sul diritto alla vita; 12, sul riconoscimento dinanzi alla legge; 13, sull’accesso alla giustizia; 14, sulla libertà e sicurezza della persona; 15, sul diritto non essere sottoposto a tortura, a pene o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti; 17, sulla protezione dell’integrità della persona; 18, sulla libertà di movimento e cittadinanza; 19, sulla vita indipendente e l’inclusione nella società; 21, sulla libertà di espressione e opinione e l’accesso all’informazione; 22, sul rispetto della vita privata; 23, sul rispetto del domicilio e della famiglia; 24, sull’educazione; 29, sulla partecipazione alla vita politica e pubblica, e 30, sulla partecipazione alla vita culturale e ricreativa, agli svaghi ed allo sport.

( 91 ) Il testo del menzionato articolo 27, paragrafo 1, è parzialmente riprodotto al paragrafo 9 delle presenti conclusioni. Ai sensi del paragrafo 2 del medesimo articolo, «[g]li Stati Parti assicurano che le persone con disabilità (…) siano protette, su base di uguaglianza con gli altri, dal lavoro forzato o coatto» (il corsivo è mio).

( 92 ) Il corsivo è mio. V., in particolare, sentenze dell’11 aprile 2013, HK Danmark (C‑335/11 e C‑337/11, EU:C:2013:222, punti 38, 41, 4754); del 4 luglio 2013, Commissione/Italia (C‑312/11, non pubblicata, EU:C:2013:446, punti 5659); del 18 marzo 2014, Z. (C‑363/12, EU:C:2014:159, punti 7680), e del 18 dicembre 2014, FOA (C‑354/13, EU:C:2014:2463, punti 53, 5960).

( 93 ) Così, il comunicato stampa della Commissione relativo a detta ratifica (comunicato del 5 gennaio 2011, IP/11/4), indica che la Convenzione dell’ONU sulla disabilità «impegna le parti contraenti a garantire ai disabili il pieno godimento dei loro diritti, al pari di tutti gli altri cittadini» (il corsivo è mio).

( 94 ) V. paragrafi 51 e segg. delle presenti conclusioni.

( 95 ) V. paragrafo 82 delle presenti conclusioni.

( 96 ) Vale a dire le norme sancite dall’articolo 333, paragrafo 1, punto 3, del codice del lavoro, in combinato disposto con l’articolo 328, paragrafo 1, punto 2, del medesimo codice.

( 97 ) Nella sua risposta ai quesiti scritti posti dalla Corte, la sig.ra Milkova ha sostenuto che, poiché la normativa nazionale controversa determina una differenza di trattamento riguardo alle persone con disabilità, sebbene tale differenza si fondi sulla natura del rapporto di lavoro e non sulla disabilità, si dovrebbe applicare l’articolo 333, paragrafo 1, punto 3, del codice del lavoro anche ai pubblici impiegati disabili, per analogia con i lavoratori subordinati, e, grazie all’aggiunta di una simile disposizione nella legge sul pubblico impiego, allineare tale normativa alle norme di diritto dell’Unione.

( 98 ) V. paragrafi 35 e segg. delle presenti conclusioni.

( 99 ) Per quanto riguarda il «rispetto delle norme di diritto internazionale» da parte di uno Stato membro, menzionato nella quarta questione pregiudiziale, ricordo che la Corte non è competente a statuire in via pregiudiziale su tale punto di diritto e che a questo proposito occorre riformulare la suddetta questione (v. paragrafi 75 e segg. delle presenti conclusioni).

( 100 ) Sull’obbligo dei giudici nazionali di interpretare una norma di diritto nazionale in modo da poterla applicare in conformità con le esigenze del diritto dell’Unione, v., in particolare, conclusioni dell’avvocato generale Mengozzi nella causa Fenoll (C‑316/13, EU:C:2014:1753, paragrafi 55 e segg. e giurisprudenza citata); conclusioni dell’avvocato generale Bot nella causa DI (C‑441/14, EU:C:2015:776, paragrafi 42 e segg.), e sentenza del 19 aprile 2016, DI (C‑441/14, EU:C:2016:278, punti 28 e segg. e giurisprudenza citata).