CONCLUSIONI DELL’AVVOCATO GENERALE
PAOLO MENGOZZI
presentate il 7 dicembre 2016 ( 1 )
Cause riunite C‑376/15 P e C‑377/15 P
Changshu City Standard Parts Factory,
Ningbo Jinding Fastener Co. Ltd
contro
Consiglio dell’Unione europea
«Impugnazione — Dumping — Regolamento (CE) n. 1225/2009 — Articolo 2, paragrafo 7, lettera a), nonché paragrafi 10 e 11 — Accordo antidumping — Articoli 2.4 e 2.4.2 — Regolamento di esecuzione (UE) n. 924/2012 — Importazioni di elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese — Prodotto interessato — Esclusione di determinate operazioni di esportazione dal calcolo del margine di dumping — Confronto equo tra il prezzo all’esportazione e il valore normale in caso di importazioni provenienti da paesi non retti da un’economia di mercato — Rifiuto di applicare determinati adeguamenti — Obbligo di motivazione»
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1. |
Nel determinare margini di dumping, le istituzioni dell’Unione europea possono, in particolare nel caso di importazioni provenienti da un paese non retto da un’economia di mercato, escludere dal confronto tra valore normale e prezzo all’esportazione operazioni di esportazione relative a determinate tipologie del prodotto interessato? In quale misura è necessario applicare adeguamenti nell’ambito dell’obbligo di procedere a un confronto equo tra valore normale e prezzo all’esportazione, quando il valore normale è stato determinato sulla base del metodo del paese di riferimento? |
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2. |
Sono queste, essenzialmente, le principali questioni sollevate nelle presenti cause riunite, le quali riguardano due impugnazioni proposte congiuntamente da due società cinesi, la Changshu City Standard Parts Factory e la Ningbo Jinding Fastener Co. Ltd. Con le loro impugnazioni, dette due società chiedono l’annullamento della sentenza pronunciata dal Tribunale dell’Unione europea, il 29 aprile 2015, nella causa Changshu City Standard Parts Factory e Ningbo Jinding Fastener/Consiglio ( 2 ) (in prosieguo: la «sentenza impugnata»), recante rigetto dei loro ricorsi per annullamento del regolamento di esecuzione (UE) n. 924/2012 del Consiglio, del 4 ottobre 2012 ( 3 ) (in prosieguo: il «regolamento controverso»). |
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3. |
Nell’ambito di tali cause, la Corte sarà chiamata a fornire importanti chiarimenti circa la portata degli obblighi incombenti alla Commissione europea e al Consiglio dell’Unione europea (in prosieguo, insieme: le «istituzioni») nel determinare margini di dumping, in particolare nel caso di importazioni provenienti da un paese non retto da un’economia di mercato. |
I – Contesto normativo
A – Disposizioni dell’OMC
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4. |
L’articolo 2 dell’accordo relativo all’applicazione dell’articolo VI dell’accordo generale sulle tariffe doganali e sul commercio 1994 (GATT) ( 4 ) (in prosieguo: l’«accordo antidumping»), rubricato «Determinazione del dumping», dispone quanto segue: «2.4 Tra il prezzo all’esportazione e il valore normale deve essere effettuato un confronto equo, con riferimento allo stesso stadio commerciale che di solito è quello del prodotto franco fabbrica, e per vendite effettuate a date il più possibile ravvicinate. Nel merito, si tengono nel debito conto le differenze in materia di condizioni di vendita, tassazione, stadio commerciale, quantitativi, caratteristiche fisiche e quant’altro risulti influire sulla comparabilità dei prezzi. (…) Spetta alle autorità indicare alle parti interessate le informazioni che devono fornire per consentire un equo confronto, senza imporre alle stesse un eccessivo onere di prova. (…) 2.4.2 Ferme le disposizioni del paragrafo 4 relative all’equo confronto, l’esistenza di margini di dumping nel corso dell’inchiesta è di norma accertata sulla base di un confronto fra la media ponderata dei valori normali e la media ponderata dei prezzi di tutte le operazioni di esportazione comparabili, ovvero sulla base di un confronto fra il valore normale e il prezzo all’esportazione effettuato per ogni singola operazione (…)». |
B – Diritto dell’Unione
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5. |
Il regolamento (CE) n. 1225/2009 ( 5 ) (in prosieguo: il «regolamento di base»), all’articolo 2, rubricato «Determinazione del dumping», prevede quanto segue: «(…) C. Confronto
D. Margine di dumping
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II – Fatti e regolamento controverso
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6. |
I fatti delle controversie sono esposti in dettaglio nei punti da 1 a 16 della sentenza impugnata. Ai fini del presente procedimento è sufficiente ricordare che, con il regolamento n. 91/2009 ( 6 ), il Consiglio ha imposto un dazio antidumping sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Cina. |
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7. |
Il 28 luglio 2011, l’organo di conciliazione (DSB) dell’OMC adottava la relazione dell’organo d’appello e la relazione del panel, come modificata dalla relazione dell’organo d’appello, nel procedimento «Comunità europee – Misure antidumping definitive su determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Cina (…)» ( 7 ). Nelle succitate relazioni veniva accertata la violazione, da parte dell’Unione, di un certo numero di disposizioni di diritto dell’OMC. |
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8. |
Al fine di stabilire come dovesse essere modificato il regolamento n. 91/2009 per essere conforme alle raccomandazioni del DSB, la Commissione avviava un riesame delle misure antidumping imposte da detto regolamento ( 8 ). |
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9. |
A seguito di tale riesame, condotto sulla base del regolamento (CE) n. 1515/2001 ( 9 ), il 4 ottobre 2012, il Consiglio adottava il regolamento controverso. |
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10. |
Nel regolamento controverso, il Consiglio osservava, anzitutto, che le relazioni del DSB non avevano modificato i risultati esposti nel regolamento n. 91/2009 riguardo al prodotto interessato e al prodotto simile ( 10 ). |
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11. |
Dopodiché, il Consiglio ricordava che, in conformità dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, il valore normale per i produttori esportatori che, come le ricorrenti, non beneficiano dello status di società operante in condizioni di economia di mercato, si calcola in base ai prezzi o al valore costruito in un paese di riferimento. Nel caso di specie, il paese terzo a economia di mercato ritenuto idoneo come riferimento era l’India. Il valore normale veniva così determinato in base ai prezzi del prodotto interessato venduto sul mercato interno da un fabbricante indiano che aveva collaborato all’inchiesta ( 11 ). |
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12. |
Il Consiglio respingeva, poi, le domande di adeguamento formulate, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, in particolare dalle ricorrenti, a titolo delle differenze nei costi di produzione, nell’efficienza e nella produttività ( 12 ). Al riguardo il Consiglio indicava che le parti non avevano fornito prova del fatto che le differenze nei costi si fossero tradotte in differenze di prezzo. Il Consiglio ricordava che, nelle inchieste relative a paesi non retti da un’economia di mercato, come la Cina, si ricorre a un paese di riferimento per evitare che sia tenuto conto di prezzi e costi che non sono il normale risultato delle forze di mercato. Posto che nessuno dei produttori esportatori cinesi aveva ottenuto lo status di società operante in condizioni di economia di mercato nell’inchiesta iniziale, non si poteva ritenere che la loro struttura dei costi riflettesse valori di mercato atti come base per eventuali adeguamenti, soprattutto riguardo all’accesso alle materie prime. Inoltre, il produttore indiano era in concorrenza con vari altri produttori sul mercato interno indiano, cosicché i suoi prezzi riflettevano pienamente la situazione sul mercato interno. Il Consiglio respingeva, quindi, le domande di adeguamento. |
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13. |
Al fine di determinare i margini di dumping, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base, le istituzioni sceglievano di effettuare un confronto tra la media ponderata del valore normale e la media ponderata dei prezzi all’esportazione verso l’Unione (in prosieguo: il «primo metodo simmetrico») ( 13 ). |
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14. |
Tuttavia, in sede di confronto, emergeva che il produttore indiano non fabbricava né vendeva ogni tipo del prodotto interessato che era esportato dai produttori esportatori cinesi ( 14 ). |
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15. |
Date le circostanze, le istituzioni confrontavano i prezzi all’esportazione e il valore normale soltanto di quelli, tra i tipi di prodotto interessato esportati dai produttori esportatori cinesi, rispetto ai quali esisteva un tipo corrispondente fabbricato e venduto dal produttore indiano. Le operazioni di esportazione relative ai tipi del prodotto interessato per i quali non esisteva una vendita corrispondente del produttore indiano sul mercato interno venivano escluse dal calcolo del margine di dumping ( 15 ). L’importo del dumping così determinato veniva tuttavia esteso, in seguito, a tutti i tipi del prodotto interessato ( 16 ). |
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16. |
Le istituzioni ritenevano che tale metodo fosse il più affidabile per stabilire il livello di dumping, posto che «il tentativo di far corrispondere tutti gli altri tipi esportati a tipi di prodotti molto simili del produttore indiano avrebbe dato risultati inesatti» ( 17 ). Esse ritenevano anche che le operazioni di esportazione utilizzate per il calcolo del dumping fossero rappresentative di tutti i tipi del prodotto interessato esportati dai produttori esportatori cinesi ( 18 ). |
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17. |
In conclusione, il regolamento controverso riduceva il dazio antidumping, fissato dal regolamento n. 91/2009, al 38,3% per la Changshu City Standard Parts Factory, mentre manteneva il dazio fissato per la Ningbo Jinding Fastener a 64,3% ( 19 ). |
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18. |
Il 12 febbraio 2016, il DSB adottava la relazione dell’organo di appello e la relazione del panel, come modificata dalla relazione dell’organo d’appello, nel procedimento «Comunità europee – Misure antidumping definitive su determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Cina – Ricorso della Cina all’articolo 21.5 del memorandum di accordo sulla risoluzione delle controversie» ( 20 ). A termini delle succitate relazioni, con il regolamento controverso, l’Unione continuava a violare talune disposizioni di diritto dell’OMC. Dette relazioni mettevano in discussione, inter alia, le parti del regolamento controverso relative alle domande di adeguamento formulate da talune parti interessate e l’esclusione, ai fini del calcolo del margine di dumping, delle operazioni relative a tipi del prodotto interessato esportati dai produttori esportatori cinesi rispetto ai quali non esisteva un tipo equivalente fabbricato e venduto dal suddetto produttore indiano. |
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19. |
Il 26 febbraio 2016, la Commissione adottava il regolamento di esecuzione (UE) 2016/278 ( 21 ). In detto regolamento, adottato a norma del regolamento 2015/476 ( 22 ), la Commissione, a seguito delle relazioni del DSB citate al paragrafo precedente, decideva di abrogare i dazi antidumping istituiti dal regolamento n. 91/2009 e modificati dal regolamento controverso. |
III – Procedimento dinanzi al Tribunale e sentenza impugnata
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20. |
Con atti depositati presso la cancelleria del Tribunale il 24 dicembre 2012, le ricorrenti presentatavano ciascuna un ricorso diretto all’annullamento del regolamento controverso. A fondamento dei loro ricorsi dinanzi al Tribunale, le ricorrenti invocavano due motivi. |
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21. |
Il primo motivo si riferiva alla violazione dell’articolo 2, paragrafi 7, lettera a), 8, 9 e 11, e dell’articolo 9, paragrafo 5, del regolamento di base, del principio di non discriminazione e dell’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping. Nell’ambito di tale motivo, le ricorrenti contestavano alle istituzioni di aver escluso, ai fini del calcolo del margine di dumping, le operazioni relative a tipi del prodotto interessato, esportati dai produttori esportatori cinesi, per i quali non esisteva un tipo corrispondente fabbricato e venduto dal produttore indiano in questione. |
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22. |
Il secondo motivo aveva ad oggetto la violazione dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, dell’articolo 2.4 dell’accordo antidumping e dell’articolo 296 TFUE. Esso verteva sul rigetto delle domande di adeguamento presentate dalle ricorrenti. |
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23. |
Con la sentenza impugnata, il Tribunale respingeva i due motivi dedotti dalle ricorrenti e i ricorsi nel loro insieme. |
IV – Conclusioni delle parti e procedimento dinanzi alla Corte
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24. |
Le ricorrenti chiedono che la Corte voglia:
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25. |
Il Consiglio chiede il rigetto delle impugnazioni e la condanna delle ricorrenti alle spese relative alle impugnazioni e al procedimento dinanzi al Tribunale. |
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26. |
La Commissione chiede alla Corte di respingere le impugnazioni in esame come irricevibili. In subordine, di respingere le impugnazioni in quanto infondate e di condannare le ricorrenti alle spese. |
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27. |
Con decisione del presidente della Corte del 22 settembre 2015, le cause C‑376/15 P e C‑377/15 P sono state riunite ai fini delle fasi scritta ed orale del procedimento, nonché della sentenza. |
V – Analisi
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28. |
A sostegno delle loro impugnazioni, le ricorrenti deducono due motivi. Prima di analizzare tali motivi, devono tuttavia essere affrontate due questioni che hanno carattere preliminare: l’eventuale esistenza di una litispendenza e l’invocabilità, nel caso di specie, dell’accordo antidumping e delle decisioni e raccomandazioni del DSB. |
A – Sull’eccezione di litispendenza
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29. |
La Commissione solleva un’eccezione di litispendenza. Essa afferma che le impugnazioni nelle due presenti cause riunite sono identiche. Identici sarebbero infatti le parti, gli atti contestati, la sentenza impugnata, i motivi e gli argomenti presentati dalle parti nelle loro impugnazioni. |
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30. |
Al riguardo occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, un ricorso introdotto successivamente a un altro che contrappone le stesse parti, è fondato sui medesimi motivi ed è diretto all’annullamento del medesimo atto giuridico deve essere respinto come irricevibile per litispendenza ( 23 ). |
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31. |
Nel caso di specie si deve riconoscere che le impugnazioni proposte congiuntamente dalle due ricorrenti nelle due presenti cause contrappongono proprio le stesse parti. Anche il loro oggetto è identico, posto che entrambe le impugnazioni sono dirette all’annullamento della sentenza impugnata. Infine, le due impugnazioni sono identiche e sollevano esattamente gli stessi motivi. Date le circostanze, l’impugnazione relativa alla causa C‑377/15 P, essendo stata presentata per seconda, deve essere respinta come irricevibile in ragione di una litispendenza. |
B – Sull’invocabilità dell’accordo antidumping e delle decisioni e raccomandazioni del DSB
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32. |
Nelle loro argomentazioni le parti si riferiscono a talune disposizioni dell’accordo antidumping e a numerose decisioni e raccomandazioni del DSB. Nella sentenza impugnata, al fine di valutare la legittimità del regolamento controverso, il Tribunale ha fatto riferimento, da un lato, agli articoli 2.4 e 2.4.2 dell’accordo antidumping e, dall’altro, per negarne la pertinenza, a una relazione dell’organo di appello dell’OMC ( 24 ). Inoltre, come risulta dal paragrafo 18 delle presenti conclusioni, nel febbraio 2016, dopo la pronuncia della sentenza impugnata, il DSB ha emesso due relazioni le cui conclusioni riguardano direttamente il regolamento controverso. Dette relazioni sono state oggetto di una discussione tra le parti in occasione dell’udienza dinanzi alla Corte. |
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33. |
Date le circostanze, occorre stabilire, in via preliminare, se e in quale misura l’accordo antidumping e le decisioni e raccomandazioni del DSB, cui hanno ampiamente fatto riferimento le parti, possano essere invocati nell’ambito delle presenti cause. |
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34. |
Per quanto attiene, in primo luogo, all’accordo antidumping, occorre ricordare che, secondo una giurisprudenza costante della Corte, tenuto conto della loro natura e della loro struttura, gli accordi OMC non si annoverano, in linea di principio, tra le normative alla luce delle quali può essere controllata la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione. Tuttavia, in due situazioni la Corte ha riconosciuto, eccezionalmente, che al giudice dell’Unione spetta, se del caso, controllare la legittimità di un atto dell’Unione e degli atti adottati per la sua applicazione alla luce degli accordi OMC ( 25 ). Si tratta del caso in cui l’Unione ha inteso dare esecuzione a un obbligo particolare assunto nel quadro dei suddetti accordi (eccezione «Nakajima» ( 26 )) e del caso in cui l’atto dell’Unione di cui trattasi rinvia espressamente a disposizioni precise dei suddetti accordi (eccezione «Fediol» ( 27 )). |
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35. |
A questo proposito la Corte ha precisato che, affinché il sistema antidumping dell’OMC possa, in un caso particolare, costituire un’eccezione al principio generale secondo cui il giudice dell’Unione non può controllare la legittimità degli atti delle istituzioni dell’Unione in base alla loro conformità alle norme contenute negli accordi OMC, occorre che sia sufficientemente dimostrata la chiara volontà del legislatore di attuare, nel diritto dell’Unione, un obbligo particolare assunto nell’ambito degli accordi OMC. A tal fine, è necessario che si possa desumere dalla disposizione specifica del diritto dell’Unione controversa che la stessa è volta ad attuare nel diritto dell’Unione un obbligo particolare scaturito dagli accordi OMC ( 28 ). |
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36. |
Nel caso di specie, la Corte ha già riconosciuto che, con l’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base, l’Unione ha inteso dare attuazione agli obblighi particolari derivanti dall’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping ( 29 ). Il Tribunale ha quindi, correttamente, stabilito, al punto 34 della sentenza impugnata, che al giudice dell’Unione spettava verificare la legittimità del regolamento controverso alla luce di detta ultima disposizione. |
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37. |
Riguardo all’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, il fatto che tale disposizione impieghi, nella sua prima frase, esattamente gli stessi termini utilizzati nell’articolo 2.4 dell’accordo antidumping indica chiaramente che, almeno per quanto concerne l’obbligo di effettuare un «confronto equo» tra il prezzo all’esportazione e il valore normale previsto appunto nella sua prima frase, il legislatore dell’Unione ha inteso, con detta disposizione del regolamento di base, dare esecuzione a obblighi particolari derivanti dall’accordo antidumping ( 30 ). Ne consegue che, anche rispetto alla disposizione in parola, la Corte deve verificare la legittimità degli atti dell’Unione di cui trattasi e dare alla nozione di «confronto equo» il significato che essa riveste nella normativa dell’OMC ( 31 ). |
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38. |
Per quanto attiene, in secondo luogo, alle decisioni e raccomandazioni del DSB, la Corte ha escluso che un operatore economico possa invocare dinanzi al giudice dell’Unione l’incompatibilità di un atto di quest’ultima con una decisione del DSB. Così, secondo la giurisprudenza della Corte, perlomeno al di fuori delle ipotesi in cui, in seguito a tali decisioni e raccomandazioni, l’Unione abbia inteso assumere un obbligo particolare, una decisione o una raccomandazione del DSB che accerta l’inosservanza delle norme dell’OMC non può essere fatta valere, non diversamente dalle norme sostanziali contenute negli accordi OMC, dinanzi al giudice dell’Unione al fine di stabilire se un atto di quest’ultima sia incompatibile con la suddetta raccomandazione o decisione ( 32 ). |
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39. |
Tuttavia, il primato degli accordi internazionali conclusi dall’Unione sulle norme di diritto derivato dell’Unione impone di interpretare queste ultime in maniera per quanto possibile conforme agli accordi. La Corte si è così già riferita alle relazioni di un gruppo speciale o dell’organo di appello dell’OMC a sostegno della propria interpretazione di determinate disposizioni degli accordi OMC ( 33 ). |
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40. |
Nel caso di specie, riguardo alle relazioni del 28 luglio 2011 – citate al paragrafo 7 delle presenti conclusioni – adottate dal DSB nel procedimento «Comunità europee – Misure antidumping definitive su determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Cina», dalla lettura del regolamento controverso emerge che le istituzioni hanno adottato quest’ultimo ( 34 )«per tener conto delle conclusioni delle [suddette] relazioni sul regolamento [n. 91/2009]» e con l’obiettivo di «correggere gli aspetti del regolamento [n. 91/2009] ritenuti incompatibili dal DSB nelle [suddette] relazioni» ( 35 ). |
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41. |
Date le circostanze, alla luce dei rinvii espliciti alle suddette relazioni e della volontà manifesta di tener conto, nel regolamento controverso, delle conclusioni contenute nelle stesse, occorre considerare che, in detto caso particolare, nell’adottare tale regolamento, le istituzioni hanno inteso dare esecuzione, nell’ordinamento giuridico dell’Unione, alle conclusioni contenute nelle suddette relazioni. Ne consegue che il giudice dell’Unione è tenuto a valutare, nella misura in cui ciò risulti necessario, la legittimità del regolamento controverso rispetto alle relazioni in parola. |
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42. |
Riguardo, invece, alle relazioni del DSB adottate il 12 febbraio 2016 sulla base dell’articolo 21, paragrafo 5, del memorandum di accordo sulla risoluzione delle controversie, menzionate nel paragrafo 18 delle presenti conclusioni, occorre anzitutto osservare che esse sono successive all’adozione sia del regolamento controverso sia della sentenza impugnata ( 36 ). Inoltre, come ho osservato al paragrafo 19 delle presenti conclusioni, la Commissione, sulla base del regolamento 2015/476, ha adottato il regolamento di esecuzione 2016/278 nell’ambito del quale ha ritenuto opportuno, a seguito delle conclusioni contenute nelle suddette relazioni, abrogare le misure antidumping istituite dal regolamento controverso ( 37 ). Orbene, dall’articolo 2 del regolamento di esecuzione 2016/278 emerge che l’abrogazione delle misure in parola ha preso effetto dalla data della sua entrata in vigore e non consente il rimborso dei dazi riscossi prima di tale data. Ne risulta che, in tali circostanze, nell’escludere il rimborso dei diritti versati in forza del regolamento controverso, l’Unione non ha inteso dare esecuzione a un obbligo particolare assunto nell’ambito dell’OMC ( 38 ). Dalle considerazioni che precedono discende che, nel caso di specie, né la legittimità del regolamento controverso né, a fortiori, quella della sentenza impugnata può essere valutata alla luce delle suddette relazioni del DSB. |
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43. |
Riguardo, infine, alle altre relazioni del DSB invocate dalle parti, occorre constatare che le istituzioni non hanno inteso farsi carico, a seguito delle suddette relazioni, di obblighi particolari rispetto al regolamento controverso. Date le circostanze, alla luce della giurisprudenza citata al paragrafo 39 delle presenti conclusioni, dette relazioni possono tutt’al più costituire elementi, per la Corte, per interpretare le disposizioni dell’accordo antidumping in questione. |
C – Sul primo motivo, vertente sull’esclusione dal calcolo del margine di dumping di determinate operazioni di esportazione concernenti il prodotto interessato
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44. |
Il primo motivo verte sul ragionamento contenuto nei punti da 29 a 90 della sentenza impugnata. Esso si riferisce alla violazione dell’articolo 2, paragrafi 10 e 11, del regolamento di base e degli articoli 2.4 e 2.4.2 dell’accordo antidumping. Le ricorrenti contestano, essenzialmente, al Tribunale di non aver censurato le istituzioni per aver determinato i margini di dumping escludendo dal confronto con il valore normale determinate operazioni di esportazione, vale a dire quelle riguardanti tipi del prodotto interessato che non avevano corrispondenti presso il produttore indiano. |
1. La sentenza impugnata
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45. |
Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha stabilito che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base, letto alla luce dell’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping, le istituzioni sono tenute, nel determinare i margini di dumping, a confrontare con il valore normale soltanto le operazioni ad esso comparabili. In forza del rinvio effettuato nelle suddette norme alle disposizioni che disciplinano il confronto equo, le istituzioni sarebbero tenute «per quanto possibile» a rendere le operazioni comparabili applicando adeguamenti. Inoltre, le medesime disposizioni non imporrebbero che il confronto sia «il più equo» possibile, ma soltanto che esso sia «equo» ( 39 ). |
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46. |
Nel caso di specie, secondo il Tribunale, tutti i tipi del prodotto interessato erano assimilabili al prodotto «simile» e potevano quindi essere considerati come comparabili. Tale automatismo non valeva, tuttavia, per i prezzi di taluni tipi del prodotto interessato, vale a dire per i prezzi dei prodotti esportati dai produttori esportatori cinesi che non erano fabbricati dal produttore indiano. La mancanza di un prezzo di vendita in India per tali tipi del prodotto interessato, benché simili, avrebbe così impedito di effettuare, rispetto ad essi, un confronto ai fini del calcolo dei margini di dumping ( 40 ). |
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47. |
Il Tribunale ha quindi esaminato i diversi metodi, previsti nel regolamento di base, che avrebbero eventualmente permesso alle istituzioni di determinare il valore normale per quei tipi del prodotto interessato che non avevano corrispondenti presso il produttore indiano. Secondo il Tribunale, tuttavia, anche a considerarli applicabili, tali metodi non avrebbero garantito un confronto più equo di quello compiuto dalle istituzioni ( 41 ). Il Tribunale ha anche respinto le argomentazioni sollevate dalle ricorrenti in merito alla rappresentatività dei margini di dumping calcolati rispetto a tutti i tipi del prodotto interessato esportati ( 42 ). A seguito di tale analisi, il Tribunale ha concluso che il Consiglio non aveva commesso un manifesto errore di valutazione nell’escludere dal calcolo del margine di dumping le operazioni di esportazione relative ai tipi del prodotto interessato per i quali non erano disponibili i prezzi di vendita del produttore nel paese di riferimento. |
2. Una breve sintesi dell’argomentazione delle parti
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48. |
Le ricorrenti affermano, in primo luogo, che il Tribunale ha interpretato in maniera errata l’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base e l’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping. Queste due disposizioni dovrebbero essere interpretate nel senso che impongono di ricomprendere nel confronto ai fini del calcolo del margine di dumping ogni vendita all’esportazione del prodotto interessato, come definito all’apertura dell’inchiesta. Tale margine, infatti, dovrebbe riguardare il prodotto oggetto dell’inchiesta nel suo insieme e lo status di paese non retto da un’economia di mercato permetterebbe di derogare alle regole in materia di determinazione del margine di dumping. |
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49. |
In secondo luogo, il Tribunale avrebbe mischiato gli obblighi in materia di calcolo del margine di dumping con quelli in materia di confronto equo. Innanzitutto, nell’esaminare se le diverse soluzioni che permettevano di confrontare tutte le operazioni di esportazione fossero o meno «eque», il Tribunale avrebbe limitato gli obblighi riguardanti il calcolo del margine di dumping a quelli riguardanti il confronto equo. Poi, la conformità del calcolo del margine di dumping con l’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base dovrebbe essere valutata partendo non dalla nozione di «prezzi comparabili» ( 43 ), bensì da quella di «operazioni comparabili». Le ricorrenti contestano anche l’espressione «per quanto possibile» utilizzata dal Tribunale ( 44 ). |
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50. |
In terzo luogo, e comunque, l’analisi del Tribunale sarebbe erronea. A loro avviso, si tratta di stabilire non se un approccio sia più equo dell’altro, ma se l’approccio praticato sia conforme all’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base e all’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping. Spetterebbe alle istituzioni e non alle parti interessate vigilare sul rispetto delle disposizioni in parola. La nozione di «rappresentatività» non sarebbe pertinente, posto che essa non è citata né nel regolamento di base né nell’accordo antidumping. In ogni caso, le ricorrenti avrebbero dimostrato il carattere non rappresentativo, per quanto le riguarda, delle operazioni di esportazione utilizzate dalle istituzioni. |
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51. |
Le istituzioni contestano gli addebiti delle ricorrenti. La Commissione eccepisce anzitutto che il primo motivo sia irricevibile, giacché le ricorrenti contesterebbero la valutazione dei fatti senza individuare errori di diritto, nonché inoperante. A suo avviso, poi, l’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base e dell’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping proposta dalle ricorrenti distorcerebbe la ratio e il contenuto dell’articolo 2.4 dell’accordo antidumping, che sarebbe «informato» al prevalente principio del «confronto equo». Dal canto suo, il Consiglio considera che la formulazione del regolamento di base e quella dell’accordo antidumping indichino chiaramente che l’esigenza di un confronto equo deve prevalere sull’obbligo di calcolare il margine di dumping sulla base di tutte le operazioni di esportazione. Secondo le istituzioni, la giurisprudenza e le relazioni dell’organo d’appello del DSB invocate dalle ricorrenti non sarebbero pertinenti, in quanto riguarderebbero una questione, quella dell’azzeramento, molto diversa da quella controversa nell’ambito delle presenti cause. L’interpretazione dell’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping resa dall’organo d’appello del DSB mostrerebbe, invece, che il termine «comparabili» assume grande importanza per garantire un «confronto equo». Inoltre, la pertinenza della nozione di rappresentatività emergerebbe dalla giurisprudenza. |
3. Analisi
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52. |
Il presente motivo verte sulla portata degli obblighi gravanti sulle istituzioni nel determinare l’esistenza del margine di dumping ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base. |
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53. |
Le censure sollevate dalle ricorrenti riguardano l’interpretazione di detta disposizione accolta nella sentenza impugnata – e ricordata nei paragrafi 45 e 46 delle presenti conclusioni – sulla base della quale il Tribunale ha giustificato, nel caso di specie, l’esclusione dal calcolo dei margini di dumping delle operazioni di esportazione relative a determinati tipi del prodotto interessato. |
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54. |
Occorre anzitutto osservare che, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione, il primo motivo non è né irricevibile nella sua totalità né inoperante. |
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55. |
Infatti, da una parte, come emerge in maniera, a mio avviso, evidente dalla sintesi degli argomenti delle ricorrenti ( 45 ), esse contestano al Tribunale errori di diritto derivanti da un’asserita inesatta interpretazione delle disposizioni del regolamento di base e dell’accordo antidumping che disciplinano il calcolo del margine di dumping e il confronto equo. Si tratta di questioni di diritto ricevibili in sede di impugnazione. |
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56. |
Dall’altra, il motivo non è neppure inoperante. Infatti, ove la Corte, in accoglimento del suddetto motivo, dovesse stabilire che l’interpretazione delle controverse disposizioni del regolamento di base e dell’accordo antidumping accolta dal Tribunale è errata, la sentenza impugnata sarebbe viziata da un errore di diritto che ne comporterebbe l’annullamento. |
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57. |
Quanto all’analisi nel merito delle diverse censure mosse dalle ricorrenti, occorre anzitutto ricordare, come osservato giustamente dal Tribunale, che, secondo una costante giurisprudenza, in materia di politica commerciale comune, e specialmente nell’ambito delle misure di difesa commerciale, le istituzioni dispongono di un ampio potere discrezionale in considerazione della complessità delle situazioni economiche, politiche e giuridiche che devono esaminare ( 46 ). |
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58. |
Più precisamente, dalla giurisprudenza emerge che l’applicazione dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base e, in particolare, la scelta fra i diversi metodi di calcolo del margine di dumping presuppongono la valutazione di situazioni economiche complesse ( 47 ). |
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59. |
Orbene, benché le istituzioni dispongano di un potere discrezionale nell’attuare l’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base, tale potere deve tuttavia essere esercitato in maniera compatibile con il quadro normativo fissato dal medesimo regolamento. Due esigenze particolari derivanti dal suddetto quadro normativo mi sembrano pertinenti nel presente contesto. |
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60. |
In primo luogo, occorre osservare che il quadro normativo antidumping si riferisce al dumping su un prodotto. La definizione stessa contenuta nell’articolo 1, paragrafo 2, del regolamento di base fa riferimento al «dumping su un prodotto» ( 48 ). |
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61. |
Non è quindi un caso che, nell’ambito delle loro inchieste in materia di antidumping, uno dei primi interventi cui procedono le istituzioni sia definire il prodotto interessato dall’inchiesta. Tale definizione è volta a determinare la lista dei prodotti la cui importazione nell’Unione è oggetto dell’inchiesta antidumping e che, se del caso, a seguito di essa, saranno assoggettati a dazi antidumping ( 49 ). È sempre sulla base di detta definizione che viene poi identificato il «prodotto simile», ai sensi dell’articolo 1, paragrafo 4, del regolamento di base. |
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62. |
Orbene, una volta definito il prodotto interessato, le istituzioni sono tenute a trattare detto prodotto in maniera coerente per tutta la durata dell’inchiesta in conformità della suddetta definizione ( 50 ). |
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63. |
Ne consegue, in particolare, che le istituzioni, quando determinano l’esistenza di margini di dumping, devono stabilirli rispetto al prodotto interessato come definito nell’inchiesta e, più specificamente, rispetto al prodotto nel suo insieme ( 51 ). Esse non possono definire, prima, il prodotto oggetto dell’inchiesta in un certo modo e calcolare, poi, il margine di dumping secondo modalità che non siano completamente coerenti con la medesima definizione. |
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64. |
Ciò non significa che le istituzioni non possano, ove lo ritengano opportuno ai fini della determinazione dei margini di dumping, suddividere il prodotto interessato in tipi o in modelli e procedere a più confronti. Tuttavia, il requisito di un trattamento coerente del prodotto nel corso dell’inchiesta impone di tener poi conto del risultato di tutti i confronti e di stabilire margini di dumping per il prodotto interessato nel suo insieme ( 52 ). |
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65. |
In secondo luogo, dalla formulazione stessa dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base risulta che la determinazione dei margini di dumping deve rispondere al requisito che tali margini permettano di valutare correttamente il margine di dumping ( 53 ). |
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66. |
Così, nell’ambito dell’esercizio del potere discrezionale loro riconosciuto nell’applicare l’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base, le istituzioni devono applicare i metodi di calcolo dei margini di dumping in modo da garantire che detti margini, come determinati, riflettano l’effettiva entità del dumping praticato ( 54 ). |
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67. |
Orbene, un’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base come quella indicata dal Tribunale nella sentenza impugnata, che permetta alle istituzioni di escludere dal calcolo del margine di dumping operazioni di esportazione relative a determinati tipi del prodotto interessato come definito nell’ambito dell’inchiesta, salvo poi applicare i margini di dumping così calcolati a tutti i tipi di prodotto interessato, può, a mio avviso, non tener conto delle due esigenze menzionate ai paragrafi 62 e 63 nonché 65 e 66 delle presenti conclusioni. |
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68. |
Infatti, da una parte, se determinati tipi del prodotto interessato sono esclusi dal calcolo dei margini di dumping, questi ultimi sono calcolati soltanto rispetto a una parte del prodotto interessato e non rispetto a tale prodotto nel suo insieme, come definito nell’inchiesta. |
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69. |
Dall’altra, escludendo dal calcolo dei margini di dumping le operazioni di esportazione relative a determinati tipi del prodotto interessato, le istituzioni non potrebbero prendere in considerazione né quantificare l’incidenza che tali operazioni hanno sul calcolo dei margini di dumping complessivi. Ne consegue che, così facendo, tali margini possono non riflettere l’effettiva entità del dumping praticato. |
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70. |
La conclusione secondo cui le istituzioni non possono escludere dal calcolo dei margini di dumping operazioni di esportazione relative a determinati tipi del prodotto interessato trova peraltro conferma, innanzitutto, nella formulazione dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base, successivamente, nella giurisprudenza della Corte e, infine, nell’interpretazione dell’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping resa a livello dell’OMC. |
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71. |
Infatti, in primo luogo, la formulazione dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base prevede espressamente che, nell’ambito del primo metodo simmetrico, l’esistenza di margini di dumping sia accertata in base al confronto tra la media ponderata del valore normale e la media ponderata dei prezzi di tutte le transazioni di esportazione nell’Unione. Una siffatta formulazione lascia poco spazio alla possibilità di escludere dal calcolo del margine di dumping le operazioni di esportazione relative a determinati tipi del prodotto interessato. |
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72. |
In secondo luogo, nella sentenza Ikea Wholesale ( 55 ), la Corte ha censurato il Consiglio per non aver «calcolato il margine di dumping globale fondandosi su confronti che riflett[essero] pienamente tutti i prezzi all’esportazione comparabili» ( 56 ). |
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73. |
In terzo luogo, l’organo d’appello del DSB, nell’interpretare l’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping, ha esplicitamente affermato che l’esistenza di margini di dumping relativi al prodotto interessato deve essere stabilita «sulla base di un confronto tra la media ponderata del valore normale e la media ponderata dei prezzi di tutte le transazioni di esportazione comparabili – vale a dire di tutte le operazioni relative a tutti i modelli o tipo di prodotto oggetto dell’inchiesta» ( 57 ). |
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74. |
I suddetti rinvii sia alla formulazione dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base che alla giurisprudenza della Corte e alle decisioni dell’organo d’appello del DSB, in casi relativi alla liceità del metodo «dell’azzeramento» ( 58 ), richiedono una duplice precisazione. |
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75. |
La prima precisazione riguarda l’interpretazione proposta dal Tribunale dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base. Il Tribunale ha infatti interpretato detta disposizione alla luce dell’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping e tenendo conto dell’obbligo di procedere a un «confronto equo» previsto all’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base e all’articolo 2.4. dell’accordo antidumping. |
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76. |
Secondo il Tribunale, dal complesso di dette disposizioni si evincerebbe, in sostanza, che le istituzioni dovrebbero confrontare con il valore normale non il prezzo di tutte le operazioni di esportazione relative al prodotto interessato, ma unicamente tutte «le operazioni ad esse comparabili» ( 59 ). Nel caso di specie, le operazioni di esportazione relative ai tipi del prodotto interessato per i quali non esisteva, in capo al produttore indiano, un prodotto corrispondente e quindi un prezzo (di vendita) comparabile, non erano, secondo il Tribunale, operazioni comparabili. In mancanza di un metodo che garantisse un confronto più equo di quello compiuto dalle istituzioni, sarebbe quindi stato legittimo escludere tali operazioni dal calcolo dei margini di dumping. |
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77. |
A tale riguardo, tuttavia, occorre in primis osservare che, come risulta dal paragrafo 73 delle presenti conclusioni, ai fini dell’applicazione dell’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping – alla luce del quale il Tribunale ha interpretato l’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base –, devono essere considerate come «operazioni di esportazione comparabili» tutte le operazioni relative a ciascun tipo del prodotto interessato ( 60 ). Infatti, se tutti i tipi del prodotto interessato, come definito nel corso dell’inchiesta, sono assimilabili al prodotto simile, allora il requisito di un trattamento coerente del prodotto interessato (e del prodotto simile), menzionato al paragrafo 62 delle presenti conclusioni, impone che tutti tali tipi siano necessariamente considerati come comparabili e che, per ciò stesso, tutte le operazioni che li riguardano siano comparabili, e ciò nonostante la mancanza dei dati di prezzo di alcune di tali operazioni. |
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78. |
Ove non dispongano di dati relativi ai prezzi (nel paese esportatore o, se del caso, in un paese di riferimento) di determinati tipi del prodotto interessato, le istituzioni avranno due scelte: o restringere la portata della definizione del prodotto interessato, escludendo dall’inchiesta i tipi del prodotto per i quali non esista un prezzo comparabile ( 61 ), o costruire il valore normale per tali tipi del prodotto interessato, così da poter prendere in considerazione nella determinazione dei margini di dumping anche le operazioni all’esportazione che li riguardino. |
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79. |
In secundis, è vero che, in forza del rinvio all’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base contenuto nell’articolo 2, paragrafo 11, di detto stesso regolamento ( 62 ), l’obbligo di effettuare un confronto equo riguarda anche la determinazione dei margini di dumping. Tuttavia, da una parte, ciò non implica assolutamente che tale obbligo possa essere interpretato nel senso che esso limiterebbe la portata della definizione del prodotto interessato o l’obbligo di tener conto, nella determinazione dei margini di dumping, di tutte le esportazioni di tale prodotto nell’Unione ( 63 ). Dall’altra, nulla nell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base consente di dedurre l’esistenza della nozione di «confronto più equo» sulla quale il Tribunale fonda buona parte del proprio ragionamento ( 64 ). |
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80. |
La seconda precisazione riguarda l’esclusione esplicita, da parte del Tribunale, della pertinenza, nella fattispecie, dei casi riguardanti il metodo dell’azzeramento ( 65 ). |
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81. |
Più in particolare, il Tribunale ha escluso che la causa Ikea Wholesale, nella quale le istituzioni avevano applicato tale metodo, fosse pertinente osservando che, «nel caso di specie, non si [poteva] ritenere che il margine di dumping non [fosse] stato calcolato sulla base di una rappresentazione significativa dei tipi del prodotto interessato e che non riflette[sse], pertanto, tutti i prezzi all’esportazione comparabili» ( 66 ). Il Tribunale ha poi considerato che nella fattispecie, diversamente che nei casi di ricorso al metodo dell’azzeramento – nei quali, all’atto del confronto ai fini della determinazione dei margini di dumping, erano state ignorate tutte le categorie dei tipi del prodotto interessato per i quali era stato determinato un margine di dumping negativo –, non si potesse ritenere che l’approccio adottato dalle istituzioni avesse portato a gonfiare il risultato del calcolo del margine di dumping ( 67 ). |
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82. |
A mio avviso, nel caso di specie non è possibile negare assolutamente la pertinenza della giurisprudenza e delle decisioni del DSB riguardanti l’applicazione del metodo dell’azzeramento, come ha invece fatto il Tribunale. Infatti, i suddetti casi e la presente causa presentano forti elementi di somiglianza in quanto riguardano entrambi l’omessa considerazione, ai fini della determinazione dei margini di dumping, di una parte delle operazioni di esportazione relative al prodotto interessato come definito nel corso dell’inchiesta. Nell’ambito delle cause riguardanti il metodo dell’azzeramento, si discuteva di operazioni per le quali il confronto dei rispettivi prezzi con il valore normale aveva portato a un margine negativo. Nella presente causa, si tratta di operazioni riguardanti quei tipi del prodotto per i quali le istituzioni non disponevano dei dati di prezzo. La differenza tra le due tipologie di casi è insita proprio nel fatto che, nei primi, l’incidenza delle operazioni in questione sulla determinazione dei margini di dumping è stata falsata, mentre nel caso di specie l’incidenza delle operazioni di esportazione su tale determinazione è stata semplicemente ignorata, escludendole. |
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83. |
Tuttavia, non vedo perché una siffatta differenza debba comportare che non siano presi in considerazione e non siano così applicati nel caso di specie i principi espressi nelle suddette decisioni in materia di determinazione dei margini di dumping e, nello specifico, il requisito che – nell’ambito di detta determinazione – siano prese in considerazione tutte le esportazioni relative al prodotto interessato. |
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84. |
Per quanto attiene all’argomento relativo alla rappresentatività dei margini di dumping, come calcolati, rispetto a tutti i tipi del prodotto interessato ( 68 ), occorre osservare che, anche se tali margini erano rappresentativi dei cinque tipi di prodotto più venduti, come stabilito dal Tribunale al punto 81 della sentenza impugnata, ciò non toglie che le istituzioni, escludendo determinate operazioni di esportazione dal calcolo dei suddetti, hanno omesso di prendere in considerazione il prodotto interessato nel suo insieme e di calcolare tali margini sulla base dei prezzi di tutte le esportazioni del prodotto interessato nell’Unione, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base ( 69 ) . |
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85. |
È peraltro pacifico che, nel caso di specie, non sono stati presi in considerazione nel calcolo dei margini di dumping, rispettivamente, il 38% e il 43% delle vendite delle due ricorrenti, con la conseguenza, da una parte, che la rappresentatività di detti margini può essere considerata, per quanto le riguarda, dubbia, e dall’altra, che è lecito chiedersi se sia stato rispettato, quantomeno con riferimento alle ricorrenti, il requisito,menzionato ai paragrafi 65 e 66 delle presenti conclusioni, che il margine di dumping rifletta la portata reale del dumping ( 70 ). |
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86. |
Riguardo, infine, all’osservazione del Tribunale, contenuta nel punto 89 della sentenza impugnata, secondo cui l’utilizzo del metodo del paese di riferimento può comportare difficoltà aggiuntive, osservo che nulla nell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento de base, né negli obiettivi da esso perseguiti ( 71 ), giustifica che esso sia interpretato nel senso di limitare l’obbligo, previsto all’articolo 2, paragrafo 11, di detto stesso regolamento, di tener conto, nella determinazione del margine di dumping, di tutte le esportazioni nell’Unione del prodotto interessato, come definito nel corso dell’inchiesta. |
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87. |
Alla luce di tutte le considerazioni che precedono e per le ragioni esposte, ritengo che il Tribunale sia incorso in errore di diritto negando che il Consiglio avesse commesso un manifesto errore di valutazione nell’escludere dal calcolo del margine di dumping le operazioni di esportazione realtive a determinati tipi del prodotto interessato e, quindi, ritenendo che il regolamento controverso non violasse né l’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base né l’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping. Propongo, pertanto, alla Corte di accogliere il primo motivo dell’impugnazione. |
D – Sul secondo motivo, vertente sul rifiuto di applicare determinati adeguamenti
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88. |
Il secondo motivo, ripartito in quattro parti, affronta il ragionamento svolto dal Tribunale nei punti da 96 a 126 della sentenza impugnata. Esso verte sulla violazione dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, dell’articolo 2.4 dell’accordo antidumping, del principio di buona amministrazione e dell’articolo 296 TFUE. |
1. Sulla prima e sulla seconda parte del secondo motivo, relative alla violazione dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base e dell’articolo 2.4 dell’accordo antidumping con riferimento al rigetto delle domande di adeguamento
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89. |
Le ricorrenti sostengono che il Tribunale ha commesso un errore non concludendo che le istituzioni hanno violato l’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base e l’articolo 2.4 dell’accordo antidumping allorché hanno rigettato le loro domande di adeguamento a titolo, da una parte, delle differenze tra i costi di produzione e i costi del produttore indiano ( 72 ) e, dall’altra, delle differenze in termini di efficienza nei consumi e di produttività ( 73 ). |
a) La sentenza impugnata
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90. |
Per quanto attiene, anzitutto, alle domande di adeguamento a titolo delle allegate differenze tra i costi di produzione, le ricorrenti hanno sostenuto dinanzi al Tribunale di aver dimostrato, mediante un’analisi dei dati relativi al produttore indiano, che questi avesse sistematicamente definito i suoi prezzi con modalità tali da garantirgli la copertura totale dei costi e che, di conseguenza, tutte le differenze di costi si traducessero in differenze di prezzo. Nella sentenza impugnata, il Tribunale ha respinto il suddetto argomento osservando che l’India era stata considerata come un paese a economia di mercato ‐ decisione non contestata dalle ricorrenti – e che le istituzioni avevano potuto validamente ritenere che, trovandosi in concorrenza con un elevato numero di altri produttori sul mercato interno dell’India, il produttore indiano non potesse fissare liberamente i suoi prezzi, ma dovesse necessariamente mantenerli a livello dei prezzi del mercato indiano ( 74 ). Il Tribunale ha anche considerato che, nel caso di specie, le ricorrenti non avevano dimostrato che le asserite differenze pregiudicassero la comparabilità dei prezzi ( 75 ). |
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91. |
Per quanto attiene, poi, al rigetto delle domande di adeguamento a titolo delle differenze in termini di efficienza nei consumi e di produttività, il Tribunale ha considerato che le ricorrenti non avevano dimostrato in che modo tali differenze incidessero sulla comparabilità tra il valore normale e il prezzo all’esportazione. Inoltre, secondo il Tribunale, da una parte, quando le istituzioni applicano il metodo del paese di riferimento, devono essere presi in considerazione tutti i dati relativi a detto paese, e non unicamente i prezzi e i costi, e dall’altra, l’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base non può essere impiegato per privare di effetto l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), di detto stesso regolamento ( 76 ). Il Tribunale ha considerato anche che le ricorrenti non avevano provato l’erroneità della conclusione del Consiglio secondo cui, in generale, i processi di produzione esistenti in Cina erano stati ritenuti comparabili con quelli dei produttori indiani e che le asserite differenze si erano rivelate del tutto marginali. Inoltre, secondo il Tribunale, posto che le ricorrenti non avevano ottenuto lo status di società operante in condizioni di economia di mercato, i dati loro afferenti non potevano essere presi in considerazione nell’ambito della determinazione del valore normale ( 77 ). |
b) Una breve sintesi dell’argomentazione delle parti
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92. |
Nell’ambito della prima parte del loro secondo motivo, le ricorrenti affermano che non sarebbe chiaro come, a fronte delle prove da esse fornite, le istituzioni abbiano potuto validamente muovere dal presupposto che il produttore indiano, per il solo fatto di essere in concorrenza con molti altri produttori, non potesse riflettere i maggiori costi derivantigli dall’importazione delle materie prime e dalla realizzazione di un processo di produzione supplementare. Esse avrebbero peraltro fornito al Tribunale dichiarazioni che confermavano l’impatto diretto dei costi sui prezzi anche nel mercato dell’Unione, che pure è caratterizzato dall’esistenza della concorrenza. |
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93. |
Nell’ambito della seconda parte del secondo motivo, le ricorrenti affermano che dall’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base non risulta che il requisito del confronto equo o la determinazione del margine di dumping debbano fondarsi su tutti i dati relativi al paese di riferimento. Non esisterebbe alcuna deroga alle disposizioni dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base per il caso dei paesi non retti da un’economia di mercato. Sarebbe erroneo affermare che il metodo del paese di riferimento sarebbe privato di effetti se fosse permesso applicare adeguamenti. Considerare gli adeguamenti in relazione alle differenze in termini di efficienza dei consumi e di produttività non contrasterebbe con l’obiettivo del metodo del paese di riferimento, poiché il minor consumo di materie prime e di elettricità e l’efficienza della manodopera non sarebbero in alcun modo collegati né con i prezzi e i costi di detti elementi né con le forze di mercato. |
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94. |
Le istituzioni contestano l’argomentazione delle ricorrenti. |
c) Analisi
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95. |
Le due parti qui in esame sollevano la questione del rapporto tra, da un lato, la disposizione dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, che riguarda la determinazione del valore normale nel caso di importazioni provenienti da paesi non retti da un’economia di mercato, e, dall’altro, la disposizione dell’articolo 2, paragrafo 10, di detto stesso regolamento, che, nell’ambito dell’obbligo di procedere a un confronto equo tra il valore normale e il prezzo all’esportazione, prevede l’esigenza, quando è necessario, che siano applicati adeguamenti. |
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96. |
A tal riguardo occorre ricordare, per un verso, che, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, se il valore normale e il prezzo all’esportazione determinati non si trovano in situazione comparabile, si tiene debitamente conto, in forma di adeguamenti, valutando tutti gli aspetti dei singoli casi, delle differenze tra i fattori che, secondo quanto viene affermato e dimostrato, influiscono sui prezzi e quindi sulla loro comparabilità. |
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97. |
Conformemente alla giurisprudenza della Corte, se una parte richiede, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, adeguamenti destinati a rendere comparabili il valore normale ed il prezzo all’esportazione ai fini della determinazione del margine di dumping, essa deve dimostrare che tale domanda sia sufficientemente giustificata. Così, se un produttore rivendica l’applicazione di un adeguamento (in linea di principio, verso il basso) del valore normale, dovrà indicare e dimostrare che sussistono i presupposti per la concessione di siffatto adeguamento ( 78 ). |
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98. |
Per altro verso, si deve anche ricordare che, a norma dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base, nel caso di importazioni provenienti da paesi non retti da un’economia di mercato, in deroga alle regole stabilite ai paragrafi da 1 a 6 di detto stesso articolo, il valore normale è, in linea di principio, determinato sulla base del prezzo o del valore costruito in un paese terzo a economia di mercato. |
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99. |
La Corte ha indicato che tale disposizione intende evitare che vengano presi in considerazione prezzi o costi di paesi non retti da un’economia di mercato, poiché tali parametri non sono il risultato normale delle forze che si esercitano sul mercato ( 79 ). |
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100. |
In merito ai rapporti tra le due suddette disposizioni, occorre osservare che nulla nel regolamento di base indica che l’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del regolamento di base prevederebbe una deroga generalizzata al requisito di operare adeguamenti, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 10, di detto stesso regolamento. Tuttavia, nel caso in cui domande di adeguamento del valore normale siano presentate in forza di detta ultima disposizione nell’ambito di un’inchiesta nella quale il valore normale è determinato in applicazione della normativa sulle importazioni provenienti da paesi non retti da un’economia di mercato, è, a mio avviso, necessario interpretare l’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base alla luce e nel contesto dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), del medesimo regolamento. |
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101. |
Così, in un caso, come quello qui in esame, in cui determinano il valore normale in applicazione del metodo del paese di riferimento, in forza dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, le istituzioni devono, in generale, tener conto, sotto forma di adeguamento, delle differenze accertate tra i fattori di cui si afferma e dimostra l’incidenza sui prezzi e quindi sulla loro comparabilità. |
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102. |
Tuttavia, il requisito di interpretare l’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base alla luce dell’articolo 2, paragrafo 7, lettera a), di detto stesso regolamento implica che, in un tal caso, al fine di non privare quest’ultima disposizione di effetti utili, non si possa richiedere alle istituzioni di operare adeguamenti rispetto a fattori che non siano direttamente o indirettamente il normale risultato delle forze presenti sul mercato. |
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103. |
Discende dalle considerazioni che precedono che un operatore che non abbia ottenuto lo status di società operante in condizioni di economia di mercato non può, a mio avviso, far valere differenze relative a fattori collegati alla struttura dei suoi costi o alla sua attività di produzione per chiedere adeguamenti del valore normale ( 80 ). Infatti, è quasi certo che tanto la struttura dei costi quanto l’attività produttiva di un’impresa che opera in condizioni che non sono quelle di un’economia di mercato siano influenzate, più o meno direttamente, da parametri che non sono il risultato normale delle forze presenti sul mercato. |
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104. |
Nel caso di specie, per quanto attiene, in primo luogo, alle domande di adeguamenti formulate a titolo delle asserite differenze tra i costi di produzione, occorre, anzitutto, osservare che le argomentazioni dedotte dalle ricorrenti sono essenzialmente dirette a mettere in discussione le conclusioni tratte dal Tribunale rispetto ai diversi elementi da esse forniti nel corso del procedimento amministrativo, vale a dire l’analisi dei dati riguardanti il produttore indiano e le diverse dichiarazioni riguardanti il mercato dell’Unione. Ciò equivale essenzialmente a rimettere in discussione la valutazione, da parte del Tribunale, degli elementi di prova, il che non costituisce una questione di diritto, come tale soggetta al controllo della Corte, salvo il caso di snaturamento di questi elementi ( 81 ). |
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105. |
Inoltre, riferendosi alle prove fornite dinanzi al Tribunale, le ricorrenti non hanno realmente contestato la motivazione fondamentale alla base del rigetto, da parte del Tribunale, della loro censura, vale a dire che il produttore indiano, agendo su un mercato concorrenziale, vedeva la sua libertà nel fissare i prezzi dei prodotti limitata dal gioco della concorrenza ( 82 ), talché non era certo che potesse scaricare sui propri prezzi gli eventuali maggiori costi di produzione. |
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106. |
Alla luce delle considerazioni svolte ai paragrafi 102 e 103 delle presenti conclusioni, in un caso come quello in esame, domande di adeguamento, presentate da imprese come le ricorrenti, che vertano su asserite differenze tra i loro costi di produzione e quelli del produttore del paese di riferimento, non potrebbero comunque essere accolte. Al riguardo osservo che le ricorrenti non hanno contestato la conclusione contenuta nel considerando 103 del regolamento controverso secondo cui, non avendo esse ottenuto lo status di società operante in condizioni di economia di mercato, non si poteva ritenere «che la loro struttura dei costi [riflettesse] valori di mercato atti a essere usati come base per aggiustamenti». |
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107. |
Per quanto attiene, in secondo luogo, alle domande di adeguamento fondate sulle differenze in termini di efficienza di consumi e di produttività, ritengo che, anche se non costituiscono costi propriamente detti, la produttività e l’efficienza dei consumi dipendano da numerosi fattori che entrano in gioco nell’attività produttiva, dei quali si può ragionevolmente presumere che siano influenzati, almeno indirettamente, da parametri che non sono il risultato normale delle forze presenti sul mercato. |
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108. |
Ne consegue che, in una situazione in cui il valore normale è determinato sulla base del metodo del paese di riferimento, un’impresa che non abbia ottenuto lo status di società operante in condizioni di economia di mercato non può far valere differenze riguardanti la produttività e l’efficienza per chiedere adeguamenti del valore normale. |
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109. |
Il Tribunale non ha pertanto commesso alcun errore nel respingere la censura delle ricorrenti riguardante il rifiuto delle istituzioni di prendere in considerazione, nel caso di specie, gli adeguamenti controversi e nel rigettare la prima e la seconda parte del secondo motivo. |
2. Sulla terza parte del secondo motivo, relativa alle informazioni necessarie per chiedere gli adeguamenti e sull’onere della prova eccessivo
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110. |
Con la terza parte del secondo motivo, le ricorrenti contestano al Tribunale di aver violato l’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, l’articolo 2.4 dell’accordo antidumping e il principio di buona amministrazione. |
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111. |
Esse fanno riferimento al punto 112 della sentenza impugnata, nel quale il Tribunale ha respinto la censura con cui esse contestavano alle istituzioni di aver violato gli obblighi di indicare le informazioni necessarie per chiedere adeguamenti e di non imporre a loro carico un onere della prova eccessivo. |
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112. |
A detta delle ricorrenti, il fatto – sottolineato dal Tribunale – che esse abbiano potuto comprendere i motivi del rigetto delle loro domande di adeguamento non rileva al fine di stabilire se sia stato loro imposto un onere della prova eccessivo. Inoltre, le istituzioni avrebbero, da un lato, considerato come riservate tutte le informazioni relative ai dati del produttore del paese di riferimento e, dall’altro, richiesto alle ricorrenti di dimostrare che il produttore indiano avesse tenuto conto delle allegate differenze nei prezzi. Orbene, senza accesso ai dati del produttore indiano sarebbe impossibile soddisfare un siffatto onere della prova. |
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113. |
La parte qui in esame solleva il problema della conciliazione di due esigenze che, a determinate condizioni, possono risultare opposte. Da un lato, si tratta dell’esigenza di salvaguardare la riservatezza dei dati delle imprese che accettano di cooperare con le istituzioni nell’ambito delle inchieste antidumping. Tale esigenza risulta particolarmente marcata nei casi di applicazione del metodo del paese di riferimento, nell’ambito dei quali le istituzioni si fondano, generalmente, sui dati forniti dalle imprese del paese di riferimento che collaborano all’inchiesta. Non tenendo conto di detta esigenza si rischierebbe, infatti, di compromettere seriamente la possibilità di effettuare siffatte inchieste. D’altro lato, a tale esigenza si contrappone, tuttavia, quella di permettere alle parti che presentano domande di adeguamento in forza dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base di disporre delle informazioni necessarie per poter motivare la fondatezza delle loro domande ( 83 ). |
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114. |
A questo riguardo, occorre, anzitutto, osservare che l’articolo 2.4 dell’accordo antidumping precisa che «[s]petta alle autorità indicare alle parti interessate le informazioni che devono fornire per consentire un equo confronto, senza imporre alle stesse un eccessivo onere di prova». |
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115. |
Nella sua relazione del 28 luglio 2011 – citata nei paragrafi 7, 40 e 41 delle presenti conclusioni – riguardante il procedimento «Comunità europee – Misure antidumping definitive su determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Cina», l’organo d’appello del DSB ha precisato che la disposizione in parola impone alle autorità incaricate dell’inchiesta di indicare alle parti le informazioni che devono figurare nelle domande di adeguamento affinché gli interessati possano presentare una tale domanda ( 84 ). |
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116. |
A tal riguardo si deve constatare che le esigenze summenzionate espressamente previste nell’articolo 2.4 dell’accordo antidumping non sono riprese, in maniera esplicita, nella formulazione dell’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base. Tuttavia, ritengo che esse risultino da un’interpretazione della suddetta disposizione alla luce dell’articolo 2.4 dell’accordo antidumping e che, in ogni caso, siano connesse al principio di buona amministrazione sancito nell’articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea ( 85 ). |
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117. |
Orbene, contrariamente a quanto accade in una normale inchiesta antidumping, nell’ambito di un’inchiesta in cui il valore normale è stabilito sulla base dei prezzi di un produttore di un paese di riferimento i dati relativi a tale valore sono ottenuti attraverso una fonte terza e riguardano un paese diverso da quello dei produttori esportatori oggetto dell’inchiesta. Non avendo accesso a tali dati, i produttori esportatori in parola ben difficilmente potranno disporre delle informazioni necessarie per stabilire quali adeguamenti possano essere richiesti alle istituzioni per tener conto di eventuali differenze a carico della comparabilità dei prezzi tra i prodotti esportati e i prodotti venduti sul mercato interno dal produttore del paese di riferimento. |
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118. |
In tali casi, alle istituzioni spetta quindi fornire ai produttori esportatori oggetto dell’inchiesta informazioni sufficienti da permettere loro di presentare domande di adeguamento. |
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119. |
A questo proposito occorre osservare, da una parte, che l’individuazione dei dati specifici da condividere, in concreto, con tali produttori esportatori dipenderà da un’analisi da compiere, caso per caso, alla luce delle circostanze specifiche di ciascuna inchiesta. Dall’altra, alle istituzioni spetterà fornire i dati in parola con modalità che tengano conto dell’esigenza di salvaguardare la riservatezza dei dati delle imprese che hanno accettato di cooperare nell’inchiesta di cui trattasi, in particolare, se del caso, dei produttori del paese di riferimento. |
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120. |
Orbene, nel caso di specie sembrerebbe che tutte le informazioni relative alla determinazione del valore normale sulla base dei dati riguardanti il produttore indiano siano state mantenute riservate rispetto ai produttori esportatori oggetto dell’inchiesta ( 86 ). In tali condizioni, come fanno valere le ricorrenti, «dimostra[re] che le differenze sostenute incidevano sulla comparabilità dei prezzi» ( 87 ) sarebbe effettivamente arduo, se non impossibile. |
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121. |
Ritengo, pertanto, che la terza parte del secondo motivo debba essere accolta. |
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122. |
Tuttavia, osservo sin d’ora che, quand’anche la Corte, sulla base delle considerazioni testé svolte, dovesse ritenere che, nel caso di specie, non accertando che le istituzioni avevano violato il loro obbligo di indicare le informazioni necessarie e di non imporre ai produttori esportatori oggetto dell’inchiesta un onere della prova eccessivo, il Tribunale abbia violato l’articolo 2, paragrafo 10, del regolamento di base, ciò non inciderebbe sul rigetto, nel regolamento controverso, delle domande di adeguamento formulate dalle ricorrenti. Infatti, come risulta dalle considerazioni che ho già svolto in sede di analisi della prima e della seconda parte del presente motivo, in ogni caso, gli adeguamenti richiesti, vista la loro connessione con la struttura dei costi e con l’attività produttiva delle ricorrenti, non potevano essere richiesti da imprese, come le ricorrenti, che non avevano ottenuto lo status di società operante in condizioni di economia di mercato ( 88 ). |
3. Sulla quarta parte del secondo motivo, vertente sulla violazione dell’articolo 296 TFUE
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123. |
Nella quarta parte del secondo motivo, le ricorrenti affermano che, ai punti da 120 a 124 della sentenza impugnata, il Tribunale ha commesso un errore concludendo che, nel regolamento controverso, le istituzioni hanno rispettato l’obbligo di motivazione loro incombente. Nella sua valutazione del grado di precisione richiesto per la motivazione, il Tribunale avrebbe omesso di tener conto del contesto in cui si inserisce il regolamento controverso, vale a dire l’utilizzo del metodo del paese di riferimento e l’assenza di accesso ai dati relativi al produttore indiano. Analogamente, il Tribunale non avrebbe tenuto sufficientemente conto degli scambi intercorsi tra le ricorrenti e le istituzioni nel corso del procedimento amministrativo, nell’ambito dei quali le prime avrebbero chiesto alle seconde di fornire spiegazioni più dettagliate. In tale contesto, le istituzioni avrebbero dovuto precisare adeguatamente perché gli argomenti e gli elementi di prova presentati dalle ricorrenti non soddisfacessero l’onere della prova loro imposto. |
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124. |
A tal riguardo occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, la motivazione prescritta dall’articolo 296 TFUE dev’essere adeguata alla natura dell’atto di cui trattasi e deve far apparire in forma chiara e non equivoca l’iter logico seguito dall’istituzione da cui esso promana, in modo da consentire agli interessati di conoscere le ragioni del provvedimento adottato e al giudice competente di esercitare il proprio controllo. Tale requisito dev’essere valutato in funzione delle circostanze del caso, in particolare del contenuto dell’atto, della natura dei motivi esposti e dell’interesse che i destinatari dell’atto o altre persone da questo riguardate direttamente e individualmente possano avere a ricevere spiegazioni. La motivazione non deve necessariamente specificare tutti gli elementi di fatto e di diritto pertinenti, in quanto l’accertamento se la motivazione di un atto soddisfi i requisiti di cui all’articolo 296 TFUE va effettuato alla luce non solo del suo tenore, ma anche del suo contesto e del complesso delle norme giuridiche che disciplinano la materia ( 89 ). |
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125. |
Nel caso di specie, nella misura in cui le ricorrenti contestano al Tribunale di non aver tenuto sufficiente conto degli scambi intercorsi durante il procedimento amministrativo, tale argomento è diretto a rimettere in discussione la valutazione degli elementi di prova compiuta dal Tribunale, il che, come già osservato nel paragrafo 104 delle presenti conclusioni, non è ammesso in sede di impugnazione ( 90 ). |
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126. |
Riguardo all’argomento relativo all’omessa considerazione dell’utilizzo del metodo del paese di riferimento, occorre osservare che l’analisi dei considerando 41 e 103 del regolamento controverso, ripresi nel punto 99 della sentenza impugnata, indica inequivocabilmente che il Consiglio ha tenuto conto della suddetta circostanza nell’esporre i motivi alla base del suo rigetto delle domande di adeguamento avanzate dalle ricorrenti. Di conseguenza, non si può contestare al Tribunale di non aver censurato la motivazione del regolamento controverso sotto tale profilo. Riguardo all’argomento vertente sull’assenza di accesso ai dati relativi al produttore indiano, tale elemento non incide minimamente sull’obbligo di motivazione gravante sulle istituzioni e, in ogni caso, un’eventuale più articolata motivazione non ovvierebbe alla mancanza delle informazioni necessarie per chiedere gli adeguamenti. |
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127. |
Ne consegue che, a mio avviso, anche la quarta parte del secondo motivo deve essere respinta. |
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128. |
Concludendo, dai paragrafi 87 e 121 delle presenti conclusioni risulta, a mio avviso, che occorre accogliere l’impugnazione proposta dalle ricorrenti nella causa C‑376/15 P e annullare la sentenza impugnata. |
VI – Sul ricorso dinanzi al Tribunale
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129. |
Ai sensi dell’articolo 61, primo comma, dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea, quest’ultima, in caso di annullamento della decisione del Tribunale, può statuire definitivamente sulla controversia, qualora lo stato degli atti lo consenta. Ritengo che ne sia questo il caso. |
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130. |
Infatti, dalle considerazioni svolte nei paragrafi da 52 a 87 delle presenti conclusioni emerge che, nell’escludere, nel regolamento controverso, dal calcolo del margine di dumping i tipi di prodotti fabbricati ed esportati dalle ricorrenti per i quali non erano disponibili i prezzi di vendita del produttore nel paese di riferimento, il Consiglio ha commesso una violazione dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base e dell’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping. |
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131. |
Ritengo, pertanto, vi sia motivo di annullare il regolamento controverso nella parte che riguarda le ricorrenti. |
VII – Sulle spese
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132. |
Qualora la Corte accolga le mie valutazioni, il Consiglio soccomberà nella causa C‑376/15 P. In tali circostanze, posto che le ricorrenti hanno chiesto la sua condanna alle spese, propongo alla Corte, in applicazione dell’articolo 138, paragrafo 1, e dell’articolo 184, paragrafi 1, 2 e 4, del regolamento di procedura, di condannare il Consiglio alle spese sostenute dalle ricorrenti sia in primo grado sia nel procedimento di impugnazione nella causa C‑376/ 15 P e di condannare la Commissione a sopportare le proprie spese relative a detta causa. |
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133. |
Di contro, posto che l’impugnazione proposta nella causa C‑377/15 P deve essere considerata irricevibile, occorre condannare le ricorrenti alle spese relative a detta causa. |
VIII – Conclusione
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134. |
Alla luce delle considerazioni che precedono, propongo alla Corte di statuire come segue:
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( 1 ) Lingua originale: il francese.
( 2 ) T‑558/12 e T‑559/12, EU:T:2015:237.
( 3 ) Regolamento che modifica il regolamento (CE) n. 91/2009 (GU 2012, L 275, pag. 1).
( 4 ) Con la decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986‑1994) (GU 1994, L 336, pag. 1), il Consiglio ha approvato l’accordo che istituisce l’Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994, e gli accordi di cui agli allegati da 1 a 3 di detto accordo, tra i quali rientra l’accordo antidumping.
( 5 ) Regolamento del Consiglio, del 30 novembre 2009, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 2009, L 343, pag. 51, e rettifica in GU 2010, L 7, pag. 22), come modificato dal regolamento (UE) n. 1168/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2012 (GU 2012, L 344, pag. 1).
( 6 ) Regolamento (CE) n. 91/2009 del Consiglio, del 26 gennaio 2009, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese (GU 2009, L 29, pag. 1).
( 7 ) Relazione dell’organo d’appello, AB-2011-2, WT/DS397/AB/R, del 15 luglio 2011.
( 8 ) Avviso del 6 marzo 2012 della Commissione relativo alle misure antidumping in vigore sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese, a seguito delle raccomandazioni e delle decisioni adottate dall’organo di conciliazione dell’Organizzazione mondiale del commercio in data 28 luglio 2011 nella controversia CE — elementi di fissaggio (DS397) (GU 2012, C 66, pag. 29).
( 9 ) Regolamento del Consiglio, del 23 luglio 2001, relativo ai provvedimenti che la Comunità può prendere facendo seguito a una relazione adottata dall’organo di conciliazione dell’OMC (DSB) in materia di misure antidumping e antisovvenzioni (GU 2001, L 201, pag. 10). Detto regolamento è stato sostituito e abrogato dal regolamento n. 2015/476 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 marzo 2015, relativo ai provvedimenti che l’Unione può prendere facendo seguito a una relazione adottata dall’organo di conciliazione dell’OMC (DSB) in materia di misure antidumping e antisovvenzioni (GU 2015, L 83, pag. 6).
( 10 ) V. considerando 6 del regolamento controverso, che fa riferimento ai considerando da 40 a 57 del regolamento n. 91/2009.
( 11 ) Considerando 29 e 31 del regolamento controverso e punto 41 della sentenza impugnata.
( 12 ) Considerando 41 e 103 del regolamento controverso.
( 13 ) Considerando 105 del regolamento controverso.
( 14 ) V. punto 42 della sentenza impugnata.
( 15 ) Considerando 82, 102 e 109 del regolamento controverso nonché punti 43, 44 e 60 della sentenza impugnata.
( 16 ) V. punto 60 della sentenza impugnata.
( 17 ) Considerando 109 del regolamento controverso.
( 18 ) Considerando 109 del regolamento controverso.
( 19 ) V. articolo 1 del regolamento controverso. Tali dazi antidumping sono stati poi mantenuti dal regolamento di esecuzione (UE) 2015/519 della Commissione, del 26 marzo 2015, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese ed esteso alle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano o no dichiarati originari della Malaysia, in seguito ad un riesame in previsione della scadenza a norma dell’articolo 11, paragrafo 2, del regolamento (CE) n. 1225/2009 (GU 2015, L 82, pag. 78).
( 20 ) Relazione dell’organo d’appello, AB-2015-7, WT/DS397/AB/RW, del 18 gennaio 2016.
( 21 ) Regolamento che abroga il dazio antidumping definitivo istituito sulle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio originari della Repubblica popolare cinese, esteso alle importazioni di determinati elementi di fissaggio in ferro o acciaio spediti dalla Malaysia, indipendentemente dal fatto che siano dichiarati o no originari della Malaysia (GU 2016, L 52, pag. 24).
( 22 ) V. nota a piè di pagina 9 delle presenti conclusioni.
( 23 ) Sentenza del 9 giugno 2011, Diputación Foral de Vizcaya e a./Commissione (da C‑465/09 P a C‑470/09 P, non pubblicata, EU:C:2011:372, punto 58 e giurisprudenza ivi citata).
( 24 ) V., rispettivamente, punti da 33 a 40 e da 86 a 90 della sentenza impugnata.
( 25 ) Sentenza del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punti da 82 a 87 e la giurisprudenza ivi citata).
( 26 ) Tale eccezione prende il nome dalla sentenza del 7 maggio 1991, Nakajima/Consiglio (C‑69/89, EU:C:1991:186).
( 27 ) Tale eccezione prende il nome dalla sentenza del 22 giugno 1989, Fediol/Commissione (70/87, EU:C:1989:254).
( 28 ) V., al riguardo, sentenza del 16 luglio 2015, Commissione/Rusal Armenal (C‑21/14 P, EU:C:2015:494, punti da 44 a 46 e la giurisprudenza ivi citata).
( 29 ) V. sentenza del 9 gennaio 2003, Petrotub e Republica/Consiglio (C‑76/00 P, EU:C:2003:4, punto 56), sull’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento (CE) n. 384/96 del Consiglio, del 22 dicembre 1995, relativo alla difesa contro le importazioni oggetto di dumping da parte di paesi non membri della Comunità europea (GU 1996, L 56, pag. 1), come modificato dal regolamento (CE) n. 2331/96 del Consiglio, del 2 dicembre 1996 (GU 1996, L 317, pag. 1), il cui testo corrisponde a quello dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base.
( 30 ) V. anche, in tal senso, sentenza dell’8 luglio 2008, Huvis/Consiglio (T‑221/05, EU:T:2008:258, punto 73).
( 31 ) V. in tal senso, relativamente all’articolo 1 del regolamento di base, le conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Portmeirion Group (C‑232/14, EU:C:2015:583, paragrafo 73). V. anche sentenza del 17 marzo 2016, Portmeirion Group (C‑232/14, EU:C:2016:180, punti 40 e segg.).
( 32 ) V., in tal senso, sentenze del 10 novembre 2011, X e X BV (C‑319/10 e C‑320/10, non pubblicata, EU:C:2011:720, punto 37 e la giurisprudenza ivi citata), e del 4 febbraio 2016, C & J Clark International e Puma (C‑659/13 e C‑34/14, EU:C:2016:74, punto 96). La Corte ha, infatti, stabilito che le raccomandazioni e le decisioni del DSB che accertano l’inosservanza delle regole dell’OMC non possono, in linea di principio, a prescindere dalla portata giuridica loro riconosciuta, essere fsostanzialmente distinte dalle disposizioni materiali che esprimono le obbligazioni contratte da un membro nell’ambito dell’OMC.
( 33 ) Sentenza del 10 novembre 2011, X e X BV (C‑319/10 e C‑320/10, non pubblicata, EU:C:2011:720, punti 44 e 45 e la giurisprudenza ivi citata). Al riguardo, v., ad esempio, sentenza del 17 marzo 2016, Portmeirion Group (C‑232/14, EU:C:2016:180, punto 43).
( 34 ) Il regolamento controverso è stato adottato sulla base del regolamento n. 1515/2001 (v. nota a piè di pagina 9 delle presenti conclusioni).
( 35 ) V., in particolare, il preambolo e i considerando 2, 3, 6, 7, 9, 10, 12, 22, 23, 110, 112, 117, 125, 127, 128, 130, 132, 135, 138 del regolamento controverso.
( 36 ) V., al riguardo, sentenza del 10 novembre 2011, X e X BV (C‑319/10 e C‑320/10, non pubblicata, EU:C:2011:720, punto 40).
( 37 ) V. considerando 10 e 13 nonché articolo 1 del regolamento 2016/278.
( 38 ) V. sentenza del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale (C‑351/04, EU:C:2007:547, punto 35).
( 39 ) Punti 37, 40 e 61 della sentenza impugnata.
( 40 ) Punto 63 della sentenza impugnata.
( 41 ) Punti da 67 a 84 della sentenza impugnata.
( 42 ) V., specificamente, punti da 81 a 83 della sentenza impugnata.
( 43 ) Le ricorrenti si riferiscono al punto 61 della sentenza impugnata.
( 44 ) V. punto 40 della sentenza impugnata e paragrafo 45 delle presenti conclusioni.
( 45 ) V. paragrafi da 48 a 50 delle presenti conclusioni.
( 46 ) Il controllo giurisdizionale di una siffatta valutazione deve, pertanto, essere limitato alla verifica del rispetto delle norme procedurali, dell’esattezza materiale dei fatti considerati nell’operare la scelta contestata, nonché dell’assenza di errori manifesti nella valutazione dei fatti e di sviamento di potere. V., inter alia, sentenza del 7 aprile 2016, ArcelorMittal Tubular Products Ostrava e a./Consiglio e Consiglio/Hubei Xinyegang Steel (C‑186/14 P e C‑193/14 P, EU:C:2016:209, punto 34 e la giurisprudenza ivi citata).
( 47 ) V. sentenza del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale (C‑351/04, EU:C:2007:547, punto 41).
( 48 ) Ai termini di detta disposizione, un prodotto è considerato oggetto di dumping quando il suo prezzo all’esportazione nell’Unione è inferiore al prezzo comparabile di un prodotto simile applicato nel paese esportatore nell’ambito di normali operazioni commerciali.
( 49 ) V., al riguardo, la giurisprudenza costante del Tribunale citata al paragrafo 46 delle conclusioni dell’avvocato generale Wathelet nella causa Portmeirion Group (C‑232/14, EU:C:2015:583).
( 50 ) V. al riguardo, per quanto attiene all’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping, il punto 53 della relazione dell’organo d’appello dell’OMC del 1o marzo 2001, «Comunità europee – Dazi antidumping sulle importazioni di biancheria da letto in cotone originaria dell’India» (DS141/AB/R).
( 51 ) V., in tal senso, le conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Ikea Wholesale (C‑351/04, EU:C:2006:236, paragrafi 159 e 163). Ciò risulta peraltro dalla formulazione stessa della definizione del margine di dumping, che, a norma dell’articolo 2, paragrafo 12, del regolamento di base, è dato dall’importo di cui il valore normale supera il prezzo all’esportazione. Orbene, il prezzo all’esportazione è definito nell’articolo 2, paragrafo 8, come il prezzo pagato o pagabile per il prodotto venduto per l’esportazione all’Unione. Peraltro, numerose relazioni dell’organo di appello dell’OMC si riferiscono, nell’interpretare l’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping, all’esigenza di considerare nel suo insieme il prodotto interessato nel suo insieme. Al riguardo v., ad esempio, i punti 51 e 53 della relazione dell’organo d’appello dell’OMC del 1o marzo 2001, «Comunità europee – Dazi antidumping sulle importazioni di biancheria da letto in cotone originaria dell’India» (DS141/AB/R), nonché i punti 98 e 99 della relazione dell’organo d’appello dell’OMC dell’11 agosto 2004, «Stati Uniti — Determinazione definitiva dell’esistenza di un dumping riguardante taluni legnami resinosi provenienti dal Canada» (DS264/AB/R).
( 52 ) Per quanto attiene all’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping, v. i punti 80, 98 e 99 della relazione dell’organo d’appello dell’OMC dell’11 agosto 2004, «Stati Uniti – Determinazione definitiva dell’esistenza di un dumping riguardante taluni legnami resinosi provenienti dal Canada» (DS264/AB/R). Si osservi, al riguardo, che, nella sentenza del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale (C‑351/04, EU:C:2007:547), la Corte non ha messo in dubbio l’ammissibilità, nel diritto dell’Unione, del ricorso al metodo fondato su molteplici confronti.
( 53 ) Dalla disposizione in parola risulta, in effetti, che i metodi simmetrici ivi previsti devono permettere di valutare correttamente il margine di dumping e che, solo se tale valutazione non è possibile (e se gli andamenti dei prezzi all’esportazione sono sensibilmente diversi in relazione a differenti acquirenti, regioni o periodi), le istituzioni possono ricorrere al metodo asimmetrico. V., al riguardo, sentenza del 9 gennaio 2003, Petrotub e Republica/Consiglio (C‑76/00 P, EU:C:2003:4, punto 49), nonché paragrafi 73 e segg. delle conclusioni dell’avvocato generale Jacobs nella causa Petrotub e Republica/Consiglio (C‑76/00 P, EU:C:2002:253).
( 54 ) V., in tal senso, conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Ikea Wholesale (C‑351/04, EU:C:2006:236, paragrafo 154).
( 55 ) Sentenza del 27 settembre 2007 (C‑351/04, EU:C:2007:547).
( 56 ) V. sentenza del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale (C‑351/04, EU:C:2007:547, punto 56). Il corsivo è mio.
( 57 ) V. punti 55 e 58 della relazione dell’organo d’appello dell’OMC del 1o marzo 2001, «Comunità europee – Dazi antidumping sulle importazioni di biancheria da letto in cotone originaria dell’India» (DS141/AB/R). Il corsivo è mio.
( 58 ) Applicando il cosiddetto metodo dell’azzeramento, le istituzioni, quando determinano il margine di dumping globale, portano a zero i margini di dumping negativi, ossia i margini stabiliti rispetto a modelli del prodotto interessato per i quali il prezzo all’esportazione è superiore al valore normale. V., al riguardo, sentenza del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale (C‑351/04, EU:C:2007:547, punti 53 e 54), nonché punto 88 della sentenza impugnata.
( 59 ) V. punto 40 della sentenza impugnata. Il corsivo è mio.
( 60 ) V. citazioni alla nota a piè della pagina 57 delle presenti conclusioni.
( 61 ) V., in questo senso, conclusioni dell’avvocato generale Léger nella causa Ikea Wholesale (C‑351/04, EU:C:2006:236, paragrafo 168).
( 62 ) Analogamente, l’articolo 2.4.2 dell’accordo antidumping rinvia all’articolo 2.4 di detto stesso accordo.
( 63 ) Al riguardo, occorre osservare altresì che l’organo di appello del DSB ha espressamente affermato che «un confronto tra un prezzo all’esportazione e un valore normale che non tiene debitamente conto del prezzo di tutte le operazioni all’esportazione comparabili (…) non è un “confronto equo” tra un prezzo all’esportazione e un valore normale, come richiesto dal paragrafo 2.4 e dal comma 2.4.2». V. punto 55 della relazione del 1o marzo 2001, «Comunità europee – Dazi antidumping sulle importazioni di biancheria da letto in cotone originaria dell’India» (DS141/AB/R).
( 64 ) V., al riguardo, punto 84 della sentenza impugnata.
( 65 ) V. punti da 85 a 89 della sentenza impugnata.
( 66 ) V. punto 85 della sentenza impugnata.
( 67 ) V. punto 88 della sentenza impugnata.
( 68 ) V., al riguardo, anche punti da 81 a 84 della sentenza impugnata.
( 69 ) Al riguardo, diversamente dalla Commissione, io non ritengo possibile desumere dalla circostanza che la Corte, al punto 56 della sentenza del 27 settembre 2007, Ikea Wholesale (C‑351/04, EU:C:2007:547), citato al paragrafo 72 delle presenti conclusioni, ha impiegato i termini «che riflettono pienamente» che essa abbia inteso accogliere un’interpretazione dell’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base che, contrariamente alla formulazione della disposizione stessa, permetta di determinare il margine di dumping escludendo talune operazioni all’esportazione riguardanti il prodotto interessato.
( 70 ) In un contesto siffatto, il Tribunale non potrebbe ovviare alla determinazione dei margini di dumping con modalità non conformi all’articolo 2, paragrafo 11, del regolamento di base pretendendo dalle ricorrenti che argomentino nel senso che, «tenendo conto di tutti i tipi di prodotto, il margine di dumping sarebbe stato sostanzialmente diverso da quello definito nel regolamento controverso» (v. punto 83 in fine della sentenza impugnata). Peraltro, considerato che i dati riguardanti la ricostruzione del valore normale erano rimasti riservati, sarebbe stato praticamente impossibile fornire la prova di una siffatta circostanza (v. paragrafi 117 e segg. delle presenti conclusioni). È sulla base di tali considerazioni che deve essere respinto anche l’argomento, fondato sul suddetto punto della sentenza impugnata e sollevato dalla Commissione in udienza, relativo all’inoperatività del primo motivo.
( 71 ) V. paragrafi 99 e 100 nonché la giurisprudenza citata alla nota a piè di pagina 79 delle presenti conclusioni.
( 72 ) Le ricorrenti si riferiscono, nello specifico, ai costi di accesso alle materie prime e ai costi collegati all’utilizzo di processi di produzione supplementari (l’autogenerazione di energia) da parte del produttore indiano.
( 73 ) Le ricorrenti hanno fatto riferimento alle loro differenze con il produttore indiano rispetto al consumo (nella quantità e non nel valore) delle materie prime, al consumo (nella quantità e non nel valore) di elettricità e alla produttività per lavoratore.
( 74 ) Punti da 103 a 108 della sentenza impugnata.
( 75 ) Punto 116 della sentenza impugnata.
( 76 ) Punto 110 della sentenza impugnata.
( 77 ) Punto 111 della sentenza impugnata e punto 103 del regolamento controverso.
( 78 ) Sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP (C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punti 58 e 61 e la giurisprudenza ivi citata).
( 79 ) Sentenza del 10 settembre 2015, Fliesen‑Zentrum Deutschland (C‑687/13, EU:C:2015:573, punto 48 e la giurisprudenza ivi citata).
( 80 ) Il Tribunale ha, in sostanza, applicato tale principio nel punto 111, in fine, della sentenza impugnata.
( 81 ) V., in particolare, sentenza del 16 febbraio 2012, Consiglio e Commissione/Interpipe Niko Tube e Interpipe NTRP (C‑191/09 P e C‑200/09 P, EU:C:2012:78, punti 64 e 65 e la giurisprudenza ivi citata).
( 82 ) Sulla considerazione della concorrenza nella determinazione dei prezzi nell’ambito di un’analisi antidumping concernente un’analisi fondata sul metodo del paese di riferimento, v. sentenza del 10 settembre 2015, Fliesen-Zentrum Deutschland (C‑687/13, EU:C:2015:573, punti da 57 a 59).
( 83 ) V. paragrafi 96 e 97 delle presenti conclusioni e giurisprudenza citata nella nota a piè di pagina 78 delle presenti conclusioni.
( 84 ) Paragrafo 489 della relazione dell’organo d’appello «CE – Elementi di fissaggio (Cina)».
( 85 ) V., in tal senso, sentenza dell’8 luglio 2008, Huvis/Consiglio (T‑221/05, non pubblicata, EU:T:2008:258, punto 77).
( 86 ) V. punto 112 della sentenza impugnata. Tale circostanza non è stata contestata dalle istituzioni.
( 87 ) V. punto 116 della sentenza impugnata.
( 88 ) Al riguardo occorre osservare altresì che le ricorrenti non hanno sostenuto che, per il fatto di non aver avuto accesso alle informazioni attinenti alla determinazione del valore normale sulla base dei dati del produttore indiano, sarebbero state impossibilitate a presentare domande relative ad altre tipologie di adeguamenti.
( 89 ) V. sentenza del 10 settembre 2015, Fliesen‑Zentrum Deutschland (C‑687/13, EU:C:2015:573, punti 75 e 76 e la giurisprudenza ivi citata).
( 90 ) V. giurisprudenza citata alla nota a piè di pagina 81 delle presenti conclusioni.